Salute eTerritorio Nuove prospettive nel SSN

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Salute eTerritorio Nuove prospettive nel SSN
Sae l ute
Territorio
Direttore responsabile
Mariella Crocellà
Redazione
Antonio Alfano
Gianni Amunni
Alessandro Bussotti
Francesco Carnevale
Bruno Cravedi
Laura D’Addio
Gian Paolo Donzelli
Claudio Galanti
Marco Geddes
Valtere Giovannini
Carlo Hanau
Gavino Maciocco
Mariella Orsi
Daniela Papini
Paolo Sarti
Luigi Tonelli
Alberto Zanobini
Collaboratori
Marco Biocca, Centro Documentazione Regione
Emilia-Romagna
Eva Buiatti, Osservatorio Epidemiologico, Agenzia
Regionale di Sanità della Toscana
Ivan Cavicchi, Università La Sapienza
e di Tor Vergata - Roma
Giuseppe Costa, Epidemiologia - Grugliasco, Torino
Nerina Dirindin, Assessore alla Sanità, Regione Sardegna
Luca Lattuada, Agenzia Regionale della Sanità - Friuli
Pierluigi Morosini, Istituto Superiore di Sanità - Roma
Emanuele Scafato, Istituto Superiore di Sanità - Roma
Comitato Scientifico
Giovanni Berlinguer, Professore Emerito
Facoltà di Scienze - Roma
Giorgio Cosmacini, Centro Italiano di Storia Sanitaria
e Ospitaliera - Reggio Emilia
Silvio Garattini, Istituto Negri - Milano
Donato Greco, Direttore Direzione Generale
della Prevenzione Sanitaria, Ministero della Salute
Elio Guzzanti, Docente di Organizzazione Sanitaria Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli” - Roma
Segreteria di redazione
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349/4972131
Segreteria informatica
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Direzione, Redazione
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Distribuzione
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Questo numero è stato chiuso in redazione
il 15 febbraio 2008
166 Rivista bimestrale di politica sociosanitaria fondata da L. Gambassini
FORMAS - Laboratorio Regionale per la Formazione Sanitaria
Anno XXIX - Gennaio-Febbraio 2008
Sommario
2
L. Setti, G.F. Gensini
Una nuova partnership
Monografia
3
I. Cavicchi
9
A. Gardini
14
M.T. Mechi, F. Gemmi,
P. Barbacci, F. Bellini, A. Cecchi,
G. Monti, P. Pacini, P. Tosi
19
F. Capacci, F. Carnevale
24
A. Bussotti, E. Crucci
29
L. Tonelli
34
P. Sarti
38
F. Gori, S. Gori, C. Mannini,
F. Festini
44
M. Ferrara
49
G. Guidoni, M. Orsi
53
S. Nuti
59
G. Amunni, A. Caldarella,
C. Angiolini, P. Mantellini,
E. Crocetti, E. Paci
63
G. Maciocco, S. Barsanti
Nuove prospettive nel SSN
Il pensiero debole della sanità
Qualità e nuove tecnologie
La riorganizzazione “snella”
dell’assistenza ospedaliera
Abbonamenti 2008
Italia
€ 41,32
Estero € 46,48
Fotocomposizione e stampa
Edizioni ETS - Pisa
Morire di lavoro
Le Unità di medicina generale
Le risorse del web
Pediatria e cultura della salute
La somministrazione di farmaci pediatrici
a domicilio
La psichiatria di comunità
Uso di droghe e comportamenti a rischio
La valutazione per la governance del Psr
Indicatori di qualità del percorso
assistenziale
Un possibile sistema sanitario negli USA
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2 Territorio
N. 166 - 2008
Una nuova partnership
A
partire da questo numero Salute e Territorio esce sotto il patrocinio del FORMAS, il Laboratorio che la Regione Toscana ha recentemente costituito per sostenere e coordinare le iniziative del Sistema sanitario regionale nell’ambito della formazione sanitaria e in particolare della formazione continua.
Non è un cambio di proprietà. Salute e Territorio, come tutte le riviste vitali, è dei suoi lettori, di
tutti coloro che la fanno vivere, di una comunità di persone che ne condivide e sostiene il progetto. Rimane immutata l’idea fondante di una rivista che affronti e discuta i temi più rilevanti delle politiche sociosanitarie, con l’intento di fare conoscere e divulgare esperienze e soluzioni. Così
come rimane immutato il baricentro – quello del sistema toscano – che non intende essere una
chiusura verso modelli diversi, ma rappresenta la prospettiva e il sistema di valori in riferimento
ai quali si intesse il dialogo con la realtà complessa dei servizi e dei sistemi sociosanitari.
Per la rivista e per il FORMAS ha inizio, invece, una nuova partnership che si fonda sull’incontro
tra due soggetti che condividono alcune finalità di fondo e dalla quale possono e devono trarre
nuove opportunità. Il contributo che la rivista può dare al FORMAS è la sua consolidata capacità
di leggere la realtà in modo dialogico, e di rappresentare un importante momento di informazione e formazione per molti operatori. È la missione originaria di Salute e Territorio ed è, al tempo
stesso, una risorsa preziosa per il FORMAS.
Il FORMAS, a sua volta, potrà rappresentare uno stimolo perché le informazioni e le analisi che
la rivista produce e diffonde siano sempre più orientate a diventare conoscenze e competenze
spendibili dagli operatori, in grado di tradursi il più rapidamente possibile in miglioramento dei
servizi.
Un approccio proattivo nei confronti dei problemi e interattivo con i lettori e più in generale con
il Sistema sanitario regionale e nazionale rappresenta il riferimento generale del progetto editoriale che prende l’avvio, innestandosi sulla prestigiosa tradizione di Salute e Territorio, per fare
sì che la collaborazione fra FORMAS e la rivista possa offrire un nuovo e efficace strumento di comunicazione e di crescita per il nostro Sistema sanitario.
La capacità della nuova collaborazione di essere efficace e di divenire sinergia dipenderà, innanzitutto, dalla capacità dei due soggetti coinvolti di assolvere ai propri rispettivi ruoli in una prospettiva comune. Una parte rilevante spetterà anche, però, ai nostri lettori. Ad essi il compito di
guidarci nella realizzazione della nostra missione, indicando possibili obiettivi e strategie, segnalandoci eventuali elementi di debolezza, condividendo con passione e senza indulgenze le
criticità percepite.
Solo così Salute e Territorio potrà mantenere l’autorevolezza conquistata negli anni e continuare
a rappresentare un preciso punto di riferimento per la grande comunità della Sanità toscana,
con la sua ricchezza di fermenti, di crescita, di innovazione, ma anche di attese, di discussione,
di riflessione attenta. Ci impegneremo per questo, consapevoli che solo un impegno corale degli
amministratori, dei professionisti, e dei cittadini potrà consentire al Progetto di realizzarsi nel
modo migliore. Siamo convinti che questo impegno non mancherà.
Luigi Setti
Gian Franco Gensini
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
Ivan Cavicchi*
E
sattamente trent’anni fa
prendeva forma un
“pensiero forte”, la
riforma sanitaria del 23 dicembre 1978, il cui obiettivo
strategico era cambiare alle
fondamenta il sistema di tutela per affermare un nuovo
diritto alla salute.
Le condizioni politiche, culturali, economiche per questo cambiamento, già all’indomani dell’approvazione
della riforma, si indebolirono,
e in luogo del cambiamento
dei modelli assistenziali, presero piede strategie moderate
ispirate alla buona gestione,
alla razionalizzazione e al governo regionale.
Ad un “pensiero forte” si sostituì negli anni un “pensiero
debole”, un pensiero certamente inadeguato a governare le sfide del tempo, ma soprattutto rassegnato ad operare, al meglio certamente,
ma dentro vecchi modelli di
tutela.
Oggi questo pensiero debole
non solo mostra inevitabilmente tutti i suoi limiti, la
sua regressività, ma ci stiamo
rendendo contro che i risultati
che attendevamo dalle sue politiche, cioè i miglioramenti,
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Territorio 3
Il pensiero debole
della sanità
sono palesemente al disotto
delle necessità del sistema e
delle ragionevoli aspettative.
Non che non si sia fatto niente, per carità, la buona amministrazione di risultati ne ha
dati, e come, ma questi risultati spesso si sono pagati con
nuove e più pesanti contraddizioni come la crescita delle
diseguaglianze, l’autoreferenzialità dell’offerta di servizi, la crescita della spesa
privata, il contenzioso legale,
la caduta della qualità delle
prestazioni, il razionamento
delle coperture ecc.
Oggi è chiaro che migliorare i
modelli è un obiettivo sacrosanto ma anche che questa
strategia non è in grado in
nessun modo di sostituirsi a
inevitabili strategie di cambiamenti dei modelli.
Oggi ci è chiaro che i problemi
di prospettiva a cui va in contro il sistema sanitario pubblico soprattutto l’antieconomicità (cioè di una spesa crescente senza benefici di salute
crescenti) sono principalmente determinati dalla vetustà
dei modelli e principalmente
dalla arretratezza di forme di
tutela che non sono mai state
veramente riformate.
Dall’istituzione del SSN ad oggi.
L’esigenza di rifondare la governabilità,
oltre che la sostenibilità, del Servizio pubblico
Oggi quindi ritorna con forza
la necessità di un pensiero
forte, di un pensiero riformatore, e quindi il tema del
cambiamento.
Perché la sanità è come penalizzata dal pensiero debole?
Tre le ragioni principali:
– gli interessi in gioco hanno ragioni per mediare su
proposte deboli;
– il senso comune a sua volta ha un apparato concettuale povero, cioè non ha
idee nuove;
– i giudizi sulla sanità dai
quali partono i ragionamenti non sono le conseguenze di indagini sui suoi
problemi ma scelte politiche “a priori” dedotte da
una visione tutto sommato
conservatrice.
Il pensiero debole in sanità,
per me è soprattutto un pensiero inadeguato, inappropriato, inadatto, insufficiente ad
affrontare le grandi contraddizioni del sistema sanitario, i
suoi grandi problemi sia immanenti che di prospettiva, e
ad inventare, con una costante reinterpretazione dei contesti i suoi ideali regolativi, i
suoi principi fondamentali.
La mia idea è che sino ad ora
non abbiamo avuto tante buone ragioni per sbagliarci deducendo politiche che migliorano senza cambiare, ma semmai abbiamo avuto prima di
tutto “forti” ragioni per mediare proposte “deboli”.
Il senso comune alla fine è
autoreferenziale. Esso si organizza come un insieme di
ragioni considerate in quanto
tali sufficienti. Senza accorgerci che la sufficienza del
senso comune in sanità è un
“non senso”.
Abbiamo avuto tre riforme in
trent’anni, una sostituzione
di strategie, abbiamo fenomeni di inerzia di vecchi apparati concettuali, vecchie forme
di organizzazione del lavoro,
abbiamo vecchi e nuovi squi-
* Autore di testi fondamentali sulla riformabilità della medicina come sapere e sulla politica sanitaria. Di recente pubblicazione Il pensiero debole
della sanità, Edizioni Dedalo.
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libri, vecchie e nuove contraddizioni che sono in ogni
dove, le diseguaglianze, stiamo viaggiando verso prospettive di razionamento delle
prestazioni, abbiamo grossi
problemi di governabilità, e
una crescita non solo dell’insoddisfazione del cittadino (il
famoso scollamento), ma il
fatto nuovo è ormai il manifestarsi di un conflitto sociale
tra società civile e sanità, sotto la forma del contenzioso
legale della crescita della spesa privata. Per cui effettivamente un pensiero debole
non è giustificato, eppure è a
questo pensiero che la politica, e un’intera classe dirigente, attinge a piene mani.
Le principali questioni politiche
Quali sono le grandi questioni
sul tappeto, o almeno quelle
dalle quali io partirei per definire un pensiero forte?
Cominciamo dalle questioni
più politiche:
A1. Politica e sanità
A2. Partecipazione sociale e
governabilità
A3. Governance
A4. Sostenibilità
A5. Diseguaglianze
A1. Politica e sanità
La sanità è tormentata, vessata, sopraffatta dalla lottizzazione, dal suo uso strumentale ai fini di gestire il consenso politico in un momento
in cui la politica sembra rinunciare a conquistare il consenso con la democrazia, con
la persuasione affidata ai suoi
argomenti e alle sue proposte, e con comportamenti
pubblici inappuntabili.
Nei dibattiti si dice continuamente “fuori la politica dalle
Nuove prospettive nel SSN
ASL”, “la politica faccia un
passo indietro”.
Ma come stanno veramente le
cose: tutto è iniziato con una
riforma quella del ’78, che è
stata riforma di servizi, rispetto alla quale la politica
decide di farsi servizio.
Diventando strumento del cittadino dentro una nuova relazione definita “servizio”, nella quale si incontrano produzione e godimento di utilità.
Il servizio, per la riforma sanitaria avrebbe dovuto essere
una nuova relazione tra politica e società. I servizi sanitari
erano qualcosa che andavano
oltre le utilità sanitarie, erano
mezzi per l’emancipazione
delle persone, erano strumenti per l’eguaglianza, condizione per l’affermazione dei diritti fondamentali del cittadino, erano cioè il modo attraverso il quale il cittadino si
serviva della politica perché
la salute non poteva che essere una funzione della politica.
A partire dall’istituzione dell’Azienda sanitaria questo
modo di intendere la politica
è stato accantonato.
Il passaggio è da una politica
come servizio ad un servizio
senza politica, quindi ad una
tecnica di servizio.
La nascita dell’Azienda è stata preceduta da una critica
molto forte alla politica della
gestione (sprechi, ruberie,
incapacità, lottizzazioni,
scandali), al punto che l’Azienda nasce sul presupposto
della divisione netta tra politica e gestione.
La politica non deve gestire
niente, deve guidare, indirizzare, programmare. Saranno i
tecnocrati a gestire. In pratica si è passati da un progetto
di cambiamento del modello
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di tutela, teorizzato dalla
riforma del ‘78 ad un progetto
di pura amministrazione di
tale modello rappresentato
dalla “riforma della riforma”
del ’92. Oggi i problemi finanziari delle Regioni hanno trasformato gli assessori alla sanità in gestori, e i gestori veri, i direttori generali delle
Aziende, sono diventati degli
amministratori non nominati
su base fiduciaria come dicono le Regioni per giustificarsi, ma nominati con il criterio
delle spartizione, dell’essere
in quota alle varie forze politiche, e soprattutto nominati
sulla base della fedeltà a partiti ed a uomini di partito.
Questo metodo ormai universale sta coinvolgendo tutto
quanto è nominabile: precari,
dirigenti, funzionari.
Non basta dire la politica faccia un passo indietro. La politica torni a fare il suo mestiere, esprima le sue strategie
attraverso i servizi, ma tornino a fare il loro mestiere tutti
quanti: primari, dirigenti,
operatori, direttori generali.
E soprattutto guerra aperta a
clientelismo e lottizzazione.
Queste sono oggi le forme moderne di antiche sopraffazioni: il più forte che si impone
sul più debole indipendentemente da meriti, conoscenze,
capacità, esperienze, talenti.
A2. Partecipazione sociale e
governabilità
Mai nozione è diventata negli
anni così vuota e così abusata
come partecipazione.
Oggi il discorso è davvero
frusto:
– Si ripropone una partecipazione finta che non sfiora i modelli di governance delle istituzioni che in realtà sono auto-
rizzate a comportarsi come
istituzioni proprietarie e non
come istituzioni delegate.
– Si ripropone l’unica cosa
che davvero non si dovrebbe riproporre. vale a dire il
paternalismo di Stato sui
cui limiti non vale la pena
di soffermarci.
– Si propone una filosofia fideista che è del tutto
smentita dalle nuove forme di conflitto sociale, a
partire dal contenzioso legale che i cittadini promuovono contro gli operatori ed i servizi della sanità pubblica. Fideismo significa contrapporre alle
ragione degli individui un
senso comune, una fiducia
“a priori”, che non ammette disconferme. Le disconferme purtroppo sono all’ordine del giorno senza
per questo affermare che
tutto va male.
– Si propone in realtà una
non partecipazione cioè
una figura di cittadino
esclusivamente concepito
come utente a dispetto di
tutta la letteratura sull’empowerment (alla lettera “dare più potere” ai soggetti). La riduzione del
cittadino ad utente è un
pesante taglio all’idea di
cittadinanza.
Come fare per fare della partecipazione un discorso serio?
Sarebbe sufficiente liberarsi
delle vecchie culture sulla
partecipazione e riconoscere
il cittadino nella sua cittadinanza. Quindi considerarlo un
proprietario sociale e di conseguenza ripensare i modelli
tradizionali di governance.
Chi impedisce di inserire negli organi dell’Azienda un comitato della domanda coordi-
Nuove prospettive nel SSN
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nato dai Comuni? Chi impedisce di riconoscere al cittadino
una sovranità organizzata?
A3. Governance
Più si parla di governance e più
crescono le diseguaglianze.
Insomma che le diseguaglianze in sanità esistono non solo
è vero, ma è vero anche che
sono aumentate ma diversificandosi nel loro genere (istituzionali, organizzative, finanziarie, epidemiologiche
ecc.).
Come interpretare questa
esplosione antiuniversalistica?
In due modi:
– gli strumenti previsti dalla
riforma del ’78 per eliminare le differenze strutturali, non hanno funzionato (ripartizione del fondo
sanitario nazionale, quota
capitaria, piano straordinario di investimenti);
– le Regioni hanno continuato a servirsi di strumenti inefficaci e soprattutto vecchi perché privi
di nuovi strumenti.
Uno studio Formez ha valutato il rapporto tra governance e
risultati, ricorrendo a ben 85
indicatori, ed evidenziando,
una situazione disomogenea.
Lo studio ha evidenziato l’esistenza di:
– una relazione stretta tra
governance e performance;
– una forte relazione tra
contesto e governance;
– una relazione stretta tra
governance e risultati di
salute;
– una certa relazione tra
qualità e salute;
– una certa interdipendenza
tra spese e risultati.
Secondo il Formez, non esiste
una relazione dimostrata tra
spesa e capacità di governo;
– le risorse non sono la variabile chiave per riequilibrare
il Paese e per sviluppare
l’universalismo;
– il fattore chiave sembra essere la capacità politica del
governo regionale.
A4. Prevenzione e sostenibilità
Sostenibilità è un’idea, come
è noto, che nasce dalla cultura ambientalista e che ha dato luogo ad una branca dell’economia detta per l’appunto
“della sostenibilità”.
Il mio ragionamento è molto
semplice:
1. I sistemi sanitari pubblici
nel medio-lungo periodo
sono destinati ad essere
più costosi.
2. La crescita della spesa sanitaria se continuasse ad
essere causata da un modello di tutela prevalentemente curativo-assistenziale, oltre un certo livello
non accrescerebbe ne la
salute individuale ne quella collettiva cioè diventerebbe parzialmente antieconomica.
Si può dire che in sanità:
1. È necessario affrontare politiche in grado di riequilibrare la tutela delle “persone in cura” con la tutela
delle “persone in salute”.
2. Le tutele riferite alle persone in salute devono necessariamente comprendere tutto quanto è in grado
di produrre salute e cioè la
prevenzione, la previsione,
la lotta ai rischi e alle morti evitabili e tutti i sistemi
che con tecniche diverse
consentono di valutare gli
impatti dell’economia sulla salute umana, ma anche
approcci nuovi come la
predicibilità cioè l’uso della simulazione non tanto
per bonificare realtà nocive ma per costruire realtà
non nocive.
3. Sono necessarie politiche
sull’informazione rivolta al
cittadino e che convenzionalmente chiamiamo di
promozione della salute,
ma che necessitano di essere ripensate soprattutto
alla luce di quello che ho
definito “il dovere di non
ammalarsi” del cittadino.
4. Questo significa collocare
il discorso nuovo sulla responsabilizzazione sociale
del cittadino nel discorso
sulla cittadinanza e ricavarne un nuovo modello di
contrattazione sociale della salute.
Il perno su cui far leva per le
nuove politiche della salute
avrebbe dovuto essere la prevenzione.
Per questa funzione strategica dopo trent’anni spendiamo
all’incirca meno del 5% dell’intera spesa sanitaria.
La prevenzione è una funzione residuale.
Se guardiamo i dati sulla domanda di salute, se consideriamo quelli dell’epidemiologia, se riflettiamo sui grandi
cambiamenti culturali e sociali
che hanno rimesso in discussione la figura tradizionale del
“paziente”, e molto altro, non
c’è dubbio che vi è una forte
asimmetria tra società civile e
prevenzione e tra domanda di
salute e offerta sanitaria. La
relazione che intercede tra i
termini della domanda di salute e quelli dell’offerta sanitaria, nel caso della prevenzione, è una relazione sbagliata,
scorretta, inefficace o quanto
meno inadeguata.
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Territorio 5
Le ragioni sono molte: storiche, organizzative, finanziarie, aziendali ecc.
Ma forse quella più importante è di non essere riusciti a
organizzare questa funzione
di salute dentro una nuova
strategia. Questa strategia è
quella della sostenibilità
A5. La crescita delle diseguaglianze
Crescono le diseguaglianze.
L’art. 32 è diventato una petizione di principio.
Le ricerche dei sociologi, degli
economisti, degli epidemiologi, hanno oramai descritto il
problema in lungo ed in largo.
Diseguaglianza di accessi ai
servizi, di fruizione delle prestazioni, di distribuzione della qualità, di informazione di
reddito, di spese sostenute
privatamente, ecc. Insomma
tante specie diverse ma un
unico genere: l’ingiustizia.
Le diseguaglianze ci dicono
che abbiamo un sistema ingiusto perché disparato. Nel
nostro Paese i cittadini non
hanno lo stesso diritto alla
salute e questo vale in ogni
Regione.
A scala di sistema le diseguaglianze sono il segno di una
pessima relazione tra cittadini e sanità pubblica:
– le diseguaglianze sono la
conseguenza di un sistema
sanitario concepito per
creare diseguaglianze.
Quindi si può dire che le
conseguenze del sistema
sanitario sono il sistema
sanitario;
– le diseguaglianze sono un
gigantesco ticket imposto
ai cittadini più deboli dalla
nostra società, cioè è un
prezzo finanziario, assistenziale, etico, biologico
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6 Territorio
che questo sistema sanitario per proprie logiche impone soprattutto ai soggetti deboli che hanno bisogno di stare bene;
– le diseguaglianze non sono
solo il segno più cinico
dell’economicismo, dell’aziendalismo, del migliorismo, dell’efficientismo, ma
sono il segno di un cambiamento profondo nei
rapporti tra etica ed economia. Da un rapporto di
compatibilità si è passati
ad un rapporto di subalternità, dove il diritto che razionalizziamo è diventato
razionato;
– le diseguaglianze sono
molto semplicemente la
reintegrazione maltusiana
del diritto alla salute;
– le diseguaglianze in sanità
sono la contraddizione più
vistosa al sistema della cittadinanza;
– le diseguaglianze non sono
un incidente imprevisto di
un sistema sanitario regionale ma sono una funzione
del sistema e della sua razionalità. Esse sono il prezzo sociale che la popolazione più debole paga alle politiche deboli della sanità.
La prospettiva plausibile se
non si cambia strada è che arrivati ad un certo grado intollerabile di diseguaglianze, il
pensiero debole sarà quasi
costretto a legittimarla, a
normalizzarla, a organizzarla, attraverso mutue, attraverso cessioni di parti pubbliche dell’assistenza al privato,
rielaborando l’idea di essenzialità in un’idea di emergenzialità o cose simili.
Cioè sarà costretto a cambiare
il sistema per adattarlo ai suoi
limiti e alle sue incapacità.
Nuove prospettive nel SSN
Oggi è ragionevole sostenere
che per la sanità il problema
più grande non è l’invecchiamento della popolazione, la
crescita della spesa, la crescita delle malattie croniche, ma
è il pensiero debole.
È questo pensiero che da anni
sta esponendo il sistema ai rischi dell’ingovernabilità, ai
rischi dell’insostenibilità,
delle ingiustizie e delle diseguaglianze.
Per il bene di tutti è di questo
pensiero che ci si deve occupare, in tutti i modi possibili
e anche se fosse possibile con
una certa tempestività.
Le questioni notevoli di politica sanitaria
Rientrano in questo ambito
problemi e contraddizioni (ricordo che i primi si risolvono
le seconde si muovono) proprie della sanità pubblica nel
suo insieme.
Queste sono:
B1. Le politiche c.d. di ammodernamento
B2. La grande questione dei
livelli assistenziali (quale copertura)
B3. I problemi mai risolti di
un’organizzazione integrata dei servizi
B4. La questione della qualità
B5. Ridare voce ai “soggetti
assoggettati”
B6. La questione dell’errore,
ovvero il problema della
fallibilità
B1. Le politiche c.d. di ammodernamento
L’ultimo tentativo per far
funzionare meglio le cose, si
chiama “ammodernamento”,
quali i suoi presupposti?
1. Ritenere che non vi sia bisogno di fare nuove leggi
N. 166 - 2008
di riforma e quindi credere
che le leggi di riforma fatte sino ad ora siano “più
che sufficienti”.
2. Definire le politiche sanitarie comunque negli ambiti consentiti dalla “riforma ter” il che vuol dire
considerare tale riforma
del tutto rispondente ai
problemi e alle contraddizioni del sistema sanitario.
3. Ritenere di poter prescindere da un’analisi critica
della “riforma ter”, cioè
dall’analisi non tanto dei
suoi meriti (indiscutibili),
ma dei suoi limiti e delle
sue contraddizioni (altrettanto indiscutibili).
4. Ritenere non importante
considerare il carattere regressivo della “riforma
ter” rispetto a processi,
evoluzioni e quindi tempistica (rammentiamo che
questa riforma è stata fatta nel 1999 con l’idea di
riattualizzare la riforma
del ’78, alle soglia del terzo millennio).
È plausibile, persuasivo, convincente questo modo di ragionare? Certamente no
Le obiezioni sono abbastanza
scontate:
1. È facilmente dimostrabile
che la sanità non solo ha
bisogno di essere “riformata”, ma che la riformabilità, in qualche misura,
permanente, è quasi la sua
caratteristica di fondo.
Inoltre si può facilmente
dimostrare che esistono
questioni molto grosse che
aspettano di essere riformate da trent’anni e che
pur tuttavia sono state accuratamente evitate da
tutte le riforme fatte, soprattutto evitate dalla
“riforma ter”. Infine, che
un qualsiasi processo di
riforma, come qualsiasi
legge sanitaria, come qualsiasi piano sanitario, proprio in ragione dell’alta
complessità di questo settore paga sempre il prezzo
di uno scollamento tra
ideazione ed esecuzione.
2. Le riforme sono sempre in
sanità processi incompiuti.
Ciò non vuol dire che ogni
giorno si devono fare
“riforme di sistema”, né
che ogni volta si deve ribaltare il mondo, ma più
semplicemente che si devono pensare cambiamenti
molto mirati, ad hoc, in
forma discreta ma coordinati da una forte strategia
riformatrice.
B2. Livelli assistenziali (quale
copertura?)
Una volta si chiamavano semplicemente “prestazioni” poi
nel 1992 con una legge finanziaria si cambiò espressione e
nacquero “i livelli assistenziali” che dopo pochi anni divennero “minimi ed uniformi” fino a diventare, ai nostri
giorni “essenziali”.
Questo processo è parallelo
all’evoluzione della nozione
di diritto sanitario: prima
nell’art. 32 era un diritto incondizionabile, poi dalle
Aziende sanitarie in poi è diventato un diritto finanziariamente condizionabile,
mentre ai nostri giorni è diventato finanziariamente subordinabile.
Eppure i livelli assistenziali
potrebbero essere a certe
condizioni unità di riferimento del rapporto domanda/offerta.
La loro definizione potrebbe
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
essere la premessa da cui ricavare la quota capitaria necessaria ma a finanziarie delle precise relazioni con i servizi. Oggi non si potrebbe definire il livello assistenziale a
prescindere dai sistemi di organizzazione e meno che mai
si potrebbe definire il livello
assistenziale richiamandoci
ad una idea così anacronistica come quella di “assistenza” (servizio sanitario non è
più un assistentato né una
tutoreria).
Meglio sarebbe se alla parola
assistenza subentrasse la parola attività, cioè tutte quelle
scelte necessarie al conseguimento degli scopi di salute.
Oggi l’organizzazione dei servizi è un’organizzazione delle
attività dei servizi. Una
Azienda è un “complesso di
attività organizzate per la
produzione di beni e servizi”.
Inoltre parlare di attività e
non di assistenza significa
correlare il livello di assistenza a tutte le variabili di produttività (efficienza, efficacia, rendimento) cosa che oggi non si fa più.
B3. I problemi mai risolti di
un’organizzazione integrata
dei servizi
Gli Ospedali si dovrebbero integrare con il territorio, il sociale con il sanitario, il distretto con il domicilio del
malato, gli operatori si dovrebbero integrare tra di loro,
i servizi con i servizi… ma integrazione è una parola che
resiste a se stessa: un’idea intimamente forte non si affronta con un pensiero debole.
Essa, ad esempio, avrebbe dovuto definire una continuità
tra servizi, operatori, reparti,
pratiche, metodi e conse-
guentemente stabilire i gradi
di integrazione attraverso i
quali si organizza questa continuità. Dall’ambulatorio allo
specialista, dallo specialista
all’Ospedale e viceversa, addirittura dall’Ospedale al fabbisogno del territorio. Ebbene
sono tutti gradi di unità o in
un senso o in un altro. Non
esiste l’integrazione in quanto tale, ma esistono gradi di
integrazione.
Questi gradi rappresentano le
quantità misurabili delle qualità organizzative di un servizio, di un dipartimento, di un
distretto, o di un Ospedale
che è il numero delle loro relazioni interne ed esterne.
Sull’integrazione il pensiero
debole è davvero insufficiente.
In trenta anni esso non è riuscito a definire né la nozione
fondamentale di continuo organizzativo, né a definire e a
misurare queste nozioni in
termini di gradi di organizzazione integrate.
Come mai? Perché questo infruttuoso bilancio?
La risposta più semplice è che
non si è riusciti a riformare
un sistema basato su partizioni e su divisioni.
Non si è capito che non si
trattava solo di riformare una
certa divisione del lavoro,
cioè un’organizzazione, ma
anche ciò che giustificava la
sua partizione e la sua divisione e le sue modalità culturali. Cioè le ragioni e i modi
sociali, culturali, scientifici
che l’avevano fatta nascere
quella divisione del lavoro.
Questa difficoltà è storica e
riguarda un pensiero debole
di fronte ad un’idea forte. È
talmente forte questa difficoltà che non solo si sta abbandonando la strada dell’in-
tegrazione imboccando quella della conformità, ma si sta
sostituendo il concetto di integrazione con quello di continuità (dell’assistenza e delle cure).
L’integrazione ragiona nella
logica dell’unità del sistema
superando le sue separazioni
interne; la conformità ragiona nella logica della diversità
dei soggetti che lavorano nel
sistema sanitario tentando
l’uniformità dei loro comportamenti; la continuità ragiona nella logica dell’insufficienza dei servizi tentando di
completare un sistema funzionale con il ricorso al disease management, alla governance clinica, al chronic core
model.
La continuità più della
conformità si avvicina all’idea di integrazione non potendo evitare anch’essa di affrontare le questioni dell’organizzazione, delle conoscenze. Non è un caso che essa parli il linguaggio dell’integrazione a rete dei servizi.
B4. Le qualità
La parola chiave che può riassumere le politiche sanitarie
degli ultimi quindici anni è
razionalizzazione.
Ad essa fanno riferimento altre parole chiavi: efficienza,
appropriatezza, evidenza,
economicità, risparmio, essenzialità… tutte con un forte significato economicistico… tra queste ve ne una in
particolare invocata da tutti,
per lo più fraintesa, ma soprattutto regolarmente tradita: qualità.
È difficile restringere il concetto di qualità. Questa è la
ragione per cui si tende ad allargare il concetto stesso in
Sae l ute
Territorio 7
una infinità di accezioni.
Ogni qualvolta si parla di
qualità si finisce inevitabilmente con il fare degli inventari di questioni, di problemi,
di tecniche che riguardano
tutto il mondo della sanità:
operatori, servizi, formazioni, linee guida, organizzazioni, ecc.
La principale, grande, ineliminabile contraddizione della
qualità, secondo noi è da una
parte ambire a rappresentare
la complessità del bisogno,
del cittadino, del malato, del
servizio, dall’altro a trovarsi
suo malgrado a organizzare
questa ambizione inevitabilmente come pensiero semplice, a tecniche e a procedure.
Ma alla fine la qualità viene
prevalentemente ridotta a linee guida.
Ma le linee guida sono considerate da molti esperti un autentico paradosso.
“Se le regole che costituiscono le linee guida sono generiche ed elastiche, allora possono essere rispettate ma non
sono utili e non sono molto
diverse dai capitoli di un trattato. Se invece le regole sono
specifiche e rigide, allora devono venire spesso violate per
il bene del paziente”.
Noi avanziamo una proposta:
“la qualità dal volto umano”
con un’idea di fondo, cambiare le pratiche attraverso una
politica della qualità significa
cambiare il servizio.
B5. Ridare voce ai soggetti assoggettati: asseribilità, autonomia, responsabilità
In sanità viviamo più che mai
l’epoca dei “soggetti assoggettati”. Gli assessori dipendono dalle finanziarie, i direttori dipendono dagli asses-
l ute
Sa
e
8 Territorio
Nuove prospettive nel SSN
sori, gli operatori dipendono
dai budget dei direttori generali, i malati dipendono dalle
linee guida, dai DRG, dai tetti
di spesa, dai protocolli subìti
dagli operatori, decisi dai direttori generali, imposti dagli
assessori.
Le persone sono diventate
cose. L’autonomia professionale è diventata pericolosa
perché rischia di costare
troppo, la responsabilità è
surrogata da controlli, verifiche, condizioni, limiti, soprattutto è diventata pura
tecnocrazia.
Vi è una parola sconosciuta
che tutti dovrebbero conoscere: asseribilità.
L’asseribilità è un’informazione da includere nelle valutazioni che riguardano le persone. Non si tratta della solita
teoria del coinvolgimento, ma
di considerare le persone protagoniste delle valutazioni
che le riguardano. Nella
realtà sanitaria italiana vi sono servizi, Ospedali controllati, valutati, monitorati nei
quali sono applicate linee
guida, protocolli, metodologie professionali molto sofisticate. In tali situazioni
spesso si riscontra un forte
disagio professionale, quasi
una perdita di identità come
se tutto fosse un po’ soffocato da forme subdole di burocratizzazione. La qualità in
questi luoghi spesso si organizza in una montagna di
carta che ormai è considerata
sempre più una specie di salvacondotto nei confronti dei
rischi legali che le professioni
corrono. Gli operatori raccontano il loro disagio, lo asseriscono, raccontando come la
loro professionalità rischia di
diventare di carta impedendo
paradossalmente crescite e
arricchimenti. A meno che
essere monitorati, controllati, guidati sia una nuova forma di crescita, di personalità,
c’è bisogno di riflettere meglio su questi problemi. Di
certo faremmo un magro bilancio se i risultati della qualità fossero funestati da impoverimenti professionali e
da insoddisfazioni profonde
degli operatori. Da qui a sostenere che per evitare frustrazioni alle professioni sia
necessario rinunciare alla
qualità ce ne corre. Non esiste in un Ospedale, in un servizio, una qualità indipendente da ciò che un malato e
un operatore possono asserire. Per cui vale la pena di porre attenzione ai modi in cui
sia i malati che gli operatori
concettualizzano le loro
esperienze, vale a dire i loro
modi espressivi.
Per un esperto è importante
sapere che quello che dicono
le persone sembra condurre
ad identificare ciò che viene
asserito con l’esperienza che
viene fatta. Ma se tutto ciò
ha un senso il problema nuovo è definire le condizioni dell’asseribilità.
Quale proposta?
– ridefinire il presupposto
dell’evidenza includendo
un giudizio di accettabilità
razionale dell’operatore e
di asseribilità garantita;
– investire in formazione
per sviluppare le virtù delle persone legate all’esercizio del binomio autonomia/responsabilità;
– riformare e ripensare le
metodologie di controllo
sui comportamenti professionali. Non esistono solo
le linee guida che garanti-
N. 166 - 2008
scono l’affidabilità professionale, esistono anche altri criteri che si riferiscono
alla responsabilizzazione
delle persone (la famosa
managerialità diffusa di
Mintzberg).
La nozione di “dipendente” è
davvero anacronistica e superata. Essa significa “pendere
in giù” rispetto a una norma
burocratica che dice chi sei,
come sei, cosa devi fare.
Sono trent’anni che facciamo
riforme ma a nessuno mai è
venuto in mente di riformare
questa “nozione”. Per cui facciamo cose nuove come le
Aziende, i dipartimenti, i distretti ma dentro continuiamo a mettere vecchi dipendenti. Rifacciamo gli Ospedali
ma dentro restano vecchi dipendenti.
Il dipendente è una figura generale con bassa autonomia e
bassa responsabilità come
qualsiasi figura burocratica.
Il dipendente svolge solo
compiti.
La mia proposta è: sostituiamo la nozione di dipendente
con quella di autore.
La nozione di autore è fatta
dalle prime parole di autonomia e di re-sponsabilità.
Propongo:
– i medici devono avere più
autonomia professionale
in cambio devono garantire effettivamente più responsabilità;
– si deve superare la distinzione tra compito ed impegno e offrire al medico una
retribuzione nel pubblico
sia per l’uno che per l’altro;
– si devono definire nuove
soluzioni retributive: la
retribuzione paga il compito l’attribuzione paga
l’impegno.
Le garanzie? Definire la responsabilità quale capacità di
prevedere il maggior numero
di conseguenze. Quelle cliniche, epidemiologiche, organizzative, economiche e sociali. Quindi rispetto ai rischi
ed agli errori, agli esiti e all’impatto sulla salute dei singoli e delle comunità, rispetto alle organizzazioni più
funzionali al raggiungimento
degli obiettivi di salute, al
governo dei costi di transazione ed infine rispetto alle
necessità di prevenzione del
conflitto legale. Infine la definizione dell’autonomie quale campo non più di limiti ma
di possibilità. Nel rispetto degli obblighi etici e deontologici rientra nell’autonomia
tutto quanto è compreso nel
principio di responsabilità.
Quindi autonomia di governo
sulle scelte cliniche, sui mezzi impiegati, sulle pratiche,
sull’organizzazione dei servizi, sull’équipe ecc.
La metodologia: se il parametro di misura dell’autonomia è
la capacità di previsione delle
conseguenze, è necessario
adottare una metodologia che
controlli, verifichi e misuri tale
capacità. Cioè qualcosa che
conosca gli esiti dei compiti e
l’impatto degli impegni.
B6. La questione dell’errore
ovvero il problema della fallibilità
Quando ero studente, frequentavo la sala anatomica
dell’Ospedale S. Camillo: ricordo di quell’esperienza soprattutto un portacenere sul quale
c’era scritto: gli errori dei medici si nascondono sottoterra.
(segue a pag. 18)
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
Andrea Gardini
Presidente Società italiana
per la qualità dell’assistenza
sanitaria - SiQuas-VRQ
Area qualità ARS-Marche Centro collaborativo OMS
per lo sviluppo
e l’istituzionalizzazione
della qualità nei sistemi sanitari
D
opo un periodo, anche
lungo, di pesante caduta di senso delle attività per la qualità, in un contesto italiano per troppo tempo non sempre favorevole nonostante gli sforzi di molti,
forse val la pena di riflettere
su un futuro che fino a poco
fa si poteva pensare solo come un insieme di speranze
alimentate dal bisogno di
marketing di un certo tipo di
ricerca avanzata.
Sembra che alcune conferme
dell’indispensabilità delle attività di progettazione, organizzazione, gestione e valutazione della qualità dei sistemi sanitari e della sicurezza dei pazienti arrivino più dalle spinte
della tecnologia e del mercato
che dai bisogni degli stakeholders nazionali che detengono
il potere sugli oggetti dell’assistenza sanitaria, per i quali
una elaborazione teorico-culturale per qualità e sicurezza
sembra generare a volte più
fastidio che desiderio di cambiare le cose in meglio.
I bisogni delle persone a volte vengono dimenticati in
questa dinamica o, meglio, i
bisogni delle persone restano
immutati: viene il cancro, l’ipertensione, l’infarto, l’ictus;
come sempre, quando arrivano queste patologie diventano oggetto di mercato, occa-
Sae l ute
Territorio 9
Qualità e nuove
tecnologie
sione di consumo, oltre che
di sinceri e disinteressati
sforzi per salvare una vita.
Ci sono delle sirene che affermano che alcune di queste
malattie sono scritte nel nostro DNA, che possono essere
trattabili precocemente, anzi,
prima riconoscibili precocemente, già forse addirittura
nelle attitudini dei nostri geni
(una cosa di cui sto aspettando che qualcuno mi dia conferma), o nelle fasi precocissime di sviluppo, al momento in
cui una cellula comincia ad
impazzire, una placca ateromasica a formarsi, una cellula
di Langerhans a produrre meno insulina… e allora zac, un
bell’intervento di supporto genetico ti rimette in sesto… almeno si dice… sarebbe molto
bello se potesse avvenire per
davvero, ma… come?
Vien voglia di rendere espliciti i dubbi del caso.
Ecco alcune domande che derivano da alcuni pensieri sociali, economici, etici.
È difficile organizzare un’attività così complessa come la
sanità senza far sì, dice il mio
maestro, Sergio Nordio, che
diventino idee, obiettivi e
progetti, percorsi e risultati…
– Dove finisce la scienza che
conosciamo, se le prossime
cure saranno tanto personalizzate che difficilmente
Le strategie possibili e necessarie
per la valutazione dell’efficacia
dei nuovi interventi sulla salute dei cittadini
potranno essere oggetto di
ricerca clinica con trials
clinici controllati randomizzati in doppio cieco?
Se, appunto, personalizzate, bisognerà aprire sempre
le buste del “cieco” e lavorare a livello di pura esperienza dell’interazione fra
organizzazione sanitaria e
paziente, senza possibilità
di confronto perché siamo
tutti differenti, ognuno
con il suo schema genetico
diverso dagli altri. Dove finisce la scienza che noi abbiamo appreso e seguito
con tanto interesse quando
si affaccia questa modalità
di fare ricerca solo osservazionale e non “sperimentale” come la pretendiamo
noi? (1) (noi, medici ed infermieri del 2010 pretendiamo di produrre le nostre
linee guida e seguirle con
le nostre pratiche sulla base di trials clinici controllati e randomizzati in cieco
solo perché questi trials
hanno molte più probabilità degli studi osservazionali di affermare come vera
una cosa che vera è sul serio… solo per una forte
opzione etica, dell’etica
della beneficità).
– Che rapporto c’è fra l’ impossibilità di modificare
l’ambiente, cioè di ridurre
le polluzioni e le produzioni ogni anno di qualche
migliaio di molecole potenzialmente o attualmente cancerogene, – perché la
stolida, drammatica e a
volte criminale (come Lorenzo Tomatis ci insegnava
da una vita dallo IARC dell’OMS di Lione) potenza dei
loro produttori non consente discussioni sui temi
del profitto e la conoscenza di una predisposizione
genetica praticamente a
tutto? Conoscenza che al
momento è solo forse più
di una supposizione, fra
cui c’è la malattia, essenzialmente il cancro ma, anche alcune malattie degenerative legate ai tossici
ambientali (2,3,4,5)?
– Che rapporto c’è fra i consigli dietetici e gli stili di
vita quando questi posso-
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Sa
e
10 Territorio
Nuove prospettive nel SSN
no valere per una parte
molto piccola, ed in diminuzione costante, di quella che chiamiamo la middle
class? Ovvero quelli che si
possono permettere di fare
jogging al mattino e/o alla
sera, fare un lavoro che gli
da’ abbastanza denaro per
comperare alimenti sani,
in negozi biologici, mentre
la maggioranza delle persone è sottoposta ai ritmi
sempre più intensi di una
produttività schiavizzata,
a volte priva di un senso
diverso dal profitto altrui,
a spostamenti su mezzi
pubblici e privati che durano per una buona parte
della giornata, ha un lavoro fondato sulla precarietà, si indebita al midollo
per pagare una casa, sia
che la acquisti o che la affitti, etc, etc ?…
Tutto ciò che ha a che vedere
con le grandi e progressive
sorti della medicina predittiva e/o molecolare e la genomica fa un po’ fatica ad uscire
dal comune senso della comprensione.
Pur tuttavia alcuni sviluppi
recenti della medicina, soprattutto quelli nel campo
della farmacologia innovativa
sono piuttosto interessanti.
Infatti, i cosiddetti “farmaci
biologici” sembrano essere
molto efficaci nel trattamento di alcuni tipi di tumore,
nei trattamenti precoci e prolungati dell’artrite reumatoide e di altri tipi di malattie
autoimmuni. Su di essi si
stanno proiettando le forze
economiche delle multinazionali del farmaco, lasciando al
mercato del generico i farmaci di concezione più antica,
dopo la scadenza di molti dei
brevetti che hanno garantito
i maggiori profitti fra gli anni
70 e questo inizio secolo. Anche i progressi dei presidi
protesici e della chirurgia mini-invasiva, delle terapie ad
elevata tecnologia dei tumori
e della precisione resa possibile dalla diagnostica per immagini e dalle indagini mirate di laboratorio, conducono
al bisogno di qualità e sicurezza con i modelli, le tecniche ed i metodi che provengono dalla medicina della seconda metà del XX secolo e
saranno indispensabili in
quella del futuro.
È l’abbinamento e la contemporaneità di due bisogni degli
uomini e delle loro comunità
che richiedono il rafforzamento dei metodi e delle tecniche
per la qualità e la sicurezza.
Il primo bisogno è quello di
applicare le migliori e più raffinate tecnologie ai più elevati livelli specialistici nei casi più appropriati.
Il secondo bisogno è la necessità parallela di potenziare le
attività di mantenimento della salute ai livelli più semplici
di prevenzione e di cure primarie, aumentando la consapevolezza e le conoscenze sullo stato di salute delle persone, e la loro capacità di salvaguardarlo anche partecipando
direttamente alla gestione ed
alla prevenzione delle malattie indotte da fattori di rischio
ambientali, comportamentali,
sociali. Tutto questo si chiama
oggi empowerment (6).
Per soddisfare questi due bisogni è necessario dotarsi di:
– scientificità (fare le cose di
cui ci sia abbondante evidenza di efficacia e, nel
caso questa non ci sia, attivare formali percorsi di
N. 166 - 2008
ricerca valutativa);
– appropriatezza (farle sulla
base di indicazioni precise,
pertinenti con la condizione morbosa identificata e
con le condizioni di contesto in cui la persona trattata si viene a trovare;
– etica (fare le cose sulla base
dei principi di beneficità,
economicità e garanzia dell’autonomia delle persone);
– equità (farle gratuitamente a tutti gli esseri umani
che ne abbiano bisogno attraverso un sistema sociale
di welfare solidale).
È proprio da questa contemporaneità di bisogni e dal fatto che il comparto sanitario,
le tecnologie e gli altri fattori
produttivi collegati sono da
soli il secondo comparto produttivo del nostro Paese dopo
la scuola e sono un volàno per
l’economia e lo sviluppo di ulteriori tecnologie (7) per altri
comparti, partendo da questi
bisogni che si dà un senso ai
modelli, metodi, tecniche,
strumenti per la qualità e la
sicurezza che sono stati sviluppati nel mondo negli ultimi trent’anni.
Non esiste proprio, infatti, che
un comparto tanto importante
e pervasivo non sia, in ogni
sua parte, un luogo dove ogni
cosa venga fatta bene. E che
questo “far bene le cose” si
esprima con livelli di sicurezza
per i pazienti, i cittadini e gli
operatori che realizzano quell’efficienza che deriva dall’applicazione degli strumenti e
delle tecnologie più appropriate e pertinenti sui soggetti
con i bisogni meglio definiti a
garanzia del massimo dell’efficacia possibile, e, conseguentemente, della soddisfazione
di quanti ne usufruiscono, del
contenimento degli sprechi e,
quindi, dei costi.
Tutti questi sono concetti
non divisibili, posti sotto
l’ombrello molto, molto specifico chiamato “qualità”.
È solo in questo modo che la
parola qualità si può legare
all’innovazione, alla salute ed
alla sicurezza, e non invece
costituire un inutile fardello
di procedure formalizzate che
invecchiano rispetto alle esigenze sempre nuove delle
persone e dei progressi tecnologici. Ne impediscono lo sviluppo, poiché ogni innovazione non lascia spazio alla formalizzazione ed alle burocrazie di carta dei sistemi qualità
formali e non sostanziali.
Le innovazioni di per sé non
sono certificabili e quindi
vanno contro un certo modo
burosaurico di pensare alla
qualità con le pesantezze accoppiate del taylorismo militante, dello statalismo d’accatto e del fideismo più o meno disinteressato. Nulla che
richiami alla salute mentale di
una conoscenza professionale
che si fa scienza e sua applicazione in prevenzione e cura
delle sofferenze delle persone,
delle comunità e dei contesti.
Taylorismo, statalismo mascherato da libertà, fideismo
e speculazione in sanità fanno morti, morti fra i pazienti,
morti fra le comunità e morti
d’asfissia culturale fra i professionisti che a volte subiscono cosiddetti sistemi qualità non adatti alle esigenze
del comparto sanitario. Che è,
sì, produzione ripetitiva e
precisa, governabile con i
principi del meccanicismo più
sofisticato, per quanto riguarda i laboratori e i servizi
tecnologici, ma è anche rela-
N. 166 - 2008
zione, interazione e negoziazione continua fra elementi
dei sistemi, fra le reti neuronali e gli elementi dei sistemi
che si potenziano o depotenziano a seconda delle barriere
che vengono poste dai tradizionali processi organizzativi
teorizzati e non suffragati da
prove di efficacia – a differenza delle procedure medico assistenziali, che, invece, sempre più lo sono. E lo sono per
lo meno dai tempi di Augusto
Murri e Ernst A. Codman.
Un management di qualità deve favorire lo sviluppo di conoscenze, competenze ed abilità dei singoli e del sistema,
non deve soffocarle in ritualistici processi di budgeting
economico ripetuti di anno in
anno e solo come tetti di spesa, mai peraltro raggiunti, ma
sempre superati, quando ogni
industria moderna che utilizza la conoscenza riorienta il
budget ogni due-tre mesi…
assieme agli obiettivi di produzione! Tutti sono capaci di
governare una organizzazione
sanitaria strangolandola. Pochi sono capaci di farla volare
verso obiettivi di salute verificabili e pubblici.
E allora prende vigore e nuova
linfa il complesso delle attività che in questi anni sono
state esplorate e si riuniscono
in un compendio dignitoso e
coerente di conoscenze utili
allo sviluppo delle cure per
tutte le donne e gli uomini del
nuovo millennio, per il loro
contesto e le loro comunità:
ciclo della progettazione e
feed-back, analisi organizzativa sistemica, misurare e valutare mediante indicatori, percorsi assistenziali, risk prevention e management, audit clinico ed organizzativo, EBM,
documentazione, valutazione
di terza parte, co-progettazione delle attività sanitarie in
partnership con gli stessi pazienti interessati.
Così, se si considera la storia
della qualità in sanità negli
ultimi 100 anni, ecco che nasce una ipotesi per il decennio 2010-2020, ma anche per
i decenni successivi, 2030,
2040… Piace riflettere e pensare al futuro in termini razionali, viste le premesse e lo
sviluppo di altri mondi attorno alla sanità, che ne condizioneranno inevitabilmente
le scelte, i comportamenti,
gli obiettivi, gli strumenti.
Alcuni esempi.
1. Si continua a fare la cartella clinica a mano, nei consultori, negli ambulatori,
durante il giro dei medici
in reparto. Possibile che
non si possa scrivere la
cartella usufruendo di un
palmare e di un server?
2. Possibile che i nostri archivi siano cartacei?
3. Possibile che si continui a
fare il giro nei reparti, come nell’800 al tempo di
Charcot, invece di affidare
i pazienti ricoverati a dei
tutors che si incontrano
tutti i giorni per discutere
assieme i casi nelle riunioni di reparto?
4. Possibile che, una volta
dimesso, un paziente non
sappia come e dove farsi
trattare per la riabilitazione?
5. Possibile che una donna
gravida sana debba fare
15 file al CUP per prenotare visite e pagare tickets?
6. Possibile che le liste di attesa continuino ad essere
considerate solo monitorabili e non gestibili e ri-
Nuove prospettive nel SSN
Sae l ute
Territorio 11
ducibili attraverso la metodica partecipata delle
priorità cliniche?
7. Possibile che ancora oggi
un paziente allettato per
più di tre giorni si piaghi?
8. Possibile che ancora un
paziente si ritrovi infisso
in arteria un catetere non
medicato con l’antibiotico, infilato senza l’ausilio
ultrasonografico e in un
ambiente non sterile, e
possibile che nessuno si
stupisca se, dopo tre giorni di media, quel paziente
ha un’infezione?
9. Possibile che le prescrizioni di farmaci pericolosi
non vedano posto in essere un conseguente processo sicuro di preparazione,
somministrazione e controllo che non ne affidi
l’unica responsabilità all’infermiere, ma a tutti i
componenti del sistema,
per primo il farmacista ?
10. Possibile che ancora una
trasfusione di sangue sia
prescritta senza l’insieme
dei processi che ne determinano la sicurezza più
che certa? Possibile che si
prescrivano ancora trasfusioni di sangue intero a
pazienti che non ne hanno l’indicazione?
11. Possibile che protesi ad
altissima tecnologia impiantate in pazienti pertinenti non consentano la
completa “restituito ad
integrum” della funzione
per pesanti carenze nell’organizzazione della riabilitazione e che nessuno
soprattutto si curi di valutarne l’efficacia a lungo
termine? In altri termini,
se la signora anziana che
camminava prima con il
suo femore dolente, ora
cammina lo stesso con la
sua protesi dolente e poco
funzionante, non era meglio evitare di operarla?
12.Possibile che si continui a
fare formazione e a dare
crediti ECM a professionisti
su obiettivi non coerenti
con i bisogni di salute della popolazione servita e
con i conseguenti bisogni
organizzativi del presidio
nel quale operano?
13. Possibile che si continuino ad operare i bambini di
tonsillectomia ed adenoidectomia quando ormai
tutti sanno che questi sono interventi che non dovrebbero essere di routine
soprattutto perché possono avere complicanze
molto gravi?
Ecco, le nuove tecnologie e la
genomica, impiantate in un
ambiente tradizionale, rischiano di risultare “tradizionali”…
e sarebbe un vero peccato.
Modelli, strumenti, metodi e
tecniche per la qualità e la sicurezza del sistema sanitario
possono aiutare il contesto sanitario ad essere meno “tradizionale”, ed in definitiva più
economicamente sostenibile.
Un vero e proprio sistema di
sistemi per la qualità che possa garantire al sistema sanitario quell’eccellenza che troppo
spesso si dice che manca, anche se non sempre questi giudizi sono suffragati da misurazioni con strumenti ed unità
di misura adeguati e da conseguenti valutazioni contro
standards determinati da progettazioni adeguate e negoziate su obiettivi di salute…
troppi giudizi avventati pervadono il mondo sanitario e
tendono a svilirlo…
l ute
Sa
e
12 Territorio
Nuove prospettive nel SSN
Ecco che allora acquistano
nuovo senso (9):
– Una strategia e politiche
per la qualità e la sicurezza
del sistema, espresse da
rappresentanti politici
competenti nell’amministrare le risorse della Comunità con criteri di equità,
trasparenza e partecipazione allargata, per superare
l’attuale rischio latente e la
presente corruzione nell’affidamento degli appalti,
nell’acquisizione di beni e
servizi indipendentemente
da criteri espliciti di technology assessment. Nella
commistione fra servizio
pubblico e prestazioni private, nella attribuzione di
incarichi dirigenziali, corruzione che, per i nuovi
Paesi in entrata dell’Unione
europea viene affrontata
nel tentativo di prevenirla
proprio con alcuni strumenti e metodi per la qualità, come il technology assessment, l’accreditamento
e la gestione delle liste
d’attesa (8).
– Un management intelligente, che adatti i propri
modelli, strumenti e metodi al contesto sanitario
orientandolo al soddisfacimento dei bisogni della popolazione, che prenda le
proprie decisioni sulla base
di dati di costo economico
e di beneficio in termini di
salute e non solamente
sulla base dei costi e goda
di una maggiore e più decisa autonomia nelle proprie
decisioni dalle indicazioni
del mondo della politica,
cui deve rispondere con
dati sui risultati in termini
di salute ed in termini economici conseguiti in tempi
ragionevoli rispetto alle
condizioni locali.
– L’analisi epidemiologica
dei bisogni di salute della
popolazione di un determinato territorio, per progettare gli interventi più
appropriati a soddisfarne
le esigenze e le conseguenti risorse da utilizzare
e le organizzazioni da
mettere in atto (technology assessment).
– Un sistema professionale
costituito da sistemi di conoscenza aggregati su problemi, processi, obiettivi,
valutato e remunerato sulla base dei risultati di salute, il valore sociale e i
benefici effettivi forniti
dalle proprie azioni ai pazienti trattati.
– Un sistema partecipativo
che garantisca una effettiva partnership con i cittadini ed il loro empowerment rispetto alle decisioni da prendere sul proprio
corpo, nella propria comunità e per la propria salute, utilizzando le migliori
conoscenze disponibili per
garantirlo.
– Un sistema di investimenti
e di allocazione delle risorse che consideri la promozione ed il mantenimento
dello stato di salute non
più un costo ma un investimento per la Comunità con
ricadute in termini economici e produttivi competitivi con altri sistemi.
All’interno di questi ambiti
d’intervento è necessario intervenire su:
1. La ridefinizione della distribuzione dei servizi sul
territorio che ricomincia
ad avere un senso soprattutto se le nuove tecnolo-
N. 166 - 2008
gie garantiscono ai cittadini accessi tempestivi ai diversi livelli di cura in continuità fra di loro ed a costi sostenibili.
2. Lo sviluppo della logica
dei processi assistenziali
(10) per grandi e piccole
patologie, la loro progettazione con tutti gli attori,
pazienti compresi, e le loro
associazioni in partnership
(11). Orientando i sistemi
sanitari agli obiettivi di sicurezza dei pazienti e degli operatori (12) e la loro
valutazione periodica pubblica e condivisa con:
– sistemi di indicatori di
processo e di esito clinico ed organizzativo in
grado di misurare quello
che si intende misurare e
di valutare con standards predefiniti ciò che
si intende valutare (in
genere il raggiungimento
degli obiettivi di salute
fissati dal progetto)(13).
Possibilmente raccolti
anche in sistemi di valutazione interna ed esterna di qualità (14), che
consentano ai sistemi
sanitari di uscire dall’ambito dell’autoreferenzialità, ma forniscano
occasioni periodiche di
autovalutazione e di verifica esterna per riadattare le proprie attività ai
migliori standards accettati internazionalmente
e per poter rendere pubblico il proprio bilancio
di missione;
– sistemi di documentazione delle azioni effettuate ai pazienti e,
quindi, nei confronti
delle organizzazioni sanitarie, in grado di trac-
ciare ogni azione a garanzia della propria affidabilità e di autovalutare le proprie prestazioni con attività formalizzate di audit clinico ed organizzativo;
– sistemi di documentazione (15) in collegamento
con i centri di ricerca e le
società scientifiche e
professionali che consentano ai professionisti
facenti parte della rete
professionale interna all’organizzazione sanitaria di non restare isolati
e di comunicare con il
resto del mondo, in completamento a:
– sistemi di formazione
permanente (16) che
mettano in grado i professionisti sanitari di
acquisire,testare e sottoporre a valutazione
periodica ed aggiornamento le nuove competenze che si rendessero
necessarie per soddisfare nuove esigenze emerse dall’analisi dei bisogni della popolazione;
– sistemi premianti che
superino il solo criterio
dell’anzianità o della distribuzione a pioggia di
incentivi scollegati con
lo sviluppo professionale dell’individuo e con i
risultati in termini di
salute dell’équipe in cui
questo opera, ma che
piuttosto riconoscano i
successi ottenuti nel
mantenimento e nel miglioramento dello stato
di salute dei cittadini
trattati.
Tutti questi sistemi non possono che usufruire delle nuove tecnologie per:
N. 166 - 2008
1. Documentare e fornire supporto agli operatori sanitari
in ogni fase dei percorsi assistenziali ai diversi livelli
di cura concordati con i pazienti, anche per fornire
appropriata documentazione agli stessi pazienti o alle
loro associazioni o alle comunità di cittadini che
chiedano la rendicontazione delle attività: un vero e
proprio bilancio di missione, come, ad esempio, le
ASL dell’Emilia Romagna ci
hanno insegnato (17).
2. Collegare i risultati degli
esami strumentali o di laboratorio automaticamente nella documentazione
clinica minimizzando il rischio di errori.
3. Ridurre i rischi di errori e
di eventi avversi nelle attività diagnostiche e terapeutiche tradizionali e di
quelle di nuova concezione
garantendo anche ai trattamenti più complessi un
impianto organizzativo in
cui i mandati, gli obiettivi,
i processi, i ruoli, le competenze e le abilità siano
espliciti, riconoscibili e
condivisi fra medici, infermieri e gli altri operatori.
4. Collegare i professionisti
coinvolti nel percorso assistenziale previsto per i pazienti trattati per meglio
coordinare le proprie attività. Collegare i pazienti ai
professionisti di fiducia
per ogni possibile tempestiva comunicazione relativa alla propria condizione ed organizzare le attività assistenziali, sia nell’acuzie che nella cronicità, con piena fruibilità
da parte anche dei pazienti con ridotte capacità funzionali e culturali.
5. Gestire le attività sanitarie
sulla base di questi dati e
non solamente delle opinioni o delle ideologie e
condurle verso i loro obiettivi propri di miglioramento dello stato di salute della popolazione e dei propri
componenti.
Bibliografia
(1) Bobbio M. (1997), Trial clinici. Come interpretare e applicare i risultati di una ricerca scientifica, CSE, Torino.
(2) Tomatis L. (2005), Primary prevention of cancer in relation to
science, sociocultural trends and economic pressures, Scand J Work Environ Health, 31 (3): 227-32.
(3) Tomatis L. (2006), Identification of carcinogenic agents and primary prevention of cancer, Ann N Y Acad Sci, 1076: 1-14.
(4) Tomatis L. (2006), Experimental chemical carcinogenesis: fundamental and predictive role in protecting human health in the 1930s1970s, Eur J Oncol, 11 (1): 5-13.
(5) http://www.epidemiologiaeprevenzione.it/tomatis/page1.htm
(6) Poletti P., http://www.careonline.it/2005/2_05/pdf/parole_
chiave.pdf
(7) Prodi R., Roma, 16 maggio 2007.
(8) Manic M. The activity of the National Agency for Quality and Accreditation, Republic of Croatia, Udine, 16 febbraio 2008
(9) Beccastrini S., Gardini A., Tonelli S. (1997), Linee e componenti
per un sistema qualità nelle aziende sanitarie, QA, 8, 4.
(10) Casati G., Panella M., Di Stanislao F., Vichi M.T., Morosini P.L.
(2005), Gestione per processi professionali e profili assistenziali, III
Nuove prospettive nel SSN
Sae l ute
Territorio 13
Insomma, per ridare senso
all’opera di molti per garantire qualità e sicurezza ai cittadini nei servizi sanitari,
probabilmente bisogna saper
cogliere dalle offerte culturali che provengono da altri saperi e dagli stessi saperi medico ed assistenziale, gli stimoli più appropriati per fare
crescere il sistema. Garantendo nel contempo una costante valutazione dei risultati in
termini di salute guadagnata
dai cittadini per ciascuna
delle innovazioni che verranno introdotte e il monitoraggio delle risorse impiegate
dalla comunità per investire
in salute.
Il progetto MARQUIS finanziato dall’Ue e presentato il 7
dicembre alla sede OMS di Venezia (18) ci sta insegnando
che non è una sola strategia
per la qualità che è utile a
migliorare la qualità del sistema sanitario chiamato
Ospedale. I 380 ospedali studiati hanno diverse strategie
per la qualità che si tirano
dietro altre strategie e tutte
concorrono a migliorare quello che è stato chiamato “indice di maturità del sistema
qualità dell’Ospedale”.
Quello che si dovrebbe fare è
riuscire ad utilizzare queste
strategie con obiettivi di miglioramento o di cambiamento ben definiti in anticipo, con progetti ben monitorati, su modelli predefiniti
da ricercatori curiosi e rigorosi allo stesso tempo, e che
abbiano sempre come obiettivo finale davanti a sé il miglioramento dello stato di
salute delle persone che in
quel sistema vengono trattate. Questo è l’unico obiettivo
che dà un senso a qualsiasi
azione tecnica o organizzativa che venga effettuata nel
campo dell’organizzazione
sanitaria.
L’unico obiettivo che genera
un pensiero forte e strategico
in sanità pubblica (19, 20), di
cui tutti i punti precedenti
sono parti irrinunciabili, per
cambiare veramente le cose.
edizione, Roma-Ancona, in http://www.epicentro.iss.it/focus/ocse/
Cap1-Percorsi.pdf
(11) Raccomandazioni SiQuas sulla Partnership con i Cittadini:
www.siquas.it
(12) Raccomandazioni SiQuas sul Risk management per la Sicurezza
dei Pazienti: www.siquas.it
(13) Raccomandazioni SiQuas sugli Indicatori clinici: www.siquas.it
(14) Raccomandazioni SiQuas sui sistemi di valutazione esterna di
qualità: www.siquas.it
(15) Centro Documentazione Qualità Avedis Donabedian:
www.ars.marche.it/cdq
(16) Raccomandazioni SiQuas sulla formazione alla qualità: www.siquas.it
(17) http://www.regione.emilia-romagna.it/agenziasan/bilmissione/index.htm
(18) www.marquis.be
(19) Shaw Charles D., Kalo I., Le basi per una politica nazionale per la
qualità nei sistemi sanitari, OMS Europa, dicembre 2002, in
http://www.ars.marche.it/cdq/download/Le%20basi%20per%20una
%20politica%20nazionale%20per%20la%20qualit%C3%A0%20nei%20
sistemi%20sanitari.doc
(20) Cavicchi I. (2008), Il pensiero debole nella Sanità, Dedalo.
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Sa
e
14 Territorio
Maria Teresa Mechi
Fabrizio Gemmi
Paola Barbacci
Francesca Bellini
Alessandro Cecchi
Grazia Monti
Pierluca Pacini
Pierluigi Tosi
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
La riorganizzazione
“snella” dell’assistenza
ospedaliera
Azienda sanitaria di Firenze
È
convinzione ormai diffusa che ulteriori risultati in termini di efficacia ed efficienza delle risposte assistenziali degli Ospedali non possano essere ottenuti stressando ulteriormente l’attuale sistema e che un
reale miglioramento sia perseguibile solo cambiando le
regole del gioco. Su questo
assunto si è sviluppato, nell’Azienda sanitaria di Firenze,
il progetto di riorganizzazione della rete ospedaliera, recependo l’intenzione della Direzione aziendale di adottare
una nuova strategia organizzativa per ottenere una disposizione più efficiente delle risorse umane e tecniche in
modo da generare maggior
valore da distribuire tra tutti
gli stakeholders.
L’attuazione della nuova strategia comporta necessariamente l’abbandono dei vecchi
modelli organizzativi burocratico funzionali, che “spezzettano” i processi operativi e gestionali interni, rendendo difficile l’integrazione orizzontale, restringendo anche la visione degli obiettivi aziendali da
parte dei professionisti coinvolti nel loro raggiungimento.
Per riprogettare i processi di
assistenza la filosofia utilizzata risponde al lean
thinking, declinandone una
applicazione a livello di sistema che ha portato alla introduzione di un modello gestionale per linee di attività; le
attività ospedaliere sono state cioè rilette sviluppando la
dimensione orizzontale che
corrisponde al reale flusso del
patient journey.
Il metodo lean
Il lean thinking, conosciuto
anche come metodo Toyota, è
stato messo a punto da Daniel Jones e James Womack
nei primi anni novanta,
quando pubblicarono i principi del metodo nel libro “La
macchina che ha cambiato il
mondo”, a conclusione di un
programma di ricerca promosso dal Massachusetts Institute of Technology.
La ricerca, mettendo a confronto il modo di funzionare
delle Aziende americane rispetto a quelle giapponesi,
evidenziò che i principi tradizionali della produzione erano stati superati da altri in
grado di rispondere con maggiore efficacia alle richieste
del mercato. Questi nuovi
principi vanno sotto il nome
di lean production, produzione snella, una definizione
che esprime il significato
profondo di un approccio teorico che valorizza la flessibilità, attraverso la realizzazio-
La valorizzazione della flessibilità
e della dimensione orizzontale
in un nuovo modello organizzativo
ne di strutture organizzative
agili, e la partecipazione attiva delle persone al processo
lavorativo. Il concetto chiave
è quello del valore inteso come la capacità di soddisfare,
con le sue caratteristiche e il
suo costo, le esigenze, sempre mutevoli nel tempo, del
cliente finale, nel nostro caso
il paziente.
La ricerca del valore avviene
attraverso la lotta agli sprechi, nella loro accezione sociale ed etica, cioè attraverso l’identificazione di ciò che è utile, che va prodotto, conservato e trasmesso. Il consumo di
risorse è giustificato solo per
produrre valore per il “consumatore”, cioè per colui che
paga, direttamente o indirettamente, per fare proprio questo valore, esattamente come
accade anche per i cittadini
nel nostro sistema sanitario.
Il lean thinking negli ultimi
20 anni si è diffuso enormemente nel mondo della produzione a livello internazionale ma è solo dal 2005 che le
istituzioni più prestigiose di
management sanitario (l’In-
stitute for Healthcare Improvement, Harvard, e l’Institute
for Innovation and Improvement, UK) hanno inserito
questo approccio nel loro setting. Negli ultimi anni alcuni
famosi Ospedali (Virginia Mason, Mayo Clinic, Thedacare
negli USA, Flinders in Australia, Bolton Trust in UK) ne
stanno utilizzando i principi
chiave per riorganizzare alcuni settori di attività. In Italia
l’esperienza dell’ Azienda sanitaria di Firenze è la prima e
l’unica ad avere scelto un approccio di sistema andando a
ridefinire le regole organizzative sostanziali delle attività
ospedaliere.
Scarsa sicurezza e qualità insoddisfacente, limiti di capacità di risposta e conseguenti
attese, limiti economici e motivazione bassa del personale
sono preoccupazioni che affliggono tutte le organizzazioni in qualunque settore
produttivo. Per questo l’introduzione nel mondo sanitario di un approccio sviluppato nel mondo dell’industria
non deve sorprendere, in pri-
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
mo luogo perché l’adozione di
strumenti e tecniche che nascono nei contesti produttivi
fa parte della storia stessa del
miglioramento della qualità
in sanità, ma anche perché il
valore sotteso alla eliminazione delle attività che non
aggiungono valore e del rispetto per le persone e la società stanno alla base del sistema sanitario.
Da un punto di vista più strettamente tecnico i principi su
cui si basa il lean thinking sono di carattere generale e per
questo possono essere applicati in qualunque contesto, in
un’attività produttiva come in
una di servizio, in una banca
così come in un Ospedale o in
un ambulatorio.
Il punto fondamentale del
lean thinking, su cui ruotano
tutti gli altri, è la logica pull:
per creare valore abbiamo necessità di fornire risposte in
linea con la domanda, non di
meno e non di più. Questo significa che tutte le prestazioni, i materiali e le informazioni devono essere “attratti”
lungo le attività da compiere
nel momento esatto in cui
servono, nè prima né dopo,
in modo da assicurare al processo una velocità costante,
Sae l ute
Territorio 15
Fig. 1. Rappresentazione grafica
del flusso pull (da D. Jones,
A. Mitchell, Lean thinking
for the NHS, 2006).
considerato che il tempo speso in stand-by o in code è un
esempio di spreco.
Nel processo sanitario ideale,
i pazienti vengono “attratti”
attraverso il sistema Ospedale
ad una velocità e con una frequenza che tengono il passo
della domanda:
– le dimissioni attraggono i
pazienti dai reparti,
– i reparti attraggono i pazienti dal blocco operatorio e dalle ammissioni,
– mentre attraggono processi di supporto dai servizi.
L’innesco della logica pull allinea le fasi del processo con
l’obiettivo di azzerare i tempi
persi nell’attesa e lo spreco di
energie derivante da discontinuità nei flussi di lavoro
(Fig. 1).
Questo concetto può apparentemente sembrare contro-in-
tuitivo perché, tradizionalmente, siamo portati a ragionare in termini opposti
(push), ed è l’attività a monte
che deve spingere per avviare
lo step a valle, ad esempio nei
Dipartimenti di emergenza si
cerca la disponibilità di un
letto quando un paziente è
pronto per un ricovero, mentre con la logica pull è il reparto che attrae il paziente
appropriato e ciò ha mostrato
essere in grado di ridurre i
tempi di attesa (Fig. 2).
Il programma OLA
L’obiettivo del progetto è
quello di rivisitare i processi
portanti ospedalieri dall’inizio alla fine per identificare
le fasi in cui si produce il valore, creare le condizioni per
un flusso costante nel percorso del paziente e così decli-
nare la nuova mission: rendere accessibili con tempestività il maggior numero possibile di risposte appropriate,
con le risorse date.
Attraverso la riorganizzazione della propria rete ospedaliera, l’Azienda si prefigge infatti di poter offrire ai propri
assistiti l’accesso alla migliore risposta possibile, in qualunque sede, in qualunque
struttura ed in qualunque tipologia di presidio, perseguendo l’eccellenza.
I tre principi ispiratori sono:
– organizzazione semplice;
– processi centrati sull’utente;
– valorizzazione delle competenze.
Il progetto è iniziato nel gennaio 2007, dopo una fase di
studio di sei mesi. Nel suo
sviluppo si prevede che tutte
le attività di ricovero e ambu-
Fig. 2. Effetto del ward pull
sui tempi di attesa per ricovero
al Flinders Medical Center
di Adelaide (da D. Jones,
A. Mitchell, Lean thinking
for the NHS, 2006).
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e
16 Territorio
Nuove prospettive nel SSN
latoriali degli Ospedali dell’Azienda verranno ricollocate
all’interno di linee di processo progettate secondo la value stream.
Per ottenere questo risultato
occorre prima di tutto operare
un cambiamento di mentalità:
– spostarsi da una logica a
silos ad un’organizzazione
traversale costruita sulle
necessità del paziente;
– ragionare in termini di catena del valore.
Il primo passaggio è stato la
definizione dei macroprocessi
ospedalieri che vanno ad
identificare le linee di attività (Fig. 3, Box 1).
Le linee di processo sono state ricostruite analizzando e
aggregando le attività per
“famiglie di prodotti” secondo le indicazioni del lean
thinking. Questo comporta la
necessità di cambiare la produzione dal reparto al flusso
per gruppi omogenei di pazienti in cui l’elemento comune non è il problema clinico
ma bisogni assistenziali che
vengono soddisfatti da una
stessa linea di attività.
Una delle caratteristiche metodologiche del lean è il coin-
volgimento del personale direttamente impegnato nelle
attività di progettazione e di
miglioramento del proprio
modo di lavorare. Questa indicazione è l’elemento primario del progetto aziendale che
viene realizzato con l’apporto
diretto dei professionisti.
Le linee di indirizzo per il ridisegno dei macroprocessi sono state definite attraverso
eventi kaizen exemplar (che
abbiamo definito “settimane
prototipo”) con un gruppo di
esperti del settore individuato tra i professionisti aziendali; le specifiche organizzative sono state poi elaborate
attraverso eventi kaizen realizzati nei vari presidi.
Ad oggi sono stati realizzati 4
eventi kaizen exemplars, nello
specifico per il macroprocesso
della chirurgia in elezione,
della chirurgia in urgenza,
dell’interfaccia DEA – reparti,
della High Care medica, e 9
eventi kaizen nei presidi ospedalieri aziendali per il ridisegno dei ricoveri chirurgici e
dei ricoveri medici, coinvolgendo in prima persona 300
professionisti (Fig. 4).
I criteri guida adottati sono:
N. 166 - 2008
Box 1
Definizione delle linee di attività ospedaliera
nella Azienda sanitaria di Firenze
Le linee di attività comprendono famiglie di processi affini
dal punto di vista organizzativo e del percorso dell’utente. La
definizione delle linee è fatta quindi in base a variabili organizzative e non solamente in considerazione della problematica clinica.
Linea della chirurgia in urgenza
Questa linea comprende i ricoveri per problemi di tipo chirurgico con accesso dal Dipartimento di emergenza.
Linea della chirurgia programmata
Include tutti ricoveri per intervento chirurgico che fanno seguito ad una programmazione e ad una valutazione che avviene prima del ricovero in Ospedale. Comprende anche la chirurgia di un giorno (Day Surgery).
Linea della High-Care
Ricoveri di tipo medico, con necessità di cura continuata nelle 24 ore oppure per periodi inferiori alle 12 ore (Day
Hospital), che in ogni caso richiedono una alta intensità di
assistenza sanitaria.
Percorso nascita
È la linea di attività che comprende i servizi per la gravidanza, il parto, l’assistenza alla madre ed al neonato.
Linea outpatients
Raggruppa le attività per utenti non ricoverati. Comprende
sia prestazioni ambulatoriali più semplici dal punto di vista
organizzativo, che percorsi coordinati, anche con il coinvolgimento di risorse di elevata complessità (Day Service, servizi di
emodialisi, chirurgia ambulatoriale, servizi di endoscopia,
servizi di diagnostica interventiva, ed altri).
Linea della low-care
Ricoveri con necessità di cura continuata nelle 24 ore, che richiedono assistenza di più bassa intensità.
Fig. 3. Linee di attività.
1. Ragionare in termini di catena del valore specificando il valore dalla prospettiva del paziente e identificando il value stream per
ciascun gruppo di pazienti
e rimuovere i muda rendendo efficienti ed efficaci le
prestazioni cliniche e assistenziali, le attività di ammissione e di dimissione.
2. Passare da una gestione
reattiva a una proattiva
sfruttando maggiormente
la possibilità di predire la
domanda.
N. 166 - 2008
Nuove prospettive nel SSN
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Territorio 17
Fig. 4. Persone direttamente
coinvolte nello sviluppo
del progetto OLA.
Fig. 5. Nuovo lay-out delle degenze delle chirurgie, Ospedale S. Maria Annunziata.
Fig. 6. Nuova organizzazione attività in reparto.
Attraverso un’operazione a
cascata che ha coinvolto
gruppi di lavoro di tutti i presidi è stata ridisegnato il lay
out di alcuni ospedali (Fig. 5)
e completamente riletta la “
vita quotidiana” del reparto
(Fig. 6).
Il roll out della prima linea di
attività ridisegnata è avvenuto in ottobre del 2007 con
l’avvio delle nuove modalità
organizzative delle attività
chirurgiche dell’Ospedale
Nuovo San Giovanni di Dio,
seguito, nel gennaio 2007,
dalle attività chirurgiche dell’Ospedale Santa Maria Annunziata.
Conclusioni
L’adozione di un nuovo modello organizzativo è per
qualsiasi Azienda una decisione difficile, dei modelli
esistenti si conoscono le lacune ma anche i punti di forza così come sappiamo che
qualunque nuovo modello si
porta dietro vantaggi, ma
inevitabilmente anche svantaggi, la cui correzione com-
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Sa
e
18 Territorio
Nuove prospettive nel SSN
porta un grandissimo lavoro
per assicurare il successo dell’operazione.
Ben si comprende quanto sia
impegnativo e per certi
aspetti “rischioso” avviare
processi di cambiamento che
aggrediscono così profondamente le regole esistenti dell’organizzazione. Per questo
uno degli elementi cardine in
questi casi è il commitment
Bibliografia
Jones D.T., Mitchell A. (2006), Lean thinking for the NHS, Lean Enterprise Academy, NHS Confederation, UK.
McCarthy M. (2006), Can car manufacturing techniques reform health
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Womack J.P., Jones D.T. (1996), Lean Thinking: Banish Waste and
Create Wealth in Your Corporation, second edition 2003, Simon and
Schuster, Inc., New York.
(segue da pag. 8):
Il pensiero debole della sanità
Ebbene la grande novità del
nostro tempo è che questo non
è più possibile. Gli errori vanno
in tribunale e rappresentano
per una professione veri e propri eventi catastrofici.
Uno dei grandi temi posti dal
contenzioso legale tra cittadini operatori e servizi è sicuramente la sicurezza del malato. Tradizionalmente questo tema era dentro il principio di beneficialità, perché il
medico aveva il dovere di fare
il bene del malato con il minor danno possibile.
Oggi questo principio è stato
praticamente revocato e spostato in capo agli esperti di
risk management.
Il risk management è un pensiero debole. Il risk management si basa sul principio che
tutta la complessità sanitaria
sia riducibile a problemi oggettivi.
Il presupposto di partenza è
che il mondo è tutto un problema e che tutti i suoi abitanti sono problem solvers.
“Incontreremo problemi, tenteremo di risolverli, commetteremo errori”. Ma in sanità
esistono anche le contraddizioni che hanno una logica
diversa, esistono i soggetti
che non sono riducibili a problemi, esistono i mondi a
molti mondi della complessità
che non sono rappresentabili
come problemi.
In medicina in realtà l’errore
è quasi sempre la coemergenza di tante cose che è difficile
sintetizzare in un problema.
Nell’errore spesso concorrono
condizioni, credenze, supposizioni, situazioni, imprevedibilità, inevitabilità, strumentalità ecc.
Per quel che riguarda il risk
management si tratta di prendere un’altra strada. Propongo
di chiamare questa nuova
strada strategia per la riduzione del grado di fallibilità ine-
N. 166 - 2008
della Direzione, nel caso specifico la Direzione dell’Azienda sanitaria di Firenze ha assicurato una presenza costante a fianco dei gruppi di
lavoro confermando conti-
nuamente il proprio impegno
nell’assicurare il supporto necessario e rafforzare il mandato, elemento di forza del
progetto.
Rother M., Shook J., Womack J.P., Jones D.T. (2003), Learning to See,
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Bonner S.B. (2007), Hospitals can do more with less, Health Care
News, Publisher: The Heartland Institute.
vitabile della medicina.
Chiarisco la proposta:
– il risk management non è
una strategia ma un insieme di tecniche. Sul rischio
abbiamo bisogno di strategie vere che accanto alle
tecniche prevedano altro e
di più, ad esempio tutto
quanto aiuti l’operatore a
scegliere di più sbagliando
di meno e quindi a fare
scelte responsabili e tutto
quanto aiuti l’operatore a
conoscere meglio e di più
il suo malato;
– è necessario riconoscere
un certo grado di fallibilità dell’operatore riducibile ed irriducibile. Il fallibilismo è un atteggiamento
dell’operatore cosciente.
Egli sa che l’errore è possibile ad ogni istante del
suo lavoro e proprio per
questo cerca costantemente di migliorarsi. L’atteggiamento del risk management è del tutto diverso:
si dà per scontata la falli-
bilità e si interviene dall’esterno sull’organizzazione per prevenirla adottando delle tecniche;
– è necessario che i cittadini
condividano una realtà di
rischio inevitabile e questo
non solo per ragioni di
consenso informato, ma
per ragioni di solidarietà.
L’inevitabilità non è solo
qualcosa che non si può
eliminare, ma è soprattutto qualcosa di cui non si
può dire, non si può umanamente conoscere, non si
può governare.
Ripensare la medicina come
scienza dei soggetti, delle relazioni tra conoscenza e soggetti, del linguaggio e dei
sentimenti. Quindi scienza
delle virtù cardinali: prudenza, giustizia, temperanza,
fortezza. Il risk management
non si occupa delle virtù dei
soggetti. Le virtù sono le capacità degli operatori. Le
proprietà sono le caratteristiche delle tecniche.
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
Fabio Capacci
Franco Carnevale
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Territorio 19
Morire di lavoro
Medici del lavoro
UF Prevenzione igiene
e sicurezza nei luoghi
di lavoro “G. Pieraccini”
Dipartimento di prevenzione
dell’Azienda sanitaria di Firenze
I
l morire o subire un danno
alla salute per responsabilità altrui rende i danni da
lavoro, tra quelli da comportamento colposo, una delle
categorie più inaccettabili.
Più che il morire in auto per
l’altrui imprudenza, arroganza e negligenza, il danno e la
morte sul lavoro contengono
in sé, particolarmente evidenti, anche elementi di prevaricazione sociale, di interesse di qualcuno ai danni di
altri più deboli, tali da rendere la responsabilità per queste morti e per questi danni
particolarmente odiosa.
Queste considerazioni non
sono state nel passato così
presenti nell’immaginario sociale, se non dei lavoratori
che questi danni subivano e
dei loro familiari, che contro
queste prevaricazioni hanno
combattuto fino ad ottenere
risultati tali da smorzare, ad
un certo punto, rispetto ad
altre esigenze più pressanti,
l’urgenza della prevenzione e
della tutela della salute. Dall’inizio degli anni ’90 del Novecento e fino a pochi mesi
fa, in assenza di rivendicazioni forti della “base” dei lavoratori, la sicurezza del lavoro
era infatti scomparsa dall’agenda di forze politiche e sociali mentre da qualche mese
l’argomento è tornato prepo-
tentemente all’ordine del
giorno.
Qualunque ne sia il motivo,
ciò deve essere valutato positivamente perché l’attenzione che ha catalizzato il problema, grazie ad una battente campagna informativa
svolta dai “media”, ha superato per la prima volta i confini dei diretti interessati, i
lavoratori a rischio, e degli
addetti ai lavori, arrivando a
permeare di sé l’intera coscienza collettiva. Un fenomeno così clamoroso rischia
però di indurre in qualche
equivoco che si può riflettere
sul modo di affrontarne gli
aspetti tecnici.
Alcune riflessioni utili alla
discussione rischiano di essere “impopolari” e molti, soprattutto la politica, preferiscono attestarsi su proposte
che abbiano il pregio di poter
essere presentate come taumaturgiche, facilmente comprensibili dai media e concretamente realizzabili in tempi
accettabili senza compromettere troppo equilibri ed interessi sedimentati negli anni.
Ciò che si sente affermare è,
sostanzialmente, che il problema dei danni e delle morti
da lavoro si può risolvere: a)
con una nuova normativa, b)
con un aumento dei controlli
ed inasprimento delle sanzio-
L’esigenza di una nuova normativa. Il ruolo
dei rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza
ni ai datori di lavoro, c) con
un aumento della formazione
dei lavoratori. Normativa,
formazione, controlli e sanzioni sembrano dunque gli
elementi responsabili della
strage sul lavoro e non è popolare insinuare dubbi su
questo o pensare che siano
possibili diverse letture per
un fenomeno, quello degli
infortuni sul lavoro, che in
realtà è legato ad un insieme
di cause spesso lontane tra
loro, tanto che parlarne come
se esistesse un’unica medicina rappresenta un ostacolo
nell’individuazione di soluzioni efficaci.
Un nuovo”testo unico”
La lettura della normativa
sulla sicurezza del lavoro in
Italia, frutto di stratificazioni
decennali e di recepimenti
non sempre organici rispetto
a norme preesistenti e mai
abrogate, non è certo facile e
di un testo unico sulla sicurezza si parla fin dal 1978,
anno in cui era stato previsto
dalla legge di riforma sanitaria. Tuttavia chi ha voluto far
capire che il nuovo testo unico sarà capace tout court di
ridurre gli infortuni sul lavoro avrebbe dovuto riflettere e
far riflettere sul fatto che le
norme preventive già in vigore sono nella sostanza quelle
condivise con il resto dell’Europa ed è difficile pensare ad
un loro stravolgimento per
migliorarle. Più utile sarebbe
invece riflettere sui motivi
che hanno favorito la parziale
vanificazione e quindi la
mancata applicazione di questa stessa normativa, richiamando l’attenzione su alcuni
obbiettivi: rendere applicabile (da parte dei datori di lavoro) in maniera snella ma
sostanziale, e non formale
come finora è stato, quella
normativa; la possibilità che i
lavoratori abbiano capacità e
potere di tutelarsi; dare alle
istituzioni capacità e mezzi
per favorire, valutare e controllare l’applicazione, sempre quella sostanziale e non
formale, della normativa;
rendere più efficace l’opera
dei consulenti, tecnici e medici del lavoro messi in campo dal datore di lavoro.
Come nel vecchio anche nel
nuovo testo, quello approvato in prima istanza dal Consi-
l ute
Sa
e
20 Territorio
glio dei ministri del 6 marzo
2008, prevale, fin dai titoli
degli articoli, un incitamento
alla “valutazione dei rischi”,
cioè verso un atto rappresentato e poi inteso come meramente compilativo; nulla è
stato fatto e scritto per enfatizzare, come pretende invece
la direttiva comunitaria, il
primato e la necessità di interventi gestionali e di programmi di miglioramento
continui. È come se del binomio assessment – management, unitario in lingua inglese, in Italia fosse stato accolto soltanto il primo termine, quello della valutazione,
che può procedere in maniera
separata rispetto alla gestione dei rischi lavorativi. La deroga all’obbligo della predisposizione della valutazione
in circa il 90% delle aziende
italiane, quelle con meno di
10 addetti e senza distinzione di “rischi”, sembra permettere a molti di intendere
che ciò riguarda anche la gestione dei rischi lavorativi.
Tutto ciò è fuorviante anche
per gli operatori dell’organo
di controllo, perlomeno per
quelli meno attenti, che nella
“valutazione delle valutazioni” tendono ad esaurire tutta
la loro carica tecnica ed emotiva. È stato trascurato in sostanza l’impegno, che ha valore culturale ma anche economico, di mettere più chiaramente in luce il debito preventivo specifico che il datore
di lavoro con i suoi consulenti
contrae con tutti (lavoratori,
istituzioni, aziende concorrenti) e cioè quello di dover
dimostrare di avere fatto tutto quanto è tecnicamente
possibile per controllare e gestire i rischi presenti nella
Nuove prospettive nel SSN
propria azienda, in maniera
convincente e verificabile da
parte di chi ne ha titolo.
Parlare di “semplificazione”
delle incombenze su questa
materia, soprattutto quando
sono incombenze di tipo valutativo, non significa affatto
voler introdurre elementi di
riduzione delle garanzie ma
piuttosto voler impegnare direttamente in azioni pragmaticamente efficaci invece di
disperdere energie e risorse
nel tenere in piedi un sistema
di sicurezza teorico. È noto
come la complessità di un sistema lo renda spesso inadatto ad offrire risposte semplici: indurre aziende piccole o
piccolissime e con cicli produttivi semplici, come quelle
che costituiscono gran parte
delle aziende italiane, comprese quelle dove giornalmente si consumano molti
dei danni del lavoro, a mettere in piedi ed alimentare sistemi per la prevenzione
grandi e complessi, non porta
ad altra conseguenza se non
alla sostanziale elusione di
questi obblighi e ad un atteggiamento culturale di rifiuto
e scarsa considerazione nei
confronti della “scienza” della prevenzione.
Controlli e sanzioni: l’efficacia della deterrenza
Nel nuovo testo del 6 marzo
2008, viene confermata l’attribuzione alle Regioni delle
attività di controllo degli ambienti di lavoro ma nessun
elemento né indirizzo viene
previsto per assicurare che
ogni Regione possegga risorse e strutture adeguate e perché si costruisca un sistema
di prevenzione unitario, nazionale, pubblico, come esi-
N. 166 - 2008
ste in ognuno dei Paesi europei.
L’organo di controllo rimane
collocato all’interno delle ASL
in un atteggiamento di sofferenza, di isolamento e di
scarsa autenticità, stante gli
obbiettivi, gli interessi e l’organizzazione per nulla facilitanti che animano le Aziende
sanitarie.
Anche il tanto declamato
“coordinamento dei controllori” rappresenta uno strumento che la sperimentazione condotta in alcune Regioni ha già dimostrato sostanzialmente inefficiente e dispendioso.
Le attribuzioni aggiudicate
all’ISPESL, Istituto centrale
per la prevenzione, confermano la separatezza del sistema pubblico: rimane infatti l’organizzazione attuale
dell’ISPESL con una sede centrale ancora alla ricerca di un
ruolo e con sedi periferiche
che mancano di qualsiasi collegamento con il vero sistema
periferico di controllo regionale, quello delle ASL. A ciò
si aggiunge oggi, con l’obbiettivo di sanare i conflitti
di interesse di un’azienda che
controlla se stessa, l’attribuzione all’ISPESL (alle sue
strutture periferiche?) della
vigilanza sulle strutture sanitarie pubbliche, attribuzione
per niente chiara, almeno
nella sua applicazione.
Complessivamente farraginoso è il “sistema istituzionale”
delineato che prospetta dei
coordinamenti centrali (due,
di cui uno, pare, per ricompensare il mancato impegno
dimostrato negli ultimi trenta
anni, dalla data della riforma
sanitaria, dal Ministero della
sanità nel campo della salute
occupazionale …) e regionale. Gli obiettivi del coordinamento sono tanti, piuttosto
evanescenti e nel contempo
pretenziosi ma poco approfonditi sono i flussi ed i
destinatari degli indirizzi amministrativi e tecnici “coordinati”. L’articolo 8 prospetta
un altisonante quanto improbabile “Sistema informativo
nazionale per la prevenzione”
(SINP) nei luoghi di lavoro”
che “risiede presso l’INAIL” il
quale, bene che vada, replicando l’insuccesso di quanto
previsto da una precedente
legge a proposito del registro
delle malattie professionali,
potrà continuare a diffondere
i dati della sua gestione assicurativa sugli infortuni e le
malattie professionali.
Alcuni affermano, ed il testo
unico sembra recepire questo
indirizzo, che l’efficacia della
deterrenza possa ridurre l’incidenza dei danni e delle
morti sul lavoro. È certo invece che persistendo le cose così come sono oggi in termini
di numero di aziende sottoposte a sopralluogo ispettivo
e di peso delle sanzioni comminate, le aziende potrebbero non avere interesse, inteso
in senso esclusivamente economico, ad ottemperare alle
norme. In altre parole, se lo
stimolo a realizzare la prevenzione derivasse esclusivamente dall’ipotesi ispettiva e
sanzionatoria, ogni azienda
potrebbe avere più interesse
(ossia farebbe più profitto) a
non realizzarla. Fortunatamente non è così e, anche
trascurando per un momento
le motivazioni di tipo etico,
la prevenzione è per molte
aziende uno strumento di
produzione e, quindi, di pro-
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
fitto. È una competizione
senza regole a spingere il profitto ad associarsi al rischio
lavorativo.
Non si può fingere di ignorare
che in una economia liberale
e di mercato è il profitto l’obbiettivo di ogni impresa privata (e tendenzialmente anche di quelle pubbliche) e l’inasprimento delle sanzioni,
per essere efficace, dovrebbe
essere tale da incidere sensibilmente sul profitto delle
imprese. Non è difficile dimostrare con pochi conti che per
ottenere un risultato del genere il costo delle sanzioni
dovrebbe essere assai più elevato di quello attuale ed anche di quello proposto nel
nuovo testo unico e che, soprattutto, le aziende a rischio
di controllo ispettivo dovrebbero essere una percentuale
di gran lunga maggiore di
quanto ipotizzabile anche dopo un cospicuo rafforzamento
degli organici ispettivi. Ma
anche ipotizzando di raggiungere un sufficiente livello di efficienza, il sistema risulterebbe iniquo e sostanzialmente inefficace: infatti
avremmo sanzioni “mortali”
per la piccola impresa e si
creerebbe un doppio canale,
quello delle imprese solvibili
(medie e grandi imprese) e
quelle che il sistema metterebbe in crisi. Questo specifico aspetto del problema, solo
apparentemente intricato, ha
una soluzione relativamente
semplice, già adottata dalla
maggior parte dei Paesi europei, che si fonda su un sistema assicurativo realmente
premiante, tipico dell’assicurazione privata, che regola i
suoi premi sulle caratteristiche delle aziende (dimensio-
ni, numero di addetti, rischi
presenti, ma anche livello di
controllo dei rischi messo in
atto).
Nel nuovo testo unico tutti si
aspettavano diverse novità in
questo senso relativamente al
ruolo dell’INAIL. In realtà
l’Ente assicuratore unico
manterrà la sua tradizionale
caratteristica “sociale” nel
senso che, principalmente,
garantisce una copertura assicurativa “a buon mercato”
ai datori di lavoro, attingendo
diffusamente i premi da tutte
le aziende quasi indipendentemente dal rischio lavorativo
realmente assicurato. In tal
modo l’Istituto è messo nelle
condizioni di non utilizzare il
premio assicurativo quale deterrente per il miglioramento
delle condizioni di lavoro e
per ridurre frequenza e gravità degli infortuni; in compenso lo stesso Ente è relegato al ruolo di cassaforte “sociale”, pronto ad erogare finanziamenti per progetti di
miglioramento “morbidi”, da
attuare con la consulenza
dello stesso Istituto, tanto
che la bozza del testo unico
prevede che i suoi operatori,
come tutti i bravi “consulenti”, siano esonerati dall’obbligo di denunciare le eventuali
violazioni della normativa
sull’igiene e la sicurezza del
lavoro riscontrate nelle
aziende (art. 11 comma 5).
Sorveglianza sanitaria per
tutti
Un aspetto particolare dei
controlli è quello legato alla
sorveglianza sanitaria, arma
che, per la forza di alcune
corporazioni, viene perpetuata, anzi per certi aspetti esasperata con il nuovo testo
unico. Spesso la “medicalizzazione” della prevenzione è
intesa e fatta intendere quasi
come sostituto o surrogato
della prevenzione tecnica. Si
tratta, come oggi spesso è
possibile osservare, di una
pratica medica che risulta
inappropriata nella grande
maggioranza dei casi, di un
grande business, di un dispendio economico che può
trasformasi in strumento di
precarizzazione dei lavoratori, quelli resi parzialmente
inidonei o del tutto inidonei
alla visita medica. Dalla nuova stesura della norma si può
interpretare, e non vi è dubbio che tale interpretazione
prevarrà, che la pratica medica, intesa come visita “almeno annuale”, è da diffondere
in qualsiasi attività lavorativa quale “misura generale (e
generica) di prevenzione”;
vengono in più previsti anzi
legittimati, perché esistono
già sul mercato, dei “visitifici”, anche itineranti, con un
coordinatore che dalla sede
centrale sguinzaglia per l’Italia dei medici “competenti”,
poco propensi all’igiene industriale (che fa perdere tempo
e “svilisce”), con un approccio di tipo clinico per la “sorveglianza” di individui sganciati dal lavoro che è praticata in maniera indipendente
dal contesto ambientale ed
organizzativo dove questi lavorano. L’obbligo dei medici a
visitare i luoghi di lavoro viene limitato ad una volta all’anno, la stessa periodicità
della visita medica. L’effetto
atteso ed osservato è quello
di una rinuncia alla ricerca di
informazioni, anche sanitarie, individuali o di gruppo,
da utilizzare come strumento
Sae l ute
Territorio 21
utile per la gestione della
prevenzione riferita a rischi
lavorativi specifici o a mansioni realmente svolte. Tutto
ciò con buona pace degli indirizzi, non solo di tipo etico,
oggi praticabili più che in
passato, che portano a concludere che una ampia varietà di lavori può essere
svolta dalla grande maggioranza dei lavoratori dovendo
piuttosto prevalere impegno
e competenze per mettere in
atto una terapia rivolta ai rischi lavorativi in alternativa
ad un perverso accanimento
diagnostico e prognostico.
Formazione, formula magica
La “formazione” è qualcosa di
cui concettualmente è difficile negare l’utilità. È parola
sufficientemente generica da
essere alla fine poco impegnativa. È una formula magica che nasconde anche un giro di molti milioni di euro e
di “nuovi” posti di lavoro, comunque vadano le cose ed a
prescindere da ogni valutazione di efficacia. Nel campo
della sicurezza del lavoro è
termine ormai abusato e, per
questo, non più troppo tranquillizzante; mai prima d’ora
c’era stato un tale fiorire di
iniziative di formazione che
hanno coinvolto le figure
specifiche della prevenzione,
i responsabili del SePP, i coordinatori per la sicurezza, i
consulenti esterni e gli operatori dei servizi PISLL, in un
programma che viene giustamente definito non di aggiornamento ma bensì di formazione continua, volto evidentemente a superare un gap
professionale di cui giustamente qualcuno si deve esse-
l ute
Sa
e
22 Territorio
re accorto ma che in molti casi fa nascere spontanea la domanda: “ma prima questi signori che lavoro facevano?”.
Programmi di formazione sono giustamente previsti e
realizzati per i lavoratori,
quelli addetti a compiti speciali, quelli “comuni”, i preposti ed i dirigenti, programmi calibrati per lingua, etnia,
livello culturale e di percezione del rischio. Per non parlare della formazione prevista
per gli eletti come rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza (RLS).
Corsi di formazione sono previsti per gli apprendisti in sostituzione delle visite mediche condotte assiduamente
in passato e giustamente
abrogate in quanto non ritenute efficaci: tornano a scuola ragazzi che l’istruzione
scolastica di base non è riuscita a coinvolgere e che ora
si pretende di formare per avviare ad un lavoro, per lo più
semplice, con corsi teorici per
nulla banali, tenuti da professori privi di qualunque autorità. Il fallimento di queste
iniziative è già sotto gli occhi
di tutti, degli insegnanti che
abbandonano le lezioni, dei
ragazzi che imparano la irrilevanza e marginalità della formazione, delle stesse agenzie
di formazione alle quali, peraltro, continuano ad arrivare
finanziamenti pubblici.
La mancanza di qualsiasi flessione sull’andamento del fenomeno infortunistico a
fronte dell’enormità di questo sforzo formativo dovrebbe
spingere a chiedersi se qualcosa, se non altro nel metodo, possa essere sbagliato. In
passato la formazione professionale, quella storica cui
Nuove prospettive nel SSN
erano sottoposti gli apprendisti nelle botteghe artigiane, avveniva per affiancamento. Nel campo della sicurezza lo stesso metodo sarebbe auspicabile se le imprese
avessero sviluppato “in sicurezza” le proprie attività. Se
la prevenzione non entra a
far parte dello stile della produzione, nessuna formazione
potrà modificare dal basso i
comportamenti sul lavoro ma
solo aumentare la consapevolezza del rischio in un contesto dove marginalizzazione e
ricatto occupazionale rendono i lavoratori impotenti. Su
questi argomenti il recente
dramma della Thyssen qualcosa potrebbe insegnare.
La partecipazione dei lavoratori delegata agli RLS
La definizione del percorso di
nomina e di formazione degli
RLS sono aspetti definiti dalla norma in maniera assai più
chiara e netta di quanto non
siano poi le modalità di
espletamento delle loro prerogative. Oggi si assiste a due
“stili” operativi degli RLS
che, non casualmente, corrispondono a due diverse tipologie di aziende:
– Il primo è quello degli RLS
che lavorano in aziende
manifatturiere di medie e
grandi dimensioni (non
nelle piccole perché è raro
trovarceli e se ci sono, sono figure completamente
assorbite nella gestione
aziendale mentre sono inesistenti gli RLS territoriali), dove gli RLS svolgono
spesso il ruolo di addetti al
Servizio di prevenzione e
protezione (SePP) apportando così, con efficacia
anche se impropriamente,
N. 166 - 2008
il loro contributo. In altri
casi, i peggiori, gli RLS sono “trasparenti” e ricattabili e neppure la nomina
sindacale riesce a dare visibilità alla sicurezza ed al
loro ruolo.
– Diverso è il caso delle
aziende pubbliche o delle
grandi aziende di servizi,
dove si assiste ad uno strano fenomeno che porta gli
RLS ad ipertrofizzare il
confronto con l’impresa,
senza possibilità né ricerca
di mediazione, fino alla
cristallizzazione dei ruoli
in un conflitto perenne
che spesso si alimenta di
temi di scarso rilievo o
scarsa pertinenza con la
prevenzione. È una conflittualità che privilegia
aspetti formali, relativi in
particolare alle modalità di
redazione della valutazione dei rischi, alle modalità
di convocazione e svolgimento delle riunioni periodiche o, più in generale, al
ruolo degli RLS ed al livello
del loro coinvolgimento,
nella convinzione di riuscire a rivendicarlo “626 alla
mano”. Oppure si tratta di
conflitti su aspetti specifici (la scelta dei DPI, le caratteristiche di arredi giudicati più o meno “ergonomici” o aspetti legati alla
manutenzione ordinaria ed
alla pulizia) che non colgono con chiarezza il confine
tra rispetto delle caratteristiche minime prescritte
dalla legge e scelte soggettive; si tratta, in genere, di
condizioni di lavoro a bassissimo rischio, di questioni attinenti al “benestare”
ancor più che al “benessere” dove spesso si confon-
dono reazioni personali a
fronte di condizioni disturbanti con veri e propri
rischi specifici per la salute (la mancanza di termostato sui termosifoni, una
perdita d’acqua, la necessità di rimbiancare una
stanza o di sostituire la
cinghia di una tapparella,
fino alla qualità delle merendine del distributore
automatico).
Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il quale
è ovviamente competente anche di problemi di igiene del
lavoro ed in generale di tutti
gli aspetti riguardanti la salute dei lavoratori, è stato
previsto e definito da una
norma europea, quindi dal D.
Lgs 626/94 e poi dagli accordi, intercorsi e non più modificati, tra organizzazioni dei
lavoratori e varie categorie di
datori di lavoro. Con queste
operazioni si è prodotta una
sostanziale frattura tra questa nuova figura e l’esperienza italiana delle Commissioni
Ambiente, molto attive sul
tema della salute e della sicurezza, almeno in alcuni periodi ed in certi luoghi di lavoro,
ed anche con quanto previsto
in tema di rappresentanze dal
pur poco applicato Statuto
dei diritti dei lavoratori.
Il vigente assetto normativo,
pur confermando lo stretto legame con le rappresentanze
sindacali, garantisce all’RLS
una funzione consultiva e
propositiva, finalizzata ad una
soluzione partecipata di problemi individuati e riconosciuti, attività questa tipicamente “collaborativa”, “fattiva” e “professionalizzata” che,
come è ovvio, risulta essere
assai diversa da quella tradi-
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
zionale di tipo negoziale e
prettamente sindacale. Nella
pratica rimangono allo stato
di carenza e comunque ampiamente irrisolti dei problemi
ormai ben presenti nella letteratura di sociologia del lavoro
ma mai abbastanza dibattuti;
tra questi problemi meritano
di essere ricordati: le aspettative dei lavoratori che hanno
come riferimento quel preciso
RLS; le risorse necessarie perché l’RLS porti a compimento
la propria missione; la strategia dell’RLS; il rapporto dell’RLS con gli esperti, con l’organo di controllo e con la parte sociale rappresentata; e
quindi le grandi questioni ricadenti negli ambiti dell’appartenenza dell’RLS e della
sua competenza.
Il processo tendente alla soluzione dei problemi di cui
sopra riguardanti la figura
dell’RLS, incontra due principali ostacoli che possono essere interpretati come errori
“ideologici”:
1. Il primo ostacolo agirà inevitabilmente ed indefinitivamente sino a quando i
datori di lavoro non riconosceranno nei RLS dei
propri insostituibili collaboratori, pur se “interessati” e critici, nella valutazione e nella gestione di
tutte le questioni attinenti la salute ed il benessere
di ogni tipo di lavoratore
coinvolto in quel dato sistema produttivo. Su questo punto l’errore “ideologico” è diffuso e nessuna
dichiarazione di intenti, a
quanto risulta, pare sia
stata emanata per tendere
al suo superamento.
2. Il secondo errore entra in
gioco quando l’RLS rinun-
cia o è costretto a rinunciare al suo ruolo “partecipativo” per assumerne altri
non autentici e non funzionali al modello preventivo proposto. Ciò succede
ancora diffusamente, specie nel settore della pubblica amministrazione e dei
servizi, quando l’RLS assume o riprende un comportamento contrattualistico
proprio riguardo alla salute
ed alla sicurezza, o quando
utilizza “sindacalmente”
oppure strumentalmente
argomenti riguardanti la
salute al fine di richiamare
l’attenzione su altri temi
più o meno generali delle
relazioni industriali, oppure ancora quando l’obiettivo della sua iniziativa non
è tale da ridurre o controllare un rischio lavorativo
individuato e approfondito. È bene notare che le organizzazioni sindacali
hanno fatto molto per rinunciare a questo tipo di
errore “ideologico”, quando almeno in forma di
enunciazione hanno abbracciato il processo partecipativo reinterpretandolo,
rispetto al significato che
aveva assunto qualche decennio addietro, alla luce
della norma europea.
L’esperienza, ormai decennale, del movimento degli RLS si
è giustamente dovuta incontrare-confrontare anche con
l’Organo di controllo e cioè
con i Servizi dedicati delle
Aziende sanitarie locali (UF.
PISLL). Come i rappresentanti
dei lavoratori anche le attuali
UF. PISLL hanno cambiato
pelle e scheletro. Da consulenti esclusivi o privilegiati
dei lavoratori (quali erano
prima della Riforma sanitaria
del 1978) hanno assunto
sempre più un ruolo istituzionale “neutrale”, come pretende la normativa, che tuttavia deve sempre poter riconoscere e contrastare situazioni, sempre aberranti ed illegittime, di debolezza e di
disinformazione.
Quando questo genere di impegno di difesa dei più deboli
risulta prevalente per la UF.
PISLL rispetto ad altri impegni, significa che il sistema
preventivo nei luoghi di lavoro
del territorio di competenza è
poco maturo e necessita di
adeguati stimoli perché assuma rapporti e strumenti più fisiologici. In sostanza, in un
contesto partecipativo i RLS
dovrebbero rivolgersi all’Organo di controllo come extrema
ratio, dovendosi invece consumare il loro ruolo all’interno
del proprio sistema preventivo, nel proprio luogo di lavoro.
Si deve ammettere che tale
grado di maturità è lontano
dall’essere stato raggiunto
anche nella nostra realtà ed è
lecito auspicare che il rapporto speciale, di sostegno privilegiato, offerto dalle UF. PISLL a RLS, almeno nella misura in cui si traduce in interventi di vigilanza e quindi repressivi per le aziende, sia a
termine e quindi rappresenti
una fase opportuna ma transitoria. Il superamento di
questa fase potrà assumere
un significato positivo testimoniando che i RLS. hanno
assunto un ruolo partecipativo effettivo e dispongono
della competenza e degli
strumenti necessari per collaborare in maniera efficace, all’interno del sistema aziendale, alla salvaguardia della sa-
Sae l ute
Territorio 23
lute e della sicurezza di tutti
i lavoratori.
Considerazioni finali
Da quanto detto fin adesso si
capisce che è in atto un processo lungo, innescato dalla
legge europea introdotta in
Italia dal 1994, che tarda
però a dimostrare la sua efficacia dal momento che lenti
risultano i passi avanti di due
degli elementi portanti di
tutto il sistema: da una parte
del meccanismo che renda indiscutibilmente remunerativa
la prevenzione da parte dei
datori di lavoro, rendendola
funzionale all’impianto produttivo stesso. Dall’altra, della crescita culturale dei lavoratori e degli RLS che della
prevenzione possono divenire
preziosi strumenti in un’impresa in grado di vedere la
prevenzione come opportunità e vantaggio economico.
Esiste sicuramente uno “zoccolo duro” di eventi avversi
che le iniziative di prevenzione non riusciranno ad eliminare nel breve termine e la
cui accettazione attiene più
alla filosofia che alla tecnica,
tuttavia non è opportuno né
utile cercare di determinarne
la soglia perché in ogni caso
la lotta per la sicurezza e per
il benessere, per essere efficace, deve di continuo essere
stimolata e rinnovata.
In un passato ormai non più
troppo vicino, i lavoratori si
sono dovuti contrapporre
frontalmente con le imprese
per conquistare il diritto alla
salvaguardia dei loro diritti e,
tra questi, del diritto alla sicurezza.
(segue a pag. 33)
l ute
Sa
e
24 Territorio
Alessandro Bussotti
Elena Crucci*
Medico di medicina generale,
Sesto Fiorentino
* Scuola di specializzazione
in igiene e medicina preventiva,
Dipartimento di sanità pubblica,
Università di Firenze
S
toricamente i MMG ed i
PLS in Italia hanno sviluppato il proprio ruolo
in un contesto di isolamento
organizzativo e di individualismo professionale, in parte
derivante dall’aver iniziato
l’attività con le regole e la logica delle “Mutue”.
La creazione del SSN italiano
nel 1978 ha comportato lo
sviluppo anche nel nostro
Paese di una riflessione sulle
basi culturali e professionali
specifiche del lavoro di MMG:
il dibattito, iniziato nei Paesi
in cui da più tempo la disciplina della medicina generale
esiste (Paesi anglosassoni,
Olanda, Scandinavia), ha
portato ad una definizione
della disciplina elaborata e
pubblicata dalla Società europea di medicina generale /
medicina di famiglia (WONCA
Europe) nel 2002 (Tab. 1),
che resta la base culturale di
riferimento di una medicina
generale inserita nel sistema
delle cure primarie.
Sulla base di questa crescente coscienza del proprio ruolo
professionale e della necessità di un rinnovamento organizzativo, da alcuni anni,
con l’avvio di gruppi sperimentali e di indicazioni derivanti da accordi nazionali e
regionali, si sono sviluppate
modalità organizzative che
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
Le Unità di medicina
generale
consentono e promuovono lo
sviluppo di relazioni tra i singoli MMG.
Gli scopi dell’associazionismo
fra MMG sono delineati nell’articolo 54 dell’ultimo Accordo collettivo nazionale per
Struttura organizzativa, funzioni,
vantaggi di un’associazione professionale
per le cure primarie
La medicina generale /medicina di famiglia è una disciplina accademica, scientifica e una specialità clinica orientata alle cure primarie con
suoi propri contenuti formativi, di ricerca e le sue prove di efficacia.
Le caratteristiche della disciplina della medicina generale/medicina
di famiglia sono che essa:
a) è abitualmente il primo punto di contatto medico con il sistema
sanitario; fornisce un accesso aperto e senza limitazioni ai suoi
utilizzatori; tratta tutti i problemi di salute senza tener conto di
età, sesso o qualsivoglia altra caratteristica delle persone che decidono di accedervi;
b) fa un uso efficiente delle risorse sanitarie coordinando le cure, lavorando con altri professionisti nel contesto tipico delle cure primarie
e gestendo l’interazione con altre specialità anche assumendo,
quando necessario, il ruolo di difensore dell’interesse dei pazienti;
c) sviluppa un approccio centrato sulla persona, orientato all’individuo, alla sua famiglia e alla comunità alla quale appartengono;
d) si avvale di un processo di consultazione esclusivo che permette
di stabilire una relazione articolata nel tempo attraverso una comunicazione efficace tra medico e paziente;
e) ha la responsabilità di fornire cure con una continuità longitudinale in base alle necessità dei pazienti;
f) prevede uno specifico processo decisionale determinato dalla prevalenza e dall’incidenza delle malattie nella comunità;
g) gestisce nei singoli pazienti contemporaneamente problemi di salute acuti e cronici;
h) gestisce infermità che si presentano in modo indifferenziato a uno
stadio precoce del loro sviluppo e che possono richiedere interventi urgenti;
i) promuove la salute e il benessere con interventi appropriati ed efficaci;
l) ha una specifica responsabilità della salute della comunità;
m) tratta problemi di salute nella loro dimensione fisica, psicologica,
sociale, culturale ed esistenziale.
Tab. 1. Le Definizioni
della medicina generale medicina di famiglia
(WONCA Europe, 2002).
N. 166 - 2008
la disciplina dei rapporti con
i medici di medicina generale
(2005):
a) facilitare il rapporto tra
cittadino e medico di libera scelta, nonché lo snellimento delle procedure di
accesso ai diversi servizi
della Azienda;
b) garantire un più elevato livello qualitativo e una
maggiore appropriatezza
delle prestazioni erogate,
anche attraverso l’attivazione di ambulatori dedicati al monitoraggio di patologie croniche ad alta
prevalenza individuate
concordemente a livello
aziendale;
c) realizzare adeguate forme
di continuità dell’assistenza e delle cure anche attraverso modalità di integrazione professionale tra
medici;
d) perseguire il coordinamento funzionale dell’attività
dei medici di medicina generale con i servizi e le attività del distretto in coerenza con il programma
delle attività distrettuali e
quale parte integrante delle équipes territoriali di cui
all’art. 26, se costituite;
e) realizzare forme di maggiore fruibilità e accessibilità, da parte dei cittadini,
dei servizi e delle attività
dei medici di medicina generale, anche prevedendo
la presenza di almeno uno
studio nel quale i medici
associati svolgono a rotazione attività concordate;
f) perseguire maggiori e più
qualificanti standard strutturali, strumentali e di organizzazione della attività
professionale;
g) condividere ed implemen-
tare linee guida diagnostico terapeutiche per le patologie a più alta prevalenza e attuare momenti di
verifica periodica.
Le forme associative previste
sono riportate in Tabella 2.
Gli incentivi legati alla costituzione di forme associative
e all’assunzione di personale
infermieristico e di segreteria
hanno condotto ad un progressivo allargamento del numero di MMG che lavorano in
gruppo o che, comunque,
partecipano a forme associative. Pur considerando l’estrema disuguaglianza dell’applicazione di queste
strutture nel territorio nazionale, il processo sembra destinato a coinvolgere progressivamente la totalità dei
MMG. A fronte di qualche difficoltà, soprattutto legata ai
rapporti fra professionisti
tradizionalmente abituati al
lavoro solitario e alla difficoltà nel reperimento delle
strutture che consentano un
reale esercizio della medicina
di gruppo, i vantaggi sono
infatti innegabili, sia in termini organizzativi (maggior
facilità di assunzione di personale e di acquisto e uso di
strumentazione) che professionali (discussione fra i
membri del gruppo, procedure di audit, implementazione
di linee guida).
Insieme alla medicina generale negli ultimi anni si è
profondamente modificata
anche la struttura del sistema
sanitario, che si sta riorganizzando per far fronte ai
cambiamenti demografici, sociali ed epidemiologici della
popolazione. L’Ospedale si sta
sempre più caratterizzando
come polo specialistico dove
Nuove prospettive nel SSN
Sae l ute
Territorio 25
si prestano cure ed assistenza
per patologie acute o per riacutizzazioni di patologie croniche, con tempi di degenza
sempre più limitati ed uso intenso di tecnologia e specializzazione. Questo indirizzo
potrà pienamente realizzarsi
solo se al fianco di questo
“nuovo” Ospedale si svilupperà un insieme di servizi che
garantiscano una reale continuità dell’assistenza.
Già trent’anni fa ad Alma Ata
l’OMS coniò la definizione di
cure primarie a tutt’oggi valida ed attuale: “l’assistenza sanitaria di base è quella assistenza sanitaria essenziale,
fondata su metodi pratici e
tecnologie appropriate, scientificamente valide e socialmente accettabili, resa universalmente accessibile agli
individui, le famiglie e la collettività. È il primo livello attraverso il quale gli individui,
le famiglie e la collettività entrano in contatto con il sistema sanitario nazionale, avvicinando il più possibile l’assistenza sanitaria ai luoghi dove le persone vivono e lavorano, e costituisce il primo elemento di un processo continuo di protezione sanitaria”.
Il sistema delle cure primarie
territoriali deve essere dunque in grado sia di affrontare
i problemi che si presentano
acutamente, gestendo i casi
risolvibili e selezionando
quelli che devono accedere
alle cure specialistiche ed
ospedaliere, sia di assicurare
la presa in carico delle malattie croniche ed invalidanti.
Queste due funzioni sono
profondamente diverse e richiedono organizzazioni e
strumenti diversi e, in qualche modo, opposti:
– i problemi acuti possono
essere affrontati, selezionati e, poi, risolti o inviati
alle strutture di secondo
livello con gli strumenti
della “medicina di attesa”,
che costituisce la modalità
tradizionale di esercizio
della medicina generale: il
professionista riceve presso il suo studio tutti i propri assistiti che ritengono
di avere un problema che
in qualche modo è collegato con la salute. È evidente
che una risposta soddisfacente alle crescenti richieste da parte dei cittadini e
alla sempre maggior complessità della medicina
moderna richiede un notevole un ulteriore sforzo organizzativo, per esempio
mediante:
• l’apertura degli studi
dei MMG per tutte le 12
ore diurne mediante l’esercizio in gruppo della
medicina generale;
• lo stretto collegamento
con i colleghi che coprono gli orari notturni
e festivi;
• la disponibilità di servizi che garantiscano in
tempi adeguati le prestazioni diagnostiche
strumentali, di laboratorio, specialistiche necessarie ad affrontare il
caso;
• una educazione sanitaria che renda il cittadino
più consapevole di
quanto attualmente non
sia, da una parte dei
suoi diritti e dall’altra
della necessità di utilizzazione razionale delle
risorse;
– le malattie croniche costituiscono sicuramente la ve-
l ute
Sa
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26 Territorio
Nuove prospettive nel SSN
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Medicina in associazione (ACN, 2005):
– non vincolo sede unica
– chiusura di uno studio medico non prima delle 19.00
– numero di medici non superiore a 10
– condivisione ed implementazione di linee guida
– momenti di revisione della qualità delle attività e della appropriatezza prescrittiva
Medicina in rete (ACN, 2005):
– non vincolo di sede unica
– gestione scheda sanitaria individuale su supporto informatico mediante software tra loro compatibili
– collegamento reciproco degli studi dei medici con sistemi informatici
– chiusura pomeridiana di uno degli studi non prima delle 19.00
Medicina in associazione complessa (Accordo integrativo regionale toscano 2006):
– sede ambulatoriale comune, con almeno due studi di cui uno utilizzato anche per l’assistenza infermieristica, da ritenersi comunque obbligatoria. Tale sede può essere lo studio di uno degli associati o una sede ulteriore dove garantire la presenza di almeno un medico della forma associativa per un arco di almeno 7 ore
al giorno dal lunedì al venerdi, distribuite equamente nel mattino e nel pomeriggio, con chiusura non anteriore alle ore 19.00. La quota oraria di presenza di ciascun componente l’associazione presso la sede comune sarà determinata dai componenti l’associazione, in base al carico assistenziale di ogni singolo medico
– collegamento reciproco di tutti gli studi dei medici e della sede comune con sistemi informatici
– l’utilizzo, obbligatorio, presso la sede comune da parte dei componenti l’associazione, di personale di segreteria e infermieristico, che potrà essere fornito dai medici dell’associazione, o direttamente dall’Azienda
Medicina di gruppo (ACN, 2005):
– sede unica del gruppo articolata in più studi medici
– presenza nella sede del gruppo di un numero di studi pari ad almeno la metà dei medici componenti il
gruppo stesso
– utilizzo di supporti tecnologici e strumentali comuni
– utilizzo di personale di segreteria o infermieristico comune
– gestione della scheda sanitaria su supporto informatico
– utilizzo di software per la gestione della scheda sanitaria
– numero di medici associati non superiore a 8
Tab. 2. Forme associative
dell’assistenza primaria.
Cooperativa (Accordo integrativo regionale toscano 2006):
– costituite esclusivamente da medici dell’area di assistenza primaria, che svolgono la loro attività nell’ambito territoriale dell’Azienda sanitaria
– utilizzazione di un server di cooperativa in grado di concentrare ed esportare dati dalle cartelle informatizzate dei soci per fini statistico epidemiologici ed assistenziali
– stipula con l’Azienda sanitaria di un contratto sui presupposti ed in coerenza con l’Accordo quadro aziendale. Tale contratto stabilirà standard organizzativi ed assistenziali dei soci della cooperativa medica aggiuntivi rispetto a quelli già individuati sia per i medici singoli che per le altre forme associative. Tale contratto, di finalità assistenziale, potrà essere sostenuto dalla fornitura, da parte della stessa Cooperativa
medica nella sua configurazione di società di servizi, ai MMG componenti della Cooperativa stessa, di sedi
associative, studi professionali, poliambulatori, beni strumentali, servizi informativi, formativi, organizzativi e gestionali, servizi informatici, telematici, di raccolta dati e telemedicina, servizi di verifica e revisione di qualità e ogni altro bene o servizio, ritenuto appropriato a perseguire gli obiettivi assistenziali previsti dalla programmazione nazionale e regionale, individuato nell’ambito degli Accordi regionali/aziendali
ra sfida che i servizi sanitari nel loro insieme e la medicina generale in particolare si troveranno ad affrontare nei prossimi anni.
La modalità organizzativa
ormai considerata indispensabile per affrontare
correttamente questi problemi è la “medicina di ini-
ziativa”: non ci si può limitare ad aspettare che il paziente con una malattia
cronica si rivolga al servizio sanitario, ma si deve
agire attivamente promuovendo controlli periodici e
comportamenti virtuosi al
fine di mantenere il più a
lungo possibile un buono
stato di attività in soggetti
affetti da patologie che
non siamo in grado di guarire, ma possiamo stabilizzare. L’esercizio della “medicina di iniziativa” nello
studio del MMG richiede
una organizzazione che va
a sommarsi più che a sostituirsi a quella “di attesa” e
sarebbe impossibile da realizzare se non fosse prevista una stretta integrazione con le altre figure professionali che garantiscono
l’assistenza primaria: l’infermiere innanzi tutto, ma
anche il medico di sanità
pubblica, l’assistente sociale, il fisioterapista… e, na-
N. 166 - 2008
turalmente, i servizi specialistici di secondo livello.
Una nuova struttura organizzativa delle cure primarie che
incentivi questa integrazione
interdisciplinare e interprofessionale è così necessaria
che, negli ultimi anni, sono
state avanzate e sperimentate numerose proposte. Fra
queste:
– L’équipe di assistenza territoriale: è uno strumento
attuativo della programmazione sanitaria che rende possibile l’erogazione
dei livelli essenziali e appropriati di assistenza e
permette la realizzazione
di specifici progetti assistenziali a livello nazionale, regionale ed aziendale.
Vi fanno parte figure professionali operanti per garantire assistenza primaria, continuità assistenziale, pediatria di libera scelta, assistenza specialistica
ambulatoriale, medicina
dei servizi, prestazioni sociali a rilevanza sanitaria.
L’attività interdisciplinare
e integrata dell’équipe si
realizza mediante la produzione di valutazioni
multidimensionali e selezionando risposte appropriate alle condizioni di
bisogno.
– Le Unità territoriali di assistenza primaria (UTAP):
strutture territoriali ad alta integrazione multidisciplinare ed interprofessionale, in grado di dare risposte complesse al bisogno di salute delle persone. Vi sono un insieme di
attività organizzate in
aree specifiche di intervento profondamente integrate tra loro in cui si rea-
lizza la presa in carico del
cittadino per tutte le attività sociosanitarie che lo
riguardano. Si persegue la
prevenzione primaria,
quella secondaria e terziaria, l’educazione sanitaria
e le corrette pratiche di
autogestione delle malattie croniche. Viene data
una particolare importanza al ruolo del MMG nel governo clinico, quale professionista in grado di leggere i bisogni di salute e di
orientare la domanda di
servizi.
– Le Unità di cure primarie:
rappresentano l’articolazione organizzata del Servizio sanitario regionale
nel territorio e costituiscono i riferimenti organizzativi che in una sede unitaria erogano direttamente
le cure primarie, prevedendo la collaborazione di più
figure professionali (innanzitutto MMG e PLS, ma
anche infermieri, medici
specialisti, assistenti sociali, operatori della prevenzione) e garantendo la
continuità assistenziale
con l’Ospedale e le attività
di prevenzione.
– Con questa idea viene
pensata la Casa della salute, una struttura polivalente e funzionale in grado di erogare materialmente l’insieme delle cure
primarie e di garantire la
continuità assistenziale e
le attività di prevenzione,
nell’ambito delle aree elementari del distretto per
un bacino corrispondente
a circa 5-10.000 abitanti.
La Casa della salute rappresenta il contesto in cui
può operare, superando le
Nuove prospettive nel SSN
Sae l ute
Territorio 27
precedenti divisioni, l’insieme del personale del distretto (tecnico-amministrativo, infermieristico,
della riabilitazione, dell’intervento sociale), i medici di famiglia e gli specialisti ambulatoriali.
Ultimamente la Federazione
italiana dei medici di medicina generale (FIMMG) ha elaborato e presentato una proposta, quella delle Unità di
medicina generale (UMG) che
ha rapidamente ricevuto ampi consensi da parte delle varie organizzazioni sindacali e
scientifiche del settore.
L’Unità di medicina generale
non va considerata come un
modello organizzativo alternativo ai diversi che si stanno
sperimentando nel nostro
paese (Casa della salute, Utap,
UCP…), ma come una unità
operativa elementare e estremamente flessibile, rispetto
alla quale potrà essere strutturato qualsiasi modello organizzativo, identificato in relazione agli orientamenti delle
singole Regioni e ai bisogni
della popolazione assistita.
In questi anni la crescita
enorme della domanda di prestazioni sanitarie, non sempre corrispondente a reali bisogni di salute, ha generato
politiche volte a razionalizzare al massimo le strategie
d’offerta. Tali iniziative sono
insufficienti se non accompagnate da una corretta politica di governo della domanda,
imperniata sull’appropriatezza delle prestazioni erogate.
Il medico di medicina generale non può essere più considerato un semplice governatore della domanda, responsabile di tutte le prestazioni
prescritte ai propri assistiti,
senza peraltro avere la reale
possibilità di governarle. Bisogna restituire a tutto il sistema il concetto di responsabilità professionale personale: come ogni professionista del servizio sanitario il
medico di medicina generale
deve essere considerato responsabile solo di quello che
fa direttamente, diventando
però parte integrante di un
modello di “presa in carico”
all’interno del sistema delle
cure primarie.
L’attivazione delle Unità di
medicina generale può essere
considerata quindi il punto di
partenza di un percorso di
valorizzazione del ruolo della
medicina generale nell’ambito delle cure primarie e nel
sistema di erogazione dei servizi sanitari. Tale percorso è
caratterizzato da alcuni elementi fondamentali fra cui:
– l’attenzione al potenziamento dell’assistenza domiciliare, che va di pari
passo con un recupero significativo del valore della
prevenzione, soprattutto
nei confronti delle patologie evitabili, o delle complicanze di patologie già
in essere;
– la valorizzazione di nuovi
profili professionali, in particolare di quello infermieristico, e la considerazione
della integrazione professionale come elemento imprescindibile per l’esistenza ed il buon funzionamento di un sistema di cure
primarie, soprattutto in un
ottica di presa in carico efficace delle cronicità;
– la necessità di riorientare
le professionalità mediche
e sanitarie, sociali e assistenziali, ad una capacità
l ute
Sa
e
28 Territorio
Nuove prospettive nel SSN
di lettura ed interpretazione precoce dei bisogni di
salute e di assistenza;
– la constatazione che un
buon sistema di cure primarie produce un elevato
grado di appropriatezza
prescrittiva, un minor ricorso improprio alla specialistica e ai ricoveri
ospedalieri, e un gradimento più elevato da parte
dei cittadini.
Dal punto di vista organizzativo l’UMG può essere brevemente sintetizzata da queste
caratteristiche emergenti:
– le UMG sono costituite indicativamente da 20-25 MMG
(15-20 con l’attuale rapporto di lavoro e 4-6 a totale o
parziale rapporto orario)
che assistono una popolazione di 20-25.000 cittadini. A seconda del contesto
orogeografico e della programmazione locale, i componenti della UMG possono
concentrare la loro attività
in un’unica sede fisica, oppure essere distribuiti in
studi singoli, o di gruppo,
sparsi sul territorio;
– le UMG assicurano un’assistenza di 10/12 ore ambulatoriali e 24H domiciliari;
– tutte le UMG devono possedere un proprio sistema
informativo con collegamento in rete, ove possibile collegato al sistema
aziendale e/o regionale;
– devono inoltre potersi avvalere di personale sanitario e non;
– sono coordinate da un
MMG, che svolga anche
funzioni di interfaccia tra
l’UMG e la struttura aziendale di riferimento (Dipartimento di cure primarie,
distretto).
L’UMG può rappresentare
un’opportunità per sollevare
il MMG da funzioni improprie,
affidandole ad altri soggetti
che operano in stretto collegamento col medico nella rete, e valorizzare le funzioni
tendenti ad accrescere il valore dell’atto professionale
rafforzando l’aspetto assistenziale e relazionale attraverso il rapporto fiduciario
con il paziente.
All’interno dell’UMG l’attività
del MMG si svolge secondo
due modalità:
– attività di tipo fiduciario
(retribuita con quota capitaria). Si tratta di attività
professionali connesse con
una scelta elettiva del cittadino, sulla base di un
rapporto di fiducia nei
confronti di quel determinato professionista. Il
MMG acquisisce assistiti in
carico secondo modalità
corrispondenti all’attuale
assistenza primaria basata
sul rapporto di fiducia rispettando un meccanismo
flessibile di compensazione scelte/ore;
– attività di tipo non fiduciario (retribuita con quota oraria o per obiettivo).
Sono attività non direttamente connesse con una
N. 166 - 2008
scelta elettiva da parte di
un cittadino ma necessarie
a supportare efficacemente le attività di assistenza
fiduciaria. Fermo restando
il monte orario di 36 (38 o
40 ore settimanali), l’attività oraria è organizzata
all’interno dell’Unità dovendo essere articolata fra:
1. Attività di continuità
assistenziale notturna,
diurna, feriale e festiva, domiciliare e ambulatoriale.
2. Attività di assistenza
domiciliare programmata, integrata e residenziale, attività assistenziali programmate quali
progetti prevenzione,
ambulatori dedicati a
malattie croniche, prelievi o prestazioni di
particolare impegno
professionale (ecg, eco,
TAO, ecc).
3. Attività relative alla gestione del sistema
informativo (analisi
epidemiologiche, ecc.).
4. Attività di formazione,
docenza e audit (dentro
e fuori l’UMG).
5. Attività organizzative e
gestionali dentro l’ UMG
e fuori dall’ UMG (attività dirigenziale).
6. Tutoraggio ed attività
seminariale universitaria e di formazione specifica, attività valutativa per l’esame di stato.
7. Attività di ricerca.
Questa proposta organizzativa
delle UMG, tuttora in fase di
discussione e precisazione,
vorrebbe affrontare e risolvere
i problemi e le contraddizioni
che le necessità sanitarie
emergenti pongono al sistema
delle cure primarie e alla medicina generale in particolare.
Si vorrebbe infatti conciliare
la conservazione del rapporto
di fiducia individuale fra il
cittadino ed il suo MMG con
una moderna ed integrata forma associativa che garantisca
una assistenza 24 ore su 24 e
365 giorni all’anno; con la
partecipazione del MMG ad attività organizzative, tutoriali,
didattiche, di ricerca, che attualmente risultano molto limitate perché si aggiungono
ad un lavoro quotidiano già
molto pesante; con una organizzazione che garantisca una
efficace presa in carico delle
patologie croniche.
Si spera inoltre che l’UMG riesca ad affrontare quello che si
annuncia come il principale
problema della medicina generale italiana dei prossimi
anni: la mancanza di medici
ed il rinnovamento generazionale. Si calcola che fra 10
anni mancheranno circa
10000 MMG in Italia ed è
quindi auspicabile che le UMG
riescano ad inserire rapidamente ed efficacemente tutti
i giovani medici che si sono
formati nel Corso di formazione specifica in medicina generale e che attualmente non
riescono a trovare una collocazione lavorativa stabile.
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
Luigi Tonelli
Direttore sanitario
Presidio ospedaliero
di Campostaggia, Azienda
USL 7, Siena
L
e origini di Internet risalgono agli anni ‘60
quando, in piena guerra
fredda, il Ministero della difesa americano incarica la Advanced Research Projects
Agency (ARPA) di studiare un
sistema di rete in grado di
preservare il collegamento
via computer tra le varie basi
militari in caso di guerra nucleare. Nasce, così, una rete
decentralizzata, denominata
ARPANET, in grado di assicurare la continuità delle comunicazioni senza un nodo centrale la cui distruzione, in caso di attacco, avrebbe compromesso il funzionamento
dell’intera rete. Inizialmente
si connettono in rete solo basi militari, poi intervengono
le Università aderenti ad ARPA, poi i siti istituzionali, e
poi nel 1983, con l’esaurirsi
della guerra fredda e la crescente necessità di rapidi
scambi informativi per la ricerca, la rete militare si separa con il nome di Milnet da
quella universitaria, che
prende il nome di Internet.
Nei primi anni ‘90 dal CERN di
Ginevra nasce la proposta di
un sistema che consenta la
pubblicazione e la gestione di
1
2
3
Sae l ute
Territorio 29
Le risorse del web
ipertesti sulla rete denominato world wide web (WWW), la
ragnatela intorno al mondo,
che ha lo scopo di condividere la documentazione scientifica in formato elettronico
indipendentemente dalla
piattaforma informatica, migliorando in tal modo la cooperarazione tra ricercatori.
Dal 1993 il WWW è a disposizione del pubblico senza diritti d’autore ed è divenuto la
modalità più diffusa per condividere dati e informazioni.
Secondo stime della fine del
2007 le pagine oggi disponibili in rete sarebbero oltre
900 miliardi, di cui 20 miliardi (il surface web) sono censite dai motori di ricerca mentre la parte nascosta (il deep
web) risulta ancora difficilmente rilevabile.
I motori di ricerca sono strumenti che analizzano continuamente le pagine web, le
catalogano e restituiscono a
chi effettua l’interrogazione
quelle relative all’argomento
richiesto con un indice dei
contenuti. “Live”, “Yahoo!”,
“Ask” e “Google” sono i motori
più usati internazionalmente,
ma Google da solo vale oltre il
75% di tutte le ricerche fatte
http://www.google.com/coop/cse/
http://www.bmj.com/cgi/content/full/335/7633/1273
http://www.pewinternet.org/PPF/r/156/report_display.asp
Condivisione di dati, aggiornamento, EBM.
Istruzioni per l’uso
nel mondo e anche i motori di
ricerca italiani di più comune
utilizzo, “Libero” e “Vigilio”,
fanno riferimento a Google.
Esistono meta-motori di ricerca, come “Clusty”, “Dogpile” e
“Surfwax”, che esplorano il
web attraverso più motori di
ricerca primari restituendo il
risultato complessivo. Il loro
uso viene sconsigliato dagli
esperti per l’insufficiente
completezza dei risultati rispetto a quanto ottenibile
esplorando il web con i singoli
motori primari. Per esigenze
specifiche è anche possibile
sviluppare attraverso Google
un motore di ricerca personale 1 che esplora fino a
5000 siti web indicizzati.
I motori di ricerca soltanto
cercano nelle pagine web l’occorrenza congiunta delle parole, senza riferimento al significato. Sono, ad esempio,
identiche due frasi concettualmente diversissime come
“Giuseppe ama sua madre” e
“sua madre ama Giuseppe”.
Ne consegue che il numero di
pagine restituite è esuberante rispetto alle necessità e
con innumerevoli inappropriatezze, e questo rallenta il
raggiungimento dell’informazione desiderata. È per questo allo studio un web semantico2 (o web 3.0) in cui le pagine sono associate ad informazioni che ne specificano il
significato rendendo le risposte più attinenti alla logica di
chi effettua l’interrogazione.
La ricerca web ha profondamente trasformato le modalità di accesso alle informazioni, e questo è particolarmente vero per quanto riguarda il settore sanitario. Un’indagine USA nel 20053 ha rilevato che l’80% degli adulti
che consulta il web (più le
donne che gli uomini, più i
50-65enni) cerca anche informazioni sanitarie con particolare riferimento a malattie e
trattamenti specifici, diete,
comportamenti, assicurazioni, farmaci, sperimentazioni,
medici e ospedali. Per i professionisti della sanità pres-
l ute
Sa
e
30 Territorio
soché tutte le riviste di aggiornamento medico sono accessibili on-line, ma per lo più
è gratuito solo l’abstract mentre per il full text occorre la
sottoscrizione dell’abbonamento Quelle free on line sono
ancora poche (recensite da
High Wire Press4) ma la necessità di rendere di libero accesso il materiale scientifico è
tanto avvertita che dall’aprile
2008 le Università di Harvard
e dell’Oregon metteranno sul
web tutte i propri studi prima
della pubblicazione.
Dato il numero enorme e ogni
giorno crescente di informazioni presenti sul web, in
questi ultimi anni sta avendo
rapida diffusione il formato
RSS (Really Simple Syndication). RSS consente di avere
in tempo reale tutte le notizie sugli argomenti di personale interesse attraverso un
unico “aggregatore”, evitando dunque di dover visitare,
uno per uno, i siti da cui provengono le notizie stesse, come i normali quotidiani o le
riviste specializzate (tutte le
più importanti riviste mediche producono oggi informazioni in questo formato). Per
questo è sufficiente una connessione a Internet e un lettore come SharpReader 5 o
FeedReader6, gratuiti e semplici da installare.
Google
Google è stata fondata nel
1998 da Larry Page e Sergey
4
5
6
7
8
9
10
Nuove prospettive nel SSN
Brin, due studenti 25enni
della Stanford University. La
specificità che caratterizza
Google è il PageRank, un metodo per determinare “l’importanza” di una pagina web
che conta non solo le ricorrenze dei termini cercati ma
anche i link che provengono
da altri siti, la qualità generica dei contenuti, l’importanza dei siti da cui provengono i
link ed altre caratteristiche
che gli inventori non hanno
rivelato. Oggi Google lavora
in Internet con una propria
rete composta da oltre
100.000 PC, una potenza di
calcolo che nessun’altra
azienda al mondo possiede. Il
pacchetto azionario della società vale oltre 100 miliardi
di dollari (più di Ford e General Motors messe assieme) e il
patrimonio personale dei fondatori, proveniente in larga
parte dagli introiti di una
pubblicità che viene presentata in modo da non inquinare le pagine web e non infastidire gli utilizzatori, supera
i 10 miliardi di dollari a testa.
Google offre senza costi gli
strumenti software. Già da
tempo è possibile scaricare
gratuitamente i programmi di
uso ordinario 7 , alcuni dei
quali (browser, elaboratore
testi, foglio di calcolo, lettore
musicale, comunicazione telefonica, raccoglitori di immagini, sistemi di sicurezza
informatica, il celebre Google
Earth) raccolti nel pacchetto
http://highwire.stanford.edu/lists/freeart.dtl
http://www.sharpreader.net/
http://www.feedreader.com/
http://www.google.com/intl/en/options/
http://pack.google.com/intl/it/pack_installer.html
docs.google.com/
http://it.openoffice.org/
N. 166 - 2008
Box 1
Da: New England Journal of Medicine
353:2089-2090, 2005.
In una conferenza clinica, alla presenza di un eminente Professore, una specializzanda in Immunologia ha presentato il
caso di un bambino affetto da diarrea, eruzione cutanea tipo
“pelle da alligatore”, anomalie immunitarie tra cui bassa attività dei linfociti T, eosinofilia della mucosa gastrica, e l’apparenza di un quadro genetico da mutazione del cromosoma X
(nella famiglia molti maschi erano deceduti nella prima infanzia). Il caso era già oggetto di discussione da parte dello
staff medico, senza però arrivare ad una diagnosi ben definita. Venne chiesto alla specializzanda se lei stessa avesse formulato una diagnosi e lei rispose di sì, che aveva identificato
una rara sindrome nota come IPEX (Immunodeficienza, Poliendocrinopatia, Enteropatia, legata al cromosoma X). La
diagnosi apparve subito corretta (e infatti alcune settimane
dopo i test genetici ne diedero conferma rivelando una mutazione del gene FOXP3). Fu chiesto alla giovane dottoressa come avesse fatto e lei rispose: “mah, avevo in mano il referto
della biopsia cutanea ed i risultati dei test immunologici. Io li
ho messi su Google e la diagnosi è saltata fuori”.
Google Pack8. Ora viene offerto anche lo spazio elettronico
dove eseguirli 9 , usufruibile
con qualunque PC in qualunque parte del mondo l’utente
si trovi, e condivisibile da chi
viene indicato dall’utente
stesso. La vocazione dei fondatori di Google per i programmi informatici open
source, ovvero disponibili
gratuitamente, è dimostrato
anche dalla collaborazione in
corso con Sun Microsystem
per la diffusione di Open Office10, suite per ufficio gratuita
(scrittura, foglio di calcolo,
immagini, database e foglio
matematico), reale concor-
rente del costoso ($399) Office della Microsoft.
Per illustrare quale sia l’utilità di Google nell’informazione sanitaria basta considerare la breve storia clinica
riportata nel Box 1, in cui
una difficile diagnosi viene
effettuata semplicemente interrogando Google con le parole chiave che identificano
il caso clinico.
L’episodio è del tutto verosimile (e probabilmente anche
vero) anche se ovviamente
non sta ad indicare che la professione medica possa essere
in breve tempo sostituita da
uno strumento tecnologico.
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
Per avere ben chiaro quali siano le giuste parole chiave bisogna disporre di buone conoscenze cliniche, e difficilmente si potrebbe ottenere lo
stesso clamoroso risultato inserendo i sintomi che comunemente caratterizzano le malattie (“epigastralgia” o “febbre”, per esempio). Google,
come tutti i motori di ricerca,
si limita a cercare solo le rispondenze verbali, e non è
nelle sue capacità discriminare fra informazioni attendibili
e informazioni false o errate.
Che invece, avvalendosi delle
proprie competenze, i medici
possano con Google correggere, rafforzare o migliorare le
decisioni è non solo verosimile
ma anche verificato11.
Google presenta le pagine web
in ordine di frequentazione e
gradimento degli utenti (di
solito i siti utili si trovano
nelle prime 2 o 3 pagine delle
migliaia che Google indicizza), ma di certo non garantisce in merito alla loro qualità. Per questo tipo di valutazione sono state prodotte
da Università e Centri di ricerca molte checklist, in larga
parte rintracciabili in rete,
che più o meno prendono in
considerazione gli aspetti indicati nel Box 2.
Nel valutare un sito web è opportuno anche prendere in
considerazione il “dominio”,
ovvero il nome alfabetico che
chiude l’indirizzo e serve a
identificare il server Internet
cui il sito appartiene. In particolare è importante il dominio di primo livello che è in11
12
13
14
Box 2
Caratteristiche di una pagina web di buona qualità
Attendibilità:le informazioni provengono da una fonte attendibile (Università, Istituzione, Istituto di ricerca ecc.).
Accuratezza: le informazioni appaiono accurate e libere da
errori evidenti.
Aggiornamento: le informazioni sono recenti e aggiornate.
Bilanciamento: le informazioni sono equilibrate e apparentemente libere da “bias” di ricerca.
Chiarezza: le informazioni sono presentate in modo chiaro,
di agevole lettura e di facile comprensione.
Rapidità: la homepage si carica rapidamente, non è troppo
lunga e non ha grafica troppo pesante.
Aspetto generale: la homepage è piacevole e invita all’esplorazione.
Navigazione: è facile navigare da link a link. I link sono appropriati.
Uso della grafica: la grafica (come gli altri ausili, es.video o
sonoro) integra bene il testo scritto.
Authorship: la responsabilità del sito web è chiaramente indicata.
dicato dalle lettere che seguono l’ultimo punto, come
ad esempio “.edu”, che indica
l’appartenenza del sito web
ad un’Università americana. È
evidente che maggiore è l’autorevolezza delle fonte e più
alta è l’affidabilità della pagina web. Nel Box 3 è riportato
un elenco dei domini dei siti
web più autorevoli.
Al motore generalista originario Google ha aggiunto anche due motori di ricerca dedicati a chi si rivolge al web
per ragioni strettamente
scientifiche e di ricerca:
1. Google Scholar 12 indicizza
pubblicazioni scientifiche
peer reviewed ed è molto
rapido nell’individuare
quelle più citate, e molto
adatto a rintracciare anche
quelle di più difficile reperimento. Un motore di ricerca per articoli scientifici molto simile a Google
Scholar e di pari efficacia è
Sae l ute
Territorio 31
Scirus13, della Elsevier, anch’esso gratuito;
2. Google Ricerca Libri 14 visualizza i libri digitalizzati
delle biblioteche che hanno aderito al progetto (tra
le quali Harvard, Stanford
e Oxford) con un catalogo
a schede in cui vengono
fornite anche le informazioni di base sul libro e le
pagine contenenti le parole di ricerca. Quando questi libri sono di pubblico
dominio viene visualizzato
il testo completo, dall’inizio alla fine.
Medline (SUMSearch)
Medline è il database bibliografico medico della National
Library of Medicine (NLM).
Contiene più di 17 milioni di
riferimenti bibliografici e abstract (ove presenti) da
5.000 riviste biomediche
pubblicate a partire dai primi
anni ’50 negli Stati Uniti e in
altri 70 Paesi. Gli articoli sono indicizzati in oltre 22.000
specifici descrittori, i Medical Subject Headings (MeSH)
organizzati gerarchicamente
Box 3
Alcuni siti di primo livello
.edu
.ac.uk
.com
.co.uk
.org
.gov
.doh
.nhs.uk
.mil
http://www.bmj.com/cgi/content/abstract/bmj.39003.640567.AEv1?hrss=1
http://scholar.google.it/
http://www.scirus.com/
http://books.google.it/
Università USA
Università United Kingdom
sito commerciale USA
sito commerciale United Kingdom
Istituzione privata non profit
siti governativi USA
Department of Health, USA
National Health System inglese
sito militare USA
l ute
Sa
e
32 Territorio
(analogamente alle directories di Windows) per ricomprendere le possibili parole
chiave per la ricerca. L’accesso via Internet alla banca dati è libero e gratuito, e per
questo è stato reso disponibile a tutta l’utenza il motore di ricerca PubMed 15 . La
stringa di ricerca PubMed
prevede le parole chiave contenute nei MeSH ed il loro
collegamento con i classici
“operatori booleani” AND,
OR e NOT.
La ricerca del materiale bibliografico con PubMed è nella realtà abbastanza complessa e non tiene conto di altre
possibili fonti che in tempi
più recenti sono divenute accessibili. L’Health Science Center dell’Università del Texas
ha messo a punto e reso disponibile gratuitamente a
tutta l’utenza web il motore
di ricerca SUMSearch16. Dalla
homepage (v. Box 4) non solo
si effettua una ricerca guidata di Medline, ma anche, per
le parole chiave richieste,
vengono esplorate altre banche di informazioni importanti per la medicina. In particolare, oltre a Medline, vengono interrogati contemporaneamente l’enciclopedia online Wikipedia 17 , la grande
banca dati di linee guida
americana National Guideline
Clearinghouse 18, il Database
of Abstracts of Reviews of Effects (DARE)19 realizzato dall’Università di York, che con-
15
16
17
18
19
20
21
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
Box 4
Home page di SUMSearch
tiene gli abstract della Cochrane Library, la più autorevole raccolta della migliore evidenza scientifica prodotta da
revisioni sistematiche e metanalisi di trial clinici in tutti
i settori della medicina. Tra le
funzioni di SumSearch c’è un
“calcolatore” EBP (Evidencebased Practice) indipensabile
per valutare le pubblicazioni
secondo le regole dell’Evidence-based Medicine. Un’altra
particolarità di SumSearch è
che nel tempo in cui effettua
la ricerca richiesta dall’utente, viene resa disponibile la
consultazione dell’indice (insieme agli abstract, ove disponibili) dell’ultimo numero
delle più importanti riviste
mediche.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/PubMed/
http://sumsearch.uthscsa.edu/
http://en.wikipedia.org/wiki/Main_Page
http://www.guideline.gov/
http://www.york.ac.uk/inst/crd/projects/dare.htm
http://clinicalevidence.bmj.com/ceweb/index.jsp
http://aifa.clinev.it/
Clinical Evidence (e Clinical
Knowledge Summary)
I risultati della ricerca biologica e medica devono essere
trasferiti nella pratica assistenziale. Il database Clinical
Evidence 20, edito dal British
Medical Journal tanto in formato cartaceo quanto online, assolve a questo compito ed è per questo divenuto
un supporto fondamentale
per le decisioni mediche. È
strutturato sulle situazioni
cliniche di comune riscontro
e in riferimento a queste viene ricercata e condensata la
migliore e più recente evidenza scientifica, sia positiva che negativa. Ovvero, dopo analisi critica della letteratura esistente, viene esposto per ciascuna delle situa-
zioni cliniche prese in considerazione quali interventi
sono utili, quali inutili o addirittura dannosi e quali sono di efficacia ancora incerta. L’accesso è gratuito solo
per i medici del National
Health System e per quelli dei
Paesi in via di sviluppo, è invece a pagamento per tutti
gli altri. È disponibile anche
in italiano nella versione curata dall’Agenzia italiana per
il farmaco (AIFA)21, accessibile gratuitamente a tutti gli
iscritti agli Ordini dei medici.
Per i tempi di traduzione la
versione italiana viene pubblicata con circa due anni di
ritardo rispetto alla data di
pubblicazione della versione
in inglese.
Clinical Knowledge Sum-
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
mary 22 (in precedenza Prodigy), edito e curato dal National Health System britannico, è analogo a Clinical Evidence nella finalità di portare
all’attenzione dei medici
quanto è di provata efficacia
ed è affine nella strutturazione interna, ma è limitato alle
patologie ed alle procedure di
più frequente riscontro nella
medicina di base. Di accesso
gratuito previa iscrizione,
contiene anche pagine di
informazione dedicate ai pazienti in merito alle stesse situazioni cliniche prese in
considerazione nelle pagine
indirizzate ai professionisti. I
capitoli clinici sono tenuti
costantemente aggiornati
sulla base della più recente
evidenza desumibile dalla
letteratura e inoltre si può
accedere agli abstract della
Cochrane Library.
22
Sae l ute
Territorio 33
Cosa è necessario
Una strumentazione informatica idonea a navigare in Internet ha standard minimo di 900 MHz,
512 MB di RAM espandibili, hard disk da 4 GB, connettività wireless 802.11b/g ed Ethenet 10/100,
porte USB, webcam, microfono e lettore di schede. Attualmente il prezzo di mercato per questa
configurazione si colloca tra i di 300 e i 400 Euro (http://www.ultra-mobile.it/), ma esistono
strumenti sufficientemente efficaci anche a 75 Euro (http://olpc.com/). Configurazioni più potenti possono raggiungere e superare ampiamente il costo di 4000 Euro. Tenendo conto che per disporre appieno della modalità wireless è necessario acquistare un portatile, la scelta può cadere
tranquillamente su uno qualunque dei modelli più economici. Solo se esistono esigenze realmente
specifiche si può valutare con il venditore cosa realmente occorre acquistare in più. Questo senza
essere diffidenti verso chi vende, perché il mercato rende soprattutto con i prodotti di fascia medio-bassa e gli uomini del marketing preferiscono indirizzare verso la sostituzione del prodotto
ogni due-tre anni piuttosto che indirizzare verso i prodotti di alto costo. Per la legge di Moore, infatti, le prestazioni dei processori ogni 18 mesi raddoppiano, il che significa che dopo 2 o 3 anni
qualsiasi strumento informatico diviene obsoleto.
Per quanto riguarda i browser, quelli più comuni sono, nell’ordine, Internet Explorer, Mozilla Firefox, Opera e Apple Safari, tutti più o meno equivalenti. Certamente Explorer è tra questi il più
sensibile agli attacchi dei virus informatici.
Giorgio Mattei
Studente di Ingegneria biomedica
Università di Pisa
http://cks.library.nhs.uk/clinical_knowledge/clinical_topics
(segue da pag. 23):
Morire di lavoro
Il contesto odierno non sembra offrire spazi di successo
ad una lotta frontale, almeno
nel campo della prevenzione,
sia a causa di alcuni formidabili elementi di debolezza legati alla frammentazione ed
alle condizioni di precarietà
in cui si trovano molti lavoratori, sia per le opportunità
e le valide alternative di lotta che il contesto sociale,
tecnico e normativo sembrano offrire. A questi moderni
strumenti di rivendicazione
e gestione della propria sicurezza si oppongono però elementi legati all’andamento
del mercato del lavoro, alla
globalizzazione ed al passaggio di manodopera che agiscono togliendo peso e visibilità ai produttori di merci a
favore dei consumatori di
quelle stesse merci, e creano
un rapporto indiretto di
sfruttamento del consumato-
re sul produttore.
La complessità e molteplicità
degli elementi che incidono
sul lavoro e sulla sua sicurezza devono far capire come la
lotta agli infortuni non possa
essere diretta, ma debba rivolgersi più in generale alle
“cattive condizioni di lavoro”, con un intervento che affronti la complessità degli effetti negativi del lavoro ed,
in primo luogo, l’usura del lavoro, lo sfruttamento del lavoro svantaggiato, gli aspetti
psicosociali. Un approccio
che consideri complessivamente tutti questi fattori,
con interventi fondamentalmente di tipo politico ed economico, potrebbe realmente
avere una ricaduta positiva
anche sugli infortuni sul lavoro. Un buon indicatore di
tale tendenza è nelle conoscenze che il singolo lavoratore deve possedere per autotutelarsi e nel “potere” che
egli ha di far valere queste
sue conoscenze.
l ute
Sa
e
34 Territorio
Paolo Sarti
Pediatra
N
on mi risulta che esistano altri Paesi al
mondo che offrano alla
cittadinanza un servizio pubblico come quello che in Italia svolgono i pediatri di famiglia: tutti i giorni lavorativi dalle 8 di mattina alle 8 di
sera ogni bambino (ed ogni
genitore quindi) ha a disposizione (telefonicamente, in
ambulatorio o al proprio domicilio, a seconda delle esigenze) fin dalla nascita e per
tutti i primi quattordici anni
di vita (16, in casi particolari) un medico specialista in
pediatria per visite, urgenti e
non, terapie, consulenze,
consigli alimentari e di vita e
quant’altro può servire per
seguire al meglio sotto tutela
medica la crescita di questo
bambino. Ma non basta: negli
orari in cui il pediatra si riposa e vive in famiglia (compresi i giorni festivi) è comunque possibile per i genitori
avere a disposizione specialisti pediatri tramite il servizio
conosciuto come “guardia
medica” e il Pronto Soccorso,
24 ore su 24.
Da alcune indagini recentemente condotte in Toscana
che hanno preso in analisi il
livello di soddisfazione dei
genitori per questo servizio è
emerso chiaramente che i cittadini promuovono l’attività
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
Pediatria e cultura
della salute
della pediatria di famiglia, dichiarandosi nel 90% soddisfatti del servizio offerto e
manifestando un evidente
gradimento per le modalità
con cui è svolto. Lo credo bene, potremmo dire …. ma anche se tutto questo può sembrare un lusso, non lo è affatto. Si tratta piuttosto di un
saggio e redditizio investimento in termini di salute del
cittadino: vi sono ricadute
positive sulla salute dei futuri adulti inimmaginabili. In
altri termini una pediatria
così attenta e capillarmente
distribuita è uno strumento
insostituibile per garantirci
futuri adulti più sani. E bene
fu pensato quando agli inizi
del complesso processo di
riforma sanitaria fu deciso di
separare il percorso della pediatria di famiglia da quello
della medicina generale: l’assistenza pediatrica è diversa
da quella dell’adulto non solo
per la diversa tipologia degli
assistiti e delle loro patologie, e per la diversa distribuzione dei pediatri nel territorio, ma soprattutto per il
maggior peso dell’attività di
prevenzione.
Comunque “contro”
Eppure c’è sempre chi protesta e si lamenta. E non parlo
dei politici “all’opposizione”
Governare l’ansia, fra appropriatezza
delle prestazioni e soddisfazione del paziente
che comunque devono dimostrare che senza di loro le cose non possono funzionare.
Anche la popolazione trova
da ridire: un po’ perché come
italiani “viziati” ci piace farlo
per principio e un po’ perché
la stampa e i mass media in
genere (speso manipolati da
committenti politici) come
sport preferito pare abbiano
quello di parlare di “malasanità” sempre e comunque, anche quando la sanità ha fatto
tutto quello che doveva e poteva ed ha fallito solo perché
non è ancora abilitata ai miracoli! E il più delle volte, una
volta conosciuti meglio i fatti
delle notizie riportate, dovremmo piuttosto parlare di
“mala informazione”, scandalistica e ignorante, piuttosto
che di mala sanità.
Un esempio recente per tutti:
“Ricoverato per una faringite
bimbo muore in Calabria” (articolo pubblicato il 26 gennaio 2008 sul Corriere della
Sera e ripreso con ridondanza
dai quotidiani e dalle TV locali). L’articolo comincia chiedendosi se non sia questo un
nuovo caso di malasanità...
ma come si può scrivere una
cosa simile: nessuno muore di
faringite, neanche se incrocia
il peggiore medico del mondo! Il realtà il bambino è
morto per un rabdomioma al
cuore (rarissimo tumore del
sistema di conduzione del
cuore che ha come primo sintomo la morte). Naturalmente nessun giornalista si è degnato di scrivere due righe di
scuse: ”Ci siamo sbagliati,
non di malasanità si è trattato, ma di tremenda fatalità;
d’ora in poi cercheremo di documentarci seriamente prima
di dare così le notizie”.
Neppure i politici e gli amministratori sembrano rendersi
seriamente conto dell’importanza e del valore di questo
Servizio nazionale pediatrico
e di quanto tutto questo
complesso e ramificato sistema assistenziale faccia anche
da contenitore a milioni di
ansie (e numericamente non
è un modo di dire) che ogni
giorno si scatenano nei genitori in tutto il Paese, le più
svariate e spesso anche le più
ingiustificate, che se non fossero tenute sotto controllo
attento proprio dai pediatri
di famiglia (che filtrano, visi-
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
tano, curano, smistano, inviano agli Ospedali, rimandano a casa tranquillizzati)
metterebbero in crisi totale
tutto il resto del sistema. E
un accenno a questo lo abbiamo proprio nei giorni di festa, quando tocca agli Ospedali contenere e vagliare tutta quest’ansia: il Pronto Soccorso spesso scoppia! Code
infinite, triage che tengono
ore ed ore i bambini ad aspettare, genitori che si inalberano e minacciano denuncie di
qua e di là. E gli studi ci dicono che la gran parte della domanda di Pronto Soccorso era
inutile, impropria e certamente non urgente.
Governare l’ansia
Naturalmente tutto si può
migliorare (compreso rimuovere e sanzionare le “mele
marce” che sicuramente anche nella categoria dei pediatri esistono, come in qualunque altra categoria di lavoratori) e ben vengano ulteriori
sforzi per eliminare le inefficienze, colmare le lacune e
soprattutto rendere più omogeneo il servizio sul piano
nazionale.
Credo però che il punto determinante, fondamentale e
da cui si debba ripartire per
qualificare ulteriormente la
rete di assistenza pediatrica e
più in generale il servizio sanitario (e sfuggire da una
sorta di deriva populista che
oggi ci affligge su più versanti) sia quello di riuscire a governare l’ansia; un’ansia esagerata, esasperata, incontenibile che oggi affligge i genitori facendo lievitare la domanda di intervento medico,
il consumo di farmaci e in definitiva anche il vissuto nega-
tivo, di insoddisfazione, che
tanti cittadini sviluppano nei
confronti di quello che invece
è stato descritto (con giudizio neutrale, internazionale)
come uno dei migliori servizi
sanitari pubblici al mondo.
Fino a qualche anno fa nelle
programmazioni sanitarie regionali si parlava soprattutto
di appropriatezza delle prestazioni e di concertazione,
tanto da arrivare in alcune
Regioni ad istituzionalizzare
la partecipazione dei medici
del territorio al Governo clinico del sistema sanitario regionale. Scelta coraggiosa,
che trovava i capisaldi teorici
nei principi che, ormai tanti
anni fa, erano stati ispiratori
della riforma sanitaria; un
nuovo modo lanciato allora di
impostare i servizi, alla luce
della correttezza, della competenza ma anche dell’appropriatezza, consci di quanto la
gran parte della domanda
“prima” dell’utenza possa essere distorta, manipolata o
comunque mal orientata e di
come quindi occorra sempre
interpretarla per arrivare a
dar risposta ai veri bisogni.
Rispondere acriticamente a
bisogni presunti, impropri,
non solo lascia inesausta la
vera motivazione che ha condotto il paziente al servizio
sanitario, ma poi fa lievitare
ulteriormente la domanda di
“salute” con conseguente
consumo incontrollato di atti
diagnostici e terapeutici. È
ovvio che imboccare la strada
dell’appropriatezza porta a
scelte difficili, qualche volta
poco comprensibili e poco accettate dalla popolazione,
dunque impopolari, ma consente scelte che danno non
solo il risultato clinico nel-
l’immediato ma anche un più
corretto inquadramento e futuro dimensionamento del bisogno, anche sul piano economico. Una sorta di processo “educativo” che si accompagna all’atto terapeutico,
che rende il paziente più conscio dei suoi problemi e della
lettura che ne dà, contribuendo a spostare la domanda (e quindi la risposta) sui
bisogni reali e non su quelli
indotti o presunti, oltre che
naturalmente a ridurla, contenendo così i costi.
La deriva populista
Tutto questo è andato avanti
per diversi anni, contribuendo non poco a qualificare il
nostro servizio sanitario,
compresa tutta la rete di intervento pediatrico. Poi la
“gara fra Regioni”, la corsa a
dimostrare quale “soddisfaceva di più il cittadino”. Ma una
gara basata non su prove
scientifiche di efficacia e sulla verifica delle ricadute sul
piano della salute (che richiede molti anni, andando
quindi oltre il tempo di un
incarico di Assessorato), e
neppure sull’appropriatezza
diagnostica, ma sulla generica “soddisfazione” del paziente oltre che su di una gestione volta a ridurre genericamente le spese (e quando si
tagliano le spese bisognerebbe avere il coraggio e l’onestà
di dichiarare, oltre all’entità
del risparmio, anche l’entità
di cosa si è perso in termini
di servizi).
Oggi ormai si ragiona solo in
termini di “soddisfazione”, e
non nell’ottica del risultato
ma solo e semplicemente dell’offerta. Basti pensare alle
soluzioni trovate per i “codici
Sae l ute
Territorio 35
bianchi” ai Pronto Soccorso:
aprire ambulatori codici bianchi (cioè rivolti all’acuto banale) è una spesa inutile, un
raddoppio di prestazioni e soprattutto un sollecitare ulteriore domanda inappropriata.
Di fronte a una classificazione “bianca” (cioè un disturbo
non urgente, che può essere
rimandato con calma al servizio pediatrico di famiglia) il
sistema dovrebbe rendersi capace di dirottare la domanda
nei canali appropriati. Non si
tratta di “espellere” il paziente, ma di informarlo sulla vera entità del suo disturbo ed
educarlo a saperlo affrontare
nei tempi e nei luoghi della
non urgenza, senza panico
nè, come spesso accade, con
arrogante pretesa di prestazione comunque.
Ma quando l’obbiettivo non è
più l’appropriatezza delle
prestazioni, ma la soddisfazione (di facciata) del paziente la logica conseguenza è
che non serve investire i soldi
per educare i pazienti ad una
migliore comprensione e gestione della propria salute
evitando di affollare inutilmente il Pronto Soccorso con
problematiche inconsistenti.
E quindi i soldi si investono
proprio per aprire più sportelli di ricezione e per pagare
salatamente pediatri sempre
“a disposizione”.
Non è aprendo servizi a pioggia che si seda l’ansia, ma è
educando, anche attraverso
risposte coerenti e corrette,
se pur impopolari. Eppure il
termine “educazione sanitaria”, così caro ai “padri fondatori” della riforma sanitaria, sembra scomparso dal
cassetto degli amministratori, tanto che in un recente
l ute
Sa
e
36 Territorio
Nuove prospettive nel SSN
Piano sanitario si è potuto affermare drasticamente che
“l’urgenza è tale anche se
soggettiva” contro ogni concetto programmatico di governance e appropriatezza.
Ma se è il cittadino a giudicare cosa è urgente e cosa no,
come faccio a programmare?
Se un naso un po’ tappato (o
come dicono i genitori “un
raffreddore mostruoso”) è
sufficiente a richiedere l’urgenza, di che appropriatezza
ci occupiamo?
Come per farmaci e analisi,
anche l’uso razionale delle risorse strutturali ed umane
deve essere salvaguardato.
Vanno attrezzate campagne e
politiche atte a questo, con
una logica di contrasto ad
ogni prospettiva di consumismo, contro gli eccessi delle
logiche di mercato che in sanità inducono inappropriatezza, frammentazione del
percorso assistenziale, separatezza dagli altri settori e
spesa inutile.
Così come non si riducono le
liste di attesa comprando
sempre più ecografi, apparecchi diagnostici e altro e accreditando tutto il privato
possibile, anche senza idonee
verifiche di competenza e
preparazione degli operatori,
invece che cercare di rendere
più appropriata la richiesta di
esami, riconducendola in termini quantitativi ad una dimensione adeguata, scientificamente verificata. Sappiamo
bene infatti che così facendo
rischiamo di dare all’utenza
una “soddisfazione di facciata”: quanto è garantito infatti il paziente con questi metodi sul piano dell’affidabilità
della risposta diagnostica?
Ma la deriva populista ormai
è un criterio di governo sanitario a livello nazionale: pensiamo ad esempio a quanto
deciso a livello ministeriale
in merito alla donazione
omologa degli annessi embrionali dopo il parto: favorevoli, nonostante il parere
unanimemente contrario della commissione tecnica appositamente istituita per valutare la scelta. Non importa
essere scientificamente corretti, importante è risultare
graditi alla popolazione, alla
sua “emotività” e non importa neanche che così facendo
si metta in crisi il sistema di
banche pubbliche italiano già
in difficoltà a gestire le donazioni. E vorrei sottolineare
che si è andati incontro all’emotività popolare più inutilmente egoistica (una conservazione quasi certamente
inutile), rischiando anche di
far venir meno la donazione
per il malato “sconosciuto”,
che avrebbe realmente potuto ottenere un vantaggio.
Un altro esempio di questo
populismo che oggi anima il
programmatore di servizi sanitari riguarda la visita domiciliare. Nell’ambito dell’attività del pediatra di famiglia
la soddisfazione del paziente
da alcuni viene vista quasi
esclusivamente nell’effettuazione della visita domiciliare;
e anche i continui attacchi
sui giornali alla nostra categoria sono legati quasi esclusivamente al tema della visita
domiciliare. In realtà sappiamo che sul piano scientifico
l’esigenza di visitare “a casa”
non ha nessuna base e sappiamo anche che la visita ambulatoriale consente approfondimenti e strumentazioni che a casa non è possi-
N. 166 - 2008
bile avere disponibili. Insomma un retaggio della vecchia
medicina, una “coccola” che
per affezione e ricordo dispiace aver perso, come tante
cose del passato, ma che non
va intesa come perdita scientifica: anzi, c’è più scienza in
ambulatorio.
Forse l’unico motivo adducibile a sostegno dell’esigenza
della visita domiciliare è la
possibilità che offre di potersi
rendere conto del contesto
abitativo in cui il paziente vive. Ma il medico non è un assistente sociale e al di là di
“dare un’occhiata” non sa
nemmeno quali indicatori osservare e cercare perché non
è preparato a questo. Inoltre
le sue eventuali osservazioni
“sul contesto abitativo” a chi
le ripropone perche si intervenga? Ed eccoci ad un punto
critico nodale: sono troppi
anni che nessun amministratore si occupa seriamente di
servizio sociale. La riforma di
questo servizio non è mai avvenuta, mentre avrebbe dovuto andare di pari passo con
quella del servizio sanitario.
Ed è improduttivo e demagogico appiccicottare al sanitario compiti sociali, tappare
buchi che anni di incurie del
sociale hanno generato. Non
c’è vera sanità senza il sociale. E allora affermare a livello
amministrativo regionale che
i pediatri devono recarsi a visitare a casa i bambini che
non possono recarsi all’ambulatorio perché soli in casa col
nonno che non guida (anche
se si tratta di curare “l’acuto
banale”) non è amministrare
la sanità, è fare populismo,
privo di scientificità a coprire
inefficacie e inefficienze nel
settore sociale.
Quale pediatria per i fragili
genitori di oggi
Ci vuole il coraggio e la determinazione di abbandonare
queste scellerate scelte populiste che portano solo ad una
spirale di inarrestabile aumento di consumi sanitari e
di ansie irrisolte. La nuova
pediatria e i suoi servizi vanno rifondati su concetti di appropriatezza e coerenza con
le conoscenze scientifiche.
Importante sì dar risposte
pronte agli utenti ma che siano risposte prima di tutto aggiornate e scientifiche, che
non concedano equivoche
collusioni con ansie infondate, a soddisfare bisogni inconsistenti, perché solo con chiarezza scientifica e concreta
capacità di analisi possiamo
ricondurre i genitori ad una
riassunzione di responsabilità
nella gestione e nella cura dei
figli, senza continue deleghe,
senza finire vittime di un
consumismo sanitario devastante sul piano economico e
sul piano della cultura.
Un esempio di questa deriva
culturale: i bambini non fanno in tempo ad uscire da
scuola, dove la maestra ha appena segnalato un po’ di tosse, o qualche linea di febbre,
che subito vengono trasportati all’ambulatorio del medico,
presentandosi con l’urgenza
che fa passare avanti a tutti.
Si presentano come pazienti
“gravi” che non hanno un
semplice raffreddore, la tosse
o un po’ di febbre ma raffreddori “mostruosi”, tossi “pazzesche”, febbri “assurde”, ecc.
Alla base di questa esasperazione dei termini sicuramente vi sono più fattori. È la società di oggi ad essere urlante, esagerata, bisognosa di
N. 166 - 2008
farsi vedere. Uno smanicare
diffuso, frutto soprattutto di
un grande, tragico senso di
solitudine dell’uomo di oggi:
il timore di non esistere se
non si è visti dalla folla, di
non saper pensare se non si è
ascoltati da una platea. Ci
metterei poi anche un dilagante impoverimento e involgarimento del linguaggio che
porta ad un suo uso sempre
più rozzo: troppe banalizzazioni, troppe semplificazioni.
E infine un esagerare verbale
dove non manca un pizzico di
protagonismo ed esibizionismo, che oggi condisce ogni
nostro intervento pubblico,
con l’inevitabile conseguente
perdita di “faccia” o dignità
che dir si voglia.
La conseguenza diretta è che
ormai i pediatri non credono
più a tutto ciò che i genitori
raccontano. E così il rischio
di fare errori è enormemente
aumentato: nel porre le diagnosi rischiamo continuamente di cadere nella trappola del “al lupo al lupo”. Insomma in mezzo a tante urlate banalità, il rischio di trascurare l’unica cosa seria, che
ci deve far intervenire prontamente, è sempre più alto.
Teoricamente sappiamo tutti
che nel trattare con i pazienti
ansiosi, l’inquadramento del
sintomo nell’ambito della manifestazione emotiva, psicosomatica, dovrebbe sempre
essere l’ultima diagnosi, dopo
aver prima esplorato tutto
l’esplorabile sul piano strettamente organico. Oggi questo non è più applicabile. I
nostri ambulatori sembrano
più dei centri di ascolto psicologici (se non psichiatrici)
che non ambulatori pediatrici: dovremmo quindi fare esami e approfondimenti clinici
a tutti!
È proprio questo l’ulteriore risvolto negativo di questo fenomeno: a furia di parlare di
mal di testa intollerabili e di
tossi devastanti si finisce poi
per crederci, sviluppando una
tale intolleranza anche dei
più piccoli fastidi, da portare
inevitabilmente ad un consumo sconsiderato (ed economicamente disastroso) di farmaci e prestazioni mediche in
generale. E il problema non si
risolve certo passando dai
farmaci di tipo “ufficiale”, a
quelli alternativi: anche questi sono comunque usati a dismisura (omeopatia, erboristeria, chiroterapia, ecc.). La
spesa è comunque altissima
anche se trasferita dallo Stato al singolo privato; per al-
Bibliografia
Nuove prospettive nel SSN
Sae l ute
Territorio 37
tro poi oggi molti amministratori, da buoni politici
sempre in cerca di consensi
popolari, stanno scelleratamente cercando di accollare
allo Stato, cioè a tutti noi,
anche le spese derivanti da
questi interventi “alternativi” di cui non abbiamo né
certezza di efficacia né, di
contro, certezza di innocuità.
Da un lato si controllano le
prescrizioni e le spese dei medici, richiamandoli ad un
consumo di farmaci oculato,
separando come fa il Prontuario terapeutico nazionale i
farmaci in fasce: A (la sola di
cui il SSN sostiene in toto la
spesa), B e C, a seconda della
loro dimostrata efficacia. Dall’altra ci si accolla la spesa di
prodotti di cui ancora non
sappiamo bene se si tratti di
acqua pura o di acqua “sporca” di qualche molecola di efficacia tutta da dimostrare. E
così mentre la Francia toglie
l’omeopatia dal suo servizio
sanitario essendoci ormai
prove scientifiche più che
sufficienti per dimostrarne
l’inefficacia, nel nostro Paese
si aprono servizi omeopatici
pubblici, invitando la popolazione a provare questo approccio “terapeutico” che se
fossimo corretti e cinicamen-
te obiettivi dovremmo piuttosto inserire nel campo delle
religioni. Ma soprattutto si
continua a vivere i sintomi in
maniera angosciata, seguitando a non capire che la soluzione “sana” non è cambiare tipo di medicine ma smettere di usarle in situazioni
per cui non sono affatto necessarie e che richiederebbero invece solo pazienza, tolleranza e un più serio impegno
per rivedere e migliorare il
proprio stile di vita, insegnandolo anche ai propri figli. Cosa penseranno questi
poveri figli a sentirsi dire
continuamente che hanno
tossi pazzesche e raffreddori
mostruosi!? Con quale intelligenza ed equilibrio gestiranno i loro piccoli disagi fisici
di adulti?
In sintesi dunque credo che
imboccare la strada dell’investimento in educazione sanitaria che promuova cultura
della salute sia la sola via di
uscita da questa spirale che si
è innescata di acritica risposta ai bisogni immaginati, in
una rincorsa alla soddisfazione dell’utenza fuori dal rigore
scientifico, che porta inevitabilmente ad un crescere senza fine di richieste, insoddisfazioni e spese.
Paolo Sarti (2008), Neonati maleducati, Giunti Demetra.
Regione Toscana (2008), Piano Sanitario Regionale.
Valdo Flori (2007), Il futuro della pediatria di famiglia, Fimp News.
Regione Toscana (2007), Accordo integrativo per la disciplina dei rapporti con i medici pediatri.
Enrico Solito (2008), Riflessioni per una nuova pediatria, materiale
non pubblicato.
Vincenzo Calia (2008), Malainformazione, altro che malasanità.
l ute
Sa
e
38 Territorio
Francesca Gori
Serena Gori
Claudia Mannini
Filippo Festini
Università di Firenze,
Dipartimento di pediatria,
Sezione di scienze
infermieristiche
e delle professioni sanitarie
L
a gestione della terapia
farmacologica a domicilio è un aspetto molto
complesso del processo di cura della persona temporaneamente o cronicamente malata, che richiede abilità, conoscenze specifiche e molta attenzione.
In ambito pediatrico, dove la
responsabilità della preparazione, della somministrazione e della conservazione dei
farmaci a domicilio ricade sul
genitore, aumentano le difficoltà e le probabilità di incorrere in un errore di terapia
sono elevate.
L’errore nell’uso del farmaco
in ambito extraospedaliero è
un fenomeno poco conosciuto; interessa prevalentemente
l’età pediatrica e costituisce
un costo rilevante sia in termini di salute pubblica, sia di
spesa per il sistema sanitario,
sia di costi aggiuntivi per
l’intero nucleo familiare.
La letteratura riporta numerosi casi di eventi avversi riconducibili all’uso scorretto
dei farmaci da parte dei genitori, ma pochi studi hanno
indagato sulle strategie di
prevenzione.
In uno studio americano condotto su 1788 pazienti pediatrici ambulatoriali, è emerso
che il 70% di eventi avversi
prevenibili di media o alta
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
La somministrazione
di farmaci pediatrici
a domicilio
gravità era associato all’errata somministrazione di farmaci a domicilio (1).
Una recente pubblicazione del
Center for Disease Control and
Prevention (Morbidity and
Mortality Weekly Report MMWR) riporta tre decessi di
bambini di età compresa tra
uno e sei mesi, associati ad assunzione di farmaci per la tosse ed il raffreddore negli Stati
Uniti. In tutti e tre i casi è stata riscontrata un’intossicazione letale da sovradosaggio (2).
Un recente studio dell’Università di Pavia (3) effettuato
su di una popolazione extraospedaliera ha indagato sul
problema degli errori nell’uso
del farmaco analizzando le
schede di chiamata del CAV di
Milano riferite al periodo
compreso tra il 1 gennaio ed
il 30 giugno 2002 ed intervistando telefonicamente le
persone che hanno effettuato
le telefonate. Tra i risultati
ottenuti analizzando 1369
casi, è emerso che il 94% delle intossicazioni si è verificato in ambito extraospedaliero
mentre solo il 2% all’interno
dell’Ospedale e che la fascia
di età più rappresentativa è
quella pediatrica (0-14 anni)
che costituisce il 69% dei casi, in particolare quella compresa tra 0 e 4 anni che da sola copre il 32% degli errori.
Strategie di prevenzione di errore da parte
dei familiari. Il ruolo degli infermieri
Sperimentare ed applicare
strategie di intervento sempre
più efficaci rivolte alla prevenzione dell’errore di terapia
in ambito extraospedaliero è
un dovere di tutti gli attori
coinvolti nell’evento: professionisti sanitari, popolazione
ed industria farmaceutica.
Quando abbiamo a che fare
con i pazienti pediatrici, la
famiglia è senza dubbio direttamente responsabile degli
eventi avversi che possono
manifestarsi nel bambino a
causa di un uso scorretto dei
farmaci ma, allo stesso tempo, essa può diventare protagonista attiva nella difesa del
piccolo paziente dagli errori
di terapia.
Una comunicazione aperta e
chiara tra la famiglia ed i professionisti sanitari, un’informazione adeguata sugli
aspetti fondamentali della terapia ed un’educazione rivolta al genitore che favorisca
l’acquisizione di comportamenti più sicuri nei confronti
della somministrazione di
farmaci al proprio bambino,
costituiscono gli elementi
principali che permettono alla famiglia del piccolo pa-
ziente di svolgere il ruolo di
barriera contro gli errori e gli
eventi avversi da farmaci.
Molte evidenze suggeriscono
che la comunicazione gioca
un ruolo cruciale nella prevenzione degli errori di terapia quando si sviluppa tra gli
stessi professionisti sanitari e
tra questi e la famiglia del
bambino (4).
Fortescue notò che il 47,4%
degli errori poteva essere prevenuto da una comunicazione efficace tra il genitore e
coloro che hanno in cura il
piccolo paziente (5).
Promuovere uno scambio circolare e dinamico di messaggi
tra la famiglia, il bambino
(quando ha raggiunto uno
sviluppo sociale ed intellettivo sufficiente) e gli operatori
sanitari al fine di prevenire
gli errori di terapia, richiede
la costruzione di un rapporto
di fiducia e collaborazione tra
queste figure ma anche la
sensibilizzazione del genitore
sull’importanza di esprimere i
propri dubbi e fare domande
riguardo al trattamento farmacologico prescritto al proprio figlio.
L’American Academy of Pedia-
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
1. Qual è il nome del farmaco prescritto?
2. In che modo questo farmaco può aiutare il mio bambino?
3. Devo fare qualcosa prima di somministrare questo farmaco al mio
bambino?
4. Qual è la quantità/dose di farmaco che devo dare a mio figlio?
5. A che ora devo somministrare la medicina?
6. Per quanto tempo il mio bambino dovrà assumere questo farmaco?
7. Mio figlio dovrebbe evitare alcuni cibi o attività durante la terapia?
8. Devo evitare di somministrare altri farmaci, prodotti di erboristeria o vitamine durante la terapia?
9. Il farmaco prescritto potrebbe causare effetti collaterali che dovrei conoscere?
10. Ci sono cambiamenti su come mio figlio deve prendere la medicina (ad esempio, deve assumere una dose maggiore di quella abituale)?
11. Questo farmaco è disponibile in altre formulazioni che potrebbero essere assunte più facilmente da mio figlio, come compresse
masticabili o sciroppi?
12. La prescrizione è ripetibile? Quante volte?
13. Potrebbe lasciarmi delle istruzioni scritte?
14. Cosa devo fare se mio figlio salta una dose di farmaco?
15. Cosa devo fare se somministro una quantità maggiore di farmaco?
16. Cosa devo fare se il mio bambino rifiuta la medicina?
17. Potrebbe mostrarmi come si usa questo farmaco?
trics ha proposto una lista di
domande che il genitore dovrebbe rivolgere al pediatra al
momento della prescrizione
di farmaci al proprio bambino, rimarcando l’importanza
della comprensione e dell’informazione della famiglia
(6) (Tab. 1).
Ha inoltre indicato una serie
di azioni da compiere per garantire una somministrazione
corretta e sicura dei farmaci a
domicilio (7) (Tab. 2).
Anche i professionisti sanitari
(medico, infermiere e farmacista) possono contribuire in
modo determinante alla prevenzione degli errori di terapia a domicilio e dei potenziali eventi avversi da farmaci
nei pazienti pediatrici.
Informare in modo efficace il
genitore sugli aspetti fondamentali della terapia prescritta al suo bambino (a cosa ser-
ve il farmaco, la dose, la frequenza, la via di somministrazione, gli effetti terapeutici e collaterali, etc.) significa adattare il linguaggio e la
terminologia al livello d’istruzione della persona, essere disponibili a fornire ulteriori chiarimenti e spiegazioni che eliminino ogni perplessità emersa, verificare la
comprensione delle istruzioni
fornite, trascrivere in modo
chiaro le informazioni più
importanti su un foglio che
serva da promemoria per il
genitore, garantire la presenza di un mediatore culturale
se i familiari del bambino non
conoscono bene la lingua, ricordandosi di prestare particolare attenzione alla formulazione del farmaco nel caso
di bambini stranieri.
Le prescrizioni telefoniche
comportano sempre un elevato rischio di errore e il pe-
Tab. 1. Lista di domande
proposta dall’American
Academy of Pediatrics.
diatra dovrebbe evitarle, ove
possibile; quando queste
però si verificano, il medico
dovrebbe pronunciare in modo chiaro il nome commerciale del farmaco e del principio attivo (magari facendo
lo spelling), fornire le indicazioni per l’uso in modo completo e comprensibile (con
particolare riguardo alla pronuncia del numero e dell’unità di misura che costituiscono la dose da somministrare), verificare l’effettiva
comprensione delle informazioni fornite e consigliare al
genitore di appuntarsi tutte
le indicazioni terapeutiche
su di un foglio.
Alcuni studi di recente pubblicazione suggeriscono che
il farmacista può svolgere un
ruolo importante nel processo di informazione e di vigilanza sui farmaci da banco,
contribuendo in modo so-
Sae l ute
Territorio 39
stanziale alla riduzione degli
errori nell’uso di questi prodotti (8).
Il farmacista può indirizzare
il genitore ad un uso corretto
dei farmaci da banco cercando di orientare la sua scelta
verso prodotti caratterizzati
da buoni profili di efficacia e
di tollerabilità, ricordando le
modalità di somministrazione e l’importanza di misurare
correttamente la dose in base
al peso corporeo e mediante
presidi accurati.
Per promuovere un uso sicuro
dei farmaci da banco (overthe-counter, OTC), il National
Council on Patient Information and Education (NCPIE)
ha stilato una serie di consigli per i genitori che somministrano questi prodotti ai loro bambini (9) (Tab. 3).
Durante il ricovero in Ospedale del piccolo paziente, l’infermiere è il professionista
sanitario che trascorre più
tempo con il bambino e la sua
famiglia, condividendo con
loro la malattia ed imparando
a conoscerli giorno dopo
giorno. Per questo motivo,
l’infermiere non può limitarsi
a compiere un’azione informativa sugli aspetti più importanti del piano terapeutico che il bambino dovrà seguire a casa una volta dimesso ma, considerata anche la
natura relazionale ed educativa dell’assistenza infermieristica, deve intraprendere un
processo educativo rivolto alla famiglia (e al piccolo paziente quando la sua maturazione psicologica lo permette) che sia in grado di promuovere nuove conoscenze
circa la malattia del bambino
ed i farmaci che possono curarla e comportamenti più si-
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Sa
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40 Territorio
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
Segui le istruzioni terapeutiche
I farmaci prescritti devono essere somministrati regolarmente e al giusto orario perché abbiano l’effetto terapeutico desiderato. Non saltare una dose di farmaco. Quando somministri per la prima volta il farmaco al tuo
bambino, chiedi al pediatra o al farmacista cosa fare se una dose non è stata data in tempo.
Somministra la giusta quantità
Misura attentamente la dose di farmaco da somministrare. Non dare una quantità maggiore di quella indicata:
potresti arrecare un danno al tuo bambino. Sia in caso di medicinali prescritti dal medico che di farmaci da
banco, segui sempre esattamente le istruzioni terapeutiche.
Ricordati che sapere il peso del tuo bambino è importante
Quando usi prodotti da banco, leggi attentamente il foglio illustrativo per sapere la corretta dose di farmaco da
somministrare in base al peso del tuo bambino. L’età non è sempre un’unità di misura accurata per determinare la giusta dose di farmaco.
Non interrompere la terapia troppo presto
Il tuo bambino deve continuare ad assumere il farmaco per tutto il periodo indicato, anche se comincia a stare
meglio prima della scadenza. Lo stesso vale anche per quelle situazioni in cui tuo figlio rifiuta e sputa la medicina.
Somministra i farmaci con sicurezza
Per prevenire sovradosaggi o intossicazioni, segui questi consigli:
– Quando somministri un farmaco al tuo bambino, fallo sempre in condizioni di buona visibilità: nel buio,
aumenta il rischio che tu possa dare un farmaco sbagliato o una dose scorretta.
– Leggi il foglio illustrativo prima di aprire il flacone della medicina, dopo che hai rimosso la dose necessaria
e prima di somministrarlo al tuo bambino: questo aumenta la sicurezza.
– Richiudi sempre le medicine che hai usato con il loro tappo “a prova di bambino” e riponile in un luogo sicuro, lontano dalla portata di tuo figlio.
– Somministra una dose corretta di farmaco. I bambini non sono piccoli adulti. Non calcolare mai la quantità
di farmaco da somministrare in base alla corporatura del tuo bambino.
– Non aumentare la dose di farmaco appena ti sembra che il tuo bambino stia peggio dell’ultima volta.
– Segui sempre le raccomandazioni sul peso e sull’età che trovi nel foglietto illustrativo. Se hai delle domande da fare, chiama il pediatra.
– Utilizza gli ausili adeguati per la misurazione dei farmaci in forma liquida.
– Assicurati che il medico sappia quali farmaci stai somministrando al tuo bambino in questo momento.
– Controlla i tuoi bambini durante la terapia. Non permettere ai tuoi figli più piccoli di assumere le medicine
da soli.
– Prima di utilizzare qualsiasi farmaco, controlla che non ci siano lacerazioni, tagli o imperfezioni sulla confezione.
– Avverti il pediatra se stai somministrando prodotti di erboristeria, vitamine o rimedi caserecci: potrebbero
interagire con i farmaci prescritti o con i medicinali da banco.
– Riponi tutti i farmaci in un armadietto chiuso a chiave, che non sia localizzato in bagno: l’umidità potrebbe
danneggiarli.
curi nella gestione della terapia a domicilio.
L’educazione alla famiglia deve essere pianificata dall’infermiere dopo aver accertato
il grado di conoscenza sull’argomento in esame, il livello
socio-culturale, la presenza
di possibili ostacoli alla comunicazione (barriere linguistiche, psicologiche, culturali, etc.), e deve essere attuata
in un momento idoneo durante il periodo di ricovero
del piccolo paziente (ad
esempio, non troppo vicino
alla dimissione). È inoltre
molto importante scegliere
un luogo adatto per comunicare senza essere disturbati e
dedicare il tempo necessario
per ottenere dei risultati soddisfacenti.
Per quanto riguarda la terapia
che il bambino ha iniziato in
Ospedale e che dovrà continuare a casa, l’infermiere deve assicurarsi che i genitori
abbiano acquisito tutte le conoscenze necessarie, sia teo-
riche che pratiche, prima della dimissione, affinchè possano somministrare con sicurezza i farmaci prescritti al
piccolo paziente.
L’educazione terapeutica dovrebbe includere le seguenti
azioni:
– Garantire sempre la presenza di un mediatore culturale per i genitori non
madrelingua.
– Spiegare a cosa serve il
farmaco.
– Insegnare a calcolare la
Tab. 2. Consigli ai genitori
per aumentare la sicurezza
della terapia a domicilio
dell’American Academy
of Pediatrics.
dose corretta, facendo capire l’importanza del peso
corporeo del bambino nel
determinare il giusto dosaggio.
– Insegnare la modalità di diluizione dei farmaci in polvere e la corretta conservazione della sospensione.
– Informare i genitori sull’esistenza di presidi accurati
per misurare la quantità
dei medicinali in forma liquida, spiegando perché il
comune cucchiaio da cuci-
N. 166 - 2008
na non garantisce una misurazione precisa.
– Dimostrare come si usano
gli appropriati ausili per la
misurazione e facilitare la
comprensione dei genitori
proponendo una prova
pratica.
– Ricordare la formulazione
del farmaco ed assicurarsi
che il genitore abbia capi-
to qual è la giusta via di
somministrazione.
– Ricordare la frequenza e la
durata della terapia, sottolineando la necessità di rispettarle scrupolosamente
per permettere al farmaco
di svolgere la sua azione
terapeutica;
– Spiegare gli effetti terapeutici del farmaco e co-
Nuove prospettive nel SSN
Sae l ute
Territorio 41
me riconoscere i possibili
effetti non desiderati o i
sovradosaggi.
– Sensibilizzare il genitore
sul rischio di sovradosaggio accidentale di farmaci
nel bambino: errori di dosaggio; somministrazione
di farmaci più concentrati
(farmaci per adulti somministrati ad un bambino op-
pure farmaci per neonati
somministrati a bambini
più grandi); assunzione
contemporanea di medicinali contenenti lo stesso
principio attivo; etc.
– Insegnare ai genitori alcune strategie per somministrare le medicine ai bambini quando si rifiutano di
prenderle (ad esempio,
1. Quando hai un dubbio, chiedi! La salute del tuo bambino è troppo importante per poter correre dei rischi basando la gestione della sua terapia su delle supposizioni. Ogni volta che hai un dubbio circa l’uso di
un prodotto da banco, rivolgiti al farmacista o al pediatra.
2. Assicurati che il pediatra sia al corrente di tutti i farmaci da banco assunti dal tuo bambino, prima
di una nuova prescrizione. Allo stesso modo, se tuo figlio sta già assumendo dei farmaci prescritti dal
medico, chiedi al farmacista o al pediatra stesso se puoi somministrare contemporaneamente dei prodotti
OTC.
3. Controlla il peso del tuo bambino: in questo modo puoi calcolare la giusta dose di farmaco raccomandata dal foglio illustrativo. Molti pediatri e farmacisti convengono che il peso del bambino è il miglior modo per determinare la dose corretta da somministrare. Per questo motivo, i professionisti della salute consigliano ai genitori di tenere in casa una bilancia accurata per poter pesare il proprio bambino prima di dare un farmaco da banco.
4. Segui correttamente le istruzioni del foglietto illustrativo. Poiché i prodotti da banco sono veri e propri farmaci che possono arrecare danno se presi in modo non corretto, leggi sempre l’intero foglietto illustrativo prima di somministrare un medicinale OTC al tuo bambino. In questo modo sarai sicuro di aver
scelto il prodotto giusto, di aver compreso le istruzioni sul dosaggio e sarai consapevole delle precauzioni
da prendere.
5. Usa gli specifici contagocce, tappi dosatori o altri strumenti che trovi nella confezione del farmaco.
Poiché i cucchiai da cucina e altri utensili domestici hanno dimensioni diverse e non sono accurati nel misurare la quantità di medicinale da somministrare, utilizzandoli potrai dare al tuo bambino una dose maggiore o inferiore rispetto a quella consigliata. La stessa cosa può accadere se usi un presidio per misurare
appartenente ad un altro farmaco di tuo figlio.
6. Se somministri più di un farmaco da banco contemporaneamente al tuo bambino, controlla che
questi prodotti non contengano lo stesso principio attivo e non abbiano la stessa azione terapeutica. Per prima cosa controlla il principio attivo dei farmaci OTC che vuoi somministrare; non dare a tuo figlio contemporaneamente dei prodotti contenenti lo stesso principio attivo e consultati con un professionista sanitario se hai dei dubbi. Poiché molti farmaci per la tosse ed il raffreddore contengono lo stesso
principio attivo degli antidolorifici, è possibile che tu somministri al tuo bambino due prodotti diversi ma
che contengono lo stesso principio attivo senza esserne consapevole. Inoltre, assicurati che non abbiano
la stessa azione terapeutica. Per esempio, due farmaci per il raffreddore possono contenere principi attivi
differenti ma entrambi agiscono contro la febbre. Questa doppia azione deve essere evitata. Per essere sicuro, leggi sul foglio illustrativo le “indicazioni terapeutiche” e paragonale. Non esitare a chiamare il pediatra o il farmacista per un consiglio.
7. Somministra al tuo bambino soltanto quei farmaci formulati specificamente per il suo peso e la sua
età. Tagliare a metà una compressa per adulti o provare a stimare una dose idonea per il tuo bambino di
un medicinale in forma liquida per adulti può portare ad un sovradosaggio. Allo stesso modo, dare un medicinale in forma liquida per bambini ad un neonato comporta un overdose.
8. Ricordati che la maggior parte dei farmaci da banco risolvono temporaneamente sintomi lievi. Se i
sintomi persistono o peggiorano, contatta il pediatra.
9. Non somministrare i farmaci al buio. Questo è spesso un problema quando il bambino sta male durante
la notte ed i genitori sbagliano a leggere il livello raggiunto dalla medicina nello strumento per misurare la
sua quantità, a causa della scarsa illuminazione.
10. Insegna al tuo bambino che il farmaco da banco non è un dolciume e che non deve toccarlo, annusarlo o assaporarlo. I bambini possono assumere i farmaci da banco soltanto sotto lo stretto controllo di
un adulto. Tieni tutte le medicine ed i prodotti per la casa fuori dalla portata del tuo bambino.
Tab. 3. I consigli del National
Council on Patient Information
and Education (NCPIE)
ai genitori per promuovere
la sicurezza nell’uso dei farmaci
da banco.
l ute
Sa
e
42 Territorio
Nuove prospettive nel SSN
rendere il loro gusto più
gradevole mescolandole
con una bevanda zuccherata o un omogeneizzato),
avvertendoli delle possibili
interazioni del farmaco
con alcuni tipi di alimenti.
– Consigliare di riporre i farmaci in un luogo sicuro,
lontano dalla portata del
bambino, e di prestare particolare attenzione alla
possibilità di scambiare tra
loro farmaci con nomi o
confezioni simili (per prevenire questo errore, suggerire di collocare i farmaci a rischio in posti diversi
o di differenziarli con un
segno di riconoscimento).
– Fornire alla famiglia delle
istruzioni scritte e materiale informativo, se disponibile.
– Valutare l’acquisizione di
conoscenze teoriche e pratiche in merito alla gestione della terapia, facendo
ripetere le informazioni al
genitore e verificando le
sue competenze pratiche.
La letteratura sottolinea ampiamente l’importanza dell’educazione alla famiglia sulla
somministrazione corretta
dei farmaci al piccolo paziente, completa di istruzioni
specifiche e dimostrazioni
pratiche (10).
Uno studio americano che indaga sulla capacità dei genitori di misurare la dose corretta dei farmaci liquidi, ha
dimostrato come l’educazione
sia efficace nel ridurre gli errori di dosaggio e sia capace
di superare anche le barriere
linguistiche e culturali. Il ricercatore ha selezionato tre
gruppi di genitori (metà parlava l’inglese e metà lo spagnolo), ai cui figli era stato
prescritto dal medico un antibiotico da sospendere: il primo gruppo riceveva la prescrizione e delle istruzioni
verbali; il secondo gruppo veniva coinvolto in una dimostrazione pratica nella quale
si misurava la dose di farmaco
mediante una siringa calibrata e riceveva la prescrizione e
la siringa; il terzo gruppo, come il secondo, usufruiva della
prova pratica e della prescrizione, ma riceveva una siringa marcata al livello della dose prescritta (veniva apposto
un “segno a T” con un pennarello indelebile, ovvero veniva tracciata una linea verticale dallo 0 al valore della corretta dose ed una linea orizzontale intorno alla siringa e
sempre al livello della dose
prescritta). La verifica della
misurazione ha fatto emergere i seguenti risultati: solo il
37% dei genitori appartenenti al primo gruppo misurava
correttamente la dose prescritta contro l’83% del secondo gruppo ed il 100% del
terzo gruppo. L’educazione ai
genitori, unita alla dimostrazione pratica e alla consegna
di ausili accurati e semplici
da usare, permette di misurare correttamente la dose di
sciroppo da somministrare al
bambino (11).
Numerosi studi dimostrano
come l’uso di strumenti accurati per misurare la dose corretta dei medicinali in forma
liquida riduca notevolmente
gli errori di dosaggio (12,13).
Per questo motivo, i professionisti sanitari ed in particolar modo gli infermieri dovrebbero consigliare ai genitori l’impiego di questi presidi per somministrare gli sciroppi ai loro bambini, possi-
N. 166 - 2008
bilmente mostrando loro la
modalità d’uso.
Garantire la continuità delle
cure, preparando il bambino e
la sua famiglia alla dimissione dall’inizio del ricovero, è
un obiettivo che dovrebbe
coinvolgere tutti i professionisti sanitari. Un processo
graduato di educazione e
d’informazione sul piano terapeutico da effettuare a domicilio è determinante nel
promuovere la sicurezza del
bambino ammalato. La letteratura riporta alcuni esempi
di progetti educativi sulla gestione autonoma della terapia durante il ricovero in
Ospedale, condotti dagli infermieri e rivolti alla famiglia
e ai bambini più grandi: essi
documentano una maggior
adesione del piccolo paziente
al piano terapeutico prescritto e la soddisfazione sia del
bambino e dei genitori, per
essere divenuti capaci di gestire autonomamente le cure
farmacologiche, sia degli infermieri, per avere erogato
un’assistenza personalizzata
(14).
Il momento della dimissione
del piccolo paziente dall’Ospedale può rappresentare
una situazione a rischio di errori di terapia, specialmente
se vi sono variazioni del piano terapeutico. Una comunicazione chiara tra i professionisti sanitari è indispensabile
per aumentare la sicurezza: i
medici dovrebbero aggiornare
in tempo reale gli infermieri
ed i farmacisti sui cambiamenti apportati nel piano terapeutico dei pazienti, spiegandone possibilmente le ragioni. Un sistema computerizzato mediante il quale la
scheda di terapia del paziente
può essere aggiornata e visionata contemporaneamente
dal medico, dall’infermiere e
dal farmacista, potrebbe evitare le discrepanze che spesso emergono nello schema terapeutico durante la transizione reparto-farmacia-domicilio ed i potenziali errori
connessi (15-17).
Infine, anche le aziende farmaceutiche possono contribuire ad innalzare il livello di
sicurezza nell’uso dei farmaci
a domicilio valutando, prima
che inizi la commercializzazione di un farmaco, tutte le
potenziali fonti di errore:
– Nome: la presenza sul mercato di farmaci con nomi
simili può causare confusione ed aumentare le possibilità di errore.
– Presentazione (forma, colore e confezione): la presentazione del prodotto
deve essere chiara; una
scarsa differenziazione, ad
esempio, di una confezione contenente una stessa
forma farmaceutica ma
con dosaggi diversi per
adulti e bambini, rischia di
esporre gli adulti a dosi
inefficaci ed i bambini a
sovradosaggio.
– Differenziazioni fisiche o
visive: esse dovrebbero essere prese in considerazione tra forme diverse dello
stesso prodotto e tra altri
prodotti comunemente
utilizzati.
– Istruzioni per l’uso e via di
somministrazione: è di
fondamentale importanza
che queste informazioni
siano presentate in maniera chiara, comprensibile ed
inequivocabile. Particolarmente delicata è la via di
somministrazione, soprat-
N. 166 - 2008
tutto nei casi in cui il ricorso ad una via diversa da
quella autorizzata può
mettere in pericolo la vita
del paziente (ad esempio,
nelle somministrazioni parenterali intramuscolo e
non endovena); in questo
caso le informazioni devono essere messe in risalto e
maggiormente evidenziate. Anche quando la forma
farmaceutica e le indicazioni terapeutiche sono
Bibliografia
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Nuove prospettive nel SSN
Sae l ute
Territorio 43
chiare, vale la pena di precisare con particolare attenzione la via e la modalità di somministrazione.
– Particolare attenzione deve essere rivolta ai farmaci con uno stretto margine
terapeutico, significativa
tossicità e potenziale sovradosaggio.
Dovrebbero essere prese in
considerazione modalità per
prevenire l’ingestione accidentale da parte dei bambini.
(10) Fernandez C.V., Gillis-Ring J. (2003), Strategies for the prevention
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Sa
e
44 Territorio
Maurizio Ferrara
Professore associato
di Psichiatria sociale
Dipartimento salute mentale Firenze
S
i stima che in Italia una
persona su cinque abbia
un disturbo mentale nel
corso della sua vita, una su
quattordici nel corso dell’anno precedente e una su trentuno nel corso del mese precedente (de Girolamo et al.,
2006).
Non sono molti gli studi di
prevalenza vera condotti in
Italia; da considerare lo studio condotto a Sesto Fiorentino da Faravelli e coll. (2004):
la prevalenza rilevata 12 –
mesi (totale 8,6, maschi
5,4%, femmine 14,9%) presenta valori dello stesso ordine della ricerca ESEMeD.
Persone senza alcun disturbo
mentale perdono il 7% dei
giorni lavorativi nel mese
precedente; persone con disturbo il 16% e persone con
disturbi complicati (comorbidità) dal 28 al 39%.
Il Dipartimento di salute
mentale: setting complesso
della psichiatria di comunità
Il Centro di salute mentale
(CSM) costituisce ormai l’asse
portante della assistenza psi-
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
La psichiatria
di comunità
chiatrica a livello nazionale.
Nel 2001 una indagine ministeriale ne ha censiti 707, in
media 1,88 per 150.000 abitanti.
Al 1° gennaio 2001 risultava
in trattamento attivo (prevalenza trattata) l’1.1% della
popolazione italiana; il 27.7%
dei pazienti era al primo contatto. Di norma i CSM sono
aperti 12 ore al giorno (sei al
sabato) e vi opera un gruppo
di lavoro multidisciplinare
composto da psichiatri, psicologi, infermieri, educatori
professionali, assistenti sociali. Nel 2001 erano in servizio
a tempo indeterminato 30711
operatori (5561 psichiatri,
1850 psicologi, 14760 infermieri), 0,54/1000 abitanti
(Bassi, 2003).
Il CSM è il centro di coordinamento di interventi terapeutici e riabilitativi complessi
perché spesso riguardano il
paziente ma anche la famiglia
e/o altri contesti sociali, perché sono erogati in sedi sanitarie, ma sempre di più in sedi sociali, infine perché multidisciplinari con il coinvolgimento di operatori assai di-
Gestione e obbiettivi dei Centri
di salute mentale
versi per specificità disciplinare, formazione, ruolo, responsabilità. Ciascun curante
peraltro è portatore di un
frammento parziale di conoscenza del paziente: il lavoro
clinico funziona quando il
gruppo di operatori riesce a
pensare “insieme” e a costruire una rappresentazione
un po’ più integrata del paziente e su questa costruire
un progetto terapeutico sensato. Ed è necessaria una cospicua e continua formazione
per ascoltarsi reciprocamente
e per mettere insieme le tessere del poco che ciascuno
riesce a capire di pazienti
spesso frammentati.
Per i pazienti gravi la cura e il
trattamento diurno (Centro
diurno e Day Hospital territoriale) sono presidio indispensabile; la funzione delle strutture intermedie diurne si articola su tre aree principali: attività di accoglienza, trattamenti riabilitativi strutturati,
attività di “ponte” verso
esperienze più evolute di socializzazione nel mondo
“esterno” con l’accompagnamento di operatori (educatori
soprattutto) che, nel momento in cui mettono piede fuori
dalle istituzioni di cura (sia
pure leggere come i Centri
diurni) assumono inaspettatamente funzioni assai complesse, da un lato riabilitative
(come case managers dei pazienti) ma dall’altro preventive quando facilitano la relazione fra il paziente e le altre
persone. Quando educano,
informano, rassicurano, consentono quella vicinanza che
permette la conoscenza personale con la singola persona
e riduce il pregiudizio nei
confronti della categoria “malato mentale”.
Una stima quantitativa è ricavabile dalla citata ricerca
ministeriale del 2001 nella
quale sono state censite anche le strutture intermedie
Tab. 1. Prevalenza vera del disturbo mentale in Italia (stima).
Dati da: European Study of the Epidemiology of Mental Disorders
(ESEMeD-WHO).
Nuove prospettive nel SSN
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Sae l ute
Territorio 45
Tab. 2
diurne: in Italia erano attivi
612 Centri diurni e 309 Day
Hospital, 1,6 per 150.000 abitanti, corrispondenti ad un
posto per trattamento diurno
ogni 10.000 abitanti. (Maone
et al, 2002).
Oggi un servizio psichiatrico
di comunità, sufficientemente dotato dal punto di vista
strutturale e chiaramente indirizzato in senso territoriale,
intercetta circa il 2% delle
persone con disturbo mentale
(prevalenza 12-mesi trattata
rispetto alla prevalenza vera
stimata al 7%).
Una coorte di 354 pazienti
arruolati in un setting di psichiatria di comunità (Verona
sud) con un follow up di sei
anni offre un quadro delle caratteristiche dei pazienti ed
un panorama dell’offerta e
della utilizzazione dei servizi
da parte dei pazienti che si
rivolgono al Dipartimento di
salute mentale. A fianco un
raffronto con alcuni dati relativi a Firenze ricavata dalla
relazione consuntiva 2006
della Unità funzionale salute
mentale adulti (Rossi Prodi,
2007).
Dunque il DSM accoglie un
case-mix variato di cui i pazienti psicotici sono una
componente significativa
non tanto dal punto di vista
numerico (1/3) quanto dal
punto di vista della gravità,
dell’impegno di presa in carico (disabilità) del consumo di
risorse, ma soprattutto per
l’impegno gravoso dell’investimento emotivo orientato
alla speranza di miglioramento, che va mantenuto attivo
per anni nei confronti di pazienti che altrimenti, da soli,
non si prendono cura di sé (è
ciò che in gergo si chiama
continuità terapeutica: 2/3
dei pazienti psicotici sono in
carico da oltre 5 anni vs 1/3
dei non psicotici. E senza entrare nel dettaglio anche la
popolazione dei non psicotici
non rappresenta certo quella
che un tempo veniva definita
“piccola psichiatria”).
Il ricovero in psichiatria
Il ricovero viene effettuato
negli Ospedali generali nei
Servizi psichiatrici di diagnosi e cura il cui assetto è improntato (ancora?) alla cultura anti – istituzionale: è denominato “Servizio”, non
“Reparto”, è di piccole dimensioni (max 15 posti letto); lo standard nazionale,
che determina la dotazione di
posti letto psichiatrici, è davvero molto basso, 1 p.l. ogni
10.000 abitanti
Questo parametro “anti-isti-
tuzionale” è rispettato?
Si se consideriamo solo le
strutture pubbliche, no, se
includiamo le strutture private che appaiono ben diverse
come assetto strutturale (numero di posti letto, durata
della degenza) e che probabilmente rispondono a domande non accolte dagli
SPDC, ormai identificati come
il luogo della acuzie, dell’urgenza del turn over elevato.
Rappresentazione riduttiva:
un ricovero può avere funzioni molto diverse compresa
quella di accompagnare il lento recupero da una regressione, processo che talvolta è
una vera e propria”rianimazione psichica”. Che il Servizio psichiatrico sia sempre
più servizio di controllo comportamentale e un po’ meno
di diagnosi e di cura e di relazione terapeutica non è un
l ute
Sa
e
46 Territorio
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
Tab. 3. Dati ricavati dal Progetto
di ricerca finalizzata 2001 PROGRES Acuti (*).
(*) A.Picardi et al (2007),
A. Gaddini et al., 2007.
buon segnale. Come non lo è
la chiusura della porta del reparto, procedura attiva in
ben oltre il 90% degli SPDC.
C’è un altro segnale di criticità che è collegato in parte a
questa rappresentazione del
SPDC: si tratta della (opinabile) qualità della continuità
terapeutica che si realizza fra
momento di ricovero e percorso di cura “territoriale”.
Intanto, per una quota di pazienti, gravi, (il 6-8%) che riceve solo assistenza ospedaliera, il problema nemmeno si
pone (Lora et al, 2002); ma è
soprattutto la quota relativamente bassa di pazienti inviati dal CSM (fra il 22 e il
28% del totale dei ricoveri)
che deve far riflettere sui motivi e sul significato di un
SPDC che opera come presidio
di primo livello e di un servi-
zio territoriale che svolge una
funzione di filtro troppo modesta.
Infine il problema dei pazienti revolving door, difficili da
coinvolgere in una relazione
terapeutica stabile e per i
quali la porta del reparto non
è affatto collegamento fra
dentro e fuori: è la via di fuga
da casa verso l’Ospedale o viceversa, esatta antitesi della
continuità terapeutica.
Un quadro rappresentativo
del problema tratto da una
indagine condotta a Firenze
(Meloni et. al 2006) mostra
che il 12,6% dei pazienti consuma quasi il 50% delle risorse ospedaliere. Non è solo un
problema di abnorme impiego
di risorse, è un grave problema di inefficacia degli interventi. Fra l’altro, il tasso di
ricovero non concordato con i
curanti (auto invio o in seguito a crisi in famiglia) è
molto alto e questi pazienti
tendono a sganciarsi dalla
contrattualità terapeutica
per attraversare i vari luoghi
di cura in maniera quasi autonoma vivendoli probabilmente come non-luoghi (Picardi et al., 2007).
Strutture residenziali psichiatriche (SR): un dispositivo per la riabilitazione
Intanto è utile ricordare come
riferimento che nel 1978 nei
76 Ospedali psichiatrici italiani erano presenti 78530
pazienti.
In tabella una sintesi ricavati
dai dati PROGRES relativa a SR
con un numero di posti ≥ 4.
Nel 2000 dunque sono state
censite 1370 residenze (con
4 o più posti letto) per un to-
tale nazionale di 17138 posti
letto, in media 2,98 p.l. per
10.000 abitanti, peraltro con
notevoli variazioni da regione a regione (range 0,7 6,93). Circa la metà delle residenze risultava aperta negli anni 1997-2000 (De Girolamo et al.2002). Importante
la variabilità del rapporto pazienti/operatori che in media
è di 1,4/1 ma con oscillazioni fra 0,8 e 22,3 pazienti per
operatore.
Alcuni sostengono che forse
sta finendo l’era della deistituzionalizzazione, sta cambiando lo Zeitgeist (Priebe e
Fioritti, 2004); ne vedono un
indice in questi numeri (specie nell’incremento dei p.l.
nel triennio precedente l’indagine), insieme ad altri segnali, come l’aumento dei letti nelle strutture psichiatrico
Tab. 4. Fenomeno della recidiva di ricovero. Coorte reclutata nel
1999/2000 negli SPDC della Azienda sanitaria Firenze
(totale1746 pazienti) con follow up di 4 anni.
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
Tab. 5
forensi in alcuni Paesi europei (ad esempio Olanda e Germania); la tendenza all’aumento degli internati negli
OPG in Italia e comunque
l’aumento dell’uso delle misure di sicurezza all’esterno degli OPG; il fatto che siano state recentemente pensate proposte di legge che prevedevano la possibilità di TSO prolungati anche in strutture
non sanitarie; la pratica che
si è diffusa in particolare negli Stati Uniti, di servizi cosiddetti “assertivi” di comunità, alcuni dei quali sono basati sulla no drop out policy
(il che significa che nessuno
può lasciare il trattamento).
O, infine, certi programmi aggressivi di intervento precoce
(early intervention) che prevedono di trattare, anche con
farmaci, il più precocemente
possibile e per tempi indefiniti giovani/adolescenti soggetti a rischio (non soggetti
malati).
Una visione di insieme sulle
caratteristiche dei pazienti
(ospiti) inseriti nelle Strutture residenziali (dall’indagine
PROGRES fase 1 e fase 2):
– il 45 % è completamente
inattivo (anche rispetto
alle attività di day care del
CSM);
– la metà dei pazienti aveva
trascorso più di 5 anni in
una SR;
– solo nel 20% dei casi è presente un sistema familiare/sociale di sostegno;
– circa il 70% ha una diagnosi nell’area del disturbo
schizofrenico;
– 1 paziente su 5 nell’anno
precedente ha avuto un ricovero in SPDC;
– il turn over dei pazienti è
assai modesto (il 37% delle
SR non ha dimesso pazienti nell’anno precedente
l’indagine).
Il processo di adattamento
dei pazienti all’interno delle
SR appare soddisfacente ma
ad esso non corrisponde (ed
anzi peggiora dopo una permanenza oltre i due anni)
una corrispondente capacità
sociale all’esterno (Barbato
etal., 2004; Scoscia et al.,
2005). Comunque la percezione soggettiva della qualità di
vita da parte dei pazienti che
abitano nelle SR è comparabile a quella percepita da pazienti con diagnosi di psicosi
e che vivono nella propria residenza. (dati PROGRES, fase
2 campione pari al 20% di
tutte le SR censite - Picardi et
al., 2006).
L’indagine registra una discreta qualità ambientale:
strutture relativamente piccole con una media di 10-12
pazienti, che è un dato relativamente confortante, anche
se va ricordato che indagini
analoghe in Inghilterra, condotte anche a Londra registrano una media di 5 pazienti per struttura (Lelliott et
al., 1996, Lewis e Trieman,
1995). Lo stesso studio PROGRES mostra la correlazione
fra dimensioni della struttura, qualità ambientale e alcuni indicatori di funzionamento sociale: più la struttura è
grande, più frequenti le fughe e i drop out e ugualmente
accade quanto più carenti sono gli spazi privati (stanze
singole) a disposizione dei
pazienti. Come è ovvio, spes-
Sae l ute
Territorio 47
so i due fattori si combinano.
Un obbiettivo centrale delle
SR, intese come dispositivo
riabilitativo, è la ricostituzione delle competenze sociali e
di ruolo che permettono l’autonomia abitativa nella propria residenza; e “l’esito abitativo” (se e in che misura i
pazienti vengono dimessi
dalla SR e in quale situazione
abitativa si trovano) è indicatore proxy di questo outcome.
Nel 2005 è stata condotta a
termine una indagine di follow
up (5 anni) di tutti i pazienti
presenti al gennaio 1999 nelle
SR del Dipartimento di salute
mentale della Azienda sanitaria Firenze (Fig. 1).
Il turn over nel periodo di follow up può apparire insoddisfacente dal punto di vista
“statistico”, non lo è affatto
dal punto di vista clinico se
teniamo presente la gravità
psicopatologica, l’andamento
cronico della malattia, il precario retroterra familiare (i
dati PROGRESS per la Regione
Toscana presentati a Firenze
il 26.10.2001 riportano, per i
pazienti inseriti nelle SR, una
sintomatologia grave nel 75%
dei casi, un sostegno familiare presente con certezza solo
nel 15%, una durata di malattia maggiore di 10 anni
nell’87% dei pazienti). I re-
Fig. 1. Diagnosi e esiti abitativi.
l ute
Sa
e
48 Territorio
sponsabili delle strutture vedono “nero”: collocazione futura a breve nella SR attuale
nel 78% dei casi e in una SR a
maggiore assistenza nel 3%.
A conferma di un utilizzo virtuoso – cioè con valenza riabilitativa – delle SR nella
Azienda sanitaria fiorentina
merita citare di nuovo la relazione consuntiva della attività della zona Firenze (Rossi
Prodi, 2007): a fronte di 156
ospiti presenti nelle SR di zona nel 2006, ne sono stati dimessi 70 e ammessi 83.
Una riflessione, infine, sulla
preparazione professionale
del personale operante nelle
SR che è insoddisfacente, con
una presenza di figure qualificate (ad es. psicologo)
quantitativamente modesta e
con interventi stabili di supervisione residuali.
In ogni caso, elemento costitutivo del processo terapeutico è la qualità del “clima” che
caratterizza la struttura, clima che è determinato sostanzialmente dall’assetto emotivo, dalla tenuta e dalla disponibilità degli operatori a tener vive (a nutrire) le relazioni con i pazienti.
Il clima terapeutico si correla
con l’alta qualità ambientale
e la piccola dimensione della
struttura (Brennan e Moos,
1990).
È sulla base di queste considerazioni che viene suggerito
con forza (a partire dai dati
di PROGRES, A. Picardi, ISS,
2007) la necessità di pianificare strutture residenziali di
piccole dimensioni.
Come funziona il sistema di
salute mentale nel suo
complesso?
Partiamo da una critica forte:
Nuove prospettive nel SSN
i servizi di primo accesso accolgono chi riesce ad arrivare
e, in qualche modo, a chiedere (Casavola et al., Una sperimentazione di psichiatria di
strada: progetto Diogene,
2005).
È vero: il sistema è reattivo, a
domanda risponde, anche in
maniera apprezzabile e diversificata a seconda dei bisogni
rilevati. A giudicare dal basso
numero di TSO in Toscana e a
Firenze in particolare possiamo ritenere che l’accessibilità
a livello territoriale è buona e
probabilmente la domanda è
accolta in tempi utili per prevenire sviluppi critici non
contenibili.
È vero anche che è organizzato per “l’attesa” ed scarsamente “pro-attivo” nella presa in carico dei “gravi che
non chiedono”, di solito pazienti con una sintomatologia regressiva/negativa, stabilizzati ma sostanzialmente
in situazione di de-socializzazione più o meno grave.
È una carenza importante, invisibile in ragione del fatto
che i pazienti che si isolano
non disturbano e dunque
drammatica per chi ne soffre,
da solo in prima persona, e
per i suoi familiari.
Ma cosa significa allora essere
attivi?
Specialisti del controllo rapido ed efficiente di tutti i
comportamenti disturbanti e
agenti della tranquillità familiare, del condominio, degli
ufficiali giudiziari che rendono esecutivi gli sfratti, delle
case di riposo, del Pronto
Soccorso?
Non è così; operare per la salute mentale nella comunità
non vuol dire utilizzare gli
strumenti della sedazione e
N. 166 - 2008
del TSO per trasformare la comunità stessa in un’unica
grande istituzione di impronta manicomiale “molle”, secondo la definizione di Basaglia. La linea guida dell’intervento comunitario è l’orientamento alla terapeuticità,
alla prospettiva del cambiamento interno, che implica ricercare in tutti i modi di stabilire una relazione con il paziente, relazione che si deve
approfondire per capire qualcosa di sintomatologie e situazioni complesse, per avviare almeno un barlume di
relazione fiduciaria, per arrivare infine ad una rapporto
terapeutico in cui il paziente
è capace di esprimere una sua
contrattualità e ricomincia a
dar voce alla sua soggettività, di norma inespressa a
causa di una disistima di sé
che lo espone in continuazione al fallimento (La “spirale
negativa” che conduce alla
desocializzazione secondo M.
Spivak).
È chiaro che questo assetto,
che punta alla valorizzazione
del mondo interno, della soggettività, della contrattualità
del paziente, è assetto antitetico all’idea del controllo
esterno, in qualche modo sovrimposto al paziente, pedagogico, quando non obbligatorio, formalmente o anche e
forse più spesso di fatto.
L’assetto “di controllo” è una
prassi terapeutica dirigista
(per la quale valgono alcune
ragioni teoriche) orientata
all’urgenza: “non si può
aspettare oltre!”, “non possiamo fare i comodi di questo
paziente/di questa famiglia”,
e, soprattutto, l’affermazione
che chiude qualunque discussione: “sarebbe bello tentare
ancora di convincerlo, purtroppo non ce lo possiamo
permettere, non è l’unico paziente, abbiamo la fila, ci
mancano risorse”.
L’assetto orientato alla contrattualità richiede tempo,
molto tempo, ad esempio
quello necessario per passare
da una interazione impregnata di sospettosità, più o
meno strutturata in senso
paranoico, ad una relazione
in cui cominciano ad emergere segnali di attaccamento fiduciario.
Il tempo che si impiega nel
finalizzare la relazione alla
contrattualità si guadagna
con molti interessi in prospettiva futura, perché quanto più “contrattuale” diviene
il paziente, tanto meno “dipenderà” dal sistema di cura
(traduzione: tendenza a ridurre il consumo di risorse
nel corso del tempo –lungo!della terapia,).
Allora essere “pro-attivi” significa andare verso, creare le
condizione per l’avvio della
relazione.
Credo che anche gli indicatori
di attività e di esito debbano
essere costruiti in maniera
diversa e specifica per due assetti che corrispondono a due
distinti processi terapeutici,
che corrispondono a due concetti diversi, vuoi di efficacia,
vuoi di efficienza.
La “cura come prescrizione”
cioè la psichiatria del “qui ed
ora”,del contenimento rapido
e del controllo dall’esterno
del sintomo si misura abbastanza bene conteggiando
prestazioni;
(segue a pag. 52)
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
Guido Guidoni
Mariella Orsi*
Responsabile UF Ser.T.
Zona fiorentina nord-ovest
ASL 10, Firenze
* Responsabile Centro studi,
ricerca e documentazione
sulle tossicodipendenze
e AIDS-CESDA-ASL 10, Firenze
L’
uso di droghe legali ed
illegali e gli altri comportamenti a rischio
rappresentano oggi alcuni dei
più importanti problemi di salute nel mondo occidentale.
Le conseguenze riguardano
non solo gli aspetti strettamente sanitari, ma anche
quelli psicologici e relazionali
soprattutto per l’impatto nei
sistemi familiari, quelli sociali ed anche quelli economici
per i costi legati, ad esempio,
all’ambito lavorativo.
Infatti, i problemi correlati
all’uso droghe non sono rappresentati solamente dalla
cosidetta tossicodipendenza
e dall’alcolismo, ma sono tutti quei problemi di vario ordine e natura causati e/o legati
all’assunzione episodica o
protratta di sostanze che,
avendo la capacità di modificare il sistema nervoso centrale (attività psicoattiva),
possano determinare problemi per qualsiasi tipo di uso
anche in chi non necessariamente ha sviluppato una
condizione di abuso o dipendenza. Ad esempio:
– uso di bevande alcoliche
e/o altre droghe illegali
durante il lavoro;
– uso di bevande alcoliche
e/o altre droghe illegali
durante la guida;
– uso di bevande alcoliche
Sae l ute
Territorio 49
Uso di droghe
e comportamenti
a rischio
e/o altre droghe illegali
durante la gravidanza;
– uso di bevande alcoliche
e/o altre droghe illegali
durante l’adolescenza;
– uso di bevande alcoliche
e/o altre droghe illegali in
corso di certe malattie (ad
es. neurologiche e psichiatriche);
– uso di bevande alcoliche
e/o altre droghe illegali in
corso di certe cure farmacologiche (ad es. psicofarmacologiche);
– uso di bevande alcoliche
e/o altre droghe illegali in
persone provenienti da altre culture.
La dimensione di queste problematiche è sotto gli occhi di
tutti ed è sempre più oggetto
di attenzione da parte dei
mass-media che, pur con tutti
i limiti delle modalità allarmistiche e spesso fortemente
stigmatizzanti, sottolineano
comunque un chiaro cambiamento di scenario dei fenomeni rispetto agli anni ‘90.
Appare quindi chiaro che i
problemi correlati all’uso di
droghe costituiscono uno
spettro assai più ampio delle
sole problematiche della tossicodipendenza e alcolismo
che, per quanto ne costituiscono sicuramente le manifestazioni più gravi e drammatiche, non lo esauriscono.
Nuovi scenari e nuove sfide per i servizi
e per la comunità
A queste problematiche infine si associano sempre più
anche altri comportamenti a
rischio “senza sostanza”,
quali il gioco d’azzardo che
mostra caratteristiche molto
simili a quelle dell’uso di droghe, soprattutto di quelle legali, dove il limite tra “normale” e “patologico” appare
assai difficile da definire.
Aspetti epidemiologici
Naturalmente esiste una correlazione stretta tra la prevalenza di queste problematiche ed i consumi nella popolazione generale e a tal proposito riporterò alcuni dati
dai quali appare chiaro come
questi comportamenti appaiono sempre più diffusi
nelle nostre comunità e non
solamente tra i giovani.
Circa l’86% degli uomini e oltre il 74% delle donne fa uso
di alcol.
In Toscana negli ultimi anni
si è registrato un importante
aumento del numero di consumatori donne e giovanissimi: il 70% degli studenti delle scuole superiori fa uso di
alcol (1).
I dati riguardanti i problemi
legati all’uso di alcol sono
drammatici: è possibile stimare in un milione e mezzo
gli alcolisti in Italia e in circa
4 milioni, con una forte componente giovanile, i bevitori
problematici.
Il tabacco in Toscana viene
usato dal 23% della popolazione; l’uso tra i giovanissimi
sembra essere in aumento (nei
giovani tra i 14 e i 19 anni circa il 65% ha provato a fumare
e 1/3 di questi diventerà un
fumatore regolare), inoltre, in
controtendenza rispetto alle
altre droghe, la prevalenza dei
giovani fumatori è maggiore
tra le ragazze (1,2).
L’uso di sostanze illegali riguarda il 30% dei giovani
adulti (15-34 anni): la droga
più diffusa è la cannabis seguita da cocaina, solventi, ecstasy, allucinogeni, anfetamine, oppiacei (3).
In particolare preoccupante è
la crescente diffusione di
quelle droghe che prima raggiungevano solo dei consumatori di élite, in particolare
la cocaina e i cosiddetti popper, mentre adesso sembrano
essere a disposizione di una
grande fetta di popolazione
l ute
Sa
e
50 Territorio
compresi i giovanissimi.
Nella recente Relazione 2007
della Direzione generale antidroga del Viminale è stato
evidenziato come l’Europa e
gli Stati Uniti rappresentino
il primo mercato mondiale di
consumo di droga, in particolare eroina e cocaina, e l’Italia si piazza in testa alla classifica. Infatti, sulla base dei
sequestri effettuati è attualmente tra i primi mercati della cocaina ed il secondo per
l’eroina, della quale si apetta
peraltro un ulteriore aumento di disponibilità sul nostro
mercato.
In Toscana tra gli studenti
delle scuole medie superiori
si stima che più di 57000
(33,2%) abbiano utilizzato
una droga illegale almeno
una volta nella vita, la maggiore prevalenza d’uso si ritrova nella zona della ASL di
Firenze con una percentuale
del 43%.
Si stima che i consumatori
abituali tra gli studenti siano
in Toscana 30000. La droga
più usata è la cannabis (56%
dei diciannovenni). La cocaina è stata sperimentata almeno una volta nella vita dal
5,6% degli studenti, ciò significa che in Toscana circa
9300 ragazzi hanno provato
questa droga e si stima che
circa 3000 studenti toscani
consumino cocaina mensilmente (4).
Il consumo di cocaina tra i
giovani risulta raddoppiato
dal 2001 a oggi (5).
Inquietanti appaiono i dati
riferiti al primo uso: il 70%
dei giovani dichiara di aver
consumato la prima droga entro i 15 anni (4).
Per le caratteristiche dei fenomi sono sempre più assimi-
Nuove prospettive nel SSN
lati ai problemi derivanti dall’uso di droghe anche altri
comportamenti a rischio
“senza sostanza”. Tra questi
sicuramente il più preoccupante è oggi il gioco d’azzardo
che appare in chiaro aumento
anche in relazione alla maggiore diffusione e accessibilità delle varie tipologie di
giochi d’azzardo: si tratta di
un fenomeno sempre più diffuso e spesso sottovalutato e
con un grande sommerso: infatti, circa l’80% della popolazione adulta gioca o ha giocato a un gioco d’azzardo; i giocatori patologici rappresentano l’1-3% della popolazione
con esordio generalmente durante l’adolescenza.
In Toscana oltre 20000 persone soffrono di una dipendenza da gioco (6). La forma di
gioco d’azzardo più recente è
rappresentata dal cosiddetto
remote gambling (che si realizza attraverso Internet, telefonia fissa e mobile, TV digitale e/o interattiva) particolarmente diffuso nella fascia
di età tra i 18 e i 34 anni (7).
Possibili scenari e sfide per
i servizi e per le comunità
Allargando quindi l’orizzonte
dai soli problemi di abuso e di
dipendenza all’intero spettro
dei problemi correlati all’uso
di droghe e all’interno di questo ambito allargando lo
sguardo dal solo uso di droghe illegali anche a quello
delle droghe legali e poi anche gli altri comportamenti a
rischio, appare sempre più
chiaro come ci si trovi di
fronte a fenomeni di estrema
complessità difficilmente riconducibili come si è cercato
di fare nel passato a una o
poche determinanti di tipo
N. 166 - 2008
individuale, familiare oppure
sociale.
È invece sempre più evidente
che siamo di fronte a fenomeni multifattoriali in cui gli
elementi interni alla persona
(di tipo biologico, psicologico, spirituale) e quelli esterni
(di tipo sociale e culturale)
sono intimamente interconnessi: solo pragmaticamente
e operativamente si possono
distinguere ed analizzare separatamente al fine di elaborare proposte operative che
comunque debbano sempre
fare massima attenzione al rischio di derivarne modelli
esplicativi che risulterebbero
necessariamente riduzionistici (p. es i vari modelli “patologici” o quelli “sociopatici”).
Proprio per la continua influenza di un gran numero di
fattori sulla fenomenica di
questi fenomeni, una loro intrinseca caratteristica è anche quella di essere in continua evoluzione: la storia di
questi ultimi venti anni ci ha
mostrato che forse sono fra i
fenomeni che hanno registrato le trasformazioni maggiori
fra tutti quelli che riguardano la salute.
Più di altri problemi di salute
impongono quindi non solo
lo sviluppo di capacità “diagnostiche e di intervento” dinamiche, continuamente aggiornate, ma anche la necessità di poter elaborare i possibili scenari sulla base dei
quali orientare le scelte politiche e di intervento.
Tenuto conto di quanto sopra
e cercando di descrivere possibili scenari all’interno di
quelli già previsti più in generale per i bisogni di salute
della popolazione generale, si
potrebbe forse provare a de-
scrivere alcuni possibili
aspetti senza alcuna pretesa
di esaustività.
Aspetto demografico
– È previsto che l’invecchiamento della popolazione
comporterà un aumento
generalizzato dei bisogni
di salute ed in particolare
dei problemi connessi alle
malattie croniche e degenerative (cardiovascolari,
tumori, apparato locomotore, malattie neuropsichiatriche).
Nello specifico dei problemi correlati all’uso di droghe si dovrà far fronte
sempre più anche al trattamento delle conseguenze a lungo termine, comprese quelle invalidanti,
dell’uso di droghe illegali
in modo peraltro sempre
più simile a quanto da
sempre avviene per i problemi alcolcorrelati.
– È previsto che l’Europa diventi il primo continente
d’immigrazione. Il fenomeno migratorio che riguarderà maggiormente il nostro Paese dovrebbe essere
quello proveniente dall’Africa con conseguente
“africanizzazione, arabizzazione e islamizzazione”.
Lo stato di salute delle popolazioni migranti è generalmente buono, ma per
quel che riguarda le problematiche connesse all’uso di droghe si amplificherà il problema dell’impatto di queste persone
con sostanze per le quali
non hanno alcuna tolleranza fisica, psicologica,
culturale e sociale (soprattutto alcol) con gravi problemi di disgregazione ed
emarginazione. Aumenterà
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
ulteriormente la disponibilità e l’accettazione sociale dell’uso di cannabinoidi, aumenterà la disponibilità di “manodopera”
per lo spaccio di droghe illegali, sarà sempre maggior la presenza di persone
immigrate con problemi di
uso di droghe e problemi
con la giustizia (con particolare interessamento della popolazione carceraria).
Cambiamenti sociali ed ambientali
– Nell’organizzazione dei
servizi sanitari esiste una
sempre maggiore affermazione del mercato libero
contemporaneamente ad
un affievolimento del ruolo dello Stato come garante di diritti come l’accesso
equo ai servizi sanitari con
le possibili conseguenze
negative di una sempre
minore possibilità di dare
assistenza ad una serie di
problemi quali l’emarginazione e la povertà.
Nello specifico del settore
questo fatto potrà tradursi in minori risorse per
questo settore che è storicamente “a rimessa” e
maggiori difficoltà ad intervenire soprattutto nelle situazioni particolarmente complesse.
Ad oggi comunque sembra che questo settore sia
di scarso interesse per i
capitali privati.
– Inoltre sarà possibile un
aumento delle domande
di cure per una maggiore
informazione ed anche
per il più generale fenomeno del “consumismo di
cure”.
Stili di vita
– Gli stili di vita nelle no-
stre comunità sono in rapida trasformazione, fortemente influenzati dalla
globalizzazione, fenomeno
dipendentente direttamente dalla frequenza dei
contatti tra gli individui
che peraltro continueranno ad aumentare: ciò riguarda aspetti quali l’alimentazione (problema
obesità) ma anche l’uso di
droghe e la relativa prevalenza dei problemi legati al
loro uso, come sopra riportato.
Ma anche le modalità di
consumo si modificano
continuamente sia per
quanto riguarda le droghe
legali che quelle legali, come avviene per il consumo
di bevande alcoliche che
non solo aumenta sempre
più nei giovani e nelle don-
ne, ma che viene sempre
più effettuato con modalità
diverse dal “tradizionale”
consumo ai pasti caratteristico della cultura mediterranea, al quale si affianca
sempre più anche il consumo nei luoghi di socializzazione e nel fine settimana.
Ciò comporta anche un aumento delle problematiche
complesse (presenza di
problematiche connesse
con l’uso di più droghe
contemporaneamente) e
sempre minor presenza
dell’eroinomane “classico”
e dell’alcolista “classico”.
Conclusioni
Superati gli angusti recinti
dei soli disturbi da abuso e
dipendenza in cui per lungo
tempo si sono cercati di ridurre i problemi correlati al-
Sae l ute
Territorio 51
l’uso di droghe legali e illegali
non possono oggi più essere
considerati di interesse esclusivo delle persone che ne soffrono, delle loro famiglie, degli operatori pubblici e privati che se ne occupano, delle
forze dell’ordine che ne cercano di contrastare l’uso illecito: le conseguenze dirette
e/o indirette riguardano tutti
indistintamente.
Sicuramente riguardano i politici ed gli amministratori, le
cui scelte strategiche risultano determinanti nel destinare risorse ad un settore che è
oggi riconosciuto prioritario
tra i determinanti di salute
delle nostre popolazioni, ma
anche sempre più centrale in
termine di sicurezza delle
nostre comunità; riguardano
certamente gli operatori del
settore, il cui operato do-
Figlia: Papà quante cose sai?
Padre: Eh? Uhm, so circa un chilo di cose.
F. Non dire sciocchezze. Un chilo di quali cose? Ti sto chiedendo davvero quante cose sai.
P. Bè, il mio cervello pesa circa un chilo e penso di usarne circa un quarto… Quindi diciamo due
etti e mezzo.
F. Ma tu sai più cose del papà di Johnny? Sai più cose di me?
P. Uhm.. una volta conoscevo un ragazzino in Inghilterra che chiese a suo padre: “i padri sanno
sempre più cose dei figli?” e il padre rispose: “Sì”. Poi il ragazzino chiese: “Papà chi ha inventato la
macchina a vapore?” e il padre: “James Watt”. Ed allora il figlio gli ribatté: “Ma perché non l’ha inventata il padre di James Watt?”.
F. Lo so: io so più cose di quel ragazzo, perché so perché il padre di James Watt non l’ha inventata.
È perché qualcun altro doveva inventare qualcos’altro prima che chiunque potesse fare una macchina a vapore. Voglio dire… non so… ma ci voleva qualcuno che scoprisse la benzina prima che
qualcuno potesse costruire un motore.
P. Sì… questa è la differenza. Cioè, voglio dire che il sapere è come tutto intrecciato insieme, o intessuto, come una stoffa, e ciascun pezzo di sapere è significativo o utile in virtù degli altri pezzi
e…
F. Pensi che si dovrebbe misurare in metri?
P. No, direi di no.
F. Ma le stoffe si comprano a metro.
P. Sì, ma non volevo dire che è una stoffa. È solo come stoffa… e certamente non sarebbe piatto
come stoffa… ma avrebbe tre dimensioni… forse quattro dimensioni.
F. Che cosa vuol dire, papà?
P. Non so, veramente, tesoro. Stavo solo cercando di riflettere.
G. Bateson, Step to an Ecology of Mind, Chandler Pbl., Francisco 1972.
l ute
Sa
e
52 Territorio
Nuove prospettive nel SSN
vrebbe essere sempre meno
orientato da visioni riduzionistiche della complessità
delle problematiche correlate
all’uso di droghe, quindi meno ideologizzato, continuamente problematizzato; riguardano però anche tutte le
componenti delle nostre comunità e tutti i singoli cittadini che dovrebbero riconsiderare il loro pieno coinvolgimento soprattutto in termini di riconoscimento dei
nessi non solo tra uso di droghe e problemi correlati, ma
anche tra questi e i modelli
socioculturali che sostengono modelli di consumo e di
piacere (modelli consumistico-edonistici) piuttosto che
modelli centrati sulla sobrietà, sul rispetto delle risorse ambientali ma anche
sociali. Modelli che in altri
termini abdicano ai principi
della corresponsabilità e dimenticano le correlazioni
(1) Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, 2006.
(2) ARS Toscana (2007), Il consumo di tabacco in Toscana. La prevalenza, le conseguenze sulla salute e azioni di contrasto.
(3) Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, 2003.
la “cura come relazione” cioè
la psichiatria orientata alla
costruzione di relazioni che
sollecitino il riemergere dall’interno della soggettività
del paziente e quindi la sua
contrattualità richiede altri
indicatori che valutino l’alleanza terapeutica, i “drop
out”, la continuità terapeutica, la qualità della dipendenza dal servizio, la consapevolezza di malattia…
Va detto che entrambi gli assetti di cura si fondano sulla
presa in carico da parte di un
gruppo multidisciplinare e
sulla continuità terapeutica,
ma lo slogan di un servizio
orientato alla “cura come relazione” potrebbe essere:
passare da servizi che adotta-
esistenti tra i comportamenti
individuali e gli effetti “globali” di questi.
In estrema sintesi emerge
sempre più (8) la necessità di
sviluppare l’attenzione alle
caratteristiche dinamiche ed
“ecologiche” dell’uso di droghe e dei problemi da questo
derivanti che permetta di arricchire la comprensione del
rapido modificarsi degli scenari e possa anche contribuire ad indirizzare le scelte po-
litiche, amministrative, professionali a livello di prevenzione primaria, secondaria e
terziaria, e che è necessario
si accompagni sempre ad un
atteggiamento in grado di esser aperto alla problematizzazione, alla complessità, al
continuo cambiamento. Un
po’ come sono i fenomeni
correlati all’uso di droghe e
un pò come suggerisce Bateson nel suo metalogo “Quante cose sai?”:
(4) Osservatorio di epidemiologia ARS Toscana, Lo stato delle tossicodipendenze in Toscana, 2005.
Bibliografia
(segue da pag. 48):
La psichiatria di comunità
N. 166 - 2008
no a vita a servizi che tendono
a rendersi superflui.
Negoziare, invece di esercitare
un controllo per ottenere una
compliance adattiva, è una
politica di servizio che tende a
collimare con fenomeni nuovi
che stanno attraversando il sistema della salute mentale. Mi
riferisco alla progressiva importanza dei movimenti dei
familiari ma anche degli utenti, movimenti molto attivi nei
Paesi anglosassoni, in stato
nascente in Italia.
Da considerare due aspetti:
a) il peso (il potere) derivante dalla trasformazione di
questi movimenti da organizzazioni di autotutela a
organizzazioni con funzioni propositive fino ad arrivare alla pianificazione dei
servizi e, da qualche anno,
alla partecipazione e al
(5) ARS Toscana (2007), I consumi di cocaina e l’utenza in carico: I dati toscani.
(6) Sir n. 11, 9 febbraio 2007.
(7) ARS Toscana (2007), Aspetti epidemiologici del gioco d’azzardo.
(8) Fea M. (2007), Editoriale, Mission, 22: 1-3.
coordinamento di progetti
di ricerca (D. Rose, 2007);
b) la valorizzazione progressiva di una cultura e di
concetti intorno alla malattia di mente che nascono dall’interno stesso del
movimento dei pazienti e
stanno assumendo rilievo
anche nella letteratura
scientifica a disposizione
del medico. Si tratta della
cultura centrata intorno al
concetto di recovery, concetto che riguarda il sentirsi “in ripresa” (riguarda
la soggettività, l’interfaccia con il sé) ben diverso
dal concetto di “guarigione” che nella cultura medica significa essere senza
sintomi (riguarda la misura dei sintomi, l’interfaccia
con il mondo).
L’alleanza terapeutica passa
attraverso una negoziazione
che considera la valutazione
soggettiva del paziente di pari valore alla valutazione clinica del medico. Il concetto
fondamentale è che la ripresa
(recovery), è un processo
continuo, attivo, individuale
e intrapersonale. La persona
non “guarisce” ma evolve.
La negoziazione non è facile:
il paziente deve rinunciare al
pensiero onnipotente di essere sano e di non avere affatto
bisogno di cura, il curante/i
curanti devono a loro volta rinunciare alla onnipotenza terapeutica ed alla convinzione
radicata di essere gli unici in
grado di definire l’andamento
della malattia ponendosi nella posizione (attualmente rara) di considerare valide anche le valutazioni dei pazienti
sul proprio stato soggettivo.
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
Sabina Nuti*
N
el 2006 la spesa pubblica destinata alla sanità
in Toscana è stata pari
a 6100 milioni di euro, corrispondente a circa il 70% del
budget di spesa complessivo
della Regione. Il sistema sanitario regionale pubblico
conta su più di 50.000 dipendenti ed i suoi servizi incidono enormemente sulla vita
dei cittadini, sia in termini
sociali, in quanto rappresentano una determinante rilevante della qualità di vita
della persona, sia in termini
economici, come spesa che la
collettività sostiene, ma infine anche come volano di sviluppo economico. Il sistema
sanitario regionale infatti
contribuisce in modo rilevante alla generazione dei redditi dell’economia toscana. Sulla base di uno studio realizzato dall’Irpet 1, se in Toscana
non esistessero i servizi sanitari il PIL regionale risulterebbe inferiore del 7,5%, gli
occupati sarebbero l’8% in
meno e le importazioni regionali ed estere risulterebbero
rispettivamente più basse del
4,5% e del 5,7%.
Sae l ute
Territorio 53
La valutazione
per la governance
del Psr
La rilevanza del sistema sanitario per una Regione è quindi tale da rendere estremamente critica e fondamentale
la sua gestione intesa sia in
termini di capacità di fornire
ai cittadini servizi adeguati
in qualità e volume, sia in
termini di sostenibilità economica che di impatto per lo
sviluppo del territorio. La sua
gestione rappresenta infatti
sempre di più una tra le sfide
più difficili per le amministrazioni pubbliche. Dal suo
buon funzionamento e da
una qualità adeguata dei servizi sanitari il cittadino basa
in buona misura il suo giudizio per valutare i risultati
conseguiti dall’amministrazione regionale. Si tratta di
servizi “vicini” alla gente,
che incidono pesantemente
sulla vita delle persone, che
coinvolgono direttamente e
indirettamente tutta la popolazione.
Conseguentemente, per le
amministrazioni regionali poter contare su un sistema di
misurazione dei risultati ottenuti dal sistema sanitario diventa, in questo contesto, un
Le procedure per il miglioramento
della performance delle Aziende sanitarie
vero e proprio fondamentale
strumento di governance che
può incidere pesantemente
sul successo politico di una
amministrazione regionale.
La Regione Toscana ha inteso
introdurre, con il sistema di
valutazione della performance presentato nei paragrafi
seguenti, uno strumento di
governo del sistema sanitario
regionale in cui gli orientamenti strategici di lungo periodo fossero monitorati congiuntamente con gli obiettivi
di breve periodo e dove il governo della spesa fosse integrato con le misure di risultato, con la finalità di evidenziare il valore prodotto per il
cittadino (Mc Laughlin et al.
2000). Fondamentale è infatti che le risorse della collettività creino “valore”, ossia che
siano adeguatamente utilizzate, con efficienza e appropriatezza, per fornire servizi
di elevata qualità, garantendo l’accesso e l’equità.
Con questi presupposti il “Laboratorio management e sanità”, costituito dalla Scuola
superiore Sant’Anna in collaborazione con la Regione Toscana, ha progettato e implementato in tutte le Aziende
sanitarie della Toscana il “Sistema di valutazione della
performance”, per misurare
la capacità di ogni Azienda di
essere strategicamente efficace ed efficiente, sia rispetto al territorio in cui opera,
sia nell’ambito del sistema regionale in cui è inserita.
Già nel Piano sanitario regionale 2002-2004 infatti, e poi
successivamente nei Piani sanitari regionali successivi, la
Regione Toscana indicava gli
obiettivi, i valori ed i principi
operativi del modello toscano
di sanità. Tra questi, sicuramente irrinunciabili il principio dell’universalità e della
programmazione, dell’efficacia e dell’efficienza.
In particolare, la programma-
* Sabina Nuti è professore associato di Economia e gestione delle imprese presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. È direttore del Laboratorio management e sanità della Scuola Superiore Sant’Anna costituito in collaborazione con la Regione Toscana che è responsabile del sistema di
valutazione della performance delle Aziende sanitarie toscane.
1 Cfr la Relazione sanitaria Regione Toscana 2003-2005, parte seconda, cap. 7 “Il sistema sanitario regionale: un attore importante del sistema
economico toscano” a cura dell’Irpet, pp. 139-149.
l ute
Sa
e
54 Territorio
zione combinata con il sistema delle Aziende attraverso
cui opera il sistema regionale,
è stato ritenuto fondamentale per ottenere la corrispondenza tra i bisogni dei cittadini e la tipologia, la qualità
e la quantità delle prestazioni erogate, evitando sprechi
di risorse e garantendo l’appropriatezza dei servizi (Vedung, 1997). Nel contesto
della sanità pubblica le
Aziende forse rappresentano
gli unici strumenti che, se
utilizzati con competenza,
possono garantire il perseguimento della missione del sistema sanitario pubblico. Le
Aziende rappresentano modalità potenti per organizzare l’azione, per orientare gli
sforzi di tutte le componenti
verso la finalità comune, ossia il miglioramento della salute dei cittadini pur adottando logiche di economicità.
Basandosi sulle Aziende quali
pilastri del sistema, nella Regione Toscana la competizione non è incentivata in primo
luogo perché nei servizi sanitari l’utente è in condizioni di
asimmetria rispetto ai soggetti erogatori, in secondo luogo
perché vi è un altissimo rischio di “bruciare” risorse
della comunità, ossia di duplicare investimenti soprattutto in tecnologie e macchinari per attirare la domanda
in modo inappropriato. Nel sistema sanitario pubblico allora, perché le Aziende svolgano il loro ruolo in modo efficiente ed efficace, spetta alle
Regioni e allo Stato attivare
2
Nuove prospettive nel SSN
meccanismi che svolgano il
ruolo che nel privato è svolto
dalla competizione. Tra questi
determinante è il sistema di
valutazione dei risultati. Questo deve essere condiviso nelle linee e nelle modalità da
tutti i soggetti che compongono il sistema, trasparente e
chiaro, ma deve essere anche
“inesorabile” nella sua oggettività, nel suo rigore, nella
sua sistematicità.
Il sistema di valutazione dei
risultati è fondamentale anche per attivare i processi di
innovazione permettendo,
attraverso il confronto delle
performance, di individuare
le best practices e di crescere
e migliorare come sistema valorizzando i risultati ottenuti
dai migliori.
In questo contesto, per supportare, valutare e valorizzare
l’azione delle 12 Aziende sanitarie locali e delle 4 Aziende ospedaliero-universitarie2
quali soggetti fondamentali
del sistema, responsabili della
realizzazione degli orientamenti regionali, la Toscana ha
ipotizzato fin dal 2002 l’attivazione di un sistema per monitorarne la performance, prevedendo la misurazione di
molteplici variabili rilevanti
nel perseguimento degli
obiettivi strategici regionali.
Le finalità e la struttura del
sistema di valutazione
La finalità del sistema di valutazione della performance è
stata, fin dalla sua progettazione iniziale, quella di fornire un quadro di sintesi del-
N. 166 - 2008
l’andamento della gestione
delle Aziende sanitarie, utile
non solo alla valutazione della performance conseguita,
ma anche per la valorizzazione dei risultati ottenuti. Il sistema progettato ed implementato nelle quattro realtà
pilota ha permesso di capire
inoltre che lo strumento poteva diventare un mezzo fondamentale per supportare la
funzione di governo soprattutto a livello regionale. Mediante il processo di valutazione della performance si è
inteso quindi avviare quello
di valorizzazione delle best
practices delle Aziende sanitarie, mediante il quale i managers e le organizzazioni nel
loro complesso potessero avere la continua opportunità di
apprendere e crescere. La presentazione dei dati sempre in
benchmarking tra le realtà
aziendali della Toscana facilita infatti il superamento dell’autoreferenzialità a favore
del confronto, inteso come
strumento fondamentale per
verificare i risultati conseguiti e gli eventuali spazi di miglioramento.
Nel corso della progettazione,
sperimentazione ed implementazione sono stati oggetto di studio e confronto i sistemi di valutazione della
performance adottati in altri
contesti sanitari pubblici, in
particolare il sistema adottato fin dal 1997 in Canada nella regione dell’Ontario per le
realtà ospedaliere3. Sono stati spunto di riflessione e di
analisi anche il sistema im-
plementato nel sistema sanitario inglese ed olandese,
nonché la ricca bibliografia
scientifica sul tema della valutazione della performance
in sanità.
Il sistema di valutazione della
performance della sanità toscana si basa sul monitoraggio di 130 indicatori, raggruppati in 50 indicatori di
sintesi costruiti ad “albero”,
classificati in sei dimensioni
di valutazione, ossia: lo stato
di salute della popolazione, la
capacità di perseguire le strategie regionali, la valutazione
sanitaria, la valutazione della
soddisfazione e dell’esperienza dei cittadini, la valutazione dei dipendenti ed infine la
valutazione della dinamica
economico-finanziaria e dell’efficienza operativa. Per
rappresentare la valutazione
conseguita, con una graduazione da 0 a 5, è stata adottata la simbologia del bersaglio
a cinque fasce di colore, dove
sono rappresentati più vicini
al centro del bersaglio i risultati con più elevata performance che hanno centrato
maggiormente l’obiettivo previsto. Il modello è semplice e
complesso insieme. Semplice,
perché la metafora del “bersaglio” che è stata utilizzata è
di immediata chiarezza, ma
anche complesso, perché, come in un gioco a scatole cinesi, partendo da un dato di
sintesi permette di analizzare, con passaggi successivi di
dettaglio, i dati di origine e le
loro determinanti. Ha alcune
caratteristiche fondamentali:
Nel 2007 le Aziende ospedaliero-universitarie della Toscana sono diventate 5. Si è aggiunta la Fondazione Monasterio costituita congiuntamente con il CNR.
3
Confronta www.Hospital report.com
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
è trasparente e condiviso, è
capace di monitorare non solo
i risultati delle istituzioni sanitarie in termini economico
finanziari, ma anche le modalità con cui queste si organizzano e ottengono risultati nel
processo di erogazione, la
qualità clinica e la soddisfazione dei cittadini. Questo è
molto importante perché l’efficienza fine a sé stessa, intesa come riduzione di risorse,
non ha senso nei servizi pubblici. È infatti un concetto
“relativo”: misura le risorse
utilizzate rispetto ai risultati
conseguiti. Non basta infatti
misurare i processi mediante
cui si contengono le risorse
utilizzate: queste vanno continuamente raffrontate con i
risultati, di varia natura, conseguiti. Efficienza è allora
riorganizzazione dell’allocazione delle risorse per ottene-
re, a parità di costi sostenuti,
output superiori in termini di
servizio reso e di qualità.
Ogni Azienda, quindi, vede
rappresentata sinteticamente
la propria performance nel suo
bersaglio, in cui vengono riportati i valori di sintesi di
circa 50 indicatori selezionati.
La maggior parte degli indicatori rappresenta la sintesi di
un “albero” di più indicatori.
Le dimensioni del sistema di
valutazione comprendono indicatori alimentati con dati
provenienti dal sistema informativo regionale, dai bilanci
aziendali e da indagini sistematiche con significatività
statistica, realizzate direttamente dal “Laboratorio management e sanità” per garantire l’omogeneità delle
metodologie adottate che risultano essenziali per ottenere dati confrontabili.
Le fonti dei dati sono il sistema informativo regionale, i bilanci delle Aziende, le indagini realizzate direttamente dal
Laboratorio MeS con le stesse
metodologie in tutte le realtà
per quanto concerne la valutazione interna ed esterna, e
le elaborazioni dell’Agenzia
regionale di sanità per quanto
concerne la valutazione dello
stato di salute della popolazione. Solo per gli indicatori
tasso di assenteismo e infortuni sui dipendenti, nell’ambito della valutazione interna, i
dati sono forniti direttamente
dalle Aziende al Laboratorio
MeS che li ha elaborati.
La performance del sistema
sanitario Toscano nel 2006
Nel 2006 il sistema sanitario
nel suo complesso ha ottenuto una performance positiva
su alcuni indicatori e una
Sae l ute
Territorio 55
performance media nella
maggior parte degli indicatori selezionati. Questo è chiaramente dovuto al fatto che i
risultati rappresentati sul
bersaglio regionale, soprattutto nel primo anno di elaborazione, in molti casi sono
calcolati sulla media dei risultati conseguiti dalle
Aziende e ricadono, quindi,
nella fascia gialla. Negli anni
successivi al primo di elaborazione, la Regione è stata in
grado di individuare un
obiettivo di azione per ciascun indicatore ed il posizionamento dell’indicatore del
bersaglio si è spostato dal livello intermedio in base alla
capacità del sistema regionale di migliorare. I dati nel
bersaglio si riferiscono al
2006, ad eccezione degli indicatori B5, B13, di quelli di salute della popolazione e di al-
Fig. 1. Il bersaglio regionale
2006.
l ute
Sa
e
56 Territorio
cuni indicatori della dimensione F che fanno riferimento
al 2005.
I bersagli delle singole Aziende appaiono in realtà assai
differenti con un maggior numero di punti estremi in fascia rossa-arancione e nelle
fasce verde scuro e verde
chiaro. Si veda a titolo di
esempio i bersagli della Ausl
9 di Grosseto e della Ausl 11
di Empoli (vedi Figg. 2 e 3).
Anche se il bersaglio regionale, elaborato sulle medie dei
risultati delle Aziende, non
presenta alcun indicatore sulla fascia rossa, questi sono
invece presenti in alcuni casi
nei bersagli delle singole
realtà aziendali.
L’introduzione del sistema di
valutazione ha permesso di
migliorare la performance
conseguita nella maggioranza
degli indicatori monitorati.
Nuove prospettive nel SSN
Gli obiettivi posti alle Aziende sono stati assegnati dalla
Regione considerando il punto di partenza di ciascuna
istituzione. Alle Aziende con
i risultati peggiori è stato richiesto uno sforzo maggiore.
Il sistema è oggi utilizzato
per supportare i processi di
pianificazione e programmazione a livello aziendale e regionale ed è collegato al sistema di incentivazione per
la Direzione aziendale. Le
Aziende del sistema a loro
volta hanno collegato lo strumento al loro sistema di budget interno.
La valutazione a supporto
della programmazione
La letteratura manageriale affronta la problematica della
valutazione multidimensionale della performance considerando quale oggetto di riferi-
N. 166 - 2008
mento il sistema azienda, evidenziando che la natura pubblica o privata non implica
sostanziali differenze in termini di utilità ai processi decisionali del management. Se
quindi sistemi di valutazione
multidimensionali possono
essere efficacemente applicati
anche in realtà pubbliche, rimane però da affrontare il
punto successivo ossia se
questi possono essere applicati anche a livello di “sistema”, ossia in dimensione regionale o nazionale. Uno
strumento come la valutazione multidimensionale della
performance acquista utilità
nella misura in cui è collegato
alla strategia aziendale, ne
guida l’azione e, mediante lo
studio delle determinanti dei
risultati, aiuta a riorientare
gli sforzi nel caso questi non
siano in linea con la strategia.
È possibile per un sistema
pubblico, composto da molteplici soggetti, con missioni a
volte integrate tra di loro, a
volte anche in competizione,
applicare le stesse logiche? È
possibile per un sistema pubblico nel suo complesso non
solo avere obiettivi politici ma
tradurli in strategie di azione
coerenti tali da permettere
l’applicazione di strumenti di
misurazione gestionali?
Soprattutto ciò che appare
difficile e critico a livello di
sistema, rispetto al riferimento aziendale, non è tanto
la rappresentazione multidimensionale dei risultati
quanto la costruzione della
“mappa strategica” tale da
consentire di governare le relazioni di causa ed effetto tra
azioni e risultati conseguiti.
Questa può avere, nel contesto dei sistemi sanitari pub-
Fig. 2. Il bersaglio 2006
della Ausl 9 di Grosseto.
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
Sae l ute
Territorio 57
Fig. 3. Il bersaglio 2006
dell’Ausl 11 di Empoli.
Fig. 4. La mappa strategica
del PSR toscano e suoi indicatori
di sintesi.
blici, diversi gradi di applicazione, in base alle scelte di
ruolo del soggetto pubblico.
Se questo si propone di svolgere un ruolo di programmazione complessiva, la costru-
zione della mappa strategica
è possibile ed auspicabile e
permette di avere una visione
integrata e coordinata dell’agire pubblico, facilitando l’individuazione delle azioni cor-
rettive e la valutazione anche
politica dell’operato dell’amministrazione pubblica (Ontario, 2005).
Nel contesto sanitario quanto
più il soggetto politico inter-
viene per definire non solo gli
obiettivi ma pianifica anche le
modalità e le strategie per
perseguirli, tanto più strumenti di valutazione multidimensionale sono adottabili.
l ute
Sa
e
58 Territorio
Nuove prospettive nel SSN
Quindi, a tal fine, la Toscana,
nell’ambito della programmazione sanitaria del prossimo
triennio, ossia nel Piano sanitario regionale in fase di predisposizione, ha inserito la
mappa strategica del sistema
sanitario in cui ritroviamo la
maggior parte degli indicatori monitorati nel sistema di
valutazione (vedi Fig. 4).
Per ciascuna sfida, o obiettivo
strategico del Psr sono stati
identificati i risultati attesi
con l’indicazione di ciò che
meritava di essere misurato al
fine di verificare nel tempo il
grado di raggiungimento degli
obiettivi stessi. Ciascuno degli obiettivi è stato declinato
in azioni e indicatori di monitoraggio relativi alla realizzazione stessa delle azioni previste. Tra questi indicatori sono stati inclusi la maggior
parte degli indicatori che
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winter.
N. 166 - 2008
compongono il sistema di valutazione della performance
della sanità toscana.
Con queste premesse, quale
elemento caratterizzante, la
valutazione vuole essere lo
strumento di governance su
cui impostare un processo di
comunicazione trasparente
con i cittadini e attraverso
cui il sistema pubblico si assume le proprie responsabilità sui risultati conseguiti.
Il sistema di valutazione nel
corso del 2008 sarà ampliato
ed implementato negli Estav
e predisposto anche a livello
di zona distretto a supporto
dei processi di governo delle
Società della salute. Nel prossimo triennio sarà oggetto di
studio e sperimentazione l’adozione di indicatori per la
valutazione dei dirigenti di
struttura complessa e dei medici di famiglia.
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Fogli d’informazione n. 5-6, gennaio-giugno 2008
Legge 180 - XXX anno
Un bilancio, realizzato da operatori, familiari, amministratori, delle lotte antistituzionali che hanno portato alla
chiusura definitiva degli Ospedali psichiatrici ed alla organizzazione di servizi territoriali aperti e partecipati.
Abbonamento annuo: privati € 30,00 - istituzioni € 60,00 - ccp. 81552713 intestato a DBA Firenze.
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
Gianni Amunni1
Adele Caldarella2
Catia Angiolini3
Paola Mantellini4
Emanuele Crocetti5
Eugenio Paci5
1
2
3
4
5
Sae l ute
Territorio 59
Indicatori di qualità
del percorso
assistenziale
Direttore operativo Istituto toscano tumori
CSPO - Istituto scientifico Regione Toscana UO di Epidemiologia clinica e descrittiva e Dipartimento di patologia umana e oncologia Università di Firenze
ASL 10 - UO Oncologia - Firenze
CSPO - Istituto scientifico Regione Toscana UO Screening
CSPO - Istituto scientifico Regione Toscana UO di Epidemiologia clinica e descrittiva
U
na delle prime iniziative che la rete oncologica regionale, coordinata nella RegioneToscana attraverso l’Istituto toscano tumori, ha assunto è stata quella di avviare la costruzione di
Raccomandazioni cliniche per
la pratica clinica avviando un
lavoro condiviso tra gli operatori della Regione; sono stati
utilizzati processi di condivisione diversi, più o meno metodologicamente documentati
ed elaborati, ma l’obiettivo
ottenuto è stato quello di costruire un denominatore di
pratiche cliniche condiviso
per il sistema regionale.
Alla base di questo primo
successo, vi è stata la sensibilità crescente per l’utilizzo
degli approcci Evidente-based
in oncologia, ma anche l’attenzione alla necessità di tenere in considerazione la specificità delle realtà locali, anche nella disomogeneità del
loro sviluppo tecnologico, e
valorizzare nel territorio la
presenza di centri di eccellenza e opinion leader locali
inserendoli in una rete di
condivisione.
Gli studi di valutazione della
qualità della pratica clinica e
del percorso assistenziale
condotti nelle realtà regionali
sono ancora pochi e occasionali, ed evidenziano risultati
che testimoniano una disomogeneità della allocazione
delle risorse e competenze all’interno delle Regioni; un
fatto che è attribuibile in parte alle disuguaglianze socioeconomiche o all’assenza di
programmazione, ma anche a
problemi di comunicazione e
di confronto nell’ambito della
cultura professionale.
In ogni sistema di linee guida
(o Raccomandazioni cliniche)
ciò che conta è il rapporto
con il mondo clinico che opera nelle Aziende, la necessaria mediazione tra le indicazioni di migliore pratica e le
realtà operative; la possibilità di attivare attraverso processi formativi, anche poco
strutturati, momenti di condivisione. Il livello di governo
regionale, con lo sviluppo
delle reti oncologiche, si caratterizza soprattutto come
momento orientato a favorire
il miglioramento e il cambia-
Le Raccomandazioni utili alla valutazione
clinica della qualità delle prestazioni
mento del sistema; volto
quindi a produrre e aggiornare versioni successive delle linee guida partecipate dagli
operatori con il principale
obiettivo di favorire l’omogeneizzazione delle pratiche
nella direzione di una maggiore applicazione di indicazioni basate sulle prove di efficacia e la migliore allocazione delle risorse. Si tratta di
offrire ai cittadini adeguati e
ottimali percorsi daignosticoterapeutici.
Soprattutto l’approccio a rete
di livello regionale deve essere capace di favorire il confronto tra i professionisti che
effettivamente lavorano, superando il tradizionale distacco tra formulazione delle
linee guida e loro effettiva
adozione. I meccanismi di
cambiamento del processo
decisionale clinico sono complessi, si fondano soprattutto
sull’autorevolezza di alcuni
opinion leader. Si tratta di at-
tuare modelli di diffusione
delle conoscenza e a questo
fine è essenziale studiare
quali sono le informazioni essenziali per valutare ciò che
nei fatti accade e i cambiamenti che avvengono.
In molti casi la produzione di
linee guida – e questo è avvenuto anche per le Raccomandazioni dell’ITT – non si è accompagnata a un processo
formale di formulazione di
indicatori di valutazione del
percorso clinico e assistenziale che permettessero di valutare il loro impatto. È stato
quindi necessario procedere
alla definizione operativa di
cosa si ritiene di dover misurare, ma anche programmare i
sistemi informativi che possano essere fonti di informazioni valide, tempestive e anche piuttosto dettagliate come quelle necessarie per la
valutazione clinica.
Nella realtà dei nostri servizi
sanitari oggi è possibile rea-
l ute
Sa
e
60 Territorio
lizzare questo obiettivo solo
in poche realtà regionali e lo
sviluppo di sistemi informativi utili per la valutazione è
ancora piuttosto episodica. È
necessario un forte impulso
per lo sviluppo della costruzione di sistemi regionali che
permettano la raccolta e l’elaborazione dei dati di valutazione per il governo clinico.
Nel frattempo è però necessario utilizzare al meglio i sistemi informativi esistenti e
arricchirli per quanto possibile. A livello nazionale sicuramente il sistema delle schede
di dimissione ospedaliera è
un sistema universale e con
buon contenuto di validità,
ancora poco utilizzato per valutazioni clinico epidemiologiche; più critico e disomogeneo quello delle prestazioni
specialistiche ambulatoriali
che ad oggi sono carenti di
informazioni cliniche essenziali. Nella Regione Toscana è
stato realizzato il flusso
informativo di anatomia patologica che permette approfondimenti essenziali in
campo oncologico.
I Registri tumori che coprono
circa il 30% della popolazione del nostro Paese rappresentano una importante risorsa per soddisfare e far cre-
Nuove prospettive nel SSN
scere questo bisogno informativo attraverso il lavoro di
connotazione delle diverse
fonti e la costruzione di percorsi diagnostico-terapeutici.
Purtroppo sono ancora territorialmente rappresentativi
solo nel centro-nord Italia e
poco estesi nel sud Italia. Lo
sviluppo di un approccio di
governo clinico a livello di
territorio regionale richiede
che il sistema informativo
abbia un orientamento di popolazione, quindi che abbia
accesso alle informazioni
provenienti da tutte le
Aziende e dai diversi presidi
erogatori, e allo stesso livello
di dettaglio, includa coloro
che si rivolgono per diagnosi
e trattamento fuori regione e
consenta realmente di misurare indicatori di interesse
per comparare la performance e misurare gli outcome. Un
sistema che trova quindi per
sua natura il Registro tumori
come momento centrale dell’integrazione dei flussi
informativi.
Il progetto ITT di valutazione della qualità
Obiettivo principale del progetto di valutazione dell’ITT è
stata la costruzione di un sistema di indicatori, cioè di
N. 166 - 2008
misure della qualità dell’assistenza per la popolazione residente con particolare riferimento alla valutazione:
– del percorso diagnostico-terapeutico, cioè della capacità di garantire la presa in
carico da parte del sistema
regionale toscano, offrendo
qualità delle prestazioni e
continuità assistenziale;
– degli erogatori di prestazioni in quanto finalizzata alla
valutazione della qualità,
della appropriatezza, disequità di accesso e, di conseguenza, contribuendo alla
programmazione e alla allocazione delle risorse;
– del governo dell’innovazione tecnologica (diagnostica, terapeutica e assistenziale).
In questa ottica il principale
risultato è garantire un livello qualitativo adeguato
dell’offerta clinica assistenziale in ciascuna unità di
riferimento della popolazione del sistema sanitario
toscano, la ASL presso la
quale il cittadino è registrato. Responsabilità della
Direzione aziendale è valutare la performance dell’insieme delle strutture e dei
presidi che il sistema regionale toscano mette a dispo-
A) Performance o ‘cruscotto’
Sono gli indicatori di interesse per i direttori generali; permettono di valutare alcune grandezze /obiettivi
essenziali per la funzione decisionale.
B) Programmazione della sanità pubblica
Sono indicatori che permettono di programmare gli interventi della sanità pubblica per l’omogeneizzazione
ed efficienza del sistema di assistenza e cura in oncologia;di specifico interesse sono quelli riferibili alla
“presa in carico o continuità assistenziale”.
C) Innovazione tecnologica
Sono indicatori che guidano nella introduzione di innovazioni tecnologiche secondo criteri Evidence-Based.
D) Qualità del percorso assistenziale
Sono gli indicatori per modificare le pratiche e verificare la corrispondenza con le indicazioni delle Raccomandazioni/linee guida. Sono specifici per patologia oncologica.
E) Qualità dei dati: indicatori di validità e confrontabilità dei dati presentati.
sizione del cittadino, nelle
diverse forme che la continuità assistenziale può assumere, dal medico di medicina generale, all’Azienda
ospedaliera universitaria,
al Presidio ospedaliero pubblico o convenzionato.
L’ Azienda sanitaria deve offrire un percorso di cura con
un livello adeguato della qualità clinico-assistenziale,
qualsiasi sia il soggetto del
sistema sanitario regionale,
pubblico o privato convenzionato, che eroga la prestazione. Un secondo livello di
valutazione, che è stato per
ora affrontato solo parzialmente in questo progetto ma
sarà oggetto di successivi approfondimenti, è indirizzato
alla valutazione degli erogatori, cioè alla valutazione
della performance di ciascuno
dei soggetti, pubblici e privati, che forniscono la prestazione di interesse oncologico
di rilevanza per la valutazione della qualità assistenziale.
Il sistema di indicatori che è
necessario costruire è naturalmente complesso, in particolare dovendo rispondere alla domanda conoscitiva di diversi decisori (Tab. 1).
Un sistema di indicatori identifica un set minimo di misu-
Tab. 1. Principali tipi
di indicatori per la valutazione
delle reti oncologiche regionali.
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
1. Proporzione di nuovi casi di carcinoma invasivo identificati dal programma di screening nella popolazione
target, sul totale dei casi incidenti del Registro tumori.
2. Proporzione di nuovi casi con diagnosi preoperatoria e/o intraoperatoria sul totale dei casi operati per carcinoma invasivo.
3. Proporzione di nuovi casi operati con chirurgia conservativa, sul totale dei casi invasivi con diametro della
lesione inferiore ai 2 cm.
4. Proporzione di nuovi casi con dissezione del cavo ascellare, in pazienti operati con diagnosi di carcinoma
in situ.
5. Proporzione di nuovi casi di pazienti con carcinoma invasivo che eseguono il linfonodo sentinella, sul totale delle operate con carcinoma invasivo.
6. Proporzione di nuovi casi di pazienti con carcinoma invasivo sottoposte a linfoadenectomia con asportazione di almeno 10 linfonodi, sul totale delle operate con carcinoma invasivo.
7. Proporzione di nuovi casi che ricevono un intervento chirurgico ricostruttivo, sul totale delle operate con
mastectomia.
8. Proporzione di nuovi casi di carcinoma invasivo per stato linfonodale e classe di età che ricevono una chemioterapia adiuvante, sul totale dei casi invasivi con intervento chirurgico.
9. Proporzione di soggetti con chemioterapia adiuvante entro un mese dall’intervento chirurgico, sul totale
dei casi invasivi che ricevono chemioterapia adiuvante entro i tre mesi.
10. Proporzione di nuovi casi che ricevono radioterapia, sul totale dei casi invasivi operati di chirurgia conservativa.
11. Proporzione di nuovi casi che ricevono una ormonoterapia, per stato linfonodale e classe di età, sul numero dei casi invasivi con intervento chirurgico.
12. Proporzione di nuovi casi di carcinoma invasivo con valutazione dell’oncogene c-erbB2, sul totale dei casi
di carcinoma invasivo.
re che, per la loro pertinenza,
siano in grado di connotare il
problema di interesse. È evidente che sistemi diversi di
indicatori, corrispondenti
cioè a diversi obiettivi e finalità, possono richiedere diversa sensibilità. Ogni indicatore è inoltre una misura statistica e quindi soggetta a variabilità. La conoscenza del
fenomeno, le caratteristiche
della popolazione studiata e
le proprietà statistiche dell’indicatore stesso devono essere tenute in conto al fine di
valutare la validità e precisione della performance. L’ indicatore, per definizione, descrive soltanto un aspetto di
un processo; la sua funzione
è quella di “marcare” un processo, invitando alla revisione e miglioramento della
qualità del processo stesso.
Lo sviluppo dei sistemi informativi computerizzati di popolazione è alla base della
odierna possibilità di realizzare sistemi di valutazione di
indicatori clinici a livello di
popolazione.
Nella Regione Toscana sono
attivi i flussi regionali
(SDO,SPA e) dal 2004 anche il
flusso di anatomia patologica
che hanno permesso una
profonda trasformazione del
Registro tumori di popolazione (Registro tumori della Regione Toscana www.cspo.it,
RTRT), che a partire dal 2004
produce dati relativi a tutta la
popolazione regionale. Questi
dati, grazie al linkage delle diverse fonti, permettono di
identificare i nuovi casi di malattia oncologica e quindi a
partire dalla data di diagnosi
di ricostruire il percorso diagnostico terapeutico e l’outcome per ciascun soggetto.
Esistono naturalmente notevoli problemi di sviluppo e
omogeneità del sistema
informativo oncologico, e i
flussi informativi correnti,
pur offrendo informazioni rilevanti e soprattutto la copertura di tutti i presidi pubblici e privati convenzionati,
hanno limitazioni che solo
nuovi investimenti tecnologici potranno superare. Per
questo il progetto ITT ha promosso, in parallelo allo studio
dei dati registri e dei flussi
informativa, una indagine
campionaria relativa ai casi
del primo quadrimestre del
2006. Sono stati selezionati
casualmente 1660 soggetti
che in quel periodo si erano
ammalati (nuovi casi) per tumore del polmone, della
mammella, del colon retto,
dell’ovaio e della prostata.
Grazie alla collaborazione
delle Aziende sanitarie sono
state identificate le cartelle
cliniche e ricostruito il percorso diagnostico terapeutico. Su questa base, attraverso
una ricostruzione attenta e
Sae l ute
Territorio 61
Tab. 2. Indicatori essenziali
per il carcinoma della mammella.
complessa, si sono potute
raccogliere alcune informazioni essenziali che, in primo
luogo, hanno permesso di misurare gli indicatori come per
l’anno 2004.
La definizione delle liste degli
indicatori è stata parte essenziale di questo processo. A
partire dalle Raccomandazioni, pubblicate dall’ITT nel
2005, sono stati individuati
pochi indicatori – un massimo
di 15 – per ciascuna neoplasia. È stato quindi definita,
anche sulla base delle potenzialità del sistema informativo
esistente, l’indicatore di interesse. A titolo di esempio nella Tabella 2 sono presentati gli
indicatori scelti per il tumore
della mammella. L’ottica è
quella dello studio del momento diagnostico e di trattamento primario. Non si è ancora affrontato il tema della
cura e trattamento delle metastasi e recidive, ma alcuni in-
l ute
Sa
e
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Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
Graf. 1. Indicatore 3.
dicatori comunque spaziano
su altri fasi come per esempio
quella della fine della vita.
A titolo puramente esemplificativo presentiamo i risultati
dell’Indicatore 3 (Graf. 1) come compaiono nel Rapporto
in corso di pubblicazione da
parte dell’ITT e che può essere richiesto a [email protected]
Il sistema regionale, in accordo con le linee guida nazionali e internazionali, garantisce
che nella media i suoi assistiti
con una diagnosi di PT1 per
tumore della mammella ricevono una terapia conservativa. Vi è qualche indicazione di
criticità in alcune Aziende sanitarie, e questo aspetto dovrà
essere oggetto di approfondimento e intervento.
Risulta chiaro dall’insieme
dei dati presentati nel Rapporto che vi è una forte tendenza all’omogeneità e che
gli standard osservati mostrano alta adesione alle Raccomandazioni, anche in accordo
con standard nazionali e internazionali come quelli di
SQTM, un sistema di valutazione di qualità del trattamento chirurgico della mammella accreditato a livello
scientifico internazionale.
Il principale risultato di questo lavoro è che è stato possibile, grazie alla grande collaborazione degli operatori to-
scani e delle Direzioni aziendali, realizzare un primo rapporto e presentare dati sulla
performance di indicatori clinici discussi e condivisi.
Naturalmente è una prima
esperienza e l’avvio di un work
in progress che deve essere capace di favorire confronti, discussioni, individuare differenze di comportamenti, stimolare modifiche comportamentali e organizzative.
Nel complesso l’impressione è
di un sistema piuttosto omogeneo, con elevata attenzione
alla qualità professionale, e
con livelli di performance del
tutto accettabili quando comparati con le poche esperienze
di letteratura disponibili anche a livello internazionale.
I dati raccolti sono ricchi di
informazioni e l’esperienza
che è stata fatta ha dimostrato che, nella maggioranza dei
casi, i servizi hanno disponibili informazioni importanti
ma che non sono standardizzate e disponibili facilmente
per una condivisione. Vi è
quindi assoluta necessità, e
questo lavoro lo ha confermato, che il sistema informativo
per l’oncologia raccolga questa esperienza e la valorizzi
per consentire la possibilità
di continuare il lavoro e sviluppare la valutazione di
qualità in oncologia.
Nuove prospettive nel SSN
N. 166 - 2008
Gavino Maciocco
Sara Barsanti*
Dipartimento di sanità pubblica,
Università di Firenze
* Scuola Superiore S. Anna, Pisa
I
n vista delle elezioni presidenziali americane del
2008 il dibattito sulla
riforma del sistema sanitario
è uno dei punti centrali della
campagna elettorale. Una ricerca 1 condotta dal Commonwealth Found su un campione rappresentativo di circa
3.500 americani di età superiore ai 19 anni ha dimostrato
che la visione sul sistema sanitario e sul possibile rinnovamento sarà un fattore determinante nella scelta del
candidato. Circa l’86% degli
intervistati, indipendentemente dal reddito o idee politiche, ha dichiarato infatti
che la proposta di rinnovamento del sistema sanitario è
molto o abbastanza importante nel voto per il candidato alle presidenziali. La maggior parte degli intervistati,
inoltre, sostiene che la responsabilità di offrire una copertura assicurativa spetta ai
datori di lavoro. Molti americani sono a favore di una copertura sanitaria universale,
con l’aiuto del Governo per
chi non può permetterselo;
l’idea però di una assistenza
per tutti varia a seconda dei
Sae l ute
Territorio 63
Un possibile sistema
sanitario negli USA*
livelli di reddito, dello stato
di provenienza e delle idee
politiche. In ogni caso la
maggior parte degli americani concorda che la responsabilità del finanziamento del
sistema dovrebbe essere condivisa tra i datori di lavoro, lo
Stato ed i singoli individui.
Democratici e repubblicani
hanno programmi molto divergenti al riguardo.
I candidati repubblicani ritengono che l’attuale sistema
vada migliorato, allargando la
copertura attraverso incentivi fiscali che favoriscano l’acquisto di polizze assicurative
da parte degli individui.
I due principali sfidanti in
campo democratico, Hillary
Clinton e Barack Obama, hanno lanciato una decisa campagna a favore della copertura sanitaria universale, denunciando il paradosso di un
sistema sanitario tanto costoso, quanto iniquo.
“Gli USA spendono ogni anno
oltre 2000 miliardi di dollari
e offrono la migliore tecnologia medica al mondo. Ma i benefici del sistema sanitario
americano hanno dei prezzi
così elevati che un crescente
Il programma elettorale dei Democratici
a favore della copertura sanitaria universale
numero di individui e di famiglie, di imprese e dipendenti non se li possono permettere (Obama)”.
“Gli americani danno molto
valore all’assistenza sanitaria
e alla copertura assicurativa,
ma il suo costo è spesso proibitivo. In una recente indagine oltre la metà dei non assicurati dice che non se la possono permettere. Non è una
sorpresa. Il prezzo di una polizza assicurativa basata sull’impiego (pagata dal datore
di lavoro con il contributo del
dipendente) è di oltre 12.000
dollari. Per metà degli americani ciò rappresenta un quarto del loro reddito annuale.
Questo aiuta a spiegare perchè due terzi dei non assicurati hanno redditi al di sotto
del 200 per cento della soglia
di povertà (circa 40.000 dollari all’anno per una famiglia di
quattro persone). Il costo dell’assicurazione è una seria
barriera alla copertura per le
persone con gravi problemi di
salute o con difficoltà nell’accesso all’assicurazione basata
sull’impiego. La polizza di
una persona con problemi di
salute può essere di molte
volte superiore a quella di
una persona giovane e sana.
Ma essere giovane non significa necessariamente avere un
facile accesso a una copertura
abbordabile. Circa il 30% dei
giovani adulti è senza assicurazione, e un giovane su tre
ha qualche tipo di problema
di debito dovuto a spese mediche. I giovani aduti hanno
meno probabilità di essere assicurati perchè hanno con
maggiore probabilità lavori
precari o part-time (Clinton)”.
Ma anche l’assicurazione non
protegge dalla catastrofe finanziaria, infatti tra franchige e compartecipazioni alla
spesa “nell’ultimo anno circa
11 milioni di assicurati hanno
speso più di un quarto del loro salario in assistenza sanitaria. Oltre la metà delle bancarotte familiari sono oggi cau-
* Il presente contributo è stato pubblicato su Toscana Medica, n. 3, 2008.
1 The Public’s view on health care reform in the 2008 Presidential Election, Sara Collins and Jennifer Kriss, The Commonwealth Found, January
2008; disponibile all’indirizzo web http://www.commonwealthfund.org/
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64 Territorio
Nuove prospettive nel SSN
“Noi adesso abbiamo l’opportunità – e l’obbligo – di voltare pagina rispetto alla precedente, fallimentare, politica sanitaria.
Alla base del mio programma c’è la copertura di tutti gli Americani. Se tu sei già assicurato, l’unica cosa che cambierà sarà
il prezzo del tuo premio assicurativo. Esso sarà più basso. Se
sei uno dei 45 milioni di Americani privi di assicurazione, tu
l’avrai una volta che il mio programma sarà diventato legge. E
nessuno sarà rifiutato a causa di una malattia pre-esistente”.
Barak Obama
sate dalle spese mediche. La
mancanza di un’assistenza sanitaria finanziariamente equa
si accompagna a seri problemi
di affidabilità. Ogni anno circa 100 mila Americani muoiono per errori medici in ospedale. Errori nella prescrizione
dei farmaci costano alla nazione più di 100 miliardi di
dollari all’anno (Obama)”.
Le soluzioni proposte dai due
candidati democratici per
uscire da questa situazione e
approdare a un sistema sanitario più equo e sicuro e meno
costoso, non sono molto dissimili. Nessuno dei due punta a
riforme radicali (nessuno dei
due, ad esempio, ha abbracciato la proposta di un altro
candidato democratico uscito
precocemente di scena, Dennis Kucinich, quella di istituire un’assicurazione sanitaria
nazionale – tipo canadese – a
cui tutti i cittadini americani
si dovessero iscrivere); il loro
obiettivo è quello di correggere le distorsioni più eclatanti,
di rafforzare i punti deboli del
sistema, di creare una solida
rete di protezione per i gruppi
più vulnerabili.
I punti più significativi di
questa manovra sono:
1. Convincere (quasi costringere) le imprese più grandi
N. 166 - 2008
ad assicurare i propri dipendenti (play or pay: assicura
o paghi una sovratassa).
2. Incentivare le imprese più
piccole ad assicurare dipendenti tramite incentivi
fiscali.
3. Convincere-costringere le
assicurazioni a tenere più
basse le tariffe, vietando il
ricorso alla selezione dei
pazienti sulla base di patologie pre-esistenti.
4. Istituire un’agenzia nazionale di acquisto (Health
Choice Menu, Clinton; Nation Health Insurance Exchange, Obama) per aiuta-
re gli individui e le imprese a scegliere polizze assicurative di qualità, a prezzi abbordabili.
5. Istituire una nuova assicurazione pubblica per coloro che non sono coperti da
Medicaid (il programma
pubblico che assicura alcune categorie di poveri) e
rendere comunque obbligatoria l’assicurazione per
i bambini (Obama).
6. Rafforzare la rete di protezione di Medicaid in modo
che tutti gli individui e le
famiglie a basso reddito
siano protetti (Clinton).
“Il mio programma copre tutti gli Americani e migliora l’assistenza sanitaria abbassando i costi e migliorando la qualità. Se
tu sei uno delle decine di milioni di Americani senza copertura
o non sei soddisfatto della copertura che hai, avrai la possibilità di ottenerla scegliendo tra vari programmi assistenziali ed
riceverai un credito d’imposta che ti aiuterà a pagarla. Se sei
soddisfatto del piano che hai, lo potrai mantenere. Questo è un
piano che funziona bene sia per le famiglie che per le imprese,
preservando la libertà di scelta dei consumatori”.
Hillary Clinton