N.15 data editoriale 14 aprile 2016

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N.15 data editoriale 14 aprile 2016
Settimanale
Nuova serie - Anno XXXX - N. 15 - 14 aprile 2016
Fondato il 15 dicembre 1969
39° Anniversario della fondazione del PMLI
L’ALTERNATIVA
A RENZI
di Giovanni Scuderi
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Il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI durante la lettura del Rapporto politico al 5° Congresso nazionale del PMLI
tenutosi a Firenze dal 6 all’8 dicembre 2008
A Milano, Catania, Fucecchio e Borgo S. Lorenzo
Banchini e volantinaggi del PMLI per il Sì
al referendum contro
le trivellazioni
Banchino unitario tra PMLI e PRC a Ischia
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Giornata di mobilitazione nazionale di Cgil, Cisl e Uil sulle pensioni
3 aprile 2016. Un momento della diffusione a Ischia dei volantini per il
Sì al referendum contro le trivelle (foto Il Bolscevico)
Centinaia di migliaia di pensionati
e lavoratori in piazza
Tre le manifestazioni centrali Venezia, Roma e Napoli, tantissime le iniziative territoriali
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Più di 3.000 posti di lavoro in pericolo nel settore sanitario
Droni britannici a
Migliaia in piazza a Napoli contro i licenziamenti Sigonella per la guerra
voluti dai padroni di “Almaviva” e “Gepin”
alla Libia
Gravissime responsabilità del nepodestà De Magistris e del governatore De Luca
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Quali sono le
La Boschi apre all’elezione diretta energie rinnovabili
del presidente della Repubblica
più pulite
Deve dimettersi per aver accreditato il padre come “persona perbene”, invece è
Una vecchia idea fascista e piduista
indagato per bancarotta fraudolenta
Con la partecipazione dell’Italia
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PAG. 4
Con un emendamento “chirurgico” sul progetto di legge
Nasce a Londra la Renzi ed il PD affossano definitivamente
il referendum sull’acqua
superborsa
Traditi 27 milioni di elettori che votarono il referendum nel 2011
europea a guida
tedesca
Arrestato l’imprenditore E’ morto Cirano Biancalani
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Lavorava grazie ai boss nel feudo del latitante Messina Denaro
I mercati finanziari europei si uniscono
per fronteggiare quelli americani e cinesi
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antiracket del calcestruzzo
Il business dei cantieri e del cemento depotenziato
frutta alle mafie un miliardo l’anno PAG. 5
Nel 1964 uscì dal PCI perché
aveva capito che era revisionista
Era membro della Cellula
“Nerina ‘Lucia’ Paoletti” di Firenze
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2 il bolscevico / PMLI
N. 15 - 14 aprile 2016
39° Anniversario della fondazione del PMLI
L’ALTERNATIVA A RENZI
A sinistra del PD sono
in corso diverse iniziative per creare una alternativa a Renzi. I suoi promotori sono per lo più vecchie
volpi borghesi e riformiste,
navigati parlamentaristi che
puntualmente si riciclano
a ogni mutare di situazione politica. Tra essi ci sono
ben noti imbroglioni falsi
comunisti, alcuni dei quali, Ferrero e Diliberto, sono
stati addirittura ministri di
governi borghesi. Il primo
ha approvato il famigerato “pacchetto Treu”, il secondo non ha battuto ciglio
quando il governo D’Alema
ha partecipato ai bombardamenti della Federazione
Jugoslava.
Il maggiore raggruppamento dei dissidenti a sinistra di Renzi è costituito
dalla formazione che per
adesso si chiama Sinistra
italiana, della quale fanno
parte Sel degli ex “comunisti” Vendola e Fratoianni,
l’ex Verde Cento e l’ex “ultrasinistro” Casarini, nonché Futuro a sinistra di Fassina.
Esso si propone di “mescolare ogni appartenenza”, di realizzare “una sinistra di tutti e di tutte” per
“costruire un’alternativa di
società, pensata da donne
e uomini, fatta di pace e di
giustizia sociale e ambientale, unici veri antidoti per
fermare le destre e l’antipolitica, il terrore di Daesh, i
cambiamenti climatici”.
Il PRC di Ferrero non sarebbe stato contrario a un
progetto insieme con le forze che fanno parte di Sinistra italiana, solo che non
intendeva
autosciogliersi. Lavorerà allora per “costruire un movimento antiliberista su scala nazionale
ed europea e all’interno di
questo di un soggetto unitario della sinistra antiliberista”, “ritenendo ancor oggi
che il fallimento del socialismo reale ponga con forza
la necessità di una vera e
propria rifondazione comunista, che faccia i conti fino
in fondo con lo stalinismo”.
Il PCDI di Diliberto invece con spezzoni del PRC,
tra cui Domenico Losurdo
e Manlio Dinucci già “maoisti” e fautori della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria e ora al soldo
rispettivamente del socialimperialismo cinese e
dell’imperialismo russo, si
propone di “ricostruire” il
PCI revisionista sulla base
del pensiero di Togliatti e di
Gramsci, “nel quadro ampio della sinistra di classe”.
Con quali obiettivi? “Un governo diverso, ancorato ai
principi costituzionali”.
Il PC di Marco Rizzo non
è d’accordo né con l’uno né
con l’altro partito, poiché
sostiene che occorre abbattere il capitalismo e in-
staurare il socialismo. Ma
con quale credibilità se si
pensa che Rizzo è passa-
di Giovanni Scuderi*
Firenze, 6 dicembre 2008. Il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, al 5° Congresso del
PMLI, risponde a pugno chiuso agli applausi dei delegati a conclusione della lettura del Rapporto politico
Sotto: le insegne del PMLI in piazza San Giovanni a Roma durante la manifestazione nazionale della CGIL del
25 ottobre 2014
to da una posizione “ultrasinistra” quando era in Lotta continua a una posizione
parlamentarista, riformista
e governativa quando era
nel PCI e poi nel PRC e nel
partito dei comunisti italiani
ora PDCI? E dal momento che anche lui si rifà a
Togliatti e Gramsci e ignora Mao e la sua opera ideologica e politica? Inoltre
come spiega che è sponsorizzato dai media della destra di Berlusconi e persino
da Radio Vaticana?
Un discorso a sé va fatto per il M5S che su alcune
cose sta a sinistra di Renzi e su altre alla sua destra.
Un movimento politico democratico borghese atipico, capace di attrarre forze
popolari, specie giovanili,
che a parole esalta il ruolo
dei suoi membri, ma in realtà il potere è saldamente in
mano a Grillo, Casaleggio
e ai parlamentari e agli amministratori locali a loro vicini. Un movimento sfogatoio
per le masse antirenziani e
antiPD controllato da questi
nuovi volponi perché esse
non escano dai confini della Costituzione del ’48, dal
capitalismo e dalle istituzioni borghesi.
Un obiettivo comune a
tutte le forze della “sinistra” borghese che propongono delle alternative
a Renzi. Un obiettivo che
non può certo condividere
il PMLI che è nato proprio
per combattere e distruggere il sistema economico
capitalista e l’ordinamento
costituzionale, istituzionale, giuridico, culturale e mo-
rale borghese che sfruttano, opprimono e affamano
le masse e impediscono ad
esse di emanciparsi.
Tuttavia siamo disponibili
a lottare assieme a tutte le
forze che vogliono liberare
l’Italia da Matteo Renzi che
sta ripercorrendo la strada
di Mussolini in politica interna ed estera e sta completando il regime neofascista
e presidenzialista preconizzato dalla P2, cosa che non
è riuscito a fare Berlusconi. Un premier che si vanta di aver promosso l’emendamento Tempa rossa che
fa gli interessi dei petrolieri,
che esalta Marchionne e attacca i sindacati non è assolutamente tollerabile, va
spazzato via.
Ma non si può aspettare che ciò avvenga per via
parlamentare ed elettorale, ammesso che vi si riesca. Bisogna cacciarlo con
la forza subito scendendo
in piazza, prima che consolidi il suo potere e che rimanga a Palazzo Chigi per
altri venti anni. Va cacciato
subito anche per impedirgli
di coinvolgere militarmente
l’Italia nell’avventura libica
contro lo Stato islamico e
per partecipare alla spartizione della Libia e del suo
petrolio.
Poi ognuno proseguirà
per la sua strada: chi cercando di migliorare questo sistema e chi lottando
per abbatterlo. Da parte
nostra siamo convinti che
una vera alternativa a Renzi non può che essere di
classe e rivoluzionaria, non
può non portare al potere il
proletariato, la classe delle
operaie e degli operai, non
può non aprire le porte al
socialismo.
Questa è la missione
storica che 39 anni fa, il 9
Aprile 1977, all’atto della
sua fondazione, si è dato
il PMLI, e che noi siamo
fermamente
intenzionati
a proseguire sicuri che un
giorno, non importa quando e chi di noi sarà ancora
in vita allora, sarà realizzata. I tempi dipendono anche
dalla presa di coscienza da
parte del proletariato e delle
nuove generazioni che solo
il socialismo può liberare l’Italia dalla guerra, dal fascismo, dal razzismo, dall’islamofobia, dall’omofobia,
dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dalle disuguglianze sociali, territoriali
e di sesso, dalle ingiustizie
sociali, dalla miseria, dalla
disoccupazione e dal dominio della borghesia.
Intanto impegniamoci affinché il 17 aprile vinca il SÌ
al referendum contro le trivellazioni, alle elezioni comunali di giugno ci siano
molti voti astensionisti con
la consapevolezza di darli al PMLI e al socialismo,
al referendum di ottobre
la controriforma del Senato
venga sepolta da una valanga di NO.
Cacciamo il nuovo duce
Renzi!
Avanti con forza e fiducia
verso l’Italia unita, rossa e
socialista!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
*Segretario generale del PMLI
N. 15 - 14 aprile 2016
PMLI / il bolscevico 3
Per
conoscere
il PMLI
Leggete i volumi
dei cinque Congressi
nazionali del PMLI
4 il bolscevico / governo renzi
N. 15 - 14 aprile 2016
Una vecchia idea fascista e piduista
La Boschi apre all’elezione diretta
del presidente della Repubblica
Deve dimettersi per aver accreditato il padre come “persona perbene”, invece è indagato per bancarotta fraudolenta
“L’elezione diretta del capo
dello Stato può essere presa
in considerazione”, ma naturalmente “bisogna modificare anche il ruolo e le funzioni
del presidente”. Con queste
parole pronunciate con disinvoltura ad un convegno alla
facoltà di Economia dell’università La Sapienza, la ministra delle Riforme Maria Elena Boschi ha fatto cadere un
altro tabù della “sinistra” borghese, rispolverando e sposando un vecchio cavallo di
battaglia della destra fascista
e piduista: quella repubblica
presidenziale che era stata
in partenza l’idea del fascista
Almirante e dei golpisti Pacciardi, De Lorenzo, Borghese
e Sogno, e poi assurta a disegno centrale del “piano di
rinascita democratica” e dello schema R” della loggia P2
di Gelli. Un disegno realizzato passo passo nei decenni successivi prima da Craxi, poi da Berlusconi, e infine
oggi dal nuovo duce Renzi,
che lo sta completando con
la controriforma istituzionale e costituzionale che porta
proprio il nome della sua fedelissima ministra.
E così il cerchio si chiude:
gli eredi rinnegati, liberali e
democristiani del PC revisionista, contro il quale fu ideata e portata avanti la strate-
gia golpista, presidenzialista
e piduista, oggi sono diventati proprio quelli che la stanno realizzando in prima persona, con la legge elettorale
ultramaggioritaria e fascista
Italicum, l’abolizione del Senato e del bicameralismo,
pilastro della Costituzione
del 1948, e il rafforzamento
dei poteri del presidente del
Consiglio, secondo l’idea del
“premierato forte” che è una
versione surrettizia del presidenzialismo. E ora già annunciano senza pudori quale sarà il passo successivo
e definitivo: l’elezione diretta del presidente della Repubblica, con il conferimento
dei relativi poteri presidenziali, secondo il modello francese del quale, con l’Italicum, è
già stata anticipata la legge
elettorale a doppio turno con
ballottaggio.
Fischiata dagli studenti
de La Sapienza
Quella della Boschi non è
un’uscita involontaria e buttata lì senza riflettere, bensì
svela semplicemente quello
che è il disegno complessivo e l’obiettivo finale del processo di controriforme piduiste messo in moto dal nuovo
duce e dalla sua banda. Intanto serve a preparare l’o-
pinione pubblica e a sondare le sue reazioni, così come
è stato fatto ad esempio per
l’abolizione dell’articolo 18
che ha liberalizzato i licenziamenti. La Boschi ha fatto questo annuncio durante
la lezione tenuta il 21 marzo
nell’aula magna intitolata ad
Ezio Tarantelli ad una platea
selezionata degli studenti di
economia della Sapienza sul
tema “Portando l’Italia nel futuro: la riforma istituzionale”,
in cui ha potuto magnificare
praticamente senza contraddittorio la controriforma che
prende il suo nome. Come
hanno denunciato infatti gli
studenti del Coordinamento Link, per poter accedere
all’incontro era necessario
registrarsi in anticipo di alcuni giorni, consegnare un proprio documento di identità e
farsi perquisire abiti e zaini.
Per poterle porre domande,
inoltre, era necessario inviare una mail con i testi delle
domande che dovevano passare un vaglio preventivo per
essere ammesse.
Anche per questa procedura repressiva e discriminatoria, oltre che per il contenuto stesso della sua “lezione”,
mentre parlava la ministra è
stata contestata e fischiata
da un gruppo di studentesse e di studenti del Coordina-
mento Link Sapienza riuniti
fuori dall’aula, con uno striscione che riportava la scritta
“La democrazia non chiede
il permesso! No alla censura, No alla riforma costituzionale”. “Non ci stupisce questa gestione perché l’idea di
università sottesa all’organizzazione di questa iniziativa
dimostra lo stesso autoritarismo che ha questo governo
nella riforma delle istituzioni”,
ha dichiarato una portavoce
del Coordinamento. “Un parlamento – ha aggiunto – eletto con una legge incostituzionale trasforma le due camere
per piegarne le funzioni alle
esigenze del mercato, riducendo la rappresentanza politica e aumentando i poteri dell’esecutivo che nomina
così le più alte cariche dello
Stato. Oggi abbiamo rivendicato il fatto che la democrazia non chiede il permesso,
ci stiamo mobilitando perché
ad ottobre voteremo NO al
referendum sulla Costituzione e aboliremo questa vergognosa legge”.
La cosa ancor più vergognosa è che la ministra è andata a tenere la sua concione piduista a La Sapienza
il giorno dopo la notizia che
suo padre, Pier Luigi Boschi,
è stato indagato per bancarotta fraudolenta dalla procu-
ra di Arezzo, insieme a tutti i
componenti degli ultimi due
Consigli di amministrazione
di Banca Etruria. Sono almeno una decina i procedimenti aperti per individuare i
responsabili che hanno portato al fallimento per 3 miliardi della banca aretina, di cui
il padre della Boschi è stato
vicepresidente. Il più importante dei quali riguarda maxi
prestiti a società di amici e
parenti dei dirigenti, concessi senza garanzie o garanzie
insufficienti e mai rientrati,
in molti casi senza neanche
prendersi la briga di reclamarne la restituzione.
Riproposta
la mozione di sfiducia
alla ministra
Eppure, nonostante che
suo padre risulti ora indagato per bancarotta fraudolenta, la Boschi, che pure
aveva rifiutato di dare le dimissioni quando fu discussa
la mozione alla Camera, sostenendo a spada tratta che
suo padre era una “persona
perbene” ed estraneo al crac
dell’Etruria, continua tutt’ora
a fare orecchie da mercante e a respingere ogni richiesta di dimissioni, e il PD renziano a fare quadrato intorno
a lei: “Io non lascio, l’ho già
detto in parlamento, rispondo
solo di quel che ho fatto, delle riforme, dell’attuazione del
programma”, ha risposto con
la consueta arroganza la ministra all’iniziativa del M5S,
che ha riproposto la mozione di sfiducia contro di lei per
conflitto di interessi già depositata ma mai discussa al
Senato. “La mozione non ha
senso e comunque se la faranno la respingeremo”, ha
aggiunto il vicesegretario del
PD, Guerini.
È scandaloso poi il modo
con cui la nuova Rai renziana
è riuscita ad occultare completamente la notizia dell’indagine a carico del padre
della Boschi, così come della
ripresentazione della richiesta di dimissioni della ministra. Maria Elena Boschi si
deve dimettere, subito: non
è tollerabile che la figlia di un
bancarottiere, sospettato di
avere legami con la P2 tramite il faccendiere Carboni
e il pluricondannato Verdini,
possa ancora vantarsi impunemente di aver contribuito
a riscrivere la Costituzione,
come ha fatto davanti agli
studenti de La Sapienza proclamando che “ci sono voluti settant’anni per riformarla
ma questa può essere la volta buona”.
Con un emendamento “chirurgico” sul progetto di legge
Renzi ed il PD affossano definitivamente
il referendum sull’acqua
Traditi 27 milioni di elettori che votarono il referendum nel 2011
A metà marzo, in Commissione Ambiente della Camera,
è stato approvato un emendamento a firma Enrico Borghi,
che ha abrogato l’articolo 6
del progetto di legge sull’acqua, e con esso l’obbligo della
gestione pubblica dei servizi
idrici. L’articolo 6, in rispetto ai
risultati del voto del 2011 di 27
milioni di italiani pari al 95%
dei votanti che dissero Sì,
definiva il servizio idrico integrato quale servizio pubblico
locale privo di rilevanza economica e ne disponeva l’affidamento esclusivo a enti pubblici, vietando l’acquisizione di
quote azionarie a società private di gestione. L’intento di
tale articolo era anche quello di definire regole uniformi
per tutto il territorio nazionale. Ora, abrogato l’obbligo, si
riaprono le porte (in realtà mai
chiuse) ai privati che gestiscono già il sevizio idrico in molte
città del nostro Paese, poiché,
di fatto, cancellando l’articolo
6 si elimina l’obbligo che l’acqua, la sua gestione e le infrastrutture idriche siano pubbliche. Praticamente come se il
referendum del 2011 non ci
fosse mai stato.
È interessante sottolineare che l’emendamento, approvato dalla maggioranza
senza l’appoggio di M5S e
Si-Sel che per protesta hanno lasciato l’aula, è passato
nonostante il parere negativo
del Ministero dello Sviluppo
Economico (MiSE) secondo
il quale la formulazione attuale non è sufficiente per rispettare gli attuali principi di concorrenza. Naturalmente, visto
che la critica è puramente formale, sarà un gioco da ragazzi rivedere la formulazione ed
aggiustare il testo che diventerà dunque presto conforme
anche al parere del MiSE.
Con una faccia tosta da
mozzare il fiato, il PD si difende, affermando che la legge, così come è passata in
Commissione Ambiente, conferma la proprietà pubblica
dell’acqua e “prevede invece
che i privati possano partecipare alla gestione dei servizi
idrici, rendendoli più efficienti e meno costosi, tema mai
toccato dal referendum del
2011”. Un paradosso nei fatti, dal momento che ovunque
la gestione privata dei servizi idrici, ha portato al crollo
dell’occupazione nel settore,
precarizzazione dei contratti, riduzione degli investimenti
pari al -19% nell’ultimo decennio di gestioni attraverso SpA,
riduzione della qualità del servizio e, dulcis in fundo, l’esponenziale aumento delle tariffe.
Il governo oggi vuole privatizzare l’acqua, ma nel 2011
tra i 27 milioni di votanti c’erano anche i piddini e lo stesso Renzi, allora sindaco di Firenze, che aveva annunciato
il suo sì al referendum per la
gestione pubblica del sistema
idrico. “L’obiettivo di votanti contrari ed astenuti”, aveva
commentato subito dopo il risultato, “adesso deve essere
quello di accettare il risultato
e non cercare di fare come in
passato i giochini per far finta di nulla”. Addirittura Renzi si
era spinto fino a proporre che
il Comune di Firenze “riacquistasse il 40 per cento della società Publiacqua”. A rafforzare
l’ennesima truffa politica, nel
giorno in cui il comitato referendario denuncia l’attacco
all’acqua pubblica, su “l’Unità
riportata in edicola da Renzi
per farne il proprio bollettino,
il direttore Erasmo D’Angelis
di stretta fede renziana, scrive: “Non ha più senso la demagogia del bene comune”.
Quell’impostazione per D’Angelis dunque, “non fa i conti
con la realtà concreta di una
Italia” dei “2.500 comuni fuorilegge per scarichi di reflui non
collegati a depuratori o fognature e che ammorbano fiumi,
torrenti, laghi o mare”.
Gli argomenti usati ora dal
PD sono gli stessi di chi all’epoca si opponeva al referendum; “Abbiamo una rete che
ha in media 40 anni di vita e
perde il 37 per cento di risorsa; c’è bisogno di uno scatto,
di mettere in cantiere nuove
opere strategiche e inter-generazionali”, c’è bisogno dunque di privati, perché “le
risorse che occorrono per colmare gravi deficit infrastrutturali sono enormi”. Ed ancora,
“Lasciamoci alle spalle l’approccio simbolico, metaforico
Il Forum dei Movimenti per la ripubblicizzazione dell’acqua festeggia in
piazza la vittoria del referendum del 12 e 13 giungo 2011
o filosofico” perchè “se il buon
Dio ci ha donato questa risorsa ha dimenticato acquedotti,
reti e depuratori (…) e ci dobbiamo pensare noi ed è illusorio credere di poter tornare
al passato quando tutto finiva
nel pozzo della fiscalità generale”.
Che dire. Vogliamo augurarci che questo inequivocabile e grave tradimento possa smuovere le coscienze
non tanto della fantomatica,
strumentale e poco reattiva
minoranza DEM, bensì degli
ancora tanti elettori del PD in
buona fede che nel 2011 votarono per la ripubblicizzazione
dell’acqua e che ora sono alle
prese con un partito di destra,
alleato del massone e mafioso Verdini, del fascista Alfano, guidato da una oligarchia
di despoti che non rinuncia a
nessuna vigliaccheria pur di
portare acqua (appunto) al
mulino dei capitalisti e della
grande borghesia, sulla pelle
della popolazione del nostro
Paese. Renzi va cacciato subito, prima che riduca ulteriormente gli spazi democratici
già al lumicino e che completi
il suo piano di annientamento
dei diritti, in primis quello del
lavoro, e di svendita dei beni
comuni a partire proprio dal
più essenziale per la vita umana qual è l’acqua.
corruzione / il bolscevico 5
N. 15 - 14 aprile 2016
Tangentopoli Anas
36 indagati tra cui il deputato Martinelli (FI)
Il 10 marzo la Procura di
Roma ha dato il via all’operazione “dama nera 2”, alias
Antonella Accroglianò, il capo
del coordinamento tecnicoamministrativo dell’Anas Spa
finita in galera a ottobre scorso insieme ad altre dieci persone, tra politici, funzionari
Anas e tre imprenditori, fra cui
spicca il piddino Luigi Meduri, ex presidente della Regione Calabria per un anno (dal
1999 al 2000), poi deputato
dal 2001 al 2006 e infine sottosegretario alle Infrastrutture
del governo Prodi.
In questa seconda tranche
dell’inchiesta le persone arrestate sono 19. Si tratta sempre di alti dirigenti Anas e imprenditori titolari di appalti di
opere pubbliche di primaria
importanza e sono tutte accusate a vario titolo di corruzione per l’esercizio della funzione e per atto contrario ai
doveri d’ufficio, turbata libertà
degli incanti, autoriciclaggio,
favoreggiamento personale e
truffa.
Gli indagati invece sono 36
e tra loro spicca il boss politico Marco Martinelli, attuale
parlamentare di Forza Italia
e vice presidente della fondazione della Libertà per il
bene comune presieduta dal
fascista Altero Matteoli, re-
19 arresti per mazzette
centemente riconfermato presidente della commissione
Ambiente e Lavori Pubblici
del Senato grazie al voto determinante dei M5S, ex ministro dell’Ambiente e delle
Infrastrutture, e già indagato dalla Procura di Livorno
nell’ambito delle inchieste sugli abusi edilizi all’Isola d’Elba
e poi dalla Procura di Venezia
per lo scandalo del Mose.
A Martinelli gli inquirenti
contestano i reati di concorso in turbativa d’asta e corruzione. In particolare nell’ordinanza si parla del suo ruolo
di intermediario politico con il
costruttore siciliano Giuseppe Ricciardello (indagato dallo scorso ottobre, oggi ai domiciliari) a proposito di alcuni
appalti dell’Anas in Sicilia.
L’imprenditore, padre del sindaco di centrodestra di Brolo Irene Ricciardello e suocero dell’onorevole regionale
Nino Germanà (NCD), aveva
chiesto a Martinelli anche un
intervento di Matteoli, ma soprattutto ha consegnato alla
“dama nera” delle tangenti Anas, un anticipo di 30mila
euro per “l’interessamento
svolto”. La somma, alla quale si sarebbe aggiunto il saldo
di 270mila euro, è stata divisa
dalla destinataria in tre quote
di 10mila euro l’una: una per
sé, una per Martinelli e una
per Elisabetta Parise, dirigente delle risorse umane dell’Anas che nel 2013 era candidata in Consiglio comunale a
Roma con la Lista “Alfio Marchini Sindaco”.
A dare il via a questa nuova ondata di arresti sono state le rivelazioni della stessa
“dama nera”. Secondo il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone la Accroglianò aveva “trasformato la più
grande stazione appaltante
d’Italia in un vero e proprio ufficio mazzette dell’Anas... dal
quale tutti i giorni gestiva questo flusso di corruzione e trattava male chi ritardava i pagamenti”. Ossia le tengenti che
la Accroglianò chiama spesso
“ciliegie” sovente farcite anche con viaggi e soggiorni di
lusso da 90 mila euro a botta e noleggio di auto di lusso
con autista.
Sulla base delle sue ammissioni e dei successivi riscontri e verifiche effettuati dagli uomini del Nucleo di
Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Roma, sono
scattati i nuovi provvedimenti.
Agli arresti domiciliari sono
finiti i funzionari Anas: Antonino Parlato, Oreste De Grossi,
Sergio Serafino Lagrotteria e
Giovanni Parlato.
Carcere anche per gli imprenditori Emiliano Cerasi,
Giuseppe Colafelice, Antonino Ferrante, Vincenzo Loconte, Carmelo Misseri, Andrea
Musenga, Elisabetta Parise,
Vito Rossi, Giovanni Spinosa,
Paolo Tarditi, Antonio Valente
e Sergio Vittadello.
Nella rete della Procura ci
sono finiti di nuovo anche i
boss della Tecnis costruzioni,
Concetto Bosco Lo Giudice e
Francesco Domenico Costanzo che, da paladini della legalità di Confindustria Sicilia, si
sono rivelati incalliti corruttori
della “dama nera” e, in un altra indagine, vengono addirittura indicati come collegati a
Cosa nostra.
Nel corso dell’operazione
sono state sequestrate disponibilità finanziarie per circa
800mila euro – derivanti dalla
corruzione – ed effettuate oltre 50 perquisizioni negli uffici
e nelle abitazioni di una cinquantina di persone coinvolte
dislocate in quasi tutta la Penisola: Lazio, Sicilia, Calabria,
Puglia, Lombardia, TrentinoAlto Adige, Piemonte, Veneto, Molise e Campania. Perquisite anche le sedi Anas di
Roma, Milano e Cosenza.
Inquietante lo scenario descritto dal Gip di Roma che
nel suo provvedimento parla
di “un marciume diffuso all’interno di uno degli enti pubblici
più in vista nel settore economico degli appalti”. Una “corruzione sistemica” resa ancora più “sconvolgente” dalla
facilità di intervento del sodalizio per eliminare una penale, aumentare interessi e facilitare il pagamento di riserve,
nonché, ancora più grave, far
vincere un appalto ad una società “amica”, a discapito di
altre risultate più meritevoli.
“Il mercimonio della pubblica funzione – sostiene poi la
Guardia di Finanza – e la sistematicità dell’asservimento della medesima sono stati i tratti essenziali che hanno
caratterizzato per anni” l’operato dei pubblici funzionari
dell’Anas che sono stati arrestati. In cambio di questo mercimonio, i dirigenti, ma anche
il deputato di Forza Italia Martinelli: “hanno ottenuto utilità e
provviste corruttive dai titolari
di aziende affidatarie di commesse di opere pubbliche di
interesse nazionale”. Utilità
che, secondo quanto è stato
accertato, sono pari alle disponibilità finanziarie sequestrate, circa 800mila euro.
Tra gli appalti irregolari, la
Guardia di Finanza evidenzia
quello per l’itinerario basentano, compreso il raccordo au-
tostradale Sicignano-Potenza, per la Ss 117 Centrale
Sicula (cofinanziata dalla Regione Sicilia), entrambi aggiudicati nel 2014, per la Ss 96
Barese e per la Ss 268 del
Vesuvio, entrambe aggiudicate nel 2012, e anche per la realizzazione della nuova sede
Anas di Campobasso, opera aggiudicata nel 2011. Non
a caso tra gli arrestati figura
il costruttore molisano Giovanni Spinosa al quale sono
state perquisite abitazione e
azienda.
Il deputato Martinelli, invece, ha garantito ad un imprenditore la nomina di un presidente di gara “non ostile” per
un appalto in Sicilia. Grazie
al suo intervento e in virtù del
ruolo istituzionale ricoperto
l’imprenditore si è poi aggiudicato l’appalto.
Sullo sfondo anche l’ombra
della ’ndrangheta. Secondo
quanto emerso a fine ottobre
Accroglianò aveva “consigliato” ai titolari di un’azienda vincitrice di un appalto in Calabria, di subappaltare alcune
opere a ditte di imprenditori
contigui alla criminalità organizzata calabrese. Una vicenda che riguarda una serie di
opere pubbliche nel comune
di Palizzi, in provincia di Reggio Calabria.
Lavorava grazie ai boss nel feudo del latitante Messina Denaro
Arrestato l’imprenditore antiracket del calcestruzzo
Il business dei cantieri e del cemento depotenziato frutta alle mafie un miliardo l’anno
‡‡Dal nostro corrispondente
della Sicilia
Vincenzo Artale, membro
del collegio dei probiviri di
un’associazione antiracket,
simbolo “antimafia” del trapanese, ma allo stesso tempo boss della locale cupola mafiosa, è stato arrestato
nell’ambito dell’indagine “Cemento del Golfo”. L’inchiesta è stata coordinata dalla
Dda (Dipartimento distrettuale antimafia) di Palermo, guidata dal procuratore Francesco Lo Voi. Avviata nel 2013,
dopo una serie di attentati a
imprenditori edili e del movimento terra, ha portato alla
luce come le forniture di cemento in provincia di Trapani
siano state monopolizzate da
Cosa nostra, attraverso l’azienda dell’insospettabile imprenditore.
Nel 2006 Artale aveva denunciato alcuni esattori del
pizzo e immediatamente era
stato proclamato “imprenditore coraggio” e osannato
come simbolo dell’antimafia.
Era riuscito persino ad incassare 250mila euro di indennizzo dal Fondo di solidarietà, previsto per le vittime di
estorsione ed usura. Ma l’imprenditore, mentre giudicava
severamente il comportamento dei membri dell’associazione antiracket, usandola poi
come copertura, faceva affari
con i boss e scalava progressivamente i gradini dell’associazione criminale, fino ad entrare nella cupola mafiosa di
Castellammare, enclave storica delle cosche trapanesi, dirette dal latitante Matteo Messina Denaro.
Protetto dalla mafia, Artale
diventa velocemente il boss
del cemento nella provincia di
Trapani. Le ditte appaltatrici
di lavori pubblici o privati era-
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murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze
Editore: PMLI
chiuso il 6/4/2016
ISSN: 0392-3886
ore 16,00
no costrette con minacce e
intimidazioni a rifornirsi di cemento dall’imprenditore.
Artale è finito in carcere insieme a Mariano Saracino, 69
anni, boss di Castellammare
del Golfo, Vito Turriciano, 70
anni, Vito e Martino Badalucco, padre e figlio, con l’accusa di associazione mafiosa,
estorsione aggravata, danneggiamento aggravato, fittizia intestazione aggravata,
frode nelle pubbliche forniture e furto.
Il suo cemento, imposto con le minacce del boss,
Mariano Saracino, già condannato per essere stato il
“cassiere” della cosca di Castellammare e prima il “ministro delle Finanze” della cupola provinciale guidata da
Messina Denaro, sarebbe
stato utilizzato pure per le
opere pubbliche, come il viadotto Cavaseno di Alcamo, in
provincia di Trapani, lungo la
Palermo-Mazara del Vallo e il
cimitero di Castellammare.
Ma le indagini hanno messo in evidenza preoccupanti
elementi, come dice anche il
procuratore capo Francesco
Lo Voi: “Alcuni lavori potrebbero essere stati eseguiti con
calcestruzzo depotenziato. Si
tratta di opere pubbliche e private. Alcuni appalti già ultimati, altri da completare”. Il giro
di affari sul calcestruzzo depotenziato non è ancora defi-
Ponte crollato sulla Sciacca-Agrigento
nito, ma si potrebbe aggirare
intorno al miliardo di euro.
“È una storia emblematica, questa - dice il procuratore aggiunto Teresa Principato, impegnata nelle indagini
per la ricerca del superlatitante della provincia di Trapani, Matteo Messina Denaro
- ancora una volta le intercettazioni hanno svelato che
l’antimafia di maniera può diventare uno schermo perfetto
per mascherare scalate imprenditoriali all’ombra della
mafia”.
È l’ennesimo simbolo
dell’antimafia che finisce nel
ciclone di un’inchiesta giudiziaria, dopo i più noti Montante, Helg, Costanzo. Ormai
è chiaro che la strategia della
mafia è di infiltrare l’antimafia
per coprirsi con essa e lavorare indisturbata. Il che dimostra l’estrema vitalità dell’organizzazione mafiosa, in
grado di rigenerare un nuovo
sistema clientelare, di estendere quella “zona grigia” in cui
si muovono insieme e a loro
agio mafiosi, politicanti borghesi e antimafiosi da chiacchiera, giudici, poliziotti, finanzieri, padroni d’industria,
colletti bianchi, affaristi.
Tra le pieghe di questa storia, emerge certamente come
la testa della mafia si trovi
proprio nell’alta finanza, nei
circoli dell’industria, dell’agricoltura, del terziario e nelle
istituzioni, che oggi indossano la maschera dell’antimafia, ma agiscono esattamente come i filomafiosi aperti e
dichiarati.
Evidentemente il regime
renziano con la sua ostentata antimafia di facciata a tutti i
livelli delle istituzioni borghesi
ha dato l’esempio più chiaro
di come svuotare di contenuti
concreti la lotta alla mafia per
farla diventare solo un nome
a cui attaccare un’etichetta:
vedasi Mattarella, ad esempio, un cognome che copre
la devastazione filomafiosa
del governo Renzi, e Crocetta
che ha dato in pasto la Sicilia
a Confindustria infiltrata dalla
mafia.
6 il bolscevico / pensioni
N. 15 - 14 aprile 2016
Giornata di mobilitazione nazionale di Cgil, Cisl e Uil sulle pensioni
Centinaia di migliaia
di pensionati
e lavoratori in piazza
Tre le manifestazioni centrali Venezia, Roma e Napoli, tantissime le iniziative territoriali
“Cambiare le pensioni e dare lavoro ai giovani”. È questo lo slogan della giornata di mobilitazione
nazionale promossa da Cgil, Cisl
e Uil sabato 2 aprile. La giornata
è stata aperta dalle tre manifestazioni principali di Venezia, Roma
e Napoli, che hanno visto migliaia di pensionati, lavoratori, giovani
e donne sfilare in corteo per le vie
centrali delle città, e dalle centinaia
di iniziative territoriali.
A Venezia, il corteo di quattromila manifestanti è partito dalla
stazione ferroviaria Santa Lucia,
ha attraversato le vie principali per giungere in Campo Santa
Margherita dove era atteso il comizio della segretaria nazionale della Cgil, Susanna Camusso.
A Roma, dal concentramento di
piazza dell’Esquilino il corteo ha
percorso le vie centrali ed è arrivato in piazza SS. Apostoli. Dal
palco ha parlato la segretaria nazionale della Cisl Annamaria Furlan. A Napoli, il concentramento
era fissato in piazza Dante Alighieri per sfilare per le vie del capoluogo campano e giungere in
piazza Giacomo Matteotti dove
a rappresentare gli organizzatori
c’era il segretario della Uil Carmelo Barbagallo. Molti gli interventi di lavoratori e pensionati
prima dei sindacalisti nazionali. I
cortei, vivaci e combattivi hanno
riempito le strade di bandiere sin-
dacali, cartelli, gigantografie e caricature che richiamavano il tema
della manifestazione.
Una grande mobilitazione che
non ha risparmiato neppure le
province più remote con centinaia di iniziative e manifestazioni
unitarie svolte a livello territoriale. Volantinaggi, presidi, assemblee, sit-in, flasch-mob, si sono
svolti in moltissime città e molteplici le iniziative in quelle capoluogo; manifestazioni con cortei territoriali hanno attraversato
Torino, Cuneo, Ferrara, Livorno,
Ancona, Sassari e Oristano, Messina, Siracusa, Enna e Catania.
Presidi, assemblee e volantinaggi
a Trieste, Trento, Bolzano, Genova, Firenze, Terni, L’Aquila, Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria, Cagliari, Nuoro e Palermo;
in Basilicata la mobilitazione è
stata spostata al 9 aprile in concomitanza con la manifestazione regionale per il lavoro.
Cgil, Cisl e Uil, nella piattaforma nata dalla loro ritrovata unità,
chiedono al governo di “modificare” la legge Fornero creando
nuove opportunità di lavoro per
i giovani; proteggere le pensioni
in essere, potenziare e sostenere
la previdenza complementare, più
tutele previdenziali per i giovani
con lavori discontinui e precari,
riconoscimento del lavoro di cura
familiare e della differenza dei la-
Napoli, 2 aprile 2016. La manifestazione di Napoli dei lavoratori pensionati
vori. Una soluzione ad hoc viene
chiesta per i lavoratori precoci,
ovvero il pensionamento con quota 41 di anzianità contributiva.
Questo è quanto hanno ribadito nei comizi, quasi fotocopia, i
tre segretari generali richiamando
le responsabilità del governo che
non ha rispettato gli impegni presi
(aprire un tavolo di trattativa) senza però alzare il tiro sulle altre “riforme” antioperaie, antipopolari e
neofasciste del nuovo duce Renzi
come il Jobs Act.
Era il momento di chiamare i
pensionati, i lavoratori e i giovani
in piazza, un appuntamento invocato dagli attivi interregionali dei
quadri e delegati del 17 dicembre
scorso, per chiedere il giusto riconoscimento dei diritti di chi ha già
lavorato e chi deve ancora entrare nel mondo del lavoro. Ma i tre
vertici sindacali collaborazionisti
non hanno saputo dare una piattaforma adeguata alla posta in gioco
e alla voglia di riscatto dei pensio-
nati e dei lavoratori danneggiati,
limitandosi a richiedere solo modifiche invece della totale e immediata cancellazione confermando,
al di là delle promesse parolaie, la
loro sottomissione e omologazione alla politica stangatrice antioperaia e antipopolare che i governi hanno adottato in questi anni,
da Monti a Renzi fino ad accettare, di quest’ultimo, il Jobs Acts, la
cancellazione dello Statuto dei lavoratori e il diritto alla pensione.
La numerosa e combattiva partecipazione ai cortei e alle iniziative di mobilitazione territoriale del
2 aprile, invece, hanno resi visibilissimi il disagio, le difficoltà
e le ingiustizie reali causati dalla
legge Fornero, che in questi anni
ha ridotto alla fame e impoverito
decine di migliaia di lavoratori e
pensionati e le loro famiglie.
La controriforma Fornero va
abrogata, va ripristinato il diritto alla pensione di anzianità a 55
anni per le donne e 60 per gli uomini, con 35 anni di contributi.
E va richiesto con forza che i risparmi finora ottenuti con tale famigerata “riforma” (30 milioni
all’anno, fonte sindacale), siano
restituiti ai pensionati.
I sindacati hanno annunciato dai
rispettivi palchi un’altra manifestazione che dovrebbe essere fissata a
Roma per il 19 maggio se non otterranno risposte dall’esecutivo.
24 mila esodati senza stipendio e
senza pensione
Sono almeno 24 mila gli esodati creati dalla legge Fornero
del 2011 rimasti ancora senza stipendio e senza pensione, perché
esclusi dal settimo e ultimo intervento di salvaguardia inserito nella legge di Stabilità 2016. E questo
secondo dati dell’Inps e del ministero del Lavoro, perché secondo
la Rete nazionale dei Comitati dei
lavoratori esodati, che sta cercando di effettuare un censimento di
tutti gli interessati, potrebbero essere anche di più.
La Rete lo ha denunciato con
forza in un appello del 14 marzo
scorso rivolto al premier Renzi, in
cui si premette che questo è solo
l’ultimo di una lunga serie di appelli che gli sono stati fatti in due
anni di governo, con la richiesta di
un incontro per trovare una soluzione definitiva all’annoso problema dei lavoratori esodati, costretti
a restare fino a 7 anni senza reddito e senza pensione, senza però
aver mai ricevuto una risposta.
L’appello ricorda infatti a Renzi l’intervista alla trasmissione
“Che tempo che fa” nella quale as-
sicurava che per i 49.500 esodati
certificati dal ministero del Lavoro al parlamento si sarebbe provveduto a sanare il dramma con la
settima salvaguardia nella legge
di Stabilità 2016. “Dichiarazioni
- accusano i Comitati - alle quali
non sono seguiti dei fatti: ad oggi,
di quei 49.500, oltre 24.000 lavoratori esodati restano ancora non
salvaguardati, nonché esclusi da
ogni possibilità di deroga; con una
specifica norma di legge si è istituito e finanziato (anche con le risorse non utilizzate delle 6 precedenti
norme di deroga) il ‘Fondo esodati’ le cui somme avrebbero dovuto essere usate esclusivamente per
nuovi provvedimenti a favore degli esodati. Ad oggi però le risorse del fondo istituito con la legge
228/2012 sono state distratte per il
finanziamento della ‘no tax area’,
per interventi infrastrutturali per il
Giubileo, per interventi sulle aree
ex-Expo e per finanziare in parte
il provvedimento di ripristino delle norme che regolano la cosiddetta ‘opzione donna’”.
In sostanza, denuncia l’appel-
lo, “sia la sesta che la settima salvaguardia sono state finanziate
con i risparmi dei precedenti provvedimenti di deroga”, e il governo
“ha consentito però che il Fondo a
loro specificamente destinato venisse usato come un bancomat”.
Pertanto i lavoratori esodati chiedono che il Fondo sia immediatamente reintegrato degli
stanziamenti stornati e che il governo disponga un ottavo provvedimento di salvaguardia per tutti i 24-30 mila lavoratori esodati,
esclusi dalla settima e ultima salvaguardia inserita nella legge di
Stabilità, che con le vecchie regole avrebbero maturato il diritto di
andare in pensione entro il 2018.
Per il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, il governo potrebbe
inserire il provvedimento di ottava e ultima salvaguardia nel Documento di economia e finanza
da presentare entro aprile. Per la
sua copertura, secondo i Comitati
degli esodati, basterebbero 2 miliardi, che ci sarebbero già stati se
non fossero stati scippati da Renzi
Il corteo dei lavoratori esodati durante una manifestazione nazionale sindacale
per finanziare altri capitoli di spesa elettoralmente più remunerativi per lui.
Ma per il nuovo duce quello degli esodati è un capitolo ormai chiuso, e da questo orecchio
non ci vuole assolutamente sentire. Non ci saranno più altri provvedimenti di salvaguardia. Infatti
la sola ipotesi che viene ventilata in ambienti del PD è quella di
affrontare la questione all’interno della cosiddetta “riforma della
flessibilità in uscita” delle pensioni. Come dire campa cavallo, un
modo furbesco per prendere tempo, senza rompere definitivamente con gli esodati, visto che tra
poco si vota, ma senza nemmeno
prendere impegni precisi: lasciando cioè che sia il tempo e la rassegnazione a risolvere il problema
degli esodati rimasti beffati.
Una tattica cinica che i disoccupati esodati non devono lasciar
passare impunemente, ma devo-
no far fallire continuando con la
tenacia e la mobilitazione di cui
sono capaci, come dimostra anche la combattiva partecipazione
alla manifestazione dei pensionati
del 2 aprile a Roma, senza allentare la pressione sul governo del
nuovo duce Renzi e sul PD e pretendendo dai vertici dei sindacati
il massimo della tutela e dell’appoggio, finché anche l’ultimo di
loro non sia stato pienamente salvaguardato.
interni / il bolscevico 7
N. 15 - 14 aprile 2016
I risultati della consultazione
sulla Carta della CGIL
non ci convincono
I tre referendum su punti specifici del Jobs Act sono inaccettabili
Senza la lotta di classe non si conquistano i diritti dei lavoratori
Il 21 marzo la Cgil ha approvato ufficialmente la Carta dei Diritti
universali del Lavoro. Il Comitato direttivo riunitosi a Roma si è
espresso quasi all’unanimità: nessun voto contrario e solamente sei
astenuti. Evidentemente nel “parlamentino” di Corso d’Italia, composto da circa 170 rappresentanti,
erano tutti d’accordo o comunque
chi aveva delle perplessità non ha
avuto il coraggio di andare fino in
fondo e votare contro. Nel comunicato rilasciato dalla Cgil si riportano anche i dati scaturiti dalle
assemblee dove i lavoratori hanno
discusso ed espresso il parere sui
due quesiti posti dal sindacato: il
primo riguardo all’approvazione
della Carta e il secondo per quanto concerne il mandato al comitato
direttivo della Cgil di definire quesiti referendari utili a sostenere il
percorso per la trasformazione in
legge.
Che i risultati fossero favorevoli era scontato: tutto il gruppo
dirigente guidato dalla Camusso ne aveva fatto una bandiera,
così come erano favorevoli tutte
le strutture, le componenti o aree
che dir si voglia, compresa De-
mocrazia e Lavoro di Rinaldini e
Nicolosi, la Fiom e tutte le categorie. Unica voce contraria Il sindacato è un’altra cosa, la componente di minoranza un tempo
guidata da Cremaschi e adesso
da Sergio Bellavita. Un giudizio
critico comunque molto ambiguo, che bocciava la Carta senza
tuttavia denunciare fino in fondo
la trasformazione della Cgil in
sindacato istituzionale e neocorporativo, lasciando i lavoratori liberi di esprimersi anziché invitarli
a dare battaglia e a contestare la
Carta proposta ed elaborata dalla
Segreteria e da un gruppo di giuslavoristi.
Nonostante questa premessa
i risultati che sono stati presentati
lasciano alquanto perplessi. Sulla consultazione si sono espressi col voto 1.466.697 iscritte ed
iscritti alla Cgil, facendo registrare una larghissima maggioranza di favorevoli: il 98,49% per
quanto riguarda l’approvazione della Carta ed il 93,59% per
quanto concerne il mandato ad
indire referendum in materia. In
un paio di mesi si sono svolte
41.705 assemblee, “uno sforzo
politico ed organizzativo senza
precedenti - recita il comunicato
- un grande fatto di democrazia
e partecipazione che conferma il
radicamento senza eguali del sindacato confederale nella società
italiana”. Ricordiamo però che la
Cgil supera di gran lunga i 5 milioni d’iscritti, quindi poco più di uno
su quattro ha potuto esprimere il
proprio parere. Su quasi un milione e mezzo di voti i No alla proposta sono stati 5.529, lo 0,38%,
gli astenuti l’1,13%, percentuali
addirittura inferiori a quelli che
si sono opposti ad eventuali referendum sui temi sollevati dal
Jobs Act. Numeri davvero bassi
per pensare che ci sia stata una
benché minima discussione sui
luoghi di lavoro, come del resto
non c’è stata nei direttivi provinciali e di categoria. Le critiche di
chi era contrario apparse su alcune riviste digitali e blog di RSU
di grandi aziende o di gruppi di
lavoratori, parlano di assemblee
monocorde, monopolizzate dai
funzionari sindacali che hanno
presentato la Carta come una
controffensiva per conquistare
nuovi diritti e accusato i critici di
non voler difendere i nuovi lavoratori atipici.
Noi marxisti-leninisti invece
ribadiamo il nostro giudizio negativo non solo sul metodo e sul
percorso scelto dalla Cgil, ben
lontano dall’essere democratico, ma anche nel merito delle
questioni sollevate dalla Carta.
Questa viene presentata come
una innovazione necessaria per
estendere i diritti quando invece
la Carta non fa altro che accettare
tutte le forme contrattuali precarie che sono state introdotte nel
mondo del lavoro negli ultimi 25
anni, cercando solo di limitarne
i danni. L’altro aspetto, per molti
versi anche più grave, è la definitiva accettazione da parte della
Cgil, anche sul piano formale e
legislativo, del sindacato istituzionale e cogestionario rivendicando l’applicazione degli articoli 39 e 46 della Costituzione. Si
sposa in sostanza il modello della
Cisl, dell’Ugl, ma in definitiva di
Marchionne e di Renzi e delle loro
relazioni industriali e sindacali di
stampo mussoliniano. Un sindacato che non ha come proprio
obiettivo quello di rappresentare
gli interessi dei lavoratori, bensì
quello di contribuire ad assicurare la massima produttività al
capitalismo italiano, ritagliandosi
a tutti gli effetti un ruolo riconosciuto e certificato nelle istituzioni
borghesi.
Nella stessa riunione sono
stati presentati anche tre referendum per i quali partirà dal 9 aprile
la raccolta delle firme. Come era
stato già anticipato non si tratta
di abrogare il Jobs Act ma solo
alcuni suoi aspetti, seppur importanti. I referendum proposti sono
quelli per eliminare i voucher,
per reintrodurre la responsabilità
per le ditte appaltatrici al pari di
quelle in sub-appalto, per l’eliminazione dell’attuale norma che
regola la reintegra del lavoratore licenziato senza giusta causa
(l’ex articolo 18). Referendum a
sostegno della proposta di legge
popolare, la Carta appunto, che
dovrebbe essere approvata dal
parlamento nero del regime neofascista, lo stesso che ha votato
a larga maggioranza il Jobs Act
del nuovo duce Renzi. Un percorso al tempo stesso inaccettabile
e perdente.
Il parlamento borghese italiano nella sua storia non ha mai
recepito e fatto propria una legge
d’iniziativa popolare, pur essendo previsto dalla Costituzione.
Riguardo ai referendum proposti
in questa maniera è facile prevederne il fallimento. Senza la
mobilitazione dei lavoratori, delle
masse e la lotta di classe non si
conquistano nuovi diritti né se ne
riconquistano di vecchi, i referendum da soli non portano da nessuna parte. Serve una battaglia
forte e decisa contro la politica
economica e sociale del governo
Renzi, estendere la lotta contro
la “riforma” pensionistica della
Fornero che è partita solo adesso con 4 anni di ritardo, rigettare
il “nuovo” modello contrattuale
che cancella il contratto nazionale e ammette aumenti salariali
soltanto legati alla produttività
aziendale. Inseriti in un contesto
del genere allora sì, i referendum
possono rivelarsi un valido strumento di lotta, mettendo però nel
mirino tutto l’impianto del Jobs
Act e chiedendone la completa
abrogazione, e non solo alcuni
singoli articoli.
Otto gli iscritti nel registro degli indagati per aver raggirato i clienti e finanziato irregolarmente l’istituto
Indagato il presidente della Banca Popolare di Vicenza
Zonin per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza
Il 22 settembre scorso la Procura di Vicenza ha iscritto nel registro degli indagati il presidente
dell’istituto di credito, Giovanni
Zonin, e l’ex direttore generale
dell’istituto Samuele Sorato accusati di aggiotaggio e ostacolo alle
funzioni dell’autorità di vigilanza
nell’ambito dell’inchiesta aperta
dal procuratore capo Antonino
Cappelleri e affidata al Pubblico
ministero (Pm) Luigi Salvadori in
seguito agli esposti presentati dai
correntisti raggirati dall’istituto.
Insieme a Zonin e Sorato
nell’inchiesta sono coinvolti anche due consiglieri d’amministrazione: Giovanna Maria Dossena
e Giuseppe Zigliotto; e i due ex
vicedirettori Andrea Piazzetta ed
Emanuele Giustini.
Le perquisizioni disposte
dall’autorità giudiziaria hanno interessato oltre che la sede amministrativa e legale di Vicenza anche gli uffici direzionali di Milano,
Roma e Palermo.
L’inchiesta riguarda le azioni
della banca acquistate tramite
finanziamenti per 975 milioni di
euro erogati agli oltre 117 mila soci-azionisti dallo stesso istituto di
credito in misura tale da costituire
violazione delle norme del diritto
bancario. Secondo l’ipotesi investigativa la banca ha finanziato
un quarto del suo stesso capitale
azionario (circa 4 miliardi di euro),
superando i limiti consentiti.
Il raggiro ai danni dei risparmiatori è avvenuto anche con la
complicità del governo Renzi artefice del decreto che ha permesso alle popolari di trasformarsi in
Spa. Infatti un filone dell’inchiesta
riguarda proprio la sovrastima del
prezzo delle azioni, poi tagliate di
circa il 23% (da 62,5 a 48 euro) in
seguito a un’ispezione della Banca centrale europea, che ha provocato una voragine nella casse
dell’istituto di oltre 1 miliardo di
euro nel primo semestre del 2015
quasi tutti a carico degli azionisti
a cui sono stati erogati finanziamenti per 974,9 milioni di euro
per acquistare o sottoscrivere
azioni della banca stessa.
Ma non è tutto: secondo gli
inquirenti, gli indagati avrebbero
anche assunto nei confronti di alcuni soci l’impegno scritto al riacquisto delle azioni, sottolineando
così la natura fittizia dell’operazione, volta esclusivamente a far
apparire la banca più solida e capitalizzata di quel che era in realtà. Tra i soci beneficiari di questo
trattamento “privilegiato” ci sarebbero i fondi d’investimento di
diritto maltese Athena, Optimum
Multistrategy1 e Optimum Multistrategy2 che, secondo quanto rivelato da L’Espresso, fanno
capo al finanziere Alberto Matta
e al suo collaboratore Girolamo
Stabile, gestore dei fondi maltesi e vicepresidente della holding
romana Methorios che ha fatto
diverse operazioni con la Popolare di Vicenza e che ha incrociato
anche il destino di un’altra banca finita male, la Banca Popolare
dell’Etruria.
Ma la cosa incredibile è come
hanno fatto le autorità di controllo
e vigilanza del sistema bancario
a non accorgersi dei maneggi
di Zonin. Addirittura risulta che
la Banca d’Italia ha venduto a
caro prezzo (9 milioni di euro) la
sua sede di Vicenza proprio alla
Banca popolare. Eppure, almeno
dal 2008, grazie ai primi esposti
circostanziati presentati da l’Adusbef, tutti sapevano dei problemi
patrimoniali e di liquidità che affliggevano l’ottava banca italiana; Come mai nessuno si è mai
chiesto in tutti questi anni come
facevano Zonin e la sua banda a
procurarsi i quattrini e a piazzare le loro azioni a un prezzo così
esorbitante? Dove era la Consob
Richiedete
Le richieste vanno
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PMLI
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quando nel 2013 Giambattista
Duso, commissario straordinario
di Bene Banca, nonché amministratore delegato di Marzotto
sim, società di intermediazione
mobiliare legata a filo doppio
alla Banca popolare di Vicenza,
ha girato di punto in bianco una
cinquantina di milioni su un conto presso la popolare vicentina?
Una somma enorme per il piccolo istituto di credito cooperativo
di Bene Vagienna, somma ben
superiore al 25% del patrimonio
prudenziale. E i revisori? Il collegio sindacale? I consiglieri d’amministrazione? Possibile che in
tutti questi anni non siano mai
stati sfiorati dal dubbio?
Duso, tra l’altro, è stato denunciato in sede penale.
L’indagine è perciò destinata
ad allargarsi e non solo come numero di indagati, ma anche su ulteriori ipotesi di reato in altre sedi
della BpVi a cominciare dalle filiali
di Prato dove sono già in corso
gli accertamenti disposti dalla
magistratura per scoprire altre
possibili irregolarità compiute dai
dipendenti dell’istituto di credito
nel proporre ai soci l’acquisto di
azioni in vista degli aumenti di
capitale.
Non a caso il Codacons ha
depositato formale richiesta
di costituzione di parte offesa
nell’inchiesta. “Abbiamo deciso
di entrare nel procedimento aperto dalla Procura in rappresentanza della collettività e dei clienti
della banca – si legge in una nota
- e se dalle indagini emergeranno illeciti e violazioni delle norme, avvieremo una class action
da parte di azionisti e correntisti
dell’istituto di credito volta ad
ottenere il risarcimento dei danni
morali e patrimoniali subiti, anche
nei confronti delle autorità di vigilanza per l’omesso controllo”.
Insomma il tanto osannato
modello bancario del Nord-Est
rischia di essere definitivamente
spazzato via dalle inchieste giudiziarie.
8 il bolscevico / energie rinnovabili
N. 15 - 14 aprile 2016
QUALI SONO LE ENERGIE
RINNOVABILI PIU’ PULITE
Col termine “energie rinnovabili” si intendono forme
di energia che hanno per
fonti risorse energetiche “rinnovabili”, in generale risorse
naturali, e che si rigenerano
in tempi brevi se confrontati
con i tempi caratteristici della
storia umana. Grazie alla loro
capacità di rigenerarsi, molte risorse energetiche rinnovabili sono considerate “inesauribili”, nel senso che si
rigenerano almeno alla stessa velocità con cui vengono
consumate, oppure non sono
“esauribili” come il sole o il
vento. Le “rinnovabili” sono
forme di energia alternative
alle tradizionali fonti fossili e
molte di esse hanno la peculiarità di essere “energie pulite”, ossia di non immettere
nell’atmosfera sostanze inquinanti e/o climalteranti, su
tutte la CO2. Vediamo quali
sono le principali.
ENERGIA SOLARE
L’energia solare è un’energia pulita e rinnovabile,
termica o elettrica, prodotta sfruttando direttamente
l’energia irraggiata dal Sole
verso la Terra. Ogni istante
il Sole trasmette sull’orbita
terrestre 1367 watt per mq.;
una enormità circa diecimila volte superiore a tutta l’energia usata dall’umanità nel
suo complesso. La tecnologia principalmente usata per
trasformare in energia sfruttabile l’energia pulita e rinnovabile del Sole è il pannello fotovoltaico, che utilizza le
proprietà di particolari elementi semiconduttori per produrre energia elettrica quando sollecitati dalla luce.
ENERGIA
IDROELETTRICA
L’energia idroelettrica è
l’energia che sfrutta la trasformazione dell’energia potenziale gravitazionale posseduta da masse d’acqua in
quota, in energia cinetica nel
superamento di un dislivello:
questa, a sua volta viene trasformata, per mezzo di un alternatore accoppiato ad una
turbina, in energia elettrica.
L’energia idroelettrica viene
ricavata dal corso di fiumi e
di laghi grazie alla creazione
di dighe e di condotte forzate ed è una fonte di energia
rinnovabile. L’energia idroelettrica è la principale risorsa alternativa alle fonti fossili usata in Italia, e garantisce
circa il 15% del fabbisogno
energetico italiano.
ENERGIA EOLICA
L’energia eolica sfrutta l’energia cinetica prodotta dal
vento per produrre energia
meccanica o elettrica, utilizzando il principio di funzionamento del mulino con le
pale ruotanti collegate a un
generatore elettrico. L’energia eolica rientra tra le forme
di energia rinnovabile e pulita che forniscono alla rete
nazionale italiana un contributo significativo in termini di
energia elettrica prodotta.
ENERGIA GEOTERMICA
L’energia geotermica è
un’energia rinnovabile e pulita generata sfruttando fonti geologiche di calore. In
alcune particolari aree si presentano condizioni in cui la
temperatura del sottosuolo
è leggermente più alta della media, un fenomeno causato dai fenomeni vulcanici o tettonici, ed è proprio in
queste zone “calde” che l’energia può essere facilmente recuperata mediante la
geotermia, che consiste nel
convogliare i vapori provenienti dalle sorgenti d’acqua
del sottosuolo verso apposite
turbine adibite alla produzione di energia elettrica e riutilizzando il vapore acqueo per
il riscaldamento, le coltivazioni in serra ed infine il termalismo. In Italia la produzione
di energia elettrica dalla geotermia è fortemente concentrata in Toscana; a livello internazionale è l’Islanda che
ne dipende praticamente in
maniera totale. Sulla classificazione dell’energia geotermica come “rinnovabile”
non esiste uniformità di giudizio, in quanto è stata rilevata e osservata la possibilità di
esaurimento di un campo geotermico.
ENERGIA MAREOMOTRICE
L’energia mareomotrice è
un’energia rinnovabile e pulita ricavata dagli spostamenti d’acqua provocati dalle maree, che in alcuni luoghi della
terra possono superare i 20
metri d’altezza. Esistono diversi progetti di sfruttamento
delle maree, che comportano metodi diversi di sfruttamento dell’energia alcuni dei
quali utilizzano pesi e gravità, altri compressione d’aria e
turbine o ruote a pale.
BIOMASSE ED
INCENERITORI SONO
DA CONSIDERARSI
PRODUTTORI DI ENERGIE
RINNOVABILI?
Alcuni esperti tuttora considerano le centrali a biomasse quali fonti di energia
rinnovabili. Le fonti di energia da biomassa sono costituite dalle sostanze di origine animale e vegetale, non
fossili, che possono essere
usate come combustibili per
la produzione di energia. La
più antica e principale fonte di energia da biomassa è
la legna. Non possiamo però
considerare l’energia prodotta attraverso la combustione di materiale organico che
deve essere coltivato con ulteriore spesa economica, a
sua volta energetica e di suolo, come una fonte rinnovabile. Anzi, visto l’inquinamento
atmosferico che la combustione produce mettendo a
rischio la salute pubblica e
l’ambiente, le centrali a biomasse sono da equiparare
sostanzialmente agli inceneritori. Le numerose battaglie dei comitati locali sparsi
in tutta Italia e studi scienti-
fici sempre più approfonditi
hanno fatto crollare ogni teoria che voleva gli inceneritori qualificati come “produttori
di energia rinnovabile”. Certe
tesi, studiate artificiosamente assieme al nuovo nome di
questi impianti chiamati solo
in Italia “termovalorizzatori”
per dare un senso positivo
a queste macchine divoratrici di risorse e fonti inesauribili
di nano polveri dannose alla
salute ed all’ambiente, sono
via via decadute mostrando il
vero motivo che ne ha indotto la costruzione e la diffusione massiccia almeno fino ad
una decina di anni fa (anche
se se ne costruiscono ancora
di nuovi), individuato nel business dei rifiuti indifferenziati, spesso in mano alle mafie.
IL NUCLEARE
Sebbene “non fossile”, l’energia nucleare non è annoverabile fra le rinnovabili
poiché basata sullo sfruttamento di riserve combustibili limitate di origine minerale, in particolare per quanto
riguarda l’energia da fissione e il ciclo di reazione che
si basa sull’uranio-235 come
combustibile. Un’argomentazione per avallare non tanto la “rinnovabilità” quanto
la “sostenibilità” dell’energia
nucleare è la mancata produzione di anidride carbonica durante il processo di
fissione nelle centrali nucleari. Viene tuttavia evidenziato che lo scavo del minerale,
la sua raffinazione, l’arricchimento, il riprocessamento e lo stoccaggio delle scorie radioattive comportano
comunque elevati consumi
energetici e quindi una certa produzione di CO2, sebbene ciò avvenga, anche se
in misura minore, anche per
la produzione da altre fonti energetiche. Naturalmente
il tutto al netto degli enormi
rischi della tecologia in sé e
delle conseguenze disastrose, purtroppo già verificatesi in numerosi casi, l’ultimo
dei quali pochi anni fa a Fukushima in Giappone.
LE FONTI RINNOVABILI
PIU’ PULITE
L’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) ha elaborato una valutazione delle emissioni legate
a ogni fonte di energia, sulla base di numerosi studi
presi in considerazione. Le
fonti rinnovabili (tranne le
biomasse) hanno zero emissioni dirette, cioè causate
dal processo di generazione
di elettricità. Per ottenere un
risultato attendibile però, bisogna conteggiare le emissioni dell’intero ciclo di vita di
una tecnologia, dall’estrazione delle materie prime, alla
costruzione degli impianti, al
loro esercizio, fino allo smantellamento e alla gestione dei
suoi rifiuti. Ad oggi quindi le
emissioni sono inevitabili. Il
risultato è che la fonte a minori emissioni è l’eolico, con
11 grammi per l’onshore (a
terra) e 12 per l’offshore (in
Pannelli fotovoltaici su un tetto condominiale
mare). Seguono l’energia
marina (17 grammi) anche
se tecnologia in fase d’avvio
o sperimentale, l’idroelettrico
(24) e il solare a concentrazione (27).
L’IMPATTO AMBIENTALE
DELLE FONTI RINNOVABILI
Le “rinnovabili” sono dunque fonti di energia che possono permettere uno sviluppo più sostenibile, per un
tempo prolungato, e sono ritenute quelle a minore impatto ambientale. È comune oggetto di discussione il fatto
che sia realmente possibile
soddisfare tutto l’attuale fabbisogno energetico del pianeta solo con il potenziale energetico proveniente da fonte
rinnovabile; permangono ad
esempio, oltre agli stessi limiti naturali, problemi riguardo
la necessità di costruire grandi infrastrutture per lo stoccaggio dell’energia, come
ad esempio bacini idroelettrici di pompaggio con i relativi rischi umani ed ambientali
agli ecosistemi come i fiumi e
l’agricoltura che essi comportano. Ma qual è allora l’impatto ambientale delle “rinnovabili”? Il problema maggiore
nello sviluppo della produzione energetica mareomotrice,
ad esempio, è rappresentato
dallo sfasamento tra ampiezza massima di marea disponibile e domanda di energia
elettrica nelle ore di punta. Infatti nei giorni di insufficienza nell’afflusso d’acqua
la produzione di elettricità
cesserebbe. Relativamente all’eolico, la realizzazione
delle centrali e delle opere ad
esse accessorie ha come primo, più vistoso ed evidente
effetto, la devastazione irreversibile dei valori paesaggistici e panoramici. Intendendo il paesaggio come “bene
comune” e come risorsa anche economica, la sua alterazione unitamente alla
rumorosità delle pale, compromette in modo rimarchevole la qualità del territorio in
questione. Oltre ai danni ambientali e alla fauna, va considerata la costruzione di infrastrutture di servizio, come
strade e linee elettriche, che
ne accrescono il già notevole
impatto sull’ambiente e sulle
sue varie componenti. Inoltre
l’energia eolica, così come
quelle solare fotovoltaica e
termodinamica, è energia intermittente e, poiché l’accu-
mulazione di grandi quantità
di energia elettrica è oggi di
fatto ancora impraticabile, ne
consegue che l’energia elettrica prodotta dal vento e dal
Sole deve essere distribuita
e consumata nel momento in
cui viene prodotta. Ciò significa che gli impianti di energia rinnovabile intermittente
devono essere connessi direttamente alla rete elettrica
di distribuzione, dove esiste
però un limite tecnico oltre il
quale si rischia di provocare il
collasso di parte o dell’intero
sistema elettrico nazionale.
Rimanendo sul solare, uno
dei limiti maggiori riguarda
il consumo di suolo occupato dai cosiddetti “campi fotovoltaici” che sottraggono superficie utile all’agricoltura e
ad altre attività, considerando le possibilità di espansione di questa tecnologia. Una
soluzione la si potrebbe trovare utilizzando superfici già
occupate, a partire dai tetti
delle abitazioni o dalle coperture di fabbricati industriali o
dei parcheggi coperti. In questo settore, il sempre maggior ricorso al riciclo, ha fatto fare grossi progressi nel
campo dello smaltimento che
via via va riassorbendone i
costi. Ad oggi, con le migliori tecnologie e con la disponibilità di un mercato di materie prime-seconde, da ogni
modulo si recuperano 15 kg
di vetro; 2,8 kg di plastica; 2
kg di alluminio; 1 kg di polvere di silicio e 0,14 kg di rame.
Nonostante ciò è stato accertato che alcuni pannelli e
moduli in silicio amorfo sono
realizzati con tellurio di cadmio, un materiale tossico, inquinante e velenoso a livello
europeo, che quindi elude e
contraddice l’obiettivo stesso dell’utilizzo del fotovoltaico. Naturalmente i produttori
di pannelli fotovoltaici hanno
come unico interesse il profitto poiché, come tutto nel
capitalismo, anche l’industria
cosiddetta “verde” persegue
lo stesso obiettivo di quella
che promuove ed utilizza le
fonti fossili.
LA POSIZIONE DEL PMLI
Nonostante tutti gli sforzi
e gli auspici del caso, è bene
essere consapevoli che non
esiste produzione umana a
impatto zero, così com’è altrettanto indubbia l’esistenza
di produzioni energetiche che
hanno sull’ambiente i minori
svantaggi possibili. Sfruttare
le risorse rinnovabili, a partire
da acqua, vento e sole, riduce sensibilmente l’emissione
di gas serra, ed anche questo è un dato di fatto ed un
punto fermo dal quale rilanciare la dismissione progressiva delle fonti fossili, costose
ed altamente inquinanti. Così
come i rifiuti; pur riconoscendo la difficoltà di raggiungere l’obiettivo dei “Rifiuti Zero”
lanciato dall’associazionismo
ambientalista, è giusto porselo intensificando il riutilizzo, il riciclaggio e la raccolta
differenziata spinta; tuttavia
gran parte del risultato che
potremo raggiungere è legato alle politiche sia di produzione stessa dei materiali ed
in primis degli imballaggi, sia
dalle politiche adottate dalla grande distribuzione che
ha in pugno il mercato. L’elemento principale della nostra
analisi rimane quindi legato
al sistema di produzione capitalistico e cioè la mancanza assoluta di pianificazione
della produzione in base alle
necessità della popolazione,
al soddisfacimento dei suoi
bisogni e al rispetto dell’ambiente. È la natura stessa
del capitalismo, ossessionato dalla ricerca del massimo
profitto ad ogni costo, la prima causa che impedisce il
raggiungimento di una produzione energetica in armonia con l’ambiente e la popolazione umana. Il processo
produttivo capitalista conosce come suo unico regolatore le ricorrenti e cicliche crisi
di sovrapproduzione. Cosicché alterna frenetici e incontrollati periodi di supersfruttamento di forza lavoro e di
risorse energetiche a fasi di
immobilismo produttivo nelle
quali si distruggono le merci
in eccedenza rimaste invendute, sprecando di fatto l’energia che è servita alla loro
creazione. La questione centrale non è quindi sul come
produrre sempre più energia,
ma come produrre quella necessaria a soddisfare i bisogni reali della popolazione.
Ciò sarà possibile solo con
il socialismo, col sistema socialista della produzione pianificata sulle reali esigenze
della popolazione, che sarà
in grado di utilizzare al meglio e risparmiare con lungimiranza le risorse naturali
affinché esse possano rigenerarsi consentendo l’utilizzo
delle migliori tecnologie esistenti. Poiché al centro c’è il
soddisfacimento dei bisogni
della popolazione, sarà possibile utilizzare parte di ciò
che oggi è rapinato dal profitto per una più avanzata ricerca scientifica anche nel campo dell’energia. Sarà proprio
questo sviluppo ulteriore della ricerca, capace di superare gli odierni limiti tecnici che
impediscono la diffusione su
più larga scala di queste forme energetiche rinnovabili,
un obiettivo primario da raggiungere rapidamente viste
le pessime condizioni nelle
quali il sistema economico
capitalistico ha ridotto la nostra Terra.
referendum 17 aprile / il bolscevico 9
N. 15 - 14 aprile 2016
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le trivellazioni ma solo quelle entro le 12 miglia dalla costa; il
che rappresenta un passo in avanti ma contemporaneamente
rimarrebbero in piedi, oltre ad altre piattaforme esistenti, tutte le parti dello “Sblocca Italia” cucite su misura per le multinazionali dell’energia e per i petrolieri stessi. Attraverso il
referendum e partecipando attivamente alla campagna referendaria però, sarà possibile sensibilizzare e attivizzare la popolazione al fine di creare consapevolezza affinché si possa
davvero archiviare quantomeno l’idea di un modello energetico bicentenario basato sui combustibili fossili e scegliere finalmente le fonti rinnovabili che, oltre ad essere meno nocive
per l’ambiente e il clima, rappresentano una potenziale opportunità per l’occupazione e per l’innovazione tecnologica.
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I marxisti-leninisti voteranno Sì e invitano l’elettorato a votare Sì al referendum sulle trivellazioni che si svolgerà il prossimo 17 aprile, e sono già impegnati a partecipare ai Comitati
per il Sì che si stanno creando a livello territoriale.
Il quesito referendario sulle trivellazioni, l’unico sopravvissuto dei sei iniziali proposti da 9 regioni italiane e dal mondo
ambientalista No Triv e non superato dalle modifiche introdotte in seguito dal governo, contesta la norma secondo la quale le autorizzazioni di estrazione ad oggi rilasciate debbano
essere fatte salve “per la durata di vita utile del giacimento”.
Il governo sta tentando di ostacolare l’espressione del
voto referendario con tutti i mezzi, arrivando addirittura a
sprecare 360 milioni di euro di soldi pubblici che si sarebbero
risparmiati con un Election Day assieme alle elezioni amministrative di giugno.
Comm. resp.: Monica Martenghi (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515)
Se vincerà il SÌ, sarà abrogato l’articolo 6 comma 17 del
“codice dell’ambiente”, dove si prevede che le trivellazioni
continuino fino a quando il giacimento lo consente. La vittoria del SÌ bloccherà tutte le concessioni per estrarre il petrolio entro le 12 miglia dalla costa italiana, quando scadranno i
contratti.
È necessario considerare anche che quando si parla di
trivellazioni “offshore”, nessuno può escludere al cento per
cento malfunzionamenti o incidenti. Pur gravi ovunque, in un
mare chiuso come il Mediterraneo un disastro petrolifero causerebbe danni ingenti e probabilmente irreversibili. Fra l’altro
è criminale accettare tali rischi per recuperare, come ammette anche il governo, riserve certe di petrolio che nei mari italiani equivarrebbero a neanche due mesi di consumi nazionali, unite a prelevamenti di gas che ne soddisferebbero non più
di sei.
Ad onor del vero non pensiamo che la lotta su questo
fronte possa limitarsi alla sola soluzione referendaria, tanto più visto l’esito tuttora disatteso dell’altro grande referendum, quello sulla ripubblicizzazione dell’acqua, enormemente
partecipato e stravinto. Va considerato inoltre che, una volta abrogata la norma in oggetto, non saranno sospese tutte
La nostra indicazione di partecipare al suddetto referendum e di votare Sì non è in contraddizione con l’indicazione
tattica di astenersi (disertare le urne, annullare la scheda o lasciarla in bianco) alle elezioni amministrative, politiche ed europee. Indicazione che ribadiamo anche in occasione delle
elezioni comunali parziali del 12 giugno prossimo. Per quanto
riguarda i referendum, trattandosi di scelte concrete, il PMLI
stabilisce di volta in volta se partecipare o no e quale voto indicare, in base al quesito posto, alle circostanze politiche e a
ciò che è più vantaggioso per il proletariato e le masse popolari sfruttate e oppresse e per la lotta di classe.
In questo referendum chi si oppone a scelte sbagliate in
materia energetica, che mettono a rischio la salute, la natura e l’ambiente e, più in generale, chi vuol dare un colpo alla
politica antipopolare, energeticamente obsoleta ed estremamente pericolosa di Renzi, deve andare a votare e votare SÌ.
Deve farlo anche nell’ottica di servire un amaro antipasto al
governo in previsione del referendum che si terrà il prossimo
autunno sulle controriforme del Senato ed elettorale piduiste
e fasciste. Allora andrà votato NO.
Per noi marxisti-leninisti il referendum non è lo strumento privilegiato per far affermare i diritti del proletariato e delle
masse. Per noi la lotta di classe, di massa e di piazza resta il
migliore e più proficuo metodo per difendere le conquiste dei
lavoratori, dei disoccupati, dei pensionati, delle donne e degli studenti, anche sul fronte ecologico, e strapparne di nuove alla classe dominante borghese in camicia nera e al suo
governo. Tant’è vero che proprio la mobilitazione e la lotta
sono state determinanti anche in questa occasione, affinché
si svolgesse il referendum.
Attualmente la lotta di classe, di massa e di piazza è tanto
più decisiva e necessaria dal momento in cui il regime capitalista e neofascista amministrato dal governo Renzi ha reso
ancor più angusti e limitati gli spazi democratici borghesi, ha
ulteriormente aggravato le condizioni di vita e di lavoro delle
masse lavoratrici e popolari e sta seguendo le orme nazionaliste, colonialiste e interventiste di Mussolini, coinvolgendo l’Italia nelle guerre imperialiste per la spartizione del Nord Africa, del Medio Oriente e del mondo.
Ciononostante riteniamo assolutamente necessario partecipare al referendum contro le trivellazioni e facciamo appello affinché tutte le forze politiche, sindacali, sociali, culturali e religiose che hanno a cuore l’ambiente e vogliono una
politica energetica basata sulle fonti rinnovabili, si uniscano
in questa battaglia e aderiscano e sostengano i Comitati per il
Sì, a partire dall’intera CGIL e dagli antifascisti dell’ANPI. Noi
faremo la nostra parte.
Lottiamo uniti per la vittoria del SÌ il 17 aprile!
Astensionisti, data la posta in gioco e il carattere della
consultazione, votate e votate SÌ. Potreste essere determinanti per raggiungere il quorum!
(Sintesi tratta dal Documento dell’Ufficio politico del PMLI, dell’8 Marzo 2016)
10 il bolscevico / corruzione
N. 15 - 14 aprile 2016
La camorra la fa da padrona come e peggio che a Quarto
Indagati per voto di scambio IL capogruppo PD
e IL sindaco UDC a Casavatore
Dopo Quarto e le collusioni del Movimento 5 Stelle coi
clan camorristi dei Polverino e
Cesarano, nel mirino degli inquirenti finiscono anche il PD e
l’UDC pesantemente coinvolti
nell’inchiesta per voto di scambio alle elezioni 2015 nel comune di Casavatore (Napoli).
Il 19 febbraio gli inquirenti della Dda di Napoli, Pubblici ministeri (Pm) Maurizio De
Marco e Vincenza Marra, procuratore aggiunto Filippo Beatrice, hanno notificato un avviso di garanzia all’attuale
sindaco UDC Lorenza Orefice, al suo sfidante e candidato
sindaco PD Salvatore Silvestri,
ad Antonio Piricelli, comandante della polizia municipale di Casavatore nonché consigliere comunale PD a Ischia,
e ad altri 13 indagati, tutti accusati a vario titolo di voto di
scambio politico mafioso, violazione della legge sul divieto
di propaganda elettorale per
i sorvegliati speciali, abuso di
potere e associazione camorristica.
L’inchiesta è stata avviata il 27 aprile 2015. Quel giorno nel bar Vittoria avviene un
duplice omicidio di camorra: i
killer freddano Ciro Cortese e
Aldo Pezone. Due esponenti del clan “Vanella Grassi”, i
cosiddetti “girati”. Nel giubbotto di Cortese viene trovato un
Il governatore De Luca a cena con i “mammasantissima” del PD inquisiti
bigliettino con una scritta “Ramaglia”, accanto la cifra 2.000
e una sequenza numerica 5.5.
Secondo gli investigatori il Ramaglia in questione è il
consigliere uscente Mauro Ramaglia, candidato di punta del
“centro-sinistra” nella lista civica “Rossi per il cambiamento”,
alleata al PD; mentre 2.000
“potrebbero essere euro” e 5.5
è una data, il cinque maggio. È
la prova che “Ramaglia – concludono gli inquirenti - intrattiene frequenti contatti con gli
ambienti degli Amato-Pagano
e dei Vanella Grassi”.
Dalle indagini emerge uno
spaccato inquietante della
guerra per bande scatenata
dalle varie cosche parlamentari in lizza per accaparrarsi la
poltrona di sindaco: il candidato del PD Silvestri è sostenuto
da una cosca degli Amato-Pagano, il clan degli Scissionisti; contrapposto alla candidata UDC Orefice che vinse
le elezioni grazie al sostegno
del clan rivale dei Ferone che
intimidì gli avversari a suon di
pestaggi, ricatti e perfino sequestri di persona e ricattò gli
elettori elargendo buoni pasto,
pacchi di generi alimentari, pasta, vino e soprattutto soldi (50
euro a famiglia) in cambio di
voti.
Da un lato c’è Maurizio Minichini, sottoposto alla misura di
sorveglianza speciale per due
anni e mezzo a partire dal novembre 2013 perché associato
al gruppo camorristico Ferone,
e definito dai carabinieri “pluripregiudicato per associazione
di tipo mafioso”, che “staziona
nel comitato elettorale di Silvestri e si adopera per recuperare voti per lui e per il fratello Ciro Minichini, candidato al
consiglio comunale tra le liste
di Silvestri, nel quartiere dove
dimorava”. Mentre, dall’altro
lato, c’è la cosca rivale che appoggia Orefice e che il 13 giugno 2015, due giorni prima
del ballottaggio, fa picchiare
a sangue Minichini da tre suoi
sostenitori tra i quali un parente del boss Ferone. Un messaggio intimidatorio in puro
stile mafioso che condiziona
pesantemente lo svolgimento
della consultazione elettorale
e permette alla Orefice, indietro al primo turno di sei punti,
di vincere le elezioni col 56%
dei voti.
Del pestaggio contro Minichini ne parlano al telefono fra
gli altri anche Paolo Spinuso
e e il boss Ferone. Spinuso,
secondo i Pm, è uno di quelli
che ha predisposto l’agguato.
Racconta le modalità del pestaggio a Ferone il quale, riferendosi alla candidata UDC
Orefice, commenta: “È diventata camorrista sta donna”?
Agli atti dell’inchiesta ci
sono anche numerose intercettazioni tra le quali spiccano
due conversazioni del 3 luglio
e del 16 luglio 2015 tra Silvestri e Minichini in cui discutono
gli equilibri del PD locale e del
fatto che Silvestri debba essere il capogruppo. “I due – notano gli inquirenti - oltre a commentare il risultato elettorale,
intrattengono una conversazione circa l’istituzione di una
nuova sede del PD a Casavatore” e dunque “è chiaro il fatto che Minichini è parte della
fazione politica riconducibile a
Silvestri del PD”.
In questo scenario a dir
poco inquierante si inserisce
anche la telefonata fatta dal
boss Ferone il giorno prima
L’operazione dimostra quanto ancora sia radicata la mafia sul territorio
62 arresti a Palermo,
tra cui due boss legati a Riina
‡‡Dal nostro corrispondente
della Sicilia
L’operazione antimafia, disposta dal procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, e dagli aggiunti Leonardo Agueci e
Vittorio Teresi, che ha portato il 16 marzo all’arresto di 62
esponenti delle cosche mafiose palermitane, boss e gregari, mostra, sotto diversi aspetti,
come siano capillari la presenza e l’oppressione mafiosa nel
capoluogo siciliano e nella sua
provincia.
In carcere i due padrini,
che, fin dagli anni ‘80 fedelissimi di Salvatore Riina, stavano
puntando alla riorganizzazione delle cosche nel caoluogo
siciliano e nella sua provincia:
Mario Marchese, 77 anni, per
volere del nuovo capo di Cosa
nostra, Salvatore Riina, andato a comandare, dopo l’assassinio del boss Stefano Bontate
nel 1981, la cosca di quest’ultimo. Uscito di carcere nel 2001,
il capomafia da allora impone
estorsioni e “risolve” questioni di vario tipo anche per i po-
liticanti borghesi. Dall’indagine, emerge che un consigliere
comunale di Monreale (Palermo), Remo Albano, ex PDL,
si inginocchiò al cospetto del
boss per chiedergli un favore.
C’era anche un andirivieni di
imprenditori che, secondo gli
inquirenti, sarebbero collegati
alle cosche. Alcuni di loro, oltre a pagare il pizzo, sarebbero
stati disposti anche a mettersi
in ginocchio in segno di rispetto nei confronti di Marchese,
dal quale ricevevano indicazioni e incarichi per la realizzazione di progetti imprenditoriali di
vario tipo, soprattutto nel settore edilizio.
Anche davanti alla casa di
Gregorio Agrigento, 81 anni,
da sempre legato ai Brusca e
reggente del mandamento di
San Giuseppe Jato, in provincia di Palermo, c’era la fila di
imprenditori e politici a chiedere il favore.
Con l’enorme giro di danaro
sporco che riuscivano a muovere, i clan nel corso degli anni
avrebbero avviato o rilevate
alcune imprese, minacciando
i titolari che, inizialmente vittime, avrebbero poi deciso di
collaborare con i boss. Insieme agli arresti è stato quindi
notificato un decreto di sequestro per attività commerciali e
imprese di vario tipo, oltre che
per beni immobili.
Le indagini dei carabinieri
del Ros e del Gruppo di Monreale hanno portato in carcere anche una sessantina tra
colonnelli e gregari che, al comando degli anziani padrini,
garantivano un controllo capillare del territorio. Nella lista degli arrestati c’è anche un pezzo
della Palermo bene. Si tratta di
Alfredo Giordano, il direttore di
sala del Teatro Massimo, padre della famosa cantante lirica che si esibisce nel teatro
palermitano.
L’indagine mostra quanto diffusi e generalizzati siano
il radicamento e il consolidamento del legame tra criminalità organizzata e istituzioni, favoriti da una totale mancanza
di volontà e di azioni concrete
di lotta contro la mafia da parte di tutti i partiti politici borghesi, che addirittura si vanno ad
inginocchiare concretamente
o metaforicamente davanti ai
boss.
Cosa sta, peraltro, facendo il governo del nuovo duce
Renzi per sconfiggere la mafia? Cosa stanno facendo il governo Crocetta e l’amministrazione Orlando? Praticamente
nulla, mentre avrebbero il dovere di sottrargli manodopera
attraverso piani di intervento
straordinari economici e sociali per il Mezzogiorno d’Italia,
contro la povertà dilagante, il
degrado sociale, ambientale e
urbanistico. Occorrerebbe fermare la spaventosa ecatombe
di posti di lavoro, la desertificazione industriale e la disoccupazione di massa. Occorrerebbe un piano per il lavoro
stabile, a salario pieno e tutelato sindacalmente, secondo
le condizioni sancite nei contratti di lavoro e senza alcuna
deroga, per tutti i disoccupati.
del ballottaggio al candidato
del “centro-sinistra” Ramaglia:
“Mauro, hai capito chi sono?
Sono quello che non può venire fuori alla scuola”. Ferone
è il capo di una sotto cosca
di camorra sottogruppo degli Amato-Pagano. Secondo i
carabinieri, il boss “sta facendo campagna” per il suocero
Giuseppe Pranzile, candidato
nelle liste di Orefice. La telefonata serve a impaurire l’avversario e, secondo gli inquirenti, avrà l’effetto di spostare un
pacchetto di consensi dall’altra
parte. Quelli decisivi per la rimonta della Orefice.
I sostenitori di Silvestri a
questo punto prendono atto
che i boss più potenti del clan
si sono schierati con l’UDC e
abbandonano il campo rinunciando perfino al presidio del
seggio elettorale.
Emblematica la telefonata
del 14 giugno tra il candidato
del PD Mauro Ramaglia e un
tale Gianfranco il quale avverte: “Mauro: Sono andati nell’esagerazione… Hanno sequestrato le persone… cose…
però. Sanno tutti quanti… Tutti
quanti sanno e tutti fanno vedere che non sanno niente, hai
capito come è…”. Ramaglia,
lapidario, risponde: “I mammasantissima del PD non mi rispondono più”.
Il riferimento, molto probilmente, è rivolto al senatore locale, Pasquale Sollo (non indagato), al candidato sindaco
Silvestri, a Ciro Rossi, capo
dell’omonima lista civica di
“centro-sinistra” ma anche al
vicesegretario del PD Lorenzo Guerini fotografato durante
un’iniziativa pubblica sotto un
gazebo con la deputata renziana Valeria Valente, la vincitrice delle primarie PD di Napoli del 6 marzo, sospettata di
aver comprato una parte dei
voti con cui ha battuto Bassolino, e del cui staff parlamentare
fa parte anche la compagna di
Silvestri.
Tra i faldoni dell’inchiesta
spunta anche il nome del governatore della Campania,
Vincenzo De Luca. Il boss del
PD, che recentemente è finito di nuovo sotto inchiesta per
camorra e per brogli elettorali e negli appalti, è stato immortalato il 24 febbraio a una
cena insieme a Piricelli in un
rinomato ristorante di Giugliano. Secondo il sito Internapoli.
it che ha pubblicato la notizia,
De Luca, cinque giorni dopo la
notifica degli avvisi di garanzia, si è incontrato con uno dei
maggiori indagati dell’inchiesta. Secondo la Dda di Napo-
li infatti: “Piricelli mise mezzi e
strutture del corpo di polizia a
disposizione di Silvestri, l’uomo che aveva nel comitato
elettorale il sorvegliato speciale di camorra Massimo Minichini e concluse la campagna
elettorale insieme al vicesegretario PD Lorenzo Guerini”.
Alla cena tra amici e gli amici di De Luca e Piricelli – riferisce Internapoli – ci sono il sindaco PD di Giugliano Antonio
Poziello, sotto processo, il presidente della Soresa (società regionale della sanità) Giovanni Porcelli, ex sindaco di
Mugnano, e alcuni consiglieri
comunali di Ischia che fanno
parte della maggioranza che
sostiene il sindaco PD Giosi
Ferrandino, tuttora in carica,
nonostante l’arresto per corruzione per aver preso 330 mila
euro dalla cooperativa “rossa” Cpl per la metanizzazione
dell’Isola.
“All’apparenza era semplicemente una cena tra amici ma di sicuro si è parlato di
politica e molto probabilmente delle prossime mosse da
compiere insieme – commenta la redazione di Internapoli - Ieri sera a cena al famoso ristorante Fenesta verde al
vico Sorbo a Giugliano vi erano alcuni dei pezzi da novanta della politica dell’area nord,
tra questi il presidente della
Soresa ed ex primo cittadino
di Mugnano Giovanni Porcelli
ed il sindaco di Giugliano Antonio Poziello. Ospite d’eccezione il presidente della Regione Campania Vincenzo De
Luca. Con loro a tavola vi erano esponenti dell’area nord
fedeli a De Luca, come porcelliano della prima ora Mario
Molino, ed il colonnello Antonio Piricelli, comandante dei
vigili urbani di Casavatore,
oltre ad alcuni consiglieri comunali dell’isola di Ischia ed
al presidente del consorzio cimiteriale Casoria Arzano Casavatore.
Vari i temi toccati nel corso
della cena con sicurezza e trasporti ai primi posti, ma tanto
risalto anche all’Ambiente. Più
volte, infatti, il presidente della
Regione si è soffermato sulla
questione ecoballe e più genericamente sulle bonifiche relative alla “Terra dei Fuochi”.
Piricelli, che secondo i Pm
ha fatto la campagna elettorale
per Salvatore Silvestri in modo
illegale, arrivando a posizionare le telecamere di sicurezza
in modo tale da controllare che
i suoi manifesti non venissero strappati, è in rapporti molto cordiali con De Luca e con
il consigliere regionale del PD
Mario Casillo, come dimostrano alcune fotografie scattate
un anno fa, durante la campagna elettorale per le elezioni
regionali.
Ha rubato 30 milioni della beneficenza: arrestato monsignore
Il 9 febbraio la Guardia di Finanza di Bolzano ha arrestato
Patrizio Benvenuti, il monsignore 64enne di origini argentine,
coinvolto insieme a una suora,
un barone belga e perfino una
principessa, moglie dell’erede
al trono del Lussemburgo, nella grande truffa di oltre 30 milioni di euro a danni di più di trecento “donatori” francesi, belgi,
italiani, che avevano investito e
In combutta con un barone e una principessa, mons. Benvenuti prometteva anche alti interessi
perduto i loro soldi nella società
Kepha Invest al cui vertice c’era
proprio l’alto prelato.
I soldi dei truffati versati alla
fondazione umanitaria Kepha
finivano in un articolato meccanismo di riciclaggio tra persone, società estere e italiane.
La Guardia di finanza ha sequestrato in via preventiva, tra
l’altro, una lussuosa villa del
Quattrocento a Piombino (Villa
Vittoria, progettata da Leonardo Da Vinci che vi soggiornò nel
1502) e un grande sito archeologico a Selinunte.
A muovere le scatole cinesi
ci pensava il finanziere francese Christian Ventisette, tuttora
latitante, con spostamenti di milioni di euro in società sparse in
Francia, Belgio, Lussemburgo,
Miami, Panama ed in altri paesi dove i soldi venivano riciclati.
Altro protagonista della maxitruffa è il barone belga De Fierlant Dorme, indagato dalla procura di Bolzano, che presiedeva
la societa Kepha Invest in Belgio. Ed è stato lui a coinvolgere, forse a sua insaputa, nella
società truffaldina, la principessa Stephanie De Lannoy, moglie del Principe Guglielmo, erede al trono del Lussemburgo. A
svelarlo è stato lo stesso monsi-
gnor Patrizio Benvenuti che, prima di finire in manette, era stato
ascoltato dalla Guardia di Finanza di Bolzano rivelando che:
“Il barone De Fierlant ha assunto nella società Kepha l’attuale
moglie del Principe Guglielmo,
erede al trono del Lussemburgo, Stephanie De Lannoy per i
suoi importanti contatti”.
L’inchiesta è stata avviata
dopo la denuncia di suor Agne-
se Colz che per molti anni aveva lavorato con monsignor Patrizio Benvenuti, trasferendosi
da un ospedale di Bolzano in
Vaticano dove poi il prelato ha
avviato la sua attività truffaldina, truffando anche suor Agnese Colz che aveva anticipato 35
mila euro per organizzare cene
per attirare “investitori” nella loro
società con la promessa di interessi del 7 per cento.
PMLI / il bolscevico 11
N. 15 - 14 aprile 2016
Nel decimo anniversario della scomparsa
Omaggio
a Lucia
‡‡Redazione di Firenze
Il 6 Aprile, decimo anniversario dalla scomparsa della compagna Nerina “Lucia” Paoletti, pioniera e cofondatrice del PMLI, il compagno Dario Granito a
nome del Comitato centrale e il compagno Luca a nome della Cellula fiorentina che porta il nome della compagna Lucia, hanno reso omaggio alla sua
tomba con due belle composizioni di fiori rossi. E’ sempre forte la commozione al ricordo della cara compagna Lucia, fonte d’ispirazione per i compagni
vecchi e nuovi, un modello di unità nel Partito e combattività rivoluzionaria.
Nel 1964 uscì dal PCI perché aveva capito che era revisionista
E’ morto Cirano Biancalani
Era membro della Cellula “Nerina ‘Lucia’ Paoletti” di Firenze
‡‡Dal corrispondente della
Cellula “Nerina ‘Lucia’
Paoletti” di Firenze
Domenica 20 marzo è
scomparso all’età di 93 anni
il compagno Cirano Biancalani, membro effettivo della
Cellula “Nerina ‘Lucia’ Paoletti” di Firenze. Le nostre
più vive condoglianze vanno
alla sua famiglia in particolare alla moglie.
Cirano era militante del
PMLI dal 2007, ma già dal
lontano 1988 seguiva il Partito come abbonato de Il Bolscevico, non facendo mancare il suo sostegno politico
ed economico nonostante
fosse pensionato con a carico un figlio con una grave
disabilità mentale. Un sostegno espresso nei numerosi contributi scritti che ne-
Lucia
10 anni 1 giorno
nella memoria del cuore
e della mente.
10 anni
come sempre
tenendoci per mano
rinnovo
un legame
inscindibile
cresciuto nel nostro tempo
di pionieri
consolidato
nel crescere
insieme
il Partito.
Non sempre le parole
erano necessarie
nella conoscenza
reciproca
profonda
anche se mai indolore,
di una vita intera.
L’unità e l’affetto
legami istintivi e profondi
da compagna sorella amica
e come tu vuoi mamma
non solo mia ma di ciascuna e
ciascuno di noi
i più giovani compagne e
compagni
in prima fila.
Se si è interrotto il filo del
corpo vivente
non si è interrotto però quello
essenziale
delle parole scritte e dette
della memoria
anche della vita
di ogni giorno
Il PMLI ha scelto
giustamente
l’antimperialismo
L’unico movimento politico
che abbia capito la problematica
relativa all’IS e alle scomposte
reazioni occidentali è, direi “naturalmente”; il PMLI. Non condividendo affatto i metodi adottati
dall’IS, come bombe, “kamikaze”, ecc., né l’ideologia religiosa o para-religiosa dell’IS; anzi
esprimendo il proprio cordoglio
alle vittime, il nostro Partito ha
scelto la via giusta, rilevando,
però, nel contempo che la motivazione antimperialistica dell’IS
è più che giusta, date anche la
Le compagne “Lucia” Nerina Paoletti (a sinistra) e Patrizia Pierattini alla storica manifestazione nazionale delle donne per il lavoro tenuta a Napoli il 13
dicembre 1986 (foto Il Bolscevico)
come delle battaglie fatte
e delle esperienze quotidiane
condotte,
del legame profondo
d’amore e rispetto
che è la tua e di ciascuno di noi
essenza,
che continua ad esistere
e dare frutti
per il futuro del PMLI
continua riaffermazione della
volontà di dominio imperialistica di tutte le potenze in campo
(europee, russe, nordamericane), con una particolare esposizione bellica, pur se poi prudenzialmente “rimangiata” da parte
del nuovo duce Renzi.
Renzi, estremamente attento
ai sondaggi e al gradimento, sa
che al momento non può “intervenire” sic et simpliciter in Libia,
dunque è in fase di attesa, sperando (quasi certamente) di attaccare nel momento più propizio, ossia quello in cui l’opinione
pubblica è attenta ad altro e non
pensa alla questione IS. Il pericolo dunque di rinnovati attacchi
e dell’Italia unita rossa e
socialista.
Una carezza, un bacio
e un abbraccio pieno di calore,
non troppo stretto
per non farti male.
Patrizia Pierattini
Assieme a Lucia fa parte dei
primi quattro pionieri del PMLI
imperialistici è più che mai attuale, con le conseguenti, “ovvie” ritorsioni anti-imperialiste.
Importante richiamare, come
ha fatto molto opportunamente il nostro Segretario generale
Scuderi, le indicazioni preziose del Maestro Stalin, relative
alla solidarietà (pur nel dissenso
sui metodi e sull’ideologia) con
ogni movimento antimperialista,
il che non toglie, la non condivisione dei metodi adottati dall’IS
stessa, metodi, però, accentuati
dai continui bombardamenti da
parte dell’imperialismo occidentale.
Cari saluti marxisti-leninisti.
Eugen Galasso - Firenze
gli anni ha inviato al Partito
sia come simpatizzante che
come militante.
Cirano aderisce al PCI nel
1945 fino a quando nel 1964
cessò ogni rapporto con il
partito revisionista, resosi
conto dell’inganno perpetrato dall’allora gruppo dirigente verso chi aveva creduto
in un partito capace di battersi per il socialismo. Nella
sua domanda d’ammissione
al PMLI, in merito al suo giudizio sul PRC e il PdCI egli
scrive:“sono i peggiori nemici della classe operaia, ancora riescono ad illuderla,
inculcandole la via pacifica
parlamentare democratica,
come dimostrano i dirigenti dell’ex PCI fino a diventare imperialisti orgogliosi di
servire gli americani... se ci
fosse stato il PMLI, quanti
compagni ingannati di meno
sarebbero stati e quanto
grande e potente sarebbe
stato oggi in Italia nonostante i rinnegati, traditori”.
Poi l’incontro con il PMLI
che ha ridato fiducia e smalto politico ad un compagno
che ha sempre creduto nel
socialismo. Nella domanda d’ammissione afferma: “il
PMLI ci insegna l’unica via
per la conquista del socialismo e la rivoluzione proletaria... al PMLI dirò sempre
grazie per avermi insegnato non a combattere un nemico di classe ma come farlo, nella maniera più giusta
senza commettere errori
né di estrema destra, né di
estrema sinistra... Conobbi
il PMLI ormai diventato vecchio e con la sfortuna di un
figlio grave handicappato
che mi impegna nelle ore libere... per la mia iscrizione
al Partito, ho spiegato la mia
situazione familiare e privata... con ciò dipende solo
dalla vostra decisione, altro
non ho da dire tranne che
ringraziarvi per l’eventuale
riconoscimento di marxistaleninista”.
Noi del PMLI siamo stati
onorati di aver avuto al nostro fianco un compagno tenace e fedele ai cinque Maestri e alla lotta per la causa
del socialismo che nonostante la sua non più giovane età non ha perso le cin-
Il compagno Cirano Biancalani mentre interviene alla Commemorazione di Mao per il 30° della scomparsa, tenuta a Firenze il 10
settembre 2006
que fiducie e anche a livello
personale si è battuto contro
lo Stato borghese che niente fa per aiutare le famiglie
che vivono il triste dramma
di un figlio handicappato se
non costringerle a rivolgersi al privato con costi salati e comunque abbandonati
una volta che i genitori non
ci sono più.
Negli anni Cirano non ha
fatto mai mancare il suo sostegno durante le compagne
elettorali astensioniste, nella
lotta contro il neoduce Berlusconi, contro il nuovo Mussolini Renzi e la guerra imperialista allo Stato islamico.
Finché ha potuto ha partecipato alla commemorazione annuale di Mao, prendendo a volte la parola. Non
mancava ai processi politici subìti dal Segretario generale del PMLI, compagno
Giovanni Scuderi. Premuroso verso i compagni della
Cellula alla quale donava un
panettone per festeggiare il
Nuovo Anno.
In occasione del 30° Anniversario del Partito egli scriveva: “Compagne e compagni abbiamo festeggiato 30
anni di vita del PMLI. Onore ai compagni fondatori del
Comitato centrale, un saluto
di tanta gratitudine, un rin-
graziamento per tanti sacrifici dovuti affrontare prima
di realizzare questo unico
Partito comunista in Italia.
Onore al nostro Segretario Giovanni Scuderi per la
sua indispensabile opera di
guida politica marxista-leninista... Il nostro Partito rappresenta l’inizio di un cambiamento, di lungo cammino
lento ma sicuro, perché noi
siamo la storia del prossimo futuro, voi giovani siete
gli artefici, come furono i nostri grandi Maestri costruttori
di un mondo nuovo, l’Unione
Sovietica di Stalin e la Cina
di Mao”.
Caro compagno Cirano,
continueremo anche per
te la Lunga marcia politica e
organizzativa del PMLI per
realizzare il socialismo prendendo esempio anche dalla
tua tenacia, fiducia, attaccamento al Partito e dal tuo
spirito combattivo di marxista-leninista che ti ha sempre contraddistinto fino all’ultimo respiro.
Il compagno Cirano verrà
cremato l’8 aprile prossimo
e le ceneri verranno sepolte presso il cimitero di Trespiano alle porte di Firenze,
i militanti della Cellula deporranno dei fiori rossi in suo ricordo.
Solo il socialismo garantisce
pienezza di diritti
In alcune città italiane
si terranno le elezioni comunali. Noi del PMLI siamo per l’astensionismo e
lo propagandiamo. Nell’opuscolo n. 11 del compagno Giovanni Scuderi, dal
titolo “Impugniamo l’arma
dell’astensionismo per l’Italia unita, rossa e socialista”, egli scrive: “Lo facciamo ininterrottamente e
sempre con maggior convinzione e forza fin dalle prime elezioni regionali
del 1970. La propaganda
dell’astensionismo e del
socialismo allora ci costò
un processo con una condanna di 8 mesi di reclusione con la condizionale
sotto l’accusa di propaganda e apologia sovversiva e
antinazionale e di vilipen-
dio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali
e delle forze armate. Il documento elettorale astensionista dell’Organizzazione che nel ’77 darà vita al
PMLI aveva come titolo la
celebre frase di Mao ‘Il potere politico nasce dalla
canna del fucile’”.
Da tempo ampi strati del
popolo si sono resi conto
che le “primarie” e le “elezioni” sono una truffa che
garantisce solo la continuità del potere di pochi ricchi
sul resto della popolazione.
I circoli imperialistici fanno
credere che noi tutti viviamo nel “migliore dei mondi possibile” che abbiamo
diritti e libertà ma in realtà
essi fanno i loro sporchi affari e le masse ne pagano
le conseguenze.
È falso che il capitalismo è il solo e vero sistema da far accettare a tutti, come vuol far credere
la borghesia. Solo il socialismo potrà garantire veramente la pace e la vera
giustizia sociale ed economica. Tutto il resto è fumo
negli occhi, solo il socialismo potrà garantire alle libertà fondamentali dell’uomo un valore veramente
globale, perché il socialismo garantisce questi diritti nella loro pienezza e
sottolinea la stretta connessione tra diritti economici, politici, sociali e civili.
Da un rapporto interno
dell’Organizzazione di
Civitavecchia (Roma)
del PMLI
12 il bolscevico / referendum 17 aprile
N. 15 - 14 aprile 2016
iniziative del pmli per il sì al referndum del 17 aprile
‡‡Redazione di Fucecchio
Catania, 31 marzo 2016. Il volantinaggio del PMLI per il Sì al Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania (foto Il Bolscevico)
‡‡Dal corrispondente
della Cellula “Stalin”
della provincia di Catania
Nella mattina di giovedì 31
marzo i compagni della Cellula
“Stalin” della provincia di Catania
del PMLI hanno effettuato un volantinaggio presso il “monastero
dei Benedettini”, in piazza Dante, oggi sede del Dipartimento
di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania. La diffusione
di alcune centinaia di copie del
volantino “Vota Sì contro le trivellazioni” ha riguardato, appunto, il referendum del 17 aprile, e
dunque la volontà del Partito di
invitare l’elettorato a schierarsi
per la salvaguardia della salute,
della natura, dell’ambiente e per
le energie rinnovabili.
Nonostante il governo del
nuovo duce Renzi stia tentando
di ostacolare l’espressione del
voto referendario con tutti i mezzi, in primo luogo, indirettamente,
con la scelta della data del voto
a breve scadenza che mette a
rischio il quorum e comprime i
tempi del confronto e dell’informazione - arrivando a sprecare
360 milioni di euro di soldi pubblici che si sarebbero risparmiati
con un Election Day assieme alle
elezioni amministrative di giugno - e, in secondo luogo, con
la recente posizione ufficiale del
PD schieratosi per l’astensione, espressa attraverso la nota
firmata da Lorenzo Guerini e
Debora Serracchiani, secondo i
quali “questo referendum è inutile. Non riguarda le energie rinnovabili e non blocca le trivelle”,
gli studenti, i docenti ed il personale ata incontrati dai compagni
si sono espressi positivamente
e appoggeranno il “Sì”. Un forte
pugno rosso sferrato a Renzi e al
suo governo che ogni giorno di
più mostra il suo vero volto antipopolare, neofascista, al servizio
di petrolieri e banche ed assolutamente distante dalla salvaguardia della salute pubblica, dell’ambiente e del lavoro e che tradisce,
affossandole ad ogni occasione,
qualsiasi speranza di passaggio
massiccio alle fonti energetiche
rinnovabili.
La prossima iniziativa di propaganda per il “SÌ” al referendum
contro le trivellazioni vedrà i compagni catanesi in piazza Stesicoro, con un banchino, sabato 9
Aprile dalle ore 16.
Ischia
Apprezzato banchino unitario
tra PMLI e PRC per il Sì
Prosegue la campagna referendaria del PMLI con i volantinaggi svolti dai compagni nei
punti più frequentati di Fucecchio
(Firenze).
La maggior parte degli interlocutori hanno dichiarato che andranno a votare Sì contro le trivellazioni. Il problema maggiore sarà
raggiungere il quorum e a tale proposito in molti hanno criticato il PD
per il suo invito ad astenersi e per
gli scandali di questi giorni in cui
è coinvolto il governo Renzi proprio sulle trivellazioni petrolifere (e
relative discariche per rifiuti legati
alla lavorazione) in Basilicata che
hanno portato alle dimissioni della
ministra Federica Guidi.
Sabato 2 aprile contempora-
neamente al PMLI era presente
in piazza a Fucecchio anche il
comitato comprensoriale per Sì
che aveva realizzato un proprio
banchino. Finalmente cominciano a muoversi, seppur in maniera
disorganizzata tanto che dietro al
banchino c’erano solo esponenti
dei 5 Stelle mentre con una maggiore collaborazione si potrebbero mettere in campo più forze e
iniziative più coordinate.
I marxisti-leninisti faranno comunque la loro parte e per sabato 9 Aprile hanno organizzato nei
pressi del supermercato Coop un
proprio banchino di propaganda
referendaria.
Intanto, l’ANPI di Fucecchio
ha espresso il suo sostegno al Sì
contro le trivellazioni.
Borgo San Lorenzo
Successo del banchino del PMLI.
Alcuni visitatori hanno affermato
che il governo Renzi va spazzato via
n. 515)
Legge 10.12.93
(art. 3 M. MARTENGHI
responsabile:
Committente
Volantinaggio del PMLI. Molte critiche
all’astensionismo del PD. L’ANPI per il Sì
Sabato 9 aprile banchino
presso la Coop
per
e l’am
la naturaergie rinnovabili
per le en
in proprio
Volantinaggio del PMLI. Studenti e lavoratori
della scuola schierati per il SÌ
il 9 aprile banchino
in piazza stesicoro
Fucecchio
Stampato
Catania
le
l 17 apri te
ndum de
lu
Al refere uardare la sa
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PARTITO M
[email protected]
Sede centrale:
Via Antonio del
- 50142
Pollaiolo, 172a
e-mail: commi
e fax 055.5123164
FIRENZE -- Tel.
Catania
- www.pmli.it
Propaganda
del PMLI per il Sì
al referendum
Sabato 9 Aprile
Piazza Stesicoro dalle ore 16 - banchino
Ischia (Napoli) Domenica 10 aprile
Luogo e orario da definire – banchino
Firenze Giovedì 7 aprile
Stazione S.M. Novella
lato via Alamanni dalle ore 17 - volantinaggio
Fucecchio (Firenze) Sabato 9 Aprile
Presso il supermercato Coop orario da definire - banchino
Milano
Al banchino le masse riconoscono che i
marxisti-leninisti sono gli unici a propagandare
il Sì referendario. Pisapia non ha ancora
installato i tabelloni per affiggere i manifesti
Milano, 2 aprile 2016. La diffusione per il Sì al referendum organizzata
dalla Cellula “Mao” di Milano del PMLI (foto Il Bolscevico)
senso contro il governo del nuovo
‡‡Dal corrispondente della
duce Renzi e contro il PD. Anche
Cellula “Mao” di Milano
pie del volantino con la posizione
‡‡Dal corrispondente della Squain questa occasione si è avuta
Sabato 2 aprile, in Piazza Coreferendaria del PMLI, ben accetdra di propaganda per il Sì al
conferma della totale latitanza di
stantino, nel popolare quartiere
tate dalla popolazione. Molti coloro
referendum contro le trivellaquei partiti (tra i quali quelli falsi
milanese di Crescenzago, miliche hanno affermato di votare per
zioni Mugello e Val di Sieve
comunisti) che ufficialmente sotanti della Cellula “Mao” di Miil Sì. C’è stato chi ha sostenuto
Sabato 2 aprile i compagni
stengono il Sì, ma disertando la
lano del PMLI hanno allestito un
che il governo Renzi va spazzato
del PMLI delle Organizzazioni di
campagna referendaria nei fatti
banchino e diffuso centinaia di
via, mentre un anziano ha tenuto a
Vicchio del Mugello e di Rufina del
fanno il gioco del nuovo Mussovolantini dal titolo “Vota Sì consottolineare il tradimento degli inPMLI hanno organizzato un banlini Renzi e del PD che caldeggiatro le trivellazioni”. Il documento
teressi dei lavoratori da parte della
chino di propaganda per il Sì al
no il boicottaggio del referendum
è stato ben accolto dalle masse
“sinistra” parlamentare.
referendum contro le trivellazioni
per impedire il raggiungimento
lavoratrici e popolari e molte perCon alcuni compagni del PRC
nella centrale piazza Cavour a Bordel quorum. Anche l’amministrasone si sono complimentate con
presenti in zona ci siamo salutati,
go San Lorenzo (Firenze) che è il
zione “arancione” guidata dal nenoi, in quanto gli unici a propaad iniziare dall’immancabile commaggior comune del Mugello.
opodestà Pisapia contribuisce al
gandare il Sì referendario.
pagno Antonio.
Con il suo rosso dominante,
sabotaggio governativo dal moA chi si è intrattenuto al banAbbiamo colto l’occasione per
dove spiccavano le bandiere dei
mento che a sole due settimane
chino per discutere, i nostri
distribuire anche alcune copie del
Maestri e del PMLI, il banchino ha
dal 17 aprile non ha ancora fatto
compagni hanno dato una copia
volantino riportante il comunicato
dato una bella visibilità al Partito
installare i tabelloni per l’affissiodella pagina n. 2 de Il Bolscevico
dell’UP del PMLI del 22 marzo dal
nel centro borghigiano abbastanza
ne dei manifesti referendari.
n.11/2016 riportante per intero il
titolo “Condanniamo gli attentati
affollato.
Oltre allo specifico tema reDocumento dell’Ufficio politico
di Bruxelles cessare la guerra allo
Sul tavolo esposte varie opere
ferendario nelle conversazioni
del PMLI del quale il volantino
Stato islamico per evitarli”.
del Maestri del proletariato internasi è avuto modo di riflettere sul
proponeva solo degli estratti.
L’attività di propaganda del
zionale edite nella collana Piccola
superamento delle fonti energetiTra coloro che hanno dichiaPMLI per il Sì al referendum prosebiblioteca marxista-leninista. Ai lati
che da combustibili fossili e dalle
rato che voteranno Sì c’è chi ha
guirà nei prossimi giorni in diverse
sui cartoni a V rovesciata i manifesti
fissioni e fusioni nucleari, e quindi
tenuto a specificare che lo farà
piazze del Mugello e della Val di
del PMLI per il Sì al referendum.
sul potenziamento degli investianche per esprimere il suo disSieve.
Diffuse diverse centinaia di comenti sulle energie rinnovabili.
rile
Discutendo si è oltremodo
p
a
7
1
del
e
constatato che il capitalismo è di
re n d u m
la salut
Al refe aguardare iente
b
per sé incapace di dare una tale
per sanlvatura e l’am novabili
svolta energetica fintantoché non
la nergie rin
saranno quasi esauriti i giacimenper le e
ti di gas e petrolio (con tutto ciò
che nel frattempo ne consegue in
termini di inquinamento e di guerre imperialiste per accaparrarsi i
suddetti giacimenti) dato il suo
interesse fisiologico ai massimi
O
ITALIAN
profitti da ottenersi a breve temNINISTA
E
-L
A
T
IS
MARX
po dagli investimenti.
PARTITO
Solo il socialismo può risolutamente pianificare una conversione nazionale alle energie rinnovaSe non puoi partecipare personalmente alla campagna del PMLI per il Sì al referendum contro
bili, mettendo in campo ingenti
le trivellazioni, ti invitiamo calorosamente a sottoscrivere per il Partito attraverso il conto corrente
risorse svincolate da logiche di
postale n. 85842383 intestato a: PMLI - Via A. Del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE
rapidi guadagni, dato che il suo
scopo non è quello del profitto
Nella causale scrivere: donazione per il Sì al referendum.
privato, bensì quello dei bisogni
Grazie di cuore.
materiali e culturali delle masse
lavoratrici e popolari.
Borgo S. Lorenzo, 2 aprile 2016. Banchino di propaganda del PMLI
per il Sì al referendum contro le trivellazioni (foto Il Bolscevico)
SOTTOSCRIVI PER
LA CAMPAGNA PER IL
AL REFERENDUM CONTRO
LE TRIVELLAZIONI
‡‡Dal corrispondente
dell’Organizzazione
di Ischia del PMLI
L’Organizzazione isolana del
PMLI in piazza ad Ischia (Napoli),
insieme ai compagni del PRC per
distribuire volantini per il Sì al referendum contro le trivelle.
Il PMLI ha realizzato un volantino con l’invito a votare Sì e sul
retro i motivi del voto, praticamente due pagine riprese dall’ul-
timo numero de Il Bolscevico apprezzate dai numerosi passanti
avvicinati durante la mattinata di
domenica 3 aprile.
Molto vistoso il manifesto realizzato dall’Organizzazione isolana del PMLI e montato su una
struttura leggera di pirex.
Domenica prossima altro appuntamento in piazza ad Ischia, in
attesa della partecipazione di altre
forze come i M5S e l’Autmare.
3 - Legge
I (art.
: M. MARTENGH
e responsabile
Committent
in proprio
Stampato
3 aprile 2016. Un momento della diffusione a Ischia dei volantini per il
Sì al referendum contro le trivelle (foto Il Bolscevico)
10.12.93
n. 515)
SÌ
del Pollaiolo,
2 FIRENZE
172a - 5014
-- Tel. e fax
e-mail: com
055.5123164
.pmli.it
.it - www
missioni@pmli
Via Antonio
Sede centrale:
esteri / il bolscevico 13
N. 15 - 14 aprile 2016
Più di 3.000 posti di lavoro in pericolo nel settore sanitario
Migliaia in piazza a Napoli contro
i licenziamenti voluti dai padroni
di “Almaviva” e “Gepin”
Gravissime responsabilità del nepodestà De Magistris e del governatore De Luca
‡‡Redazione di Napoli
Si preannuncia un aprile di
fuoco sul fronte del lavoro a
Napoli con una serie di importanti vertenze con prospettiva
di licenziamento per migliaia di lavoratori delle aziende
“Almaviva” e “Gepin”. Sono
quasi 700 i posti che rischiano di andare in fumo nelle due
sedi di Napoli e Casavatore,
pari al 50% della forza lavoro presente nel territorio partenopeo. “Si tratta di un atto
di inaudita violenza – ha commentato la Cgil di Napoli – nei
confronti di coloro che hanno
sempre lavorato per garantire
la crescita e lo sviluppo delle
due aziende. Ci sono a repentaglio la vita di numerose famiglie”.
Giovedì 31 marzo un corteo di migliaia di lavoratori e
lavoratrici di “Almaviva” attraversava le vie del centro
di Napoli per protestare contro gli “esuberi per riorganizzazione aziendale” che colpiranno anche Palermo e Roma
(1.670 e 900 licenziamenti rispettivamente) assieme ai call
Napoli, 30 marzo 2016. Le lavoratrici e i lavoratori “Almaviva” in piazza
contro i licenziamenti
center della “Gepin Contact”,
azienda che smaltisce commesse per Poste Italiane.
Il corteo, partito da via Brin,
ha percorso corso Umberto,
zona universitaria per giungere a piazza Municipio dove i
manifestanti hanno fatto sentire forte il loro dissenso alla
giunta arancione guidata dal
neopodestà De Magistris, sostenuti da decine di giovani
dei centri sociali.
Non soddisfatti i sindacati:
“Ci aspettavamo da parte di
De Luca un diretto intervento: non siamo affatto contenti”.
De Magistris, invece, scaricava le responsabilità direttamente sul governo del neoduce Renzi e sul ministro del
Lavoro, Poletti, invece di spiegare perché dopo cinque anni
la sua giunta e l’assessore al
Lavoro Panini non abbia ancora costruito un progetto per
contenere la disoccupazione
a Napoli.
Altro fronte “caldo” della
protesta è quello relativo ai
licenziamenti di biologi, tecnici di laboratorio e personale amministrativo. Un decreto
regionale, voluto dall’attuale giunta antipopolare guidata dal governatore De Luca,
obbligherà i laboratori accreditati con il sistema sanitario
nazionale (SSN) entro il 15
aprile a trasformarsi da laboratori di analisi a centri prelievo. In ballo ci sono quasi
100mila prestazioni annue
che il SSN non riesce a mantenere demandando a questi
laboratori convenzionati il carico in eccesso. I proprietari
dei vari laboratori privati convenzionati sono pronti a licenziare ben 3mila operatori
se non vedranno i loro profitti
ristabiliti; nel contempo si sta
preparando con i sindacati
uno sciopero del settore per
far ritirare il decreto all’attuale governatore e all’assessore regionale del lavoro Lepore.
I lavoratori della Guess
in piazza a Firenze
in difesa
del posto di lavoro
L’azienda vuol trasferire 90 lavoratori nello
stabilimento in Svizzera
Giovedì 31 marzo si è
svolto a Firenze il corteo delle lavoratrici e dei lavoratori
dell’azienda del settore moda
Guess. Tale corteo rientrava
nell’ambito della mobilitazione
sindacale indetta contro la decisione padronale di arrivare
al trasferimento di 90 lavoratori sui 180 dello stabilimento di
Firenze presso lo stabilimento
di Lugano (Svizzera). Una decisione questa figlia solo della
volontà padronale di licenziare per ridurre i costi produttivi.
Una decisione inaccettabile in
quanto trattasi di manodopera
femminile altamente qualificata e di lavoratrici aventi carichi
familiari.
Al corteo si è arrivati dopo
vari giorni di sciopero durante
i quali si sono svolte assem-
“Guess in Florence! Guess in
Florence!” per sottolineare la
volontà delle lavoratrici e dei
lavoratori di lottare ad oltranza
per il mantenimento del sito
produttivo a Firenze e i relativi
posti di lavoro.
Arrivati al Ponte Santa Trinità i dipendenti Guess hanno inscenato un “flash mob”
stendendo un lungo telo a mo’
di passerella dove le lavoratrici ed i lavoratori hanno ironicamente sfilato per poi stendere le magliette preparate
ad hoc (scritta Guess con un
cuore sormontato da un punto
interrogativo) ad un filo attaccapanni.
Al termine dell’iniziativa
hanno preso la parola il funzionario FILCTEM Alessandro Picchioni e il Segretario
A processo la
rimborsopoli piemontese
Anche un manuale erotico tra i rimborsi dell’ex consigliera regionale Montaruli
‡‡Dal nostro corrispondente
del Piemonte
Nel vergognoso silenzio
dei media di regime procede
il processo per la rimborsopoli
piemontese. A breve il pubblico ministero presenterà le richieste di condanna, le sentenze sono previste per l’inizio
dell’estate. Alla sbarra come
comuni delinquenti ben 25 ex
consiglieri regionali – alcuni in
carica in quanto rieletti nelle
elezioni di giugno 2014 – accusati di peculato e di truffa.
Tra gli indagati anche la giovane Augusta Montaruli, neofascista rampante che a soli
26 anni è stata eletta – la più
giovane – consigliere regionale per il Pdl.
La carriera della fascista
Montaruli. Da “Azione
giovani” a palazzo Lascaris
La torinese Augusta Montaruli, classe 1983, inizia a 16
anni la sua “carriera” politica
in “Azione giovani”. Entrata
all’università (facoltà di giurisprudenza a Torino) aderisce
al Fuan, l’organizzazione universitaria del suo partito, di cui
diviene presto presidente provinciale e dirigente nazionale. Negli anni dell’università la
Montaruli ha partecipato a numerosi cortei neofascisti per
le strade di Torino e ha preso
parte anche a dei pellegrinaggi a Predappio, città natale di
Mussolini.
Nei corridoi di Palazzo
Nuovo, sede dell’università
torinese, è stata organizzatrice di azioni violente contro
i movimenti studenteschi democratici. Nel marzo del 2009
ha guidato in prima persona
l’aggressione di una banda di
squadristi contro una manifestazione di studenti democratici. Questi vergognosi episodi le hanno causato una serie
di denunce per violenza fascista? Niente affatto! La sua
militanza nelle organizzazioni
giovanili neofasciste e la sua
violenza da squadrista le hanno anzi schiuso le porte delle
istituzioni accademiche. In rapida successione è stata eletta consigliere nella sua facoltà e componente del senato
studentesco. Di pari passo la
“scalata” alle istituzioni politiche borghesi: nel 2005 è eletta consigliere nella circoscrizione VII di Torino e nel 2007
diventa assessore nel comune di San Mauro Torinese.
Nell’ottobre 2009, invitata
alla trasmissione “Anno zero”
(ai fascisti, si sa, l’accesso ai
salotti televisivi è sempre concesso) ha avuto un violento
alterco con il giornalista Marco Travaglio. Viene per questo notata da Berlusconi che
decide di candidarla alle elezioni regionali piemontesi del
2010. A 26 anni viene eletta
per il Pdl, partito da cui esce
nel 2012 per confluire in Fratelli d’Italia. Nel corso del suo
mandato si è messa in mostra
per il taglio aggressivo degli interventi, le sue provocatorie uscite contro studenti e
manifestanti e le sue dichiarazioni contro zingari e rom
che a suo avviso dovrebbe-
Firenze, 31 marzo 2016. La protesta dei lavorati della Guess in difesa del
posto di lavoro
La consigliera regionale piemontese PDL Montaruli partecipa a due iniziative di “Azione giovani” di cui una a Predappio
ro essere schedati e rinchiusi
tutti come dei delinquenti. La
sua sfolgorante carriera di fascista – neanche troppo ripulita – all’interno delle istituzioni borghesi viene interrotta nel
2014 quando la giunta Cota è
travolta dallo scandalo delle
firme di lista false e dalla rimborsopoli.
Un manuale erotico?
È riconducibile all’attività
istituzionale!
Sotto accusa per truffa e
peculato la Montaruli non lesina velate minacce alla magistratura: “Credo che la politica debba alzare la voce e
non prendere con leggerezza gli avvisi di garanzia, forse
in questo modo anche i magistrati eviterebbero di mandare avvisi di garanzia a raffica
e a tappeto... la legge Severino non risolve il problema
della corruzione, quanto a me
non ho niente di cui rimproverarmi”.
Il totale delle spese fasulle
di cui viene accusata è di circa 40.000 euro. Di questi più
di 20.000 sarebbero imputabili a pranzi e cene in prestigiosi ristoranti oltre a più semplici consumazioni al bar e e per
cibi d’asporto. La consigliera
ha inoltre speso 4.800 euro
per partecipare ad un corso sui social network (4.800
euro per imparare a twittare!).
6.000 euro li ha spesi per un
monitoraggio sul “sentiment”,
vale a dire sulla reputazione
online, altre migliaia per pernottamenti in albergo, abiti firmati e borse di marca. Finito
nei suoi rimborsi anche il manuale “Sexploration. L’esperienza del sesso che fa divertire le coppie annoiate”.
Ma come, una moralista fascista e cattolica che acquista un libro sui giochi erotici?
Alle domande dei giornalisti
ha dichiarato: “È tutto da provare che quel volume sia mio.
I procuratori sono in difficoltà rispetto alla mia posizione
e usano questo colpo basso
proprio ora. Non hanno niente
in mano, se non le loro suggestioni”... Se me lo contestano,
dimostrerò che era riconducibile all’attività istituzionale”.
blee molto vivaci e combattive
alle quali hanno partecipato la
quasi totalità delle lavoratrici e dei lavoratori. Il concentramento del corteo era in Via
degli Speziali, nel centro di Firenze, davanti al negozio della Guess stessa. Per consentire una visibilità maggiore alla
lotta, la FILCTEM-CGIL di Firenze aveva convocato la riunione del Direttivo provinciale il giorno stesso, cosicché ai
lavoratori Guess si sono uniti i delegati sindacali della categoria. Ad essi si sono uniti inoltre delegati operai della
FIOM con tanto di striscioni e
bandiere.
In testa al corteo vi era lo
striscione “Firenze si sveste”
per denunciare il disimpegno criminale del padronato
che, pur di produrre a costi ridotti, non esita a mettere sulla strada i propri dipendenti e
fuggire dal territorio fiorentino. A seguire lo striscione della FILCTEM-CGIL di Firenze,
delle RSU della “Roberto Cavalli”, della “Vetreria Zignago”
(Empolese) e della “Manetti & Roberts”. Chiudevano il
corteo gli striscioni delle RSU
delle fabbriche metalmeccaniche “Esaote” e “KME”. Infine,
oltre alla presenza dei dirigenti e funzionari fiorentini della
CGIL, tante bandiere rosse
della FILCTEM e della FIOM.
Lanciati alcuni slogan,
fra i quali il più gettonato era
FILCTEM di Firenze Bernardo Marasco che, nel ringraziare tutti gli intervenuti, hanno informato i presenti che a
breve si terrà un incontro con i
responsabili di Guess Europe
per discutere della situazione
occupazionale con la presenza anche di un responsabile del governo e del ministero
competente (che avranno mai
da dire, questi ultimi?) e che
l’appuntamento per eventuali
iniziative di lotta è rimandato a
dopo questo incontro.
In sostanza si può affermare che è stata una buona
iniziativa di lotta che ha messo in luce la partecipazione al
corteo delle lavoratrici e lavoratori Guess che non hanno
avuto timore di impegnarsi in
prima persona per salvaguardare il posto di lavoro.
A loro auguro di cuore di
mantenere forza e combattività per stimolare il sindacato a fare la propria parte fino
in fondo senza cercare vie alternative o facili compromessi
che servirebbero solo a compiacere i padroni e a scontentare i lavoratori. È stata una
bella giornata di lotta e anche l’occasione per interloquire con compagne e compagni
sulla situazione politica e sindacale attuale.
Con i Maestri e il PMLI vinceremo!
Andrea, operaio
del Mugello (Firenze)
14 il bolscevico / imperialismo europeo
N. 15 - 14 aprile 2016
Con la partecipazione dell’Italia
Nasce a Londra la superborsa
europea a guida tedesca
I mercati finanziari europei si uniscono per fronteggiare quelli americani e cinesi
Il 16 marzo le due più importanti piazze finanziarie del
vecchio continente, la Borsa di
Francoforte e la Borsa di Londra, hanno annunciato di aver
raggiunto un accordo per la
loro fusione in un’unica superborsa europea. La Deutsche
Boerse (DB) e il London Stock
Exchange (LSE) hanno deciso
infatti, con un reciproco scambio azionario, di dare vita ad
un unico colosso borsistico
che avrà sede legale a Londra
e manterrà i due quartier generali di Londra e Francoforte, e
nel quale i tedeschi avranno il
54,4% del capitale e i britannici
il restante 45,6%. Presidente
della nuova holding sarà l’attuale presidente di LSE, Donald Brydon, mentre l’amministratore delegato sarà l’attuale
ad della Borsa di Francoforte,
Carsten Kengeter.
L’accordo deve passare il
vaglio delle autorità antitrust
europee, ma si stima che potrà diventare operativo nel corso dell’anno, o al più tardi entro il primo trimestre 2017. Lo
scopo ufficiale della fusione è
quello di realizzare cospicue
economie di esercizio, stimate
a regime in quasi mezzo miliardi di euro l’anno, ma è chiaro
che l’ambizione è quella di acquisire una statura in grado di
competere direttamente con le
Borse americane e asiatiche:
in primis il gruppo CME, ossia
la Borsa di Chicago, la prima
al mondo nel mercato dei future e delle opzioni, l’Intercontinental Exchange (il gruppo
che gestisce il New York Stock
Exchange, cioè Wall Street),
e le Borse asiatiche: quella di
Tokyo e le Borse cinesi, Hong
Kong, Shanghai e Shenzen.
Con circa 26 miliardi di euro
di valore e più di 5 mila miliardi gestiti in rappresentanza di
3.200 aziende, le due società
messe insieme formeranno infatti uno dei mercati più grandi del mondo. In particolare nel
campo dei derivati, che era già
un loro comune punto di forza, e dove ora si propongono di rivaleggiare ad armi pari
con New York e Hong Kong,
come da separate non potevano sperare di fare. Ma l’operazione va anche oltre le due
sole Borse tedesca e britannica, e coinvolge l’intero sistema
finanziario europeo. Va tenuto
presente, infatti, che l’accordo
coinvolge già direttamente anche la Borsa di Milano, essendo quest’ultima stata acquisita
da quella di Londra nel 2007.
Inoltre, come ha sottolineato
l’ad di Deutsche Boerse, Kengeter, uno dei principali obiettivi della fusione è quello di dar
vita ad un importante network
che colleghi non solo Londra e
Francoforte, ma anche Milano,
Parigi e Lussemburgo, al fine
di “rafforzare il mercato europeo dei capitali”.
Anche l’attuale ad di LSE,
Xaviet Rolet, che ad accordo
realizzato dovrà cedere il posto nella nuova holding al suddetto Kengeter, nel sottolineare che la sua gestione, anche
con l’acquisizione della Borsa
di Milano, è stata all’insegna
dell’espansione e del consolidamento, ha dichiarato che
“il consolidamento continuerà
anche in futuro, perché stiamo
andando verso un framework
globale di regolamentazione
e ci sarà spazio solo per poche infrastrutture. Toccherà al
mio successore misurarsi con
Asia e America... non bisogna
dimenticarsi che il trading in
equity in Europa vale circa 40
miliardi di dollari al giorno, in
Usa 300, in Cina 600”.
In altre parole dietro questa
operazione formalmente tra
due società private come tante altre c’è in realtà la superpotenza imperialista europea,
che seppure sempre più divisa
al suo interno a livello politico
e geografico, cerca invece di
unirsi e rafforzarsi a livello economico e finanziario per non
essere schiacciata tra i giganti
imperialisti americano e cinese
e competere anzi con loro per
conquistare nuovi spazi nel
mercato globale. Anche perché, col referendum del 23 giugno, la Gran Bretagna potrebbe decidere l’uscita dalla UE,
e questo accordo mira chiaramente a scongiurare gli effetti
potenzialmente devastanti sul
mercato finanziario europeo
che una simile decisione poli-
tica potrebbe provocare.
Non a caso sia Londra che
Francoforte hanno tenuto a
rassicurare che la fusione andrà avanti indipendentemente
dall’esito del referendum sulla
Brexit. Insomma, mentre i governi europei si mostrano sempre più paralizzati dai veti incrociati e dai rispettivi interessi
di bottega, i grandi centri finanziari ed economici capitalistici non hanno invece difficoltà
a mettersi d’accordo ed unirsi
quando si tratta di rafforzare i
comuni interessi e la superpotenza europea che li rappresenta e li porta avanti nel sistema capitalista mondializzato.
Non manca tuttavia chi è
fortemente contrario e si oppone a questa fusione. Innanzi tutto gli americani, con Wall
Street e Chicago che da tempo avevano delle mire sulla
LSE, e che pur non avendo rilanciato sull’offerta tedesca,
potrebbero aspettare un’eventuale Brexit, approfittando delle oggettive difficoltà che provocherebbe alla realizzazione
dell’accordo, per inserirsi nella partita e farlo fallire. Ma soprattutto ci sono forti resistenze alla superborsa europea da
parte inglese, e in particolare
da parte delle forze economiche e politiche favorevoli alla
Brexit. A guidare l’offensiva è il
Daily Mail, il quotidiano londinese tra i più euroscettici, che
definisce una “follia finanziaria” cedere ai tedeschi la Borsa di Londra, “sopravvissuta
alla guerra contro Napoleone e
alle bombe di Hitler” e uno dei
“tre pilastri della City”, insieme
alla Banca d’Inghilterra e alle
assicurazioni Lloyds. “È inconcepibile che il nostro governo
non sia intervenuto per bloccare l’acquisizione di un bene
strategico per il nostro paese
come la Borsa di Londra da
parte di quella di Francoforte. La Germania sarebbe certamente intervenuta, se qualcuno provasse a comprare la
Bmw”, ha rincarato l’ex direttore della Camera di commercio
di Londra, John Longworth.
Simili resistenze nazionaliste fanno leva anche sul fatto
che la fusione non è proprio
“alla pari” come è stata definita, visto che la maggioranza
azionaria e la direzione operativa della superborsa europea sono a leggero vantaggio
tedesco. Del resto Francoforte ci aveva provato almeno altre due volte negli ultimi
15 anni ad acquisire il London
Stock Exchange, e in questo
senso si può vedere la fusione come un’acquisizione della Borsa di Londra da parte
dei tedeschi.
In ogni caso questo aspetto,
che ha a che vedere più con
l’orgoglio nazionale che con
le reali implicazioni economiche, ci sembra secondario rispetto alle finalità e alla posta
in gioco dell’operazione. Che
sono, rispettivamente, la concentrazione capitalistica dei
grandi centri finanziari europei,
che avanza anche al di là delle vecchie barriere nazionali,
per quanto oggi possano sembrare tornare in auge; e la sopravvivenza nell’arena del capitalismo globale, dove l’unica
legge che vale, oggi più che
mai, è quella del più forte.
Droni britannici a Sigonella
per la guerra alla Libia
Lo scorso 9 marzo la Segretaria di Stato per le forze armate, Penelope Mary Mordaunt,
nel rispondere alla Camera dei Comuni a un’interrogazione urgente al governo Cameron non negava che alcuni
droni britannici fossero schierati nella base aerea di Sigonella in Italia per la guerra alla
Libia, per le attività di spionaggio preparatorie e per gli attacchi armati non appena ci sarà
il via libera ufficiale.
All’interrogazione presentata da un parlamentare laburista
che chiedeva chiarimenti sul
fatto che i “permessi concessi
all’uso della stazione aerea di
Sigonella si estendessero sia
alle operazioni di lancio e ricovero del sistema a pilotaggio
remoto Reaper che alle missioni di combattimento” la Mordant rispondeva che “siamo
presenti da lungo tempo nella
Naval Air Station di Sigonella e
abbiamo fatto uso frequente di
essa; tuttavia non è prassi normale fare commenti sui dettagli degli accordi assunti con le
nazioni ospitanti”. Quando si
tratta di iniziative militari imperialiste palesemente illegali,
come nel caso delle azioni protette dai droni dei corpi speciali di vari paesi in una Libia ridotta a una polveriera proprio
dall’aggressione del 2011 che
distrusse il regime di Gheddafi, anche il governo di Londra
nasconde gli accordi stipulati
con altri paesi al proprio parlamento. La “prassi normale” imperialista è l’occultamento o la
manipolazione della verità piegata alle esigenze del momento e neanche limitata ai “dettagli”.
Poco più di un mese prima,
il 19 febbraio, allo stesso parlamentare laburista che aveva
chiesto se le forze aeree del
Regno Unito avessero “ricevuto il permesso dalle autorità italiane o comunque richiesto l’autorizzazione a utilizzare
la base di Sigonella”, il governo rispondeva che aveva “già
il permesso di operare dalla
stazione aeronavale siciliana.
Noi facciamo frequente uso di
essa; ad esempio, nel 2015, tre
elicotteri Merlin vi sono stati dislocati per prendere parte alle
operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Ora operiamo da Sigonella nell’ambito
di un’esercitazione di guerra
anti-sottomarini,
Dynamic
Manta”. A quanto pare quindi il
permesso a operare con i droni da Sigonella da parte della
Gran Bretagna potrebbe essere quindi una semplice estensione di quelli già precedentemente accordati dal governo
italiano. Magari sul modello di
quelli già concessi agli Usa secondo quella formula ipocrita
che prevederebbe il consenso
del governo italiano a azioni di
guerra da valutare “ogni volta
caso per caso” per “proteggere il personale militare in pericolo durante le operazioni anti-Is in Libia e in altre parti del
Nord Africa”, come rivelava il
Wall Street Journal e sostanzialmente confermava il governo Renzi.
Tra l’altro il sistema di comando e controllo dei velivoli
senza pilota britannici è strettamente integrato con quello
delle forze armate statunitensi. I droni britannici richiamati
nell’interrogazione parlamentare sono gli MQ-9 Reaper,
capaci di volare per 28 ore
consecutive, dotati di modernissimi sensori elettrottici e ra-
dar e armati con due bombe a
guida laser GBU-12 e otto missili aria-terra AGM-114 “Hellefire”.
I velivoli per la base di Sigonella sono una parte di quelli
in dotazione a due reparti della Raf di stanza nella base di
Waddington nel Lincolnshire e
che sono stati utilizzati in Afghanistan dal 2007 al 2014 in
operazioni d’intelligence e sorveglianza. Solo dopo l’autorizzazione del Congresso Usa,
cinque vettori MQ-9 sono stati armati e dal 2015 sono stati usati per bombardamenti in
Afghanistan, e contro lo Stato
islamico in Iraq e Siria.
E Sigonella si conferma
una delle basi avanzate per la
guerra imperialista in Libia che
il premier Renzi sostiene un
giorno sì e l’altro pure di non
voler fare mentre espone l’Italia al rischio di sanguinose rappresaglie e attentati.
Il Belgio manda gli F-16
a bombardare la Siria
Lo scorso 2 marzo il ministro degli Esteri, Didier
Reynders, aveva annunciato
la volontà del governo belga
di estendere alla Siria i raid
degli F-16 dell’aviazione belga contro lo Stato islamico
(Is); i caccia di Bruxelles erano in azione Iraq già dal 2014
in Iraq. “Credo che non abbia
senso - spiegava il ministro limitare la nostra azione all’Iraq senza estenderla oltre il
confine (con la Siria, ndr) se
i terroristi operano anche ol-
tre questo confine”.
Il 22 marzo i due attacchi
all’aeroporto internazionale di
Zaventem e nella metropolitana di Bruxelles erano rivendicati dall’Is con un comunicato diffuso da Amaq News nel
quale si affermava tra l’altro
che “promettiamo giorni cupi
agli Stati crociati che si sono
alleati contro lo Stato Islamico, rispondiamo alla loro aggressione contro il nostro Stato”. Un ragionamento chiaro,
voi ci colpite, noi rispondiamo.
Per interrompere la catena
bombardamenti-attentati potrebbe forse essere sufficiente cessare i raid imperialisti in
Siria e Iraq.
Invece il 25 marzo il premier belga Charles Michel
confermava che gli F-16 bombarderanno l’Is in Siria, una
posizione in piena sintonia
con gli altri paesi imperialisti crociati che continuano a
colpire lo Stato islamico e a
esporre le loro popolazioni
alla reazione degli aggrediti.
esteri / il bolscevico 15
N. 15 - 14 aprile 2016
Asserragliato in una base navale
Il governo fantoccio libico
degli imperialisti insediato a Tripoli
Non ha ancora il consenso dei governi di Tripoli e Tobruk
Il 5 aprile l’inviato delle Nazioni Unite in Libia, Martin Kobler, arrivava a Tripoli per la
prima visita ufficiale a Fayez
Serraj e al suo governo fantoccio costruito dagli imperialisti. Serraj era sbarcato nella capitale libica il 30 maggio,
proveniente via mare dalla Tunisia, e si era insediato o meglio asserragliato nella base
navale di Abu Sittah, accolto a fucilate dalle milizie di
alcune delle fazioni che sostengono il governo islamista
di Tripoli guidato da Khalifa
Ghwell, non ancora ufficialmente sciolto. Kobler ribadiva
il sostegno a Serraj e all’unico
governo riconosciuto dall’Onu
prima di spostarsi nella città
di Misurata, sede di una delle
più importanti milizie che sostenevano il governo islamista
e il cui passaggio a sostegno
al governo di unità nazionale hanno permesso a Serraj di restare a Tripoli. Ultima
tappa del viaggio dell’inviato
Onu sarà Tobruk, sede dell’altro governo libico sostenuto
dall’Egitto e delle sue milizie
guidate dal generale Khalifa
Haftar che non ha intenzione
per ora di mollare il comando
militare all’esecutivo di Serraj.
Detto in altre parole, il governo fantoccio libico degli imperialisti insediato a Tripoli resta asserragliato nella base
navale e non ha ancora il consenso dei governi di Tripoli e
Tobruk. Serraj cerca intanto di
garantirsi perlomeno le condizioni per una minima sopravvivenza in Tripolitania e cominciare a svolgere il compito
assegnatogli dai padrini imperialisti: tenere in piedi la baracca del governo di unità nazionale e far arrivare la tanto
attesa richiesta formale di intervento militare per garantire
la “sicurezza” delle istituzioni
libiche, delle sue importanti risorse energetiche e cacciare
fuori dal paese le formazioni
che hanno aderito allo Stato
islamico.
Serraj può registrare come
parziali ma significativi successi il riconoscimento intascato il 30 marzo dal gover-
natore della Banca centrale
libica Saddek Elkaber e di una
quindicina di sindaci delle città della Tripolitania. Il 2 aprile incassava quello ancora
più importante del responsabile della Noc, la compagnia
petrolifera che ha sede a Tripoli ma che il governo di Tobruk voleva dividere e mettere
in piedi una sede indipendente a Bengasi per controllare
quantomeno il petrolio della
Cirenaica. “La compagnia sta
lavorando con il Governo di
unità nazionale per coordinare le future vendite di petrolio
e lasciarsi dietro un periodo di
divisioni e rivalità” affermava
il responsabile della Noc che
metteva nelle mani di Serraj la gestione dei pozzi, dei
proventi delle vendite e della loro distribuzione nel paese. Assieme al sostegno della
Noc Serraj raccoglieva anche
quello della Petroleum Facilities Guard, un gruppo armato
semi-ufficiale che controlla le
installazioni petrolifere nell’est
e che non vuole sottostare al
governo di Bengasi.
Il 5 aprile anche il presidente della Lia, la Libyan Investment Authority, il fondo
sovrano libico creato ai tempi di Gheddafi che gestisce investimenti valutati in circa 70
miliardi di dollari, appoggiava
formalmente il “governo di accordo nazionale a Tripoli che
rappresenta un passo importante verso la stabilità e l’unità della Libia”. La Lia, come la
Noc, aveva dovuto respingere
il tentativo del governo di Tobruk di dividerla e creare una
seconda società per mettere
le mani sul controllo dei suoi
investimenti.
Secondo alcuni collaboratori di Serraj “sarà ancora
lunga e difficilissima ma per
ora l’abbiamo sfangata”. Non
sono stati ributtati a mare a
Tripoli, e riguardo ai responsabili delle fazioni ancora ostili
affermavano che “stiamo provando a comprarceli, a garantire a ciascuno di loro un futuro, un ruolo, lavori e appalti
per le loro aziende”. Come
sembra stiano facendo con
l’ex premier di Tripoli, Khalifa
Ghwell, che per giorni ha bloccato lo spazio aereo della città costringendo Sarraj a sbarcare via mare ma il 31 marzo
lasciava la capitale e tornava
a Misurata dopo essere stato convinto dagli anziani della sua città ad aprire un negoziato.
Sulla decisione di Ghwell
pesavano anche le pressioni dell’Unione europea (Ue)
che il 30 marzo lo aveva messo sotto sanzioni, congelamento dei beni e divieto di
viaggio, assieme al berbero
Nouri Abusahmin presidente
del parlamento di Tripoli e al
presidente del parlamento di
Bengasi Aguila Saleh, per non
aver subito riconosciuto il governo fantoccio.
Alle sanzioni della Ue si
erano unite le pressioni dell’inviato Onu Kobler che l’1 aprile
aveva ammonito che non esistevano alternative al riconoscimento del governo di unità
nazionale da parte di nessuno
e sollecitava anche il governo
di Tobruk a darsi una mossa
perché “non si può aspettare il
voto se quest’ultimo lo blocca
intenzionalmente”. L’urgenza,
ribadiva Kobler, era data dalla
necessità di dare il via “all’azione di contrasto ai terroristi
con una struttura di sicurezza unificata” da impiantare in
Libia e dotata di “armamenti
moderni”, che possono arrivare solo se entra in carica un
governo in grado di chiedere
la fine dell’embargo sulle armi
imposto al paese. Il momento di agire è arrivato, sottolineava l’inviato dell’Onu perché “non può esserci che una
soluzione militare nella lotta
contro l’Is”. L’obiettivo centrale dell’operazione messa in
piedi dall’imperialismo in Libia
per dare il via all’operazione
militare a guida italiana, sempre più vicina.
Sull’esecutivo fantoccio di
Serraj continua a pesare la
condanna del Gran Muftì della
Libia, Sadeq al Ghariani, l’autorevole religioso vicino al governo islamico di Tripoli che il
31 marzo denunciava “l’ingiusto gruppo che si fa chiamare governo di unità e che non
deve ingannare col sostegno
della comunità internazionale,
deve lasciare il paese”. “Noi
non siamo contro il consiglio
presidenziale ma siamo con la
patria e non amiamo venderla, deluderla e farla sottoporre
a un’amministrazione fiduciaria straniera che non rispetta
la nostra fede religiosa”, affermava il Gran Mufti.
Al vertice di Washington sul rischio nucleare
Obama: Impedire all’IS
di mettere le mani sulle armi nucleari
Accordo tra Obama e Xi contro il “terrorismo nucleare”
Il quarto appuntamento
del Nuclear Security Summit
(Nss) che si è svolto dal 31
marzo all’1 aprile a Washington ha chiuso il ciclo dei vertici inaugurato nella stessa città
nel 2010 e convocati dal presidente americano Barack Obama per perseguire l’obiettivo di
“un mondo senza armi nucleari”. I lavori del summit, cui hanno partecipato oltre 50 leader
mondiali, avrebbero permesso
all’iniziativa promossa da Obama, secondo le sue stesse parole, di costruire un consenso
globale sulla necessità di dotarsi di strumenti per affrontare
le sfide della sicurezza nucleare e definire nuove condizioni di sicurezza che permettano
di progredire nel campo della
non proliferazione e del disarmo verso “un mondo più sicuro
per tutti”.
L’iniziativa partita sei anni
fa ha prodotto l’intesa del 2010
tra Obama e l’allora presidente russo Medvedev sulla riduzione dei rispettivi arsenali nucleari, lasciando comunque un
numero di bombe nucleari suf-
ficienti a distruggere varie volte
il pianeta, e poco altro. A Washington la Russia non si è presentata per la crisi nei rapporti
con la Casa Bianca in seguito
alla crisi ucraina. L’iniziativa di
Obama non ha avuto alcun impatto sullo sviluppo degli arsenali nucleari di paesi che non
aderiscono nemmeno al trattato di non proliferazione nucleare ma che chiamandosi Israele, Pakistan e India non sono
neanche presi in considerazione dagli alleati paesi imperialisti e principali potenze nucleari. I quali una volta risolto
il contenzioso con l’Iran di Rohani sullo sviluppo del nucleare
iraniano, fermato da Teheran e
messo sotto il controllo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), hanno
lasciato comunque l’Iran fuori della porta non invitandolo
al summit e hanno continuato
a tenere nel mirino la non allineata Corea del Nord. Ma l’obiettivo principale dei Nss è
stato e resta quello della lotta
contro la “minaccia del terrorismo nucleare”. L’obiettivo riba-
dito nei vertici di Seul del 2012
e dell’Aja nel 2014 e aggiornato da Obama nel 2016 con l’indicazione della necessità di impedire all’Is di mettere le mani
sulle armi nucleari.
Nella presentazione del vertice Obama aveva dichiarato
che “considerata la continua
minaccia posta da organizzazioni come il gruppo terroristico che chiamiamo Stato Islamico ci uniremo agli alleati e
partner per riconsiderare i nostri sforzi nella lotta al terrorismo, per impedire che la rete
più pericolosa del mondo possa ottenere le armi più pericolose del mondo”. Non a caso
uno degli incontri previsti tra i
leader imperialisti nel summit
sulla sicurezza nucleare era
una sessione speciale sulla
lotta all’Is.
Il vertice ha definito cinque
piani d’azione per migliorare il coordinamento degli stati
membri con l’Aiea e l’Interpol
cui è affidata la responsabilità
principale per “rafforzare l’architettura globale di sicurezza nucleare”. A quell’Aiea che
fece da spalla a Bush nell’inventare le prove fasulle sull’inesistente arsenale di armi di
distruzione di massa di Saddam e legittimare la guerra imperialista all’Iraq nel 2003.
All’ultimo vertice della serie Nss, Obama non ha potuto
contare sull’apporto della Russia di Putin che ha voluto marcare le accresciute contraddizioni imperialiste con gli Usa;
il partner imperialista privilegiato è quindi risultato la Cina
di Xi Jinping che nell’incontro
bilaterale ha firmato una intesa in dieci punti per una collaborazione tra le due principali
potenze economiche imperialiste mondiali che hanno messo
per scritto e firmato l’impegno
“a lavorare insieme per sviluppare un contesto internazionale pacifico e stabile, riducendo
la minaccia del terrorismo nucleare”. Belle parole, mentre
nei fatti è in atto un perdurante
confronto economico e politico
per la supremazia mondiale tra
le due superpotenze, quella di
Obama in declino e quella del
rinnegato Xi in ascesa.
Gaza
Missili israeliani
uccidono
due
bimbi
palestinesi
I sionisti espandono le colonie in Cisgiordania
Una bambina palestinese di
6 anni ed il suo fratellino di 10
anni sono stati uccisi il 17 marzo nella loro casa a Beit Lahiya, nella Striscia di Gaza, dai
frammenti di un missile lanciato da un aereo militare israeliano; un altro fratello di 13 anni è
rimasto ferito. I due bimbi palestinesi vivevano in una casa,
già danneggiata nell’aggressione sionista del 2014, vicina
a una postazione delle Brigate Ezzedine al Qassem, braccio armato del movimento islamico Hamas. La notizia è stata
diffusa dal ministro della Salute di Gaza che in una intervista
all’emittente satellitare “al Arabiya” ha denunciato il gover-
no di Tel Aviv per aver lanciato
cinque raid aerei su strutture di
Hamas a Gaza.
La rappresaglia di Tel Aviv
era stata decisa dal governo
in risposta al lancio nei giorni
precedenti di alcuni razzi partiti
dalla Striscia e finiti poco oltre
i recinti del lager costruito dai
sionisti intorno a Gaza senza
provocare vittime. “Continueremo a proteggere vite innocenti
e la sovranità israeliana da chi
la minaccia”, era l’ipocrita commento del portavoce dell’esercito sionista in riferimento ai
sette missili lanciati dall’inizio
del 2016 da Gaza. Neanche
una parola per le due giovani vittime che abitavano in una
casa parzialmente distrutta dai
raid sionisti dell’estate 2014
durante l’operazione “Margine
Protettivo” e mai ricostruita a
causa della mancanza di materiali edili che come molti altri generi necessari non entrano nella Striscia per il blocco di
fatto dei valichi sia da parte di
Israele che dell’Egitto.
La tregua che pose fine
all’aggressione del 2014, pagata dai palestinesi con oltre
1.800 vittime civili, non è stata rispettata non tanto dal lancio di qualche razzo palestinese quanto dai raid dell’esercito
sionista che oltre alle rappresaglie di tipo nazista spara ai
contadini che tentano di lavo-
rare le terre vicino ai reticolati o
ai pescatori che sono costretti
a lavorare nelle poco pescose
acque entro le 3 miglia nautiche per imposizione unilaterale di Tel Aviv; il cessate il fuoco
prevedeva un limite a 6 miglia,
i famigerati Accordi di Oslo del
1994 ne prevedevano 20.
A proposito degli accordi
di Oslo, un recente rapporto
di Peace Now, l’associazione
israeliana che tra l’altro monitorizza lo sviluppo delle colonie, ha denunciato che il governo di Tel Aviv ha ripristinato
la politica di confisca di vasti
appezzamenti di terra palestinese per consentire l’espansione delle colonie con una
frequenza mai vista dagli anni
’80, prima di quegli accordi.
L’osservatorio delle colonie
israeliane ha individuato una
vasta area di territorio palestinese a sud di Gerico, nella
parte centrale della Cisgiordania, che è stata dichiarata poche settimane fa “terra statale” dall’amministrazione civile
di Israele. Questa azione rappresenta uno dei più grossi furti
di terra degli ultimi anni da parte dei sionisti, disposto lo scorso gennaio per un territorio di
15 ettari e realizzato il 10 marzo su una superficie di oltre 23
ettari destinato alla costruzione
di almeno 350 unità abitative
nella colonia illegale di Almog.
Questo esproprio, unito a
quello da 50 ettari del 2014 nel
distretto di Betlemme, segue la
politica di espulsione dei palestinesi dalla parte centrale della
Cisgiordania che si troverebbe
a essere divisa in due. I nazisti
sionisti continuano a tenere segregati e sotto tiro i palestinesi
nel ghetto di Gaza mentre distruggono case e campi palestinesi coltivati in Cisgiordania
a favore dell’allargamento delle illegali colonie. Senza pagar
pegno per questo e per l’occupazione della Palestina e la negazione dei diritti fondamentali del popolo palestinese grazie
all’impunità garantitagli dai paesi imperialisti.
Al referendum del 17 aprile
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