N.15 data editoriale 14 aprile 2016
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N.15 data editoriale 14 aprile 2016
Settimanale Nuova serie - Anno XXXX - N. 15 - 14 aprile 2016 Fondato il 15 dicembre 1969 39° Anniversario della fondazione del PMLI L’ALTERNATIVA A RENZI di Giovanni Scuderi PAG. 2 Il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI durante la lettura del Rapporto politico al 5° Congresso nazionale del PMLI tenutosi a Firenze dal 6 all’8 dicembre 2008 A Milano, Catania, Fucecchio e Borgo S. Lorenzo Banchini e volantinaggi del PMLI per il Sì al referendum contro le trivellazioni Banchino unitario tra PMLI e PRC a Ischia PAG. 12 Giornata di mobilitazione nazionale di Cgil, Cisl e Uil sulle pensioni 3 aprile 2016. Un momento della diffusione a Ischia dei volantini per il Sì al referendum contro le trivelle (foto Il Bolscevico) Centinaia di migliaia di pensionati e lavoratori in piazza Tre le manifestazioni centrali Venezia, Roma e Napoli, tantissime le iniziative territoriali PAG. 6 Più di 3.000 posti di lavoro in pericolo nel settore sanitario Droni britannici a Migliaia in piazza a Napoli contro i licenziamenti Sigonella per la guerra voluti dai padroni di “Almaviva” e “Gepin” alla Libia Gravissime responsabilità del nepodestà De Magistris e del governatore De Luca PAG. 14 PAG. 13 Quali sono le La Boschi apre all’elezione diretta energie rinnovabili del presidente della Repubblica più pulite Deve dimettersi per aver accreditato il padre come “persona perbene”, invece è Una vecchia idea fascista e piduista indagato per bancarotta fraudolenta Con la partecipazione dell’Italia PAG. 8 PAG. 4 Con un emendamento “chirurgico” sul progetto di legge Nasce a Londra la Renzi ed il PD affossano definitivamente il referendum sull’acqua superborsa Traditi 27 milioni di elettori che votarono il referendum nel 2011 europea a guida tedesca Arrestato l’imprenditore E’ morto Cirano Biancalani PAG. 4 Lavorava grazie ai boss nel feudo del latitante Messina Denaro I mercati finanziari europei si uniscono per fronteggiare quelli americani e cinesi PAG. 14 antiracket del calcestruzzo Il business dei cantieri e del cemento depotenziato frutta alle mafie un miliardo l’anno PAG. 5 Nel 1964 uscì dal PCI perché aveva capito che era revisionista Era membro della Cellula “Nerina ‘Lucia’ Paoletti” di Firenze PAG. 11 2 il bolscevico / PMLI N. 15 - 14 aprile 2016 39° Anniversario della fondazione del PMLI L’ALTERNATIVA A RENZI A sinistra del PD sono in corso diverse iniziative per creare una alternativa a Renzi. I suoi promotori sono per lo più vecchie volpi borghesi e riformiste, navigati parlamentaristi che puntualmente si riciclano a ogni mutare di situazione politica. Tra essi ci sono ben noti imbroglioni falsi comunisti, alcuni dei quali, Ferrero e Diliberto, sono stati addirittura ministri di governi borghesi. Il primo ha approvato il famigerato “pacchetto Treu”, il secondo non ha battuto ciglio quando il governo D’Alema ha partecipato ai bombardamenti della Federazione Jugoslava. Il maggiore raggruppamento dei dissidenti a sinistra di Renzi è costituito dalla formazione che per adesso si chiama Sinistra italiana, della quale fanno parte Sel degli ex “comunisti” Vendola e Fratoianni, l’ex Verde Cento e l’ex “ultrasinistro” Casarini, nonché Futuro a sinistra di Fassina. Esso si propone di “mescolare ogni appartenenza”, di realizzare “una sinistra di tutti e di tutte” per “costruire un’alternativa di società, pensata da donne e uomini, fatta di pace e di giustizia sociale e ambientale, unici veri antidoti per fermare le destre e l’antipolitica, il terrore di Daesh, i cambiamenti climatici”. Il PRC di Ferrero non sarebbe stato contrario a un progetto insieme con le forze che fanno parte di Sinistra italiana, solo che non intendeva autosciogliersi. Lavorerà allora per “costruire un movimento antiliberista su scala nazionale ed europea e all’interno di questo di un soggetto unitario della sinistra antiliberista”, “ritenendo ancor oggi che il fallimento del socialismo reale ponga con forza la necessità di una vera e propria rifondazione comunista, che faccia i conti fino in fondo con lo stalinismo”. Il PCDI di Diliberto invece con spezzoni del PRC, tra cui Domenico Losurdo e Manlio Dinucci già “maoisti” e fautori della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria e ora al soldo rispettivamente del socialimperialismo cinese e dell’imperialismo russo, si propone di “ricostruire” il PCI revisionista sulla base del pensiero di Togliatti e di Gramsci, “nel quadro ampio della sinistra di classe”. Con quali obiettivi? “Un governo diverso, ancorato ai principi costituzionali”. Il PC di Marco Rizzo non è d’accordo né con l’uno né con l’altro partito, poiché sostiene che occorre abbattere il capitalismo e in- staurare il socialismo. Ma con quale credibilità se si pensa che Rizzo è passa- di Giovanni Scuderi* Firenze, 6 dicembre 2008. Il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, al 5° Congresso del PMLI, risponde a pugno chiuso agli applausi dei delegati a conclusione della lettura del Rapporto politico Sotto: le insegne del PMLI in piazza San Giovanni a Roma durante la manifestazione nazionale della CGIL del 25 ottobre 2014 to da una posizione “ultrasinistra” quando era in Lotta continua a una posizione parlamentarista, riformista e governativa quando era nel PCI e poi nel PRC e nel partito dei comunisti italiani ora PDCI? E dal momento che anche lui si rifà a Togliatti e Gramsci e ignora Mao e la sua opera ideologica e politica? Inoltre come spiega che è sponsorizzato dai media della destra di Berlusconi e persino da Radio Vaticana? Un discorso a sé va fatto per il M5S che su alcune cose sta a sinistra di Renzi e su altre alla sua destra. Un movimento politico democratico borghese atipico, capace di attrarre forze popolari, specie giovanili, che a parole esalta il ruolo dei suoi membri, ma in realtà il potere è saldamente in mano a Grillo, Casaleggio e ai parlamentari e agli amministratori locali a loro vicini. Un movimento sfogatoio per le masse antirenziani e antiPD controllato da questi nuovi volponi perché esse non escano dai confini della Costituzione del ’48, dal capitalismo e dalle istituzioni borghesi. Un obiettivo comune a tutte le forze della “sinistra” borghese che propongono delle alternative a Renzi. Un obiettivo che non può certo condividere il PMLI che è nato proprio per combattere e distruggere il sistema economico capitalista e l’ordinamento costituzionale, istituzionale, giuridico, culturale e mo- rale borghese che sfruttano, opprimono e affamano le masse e impediscono ad esse di emanciparsi. Tuttavia siamo disponibili a lottare assieme a tutte le forze che vogliono liberare l’Italia da Matteo Renzi che sta ripercorrendo la strada di Mussolini in politica interna ed estera e sta completando il regime neofascista e presidenzialista preconizzato dalla P2, cosa che non è riuscito a fare Berlusconi. Un premier che si vanta di aver promosso l’emendamento Tempa rossa che fa gli interessi dei petrolieri, che esalta Marchionne e attacca i sindacati non è assolutamente tollerabile, va spazzato via. Ma non si può aspettare che ciò avvenga per via parlamentare ed elettorale, ammesso che vi si riesca. Bisogna cacciarlo con la forza subito scendendo in piazza, prima che consolidi il suo potere e che rimanga a Palazzo Chigi per altri venti anni. Va cacciato subito anche per impedirgli di coinvolgere militarmente l’Italia nell’avventura libica contro lo Stato islamico e per partecipare alla spartizione della Libia e del suo petrolio. Poi ognuno proseguirà per la sua strada: chi cercando di migliorare questo sistema e chi lottando per abbatterlo. Da parte nostra siamo convinti che una vera alternativa a Renzi non può che essere di classe e rivoluzionaria, non può non portare al potere il proletariato, la classe delle operaie e degli operai, non può non aprire le porte al socialismo. Questa è la missione storica che 39 anni fa, il 9 Aprile 1977, all’atto della sua fondazione, si è dato il PMLI, e che noi siamo fermamente intenzionati a proseguire sicuri che un giorno, non importa quando e chi di noi sarà ancora in vita allora, sarà realizzata. I tempi dipendono anche dalla presa di coscienza da parte del proletariato e delle nuove generazioni che solo il socialismo può liberare l’Italia dalla guerra, dal fascismo, dal razzismo, dall’islamofobia, dall’omofobia, dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dalle disuguglianze sociali, territoriali e di sesso, dalle ingiustizie sociali, dalla miseria, dalla disoccupazione e dal dominio della borghesia. Intanto impegniamoci affinché il 17 aprile vinca il SÌ al referendum contro le trivellazioni, alle elezioni comunali di giugno ci siano molti voti astensionisti con la consapevolezza di darli al PMLI e al socialismo, al referendum di ottobre la controriforma del Senato venga sepolta da una valanga di NO. Cacciamo il nuovo duce Renzi! Avanti con forza e fiducia verso l’Italia unita, rossa e socialista! Coi Maestri e il PMLI vinceremo! *Segretario generale del PMLI N. 15 - 14 aprile 2016 PMLI / il bolscevico 3 Per conoscere il PMLI Leggete i volumi dei cinque Congressi nazionali del PMLI 4 il bolscevico / governo renzi N. 15 - 14 aprile 2016 Una vecchia idea fascista e piduista La Boschi apre all’elezione diretta del presidente della Repubblica Deve dimettersi per aver accreditato il padre come “persona perbene”, invece è indagato per bancarotta fraudolenta “L’elezione diretta del capo dello Stato può essere presa in considerazione”, ma naturalmente “bisogna modificare anche il ruolo e le funzioni del presidente”. Con queste parole pronunciate con disinvoltura ad un convegno alla facoltà di Economia dell’università La Sapienza, la ministra delle Riforme Maria Elena Boschi ha fatto cadere un altro tabù della “sinistra” borghese, rispolverando e sposando un vecchio cavallo di battaglia della destra fascista e piduista: quella repubblica presidenziale che era stata in partenza l’idea del fascista Almirante e dei golpisti Pacciardi, De Lorenzo, Borghese e Sogno, e poi assurta a disegno centrale del “piano di rinascita democratica” e dello schema R” della loggia P2 di Gelli. Un disegno realizzato passo passo nei decenni successivi prima da Craxi, poi da Berlusconi, e infine oggi dal nuovo duce Renzi, che lo sta completando con la controriforma istituzionale e costituzionale che porta proprio il nome della sua fedelissima ministra. E così il cerchio si chiude: gli eredi rinnegati, liberali e democristiani del PC revisionista, contro il quale fu ideata e portata avanti la strate- gia golpista, presidenzialista e piduista, oggi sono diventati proprio quelli che la stanno realizzando in prima persona, con la legge elettorale ultramaggioritaria e fascista Italicum, l’abolizione del Senato e del bicameralismo, pilastro della Costituzione del 1948, e il rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio, secondo l’idea del “premierato forte” che è una versione surrettizia del presidenzialismo. E ora già annunciano senza pudori quale sarà il passo successivo e definitivo: l’elezione diretta del presidente della Repubblica, con il conferimento dei relativi poteri presidenziali, secondo il modello francese del quale, con l’Italicum, è già stata anticipata la legge elettorale a doppio turno con ballottaggio. Fischiata dagli studenti de La Sapienza Quella della Boschi non è un’uscita involontaria e buttata lì senza riflettere, bensì svela semplicemente quello che è il disegno complessivo e l’obiettivo finale del processo di controriforme piduiste messo in moto dal nuovo duce e dalla sua banda. Intanto serve a preparare l’o- pinione pubblica e a sondare le sue reazioni, così come è stato fatto ad esempio per l’abolizione dell’articolo 18 che ha liberalizzato i licenziamenti. La Boschi ha fatto questo annuncio durante la lezione tenuta il 21 marzo nell’aula magna intitolata ad Ezio Tarantelli ad una platea selezionata degli studenti di economia della Sapienza sul tema “Portando l’Italia nel futuro: la riforma istituzionale”, in cui ha potuto magnificare praticamente senza contraddittorio la controriforma che prende il suo nome. Come hanno denunciato infatti gli studenti del Coordinamento Link, per poter accedere all’incontro era necessario registrarsi in anticipo di alcuni giorni, consegnare un proprio documento di identità e farsi perquisire abiti e zaini. Per poterle porre domande, inoltre, era necessario inviare una mail con i testi delle domande che dovevano passare un vaglio preventivo per essere ammesse. Anche per questa procedura repressiva e discriminatoria, oltre che per il contenuto stesso della sua “lezione”, mentre parlava la ministra è stata contestata e fischiata da un gruppo di studentesse e di studenti del Coordina- mento Link Sapienza riuniti fuori dall’aula, con uno striscione che riportava la scritta “La democrazia non chiede il permesso! No alla censura, No alla riforma costituzionale”. “Non ci stupisce questa gestione perché l’idea di università sottesa all’organizzazione di questa iniziativa dimostra lo stesso autoritarismo che ha questo governo nella riforma delle istituzioni”, ha dichiarato una portavoce del Coordinamento. “Un parlamento – ha aggiunto – eletto con una legge incostituzionale trasforma le due camere per piegarne le funzioni alle esigenze del mercato, riducendo la rappresentanza politica e aumentando i poteri dell’esecutivo che nomina così le più alte cariche dello Stato. Oggi abbiamo rivendicato il fatto che la democrazia non chiede il permesso, ci stiamo mobilitando perché ad ottobre voteremo NO al referendum sulla Costituzione e aboliremo questa vergognosa legge”. La cosa ancor più vergognosa è che la ministra è andata a tenere la sua concione piduista a La Sapienza il giorno dopo la notizia che suo padre, Pier Luigi Boschi, è stato indagato per bancarotta fraudolenta dalla procu- ra di Arezzo, insieme a tutti i componenti degli ultimi due Consigli di amministrazione di Banca Etruria. Sono almeno una decina i procedimenti aperti per individuare i responsabili che hanno portato al fallimento per 3 miliardi della banca aretina, di cui il padre della Boschi è stato vicepresidente. Il più importante dei quali riguarda maxi prestiti a società di amici e parenti dei dirigenti, concessi senza garanzie o garanzie insufficienti e mai rientrati, in molti casi senza neanche prendersi la briga di reclamarne la restituzione. Riproposta la mozione di sfiducia alla ministra Eppure, nonostante che suo padre risulti ora indagato per bancarotta fraudolenta, la Boschi, che pure aveva rifiutato di dare le dimissioni quando fu discussa la mozione alla Camera, sostenendo a spada tratta che suo padre era una “persona perbene” ed estraneo al crac dell’Etruria, continua tutt’ora a fare orecchie da mercante e a respingere ogni richiesta di dimissioni, e il PD renziano a fare quadrato intorno a lei: “Io non lascio, l’ho già detto in parlamento, rispondo solo di quel che ho fatto, delle riforme, dell’attuazione del programma”, ha risposto con la consueta arroganza la ministra all’iniziativa del M5S, che ha riproposto la mozione di sfiducia contro di lei per conflitto di interessi già depositata ma mai discussa al Senato. “La mozione non ha senso e comunque se la faranno la respingeremo”, ha aggiunto il vicesegretario del PD, Guerini. È scandaloso poi il modo con cui la nuova Rai renziana è riuscita ad occultare completamente la notizia dell’indagine a carico del padre della Boschi, così come della ripresentazione della richiesta di dimissioni della ministra. Maria Elena Boschi si deve dimettere, subito: non è tollerabile che la figlia di un bancarottiere, sospettato di avere legami con la P2 tramite il faccendiere Carboni e il pluricondannato Verdini, possa ancora vantarsi impunemente di aver contribuito a riscrivere la Costituzione, come ha fatto davanti agli studenti de La Sapienza proclamando che “ci sono voluti settant’anni per riformarla ma questa può essere la volta buona”. Con un emendamento “chirurgico” sul progetto di legge Renzi ed il PD affossano definitivamente il referendum sull’acqua Traditi 27 milioni di elettori che votarono il referendum nel 2011 A metà marzo, in Commissione Ambiente della Camera, è stato approvato un emendamento a firma Enrico Borghi, che ha abrogato l’articolo 6 del progetto di legge sull’acqua, e con esso l’obbligo della gestione pubblica dei servizi idrici. L’articolo 6, in rispetto ai risultati del voto del 2011 di 27 milioni di italiani pari al 95% dei votanti che dissero Sì, definiva il servizio idrico integrato quale servizio pubblico locale privo di rilevanza economica e ne disponeva l’affidamento esclusivo a enti pubblici, vietando l’acquisizione di quote azionarie a società private di gestione. L’intento di tale articolo era anche quello di definire regole uniformi per tutto il territorio nazionale. Ora, abrogato l’obbligo, si riaprono le porte (in realtà mai chiuse) ai privati che gestiscono già il sevizio idrico in molte città del nostro Paese, poiché, di fatto, cancellando l’articolo 6 si elimina l’obbligo che l’acqua, la sua gestione e le infrastrutture idriche siano pubbliche. Praticamente come se il referendum del 2011 non ci fosse mai stato. È interessante sottolineare che l’emendamento, approvato dalla maggioranza senza l’appoggio di M5S e Si-Sel che per protesta hanno lasciato l’aula, è passato nonostante il parere negativo del Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) secondo il quale la formulazione attuale non è sufficiente per rispettare gli attuali principi di concorrenza. Naturalmente, visto che la critica è puramente formale, sarà un gioco da ragazzi rivedere la formulazione ed aggiustare il testo che diventerà dunque presto conforme anche al parere del MiSE. Con una faccia tosta da mozzare il fiato, il PD si difende, affermando che la legge, così come è passata in Commissione Ambiente, conferma la proprietà pubblica dell’acqua e “prevede invece che i privati possano partecipare alla gestione dei servizi idrici, rendendoli più efficienti e meno costosi, tema mai toccato dal referendum del 2011”. Un paradosso nei fatti, dal momento che ovunque la gestione privata dei servizi idrici, ha portato al crollo dell’occupazione nel settore, precarizzazione dei contratti, riduzione degli investimenti pari al -19% nell’ultimo decennio di gestioni attraverso SpA, riduzione della qualità del servizio e, dulcis in fundo, l’esponenziale aumento delle tariffe. Il governo oggi vuole privatizzare l’acqua, ma nel 2011 tra i 27 milioni di votanti c’erano anche i piddini e lo stesso Renzi, allora sindaco di Firenze, che aveva annunciato il suo sì al referendum per la gestione pubblica del sistema idrico. “L’obiettivo di votanti contrari ed astenuti”, aveva commentato subito dopo il risultato, “adesso deve essere quello di accettare il risultato e non cercare di fare come in passato i giochini per far finta di nulla”. Addirittura Renzi si era spinto fino a proporre che il Comune di Firenze “riacquistasse il 40 per cento della società Publiacqua”. A rafforzare l’ennesima truffa politica, nel giorno in cui il comitato referendario denuncia l’attacco all’acqua pubblica, su “l’Unità riportata in edicola da Renzi per farne il proprio bollettino, il direttore Erasmo D’Angelis di stretta fede renziana, scrive: “Non ha più senso la demagogia del bene comune”. Quell’impostazione per D’Angelis dunque, “non fa i conti con la realtà concreta di una Italia” dei “2.500 comuni fuorilegge per scarichi di reflui non collegati a depuratori o fognature e che ammorbano fiumi, torrenti, laghi o mare”. Gli argomenti usati ora dal PD sono gli stessi di chi all’epoca si opponeva al referendum; “Abbiamo una rete che ha in media 40 anni di vita e perde il 37 per cento di risorsa; c’è bisogno di uno scatto, di mettere in cantiere nuove opere strategiche e inter-generazionali”, c’è bisogno dunque di privati, perché “le risorse che occorrono per colmare gravi deficit infrastrutturali sono enormi”. Ed ancora, “Lasciamoci alle spalle l’approccio simbolico, metaforico Il Forum dei Movimenti per la ripubblicizzazione dell’acqua festeggia in piazza la vittoria del referendum del 12 e 13 giungo 2011 o filosofico” perchè “se il buon Dio ci ha donato questa risorsa ha dimenticato acquedotti, reti e depuratori (…) e ci dobbiamo pensare noi ed è illusorio credere di poter tornare al passato quando tutto finiva nel pozzo della fiscalità generale”. Che dire. Vogliamo augurarci che questo inequivocabile e grave tradimento possa smuovere le coscienze non tanto della fantomatica, strumentale e poco reattiva minoranza DEM, bensì degli ancora tanti elettori del PD in buona fede che nel 2011 votarono per la ripubblicizzazione dell’acqua e che ora sono alle prese con un partito di destra, alleato del massone e mafioso Verdini, del fascista Alfano, guidato da una oligarchia di despoti che non rinuncia a nessuna vigliaccheria pur di portare acqua (appunto) al mulino dei capitalisti e della grande borghesia, sulla pelle della popolazione del nostro Paese. Renzi va cacciato subito, prima che riduca ulteriormente gli spazi democratici già al lumicino e che completi il suo piano di annientamento dei diritti, in primis quello del lavoro, e di svendita dei beni comuni a partire proprio dal più essenziale per la vita umana qual è l’acqua. corruzione / il bolscevico 5 N. 15 - 14 aprile 2016 Tangentopoli Anas 36 indagati tra cui il deputato Martinelli (FI) Il 10 marzo la Procura di Roma ha dato il via all’operazione “dama nera 2”, alias Antonella Accroglianò, il capo del coordinamento tecnicoamministrativo dell’Anas Spa finita in galera a ottobre scorso insieme ad altre dieci persone, tra politici, funzionari Anas e tre imprenditori, fra cui spicca il piddino Luigi Meduri, ex presidente della Regione Calabria per un anno (dal 1999 al 2000), poi deputato dal 2001 al 2006 e infine sottosegretario alle Infrastrutture del governo Prodi. In questa seconda tranche dell’inchiesta le persone arrestate sono 19. Si tratta sempre di alti dirigenti Anas e imprenditori titolari di appalti di opere pubbliche di primaria importanza e sono tutte accusate a vario titolo di corruzione per l’esercizio della funzione e per atto contrario ai doveri d’ufficio, turbata libertà degli incanti, autoriciclaggio, favoreggiamento personale e truffa. Gli indagati invece sono 36 e tra loro spicca il boss politico Marco Martinelli, attuale parlamentare di Forza Italia e vice presidente della fondazione della Libertà per il bene comune presieduta dal fascista Altero Matteoli, re- 19 arresti per mazzette centemente riconfermato presidente della commissione Ambiente e Lavori Pubblici del Senato grazie al voto determinante dei M5S, ex ministro dell’Ambiente e delle Infrastrutture, e già indagato dalla Procura di Livorno nell’ambito delle inchieste sugli abusi edilizi all’Isola d’Elba e poi dalla Procura di Venezia per lo scandalo del Mose. A Martinelli gli inquirenti contestano i reati di concorso in turbativa d’asta e corruzione. In particolare nell’ordinanza si parla del suo ruolo di intermediario politico con il costruttore siciliano Giuseppe Ricciardello (indagato dallo scorso ottobre, oggi ai domiciliari) a proposito di alcuni appalti dell’Anas in Sicilia. L’imprenditore, padre del sindaco di centrodestra di Brolo Irene Ricciardello e suocero dell’onorevole regionale Nino Germanà (NCD), aveva chiesto a Martinelli anche un intervento di Matteoli, ma soprattutto ha consegnato alla “dama nera” delle tangenti Anas, un anticipo di 30mila euro per “l’interessamento svolto”. La somma, alla quale si sarebbe aggiunto il saldo di 270mila euro, è stata divisa dalla destinataria in tre quote di 10mila euro l’una: una per sé, una per Martinelli e una per Elisabetta Parise, dirigente delle risorse umane dell’Anas che nel 2013 era candidata in Consiglio comunale a Roma con la Lista “Alfio Marchini Sindaco”. A dare il via a questa nuova ondata di arresti sono state le rivelazioni della stessa “dama nera”. Secondo il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone la Accroglianò aveva “trasformato la più grande stazione appaltante d’Italia in un vero e proprio ufficio mazzette dell’Anas... dal quale tutti i giorni gestiva questo flusso di corruzione e trattava male chi ritardava i pagamenti”. Ossia le tengenti che la Accroglianò chiama spesso “ciliegie” sovente farcite anche con viaggi e soggiorni di lusso da 90 mila euro a botta e noleggio di auto di lusso con autista. Sulla base delle sue ammissioni e dei successivi riscontri e verifiche effettuati dagli uomini del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Roma, sono scattati i nuovi provvedimenti. Agli arresti domiciliari sono finiti i funzionari Anas: Antonino Parlato, Oreste De Grossi, Sergio Serafino Lagrotteria e Giovanni Parlato. Carcere anche per gli imprenditori Emiliano Cerasi, Giuseppe Colafelice, Antonino Ferrante, Vincenzo Loconte, Carmelo Misseri, Andrea Musenga, Elisabetta Parise, Vito Rossi, Giovanni Spinosa, Paolo Tarditi, Antonio Valente e Sergio Vittadello. Nella rete della Procura ci sono finiti di nuovo anche i boss della Tecnis costruzioni, Concetto Bosco Lo Giudice e Francesco Domenico Costanzo che, da paladini della legalità di Confindustria Sicilia, si sono rivelati incalliti corruttori della “dama nera” e, in un altra indagine, vengono addirittura indicati come collegati a Cosa nostra. Nel corso dell’operazione sono state sequestrate disponibilità finanziarie per circa 800mila euro – derivanti dalla corruzione – ed effettuate oltre 50 perquisizioni negli uffici e nelle abitazioni di una cinquantina di persone coinvolte dislocate in quasi tutta la Penisola: Lazio, Sicilia, Calabria, Puglia, Lombardia, TrentinoAlto Adige, Piemonte, Veneto, Molise e Campania. Perquisite anche le sedi Anas di Roma, Milano e Cosenza. Inquietante lo scenario descritto dal Gip di Roma che nel suo provvedimento parla di “un marciume diffuso all’interno di uno degli enti pubblici più in vista nel settore economico degli appalti”. Una “corruzione sistemica” resa ancora più “sconvolgente” dalla facilità di intervento del sodalizio per eliminare una penale, aumentare interessi e facilitare il pagamento di riserve, nonché, ancora più grave, far vincere un appalto ad una società “amica”, a discapito di altre risultate più meritevoli. “Il mercimonio della pubblica funzione – sostiene poi la Guardia di Finanza – e la sistematicità dell’asservimento della medesima sono stati i tratti essenziali che hanno caratterizzato per anni” l’operato dei pubblici funzionari dell’Anas che sono stati arrestati. In cambio di questo mercimonio, i dirigenti, ma anche il deputato di Forza Italia Martinelli: “hanno ottenuto utilità e provviste corruttive dai titolari di aziende affidatarie di commesse di opere pubbliche di interesse nazionale”. Utilità che, secondo quanto è stato accertato, sono pari alle disponibilità finanziarie sequestrate, circa 800mila euro. Tra gli appalti irregolari, la Guardia di Finanza evidenzia quello per l’itinerario basentano, compreso il raccordo au- tostradale Sicignano-Potenza, per la Ss 117 Centrale Sicula (cofinanziata dalla Regione Sicilia), entrambi aggiudicati nel 2014, per la Ss 96 Barese e per la Ss 268 del Vesuvio, entrambe aggiudicate nel 2012, e anche per la realizzazione della nuova sede Anas di Campobasso, opera aggiudicata nel 2011. Non a caso tra gli arrestati figura il costruttore molisano Giovanni Spinosa al quale sono state perquisite abitazione e azienda. Il deputato Martinelli, invece, ha garantito ad un imprenditore la nomina di un presidente di gara “non ostile” per un appalto in Sicilia. Grazie al suo intervento e in virtù del ruolo istituzionale ricoperto l’imprenditore si è poi aggiudicato l’appalto. Sullo sfondo anche l’ombra della ’ndrangheta. Secondo quanto emerso a fine ottobre Accroglianò aveva “consigliato” ai titolari di un’azienda vincitrice di un appalto in Calabria, di subappaltare alcune opere a ditte di imprenditori contigui alla criminalità organizzata calabrese. Una vicenda che riguarda una serie di opere pubbliche nel comune di Palizzi, in provincia di Reggio Calabria. Lavorava grazie ai boss nel feudo del latitante Messina Denaro Arrestato l’imprenditore antiracket del calcestruzzo Il business dei cantieri e del cemento depotenziato frutta alle mafie un miliardo l’anno Dal nostro corrispondente della Sicilia Vincenzo Artale, membro del collegio dei probiviri di un’associazione antiracket, simbolo “antimafia” del trapanese, ma allo stesso tempo boss della locale cupola mafiosa, è stato arrestato nell’ambito dell’indagine “Cemento del Golfo”. L’inchiesta è stata coordinata dalla Dda (Dipartimento distrettuale antimafia) di Palermo, guidata dal procuratore Francesco Lo Voi. Avviata nel 2013, dopo una serie di attentati a imprenditori edili e del movimento terra, ha portato alla luce come le forniture di cemento in provincia di Trapani siano state monopolizzate da Cosa nostra, attraverso l’azienda dell’insospettabile imprenditore. Nel 2006 Artale aveva denunciato alcuni esattori del pizzo e immediatamente era stato proclamato “imprenditore coraggio” e osannato come simbolo dell’antimafia. Era riuscito persino ad incassare 250mila euro di indennizzo dal Fondo di solidarietà, previsto per le vittime di estorsione ed usura. Ma l’imprenditore, mentre giudicava severamente il comportamento dei membri dell’associazione antiracket, usandola poi come copertura, faceva affari con i boss e scalava progressivamente i gradini dell’associazione criminale, fino ad entrare nella cupola mafiosa di Castellammare, enclave storica delle cosche trapanesi, dirette dal latitante Matteo Messina Denaro. Protetto dalla mafia, Artale diventa velocemente il boss del cemento nella provincia di Trapani. Le ditte appaltatrici di lavori pubblici o privati era- Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI e-mail [email protected] sito Internet http://www.pmli.it Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164 Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze Editore: PMLI chiuso il 6/4/2016 ISSN: 0392-3886 ore 16,00 no costrette con minacce e intimidazioni a rifornirsi di cemento dall’imprenditore. Artale è finito in carcere insieme a Mariano Saracino, 69 anni, boss di Castellammare del Golfo, Vito Turriciano, 70 anni, Vito e Martino Badalucco, padre e figlio, con l’accusa di associazione mafiosa, estorsione aggravata, danneggiamento aggravato, fittizia intestazione aggravata, frode nelle pubbliche forniture e furto. Il suo cemento, imposto con le minacce del boss, Mariano Saracino, già condannato per essere stato il “cassiere” della cosca di Castellammare e prima il “ministro delle Finanze” della cupola provinciale guidata da Messina Denaro, sarebbe stato utilizzato pure per le opere pubbliche, come il viadotto Cavaseno di Alcamo, in provincia di Trapani, lungo la Palermo-Mazara del Vallo e il cimitero di Castellammare. Ma le indagini hanno messo in evidenza preoccupanti elementi, come dice anche il procuratore capo Francesco Lo Voi: “Alcuni lavori potrebbero essere stati eseguiti con calcestruzzo depotenziato. Si tratta di opere pubbliche e private. Alcuni appalti già ultimati, altri da completare”. Il giro di affari sul calcestruzzo depotenziato non è ancora defi- Ponte crollato sulla Sciacca-Agrigento nito, ma si potrebbe aggirare intorno al miliardo di euro. “È una storia emblematica, questa - dice il procuratore aggiunto Teresa Principato, impegnata nelle indagini per la ricerca del superlatitante della provincia di Trapani, Matteo Messina Denaro - ancora una volta le intercettazioni hanno svelato che l’antimafia di maniera può diventare uno schermo perfetto per mascherare scalate imprenditoriali all’ombra della mafia”. È l’ennesimo simbolo dell’antimafia che finisce nel ciclone di un’inchiesta giudiziaria, dopo i più noti Montante, Helg, Costanzo. Ormai è chiaro che la strategia della mafia è di infiltrare l’antimafia per coprirsi con essa e lavorare indisturbata. Il che dimostra l’estrema vitalità dell’organizzazione mafiosa, in grado di rigenerare un nuovo sistema clientelare, di estendere quella “zona grigia” in cui si muovono insieme e a loro agio mafiosi, politicanti borghesi e antimafiosi da chiacchiera, giudici, poliziotti, finanzieri, padroni d’industria, colletti bianchi, affaristi. Tra le pieghe di questa storia, emerge certamente come la testa della mafia si trovi proprio nell’alta finanza, nei circoli dell’industria, dell’agricoltura, del terziario e nelle istituzioni, che oggi indossano la maschera dell’antimafia, ma agiscono esattamente come i filomafiosi aperti e dichiarati. Evidentemente il regime renziano con la sua ostentata antimafia di facciata a tutti i livelli delle istituzioni borghesi ha dato l’esempio più chiaro di come svuotare di contenuti concreti la lotta alla mafia per farla diventare solo un nome a cui attaccare un’etichetta: vedasi Mattarella, ad esempio, un cognome che copre la devastazione filomafiosa del governo Renzi, e Crocetta che ha dato in pasto la Sicilia a Confindustria infiltrata dalla mafia. 6 il bolscevico / pensioni N. 15 - 14 aprile 2016 Giornata di mobilitazione nazionale di Cgil, Cisl e Uil sulle pensioni Centinaia di migliaia di pensionati e lavoratori in piazza Tre le manifestazioni centrali Venezia, Roma e Napoli, tantissime le iniziative territoriali “Cambiare le pensioni e dare lavoro ai giovani”. È questo lo slogan della giornata di mobilitazione nazionale promossa da Cgil, Cisl e Uil sabato 2 aprile. La giornata è stata aperta dalle tre manifestazioni principali di Venezia, Roma e Napoli, che hanno visto migliaia di pensionati, lavoratori, giovani e donne sfilare in corteo per le vie centrali delle città, e dalle centinaia di iniziative territoriali. A Venezia, il corteo di quattromila manifestanti è partito dalla stazione ferroviaria Santa Lucia, ha attraversato le vie principali per giungere in Campo Santa Margherita dove era atteso il comizio della segretaria nazionale della Cgil, Susanna Camusso. A Roma, dal concentramento di piazza dell’Esquilino il corteo ha percorso le vie centrali ed è arrivato in piazza SS. Apostoli. Dal palco ha parlato la segretaria nazionale della Cisl Annamaria Furlan. A Napoli, il concentramento era fissato in piazza Dante Alighieri per sfilare per le vie del capoluogo campano e giungere in piazza Giacomo Matteotti dove a rappresentare gli organizzatori c’era il segretario della Uil Carmelo Barbagallo. Molti gli interventi di lavoratori e pensionati prima dei sindacalisti nazionali. I cortei, vivaci e combattivi hanno riempito le strade di bandiere sin- dacali, cartelli, gigantografie e caricature che richiamavano il tema della manifestazione. Una grande mobilitazione che non ha risparmiato neppure le province più remote con centinaia di iniziative e manifestazioni unitarie svolte a livello territoriale. Volantinaggi, presidi, assemblee, sit-in, flasch-mob, si sono svolti in moltissime città e molteplici le iniziative in quelle capoluogo; manifestazioni con cortei territoriali hanno attraversato Torino, Cuneo, Ferrara, Livorno, Ancona, Sassari e Oristano, Messina, Siracusa, Enna e Catania. Presidi, assemblee e volantinaggi a Trieste, Trento, Bolzano, Genova, Firenze, Terni, L’Aquila, Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria, Cagliari, Nuoro e Palermo; in Basilicata la mobilitazione è stata spostata al 9 aprile in concomitanza con la manifestazione regionale per il lavoro. Cgil, Cisl e Uil, nella piattaforma nata dalla loro ritrovata unità, chiedono al governo di “modificare” la legge Fornero creando nuove opportunità di lavoro per i giovani; proteggere le pensioni in essere, potenziare e sostenere la previdenza complementare, più tutele previdenziali per i giovani con lavori discontinui e precari, riconoscimento del lavoro di cura familiare e della differenza dei la- Napoli, 2 aprile 2016. La manifestazione di Napoli dei lavoratori pensionati vori. Una soluzione ad hoc viene chiesta per i lavoratori precoci, ovvero il pensionamento con quota 41 di anzianità contributiva. Questo è quanto hanno ribadito nei comizi, quasi fotocopia, i tre segretari generali richiamando le responsabilità del governo che non ha rispettato gli impegni presi (aprire un tavolo di trattativa) senza però alzare il tiro sulle altre “riforme” antioperaie, antipopolari e neofasciste del nuovo duce Renzi come il Jobs Act. Era il momento di chiamare i pensionati, i lavoratori e i giovani in piazza, un appuntamento invocato dagli attivi interregionali dei quadri e delegati del 17 dicembre scorso, per chiedere il giusto riconoscimento dei diritti di chi ha già lavorato e chi deve ancora entrare nel mondo del lavoro. Ma i tre vertici sindacali collaborazionisti non hanno saputo dare una piattaforma adeguata alla posta in gioco e alla voglia di riscatto dei pensio- nati e dei lavoratori danneggiati, limitandosi a richiedere solo modifiche invece della totale e immediata cancellazione confermando, al di là delle promesse parolaie, la loro sottomissione e omologazione alla politica stangatrice antioperaia e antipopolare che i governi hanno adottato in questi anni, da Monti a Renzi fino ad accettare, di quest’ultimo, il Jobs Acts, la cancellazione dello Statuto dei lavoratori e il diritto alla pensione. La numerosa e combattiva partecipazione ai cortei e alle iniziative di mobilitazione territoriale del 2 aprile, invece, hanno resi visibilissimi il disagio, le difficoltà e le ingiustizie reali causati dalla legge Fornero, che in questi anni ha ridotto alla fame e impoverito decine di migliaia di lavoratori e pensionati e le loro famiglie. La controriforma Fornero va abrogata, va ripristinato il diritto alla pensione di anzianità a 55 anni per le donne e 60 per gli uomini, con 35 anni di contributi. E va richiesto con forza che i risparmi finora ottenuti con tale famigerata “riforma” (30 milioni all’anno, fonte sindacale), siano restituiti ai pensionati. I sindacati hanno annunciato dai rispettivi palchi un’altra manifestazione che dovrebbe essere fissata a Roma per il 19 maggio se non otterranno risposte dall’esecutivo. 24 mila esodati senza stipendio e senza pensione Sono almeno 24 mila gli esodati creati dalla legge Fornero del 2011 rimasti ancora senza stipendio e senza pensione, perché esclusi dal settimo e ultimo intervento di salvaguardia inserito nella legge di Stabilità 2016. E questo secondo dati dell’Inps e del ministero del Lavoro, perché secondo la Rete nazionale dei Comitati dei lavoratori esodati, che sta cercando di effettuare un censimento di tutti gli interessati, potrebbero essere anche di più. La Rete lo ha denunciato con forza in un appello del 14 marzo scorso rivolto al premier Renzi, in cui si premette che questo è solo l’ultimo di una lunga serie di appelli che gli sono stati fatti in due anni di governo, con la richiesta di un incontro per trovare una soluzione definitiva all’annoso problema dei lavoratori esodati, costretti a restare fino a 7 anni senza reddito e senza pensione, senza però aver mai ricevuto una risposta. L’appello ricorda infatti a Renzi l’intervista alla trasmissione “Che tempo che fa” nella quale as- sicurava che per i 49.500 esodati certificati dal ministero del Lavoro al parlamento si sarebbe provveduto a sanare il dramma con la settima salvaguardia nella legge di Stabilità 2016. “Dichiarazioni - accusano i Comitati - alle quali non sono seguiti dei fatti: ad oggi, di quei 49.500, oltre 24.000 lavoratori esodati restano ancora non salvaguardati, nonché esclusi da ogni possibilità di deroga; con una specifica norma di legge si è istituito e finanziato (anche con le risorse non utilizzate delle 6 precedenti norme di deroga) il ‘Fondo esodati’ le cui somme avrebbero dovuto essere usate esclusivamente per nuovi provvedimenti a favore degli esodati. Ad oggi però le risorse del fondo istituito con la legge 228/2012 sono state distratte per il finanziamento della ‘no tax area’, per interventi infrastrutturali per il Giubileo, per interventi sulle aree ex-Expo e per finanziare in parte il provvedimento di ripristino delle norme che regolano la cosiddetta ‘opzione donna’”. In sostanza, denuncia l’appel- lo, “sia la sesta che la settima salvaguardia sono state finanziate con i risparmi dei precedenti provvedimenti di deroga”, e il governo “ha consentito però che il Fondo a loro specificamente destinato venisse usato come un bancomat”. Pertanto i lavoratori esodati chiedono che il Fondo sia immediatamente reintegrato degli stanziamenti stornati e che il governo disponga un ottavo provvedimento di salvaguardia per tutti i 24-30 mila lavoratori esodati, esclusi dalla settima e ultima salvaguardia inserita nella legge di Stabilità, che con le vecchie regole avrebbero maturato il diritto di andare in pensione entro il 2018. Per il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, il governo potrebbe inserire il provvedimento di ottava e ultima salvaguardia nel Documento di economia e finanza da presentare entro aprile. Per la sua copertura, secondo i Comitati degli esodati, basterebbero 2 miliardi, che ci sarebbero già stati se non fossero stati scippati da Renzi Il corteo dei lavoratori esodati durante una manifestazione nazionale sindacale per finanziare altri capitoli di spesa elettoralmente più remunerativi per lui. Ma per il nuovo duce quello degli esodati è un capitolo ormai chiuso, e da questo orecchio non ci vuole assolutamente sentire. Non ci saranno più altri provvedimenti di salvaguardia. Infatti la sola ipotesi che viene ventilata in ambienti del PD è quella di affrontare la questione all’interno della cosiddetta “riforma della flessibilità in uscita” delle pensioni. Come dire campa cavallo, un modo furbesco per prendere tempo, senza rompere definitivamente con gli esodati, visto che tra poco si vota, ma senza nemmeno prendere impegni precisi: lasciando cioè che sia il tempo e la rassegnazione a risolvere il problema degli esodati rimasti beffati. Una tattica cinica che i disoccupati esodati non devono lasciar passare impunemente, ma devo- no far fallire continuando con la tenacia e la mobilitazione di cui sono capaci, come dimostra anche la combattiva partecipazione alla manifestazione dei pensionati del 2 aprile a Roma, senza allentare la pressione sul governo del nuovo duce Renzi e sul PD e pretendendo dai vertici dei sindacati il massimo della tutela e dell’appoggio, finché anche l’ultimo di loro non sia stato pienamente salvaguardato. interni / il bolscevico 7 N. 15 - 14 aprile 2016 I risultati della consultazione sulla Carta della CGIL non ci convincono I tre referendum su punti specifici del Jobs Act sono inaccettabili Senza la lotta di classe non si conquistano i diritti dei lavoratori Il 21 marzo la Cgil ha approvato ufficialmente la Carta dei Diritti universali del Lavoro. Il Comitato direttivo riunitosi a Roma si è espresso quasi all’unanimità: nessun voto contrario e solamente sei astenuti. Evidentemente nel “parlamentino” di Corso d’Italia, composto da circa 170 rappresentanti, erano tutti d’accordo o comunque chi aveva delle perplessità non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo e votare contro. Nel comunicato rilasciato dalla Cgil si riportano anche i dati scaturiti dalle assemblee dove i lavoratori hanno discusso ed espresso il parere sui due quesiti posti dal sindacato: il primo riguardo all’approvazione della Carta e il secondo per quanto concerne il mandato al comitato direttivo della Cgil di definire quesiti referendari utili a sostenere il percorso per la trasformazione in legge. Che i risultati fossero favorevoli era scontato: tutto il gruppo dirigente guidato dalla Camusso ne aveva fatto una bandiera, così come erano favorevoli tutte le strutture, le componenti o aree che dir si voglia, compresa De- mocrazia e Lavoro di Rinaldini e Nicolosi, la Fiom e tutte le categorie. Unica voce contraria Il sindacato è un’altra cosa, la componente di minoranza un tempo guidata da Cremaschi e adesso da Sergio Bellavita. Un giudizio critico comunque molto ambiguo, che bocciava la Carta senza tuttavia denunciare fino in fondo la trasformazione della Cgil in sindacato istituzionale e neocorporativo, lasciando i lavoratori liberi di esprimersi anziché invitarli a dare battaglia e a contestare la Carta proposta ed elaborata dalla Segreteria e da un gruppo di giuslavoristi. Nonostante questa premessa i risultati che sono stati presentati lasciano alquanto perplessi. Sulla consultazione si sono espressi col voto 1.466.697 iscritte ed iscritti alla Cgil, facendo registrare una larghissima maggioranza di favorevoli: il 98,49% per quanto riguarda l’approvazione della Carta ed il 93,59% per quanto concerne il mandato ad indire referendum in materia. In un paio di mesi si sono svolte 41.705 assemblee, “uno sforzo politico ed organizzativo senza precedenti - recita il comunicato - un grande fatto di democrazia e partecipazione che conferma il radicamento senza eguali del sindacato confederale nella società italiana”. Ricordiamo però che la Cgil supera di gran lunga i 5 milioni d’iscritti, quindi poco più di uno su quattro ha potuto esprimere il proprio parere. Su quasi un milione e mezzo di voti i No alla proposta sono stati 5.529, lo 0,38%, gli astenuti l’1,13%, percentuali addirittura inferiori a quelli che si sono opposti ad eventuali referendum sui temi sollevati dal Jobs Act. Numeri davvero bassi per pensare che ci sia stata una benché minima discussione sui luoghi di lavoro, come del resto non c’è stata nei direttivi provinciali e di categoria. Le critiche di chi era contrario apparse su alcune riviste digitali e blog di RSU di grandi aziende o di gruppi di lavoratori, parlano di assemblee monocorde, monopolizzate dai funzionari sindacali che hanno presentato la Carta come una controffensiva per conquistare nuovi diritti e accusato i critici di non voler difendere i nuovi lavoratori atipici. Noi marxisti-leninisti invece ribadiamo il nostro giudizio negativo non solo sul metodo e sul percorso scelto dalla Cgil, ben lontano dall’essere democratico, ma anche nel merito delle questioni sollevate dalla Carta. Questa viene presentata come una innovazione necessaria per estendere i diritti quando invece la Carta non fa altro che accettare tutte le forme contrattuali precarie che sono state introdotte nel mondo del lavoro negli ultimi 25 anni, cercando solo di limitarne i danni. L’altro aspetto, per molti versi anche più grave, è la definitiva accettazione da parte della Cgil, anche sul piano formale e legislativo, del sindacato istituzionale e cogestionario rivendicando l’applicazione degli articoli 39 e 46 della Costituzione. Si sposa in sostanza il modello della Cisl, dell’Ugl, ma in definitiva di Marchionne e di Renzi e delle loro relazioni industriali e sindacali di stampo mussoliniano. Un sindacato che non ha come proprio obiettivo quello di rappresentare gli interessi dei lavoratori, bensì quello di contribuire ad assicurare la massima produttività al capitalismo italiano, ritagliandosi a tutti gli effetti un ruolo riconosciuto e certificato nelle istituzioni borghesi. Nella stessa riunione sono stati presentati anche tre referendum per i quali partirà dal 9 aprile la raccolta delle firme. Come era stato già anticipato non si tratta di abrogare il Jobs Act ma solo alcuni suoi aspetti, seppur importanti. I referendum proposti sono quelli per eliminare i voucher, per reintrodurre la responsabilità per le ditte appaltatrici al pari di quelle in sub-appalto, per l’eliminazione dell’attuale norma che regola la reintegra del lavoratore licenziato senza giusta causa (l’ex articolo 18). Referendum a sostegno della proposta di legge popolare, la Carta appunto, che dovrebbe essere approvata dal parlamento nero del regime neofascista, lo stesso che ha votato a larga maggioranza il Jobs Act del nuovo duce Renzi. Un percorso al tempo stesso inaccettabile e perdente. Il parlamento borghese italiano nella sua storia non ha mai recepito e fatto propria una legge d’iniziativa popolare, pur essendo previsto dalla Costituzione. Riguardo ai referendum proposti in questa maniera è facile prevederne il fallimento. Senza la mobilitazione dei lavoratori, delle masse e la lotta di classe non si conquistano nuovi diritti né se ne riconquistano di vecchi, i referendum da soli non portano da nessuna parte. Serve una battaglia forte e decisa contro la politica economica e sociale del governo Renzi, estendere la lotta contro la “riforma” pensionistica della Fornero che è partita solo adesso con 4 anni di ritardo, rigettare il “nuovo” modello contrattuale che cancella il contratto nazionale e ammette aumenti salariali soltanto legati alla produttività aziendale. Inseriti in un contesto del genere allora sì, i referendum possono rivelarsi un valido strumento di lotta, mettendo però nel mirino tutto l’impianto del Jobs Act e chiedendone la completa abrogazione, e non solo alcuni singoli articoli. Otto gli iscritti nel registro degli indagati per aver raggirato i clienti e finanziato irregolarmente l’istituto Indagato il presidente della Banca Popolare di Vicenza Zonin per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza Il 22 settembre scorso la Procura di Vicenza ha iscritto nel registro degli indagati il presidente dell’istituto di credito, Giovanni Zonin, e l’ex direttore generale dell’istituto Samuele Sorato accusati di aggiotaggio e ostacolo alle funzioni dell’autorità di vigilanza nell’ambito dell’inchiesta aperta dal procuratore capo Antonino Cappelleri e affidata al Pubblico ministero (Pm) Luigi Salvadori in seguito agli esposti presentati dai correntisti raggirati dall’istituto. Insieme a Zonin e Sorato nell’inchiesta sono coinvolti anche due consiglieri d’amministrazione: Giovanna Maria Dossena e Giuseppe Zigliotto; e i due ex vicedirettori Andrea Piazzetta ed Emanuele Giustini. Le perquisizioni disposte dall’autorità giudiziaria hanno interessato oltre che la sede amministrativa e legale di Vicenza anche gli uffici direzionali di Milano, Roma e Palermo. L’inchiesta riguarda le azioni della banca acquistate tramite finanziamenti per 975 milioni di euro erogati agli oltre 117 mila soci-azionisti dallo stesso istituto di credito in misura tale da costituire violazione delle norme del diritto bancario. Secondo l’ipotesi investigativa la banca ha finanziato un quarto del suo stesso capitale azionario (circa 4 miliardi di euro), superando i limiti consentiti. Il raggiro ai danni dei risparmiatori è avvenuto anche con la complicità del governo Renzi artefice del decreto che ha permesso alle popolari di trasformarsi in Spa. Infatti un filone dell’inchiesta riguarda proprio la sovrastima del prezzo delle azioni, poi tagliate di circa il 23% (da 62,5 a 48 euro) in seguito a un’ispezione della Banca centrale europea, che ha provocato una voragine nella casse dell’istituto di oltre 1 miliardo di euro nel primo semestre del 2015 quasi tutti a carico degli azionisti a cui sono stati erogati finanziamenti per 974,9 milioni di euro per acquistare o sottoscrivere azioni della banca stessa. Ma non è tutto: secondo gli inquirenti, gli indagati avrebbero anche assunto nei confronti di alcuni soci l’impegno scritto al riacquisto delle azioni, sottolineando così la natura fittizia dell’operazione, volta esclusivamente a far apparire la banca più solida e capitalizzata di quel che era in realtà. Tra i soci beneficiari di questo trattamento “privilegiato” ci sarebbero i fondi d’investimento di diritto maltese Athena, Optimum Multistrategy1 e Optimum Multistrategy2 che, secondo quanto rivelato da L’Espresso, fanno capo al finanziere Alberto Matta e al suo collaboratore Girolamo Stabile, gestore dei fondi maltesi e vicepresidente della holding romana Methorios che ha fatto diverse operazioni con la Popolare di Vicenza e che ha incrociato anche il destino di un’altra banca finita male, la Banca Popolare dell’Etruria. Ma la cosa incredibile è come hanno fatto le autorità di controllo e vigilanza del sistema bancario a non accorgersi dei maneggi di Zonin. Addirittura risulta che la Banca d’Italia ha venduto a caro prezzo (9 milioni di euro) la sua sede di Vicenza proprio alla Banca popolare. Eppure, almeno dal 2008, grazie ai primi esposti circostanziati presentati da l’Adusbef, tutti sapevano dei problemi patrimoniali e di liquidità che affliggevano l’ottava banca italiana; Come mai nessuno si è mai chiesto in tutti questi anni come facevano Zonin e la sua banda a procurarsi i quattrini e a piazzare le loro azioni a un prezzo così esorbitante? Dove era la Consob Richiedete Le richieste vanno indirizzate a: [email protected] PMLI via A. del Pollaiolo, 172/a 50142 Firenze Tel. e fax 055 5123164 quando nel 2013 Giambattista Duso, commissario straordinario di Bene Banca, nonché amministratore delegato di Marzotto sim, società di intermediazione mobiliare legata a filo doppio alla Banca popolare di Vicenza, ha girato di punto in bianco una cinquantina di milioni su un conto presso la popolare vicentina? Una somma enorme per il piccolo istituto di credito cooperativo di Bene Vagienna, somma ben superiore al 25% del patrimonio prudenziale. E i revisori? Il collegio sindacale? I consiglieri d’amministrazione? Possibile che in tutti questi anni non siano mai stati sfiorati dal dubbio? Duso, tra l’altro, è stato denunciato in sede penale. L’indagine è perciò destinata ad allargarsi e non solo come numero di indagati, ma anche su ulteriori ipotesi di reato in altre sedi della BpVi a cominciare dalle filiali di Prato dove sono già in corso gli accertamenti disposti dalla magistratura per scoprire altre possibili irregolarità compiute dai dipendenti dell’istituto di credito nel proporre ai soci l’acquisto di azioni in vista degli aumenti di capitale. Non a caso il Codacons ha depositato formale richiesta di costituzione di parte offesa nell’inchiesta. “Abbiamo deciso di entrare nel procedimento aperto dalla Procura in rappresentanza della collettività e dei clienti della banca – si legge in una nota - e se dalle indagini emergeranno illeciti e violazioni delle norme, avvieremo una class action da parte di azionisti e correntisti dell’istituto di credito volta ad ottenere il risarcimento dei danni morali e patrimoniali subiti, anche nei confronti delle autorità di vigilanza per l’omesso controllo”. Insomma il tanto osannato modello bancario del Nord-Est rischia di essere definitivamente spazzato via dalle inchieste giudiziarie. 8 il bolscevico / energie rinnovabili N. 15 - 14 aprile 2016 QUALI SONO LE ENERGIE RINNOVABILI PIU’ PULITE Col termine “energie rinnovabili” si intendono forme di energia che hanno per fonti risorse energetiche “rinnovabili”, in generale risorse naturali, e che si rigenerano in tempi brevi se confrontati con i tempi caratteristici della storia umana. Grazie alla loro capacità di rigenerarsi, molte risorse energetiche rinnovabili sono considerate “inesauribili”, nel senso che si rigenerano almeno alla stessa velocità con cui vengono consumate, oppure non sono “esauribili” come il sole o il vento. Le “rinnovabili” sono forme di energia alternative alle tradizionali fonti fossili e molte di esse hanno la peculiarità di essere “energie pulite”, ossia di non immettere nell’atmosfera sostanze inquinanti e/o climalteranti, su tutte la CO2. Vediamo quali sono le principali. ENERGIA SOLARE L’energia solare è un’energia pulita e rinnovabile, termica o elettrica, prodotta sfruttando direttamente l’energia irraggiata dal Sole verso la Terra. Ogni istante il Sole trasmette sull’orbita terrestre 1367 watt per mq.; una enormità circa diecimila volte superiore a tutta l’energia usata dall’umanità nel suo complesso. La tecnologia principalmente usata per trasformare in energia sfruttabile l’energia pulita e rinnovabile del Sole è il pannello fotovoltaico, che utilizza le proprietà di particolari elementi semiconduttori per produrre energia elettrica quando sollecitati dalla luce. ENERGIA IDROELETTRICA L’energia idroelettrica è l’energia che sfrutta la trasformazione dell’energia potenziale gravitazionale posseduta da masse d’acqua in quota, in energia cinetica nel superamento di un dislivello: questa, a sua volta viene trasformata, per mezzo di un alternatore accoppiato ad una turbina, in energia elettrica. L’energia idroelettrica viene ricavata dal corso di fiumi e di laghi grazie alla creazione di dighe e di condotte forzate ed è una fonte di energia rinnovabile. L’energia idroelettrica è la principale risorsa alternativa alle fonti fossili usata in Italia, e garantisce circa il 15% del fabbisogno energetico italiano. ENERGIA EOLICA L’energia eolica sfrutta l’energia cinetica prodotta dal vento per produrre energia meccanica o elettrica, utilizzando il principio di funzionamento del mulino con le pale ruotanti collegate a un generatore elettrico. L’energia eolica rientra tra le forme di energia rinnovabile e pulita che forniscono alla rete nazionale italiana un contributo significativo in termini di energia elettrica prodotta. ENERGIA GEOTERMICA L’energia geotermica è un’energia rinnovabile e pulita generata sfruttando fonti geologiche di calore. In alcune particolari aree si presentano condizioni in cui la temperatura del sottosuolo è leggermente più alta della media, un fenomeno causato dai fenomeni vulcanici o tettonici, ed è proprio in queste zone “calde” che l’energia può essere facilmente recuperata mediante la geotermia, che consiste nel convogliare i vapori provenienti dalle sorgenti d’acqua del sottosuolo verso apposite turbine adibite alla produzione di energia elettrica e riutilizzando il vapore acqueo per il riscaldamento, le coltivazioni in serra ed infine il termalismo. In Italia la produzione di energia elettrica dalla geotermia è fortemente concentrata in Toscana; a livello internazionale è l’Islanda che ne dipende praticamente in maniera totale. Sulla classificazione dell’energia geotermica come “rinnovabile” non esiste uniformità di giudizio, in quanto è stata rilevata e osservata la possibilità di esaurimento di un campo geotermico. ENERGIA MAREOMOTRICE L’energia mareomotrice è un’energia rinnovabile e pulita ricavata dagli spostamenti d’acqua provocati dalle maree, che in alcuni luoghi della terra possono superare i 20 metri d’altezza. Esistono diversi progetti di sfruttamento delle maree, che comportano metodi diversi di sfruttamento dell’energia alcuni dei quali utilizzano pesi e gravità, altri compressione d’aria e turbine o ruote a pale. BIOMASSE ED INCENERITORI SONO DA CONSIDERARSI PRODUTTORI DI ENERGIE RINNOVABILI? Alcuni esperti tuttora considerano le centrali a biomasse quali fonti di energia rinnovabili. Le fonti di energia da biomassa sono costituite dalle sostanze di origine animale e vegetale, non fossili, che possono essere usate come combustibili per la produzione di energia. La più antica e principale fonte di energia da biomassa è la legna. Non possiamo però considerare l’energia prodotta attraverso la combustione di materiale organico che deve essere coltivato con ulteriore spesa economica, a sua volta energetica e di suolo, come una fonte rinnovabile. Anzi, visto l’inquinamento atmosferico che la combustione produce mettendo a rischio la salute pubblica e l’ambiente, le centrali a biomasse sono da equiparare sostanzialmente agli inceneritori. Le numerose battaglie dei comitati locali sparsi in tutta Italia e studi scienti- fici sempre più approfonditi hanno fatto crollare ogni teoria che voleva gli inceneritori qualificati come “produttori di energia rinnovabile”. Certe tesi, studiate artificiosamente assieme al nuovo nome di questi impianti chiamati solo in Italia “termovalorizzatori” per dare un senso positivo a queste macchine divoratrici di risorse e fonti inesauribili di nano polveri dannose alla salute ed all’ambiente, sono via via decadute mostrando il vero motivo che ne ha indotto la costruzione e la diffusione massiccia almeno fino ad una decina di anni fa (anche se se ne costruiscono ancora di nuovi), individuato nel business dei rifiuti indifferenziati, spesso in mano alle mafie. IL NUCLEARE Sebbene “non fossile”, l’energia nucleare non è annoverabile fra le rinnovabili poiché basata sullo sfruttamento di riserve combustibili limitate di origine minerale, in particolare per quanto riguarda l’energia da fissione e il ciclo di reazione che si basa sull’uranio-235 come combustibile. Un’argomentazione per avallare non tanto la “rinnovabilità” quanto la “sostenibilità” dell’energia nucleare è la mancata produzione di anidride carbonica durante il processo di fissione nelle centrali nucleari. Viene tuttavia evidenziato che lo scavo del minerale, la sua raffinazione, l’arricchimento, il riprocessamento e lo stoccaggio delle scorie radioattive comportano comunque elevati consumi energetici e quindi una certa produzione di CO2, sebbene ciò avvenga, anche se in misura minore, anche per la produzione da altre fonti energetiche. Naturalmente il tutto al netto degli enormi rischi della tecologia in sé e delle conseguenze disastrose, purtroppo già verificatesi in numerosi casi, l’ultimo dei quali pochi anni fa a Fukushima in Giappone. LE FONTI RINNOVABILI PIU’ PULITE L’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) ha elaborato una valutazione delle emissioni legate a ogni fonte di energia, sulla base di numerosi studi presi in considerazione. Le fonti rinnovabili (tranne le biomasse) hanno zero emissioni dirette, cioè causate dal processo di generazione di elettricità. Per ottenere un risultato attendibile però, bisogna conteggiare le emissioni dell’intero ciclo di vita di una tecnologia, dall’estrazione delle materie prime, alla costruzione degli impianti, al loro esercizio, fino allo smantellamento e alla gestione dei suoi rifiuti. Ad oggi quindi le emissioni sono inevitabili. Il risultato è che la fonte a minori emissioni è l’eolico, con 11 grammi per l’onshore (a terra) e 12 per l’offshore (in Pannelli fotovoltaici su un tetto condominiale mare). Seguono l’energia marina (17 grammi) anche se tecnologia in fase d’avvio o sperimentale, l’idroelettrico (24) e il solare a concentrazione (27). L’IMPATTO AMBIENTALE DELLE FONTI RINNOVABILI Le “rinnovabili” sono dunque fonti di energia che possono permettere uno sviluppo più sostenibile, per un tempo prolungato, e sono ritenute quelle a minore impatto ambientale. È comune oggetto di discussione il fatto che sia realmente possibile soddisfare tutto l’attuale fabbisogno energetico del pianeta solo con il potenziale energetico proveniente da fonte rinnovabile; permangono ad esempio, oltre agli stessi limiti naturali, problemi riguardo la necessità di costruire grandi infrastrutture per lo stoccaggio dell’energia, come ad esempio bacini idroelettrici di pompaggio con i relativi rischi umani ed ambientali agli ecosistemi come i fiumi e l’agricoltura che essi comportano. Ma qual è allora l’impatto ambientale delle “rinnovabili”? Il problema maggiore nello sviluppo della produzione energetica mareomotrice, ad esempio, è rappresentato dallo sfasamento tra ampiezza massima di marea disponibile e domanda di energia elettrica nelle ore di punta. Infatti nei giorni di insufficienza nell’afflusso d’acqua la produzione di elettricità cesserebbe. Relativamente all’eolico, la realizzazione delle centrali e delle opere ad esse accessorie ha come primo, più vistoso ed evidente effetto, la devastazione irreversibile dei valori paesaggistici e panoramici. Intendendo il paesaggio come “bene comune” e come risorsa anche economica, la sua alterazione unitamente alla rumorosità delle pale, compromette in modo rimarchevole la qualità del territorio in questione. Oltre ai danni ambientali e alla fauna, va considerata la costruzione di infrastrutture di servizio, come strade e linee elettriche, che ne accrescono il già notevole impatto sull’ambiente e sulle sue varie componenti. Inoltre l’energia eolica, così come quelle solare fotovoltaica e termodinamica, è energia intermittente e, poiché l’accu- mulazione di grandi quantità di energia elettrica è oggi di fatto ancora impraticabile, ne consegue che l’energia elettrica prodotta dal vento e dal Sole deve essere distribuita e consumata nel momento in cui viene prodotta. Ciò significa che gli impianti di energia rinnovabile intermittente devono essere connessi direttamente alla rete elettrica di distribuzione, dove esiste però un limite tecnico oltre il quale si rischia di provocare il collasso di parte o dell’intero sistema elettrico nazionale. Rimanendo sul solare, uno dei limiti maggiori riguarda il consumo di suolo occupato dai cosiddetti “campi fotovoltaici” che sottraggono superficie utile all’agricoltura e ad altre attività, considerando le possibilità di espansione di questa tecnologia. Una soluzione la si potrebbe trovare utilizzando superfici già occupate, a partire dai tetti delle abitazioni o dalle coperture di fabbricati industriali o dei parcheggi coperti. In questo settore, il sempre maggior ricorso al riciclo, ha fatto fare grossi progressi nel campo dello smaltimento che via via va riassorbendone i costi. Ad oggi, con le migliori tecnologie e con la disponibilità di un mercato di materie prime-seconde, da ogni modulo si recuperano 15 kg di vetro; 2,8 kg di plastica; 2 kg di alluminio; 1 kg di polvere di silicio e 0,14 kg di rame. Nonostante ciò è stato accertato che alcuni pannelli e moduli in silicio amorfo sono realizzati con tellurio di cadmio, un materiale tossico, inquinante e velenoso a livello europeo, che quindi elude e contraddice l’obiettivo stesso dell’utilizzo del fotovoltaico. Naturalmente i produttori di pannelli fotovoltaici hanno come unico interesse il profitto poiché, come tutto nel capitalismo, anche l’industria cosiddetta “verde” persegue lo stesso obiettivo di quella che promuove ed utilizza le fonti fossili. LA POSIZIONE DEL PMLI Nonostante tutti gli sforzi e gli auspici del caso, è bene essere consapevoli che non esiste produzione umana a impatto zero, così com’è altrettanto indubbia l’esistenza di produzioni energetiche che hanno sull’ambiente i minori svantaggi possibili. Sfruttare le risorse rinnovabili, a partire da acqua, vento e sole, riduce sensibilmente l’emissione di gas serra, ed anche questo è un dato di fatto ed un punto fermo dal quale rilanciare la dismissione progressiva delle fonti fossili, costose ed altamente inquinanti. Così come i rifiuti; pur riconoscendo la difficoltà di raggiungere l’obiettivo dei “Rifiuti Zero” lanciato dall’associazionismo ambientalista, è giusto porselo intensificando il riutilizzo, il riciclaggio e la raccolta differenziata spinta; tuttavia gran parte del risultato che potremo raggiungere è legato alle politiche sia di produzione stessa dei materiali ed in primis degli imballaggi, sia dalle politiche adottate dalla grande distribuzione che ha in pugno il mercato. L’elemento principale della nostra analisi rimane quindi legato al sistema di produzione capitalistico e cioè la mancanza assoluta di pianificazione della produzione in base alle necessità della popolazione, al soddisfacimento dei suoi bisogni e al rispetto dell’ambiente. È la natura stessa del capitalismo, ossessionato dalla ricerca del massimo profitto ad ogni costo, la prima causa che impedisce il raggiungimento di una produzione energetica in armonia con l’ambiente e la popolazione umana. Il processo produttivo capitalista conosce come suo unico regolatore le ricorrenti e cicliche crisi di sovrapproduzione. Cosicché alterna frenetici e incontrollati periodi di supersfruttamento di forza lavoro e di risorse energetiche a fasi di immobilismo produttivo nelle quali si distruggono le merci in eccedenza rimaste invendute, sprecando di fatto l’energia che è servita alla loro creazione. La questione centrale non è quindi sul come produrre sempre più energia, ma come produrre quella necessaria a soddisfare i bisogni reali della popolazione. Ciò sarà possibile solo con il socialismo, col sistema socialista della produzione pianificata sulle reali esigenze della popolazione, che sarà in grado di utilizzare al meglio e risparmiare con lungimiranza le risorse naturali affinché esse possano rigenerarsi consentendo l’utilizzo delle migliori tecnologie esistenti. Poiché al centro c’è il soddisfacimento dei bisogni della popolazione, sarà possibile utilizzare parte di ciò che oggi è rapinato dal profitto per una più avanzata ricerca scientifica anche nel campo dell’energia. Sarà proprio questo sviluppo ulteriore della ricerca, capace di superare gli odierni limiti tecnici che impediscono la diffusione su più larga scala di queste forme energetiche rinnovabili, un obiettivo primario da raggiungere rapidamente viste le pessime condizioni nelle quali il sistema economico capitalistico ha ridotto la nostra Terra. referendum 17 aprile / il bolscevico 9 N. 15 - 14 aprile 2016 ile r p a 7 1 l e d re f e re n d u m e t u l a s a l e r a d r a u g a v l a s r e pe t n e i b m a ’ l la natura eie rinnovabili g r e n e e l r e p Stampato in proprio respon Committente sabile: M. MARTE NGHI (art. 3 - Legge 10.12.9 3 n. 515) Al le trivellazioni ma solo quelle entro le 12 miglia dalla costa; il che rappresenta un passo in avanti ma contemporaneamente rimarrebbero in piedi, oltre ad altre piattaforme esistenti, tutte le parti dello “Sblocca Italia” cucite su misura per le multinazionali dell’energia e per i petrolieri stessi. Attraverso il referendum e partecipando attivamente alla campagna referendaria però, sarà possibile sensibilizzare e attivizzare la popolazione al fine di creare consapevolezza affinché si possa davvero archiviare quantomeno l’idea di un modello energetico bicentenario basato sui combustibili fossili e scegliere finalmente le fonti rinnovabili che, oltre ad essere meno nocive per l’ambiente e il clima, rappresentano una potenziale opportunità per l’occupazione e per l’innovazione tecnologica. O N A I L A T I A T S I NIN E L A T S I X R A M PARTITO t pmli.it - www.pmli.i e-mail: commissioni@ l. e fax 055.5123164 Te -ZE EN FIR 2 14 50 2a tonio del Pollaiolo, 17 Sede centrale: Via An I marxisti-leninisti voteranno Sì e invitano l’elettorato a votare Sì al referendum sulle trivellazioni che si svolgerà il prossimo 17 aprile, e sono già impegnati a partecipare ai Comitati per il Sì che si stanno creando a livello territoriale. Il quesito referendario sulle trivellazioni, l’unico sopravvissuto dei sei iniziali proposti da 9 regioni italiane e dal mondo ambientalista No Triv e non superato dalle modifiche introdotte in seguito dal governo, contesta la norma secondo la quale le autorizzazioni di estrazione ad oggi rilasciate debbano essere fatte salve “per la durata di vita utile del giacimento”. Il governo sta tentando di ostacolare l’espressione del voto referendario con tutti i mezzi, arrivando addirittura a sprecare 360 milioni di euro di soldi pubblici che si sarebbero risparmiati con un Election Day assieme alle elezioni amministrative di giugno. Comm. resp.: Monica Martenghi (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515) Se vincerà il SÌ, sarà abrogato l’articolo 6 comma 17 del “codice dell’ambiente”, dove si prevede che le trivellazioni continuino fino a quando il giacimento lo consente. La vittoria del SÌ bloccherà tutte le concessioni per estrarre il petrolio entro le 12 miglia dalla costa italiana, quando scadranno i contratti. È necessario considerare anche che quando si parla di trivellazioni “offshore”, nessuno può escludere al cento per cento malfunzionamenti o incidenti. Pur gravi ovunque, in un mare chiuso come il Mediterraneo un disastro petrolifero causerebbe danni ingenti e probabilmente irreversibili. Fra l’altro è criminale accettare tali rischi per recuperare, come ammette anche il governo, riserve certe di petrolio che nei mari italiani equivarrebbero a neanche due mesi di consumi nazionali, unite a prelevamenti di gas che ne soddisferebbero non più di sei. Ad onor del vero non pensiamo che la lotta su questo fronte possa limitarsi alla sola soluzione referendaria, tanto più visto l’esito tuttora disatteso dell’altro grande referendum, quello sulla ripubblicizzazione dell’acqua, enormemente partecipato e stravinto. Va considerato inoltre che, una volta abrogata la norma in oggetto, non saranno sospese tutte La nostra indicazione di partecipare al suddetto referendum e di votare Sì non è in contraddizione con l’indicazione tattica di astenersi (disertare le urne, annullare la scheda o lasciarla in bianco) alle elezioni amministrative, politiche ed europee. Indicazione che ribadiamo anche in occasione delle elezioni comunali parziali del 12 giugno prossimo. Per quanto riguarda i referendum, trattandosi di scelte concrete, il PMLI stabilisce di volta in volta se partecipare o no e quale voto indicare, in base al quesito posto, alle circostanze politiche e a ciò che è più vantaggioso per il proletariato e le masse popolari sfruttate e oppresse e per la lotta di classe. In questo referendum chi si oppone a scelte sbagliate in materia energetica, che mettono a rischio la salute, la natura e l’ambiente e, più in generale, chi vuol dare un colpo alla politica antipopolare, energeticamente obsoleta ed estremamente pericolosa di Renzi, deve andare a votare e votare SÌ. Deve farlo anche nell’ottica di servire un amaro antipasto al governo in previsione del referendum che si terrà il prossimo autunno sulle controriforme del Senato ed elettorale piduiste e fasciste. Allora andrà votato NO. Per noi marxisti-leninisti il referendum non è lo strumento privilegiato per far affermare i diritti del proletariato e delle masse. Per noi la lotta di classe, di massa e di piazza resta il migliore e più proficuo metodo per difendere le conquiste dei lavoratori, dei disoccupati, dei pensionati, delle donne e degli studenti, anche sul fronte ecologico, e strapparne di nuove alla classe dominante borghese in camicia nera e al suo governo. Tant’è vero che proprio la mobilitazione e la lotta sono state determinanti anche in questa occasione, affinché si svolgesse il referendum. Attualmente la lotta di classe, di massa e di piazza è tanto più decisiva e necessaria dal momento in cui il regime capitalista e neofascista amministrato dal governo Renzi ha reso ancor più angusti e limitati gli spazi democratici borghesi, ha ulteriormente aggravato le condizioni di vita e di lavoro delle masse lavoratrici e popolari e sta seguendo le orme nazionaliste, colonialiste e interventiste di Mussolini, coinvolgendo l’Italia nelle guerre imperialiste per la spartizione del Nord Africa, del Medio Oriente e del mondo. Ciononostante riteniamo assolutamente necessario partecipare al referendum contro le trivellazioni e facciamo appello affinché tutte le forze politiche, sindacali, sociali, culturali e religiose che hanno a cuore l’ambiente e vogliono una politica energetica basata sulle fonti rinnovabili, si uniscano in questa battaglia e aderiscano e sostengano i Comitati per il Sì, a partire dall’intera CGIL e dagli antifascisti dell’ANPI. Noi faremo la nostra parte. Lottiamo uniti per la vittoria del SÌ il 17 aprile! Astensionisti, data la posta in gioco e il carattere della consultazione, votate e votate SÌ. Potreste essere determinanti per raggiungere il quorum! (Sintesi tratta dal Documento dell’Ufficio politico del PMLI, dell’8 Marzo 2016) 10 il bolscevico / corruzione N. 15 - 14 aprile 2016 La camorra la fa da padrona come e peggio che a Quarto Indagati per voto di scambio IL capogruppo PD e IL sindaco UDC a Casavatore Dopo Quarto e le collusioni del Movimento 5 Stelle coi clan camorristi dei Polverino e Cesarano, nel mirino degli inquirenti finiscono anche il PD e l’UDC pesantemente coinvolti nell’inchiesta per voto di scambio alle elezioni 2015 nel comune di Casavatore (Napoli). Il 19 febbraio gli inquirenti della Dda di Napoli, Pubblici ministeri (Pm) Maurizio De Marco e Vincenza Marra, procuratore aggiunto Filippo Beatrice, hanno notificato un avviso di garanzia all’attuale sindaco UDC Lorenza Orefice, al suo sfidante e candidato sindaco PD Salvatore Silvestri, ad Antonio Piricelli, comandante della polizia municipale di Casavatore nonché consigliere comunale PD a Ischia, e ad altri 13 indagati, tutti accusati a vario titolo di voto di scambio politico mafioso, violazione della legge sul divieto di propaganda elettorale per i sorvegliati speciali, abuso di potere e associazione camorristica. L’inchiesta è stata avviata il 27 aprile 2015. Quel giorno nel bar Vittoria avviene un duplice omicidio di camorra: i killer freddano Ciro Cortese e Aldo Pezone. Due esponenti del clan “Vanella Grassi”, i cosiddetti “girati”. Nel giubbotto di Cortese viene trovato un Il governatore De Luca a cena con i “mammasantissima” del PD inquisiti bigliettino con una scritta “Ramaglia”, accanto la cifra 2.000 e una sequenza numerica 5.5. Secondo gli investigatori il Ramaglia in questione è il consigliere uscente Mauro Ramaglia, candidato di punta del “centro-sinistra” nella lista civica “Rossi per il cambiamento”, alleata al PD; mentre 2.000 “potrebbero essere euro” e 5.5 è una data, il cinque maggio. È la prova che “Ramaglia – concludono gli inquirenti - intrattiene frequenti contatti con gli ambienti degli Amato-Pagano e dei Vanella Grassi”. Dalle indagini emerge uno spaccato inquietante della guerra per bande scatenata dalle varie cosche parlamentari in lizza per accaparrarsi la poltrona di sindaco: il candidato del PD Silvestri è sostenuto da una cosca degli Amato-Pagano, il clan degli Scissionisti; contrapposto alla candidata UDC Orefice che vinse le elezioni grazie al sostegno del clan rivale dei Ferone che intimidì gli avversari a suon di pestaggi, ricatti e perfino sequestri di persona e ricattò gli elettori elargendo buoni pasto, pacchi di generi alimentari, pasta, vino e soprattutto soldi (50 euro a famiglia) in cambio di voti. Da un lato c’è Maurizio Minichini, sottoposto alla misura di sorveglianza speciale per due anni e mezzo a partire dal novembre 2013 perché associato al gruppo camorristico Ferone, e definito dai carabinieri “pluripregiudicato per associazione di tipo mafioso”, che “staziona nel comitato elettorale di Silvestri e si adopera per recuperare voti per lui e per il fratello Ciro Minichini, candidato al consiglio comunale tra le liste di Silvestri, nel quartiere dove dimorava”. Mentre, dall’altro lato, c’è la cosca rivale che appoggia Orefice e che il 13 giugno 2015, due giorni prima del ballottaggio, fa picchiare a sangue Minichini da tre suoi sostenitori tra i quali un parente del boss Ferone. Un messaggio intimidatorio in puro stile mafioso che condiziona pesantemente lo svolgimento della consultazione elettorale e permette alla Orefice, indietro al primo turno di sei punti, di vincere le elezioni col 56% dei voti. Del pestaggio contro Minichini ne parlano al telefono fra gli altri anche Paolo Spinuso e e il boss Ferone. Spinuso, secondo i Pm, è uno di quelli che ha predisposto l’agguato. Racconta le modalità del pestaggio a Ferone il quale, riferendosi alla candidata UDC Orefice, commenta: “È diventata camorrista sta donna”? Agli atti dell’inchiesta ci sono anche numerose intercettazioni tra le quali spiccano due conversazioni del 3 luglio e del 16 luglio 2015 tra Silvestri e Minichini in cui discutono gli equilibri del PD locale e del fatto che Silvestri debba essere il capogruppo. “I due – notano gli inquirenti - oltre a commentare il risultato elettorale, intrattengono una conversazione circa l’istituzione di una nuova sede del PD a Casavatore” e dunque “è chiaro il fatto che Minichini è parte della fazione politica riconducibile a Silvestri del PD”. In questo scenario a dir poco inquierante si inserisce anche la telefonata fatta dal boss Ferone il giorno prima L’operazione dimostra quanto ancora sia radicata la mafia sul territorio 62 arresti a Palermo, tra cui due boss legati a Riina Dal nostro corrispondente della Sicilia L’operazione antimafia, disposta dal procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, e dagli aggiunti Leonardo Agueci e Vittorio Teresi, che ha portato il 16 marzo all’arresto di 62 esponenti delle cosche mafiose palermitane, boss e gregari, mostra, sotto diversi aspetti, come siano capillari la presenza e l’oppressione mafiosa nel capoluogo siciliano e nella sua provincia. In carcere i due padrini, che, fin dagli anni ‘80 fedelissimi di Salvatore Riina, stavano puntando alla riorganizzazione delle cosche nel caoluogo siciliano e nella sua provincia: Mario Marchese, 77 anni, per volere del nuovo capo di Cosa nostra, Salvatore Riina, andato a comandare, dopo l’assassinio del boss Stefano Bontate nel 1981, la cosca di quest’ultimo. Uscito di carcere nel 2001, il capomafia da allora impone estorsioni e “risolve” questioni di vario tipo anche per i po- liticanti borghesi. Dall’indagine, emerge che un consigliere comunale di Monreale (Palermo), Remo Albano, ex PDL, si inginocchiò al cospetto del boss per chiedergli un favore. C’era anche un andirivieni di imprenditori che, secondo gli inquirenti, sarebbero collegati alle cosche. Alcuni di loro, oltre a pagare il pizzo, sarebbero stati disposti anche a mettersi in ginocchio in segno di rispetto nei confronti di Marchese, dal quale ricevevano indicazioni e incarichi per la realizzazione di progetti imprenditoriali di vario tipo, soprattutto nel settore edilizio. Anche davanti alla casa di Gregorio Agrigento, 81 anni, da sempre legato ai Brusca e reggente del mandamento di San Giuseppe Jato, in provincia di Palermo, c’era la fila di imprenditori e politici a chiedere il favore. Con l’enorme giro di danaro sporco che riuscivano a muovere, i clan nel corso degli anni avrebbero avviato o rilevate alcune imprese, minacciando i titolari che, inizialmente vittime, avrebbero poi deciso di collaborare con i boss. Insieme agli arresti è stato quindi notificato un decreto di sequestro per attività commerciali e imprese di vario tipo, oltre che per beni immobili. Le indagini dei carabinieri del Ros e del Gruppo di Monreale hanno portato in carcere anche una sessantina tra colonnelli e gregari che, al comando degli anziani padrini, garantivano un controllo capillare del territorio. Nella lista degli arrestati c’è anche un pezzo della Palermo bene. Si tratta di Alfredo Giordano, il direttore di sala del Teatro Massimo, padre della famosa cantante lirica che si esibisce nel teatro palermitano. L’indagine mostra quanto diffusi e generalizzati siano il radicamento e il consolidamento del legame tra criminalità organizzata e istituzioni, favoriti da una totale mancanza di volontà e di azioni concrete di lotta contro la mafia da parte di tutti i partiti politici borghesi, che addirittura si vanno ad inginocchiare concretamente o metaforicamente davanti ai boss. Cosa sta, peraltro, facendo il governo del nuovo duce Renzi per sconfiggere la mafia? Cosa stanno facendo il governo Crocetta e l’amministrazione Orlando? Praticamente nulla, mentre avrebbero il dovere di sottrargli manodopera attraverso piani di intervento straordinari economici e sociali per il Mezzogiorno d’Italia, contro la povertà dilagante, il degrado sociale, ambientale e urbanistico. Occorrerebbe fermare la spaventosa ecatombe di posti di lavoro, la desertificazione industriale e la disoccupazione di massa. Occorrerebbe un piano per il lavoro stabile, a salario pieno e tutelato sindacalmente, secondo le condizioni sancite nei contratti di lavoro e senza alcuna deroga, per tutti i disoccupati. del ballottaggio al candidato del “centro-sinistra” Ramaglia: “Mauro, hai capito chi sono? Sono quello che non può venire fuori alla scuola”. Ferone è il capo di una sotto cosca di camorra sottogruppo degli Amato-Pagano. Secondo i carabinieri, il boss “sta facendo campagna” per il suocero Giuseppe Pranzile, candidato nelle liste di Orefice. La telefonata serve a impaurire l’avversario e, secondo gli inquirenti, avrà l’effetto di spostare un pacchetto di consensi dall’altra parte. Quelli decisivi per la rimonta della Orefice. I sostenitori di Silvestri a questo punto prendono atto che i boss più potenti del clan si sono schierati con l’UDC e abbandonano il campo rinunciando perfino al presidio del seggio elettorale. Emblematica la telefonata del 14 giugno tra il candidato del PD Mauro Ramaglia e un tale Gianfranco il quale avverte: “Mauro: Sono andati nell’esagerazione… Hanno sequestrato le persone… cose… però. Sanno tutti quanti… Tutti quanti sanno e tutti fanno vedere che non sanno niente, hai capito come è…”. Ramaglia, lapidario, risponde: “I mammasantissima del PD non mi rispondono più”. Il riferimento, molto probilmente, è rivolto al senatore locale, Pasquale Sollo (non indagato), al candidato sindaco Silvestri, a Ciro Rossi, capo dell’omonima lista civica di “centro-sinistra” ma anche al vicesegretario del PD Lorenzo Guerini fotografato durante un’iniziativa pubblica sotto un gazebo con la deputata renziana Valeria Valente, la vincitrice delle primarie PD di Napoli del 6 marzo, sospettata di aver comprato una parte dei voti con cui ha battuto Bassolino, e del cui staff parlamentare fa parte anche la compagna di Silvestri. Tra i faldoni dell’inchiesta spunta anche il nome del governatore della Campania, Vincenzo De Luca. Il boss del PD, che recentemente è finito di nuovo sotto inchiesta per camorra e per brogli elettorali e negli appalti, è stato immortalato il 24 febbraio a una cena insieme a Piricelli in un rinomato ristorante di Giugliano. Secondo il sito Internapoli. it che ha pubblicato la notizia, De Luca, cinque giorni dopo la notifica degli avvisi di garanzia, si è incontrato con uno dei maggiori indagati dell’inchiesta. Secondo la Dda di Napo- li infatti: “Piricelli mise mezzi e strutture del corpo di polizia a disposizione di Silvestri, l’uomo che aveva nel comitato elettorale il sorvegliato speciale di camorra Massimo Minichini e concluse la campagna elettorale insieme al vicesegretario PD Lorenzo Guerini”. Alla cena tra amici e gli amici di De Luca e Piricelli – riferisce Internapoli – ci sono il sindaco PD di Giugliano Antonio Poziello, sotto processo, il presidente della Soresa (società regionale della sanità) Giovanni Porcelli, ex sindaco di Mugnano, e alcuni consiglieri comunali di Ischia che fanno parte della maggioranza che sostiene il sindaco PD Giosi Ferrandino, tuttora in carica, nonostante l’arresto per corruzione per aver preso 330 mila euro dalla cooperativa “rossa” Cpl per la metanizzazione dell’Isola. “All’apparenza era semplicemente una cena tra amici ma di sicuro si è parlato di politica e molto probabilmente delle prossime mosse da compiere insieme – commenta la redazione di Internapoli - Ieri sera a cena al famoso ristorante Fenesta verde al vico Sorbo a Giugliano vi erano alcuni dei pezzi da novanta della politica dell’area nord, tra questi il presidente della Soresa ed ex primo cittadino di Mugnano Giovanni Porcelli ed il sindaco di Giugliano Antonio Poziello. Ospite d’eccezione il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca. Con loro a tavola vi erano esponenti dell’area nord fedeli a De Luca, come porcelliano della prima ora Mario Molino, ed il colonnello Antonio Piricelli, comandante dei vigili urbani di Casavatore, oltre ad alcuni consiglieri comunali dell’isola di Ischia ed al presidente del consorzio cimiteriale Casoria Arzano Casavatore. Vari i temi toccati nel corso della cena con sicurezza e trasporti ai primi posti, ma tanto risalto anche all’Ambiente. Più volte, infatti, il presidente della Regione si è soffermato sulla questione ecoballe e più genericamente sulle bonifiche relative alla “Terra dei Fuochi”. Piricelli, che secondo i Pm ha fatto la campagna elettorale per Salvatore Silvestri in modo illegale, arrivando a posizionare le telecamere di sicurezza in modo tale da controllare che i suoi manifesti non venissero strappati, è in rapporti molto cordiali con De Luca e con il consigliere regionale del PD Mario Casillo, come dimostrano alcune fotografie scattate un anno fa, durante la campagna elettorale per le elezioni regionali. Ha rubato 30 milioni della beneficenza: arrestato monsignore Il 9 febbraio la Guardia di Finanza di Bolzano ha arrestato Patrizio Benvenuti, il monsignore 64enne di origini argentine, coinvolto insieme a una suora, un barone belga e perfino una principessa, moglie dell’erede al trono del Lussemburgo, nella grande truffa di oltre 30 milioni di euro a danni di più di trecento “donatori” francesi, belgi, italiani, che avevano investito e In combutta con un barone e una principessa, mons. Benvenuti prometteva anche alti interessi perduto i loro soldi nella società Kepha Invest al cui vertice c’era proprio l’alto prelato. I soldi dei truffati versati alla fondazione umanitaria Kepha finivano in un articolato meccanismo di riciclaggio tra persone, società estere e italiane. La Guardia di finanza ha sequestrato in via preventiva, tra l’altro, una lussuosa villa del Quattrocento a Piombino (Villa Vittoria, progettata da Leonardo Da Vinci che vi soggiornò nel 1502) e un grande sito archeologico a Selinunte. A muovere le scatole cinesi ci pensava il finanziere francese Christian Ventisette, tuttora latitante, con spostamenti di milioni di euro in società sparse in Francia, Belgio, Lussemburgo, Miami, Panama ed in altri paesi dove i soldi venivano riciclati. Altro protagonista della maxitruffa è il barone belga De Fierlant Dorme, indagato dalla procura di Bolzano, che presiedeva la societa Kepha Invest in Belgio. Ed è stato lui a coinvolgere, forse a sua insaputa, nella società truffaldina, la principessa Stephanie De Lannoy, moglie del Principe Guglielmo, erede al trono del Lussemburgo. A svelarlo è stato lo stesso monsi- gnor Patrizio Benvenuti che, prima di finire in manette, era stato ascoltato dalla Guardia di Finanza di Bolzano rivelando che: “Il barone De Fierlant ha assunto nella società Kepha l’attuale moglie del Principe Guglielmo, erede al trono del Lussemburgo, Stephanie De Lannoy per i suoi importanti contatti”. L’inchiesta è stata avviata dopo la denuncia di suor Agne- se Colz che per molti anni aveva lavorato con monsignor Patrizio Benvenuti, trasferendosi da un ospedale di Bolzano in Vaticano dove poi il prelato ha avviato la sua attività truffaldina, truffando anche suor Agnese Colz che aveva anticipato 35 mila euro per organizzare cene per attirare “investitori” nella loro società con la promessa di interessi del 7 per cento. PMLI / il bolscevico 11 N. 15 - 14 aprile 2016 Nel decimo anniversario della scomparsa Omaggio a Lucia Redazione di Firenze Il 6 Aprile, decimo anniversario dalla scomparsa della compagna Nerina “Lucia” Paoletti, pioniera e cofondatrice del PMLI, il compagno Dario Granito a nome del Comitato centrale e il compagno Luca a nome della Cellula fiorentina che porta il nome della compagna Lucia, hanno reso omaggio alla sua tomba con due belle composizioni di fiori rossi. E’ sempre forte la commozione al ricordo della cara compagna Lucia, fonte d’ispirazione per i compagni vecchi e nuovi, un modello di unità nel Partito e combattività rivoluzionaria. Nel 1964 uscì dal PCI perché aveva capito che era revisionista E’ morto Cirano Biancalani Era membro della Cellula “Nerina ‘Lucia’ Paoletti” di Firenze Dal corrispondente della Cellula “Nerina ‘Lucia’ Paoletti” di Firenze Domenica 20 marzo è scomparso all’età di 93 anni il compagno Cirano Biancalani, membro effettivo della Cellula “Nerina ‘Lucia’ Paoletti” di Firenze. Le nostre più vive condoglianze vanno alla sua famiglia in particolare alla moglie. Cirano era militante del PMLI dal 2007, ma già dal lontano 1988 seguiva il Partito come abbonato de Il Bolscevico, non facendo mancare il suo sostegno politico ed economico nonostante fosse pensionato con a carico un figlio con una grave disabilità mentale. Un sostegno espresso nei numerosi contributi scritti che ne- Lucia 10 anni 1 giorno nella memoria del cuore e della mente. 10 anni come sempre tenendoci per mano rinnovo un legame inscindibile cresciuto nel nostro tempo di pionieri consolidato nel crescere insieme il Partito. Non sempre le parole erano necessarie nella conoscenza reciproca profonda anche se mai indolore, di una vita intera. L’unità e l’affetto legami istintivi e profondi da compagna sorella amica e come tu vuoi mamma non solo mia ma di ciascuna e ciascuno di noi i più giovani compagne e compagni in prima fila. Se si è interrotto il filo del corpo vivente non si è interrotto però quello essenziale delle parole scritte e dette della memoria anche della vita di ogni giorno Il PMLI ha scelto giustamente l’antimperialismo L’unico movimento politico che abbia capito la problematica relativa all’IS e alle scomposte reazioni occidentali è, direi “naturalmente”; il PMLI. Non condividendo affatto i metodi adottati dall’IS, come bombe, “kamikaze”, ecc., né l’ideologia religiosa o para-religiosa dell’IS; anzi esprimendo il proprio cordoglio alle vittime, il nostro Partito ha scelto la via giusta, rilevando, però, nel contempo che la motivazione antimperialistica dell’IS è più che giusta, date anche la Le compagne “Lucia” Nerina Paoletti (a sinistra) e Patrizia Pierattini alla storica manifestazione nazionale delle donne per il lavoro tenuta a Napoli il 13 dicembre 1986 (foto Il Bolscevico) come delle battaglie fatte e delle esperienze quotidiane condotte, del legame profondo d’amore e rispetto che è la tua e di ciascuno di noi essenza, che continua ad esistere e dare frutti per il futuro del PMLI continua riaffermazione della volontà di dominio imperialistica di tutte le potenze in campo (europee, russe, nordamericane), con una particolare esposizione bellica, pur se poi prudenzialmente “rimangiata” da parte del nuovo duce Renzi. Renzi, estremamente attento ai sondaggi e al gradimento, sa che al momento non può “intervenire” sic et simpliciter in Libia, dunque è in fase di attesa, sperando (quasi certamente) di attaccare nel momento più propizio, ossia quello in cui l’opinione pubblica è attenta ad altro e non pensa alla questione IS. Il pericolo dunque di rinnovati attacchi e dell’Italia unita rossa e socialista. Una carezza, un bacio e un abbraccio pieno di calore, non troppo stretto per non farti male. Patrizia Pierattini Assieme a Lucia fa parte dei primi quattro pionieri del PMLI imperialistici è più che mai attuale, con le conseguenti, “ovvie” ritorsioni anti-imperialiste. Importante richiamare, come ha fatto molto opportunamente il nostro Segretario generale Scuderi, le indicazioni preziose del Maestro Stalin, relative alla solidarietà (pur nel dissenso sui metodi e sull’ideologia) con ogni movimento antimperialista, il che non toglie, la non condivisione dei metodi adottati dall’IS stessa, metodi, però, accentuati dai continui bombardamenti da parte dell’imperialismo occidentale. Cari saluti marxisti-leninisti. Eugen Galasso - Firenze gli anni ha inviato al Partito sia come simpatizzante che come militante. Cirano aderisce al PCI nel 1945 fino a quando nel 1964 cessò ogni rapporto con il partito revisionista, resosi conto dell’inganno perpetrato dall’allora gruppo dirigente verso chi aveva creduto in un partito capace di battersi per il socialismo. Nella sua domanda d’ammissione al PMLI, in merito al suo giudizio sul PRC e il PdCI egli scrive:“sono i peggiori nemici della classe operaia, ancora riescono ad illuderla, inculcandole la via pacifica parlamentare democratica, come dimostrano i dirigenti dell’ex PCI fino a diventare imperialisti orgogliosi di servire gli americani... se ci fosse stato il PMLI, quanti compagni ingannati di meno sarebbero stati e quanto grande e potente sarebbe stato oggi in Italia nonostante i rinnegati, traditori”. Poi l’incontro con il PMLI che ha ridato fiducia e smalto politico ad un compagno che ha sempre creduto nel socialismo. Nella domanda d’ammissione afferma: “il PMLI ci insegna l’unica via per la conquista del socialismo e la rivoluzione proletaria... al PMLI dirò sempre grazie per avermi insegnato non a combattere un nemico di classe ma come farlo, nella maniera più giusta senza commettere errori né di estrema destra, né di estrema sinistra... Conobbi il PMLI ormai diventato vecchio e con la sfortuna di un figlio grave handicappato che mi impegna nelle ore libere... per la mia iscrizione al Partito, ho spiegato la mia situazione familiare e privata... con ciò dipende solo dalla vostra decisione, altro non ho da dire tranne che ringraziarvi per l’eventuale riconoscimento di marxistaleninista”. Noi del PMLI siamo stati onorati di aver avuto al nostro fianco un compagno tenace e fedele ai cinque Maestri e alla lotta per la causa del socialismo che nonostante la sua non più giovane età non ha perso le cin- Il compagno Cirano Biancalani mentre interviene alla Commemorazione di Mao per il 30° della scomparsa, tenuta a Firenze il 10 settembre 2006 que fiducie e anche a livello personale si è battuto contro lo Stato borghese che niente fa per aiutare le famiglie che vivono il triste dramma di un figlio handicappato se non costringerle a rivolgersi al privato con costi salati e comunque abbandonati una volta che i genitori non ci sono più. Negli anni Cirano non ha fatto mai mancare il suo sostegno durante le compagne elettorali astensioniste, nella lotta contro il neoduce Berlusconi, contro il nuovo Mussolini Renzi e la guerra imperialista allo Stato islamico. Finché ha potuto ha partecipato alla commemorazione annuale di Mao, prendendo a volte la parola. Non mancava ai processi politici subìti dal Segretario generale del PMLI, compagno Giovanni Scuderi. Premuroso verso i compagni della Cellula alla quale donava un panettone per festeggiare il Nuovo Anno. In occasione del 30° Anniversario del Partito egli scriveva: “Compagne e compagni abbiamo festeggiato 30 anni di vita del PMLI. Onore ai compagni fondatori del Comitato centrale, un saluto di tanta gratitudine, un rin- graziamento per tanti sacrifici dovuti affrontare prima di realizzare questo unico Partito comunista in Italia. Onore al nostro Segretario Giovanni Scuderi per la sua indispensabile opera di guida politica marxista-leninista... Il nostro Partito rappresenta l’inizio di un cambiamento, di lungo cammino lento ma sicuro, perché noi siamo la storia del prossimo futuro, voi giovani siete gli artefici, come furono i nostri grandi Maestri costruttori di un mondo nuovo, l’Unione Sovietica di Stalin e la Cina di Mao”. Caro compagno Cirano, continueremo anche per te la Lunga marcia politica e organizzativa del PMLI per realizzare il socialismo prendendo esempio anche dalla tua tenacia, fiducia, attaccamento al Partito e dal tuo spirito combattivo di marxista-leninista che ti ha sempre contraddistinto fino all’ultimo respiro. Il compagno Cirano verrà cremato l’8 aprile prossimo e le ceneri verranno sepolte presso il cimitero di Trespiano alle porte di Firenze, i militanti della Cellula deporranno dei fiori rossi in suo ricordo. Solo il socialismo garantisce pienezza di diritti In alcune città italiane si terranno le elezioni comunali. Noi del PMLI siamo per l’astensionismo e lo propagandiamo. Nell’opuscolo n. 11 del compagno Giovanni Scuderi, dal titolo “Impugniamo l’arma dell’astensionismo per l’Italia unita, rossa e socialista”, egli scrive: “Lo facciamo ininterrottamente e sempre con maggior convinzione e forza fin dalle prime elezioni regionali del 1970. La propaganda dell’astensionismo e del socialismo allora ci costò un processo con una condanna di 8 mesi di reclusione con la condizionale sotto l’accusa di propaganda e apologia sovversiva e antinazionale e di vilipen- dio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate. Il documento elettorale astensionista dell’Organizzazione che nel ’77 darà vita al PMLI aveva come titolo la celebre frase di Mao ‘Il potere politico nasce dalla canna del fucile’”. Da tempo ampi strati del popolo si sono resi conto che le “primarie” e le “elezioni” sono una truffa che garantisce solo la continuità del potere di pochi ricchi sul resto della popolazione. I circoli imperialistici fanno credere che noi tutti viviamo nel “migliore dei mondi possibile” che abbiamo diritti e libertà ma in realtà essi fanno i loro sporchi affari e le masse ne pagano le conseguenze. È falso che il capitalismo è il solo e vero sistema da far accettare a tutti, come vuol far credere la borghesia. Solo il socialismo potrà garantire veramente la pace e la vera giustizia sociale ed economica. Tutto il resto è fumo negli occhi, solo il socialismo potrà garantire alle libertà fondamentali dell’uomo un valore veramente globale, perché il socialismo garantisce questi diritti nella loro pienezza e sottolinea la stretta connessione tra diritti economici, politici, sociali e civili. Da un rapporto interno dell’Organizzazione di Civitavecchia (Roma) del PMLI 12 il bolscevico / referendum 17 aprile N. 15 - 14 aprile 2016 iniziative del pmli per il sì al referndum del 17 aprile Redazione di Fucecchio Catania, 31 marzo 2016. Il volantinaggio del PMLI per il Sì al Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania (foto Il Bolscevico) Dal corrispondente della Cellula “Stalin” della provincia di Catania Nella mattina di giovedì 31 marzo i compagni della Cellula “Stalin” della provincia di Catania del PMLI hanno effettuato un volantinaggio presso il “monastero dei Benedettini”, in piazza Dante, oggi sede del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania. La diffusione di alcune centinaia di copie del volantino “Vota Sì contro le trivellazioni” ha riguardato, appunto, il referendum del 17 aprile, e dunque la volontà del Partito di invitare l’elettorato a schierarsi per la salvaguardia della salute, della natura, dell’ambiente e per le energie rinnovabili. Nonostante il governo del nuovo duce Renzi stia tentando di ostacolare l’espressione del voto referendario con tutti i mezzi, in primo luogo, indirettamente, con la scelta della data del voto a breve scadenza che mette a rischio il quorum e comprime i tempi del confronto e dell’informazione - arrivando a sprecare 360 milioni di euro di soldi pubblici che si sarebbero risparmiati con un Election Day assieme alle elezioni amministrative di giugno - e, in secondo luogo, con la recente posizione ufficiale del PD schieratosi per l’astensione, espressa attraverso la nota firmata da Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani, secondo i quali “questo referendum è inutile. Non riguarda le energie rinnovabili e non blocca le trivelle”, gli studenti, i docenti ed il personale ata incontrati dai compagni si sono espressi positivamente e appoggeranno il “Sì”. Un forte pugno rosso sferrato a Renzi e al suo governo che ogni giorno di più mostra il suo vero volto antipopolare, neofascista, al servizio di petrolieri e banche ed assolutamente distante dalla salvaguardia della salute pubblica, dell’ambiente e del lavoro e che tradisce, affossandole ad ogni occasione, qualsiasi speranza di passaggio massiccio alle fonti energetiche rinnovabili. La prossima iniziativa di propaganda per il “SÌ” al referendum contro le trivellazioni vedrà i compagni catanesi in piazza Stesicoro, con un banchino, sabato 9 Aprile dalle ore 16. Ischia Apprezzato banchino unitario tra PMLI e PRC per il Sì Prosegue la campagna referendaria del PMLI con i volantinaggi svolti dai compagni nei punti più frequentati di Fucecchio (Firenze). La maggior parte degli interlocutori hanno dichiarato che andranno a votare Sì contro le trivellazioni. Il problema maggiore sarà raggiungere il quorum e a tale proposito in molti hanno criticato il PD per il suo invito ad astenersi e per gli scandali di questi giorni in cui è coinvolto il governo Renzi proprio sulle trivellazioni petrolifere (e relative discariche per rifiuti legati alla lavorazione) in Basilicata che hanno portato alle dimissioni della ministra Federica Guidi. Sabato 2 aprile contempora- neamente al PMLI era presente in piazza a Fucecchio anche il comitato comprensoriale per Sì che aveva realizzato un proprio banchino. Finalmente cominciano a muoversi, seppur in maniera disorganizzata tanto che dietro al banchino c’erano solo esponenti dei 5 Stelle mentre con una maggiore collaborazione si potrebbero mettere in campo più forze e iniziative più coordinate. I marxisti-leninisti faranno comunque la loro parte e per sabato 9 Aprile hanno organizzato nei pressi del supermercato Coop un proprio banchino di propaganda referendaria. Intanto, l’ANPI di Fucecchio ha espresso il suo sostegno al Sì contro le trivellazioni. Borgo San Lorenzo Successo del banchino del PMLI. Alcuni visitatori hanno affermato che il governo Renzi va spazzato via n. 515) Legge 10.12.93 (art. 3 M. MARTENGHI responsabile: Committente Volantinaggio del PMLI. Molte critiche all’astensionismo del PD. L’ANPI per il Sì Sabato 9 aprile banchino presso la Coop per e l’am la naturaergie rinnovabili per le en in proprio Volantinaggio del PMLI. Studenti e lavoratori della scuola schierati per il SÌ il 9 aprile banchino in piazza stesicoro Fucecchio Stampato Catania le l 17 apri te ndum de lu Al refere uardare la sa ag te n lv sa bie ALIANO NINISTA IT ARXISTA-LE PARTITO M [email protected] Sede centrale: Via Antonio del - 50142 Pollaiolo, 172a e-mail: commi e fax 055.5123164 FIRENZE -- Tel. Catania - www.pmli.it Propaganda del PMLI per il Sì al referendum Sabato 9 Aprile Piazza Stesicoro dalle ore 16 - banchino Ischia (Napoli) Domenica 10 aprile Luogo e orario da definire – banchino Firenze Giovedì 7 aprile Stazione S.M. Novella lato via Alamanni dalle ore 17 - volantinaggio Fucecchio (Firenze) Sabato 9 Aprile Presso il supermercato Coop orario da definire - banchino Milano Al banchino le masse riconoscono che i marxisti-leninisti sono gli unici a propagandare il Sì referendario. Pisapia non ha ancora installato i tabelloni per affiggere i manifesti Milano, 2 aprile 2016. La diffusione per il Sì al referendum organizzata dalla Cellula “Mao” di Milano del PMLI (foto Il Bolscevico) senso contro il governo del nuovo Dal corrispondente della duce Renzi e contro il PD. Anche Cellula “Mao” di Milano pie del volantino con la posizione Dal corrispondente della Squain questa occasione si è avuta Sabato 2 aprile, in Piazza Coreferendaria del PMLI, ben accetdra di propaganda per il Sì al conferma della totale latitanza di stantino, nel popolare quartiere tate dalla popolazione. Molti coloro referendum contro le trivellaquei partiti (tra i quali quelli falsi milanese di Crescenzago, miliche hanno affermato di votare per zioni Mugello e Val di Sieve comunisti) che ufficialmente sotanti della Cellula “Mao” di Miil Sì. C’è stato chi ha sostenuto Sabato 2 aprile i compagni stengono il Sì, ma disertando la lano del PMLI hanno allestito un che il governo Renzi va spazzato del PMLI delle Organizzazioni di campagna referendaria nei fatti banchino e diffuso centinaia di via, mentre un anziano ha tenuto a Vicchio del Mugello e di Rufina del fanno il gioco del nuovo Mussovolantini dal titolo “Vota Sì consottolineare il tradimento degli inPMLI hanno organizzato un banlini Renzi e del PD che caldeggiatro le trivellazioni”. Il documento teressi dei lavoratori da parte della chino di propaganda per il Sì al no il boicottaggio del referendum è stato ben accolto dalle masse “sinistra” parlamentare. referendum contro le trivellazioni per impedire il raggiungimento lavoratrici e popolari e molte perCon alcuni compagni del PRC nella centrale piazza Cavour a Bordel quorum. Anche l’amministrasone si sono complimentate con presenti in zona ci siamo salutati, go San Lorenzo (Firenze) che è il zione “arancione” guidata dal nenoi, in quanto gli unici a propaad iniziare dall’immancabile commaggior comune del Mugello. opodestà Pisapia contribuisce al gandare il Sì referendario. pagno Antonio. Con il suo rosso dominante, sabotaggio governativo dal moA chi si è intrattenuto al banAbbiamo colto l’occasione per dove spiccavano le bandiere dei mento che a sole due settimane chino per discutere, i nostri distribuire anche alcune copie del Maestri e del PMLI, il banchino ha dal 17 aprile non ha ancora fatto compagni hanno dato una copia volantino riportante il comunicato dato una bella visibilità al Partito installare i tabelloni per l’affissiodella pagina n. 2 de Il Bolscevico dell’UP del PMLI del 22 marzo dal nel centro borghigiano abbastanza ne dei manifesti referendari. n.11/2016 riportante per intero il titolo “Condanniamo gli attentati affollato. Oltre allo specifico tema reDocumento dell’Ufficio politico di Bruxelles cessare la guerra allo Sul tavolo esposte varie opere ferendario nelle conversazioni del PMLI del quale il volantino Stato islamico per evitarli”. del Maestri del proletariato internasi è avuto modo di riflettere sul proponeva solo degli estratti. L’attività di propaganda del zionale edite nella collana Piccola superamento delle fonti energetiTra coloro che hanno dichiaPMLI per il Sì al referendum prosebiblioteca marxista-leninista. Ai lati che da combustibili fossili e dalle rato che voteranno Sì c’è chi ha guirà nei prossimi giorni in diverse sui cartoni a V rovesciata i manifesti fissioni e fusioni nucleari, e quindi tenuto a specificare che lo farà piazze del Mugello e della Val di del PMLI per il Sì al referendum. sul potenziamento degli investianche per esprimere il suo disSieve. Diffuse diverse centinaia di comenti sulle energie rinnovabili. rile Discutendo si è oltremodo p a 7 1 del e constatato che il capitalismo è di re n d u m la salut Al refe aguardare iente b per sé incapace di dare una tale per sanlvatura e l’am novabili svolta energetica fintantoché non la nergie rin saranno quasi esauriti i giacimenper le e ti di gas e petrolio (con tutto ciò che nel frattempo ne consegue in termini di inquinamento e di guerre imperialiste per accaparrarsi i suddetti giacimenti) dato il suo interesse fisiologico ai massimi O ITALIAN profitti da ottenersi a breve temNINISTA E -L A T IS MARX po dagli investimenti. PARTITO Solo il socialismo può risolutamente pianificare una conversione nazionale alle energie rinnovaSe non puoi partecipare personalmente alla campagna del PMLI per il Sì al referendum contro bili, mettendo in campo ingenti le trivellazioni, ti invitiamo calorosamente a sottoscrivere per il Partito attraverso il conto corrente risorse svincolate da logiche di postale n. 85842383 intestato a: PMLI - Via A. Del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE rapidi guadagni, dato che il suo scopo non è quello del profitto Nella causale scrivere: donazione per il Sì al referendum. privato, bensì quello dei bisogni Grazie di cuore. materiali e culturali delle masse lavoratrici e popolari. Borgo S. Lorenzo, 2 aprile 2016. Banchino di propaganda del PMLI per il Sì al referendum contro le trivellazioni (foto Il Bolscevico) SOTTOSCRIVI PER LA CAMPAGNA PER IL AL REFERENDUM CONTRO LE TRIVELLAZIONI Dal corrispondente dell’Organizzazione di Ischia del PMLI L’Organizzazione isolana del PMLI in piazza ad Ischia (Napoli), insieme ai compagni del PRC per distribuire volantini per il Sì al referendum contro le trivelle. Il PMLI ha realizzato un volantino con l’invito a votare Sì e sul retro i motivi del voto, praticamente due pagine riprese dall’ul- timo numero de Il Bolscevico apprezzate dai numerosi passanti avvicinati durante la mattinata di domenica 3 aprile. Molto vistoso il manifesto realizzato dall’Organizzazione isolana del PMLI e montato su una struttura leggera di pirex. Domenica prossima altro appuntamento in piazza ad Ischia, in attesa della partecipazione di altre forze come i M5S e l’Autmare. 3 - Legge I (art. : M. MARTENGH e responsabile Committent in proprio Stampato 3 aprile 2016. Un momento della diffusione a Ischia dei volantini per il Sì al referendum contro le trivelle (foto Il Bolscevico) 10.12.93 n. 515) SÌ del Pollaiolo, 2 FIRENZE 172a - 5014 -- Tel. e fax e-mail: com 055.5123164 .pmli.it .it - www missioni@pmli Via Antonio Sede centrale: esteri / il bolscevico 13 N. 15 - 14 aprile 2016 Più di 3.000 posti di lavoro in pericolo nel settore sanitario Migliaia in piazza a Napoli contro i licenziamenti voluti dai padroni di “Almaviva” e “Gepin” Gravissime responsabilità del nepodestà De Magistris e del governatore De Luca Redazione di Napoli Si preannuncia un aprile di fuoco sul fronte del lavoro a Napoli con una serie di importanti vertenze con prospettiva di licenziamento per migliaia di lavoratori delle aziende “Almaviva” e “Gepin”. Sono quasi 700 i posti che rischiano di andare in fumo nelle due sedi di Napoli e Casavatore, pari al 50% della forza lavoro presente nel territorio partenopeo. “Si tratta di un atto di inaudita violenza – ha commentato la Cgil di Napoli – nei confronti di coloro che hanno sempre lavorato per garantire la crescita e lo sviluppo delle due aziende. Ci sono a repentaglio la vita di numerose famiglie”. Giovedì 31 marzo un corteo di migliaia di lavoratori e lavoratrici di “Almaviva” attraversava le vie del centro di Napoli per protestare contro gli “esuberi per riorganizzazione aziendale” che colpiranno anche Palermo e Roma (1.670 e 900 licenziamenti rispettivamente) assieme ai call Napoli, 30 marzo 2016. Le lavoratrici e i lavoratori “Almaviva” in piazza contro i licenziamenti center della “Gepin Contact”, azienda che smaltisce commesse per Poste Italiane. Il corteo, partito da via Brin, ha percorso corso Umberto, zona universitaria per giungere a piazza Municipio dove i manifestanti hanno fatto sentire forte il loro dissenso alla giunta arancione guidata dal neopodestà De Magistris, sostenuti da decine di giovani dei centri sociali. Non soddisfatti i sindacati: “Ci aspettavamo da parte di De Luca un diretto intervento: non siamo affatto contenti”. De Magistris, invece, scaricava le responsabilità direttamente sul governo del neoduce Renzi e sul ministro del Lavoro, Poletti, invece di spiegare perché dopo cinque anni la sua giunta e l’assessore al Lavoro Panini non abbia ancora costruito un progetto per contenere la disoccupazione a Napoli. Altro fronte “caldo” della protesta è quello relativo ai licenziamenti di biologi, tecnici di laboratorio e personale amministrativo. Un decreto regionale, voluto dall’attuale giunta antipopolare guidata dal governatore De Luca, obbligherà i laboratori accreditati con il sistema sanitario nazionale (SSN) entro il 15 aprile a trasformarsi da laboratori di analisi a centri prelievo. In ballo ci sono quasi 100mila prestazioni annue che il SSN non riesce a mantenere demandando a questi laboratori convenzionati il carico in eccesso. I proprietari dei vari laboratori privati convenzionati sono pronti a licenziare ben 3mila operatori se non vedranno i loro profitti ristabiliti; nel contempo si sta preparando con i sindacati uno sciopero del settore per far ritirare il decreto all’attuale governatore e all’assessore regionale del lavoro Lepore. I lavoratori della Guess in piazza a Firenze in difesa del posto di lavoro L’azienda vuol trasferire 90 lavoratori nello stabilimento in Svizzera Giovedì 31 marzo si è svolto a Firenze il corteo delle lavoratrici e dei lavoratori dell’azienda del settore moda Guess. Tale corteo rientrava nell’ambito della mobilitazione sindacale indetta contro la decisione padronale di arrivare al trasferimento di 90 lavoratori sui 180 dello stabilimento di Firenze presso lo stabilimento di Lugano (Svizzera). Una decisione questa figlia solo della volontà padronale di licenziare per ridurre i costi produttivi. Una decisione inaccettabile in quanto trattasi di manodopera femminile altamente qualificata e di lavoratrici aventi carichi familiari. Al corteo si è arrivati dopo vari giorni di sciopero durante i quali si sono svolte assem- “Guess in Florence! Guess in Florence!” per sottolineare la volontà delle lavoratrici e dei lavoratori di lottare ad oltranza per il mantenimento del sito produttivo a Firenze e i relativi posti di lavoro. Arrivati al Ponte Santa Trinità i dipendenti Guess hanno inscenato un “flash mob” stendendo un lungo telo a mo’ di passerella dove le lavoratrici ed i lavoratori hanno ironicamente sfilato per poi stendere le magliette preparate ad hoc (scritta Guess con un cuore sormontato da un punto interrogativo) ad un filo attaccapanni. Al termine dell’iniziativa hanno preso la parola il funzionario FILCTEM Alessandro Picchioni e il Segretario A processo la rimborsopoli piemontese Anche un manuale erotico tra i rimborsi dell’ex consigliera regionale Montaruli Dal nostro corrispondente del Piemonte Nel vergognoso silenzio dei media di regime procede il processo per la rimborsopoli piemontese. A breve il pubblico ministero presenterà le richieste di condanna, le sentenze sono previste per l’inizio dell’estate. Alla sbarra come comuni delinquenti ben 25 ex consiglieri regionali – alcuni in carica in quanto rieletti nelle elezioni di giugno 2014 – accusati di peculato e di truffa. Tra gli indagati anche la giovane Augusta Montaruli, neofascista rampante che a soli 26 anni è stata eletta – la più giovane – consigliere regionale per il Pdl. La carriera della fascista Montaruli. Da “Azione giovani” a palazzo Lascaris La torinese Augusta Montaruli, classe 1983, inizia a 16 anni la sua “carriera” politica in “Azione giovani”. Entrata all’università (facoltà di giurisprudenza a Torino) aderisce al Fuan, l’organizzazione universitaria del suo partito, di cui diviene presto presidente provinciale e dirigente nazionale. Negli anni dell’università la Montaruli ha partecipato a numerosi cortei neofascisti per le strade di Torino e ha preso parte anche a dei pellegrinaggi a Predappio, città natale di Mussolini. Nei corridoi di Palazzo Nuovo, sede dell’università torinese, è stata organizzatrice di azioni violente contro i movimenti studenteschi democratici. Nel marzo del 2009 ha guidato in prima persona l’aggressione di una banda di squadristi contro una manifestazione di studenti democratici. Questi vergognosi episodi le hanno causato una serie di denunce per violenza fascista? Niente affatto! La sua militanza nelle organizzazioni giovanili neofasciste e la sua violenza da squadrista le hanno anzi schiuso le porte delle istituzioni accademiche. In rapida successione è stata eletta consigliere nella sua facoltà e componente del senato studentesco. Di pari passo la “scalata” alle istituzioni politiche borghesi: nel 2005 è eletta consigliere nella circoscrizione VII di Torino e nel 2007 diventa assessore nel comune di San Mauro Torinese. Nell’ottobre 2009, invitata alla trasmissione “Anno zero” (ai fascisti, si sa, l’accesso ai salotti televisivi è sempre concesso) ha avuto un violento alterco con il giornalista Marco Travaglio. Viene per questo notata da Berlusconi che decide di candidarla alle elezioni regionali piemontesi del 2010. A 26 anni viene eletta per il Pdl, partito da cui esce nel 2012 per confluire in Fratelli d’Italia. Nel corso del suo mandato si è messa in mostra per il taglio aggressivo degli interventi, le sue provocatorie uscite contro studenti e manifestanti e le sue dichiarazioni contro zingari e rom che a suo avviso dovrebbe- Firenze, 31 marzo 2016. La protesta dei lavorati della Guess in difesa del posto di lavoro La consigliera regionale piemontese PDL Montaruli partecipa a due iniziative di “Azione giovani” di cui una a Predappio ro essere schedati e rinchiusi tutti come dei delinquenti. La sua sfolgorante carriera di fascista – neanche troppo ripulita – all’interno delle istituzioni borghesi viene interrotta nel 2014 quando la giunta Cota è travolta dallo scandalo delle firme di lista false e dalla rimborsopoli. Un manuale erotico? È riconducibile all’attività istituzionale! Sotto accusa per truffa e peculato la Montaruli non lesina velate minacce alla magistratura: “Credo che la politica debba alzare la voce e non prendere con leggerezza gli avvisi di garanzia, forse in questo modo anche i magistrati eviterebbero di mandare avvisi di garanzia a raffica e a tappeto... la legge Severino non risolve il problema della corruzione, quanto a me non ho niente di cui rimproverarmi”. Il totale delle spese fasulle di cui viene accusata è di circa 40.000 euro. Di questi più di 20.000 sarebbero imputabili a pranzi e cene in prestigiosi ristoranti oltre a più semplici consumazioni al bar e e per cibi d’asporto. La consigliera ha inoltre speso 4.800 euro per partecipare ad un corso sui social network (4.800 euro per imparare a twittare!). 6.000 euro li ha spesi per un monitoraggio sul “sentiment”, vale a dire sulla reputazione online, altre migliaia per pernottamenti in albergo, abiti firmati e borse di marca. Finito nei suoi rimborsi anche il manuale “Sexploration. L’esperienza del sesso che fa divertire le coppie annoiate”. Ma come, una moralista fascista e cattolica che acquista un libro sui giochi erotici? Alle domande dei giornalisti ha dichiarato: “È tutto da provare che quel volume sia mio. I procuratori sono in difficoltà rispetto alla mia posizione e usano questo colpo basso proprio ora. Non hanno niente in mano, se non le loro suggestioni”... Se me lo contestano, dimostrerò che era riconducibile all’attività istituzionale”. blee molto vivaci e combattive alle quali hanno partecipato la quasi totalità delle lavoratrici e dei lavoratori. Il concentramento del corteo era in Via degli Speziali, nel centro di Firenze, davanti al negozio della Guess stessa. Per consentire una visibilità maggiore alla lotta, la FILCTEM-CGIL di Firenze aveva convocato la riunione del Direttivo provinciale il giorno stesso, cosicché ai lavoratori Guess si sono uniti i delegati sindacali della categoria. Ad essi si sono uniti inoltre delegati operai della FIOM con tanto di striscioni e bandiere. In testa al corteo vi era lo striscione “Firenze si sveste” per denunciare il disimpegno criminale del padronato che, pur di produrre a costi ridotti, non esita a mettere sulla strada i propri dipendenti e fuggire dal territorio fiorentino. A seguire lo striscione della FILCTEM-CGIL di Firenze, delle RSU della “Roberto Cavalli”, della “Vetreria Zignago” (Empolese) e della “Manetti & Roberts”. Chiudevano il corteo gli striscioni delle RSU delle fabbriche metalmeccaniche “Esaote” e “KME”. Infine, oltre alla presenza dei dirigenti e funzionari fiorentini della CGIL, tante bandiere rosse della FILCTEM e della FIOM. Lanciati alcuni slogan, fra i quali il più gettonato era FILCTEM di Firenze Bernardo Marasco che, nel ringraziare tutti gli intervenuti, hanno informato i presenti che a breve si terrà un incontro con i responsabili di Guess Europe per discutere della situazione occupazionale con la presenza anche di un responsabile del governo e del ministero competente (che avranno mai da dire, questi ultimi?) e che l’appuntamento per eventuali iniziative di lotta è rimandato a dopo questo incontro. In sostanza si può affermare che è stata una buona iniziativa di lotta che ha messo in luce la partecipazione al corteo delle lavoratrici e lavoratori Guess che non hanno avuto timore di impegnarsi in prima persona per salvaguardare il posto di lavoro. A loro auguro di cuore di mantenere forza e combattività per stimolare il sindacato a fare la propria parte fino in fondo senza cercare vie alternative o facili compromessi che servirebbero solo a compiacere i padroni e a scontentare i lavoratori. È stata una bella giornata di lotta e anche l’occasione per interloquire con compagne e compagni sulla situazione politica e sindacale attuale. Con i Maestri e il PMLI vinceremo! Andrea, operaio del Mugello (Firenze) 14 il bolscevico / imperialismo europeo N. 15 - 14 aprile 2016 Con la partecipazione dell’Italia Nasce a Londra la superborsa europea a guida tedesca I mercati finanziari europei si uniscono per fronteggiare quelli americani e cinesi Il 16 marzo le due più importanti piazze finanziarie del vecchio continente, la Borsa di Francoforte e la Borsa di Londra, hanno annunciato di aver raggiunto un accordo per la loro fusione in un’unica superborsa europea. La Deutsche Boerse (DB) e il London Stock Exchange (LSE) hanno deciso infatti, con un reciproco scambio azionario, di dare vita ad un unico colosso borsistico che avrà sede legale a Londra e manterrà i due quartier generali di Londra e Francoforte, e nel quale i tedeschi avranno il 54,4% del capitale e i britannici il restante 45,6%. Presidente della nuova holding sarà l’attuale presidente di LSE, Donald Brydon, mentre l’amministratore delegato sarà l’attuale ad della Borsa di Francoforte, Carsten Kengeter. L’accordo deve passare il vaglio delle autorità antitrust europee, ma si stima che potrà diventare operativo nel corso dell’anno, o al più tardi entro il primo trimestre 2017. Lo scopo ufficiale della fusione è quello di realizzare cospicue economie di esercizio, stimate a regime in quasi mezzo miliardi di euro l’anno, ma è chiaro che l’ambizione è quella di acquisire una statura in grado di competere direttamente con le Borse americane e asiatiche: in primis il gruppo CME, ossia la Borsa di Chicago, la prima al mondo nel mercato dei future e delle opzioni, l’Intercontinental Exchange (il gruppo che gestisce il New York Stock Exchange, cioè Wall Street), e le Borse asiatiche: quella di Tokyo e le Borse cinesi, Hong Kong, Shanghai e Shenzen. Con circa 26 miliardi di euro di valore e più di 5 mila miliardi gestiti in rappresentanza di 3.200 aziende, le due società messe insieme formeranno infatti uno dei mercati più grandi del mondo. In particolare nel campo dei derivati, che era già un loro comune punto di forza, e dove ora si propongono di rivaleggiare ad armi pari con New York e Hong Kong, come da separate non potevano sperare di fare. Ma l’operazione va anche oltre le due sole Borse tedesca e britannica, e coinvolge l’intero sistema finanziario europeo. Va tenuto presente, infatti, che l’accordo coinvolge già direttamente anche la Borsa di Milano, essendo quest’ultima stata acquisita da quella di Londra nel 2007. Inoltre, come ha sottolineato l’ad di Deutsche Boerse, Kengeter, uno dei principali obiettivi della fusione è quello di dar vita ad un importante network che colleghi non solo Londra e Francoforte, ma anche Milano, Parigi e Lussemburgo, al fine di “rafforzare il mercato europeo dei capitali”. Anche l’attuale ad di LSE, Xaviet Rolet, che ad accordo realizzato dovrà cedere il posto nella nuova holding al suddetto Kengeter, nel sottolineare che la sua gestione, anche con l’acquisizione della Borsa di Milano, è stata all’insegna dell’espansione e del consolidamento, ha dichiarato che “il consolidamento continuerà anche in futuro, perché stiamo andando verso un framework globale di regolamentazione e ci sarà spazio solo per poche infrastrutture. Toccherà al mio successore misurarsi con Asia e America... non bisogna dimenticarsi che il trading in equity in Europa vale circa 40 miliardi di dollari al giorno, in Usa 300, in Cina 600”. In altre parole dietro questa operazione formalmente tra due società private come tante altre c’è in realtà la superpotenza imperialista europea, che seppure sempre più divisa al suo interno a livello politico e geografico, cerca invece di unirsi e rafforzarsi a livello economico e finanziario per non essere schiacciata tra i giganti imperialisti americano e cinese e competere anzi con loro per conquistare nuovi spazi nel mercato globale. Anche perché, col referendum del 23 giugno, la Gran Bretagna potrebbe decidere l’uscita dalla UE, e questo accordo mira chiaramente a scongiurare gli effetti potenzialmente devastanti sul mercato finanziario europeo che una simile decisione poli- tica potrebbe provocare. Non a caso sia Londra che Francoforte hanno tenuto a rassicurare che la fusione andrà avanti indipendentemente dall’esito del referendum sulla Brexit. Insomma, mentre i governi europei si mostrano sempre più paralizzati dai veti incrociati e dai rispettivi interessi di bottega, i grandi centri finanziari ed economici capitalistici non hanno invece difficoltà a mettersi d’accordo ed unirsi quando si tratta di rafforzare i comuni interessi e la superpotenza europea che li rappresenta e li porta avanti nel sistema capitalista mondializzato. Non manca tuttavia chi è fortemente contrario e si oppone a questa fusione. Innanzi tutto gli americani, con Wall Street e Chicago che da tempo avevano delle mire sulla LSE, e che pur non avendo rilanciato sull’offerta tedesca, potrebbero aspettare un’eventuale Brexit, approfittando delle oggettive difficoltà che provocherebbe alla realizzazione dell’accordo, per inserirsi nella partita e farlo fallire. Ma soprattutto ci sono forti resistenze alla superborsa europea da parte inglese, e in particolare da parte delle forze economiche e politiche favorevoli alla Brexit. A guidare l’offensiva è il Daily Mail, il quotidiano londinese tra i più euroscettici, che definisce una “follia finanziaria” cedere ai tedeschi la Borsa di Londra, “sopravvissuta alla guerra contro Napoleone e alle bombe di Hitler” e uno dei “tre pilastri della City”, insieme alla Banca d’Inghilterra e alle assicurazioni Lloyds. “È inconcepibile che il nostro governo non sia intervenuto per bloccare l’acquisizione di un bene strategico per il nostro paese come la Borsa di Londra da parte di quella di Francoforte. La Germania sarebbe certamente intervenuta, se qualcuno provasse a comprare la Bmw”, ha rincarato l’ex direttore della Camera di commercio di Londra, John Longworth. Simili resistenze nazionaliste fanno leva anche sul fatto che la fusione non è proprio “alla pari” come è stata definita, visto che la maggioranza azionaria e la direzione operativa della superborsa europea sono a leggero vantaggio tedesco. Del resto Francoforte ci aveva provato almeno altre due volte negli ultimi 15 anni ad acquisire il London Stock Exchange, e in questo senso si può vedere la fusione come un’acquisizione della Borsa di Londra da parte dei tedeschi. In ogni caso questo aspetto, che ha a che vedere più con l’orgoglio nazionale che con le reali implicazioni economiche, ci sembra secondario rispetto alle finalità e alla posta in gioco dell’operazione. Che sono, rispettivamente, la concentrazione capitalistica dei grandi centri finanziari europei, che avanza anche al di là delle vecchie barriere nazionali, per quanto oggi possano sembrare tornare in auge; e la sopravvivenza nell’arena del capitalismo globale, dove l’unica legge che vale, oggi più che mai, è quella del più forte. Droni britannici a Sigonella per la guerra alla Libia Lo scorso 9 marzo la Segretaria di Stato per le forze armate, Penelope Mary Mordaunt, nel rispondere alla Camera dei Comuni a un’interrogazione urgente al governo Cameron non negava che alcuni droni britannici fossero schierati nella base aerea di Sigonella in Italia per la guerra alla Libia, per le attività di spionaggio preparatorie e per gli attacchi armati non appena ci sarà il via libera ufficiale. All’interrogazione presentata da un parlamentare laburista che chiedeva chiarimenti sul fatto che i “permessi concessi all’uso della stazione aerea di Sigonella si estendessero sia alle operazioni di lancio e ricovero del sistema a pilotaggio remoto Reaper che alle missioni di combattimento” la Mordant rispondeva che “siamo presenti da lungo tempo nella Naval Air Station di Sigonella e abbiamo fatto uso frequente di essa; tuttavia non è prassi normale fare commenti sui dettagli degli accordi assunti con le nazioni ospitanti”. Quando si tratta di iniziative militari imperialiste palesemente illegali, come nel caso delle azioni protette dai droni dei corpi speciali di vari paesi in una Libia ridotta a una polveriera proprio dall’aggressione del 2011 che distrusse il regime di Gheddafi, anche il governo di Londra nasconde gli accordi stipulati con altri paesi al proprio parlamento. La “prassi normale” imperialista è l’occultamento o la manipolazione della verità piegata alle esigenze del momento e neanche limitata ai “dettagli”. Poco più di un mese prima, il 19 febbraio, allo stesso parlamentare laburista che aveva chiesto se le forze aeree del Regno Unito avessero “ricevuto il permesso dalle autorità italiane o comunque richiesto l’autorizzazione a utilizzare la base di Sigonella”, il governo rispondeva che aveva “già il permesso di operare dalla stazione aeronavale siciliana. Noi facciamo frequente uso di essa; ad esempio, nel 2015, tre elicotteri Merlin vi sono stati dislocati per prendere parte alle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Ora operiamo da Sigonella nell’ambito di un’esercitazione di guerra anti-sottomarini, Dynamic Manta”. A quanto pare quindi il permesso a operare con i droni da Sigonella da parte della Gran Bretagna potrebbe essere quindi una semplice estensione di quelli già precedentemente accordati dal governo italiano. Magari sul modello di quelli già concessi agli Usa secondo quella formula ipocrita che prevederebbe il consenso del governo italiano a azioni di guerra da valutare “ogni volta caso per caso” per “proteggere il personale militare in pericolo durante le operazioni anti-Is in Libia e in altre parti del Nord Africa”, come rivelava il Wall Street Journal e sostanzialmente confermava il governo Renzi. Tra l’altro il sistema di comando e controllo dei velivoli senza pilota britannici è strettamente integrato con quello delle forze armate statunitensi. I droni britannici richiamati nell’interrogazione parlamentare sono gli MQ-9 Reaper, capaci di volare per 28 ore consecutive, dotati di modernissimi sensori elettrottici e ra- dar e armati con due bombe a guida laser GBU-12 e otto missili aria-terra AGM-114 “Hellefire”. I velivoli per la base di Sigonella sono una parte di quelli in dotazione a due reparti della Raf di stanza nella base di Waddington nel Lincolnshire e che sono stati utilizzati in Afghanistan dal 2007 al 2014 in operazioni d’intelligence e sorveglianza. Solo dopo l’autorizzazione del Congresso Usa, cinque vettori MQ-9 sono stati armati e dal 2015 sono stati usati per bombardamenti in Afghanistan, e contro lo Stato islamico in Iraq e Siria. E Sigonella si conferma una delle basi avanzate per la guerra imperialista in Libia che il premier Renzi sostiene un giorno sì e l’altro pure di non voler fare mentre espone l’Italia al rischio di sanguinose rappresaglie e attentati. Il Belgio manda gli F-16 a bombardare la Siria Lo scorso 2 marzo il ministro degli Esteri, Didier Reynders, aveva annunciato la volontà del governo belga di estendere alla Siria i raid degli F-16 dell’aviazione belga contro lo Stato islamico (Is); i caccia di Bruxelles erano in azione Iraq già dal 2014 in Iraq. “Credo che non abbia senso - spiegava il ministro limitare la nostra azione all’Iraq senza estenderla oltre il confine (con la Siria, ndr) se i terroristi operano anche ol- tre questo confine”. Il 22 marzo i due attacchi all’aeroporto internazionale di Zaventem e nella metropolitana di Bruxelles erano rivendicati dall’Is con un comunicato diffuso da Amaq News nel quale si affermava tra l’altro che “promettiamo giorni cupi agli Stati crociati che si sono alleati contro lo Stato Islamico, rispondiamo alla loro aggressione contro il nostro Stato”. Un ragionamento chiaro, voi ci colpite, noi rispondiamo. Per interrompere la catena bombardamenti-attentati potrebbe forse essere sufficiente cessare i raid imperialisti in Siria e Iraq. Invece il 25 marzo il premier belga Charles Michel confermava che gli F-16 bombarderanno l’Is in Siria, una posizione in piena sintonia con gli altri paesi imperialisti crociati che continuano a colpire lo Stato islamico e a esporre le loro popolazioni alla reazione degli aggrediti. esteri / il bolscevico 15 N. 15 - 14 aprile 2016 Asserragliato in una base navale Il governo fantoccio libico degli imperialisti insediato a Tripoli Non ha ancora il consenso dei governi di Tripoli e Tobruk Il 5 aprile l’inviato delle Nazioni Unite in Libia, Martin Kobler, arrivava a Tripoli per la prima visita ufficiale a Fayez Serraj e al suo governo fantoccio costruito dagli imperialisti. Serraj era sbarcato nella capitale libica il 30 maggio, proveniente via mare dalla Tunisia, e si era insediato o meglio asserragliato nella base navale di Abu Sittah, accolto a fucilate dalle milizie di alcune delle fazioni che sostengono il governo islamista di Tripoli guidato da Khalifa Ghwell, non ancora ufficialmente sciolto. Kobler ribadiva il sostegno a Serraj e all’unico governo riconosciuto dall’Onu prima di spostarsi nella città di Misurata, sede di una delle più importanti milizie che sostenevano il governo islamista e il cui passaggio a sostegno al governo di unità nazionale hanno permesso a Serraj di restare a Tripoli. Ultima tappa del viaggio dell’inviato Onu sarà Tobruk, sede dell’altro governo libico sostenuto dall’Egitto e delle sue milizie guidate dal generale Khalifa Haftar che non ha intenzione per ora di mollare il comando militare all’esecutivo di Serraj. Detto in altre parole, il governo fantoccio libico degli imperialisti insediato a Tripoli resta asserragliato nella base navale e non ha ancora il consenso dei governi di Tripoli e Tobruk. Serraj cerca intanto di garantirsi perlomeno le condizioni per una minima sopravvivenza in Tripolitania e cominciare a svolgere il compito assegnatogli dai padrini imperialisti: tenere in piedi la baracca del governo di unità nazionale e far arrivare la tanto attesa richiesta formale di intervento militare per garantire la “sicurezza” delle istituzioni libiche, delle sue importanti risorse energetiche e cacciare fuori dal paese le formazioni che hanno aderito allo Stato islamico. Serraj può registrare come parziali ma significativi successi il riconoscimento intascato il 30 marzo dal gover- natore della Banca centrale libica Saddek Elkaber e di una quindicina di sindaci delle città della Tripolitania. Il 2 aprile incassava quello ancora più importante del responsabile della Noc, la compagnia petrolifera che ha sede a Tripoli ma che il governo di Tobruk voleva dividere e mettere in piedi una sede indipendente a Bengasi per controllare quantomeno il petrolio della Cirenaica. “La compagnia sta lavorando con il Governo di unità nazionale per coordinare le future vendite di petrolio e lasciarsi dietro un periodo di divisioni e rivalità” affermava il responsabile della Noc che metteva nelle mani di Serraj la gestione dei pozzi, dei proventi delle vendite e della loro distribuzione nel paese. Assieme al sostegno della Noc Serraj raccoglieva anche quello della Petroleum Facilities Guard, un gruppo armato semi-ufficiale che controlla le installazioni petrolifere nell’est e che non vuole sottostare al governo di Bengasi. Il 5 aprile anche il presidente della Lia, la Libyan Investment Authority, il fondo sovrano libico creato ai tempi di Gheddafi che gestisce investimenti valutati in circa 70 miliardi di dollari, appoggiava formalmente il “governo di accordo nazionale a Tripoli che rappresenta un passo importante verso la stabilità e l’unità della Libia”. La Lia, come la Noc, aveva dovuto respingere il tentativo del governo di Tobruk di dividerla e creare una seconda società per mettere le mani sul controllo dei suoi investimenti. Secondo alcuni collaboratori di Serraj “sarà ancora lunga e difficilissima ma per ora l’abbiamo sfangata”. Non sono stati ributtati a mare a Tripoli, e riguardo ai responsabili delle fazioni ancora ostili affermavano che “stiamo provando a comprarceli, a garantire a ciascuno di loro un futuro, un ruolo, lavori e appalti per le loro aziende”. Come sembra stiano facendo con l’ex premier di Tripoli, Khalifa Ghwell, che per giorni ha bloccato lo spazio aereo della città costringendo Sarraj a sbarcare via mare ma il 31 marzo lasciava la capitale e tornava a Misurata dopo essere stato convinto dagli anziani della sua città ad aprire un negoziato. Sulla decisione di Ghwell pesavano anche le pressioni dell’Unione europea (Ue) che il 30 marzo lo aveva messo sotto sanzioni, congelamento dei beni e divieto di viaggio, assieme al berbero Nouri Abusahmin presidente del parlamento di Tripoli e al presidente del parlamento di Bengasi Aguila Saleh, per non aver subito riconosciuto il governo fantoccio. Alle sanzioni della Ue si erano unite le pressioni dell’inviato Onu Kobler che l’1 aprile aveva ammonito che non esistevano alternative al riconoscimento del governo di unità nazionale da parte di nessuno e sollecitava anche il governo di Tobruk a darsi una mossa perché “non si può aspettare il voto se quest’ultimo lo blocca intenzionalmente”. L’urgenza, ribadiva Kobler, era data dalla necessità di dare il via “all’azione di contrasto ai terroristi con una struttura di sicurezza unificata” da impiantare in Libia e dotata di “armamenti moderni”, che possono arrivare solo se entra in carica un governo in grado di chiedere la fine dell’embargo sulle armi imposto al paese. Il momento di agire è arrivato, sottolineava l’inviato dell’Onu perché “non può esserci che una soluzione militare nella lotta contro l’Is”. L’obiettivo centrale dell’operazione messa in piedi dall’imperialismo in Libia per dare il via all’operazione militare a guida italiana, sempre più vicina. Sull’esecutivo fantoccio di Serraj continua a pesare la condanna del Gran Muftì della Libia, Sadeq al Ghariani, l’autorevole religioso vicino al governo islamico di Tripoli che il 31 marzo denunciava “l’ingiusto gruppo che si fa chiamare governo di unità e che non deve ingannare col sostegno della comunità internazionale, deve lasciare il paese”. “Noi non siamo contro il consiglio presidenziale ma siamo con la patria e non amiamo venderla, deluderla e farla sottoporre a un’amministrazione fiduciaria straniera che non rispetta la nostra fede religiosa”, affermava il Gran Mufti. Al vertice di Washington sul rischio nucleare Obama: Impedire all’IS di mettere le mani sulle armi nucleari Accordo tra Obama e Xi contro il “terrorismo nucleare” Il quarto appuntamento del Nuclear Security Summit (Nss) che si è svolto dal 31 marzo all’1 aprile a Washington ha chiuso il ciclo dei vertici inaugurato nella stessa città nel 2010 e convocati dal presidente americano Barack Obama per perseguire l’obiettivo di “un mondo senza armi nucleari”. I lavori del summit, cui hanno partecipato oltre 50 leader mondiali, avrebbero permesso all’iniziativa promossa da Obama, secondo le sue stesse parole, di costruire un consenso globale sulla necessità di dotarsi di strumenti per affrontare le sfide della sicurezza nucleare e definire nuove condizioni di sicurezza che permettano di progredire nel campo della non proliferazione e del disarmo verso “un mondo più sicuro per tutti”. L’iniziativa partita sei anni fa ha prodotto l’intesa del 2010 tra Obama e l’allora presidente russo Medvedev sulla riduzione dei rispettivi arsenali nucleari, lasciando comunque un numero di bombe nucleari suf- ficienti a distruggere varie volte il pianeta, e poco altro. A Washington la Russia non si è presentata per la crisi nei rapporti con la Casa Bianca in seguito alla crisi ucraina. L’iniziativa di Obama non ha avuto alcun impatto sullo sviluppo degli arsenali nucleari di paesi che non aderiscono nemmeno al trattato di non proliferazione nucleare ma che chiamandosi Israele, Pakistan e India non sono neanche presi in considerazione dagli alleati paesi imperialisti e principali potenze nucleari. I quali una volta risolto il contenzioso con l’Iran di Rohani sullo sviluppo del nucleare iraniano, fermato da Teheran e messo sotto il controllo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), hanno lasciato comunque l’Iran fuori della porta non invitandolo al summit e hanno continuato a tenere nel mirino la non allineata Corea del Nord. Ma l’obiettivo principale dei Nss è stato e resta quello della lotta contro la “minaccia del terrorismo nucleare”. L’obiettivo riba- dito nei vertici di Seul del 2012 e dell’Aja nel 2014 e aggiornato da Obama nel 2016 con l’indicazione della necessità di impedire all’Is di mettere le mani sulle armi nucleari. Nella presentazione del vertice Obama aveva dichiarato che “considerata la continua minaccia posta da organizzazioni come il gruppo terroristico che chiamiamo Stato Islamico ci uniremo agli alleati e partner per riconsiderare i nostri sforzi nella lotta al terrorismo, per impedire che la rete più pericolosa del mondo possa ottenere le armi più pericolose del mondo”. Non a caso uno degli incontri previsti tra i leader imperialisti nel summit sulla sicurezza nucleare era una sessione speciale sulla lotta all’Is. Il vertice ha definito cinque piani d’azione per migliorare il coordinamento degli stati membri con l’Aiea e l’Interpol cui è affidata la responsabilità principale per “rafforzare l’architettura globale di sicurezza nucleare”. A quell’Aiea che fece da spalla a Bush nell’inventare le prove fasulle sull’inesistente arsenale di armi di distruzione di massa di Saddam e legittimare la guerra imperialista all’Iraq nel 2003. All’ultimo vertice della serie Nss, Obama non ha potuto contare sull’apporto della Russia di Putin che ha voluto marcare le accresciute contraddizioni imperialiste con gli Usa; il partner imperialista privilegiato è quindi risultato la Cina di Xi Jinping che nell’incontro bilaterale ha firmato una intesa in dieci punti per una collaborazione tra le due principali potenze economiche imperialiste mondiali che hanno messo per scritto e firmato l’impegno “a lavorare insieme per sviluppare un contesto internazionale pacifico e stabile, riducendo la minaccia del terrorismo nucleare”. Belle parole, mentre nei fatti è in atto un perdurante confronto economico e politico per la supremazia mondiale tra le due superpotenze, quella di Obama in declino e quella del rinnegato Xi in ascesa. Gaza Missili israeliani uccidono due bimbi palestinesi I sionisti espandono le colonie in Cisgiordania Una bambina palestinese di 6 anni ed il suo fratellino di 10 anni sono stati uccisi il 17 marzo nella loro casa a Beit Lahiya, nella Striscia di Gaza, dai frammenti di un missile lanciato da un aereo militare israeliano; un altro fratello di 13 anni è rimasto ferito. I due bimbi palestinesi vivevano in una casa, già danneggiata nell’aggressione sionista del 2014, vicina a una postazione delle Brigate Ezzedine al Qassem, braccio armato del movimento islamico Hamas. La notizia è stata diffusa dal ministro della Salute di Gaza che in una intervista all’emittente satellitare “al Arabiya” ha denunciato il gover- no di Tel Aviv per aver lanciato cinque raid aerei su strutture di Hamas a Gaza. La rappresaglia di Tel Aviv era stata decisa dal governo in risposta al lancio nei giorni precedenti di alcuni razzi partiti dalla Striscia e finiti poco oltre i recinti del lager costruito dai sionisti intorno a Gaza senza provocare vittime. “Continueremo a proteggere vite innocenti e la sovranità israeliana da chi la minaccia”, era l’ipocrita commento del portavoce dell’esercito sionista in riferimento ai sette missili lanciati dall’inizio del 2016 da Gaza. Neanche una parola per le due giovani vittime che abitavano in una casa parzialmente distrutta dai raid sionisti dell’estate 2014 durante l’operazione “Margine Protettivo” e mai ricostruita a causa della mancanza di materiali edili che come molti altri generi necessari non entrano nella Striscia per il blocco di fatto dei valichi sia da parte di Israele che dell’Egitto. La tregua che pose fine all’aggressione del 2014, pagata dai palestinesi con oltre 1.800 vittime civili, non è stata rispettata non tanto dal lancio di qualche razzo palestinese quanto dai raid dell’esercito sionista che oltre alle rappresaglie di tipo nazista spara ai contadini che tentano di lavo- rare le terre vicino ai reticolati o ai pescatori che sono costretti a lavorare nelle poco pescose acque entro le 3 miglia nautiche per imposizione unilaterale di Tel Aviv; il cessate il fuoco prevedeva un limite a 6 miglia, i famigerati Accordi di Oslo del 1994 ne prevedevano 20. A proposito degli accordi di Oslo, un recente rapporto di Peace Now, l’associazione israeliana che tra l’altro monitorizza lo sviluppo delle colonie, ha denunciato che il governo di Tel Aviv ha ripristinato la politica di confisca di vasti appezzamenti di terra palestinese per consentire l’espansione delle colonie con una frequenza mai vista dagli anni ’80, prima di quegli accordi. L’osservatorio delle colonie israeliane ha individuato una vasta area di territorio palestinese a sud di Gerico, nella parte centrale della Cisgiordania, che è stata dichiarata poche settimane fa “terra statale” dall’amministrazione civile di Israele. Questa azione rappresenta uno dei più grossi furti di terra degli ultimi anni da parte dei sionisti, disposto lo scorso gennaio per un territorio di 15 ettari e realizzato il 10 marzo su una superficie di oltre 23 ettari destinato alla costruzione di almeno 350 unità abitative nella colonia illegale di Almog. Questo esproprio, unito a quello da 50 ettari del 2014 nel distretto di Betlemme, segue la politica di espulsione dei palestinesi dalla parte centrale della Cisgiordania che si troverebbe a essere divisa in due. I nazisti sionisti continuano a tenere segregati e sotto tiro i palestinesi nel ghetto di Gaza mentre distruggono case e campi palestinesi coltivati in Cisgiordania a favore dell’allargamento delle illegali colonie. Senza pagar pegno per questo e per l’occupazione della Palestina e la negazione dei diritti fondamentali del popolo palestinese grazie all’impunità garantitagli dai paesi imperialisti. Al referendum del 17 aprile Stampato in proprio Committente responsabile: M. MARTENGHI (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515) per salvaguardare la salute la natura e l’ambiente per le energie rinnovabili PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE -- Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] -- www.pmli.it