Salute eTerritorio Nuove prospettive nel SSN
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Salute eTerritorio Nuove prospettive nel SSN
Sae l ute Territorio Direttore responsabile Mariella Crocellà Redazione Antonio Alfano Gianni Amunni Alessandro Bussotti Francesco Carnevale Bruno Cravedi Laura D’Addio Gian Paolo Donzelli Claudio Galanti Marco Geddes Valtere Giovannini Carlo Hanau Gavino Maciocco Mariella Orsi Daniela Papini Paolo Sarti Luigi Tonelli Alberto Zanobini Collaboratori Marco Biocca, Centro Documentazione Regione Emilia-Romagna Eva Buiatti, Osservatorio Epidemiologico, Agenzia Regionale di Sanità della Toscana Ivan Cavicchi, Università La Sapienza e di Tor Vergata - Roma Giuseppe Costa, Epidemiologia - Grugliasco, Torino Nerina Dirindin, Assessore alla Sanità, Regione Sardegna Luca Lattuada, Agenzia Regionale della Sanità - Friuli Pierluigi Morosini, Istituto Superiore di Sanità - Roma Emanuele Scafato, Istituto Superiore di Sanità - Roma Comitato Scientifico Giovanni Berlinguer, Professore Emerito Facoltà di Scienze - Roma Giorgio Cosmacini, Centro Italiano di Storia Sanitaria e Ospitaliera - Reggio Emilia Silvio Garattini, Istituto Negri - Milano Donato Greco, Direttore Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria, Ministero della Salute Elio Guzzanti, Docente di Organizzazione Sanitaria Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli” - Roma Segreteria di redazione Simonetta Piazzesi 349/4972131 Segreteria informatica Marco Ramacciotti Direzione, Redazione [email protected] http://www.salute.toscana.it Edizioni ETS s.r.l. Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa Tel. 050/29544 - 503868 - Fax 050/20158 [email protected] www.edizioniets.com Distribuzione PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze] Questo numero è stato chiuso in redazione il 15 febbraio 2008 166 Rivista bimestrale di politica sociosanitaria fondata da L. Gambassini FORMAS - Laboratorio Regionale per la Formazione Sanitaria Anno XXIX - Gennaio-Febbraio 2008 Sommario 2 L. Setti, G.F. Gensini Una nuova partnership Monografia 3 I. Cavicchi 9 A. Gardini 14 M.T. Mechi, F. Gemmi, P. Barbacci, F. Bellini, A. Cecchi, G. Monti, P. Pacini, P. Tosi 19 F. Capacci, F. Carnevale 24 A. Bussotti, E. Crucci 29 L. Tonelli 34 P. Sarti 38 F. Gori, S. Gori, C. Mannini, F. Festini 44 M. Ferrara 49 G. Guidoni, M. Orsi 53 S. Nuti 59 G. Amunni, A. Caldarella, C. Angiolini, P. Mantellini, E. Crocetti, E. Paci 63 G. Maciocco, S. Barsanti Nuove prospettive nel SSN Il pensiero debole della sanità Qualità e nuove tecnologie La riorganizzazione “snella” dell’assistenza ospedaliera Abbonamenti 2008 Italia € 41,32 Estero € 46,48 Fotocomposizione e stampa Edizioni ETS - Pisa Morire di lavoro Le Unità di medicina generale Le risorse del web Pediatria e cultura della salute La somministrazione di farmaci pediatrici a domicilio La psichiatria di comunità Uso di droghe e comportamenti a rischio La valutazione per la governance del Psr Indicatori di qualità del percorso assistenziale Un possibile sistema sanitario negli USA Per abbonarsi: www.edizioniets.com/saluteeterritorio Pagamenti online con carta di credito o PayPal l ute Sa e 2 Territorio N. 166 - 2008 Una nuova partnership A partire da questo numero Salute e Territorio esce sotto il patrocinio del FORMAS, il Laboratorio che la Regione Toscana ha recentemente costituito per sostenere e coordinare le iniziative del Sistema sanitario regionale nell’ambito della formazione sanitaria e in particolare della formazione continua. Non è un cambio di proprietà. Salute e Territorio, come tutte le riviste vitali, è dei suoi lettori, di tutti coloro che la fanno vivere, di una comunità di persone che ne condivide e sostiene il progetto. Rimane immutata l’idea fondante di una rivista che affronti e discuta i temi più rilevanti delle politiche sociosanitarie, con l’intento di fare conoscere e divulgare esperienze e soluzioni. Così come rimane immutato il baricentro – quello del sistema toscano – che non intende essere una chiusura verso modelli diversi, ma rappresenta la prospettiva e il sistema di valori in riferimento ai quali si intesse il dialogo con la realtà complessa dei servizi e dei sistemi sociosanitari. Per la rivista e per il FORMAS ha inizio, invece, una nuova partnership che si fonda sull’incontro tra due soggetti che condividono alcune finalità di fondo e dalla quale possono e devono trarre nuove opportunità. Il contributo che la rivista può dare al FORMAS è la sua consolidata capacità di leggere la realtà in modo dialogico, e di rappresentare un importante momento di informazione e formazione per molti operatori. È la missione originaria di Salute e Territorio ed è, al tempo stesso, una risorsa preziosa per il FORMAS. Il FORMAS, a sua volta, potrà rappresentare uno stimolo perché le informazioni e le analisi che la rivista produce e diffonde siano sempre più orientate a diventare conoscenze e competenze spendibili dagli operatori, in grado di tradursi il più rapidamente possibile in miglioramento dei servizi. Un approccio proattivo nei confronti dei problemi e interattivo con i lettori e più in generale con il Sistema sanitario regionale e nazionale rappresenta il riferimento generale del progetto editoriale che prende l’avvio, innestandosi sulla prestigiosa tradizione di Salute e Territorio, per fare sì che la collaborazione fra FORMAS e la rivista possa offrire un nuovo e efficace strumento di comunicazione e di crescita per il nostro Sistema sanitario. La capacità della nuova collaborazione di essere efficace e di divenire sinergia dipenderà, innanzitutto, dalla capacità dei due soggetti coinvolti di assolvere ai propri rispettivi ruoli in una prospettiva comune. Una parte rilevante spetterà anche, però, ai nostri lettori. Ad essi il compito di guidarci nella realizzazione della nostra missione, indicando possibili obiettivi e strategie, segnalandoci eventuali elementi di debolezza, condividendo con passione e senza indulgenze le criticità percepite. Solo così Salute e Territorio potrà mantenere l’autorevolezza conquistata negli anni e continuare a rappresentare un preciso punto di riferimento per la grande comunità della Sanità toscana, con la sua ricchezza di fermenti, di crescita, di innovazione, ma anche di attese, di discussione, di riflessione attenta. Ci impegneremo per questo, consapevoli che solo un impegno corale degli amministratori, dei professionisti, e dei cittadini potrà consentire al Progetto di realizzarsi nel modo migliore. Siamo convinti che questo impegno non mancherà. Luigi Setti Gian Franco Gensini Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 Ivan Cavicchi* E sattamente trent’anni fa prendeva forma un “pensiero forte”, la riforma sanitaria del 23 dicembre 1978, il cui obiettivo strategico era cambiare alle fondamenta il sistema di tutela per affermare un nuovo diritto alla salute. Le condizioni politiche, culturali, economiche per questo cambiamento, già all’indomani dell’approvazione della riforma, si indebolirono, e in luogo del cambiamento dei modelli assistenziali, presero piede strategie moderate ispirate alla buona gestione, alla razionalizzazione e al governo regionale. Ad un “pensiero forte” si sostituì negli anni un “pensiero debole”, un pensiero certamente inadeguato a governare le sfide del tempo, ma soprattutto rassegnato ad operare, al meglio certamente, ma dentro vecchi modelli di tutela. Oggi questo pensiero debole non solo mostra inevitabilmente tutti i suoi limiti, la sua regressività, ma ci stiamo rendendo contro che i risultati che attendevamo dalle sue politiche, cioè i miglioramenti, Sae l ute Territorio 3 Il pensiero debole della sanità sono palesemente al disotto delle necessità del sistema e delle ragionevoli aspettative. Non che non si sia fatto niente, per carità, la buona amministrazione di risultati ne ha dati, e come, ma questi risultati spesso si sono pagati con nuove e più pesanti contraddizioni come la crescita delle diseguaglianze, l’autoreferenzialità dell’offerta di servizi, la crescita della spesa privata, il contenzioso legale, la caduta della qualità delle prestazioni, il razionamento delle coperture ecc. Oggi è chiaro che migliorare i modelli è un obiettivo sacrosanto ma anche che questa strategia non è in grado in nessun modo di sostituirsi a inevitabili strategie di cambiamenti dei modelli. Oggi ci è chiaro che i problemi di prospettiva a cui va in contro il sistema sanitario pubblico soprattutto l’antieconomicità (cioè di una spesa crescente senza benefici di salute crescenti) sono principalmente determinati dalla vetustà dei modelli e principalmente dalla arretratezza di forme di tutela che non sono mai state veramente riformate. Dall’istituzione del SSN ad oggi. L’esigenza di rifondare la governabilità, oltre che la sostenibilità, del Servizio pubblico Oggi quindi ritorna con forza la necessità di un pensiero forte, di un pensiero riformatore, e quindi il tema del cambiamento. Perché la sanità è come penalizzata dal pensiero debole? Tre le ragioni principali: – gli interessi in gioco hanno ragioni per mediare su proposte deboli; – il senso comune a sua volta ha un apparato concettuale povero, cioè non ha idee nuove; – i giudizi sulla sanità dai quali partono i ragionamenti non sono le conseguenze di indagini sui suoi problemi ma scelte politiche “a priori” dedotte da una visione tutto sommato conservatrice. Il pensiero debole in sanità, per me è soprattutto un pensiero inadeguato, inappropriato, inadatto, insufficiente ad affrontare le grandi contraddizioni del sistema sanitario, i suoi grandi problemi sia immanenti che di prospettiva, e ad inventare, con una costante reinterpretazione dei contesti i suoi ideali regolativi, i suoi principi fondamentali. La mia idea è che sino ad ora non abbiamo avuto tante buone ragioni per sbagliarci deducendo politiche che migliorano senza cambiare, ma semmai abbiamo avuto prima di tutto “forti” ragioni per mediare proposte “deboli”. Il senso comune alla fine è autoreferenziale. Esso si organizza come un insieme di ragioni considerate in quanto tali sufficienti. Senza accorgerci che la sufficienza del senso comune in sanità è un “non senso”. Abbiamo avuto tre riforme in trent’anni, una sostituzione di strategie, abbiamo fenomeni di inerzia di vecchi apparati concettuali, vecchie forme di organizzazione del lavoro, abbiamo vecchi e nuovi squi- * Autore di testi fondamentali sulla riformabilità della medicina come sapere e sulla politica sanitaria. Di recente pubblicazione Il pensiero debole della sanità, Edizioni Dedalo. l ute Sa e 4 Territorio libri, vecchie e nuove contraddizioni che sono in ogni dove, le diseguaglianze, stiamo viaggiando verso prospettive di razionamento delle prestazioni, abbiamo grossi problemi di governabilità, e una crescita non solo dell’insoddisfazione del cittadino (il famoso scollamento), ma il fatto nuovo è ormai il manifestarsi di un conflitto sociale tra società civile e sanità, sotto la forma del contenzioso legale della crescita della spesa privata. Per cui effettivamente un pensiero debole non è giustificato, eppure è a questo pensiero che la politica, e un’intera classe dirigente, attinge a piene mani. Le principali questioni politiche Quali sono le grandi questioni sul tappeto, o almeno quelle dalle quali io partirei per definire un pensiero forte? Cominciamo dalle questioni più politiche: A1. Politica e sanità A2. Partecipazione sociale e governabilità A3. Governance A4. Sostenibilità A5. Diseguaglianze A1. Politica e sanità La sanità è tormentata, vessata, sopraffatta dalla lottizzazione, dal suo uso strumentale ai fini di gestire il consenso politico in un momento in cui la politica sembra rinunciare a conquistare il consenso con la democrazia, con la persuasione affidata ai suoi argomenti e alle sue proposte, e con comportamenti pubblici inappuntabili. Nei dibattiti si dice continuamente “fuori la politica dalle Nuove prospettive nel SSN ASL”, “la politica faccia un passo indietro”. Ma come stanno veramente le cose: tutto è iniziato con una riforma quella del ’78, che è stata riforma di servizi, rispetto alla quale la politica decide di farsi servizio. Diventando strumento del cittadino dentro una nuova relazione definita “servizio”, nella quale si incontrano produzione e godimento di utilità. Il servizio, per la riforma sanitaria avrebbe dovuto essere una nuova relazione tra politica e società. I servizi sanitari erano qualcosa che andavano oltre le utilità sanitarie, erano mezzi per l’emancipazione delle persone, erano strumenti per l’eguaglianza, condizione per l’affermazione dei diritti fondamentali del cittadino, erano cioè il modo attraverso il quale il cittadino si serviva della politica perché la salute non poteva che essere una funzione della politica. A partire dall’istituzione dell’Azienda sanitaria questo modo di intendere la politica è stato accantonato. Il passaggio è da una politica come servizio ad un servizio senza politica, quindi ad una tecnica di servizio. La nascita dell’Azienda è stata preceduta da una critica molto forte alla politica della gestione (sprechi, ruberie, incapacità, lottizzazioni, scandali), al punto che l’Azienda nasce sul presupposto della divisione netta tra politica e gestione. La politica non deve gestire niente, deve guidare, indirizzare, programmare. Saranno i tecnocrati a gestire. In pratica si è passati da un progetto di cambiamento del modello N. 166 - 2008 di tutela, teorizzato dalla riforma del ‘78 ad un progetto di pura amministrazione di tale modello rappresentato dalla “riforma della riforma” del ’92. Oggi i problemi finanziari delle Regioni hanno trasformato gli assessori alla sanità in gestori, e i gestori veri, i direttori generali delle Aziende, sono diventati degli amministratori non nominati su base fiduciaria come dicono le Regioni per giustificarsi, ma nominati con il criterio delle spartizione, dell’essere in quota alle varie forze politiche, e soprattutto nominati sulla base della fedeltà a partiti ed a uomini di partito. Questo metodo ormai universale sta coinvolgendo tutto quanto è nominabile: precari, dirigenti, funzionari. Non basta dire la politica faccia un passo indietro. La politica torni a fare il suo mestiere, esprima le sue strategie attraverso i servizi, ma tornino a fare il loro mestiere tutti quanti: primari, dirigenti, operatori, direttori generali. E soprattutto guerra aperta a clientelismo e lottizzazione. Queste sono oggi le forme moderne di antiche sopraffazioni: il più forte che si impone sul più debole indipendentemente da meriti, conoscenze, capacità, esperienze, talenti. A2. Partecipazione sociale e governabilità Mai nozione è diventata negli anni così vuota e così abusata come partecipazione. Oggi il discorso è davvero frusto: – Si ripropone una partecipazione finta che non sfiora i modelli di governance delle istituzioni che in realtà sono auto- rizzate a comportarsi come istituzioni proprietarie e non come istituzioni delegate. – Si ripropone l’unica cosa che davvero non si dovrebbe riproporre. vale a dire il paternalismo di Stato sui cui limiti non vale la pena di soffermarci. – Si propone una filosofia fideista che è del tutto smentita dalle nuove forme di conflitto sociale, a partire dal contenzioso legale che i cittadini promuovono contro gli operatori ed i servizi della sanità pubblica. Fideismo significa contrapporre alle ragione degli individui un senso comune, una fiducia “a priori”, che non ammette disconferme. Le disconferme purtroppo sono all’ordine del giorno senza per questo affermare che tutto va male. – Si propone in realtà una non partecipazione cioè una figura di cittadino esclusivamente concepito come utente a dispetto di tutta la letteratura sull’empowerment (alla lettera “dare più potere” ai soggetti). La riduzione del cittadino ad utente è un pesante taglio all’idea di cittadinanza. Come fare per fare della partecipazione un discorso serio? Sarebbe sufficiente liberarsi delle vecchie culture sulla partecipazione e riconoscere il cittadino nella sua cittadinanza. Quindi considerarlo un proprietario sociale e di conseguenza ripensare i modelli tradizionali di governance. Chi impedisce di inserire negli organi dell’Azienda un comitato della domanda coordi- Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 nato dai Comuni? Chi impedisce di riconoscere al cittadino una sovranità organizzata? A3. Governance Più si parla di governance e più crescono le diseguaglianze. Insomma che le diseguaglianze in sanità esistono non solo è vero, ma è vero anche che sono aumentate ma diversificandosi nel loro genere (istituzionali, organizzative, finanziarie, epidemiologiche ecc.). Come interpretare questa esplosione antiuniversalistica? In due modi: – gli strumenti previsti dalla riforma del ’78 per eliminare le differenze strutturali, non hanno funzionato (ripartizione del fondo sanitario nazionale, quota capitaria, piano straordinario di investimenti); – le Regioni hanno continuato a servirsi di strumenti inefficaci e soprattutto vecchi perché privi di nuovi strumenti. Uno studio Formez ha valutato il rapporto tra governance e risultati, ricorrendo a ben 85 indicatori, ed evidenziando, una situazione disomogenea. Lo studio ha evidenziato l’esistenza di: – una relazione stretta tra governance e performance; – una forte relazione tra contesto e governance; – una relazione stretta tra governance e risultati di salute; – una certa relazione tra qualità e salute; – una certa interdipendenza tra spese e risultati. Secondo il Formez, non esiste una relazione dimostrata tra spesa e capacità di governo; – le risorse non sono la variabile chiave per riequilibrare il Paese e per sviluppare l’universalismo; – il fattore chiave sembra essere la capacità politica del governo regionale. A4. Prevenzione e sostenibilità Sostenibilità è un’idea, come è noto, che nasce dalla cultura ambientalista e che ha dato luogo ad una branca dell’economia detta per l’appunto “della sostenibilità”. Il mio ragionamento è molto semplice: 1. I sistemi sanitari pubblici nel medio-lungo periodo sono destinati ad essere più costosi. 2. La crescita della spesa sanitaria se continuasse ad essere causata da un modello di tutela prevalentemente curativo-assistenziale, oltre un certo livello non accrescerebbe ne la salute individuale ne quella collettiva cioè diventerebbe parzialmente antieconomica. Si può dire che in sanità: 1. È necessario affrontare politiche in grado di riequilibrare la tutela delle “persone in cura” con la tutela delle “persone in salute”. 2. Le tutele riferite alle persone in salute devono necessariamente comprendere tutto quanto è in grado di produrre salute e cioè la prevenzione, la previsione, la lotta ai rischi e alle morti evitabili e tutti i sistemi che con tecniche diverse consentono di valutare gli impatti dell’economia sulla salute umana, ma anche approcci nuovi come la predicibilità cioè l’uso della simulazione non tanto per bonificare realtà nocive ma per costruire realtà non nocive. 3. Sono necessarie politiche sull’informazione rivolta al cittadino e che convenzionalmente chiamiamo di promozione della salute, ma che necessitano di essere ripensate soprattutto alla luce di quello che ho definito “il dovere di non ammalarsi” del cittadino. 4. Questo significa collocare il discorso nuovo sulla responsabilizzazione sociale del cittadino nel discorso sulla cittadinanza e ricavarne un nuovo modello di contrattazione sociale della salute. Il perno su cui far leva per le nuove politiche della salute avrebbe dovuto essere la prevenzione. Per questa funzione strategica dopo trent’anni spendiamo all’incirca meno del 5% dell’intera spesa sanitaria. La prevenzione è una funzione residuale. Se guardiamo i dati sulla domanda di salute, se consideriamo quelli dell’epidemiologia, se riflettiamo sui grandi cambiamenti culturali e sociali che hanno rimesso in discussione la figura tradizionale del “paziente”, e molto altro, non c’è dubbio che vi è una forte asimmetria tra società civile e prevenzione e tra domanda di salute e offerta sanitaria. La relazione che intercede tra i termini della domanda di salute e quelli dell’offerta sanitaria, nel caso della prevenzione, è una relazione sbagliata, scorretta, inefficace o quanto meno inadeguata. Sae l ute Territorio 5 Le ragioni sono molte: storiche, organizzative, finanziarie, aziendali ecc. Ma forse quella più importante è di non essere riusciti a organizzare questa funzione di salute dentro una nuova strategia. Questa strategia è quella della sostenibilità A5. La crescita delle diseguaglianze Crescono le diseguaglianze. L’art. 32 è diventato una petizione di principio. Le ricerche dei sociologi, degli economisti, degli epidemiologi, hanno oramai descritto il problema in lungo ed in largo. Diseguaglianza di accessi ai servizi, di fruizione delle prestazioni, di distribuzione della qualità, di informazione di reddito, di spese sostenute privatamente, ecc. Insomma tante specie diverse ma un unico genere: l’ingiustizia. Le diseguaglianze ci dicono che abbiamo un sistema ingiusto perché disparato. Nel nostro Paese i cittadini non hanno lo stesso diritto alla salute e questo vale in ogni Regione. A scala di sistema le diseguaglianze sono il segno di una pessima relazione tra cittadini e sanità pubblica: – le diseguaglianze sono la conseguenza di un sistema sanitario concepito per creare diseguaglianze. Quindi si può dire che le conseguenze del sistema sanitario sono il sistema sanitario; – le diseguaglianze sono un gigantesco ticket imposto ai cittadini più deboli dalla nostra società, cioè è un prezzo finanziario, assistenziale, etico, biologico l ute Sa e 6 Territorio che questo sistema sanitario per proprie logiche impone soprattutto ai soggetti deboli che hanno bisogno di stare bene; – le diseguaglianze non sono solo il segno più cinico dell’economicismo, dell’aziendalismo, del migliorismo, dell’efficientismo, ma sono il segno di un cambiamento profondo nei rapporti tra etica ed economia. Da un rapporto di compatibilità si è passati ad un rapporto di subalternità, dove il diritto che razionalizziamo è diventato razionato; – le diseguaglianze sono molto semplicemente la reintegrazione maltusiana del diritto alla salute; – le diseguaglianze in sanità sono la contraddizione più vistosa al sistema della cittadinanza; – le diseguaglianze non sono un incidente imprevisto di un sistema sanitario regionale ma sono una funzione del sistema e della sua razionalità. Esse sono il prezzo sociale che la popolazione più debole paga alle politiche deboli della sanità. La prospettiva plausibile se non si cambia strada è che arrivati ad un certo grado intollerabile di diseguaglianze, il pensiero debole sarà quasi costretto a legittimarla, a normalizzarla, a organizzarla, attraverso mutue, attraverso cessioni di parti pubbliche dell’assistenza al privato, rielaborando l’idea di essenzialità in un’idea di emergenzialità o cose simili. Cioè sarà costretto a cambiare il sistema per adattarlo ai suoi limiti e alle sue incapacità. Nuove prospettive nel SSN Oggi è ragionevole sostenere che per la sanità il problema più grande non è l’invecchiamento della popolazione, la crescita della spesa, la crescita delle malattie croniche, ma è il pensiero debole. È questo pensiero che da anni sta esponendo il sistema ai rischi dell’ingovernabilità, ai rischi dell’insostenibilità, delle ingiustizie e delle diseguaglianze. Per il bene di tutti è di questo pensiero che ci si deve occupare, in tutti i modi possibili e anche se fosse possibile con una certa tempestività. Le questioni notevoli di politica sanitaria Rientrano in questo ambito problemi e contraddizioni (ricordo che i primi si risolvono le seconde si muovono) proprie della sanità pubblica nel suo insieme. Queste sono: B1. Le politiche c.d. di ammodernamento B2. La grande questione dei livelli assistenziali (quale copertura) B3. I problemi mai risolti di un’organizzazione integrata dei servizi B4. La questione della qualità B5. Ridare voce ai “soggetti assoggettati” B6. La questione dell’errore, ovvero il problema della fallibilità B1. Le politiche c.d. di ammodernamento L’ultimo tentativo per far funzionare meglio le cose, si chiama “ammodernamento”, quali i suoi presupposti? 1. Ritenere che non vi sia bisogno di fare nuove leggi N. 166 - 2008 di riforma e quindi credere che le leggi di riforma fatte sino ad ora siano “più che sufficienti”. 2. Definire le politiche sanitarie comunque negli ambiti consentiti dalla “riforma ter” il che vuol dire considerare tale riforma del tutto rispondente ai problemi e alle contraddizioni del sistema sanitario. 3. Ritenere di poter prescindere da un’analisi critica della “riforma ter”, cioè dall’analisi non tanto dei suoi meriti (indiscutibili), ma dei suoi limiti e delle sue contraddizioni (altrettanto indiscutibili). 4. Ritenere non importante considerare il carattere regressivo della “riforma ter” rispetto a processi, evoluzioni e quindi tempistica (rammentiamo che questa riforma è stata fatta nel 1999 con l’idea di riattualizzare la riforma del ’78, alle soglia del terzo millennio). È plausibile, persuasivo, convincente questo modo di ragionare? Certamente no Le obiezioni sono abbastanza scontate: 1. È facilmente dimostrabile che la sanità non solo ha bisogno di essere “riformata”, ma che la riformabilità, in qualche misura, permanente, è quasi la sua caratteristica di fondo. Inoltre si può facilmente dimostrare che esistono questioni molto grosse che aspettano di essere riformate da trent’anni e che pur tuttavia sono state accuratamente evitate da tutte le riforme fatte, soprattutto evitate dalla “riforma ter”. Infine, che un qualsiasi processo di riforma, come qualsiasi legge sanitaria, come qualsiasi piano sanitario, proprio in ragione dell’alta complessità di questo settore paga sempre il prezzo di uno scollamento tra ideazione ed esecuzione. 2. Le riforme sono sempre in sanità processi incompiuti. Ciò non vuol dire che ogni giorno si devono fare “riforme di sistema”, né che ogni volta si deve ribaltare il mondo, ma più semplicemente che si devono pensare cambiamenti molto mirati, ad hoc, in forma discreta ma coordinati da una forte strategia riformatrice. B2. Livelli assistenziali (quale copertura?) Una volta si chiamavano semplicemente “prestazioni” poi nel 1992 con una legge finanziaria si cambiò espressione e nacquero “i livelli assistenziali” che dopo pochi anni divennero “minimi ed uniformi” fino a diventare, ai nostri giorni “essenziali”. Questo processo è parallelo all’evoluzione della nozione di diritto sanitario: prima nell’art. 32 era un diritto incondizionabile, poi dalle Aziende sanitarie in poi è diventato un diritto finanziariamente condizionabile, mentre ai nostri giorni è diventato finanziariamente subordinabile. Eppure i livelli assistenziali potrebbero essere a certe condizioni unità di riferimento del rapporto domanda/offerta. La loro definizione potrebbe Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 essere la premessa da cui ricavare la quota capitaria necessaria ma a finanziarie delle precise relazioni con i servizi. Oggi non si potrebbe definire il livello assistenziale a prescindere dai sistemi di organizzazione e meno che mai si potrebbe definire il livello assistenziale richiamandoci ad una idea così anacronistica come quella di “assistenza” (servizio sanitario non è più un assistentato né una tutoreria). Meglio sarebbe se alla parola assistenza subentrasse la parola attività, cioè tutte quelle scelte necessarie al conseguimento degli scopi di salute. Oggi l’organizzazione dei servizi è un’organizzazione delle attività dei servizi. Una Azienda è un “complesso di attività organizzate per la produzione di beni e servizi”. Inoltre parlare di attività e non di assistenza significa correlare il livello di assistenza a tutte le variabili di produttività (efficienza, efficacia, rendimento) cosa che oggi non si fa più. B3. I problemi mai risolti di un’organizzazione integrata dei servizi Gli Ospedali si dovrebbero integrare con il territorio, il sociale con il sanitario, il distretto con il domicilio del malato, gli operatori si dovrebbero integrare tra di loro, i servizi con i servizi… ma integrazione è una parola che resiste a se stessa: un’idea intimamente forte non si affronta con un pensiero debole. Essa, ad esempio, avrebbe dovuto definire una continuità tra servizi, operatori, reparti, pratiche, metodi e conse- guentemente stabilire i gradi di integrazione attraverso i quali si organizza questa continuità. Dall’ambulatorio allo specialista, dallo specialista all’Ospedale e viceversa, addirittura dall’Ospedale al fabbisogno del territorio. Ebbene sono tutti gradi di unità o in un senso o in un altro. Non esiste l’integrazione in quanto tale, ma esistono gradi di integrazione. Questi gradi rappresentano le quantità misurabili delle qualità organizzative di un servizio, di un dipartimento, di un distretto, o di un Ospedale che è il numero delle loro relazioni interne ed esterne. Sull’integrazione il pensiero debole è davvero insufficiente. In trenta anni esso non è riuscito a definire né la nozione fondamentale di continuo organizzativo, né a definire e a misurare queste nozioni in termini di gradi di organizzazione integrate. Come mai? Perché questo infruttuoso bilancio? La risposta più semplice è che non si è riusciti a riformare un sistema basato su partizioni e su divisioni. Non si è capito che non si trattava solo di riformare una certa divisione del lavoro, cioè un’organizzazione, ma anche ciò che giustificava la sua partizione e la sua divisione e le sue modalità culturali. Cioè le ragioni e i modi sociali, culturali, scientifici che l’avevano fatta nascere quella divisione del lavoro. Questa difficoltà è storica e riguarda un pensiero debole di fronte ad un’idea forte. È talmente forte questa difficoltà che non solo si sta abbandonando la strada dell’in- tegrazione imboccando quella della conformità, ma si sta sostituendo il concetto di integrazione con quello di continuità (dell’assistenza e delle cure). L’integrazione ragiona nella logica dell’unità del sistema superando le sue separazioni interne; la conformità ragiona nella logica della diversità dei soggetti che lavorano nel sistema sanitario tentando l’uniformità dei loro comportamenti; la continuità ragiona nella logica dell’insufficienza dei servizi tentando di completare un sistema funzionale con il ricorso al disease management, alla governance clinica, al chronic core model. La continuità più della conformità si avvicina all’idea di integrazione non potendo evitare anch’essa di affrontare le questioni dell’organizzazione, delle conoscenze. Non è un caso che essa parli il linguaggio dell’integrazione a rete dei servizi. B4. Le qualità La parola chiave che può riassumere le politiche sanitarie degli ultimi quindici anni è razionalizzazione. Ad essa fanno riferimento altre parole chiavi: efficienza, appropriatezza, evidenza, economicità, risparmio, essenzialità… tutte con un forte significato economicistico… tra queste ve ne una in particolare invocata da tutti, per lo più fraintesa, ma soprattutto regolarmente tradita: qualità. È difficile restringere il concetto di qualità. Questa è la ragione per cui si tende ad allargare il concetto stesso in Sae l ute Territorio 7 una infinità di accezioni. Ogni qualvolta si parla di qualità si finisce inevitabilmente con il fare degli inventari di questioni, di problemi, di tecniche che riguardano tutto il mondo della sanità: operatori, servizi, formazioni, linee guida, organizzazioni, ecc. La principale, grande, ineliminabile contraddizione della qualità, secondo noi è da una parte ambire a rappresentare la complessità del bisogno, del cittadino, del malato, del servizio, dall’altro a trovarsi suo malgrado a organizzare questa ambizione inevitabilmente come pensiero semplice, a tecniche e a procedure. Ma alla fine la qualità viene prevalentemente ridotta a linee guida. Ma le linee guida sono considerate da molti esperti un autentico paradosso. “Se le regole che costituiscono le linee guida sono generiche ed elastiche, allora possono essere rispettate ma non sono utili e non sono molto diverse dai capitoli di un trattato. Se invece le regole sono specifiche e rigide, allora devono venire spesso violate per il bene del paziente”. Noi avanziamo una proposta: “la qualità dal volto umano” con un’idea di fondo, cambiare le pratiche attraverso una politica della qualità significa cambiare il servizio. B5. Ridare voce ai soggetti assoggettati: asseribilità, autonomia, responsabilità In sanità viviamo più che mai l’epoca dei “soggetti assoggettati”. Gli assessori dipendono dalle finanziarie, i direttori dipendono dagli asses- l ute Sa e 8 Territorio Nuove prospettive nel SSN sori, gli operatori dipendono dai budget dei direttori generali, i malati dipendono dalle linee guida, dai DRG, dai tetti di spesa, dai protocolli subìti dagli operatori, decisi dai direttori generali, imposti dagli assessori. Le persone sono diventate cose. L’autonomia professionale è diventata pericolosa perché rischia di costare troppo, la responsabilità è surrogata da controlli, verifiche, condizioni, limiti, soprattutto è diventata pura tecnocrazia. Vi è una parola sconosciuta che tutti dovrebbero conoscere: asseribilità. L’asseribilità è un’informazione da includere nelle valutazioni che riguardano le persone. Non si tratta della solita teoria del coinvolgimento, ma di considerare le persone protagoniste delle valutazioni che le riguardano. Nella realtà sanitaria italiana vi sono servizi, Ospedali controllati, valutati, monitorati nei quali sono applicate linee guida, protocolli, metodologie professionali molto sofisticate. In tali situazioni spesso si riscontra un forte disagio professionale, quasi una perdita di identità come se tutto fosse un po’ soffocato da forme subdole di burocratizzazione. La qualità in questi luoghi spesso si organizza in una montagna di carta che ormai è considerata sempre più una specie di salvacondotto nei confronti dei rischi legali che le professioni corrono. Gli operatori raccontano il loro disagio, lo asseriscono, raccontando come la loro professionalità rischia di diventare di carta impedendo paradossalmente crescite e arricchimenti. A meno che essere monitorati, controllati, guidati sia una nuova forma di crescita, di personalità, c’è bisogno di riflettere meglio su questi problemi. Di certo faremmo un magro bilancio se i risultati della qualità fossero funestati da impoverimenti professionali e da insoddisfazioni profonde degli operatori. Da qui a sostenere che per evitare frustrazioni alle professioni sia necessario rinunciare alla qualità ce ne corre. Non esiste in un Ospedale, in un servizio, una qualità indipendente da ciò che un malato e un operatore possono asserire. Per cui vale la pena di porre attenzione ai modi in cui sia i malati che gli operatori concettualizzano le loro esperienze, vale a dire i loro modi espressivi. Per un esperto è importante sapere che quello che dicono le persone sembra condurre ad identificare ciò che viene asserito con l’esperienza che viene fatta. Ma se tutto ciò ha un senso il problema nuovo è definire le condizioni dell’asseribilità. Quale proposta? – ridefinire il presupposto dell’evidenza includendo un giudizio di accettabilità razionale dell’operatore e di asseribilità garantita; – investire in formazione per sviluppare le virtù delle persone legate all’esercizio del binomio autonomia/responsabilità; – riformare e ripensare le metodologie di controllo sui comportamenti professionali. Non esistono solo le linee guida che garanti- N. 166 - 2008 scono l’affidabilità professionale, esistono anche altri criteri che si riferiscono alla responsabilizzazione delle persone (la famosa managerialità diffusa di Mintzberg). La nozione di “dipendente” è davvero anacronistica e superata. Essa significa “pendere in giù” rispetto a una norma burocratica che dice chi sei, come sei, cosa devi fare. Sono trent’anni che facciamo riforme ma a nessuno mai è venuto in mente di riformare questa “nozione”. Per cui facciamo cose nuove come le Aziende, i dipartimenti, i distretti ma dentro continuiamo a mettere vecchi dipendenti. Rifacciamo gli Ospedali ma dentro restano vecchi dipendenti. Il dipendente è una figura generale con bassa autonomia e bassa responsabilità come qualsiasi figura burocratica. Il dipendente svolge solo compiti. La mia proposta è: sostituiamo la nozione di dipendente con quella di autore. La nozione di autore è fatta dalle prime parole di autonomia e di re-sponsabilità. Propongo: – i medici devono avere più autonomia professionale in cambio devono garantire effettivamente più responsabilità; – si deve superare la distinzione tra compito ed impegno e offrire al medico una retribuzione nel pubblico sia per l’uno che per l’altro; – si devono definire nuove soluzioni retributive: la retribuzione paga il compito l’attribuzione paga l’impegno. Le garanzie? Definire la responsabilità quale capacità di prevedere il maggior numero di conseguenze. Quelle cliniche, epidemiologiche, organizzative, economiche e sociali. Quindi rispetto ai rischi ed agli errori, agli esiti e all’impatto sulla salute dei singoli e delle comunità, rispetto alle organizzazioni più funzionali al raggiungimento degli obiettivi di salute, al governo dei costi di transazione ed infine rispetto alle necessità di prevenzione del conflitto legale. Infine la definizione dell’autonomie quale campo non più di limiti ma di possibilità. Nel rispetto degli obblighi etici e deontologici rientra nell’autonomia tutto quanto è compreso nel principio di responsabilità. Quindi autonomia di governo sulle scelte cliniche, sui mezzi impiegati, sulle pratiche, sull’organizzazione dei servizi, sull’équipe ecc. La metodologia: se il parametro di misura dell’autonomia è la capacità di previsione delle conseguenze, è necessario adottare una metodologia che controlli, verifichi e misuri tale capacità. Cioè qualcosa che conosca gli esiti dei compiti e l’impatto degli impegni. B6. La questione dell’errore ovvero il problema della fallibilità Quando ero studente, frequentavo la sala anatomica dell’Ospedale S. Camillo: ricordo di quell’esperienza soprattutto un portacenere sul quale c’era scritto: gli errori dei medici si nascondono sottoterra. (segue a pag. 18) Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 Andrea Gardini Presidente Società italiana per la qualità dell’assistenza sanitaria - SiQuas-VRQ Area qualità ARS-Marche Centro collaborativo OMS per lo sviluppo e l’istituzionalizzazione della qualità nei sistemi sanitari D opo un periodo, anche lungo, di pesante caduta di senso delle attività per la qualità, in un contesto italiano per troppo tempo non sempre favorevole nonostante gli sforzi di molti, forse val la pena di riflettere su un futuro che fino a poco fa si poteva pensare solo come un insieme di speranze alimentate dal bisogno di marketing di un certo tipo di ricerca avanzata. Sembra che alcune conferme dell’indispensabilità delle attività di progettazione, organizzazione, gestione e valutazione della qualità dei sistemi sanitari e della sicurezza dei pazienti arrivino più dalle spinte della tecnologia e del mercato che dai bisogni degli stakeholders nazionali che detengono il potere sugli oggetti dell’assistenza sanitaria, per i quali una elaborazione teorico-culturale per qualità e sicurezza sembra generare a volte più fastidio che desiderio di cambiare le cose in meglio. I bisogni delle persone a volte vengono dimenticati in questa dinamica o, meglio, i bisogni delle persone restano immutati: viene il cancro, l’ipertensione, l’infarto, l’ictus; come sempre, quando arrivano queste patologie diventano oggetto di mercato, occa- Sae l ute Territorio 9 Qualità e nuove tecnologie sione di consumo, oltre che di sinceri e disinteressati sforzi per salvare una vita. Ci sono delle sirene che affermano che alcune di queste malattie sono scritte nel nostro DNA, che possono essere trattabili precocemente, anzi, prima riconoscibili precocemente, già forse addirittura nelle attitudini dei nostri geni (una cosa di cui sto aspettando che qualcuno mi dia conferma), o nelle fasi precocissime di sviluppo, al momento in cui una cellula comincia ad impazzire, una placca ateromasica a formarsi, una cellula di Langerhans a produrre meno insulina… e allora zac, un bell’intervento di supporto genetico ti rimette in sesto… almeno si dice… sarebbe molto bello se potesse avvenire per davvero, ma… come? Vien voglia di rendere espliciti i dubbi del caso. Ecco alcune domande che derivano da alcuni pensieri sociali, economici, etici. È difficile organizzare un’attività così complessa come la sanità senza far sì, dice il mio maestro, Sergio Nordio, che diventino idee, obiettivi e progetti, percorsi e risultati… – Dove finisce la scienza che conosciamo, se le prossime cure saranno tanto personalizzate che difficilmente Le strategie possibili e necessarie per la valutazione dell’efficacia dei nuovi interventi sulla salute dei cittadini potranno essere oggetto di ricerca clinica con trials clinici controllati randomizzati in doppio cieco? Se, appunto, personalizzate, bisognerà aprire sempre le buste del “cieco” e lavorare a livello di pura esperienza dell’interazione fra organizzazione sanitaria e paziente, senza possibilità di confronto perché siamo tutti differenti, ognuno con il suo schema genetico diverso dagli altri. Dove finisce la scienza che noi abbiamo appreso e seguito con tanto interesse quando si affaccia questa modalità di fare ricerca solo osservazionale e non “sperimentale” come la pretendiamo noi? (1) (noi, medici ed infermieri del 2010 pretendiamo di produrre le nostre linee guida e seguirle con le nostre pratiche sulla base di trials clinici controllati e randomizzati in cieco solo perché questi trials hanno molte più probabilità degli studi osservazionali di affermare come vera una cosa che vera è sul serio… solo per una forte opzione etica, dell’etica della beneficità). – Che rapporto c’è fra l’ impossibilità di modificare l’ambiente, cioè di ridurre le polluzioni e le produzioni ogni anno di qualche migliaio di molecole potenzialmente o attualmente cancerogene, – perché la stolida, drammatica e a volte criminale (come Lorenzo Tomatis ci insegnava da una vita dallo IARC dell’OMS di Lione) potenza dei loro produttori non consente discussioni sui temi del profitto e la conoscenza di una predisposizione genetica praticamente a tutto? Conoscenza che al momento è solo forse più di una supposizione, fra cui c’è la malattia, essenzialmente il cancro ma, anche alcune malattie degenerative legate ai tossici ambientali (2,3,4,5)? – Che rapporto c’è fra i consigli dietetici e gli stili di vita quando questi posso- l ute Sa e 10 Territorio Nuove prospettive nel SSN no valere per una parte molto piccola, ed in diminuzione costante, di quella che chiamiamo la middle class? Ovvero quelli che si possono permettere di fare jogging al mattino e/o alla sera, fare un lavoro che gli da’ abbastanza denaro per comperare alimenti sani, in negozi biologici, mentre la maggioranza delle persone è sottoposta ai ritmi sempre più intensi di una produttività schiavizzata, a volte priva di un senso diverso dal profitto altrui, a spostamenti su mezzi pubblici e privati che durano per una buona parte della giornata, ha un lavoro fondato sulla precarietà, si indebita al midollo per pagare una casa, sia che la acquisti o che la affitti, etc, etc ?… Tutto ciò che ha a che vedere con le grandi e progressive sorti della medicina predittiva e/o molecolare e la genomica fa un po’ fatica ad uscire dal comune senso della comprensione. Pur tuttavia alcuni sviluppi recenti della medicina, soprattutto quelli nel campo della farmacologia innovativa sono piuttosto interessanti. Infatti, i cosiddetti “farmaci biologici” sembrano essere molto efficaci nel trattamento di alcuni tipi di tumore, nei trattamenti precoci e prolungati dell’artrite reumatoide e di altri tipi di malattie autoimmuni. Su di essi si stanno proiettando le forze economiche delle multinazionali del farmaco, lasciando al mercato del generico i farmaci di concezione più antica, dopo la scadenza di molti dei brevetti che hanno garantito i maggiori profitti fra gli anni 70 e questo inizio secolo. Anche i progressi dei presidi protesici e della chirurgia mini-invasiva, delle terapie ad elevata tecnologia dei tumori e della precisione resa possibile dalla diagnostica per immagini e dalle indagini mirate di laboratorio, conducono al bisogno di qualità e sicurezza con i modelli, le tecniche ed i metodi che provengono dalla medicina della seconda metà del XX secolo e saranno indispensabili in quella del futuro. È l’abbinamento e la contemporaneità di due bisogni degli uomini e delle loro comunità che richiedono il rafforzamento dei metodi e delle tecniche per la qualità e la sicurezza. Il primo bisogno è quello di applicare le migliori e più raffinate tecnologie ai più elevati livelli specialistici nei casi più appropriati. Il secondo bisogno è la necessità parallela di potenziare le attività di mantenimento della salute ai livelli più semplici di prevenzione e di cure primarie, aumentando la consapevolezza e le conoscenze sullo stato di salute delle persone, e la loro capacità di salvaguardarlo anche partecipando direttamente alla gestione ed alla prevenzione delle malattie indotte da fattori di rischio ambientali, comportamentali, sociali. Tutto questo si chiama oggi empowerment (6). Per soddisfare questi due bisogni è necessario dotarsi di: – scientificità (fare le cose di cui ci sia abbondante evidenza di efficacia e, nel caso questa non ci sia, attivare formali percorsi di N. 166 - 2008 ricerca valutativa); – appropriatezza (farle sulla base di indicazioni precise, pertinenti con la condizione morbosa identificata e con le condizioni di contesto in cui la persona trattata si viene a trovare; – etica (fare le cose sulla base dei principi di beneficità, economicità e garanzia dell’autonomia delle persone); – equità (farle gratuitamente a tutti gli esseri umani che ne abbiano bisogno attraverso un sistema sociale di welfare solidale). È proprio da questa contemporaneità di bisogni e dal fatto che il comparto sanitario, le tecnologie e gli altri fattori produttivi collegati sono da soli il secondo comparto produttivo del nostro Paese dopo la scuola e sono un volàno per l’economia e lo sviluppo di ulteriori tecnologie (7) per altri comparti, partendo da questi bisogni che si dà un senso ai modelli, metodi, tecniche, strumenti per la qualità e la sicurezza che sono stati sviluppati nel mondo negli ultimi trent’anni. Non esiste proprio, infatti, che un comparto tanto importante e pervasivo non sia, in ogni sua parte, un luogo dove ogni cosa venga fatta bene. E che questo “far bene le cose” si esprima con livelli di sicurezza per i pazienti, i cittadini e gli operatori che realizzano quell’efficienza che deriva dall’applicazione degli strumenti e delle tecnologie più appropriate e pertinenti sui soggetti con i bisogni meglio definiti a garanzia del massimo dell’efficacia possibile, e, conseguentemente, della soddisfazione di quanti ne usufruiscono, del contenimento degli sprechi e, quindi, dei costi. Tutti questi sono concetti non divisibili, posti sotto l’ombrello molto, molto specifico chiamato “qualità”. È solo in questo modo che la parola qualità si può legare all’innovazione, alla salute ed alla sicurezza, e non invece costituire un inutile fardello di procedure formalizzate che invecchiano rispetto alle esigenze sempre nuove delle persone e dei progressi tecnologici. Ne impediscono lo sviluppo, poiché ogni innovazione non lascia spazio alla formalizzazione ed alle burocrazie di carta dei sistemi qualità formali e non sostanziali. Le innovazioni di per sé non sono certificabili e quindi vanno contro un certo modo burosaurico di pensare alla qualità con le pesantezze accoppiate del taylorismo militante, dello statalismo d’accatto e del fideismo più o meno disinteressato. Nulla che richiami alla salute mentale di una conoscenza professionale che si fa scienza e sua applicazione in prevenzione e cura delle sofferenze delle persone, delle comunità e dei contesti. Taylorismo, statalismo mascherato da libertà, fideismo e speculazione in sanità fanno morti, morti fra i pazienti, morti fra le comunità e morti d’asfissia culturale fra i professionisti che a volte subiscono cosiddetti sistemi qualità non adatti alle esigenze del comparto sanitario. Che è, sì, produzione ripetitiva e precisa, governabile con i principi del meccanicismo più sofisticato, per quanto riguarda i laboratori e i servizi tecnologici, ma è anche rela- N. 166 - 2008 zione, interazione e negoziazione continua fra elementi dei sistemi, fra le reti neuronali e gli elementi dei sistemi che si potenziano o depotenziano a seconda delle barriere che vengono poste dai tradizionali processi organizzativi teorizzati e non suffragati da prove di efficacia – a differenza delle procedure medico assistenziali, che, invece, sempre più lo sono. E lo sono per lo meno dai tempi di Augusto Murri e Ernst A. Codman. Un management di qualità deve favorire lo sviluppo di conoscenze, competenze ed abilità dei singoli e del sistema, non deve soffocarle in ritualistici processi di budgeting economico ripetuti di anno in anno e solo come tetti di spesa, mai peraltro raggiunti, ma sempre superati, quando ogni industria moderna che utilizza la conoscenza riorienta il budget ogni due-tre mesi… assieme agli obiettivi di produzione! Tutti sono capaci di governare una organizzazione sanitaria strangolandola. Pochi sono capaci di farla volare verso obiettivi di salute verificabili e pubblici. E allora prende vigore e nuova linfa il complesso delle attività che in questi anni sono state esplorate e si riuniscono in un compendio dignitoso e coerente di conoscenze utili allo sviluppo delle cure per tutte le donne e gli uomini del nuovo millennio, per il loro contesto e le loro comunità: ciclo della progettazione e feed-back, analisi organizzativa sistemica, misurare e valutare mediante indicatori, percorsi assistenziali, risk prevention e management, audit clinico ed organizzativo, EBM, documentazione, valutazione di terza parte, co-progettazione delle attività sanitarie in partnership con gli stessi pazienti interessati. Così, se si considera la storia della qualità in sanità negli ultimi 100 anni, ecco che nasce una ipotesi per il decennio 2010-2020, ma anche per i decenni successivi, 2030, 2040… Piace riflettere e pensare al futuro in termini razionali, viste le premesse e lo sviluppo di altri mondi attorno alla sanità, che ne condizioneranno inevitabilmente le scelte, i comportamenti, gli obiettivi, gli strumenti. Alcuni esempi. 1. Si continua a fare la cartella clinica a mano, nei consultori, negli ambulatori, durante il giro dei medici in reparto. Possibile che non si possa scrivere la cartella usufruendo di un palmare e di un server? 2. Possibile che i nostri archivi siano cartacei? 3. Possibile che si continui a fare il giro nei reparti, come nell’800 al tempo di Charcot, invece di affidare i pazienti ricoverati a dei tutors che si incontrano tutti i giorni per discutere assieme i casi nelle riunioni di reparto? 4. Possibile che, una volta dimesso, un paziente non sappia come e dove farsi trattare per la riabilitazione? 5. Possibile che una donna gravida sana debba fare 15 file al CUP per prenotare visite e pagare tickets? 6. Possibile che le liste di attesa continuino ad essere considerate solo monitorabili e non gestibili e ri- Nuove prospettive nel SSN Sae l ute Territorio 11 ducibili attraverso la metodica partecipata delle priorità cliniche? 7. Possibile che ancora oggi un paziente allettato per più di tre giorni si piaghi? 8. Possibile che ancora un paziente si ritrovi infisso in arteria un catetere non medicato con l’antibiotico, infilato senza l’ausilio ultrasonografico e in un ambiente non sterile, e possibile che nessuno si stupisca se, dopo tre giorni di media, quel paziente ha un’infezione? 9. Possibile che le prescrizioni di farmaci pericolosi non vedano posto in essere un conseguente processo sicuro di preparazione, somministrazione e controllo che non ne affidi l’unica responsabilità all’infermiere, ma a tutti i componenti del sistema, per primo il farmacista ? 10. Possibile che ancora una trasfusione di sangue sia prescritta senza l’insieme dei processi che ne determinano la sicurezza più che certa? Possibile che si prescrivano ancora trasfusioni di sangue intero a pazienti che non ne hanno l’indicazione? 11. Possibile che protesi ad altissima tecnologia impiantate in pazienti pertinenti non consentano la completa “restituito ad integrum” della funzione per pesanti carenze nell’organizzazione della riabilitazione e che nessuno soprattutto si curi di valutarne l’efficacia a lungo termine? In altri termini, se la signora anziana che camminava prima con il suo femore dolente, ora cammina lo stesso con la sua protesi dolente e poco funzionante, non era meglio evitare di operarla? 12.Possibile che si continui a fare formazione e a dare crediti ECM a professionisti su obiettivi non coerenti con i bisogni di salute della popolazione servita e con i conseguenti bisogni organizzativi del presidio nel quale operano? 13. Possibile che si continuino ad operare i bambini di tonsillectomia ed adenoidectomia quando ormai tutti sanno che questi sono interventi che non dovrebbero essere di routine soprattutto perché possono avere complicanze molto gravi? Ecco, le nuove tecnologie e la genomica, impiantate in un ambiente tradizionale, rischiano di risultare “tradizionali”… e sarebbe un vero peccato. Modelli, strumenti, metodi e tecniche per la qualità e la sicurezza del sistema sanitario possono aiutare il contesto sanitario ad essere meno “tradizionale”, ed in definitiva più economicamente sostenibile. Un vero e proprio sistema di sistemi per la qualità che possa garantire al sistema sanitario quell’eccellenza che troppo spesso si dice che manca, anche se non sempre questi giudizi sono suffragati da misurazioni con strumenti ed unità di misura adeguati e da conseguenti valutazioni contro standards determinati da progettazioni adeguate e negoziate su obiettivi di salute… troppi giudizi avventati pervadono il mondo sanitario e tendono a svilirlo… l ute Sa e 12 Territorio Nuove prospettive nel SSN Ecco che allora acquistano nuovo senso (9): – Una strategia e politiche per la qualità e la sicurezza del sistema, espresse da rappresentanti politici competenti nell’amministrare le risorse della Comunità con criteri di equità, trasparenza e partecipazione allargata, per superare l’attuale rischio latente e la presente corruzione nell’affidamento degli appalti, nell’acquisizione di beni e servizi indipendentemente da criteri espliciti di technology assessment. Nella commistione fra servizio pubblico e prestazioni private, nella attribuzione di incarichi dirigenziali, corruzione che, per i nuovi Paesi in entrata dell’Unione europea viene affrontata nel tentativo di prevenirla proprio con alcuni strumenti e metodi per la qualità, come il technology assessment, l’accreditamento e la gestione delle liste d’attesa (8). – Un management intelligente, che adatti i propri modelli, strumenti e metodi al contesto sanitario orientandolo al soddisfacimento dei bisogni della popolazione, che prenda le proprie decisioni sulla base di dati di costo economico e di beneficio in termini di salute e non solamente sulla base dei costi e goda di una maggiore e più decisa autonomia nelle proprie decisioni dalle indicazioni del mondo della politica, cui deve rispondere con dati sui risultati in termini di salute ed in termini economici conseguiti in tempi ragionevoli rispetto alle condizioni locali. – L’analisi epidemiologica dei bisogni di salute della popolazione di un determinato territorio, per progettare gli interventi più appropriati a soddisfarne le esigenze e le conseguenti risorse da utilizzare e le organizzazioni da mettere in atto (technology assessment). – Un sistema professionale costituito da sistemi di conoscenza aggregati su problemi, processi, obiettivi, valutato e remunerato sulla base dei risultati di salute, il valore sociale e i benefici effettivi forniti dalle proprie azioni ai pazienti trattati. – Un sistema partecipativo che garantisca una effettiva partnership con i cittadini ed il loro empowerment rispetto alle decisioni da prendere sul proprio corpo, nella propria comunità e per la propria salute, utilizzando le migliori conoscenze disponibili per garantirlo. – Un sistema di investimenti e di allocazione delle risorse che consideri la promozione ed il mantenimento dello stato di salute non più un costo ma un investimento per la Comunità con ricadute in termini economici e produttivi competitivi con altri sistemi. All’interno di questi ambiti d’intervento è necessario intervenire su: 1. La ridefinizione della distribuzione dei servizi sul territorio che ricomincia ad avere un senso soprattutto se le nuove tecnolo- N. 166 - 2008 gie garantiscono ai cittadini accessi tempestivi ai diversi livelli di cura in continuità fra di loro ed a costi sostenibili. 2. Lo sviluppo della logica dei processi assistenziali (10) per grandi e piccole patologie, la loro progettazione con tutti gli attori, pazienti compresi, e le loro associazioni in partnership (11). Orientando i sistemi sanitari agli obiettivi di sicurezza dei pazienti e degli operatori (12) e la loro valutazione periodica pubblica e condivisa con: – sistemi di indicatori di processo e di esito clinico ed organizzativo in grado di misurare quello che si intende misurare e di valutare con standards predefiniti ciò che si intende valutare (in genere il raggiungimento degli obiettivi di salute fissati dal progetto)(13). Possibilmente raccolti anche in sistemi di valutazione interna ed esterna di qualità (14), che consentano ai sistemi sanitari di uscire dall’ambito dell’autoreferenzialità, ma forniscano occasioni periodiche di autovalutazione e di verifica esterna per riadattare le proprie attività ai migliori standards accettati internazionalmente e per poter rendere pubblico il proprio bilancio di missione; – sistemi di documentazione delle azioni effettuate ai pazienti e, quindi, nei confronti delle organizzazioni sanitarie, in grado di trac- ciare ogni azione a garanzia della propria affidabilità e di autovalutare le proprie prestazioni con attività formalizzate di audit clinico ed organizzativo; – sistemi di documentazione (15) in collegamento con i centri di ricerca e le società scientifiche e professionali che consentano ai professionisti facenti parte della rete professionale interna all’organizzazione sanitaria di non restare isolati e di comunicare con il resto del mondo, in completamento a: – sistemi di formazione permanente (16) che mettano in grado i professionisti sanitari di acquisire,testare e sottoporre a valutazione periodica ed aggiornamento le nuove competenze che si rendessero necessarie per soddisfare nuove esigenze emerse dall’analisi dei bisogni della popolazione; – sistemi premianti che superino il solo criterio dell’anzianità o della distribuzione a pioggia di incentivi scollegati con lo sviluppo professionale dell’individuo e con i risultati in termini di salute dell’équipe in cui questo opera, ma che piuttosto riconoscano i successi ottenuti nel mantenimento e nel miglioramento dello stato di salute dei cittadini trattati. Tutti questi sistemi non possono che usufruire delle nuove tecnologie per: N. 166 - 2008 1. Documentare e fornire supporto agli operatori sanitari in ogni fase dei percorsi assistenziali ai diversi livelli di cura concordati con i pazienti, anche per fornire appropriata documentazione agli stessi pazienti o alle loro associazioni o alle comunità di cittadini che chiedano la rendicontazione delle attività: un vero e proprio bilancio di missione, come, ad esempio, le ASL dell’Emilia Romagna ci hanno insegnato (17). 2. Collegare i risultati degli esami strumentali o di laboratorio automaticamente nella documentazione clinica minimizzando il rischio di errori. 3. Ridurre i rischi di errori e di eventi avversi nelle attività diagnostiche e terapeutiche tradizionali e di quelle di nuova concezione garantendo anche ai trattamenti più complessi un impianto organizzativo in cui i mandati, gli obiettivi, i processi, i ruoli, le competenze e le abilità siano espliciti, riconoscibili e condivisi fra medici, infermieri e gli altri operatori. 4. Collegare i professionisti coinvolti nel percorso assistenziale previsto per i pazienti trattati per meglio coordinare le proprie attività. Collegare i pazienti ai professionisti di fiducia per ogni possibile tempestiva comunicazione relativa alla propria condizione ed organizzare le attività assistenziali, sia nell’acuzie che nella cronicità, con piena fruibilità da parte anche dei pazienti con ridotte capacità funzionali e culturali. 5. Gestire le attività sanitarie sulla base di questi dati e non solamente delle opinioni o delle ideologie e condurle verso i loro obiettivi propri di miglioramento dello stato di salute della popolazione e dei propri componenti. Bibliografia (1) Bobbio M. (1997), Trial clinici. Come interpretare e applicare i risultati di una ricerca scientifica, CSE, Torino. (2) Tomatis L. (2005), Primary prevention of cancer in relation to science, sociocultural trends and economic pressures, Scand J Work Environ Health, 31 (3): 227-32. (3) Tomatis L. (2006), Identification of carcinogenic agents and primary prevention of cancer, Ann N Y Acad Sci, 1076: 1-14. (4) Tomatis L. (2006), Experimental chemical carcinogenesis: fundamental and predictive role in protecting human health in the 1930s1970s, Eur J Oncol, 11 (1): 5-13. (5) http://www.epidemiologiaeprevenzione.it/tomatis/page1.htm (6) Poletti P., http://www.careonline.it/2005/2_05/pdf/parole_ chiave.pdf (7) Prodi R., Roma, 16 maggio 2007. (8) Manic M. The activity of the National Agency for Quality and Accreditation, Republic of Croatia, Udine, 16 febbraio 2008 (9) Beccastrini S., Gardini A., Tonelli S. (1997), Linee e componenti per un sistema qualità nelle aziende sanitarie, QA, 8, 4. (10) Casati G., Panella M., Di Stanislao F., Vichi M.T., Morosini P.L. (2005), Gestione per processi professionali e profili assistenziali, III Nuove prospettive nel SSN Sae l ute Territorio 13 Insomma, per ridare senso all’opera di molti per garantire qualità e sicurezza ai cittadini nei servizi sanitari, probabilmente bisogna saper cogliere dalle offerte culturali che provengono da altri saperi e dagli stessi saperi medico ed assistenziale, gli stimoli più appropriati per fare crescere il sistema. Garantendo nel contempo una costante valutazione dei risultati in termini di salute guadagnata dai cittadini per ciascuna delle innovazioni che verranno introdotte e il monitoraggio delle risorse impiegate dalla comunità per investire in salute. Il progetto MARQUIS finanziato dall’Ue e presentato il 7 dicembre alla sede OMS di Venezia (18) ci sta insegnando che non è una sola strategia per la qualità che è utile a migliorare la qualità del sistema sanitario chiamato Ospedale. I 380 ospedali studiati hanno diverse strategie per la qualità che si tirano dietro altre strategie e tutte concorrono a migliorare quello che è stato chiamato “indice di maturità del sistema qualità dell’Ospedale”. Quello che si dovrebbe fare è riuscire ad utilizzare queste strategie con obiettivi di miglioramento o di cambiamento ben definiti in anticipo, con progetti ben monitorati, su modelli predefiniti da ricercatori curiosi e rigorosi allo stesso tempo, e che abbiano sempre come obiettivo finale davanti a sé il miglioramento dello stato di salute delle persone che in quel sistema vengono trattate. Questo è l’unico obiettivo che dà un senso a qualsiasi azione tecnica o organizzativa che venga effettuata nel campo dell’organizzazione sanitaria. L’unico obiettivo che genera un pensiero forte e strategico in sanità pubblica (19, 20), di cui tutti i punti precedenti sono parti irrinunciabili, per cambiare veramente le cose. edizione, Roma-Ancona, in http://www.epicentro.iss.it/focus/ocse/ Cap1-Percorsi.pdf (11) Raccomandazioni SiQuas sulla Partnership con i Cittadini: www.siquas.it (12) Raccomandazioni SiQuas sul Risk management per la Sicurezza dei Pazienti: www.siquas.it (13) Raccomandazioni SiQuas sugli Indicatori clinici: www.siquas.it (14) Raccomandazioni SiQuas sui sistemi di valutazione esterna di qualità: www.siquas.it (15) Centro Documentazione Qualità Avedis Donabedian: www.ars.marche.it/cdq (16) Raccomandazioni SiQuas sulla formazione alla qualità: www.siquas.it (17) http://www.regione.emilia-romagna.it/agenziasan/bilmissione/index.htm (18) www.marquis.be (19) Shaw Charles D., Kalo I., Le basi per una politica nazionale per la qualità nei sistemi sanitari, OMS Europa, dicembre 2002, in http://www.ars.marche.it/cdq/download/Le%20basi%20per%20una %20politica%20nazionale%20per%20la%20qualit%C3%A0%20nei%20 sistemi%20sanitari.doc (20) Cavicchi I. (2008), Il pensiero debole nella Sanità, Dedalo. l ute Sa e 14 Territorio Maria Teresa Mechi Fabrizio Gemmi Paola Barbacci Francesca Bellini Alessandro Cecchi Grazia Monti Pierluca Pacini Pierluigi Tosi Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 La riorganizzazione “snella” dell’assistenza ospedaliera Azienda sanitaria di Firenze È convinzione ormai diffusa che ulteriori risultati in termini di efficacia ed efficienza delle risposte assistenziali degli Ospedali non possano essere ottenuti stressando ulteriormente l’attuale sistema e che un reale miglioramento sia perseguibile solo cambiando le regole del gioco. Su questo assunto si è sviluppato, nell’Azienda sanitaria di Firenze, il progetto di riorganizzazione della rete ospedaliera, recependo l’intenzione della Direzione aziendale di adottare una nuova strategia organizzativa per ottenere una disposizione più efficiente delle risorse umane e tecniche in modo da generare maggior valore da distribuire tra tutti gli stakeholders. L’attuazione della nuova strategia comporta necessariamente l’abbandono dei vecchi modelli organizzativi burocratico funzionali, che “spezzettano” i processi operativi e gestionali interni, rendendo difficile l’integrazione orizzontale, restringendo anche la visione degli obiettivi aziendali da parte dei professionisti coinvolti nel loro raggiungimento. Per riprogettare i processi di assistenza la filosofia utilizzata risponde al lean thinking, declinandone una applicazione a livello di sistema che ha portato alla introduzione di un modello gestionale per linee di attività; le attività ospedaliere sono state cioè rilette sviluppando la dimensione orizzontale che corrisponde al reale flusso del patient journey. Il metodo lean Il lean thinking, conosciuto anche come metodo Toyota, è stato messo a punto da Daniel Jones e James Womack nei primi anni novanta, quando pubblicarono i principi del metodo nel libro “La macchina che ha cambiato il mondo”, a conclusione di un programma di ricerca promosso dal Massachusetts Institute of Technology. La ricerca, mettendo a confronto il modo di funzionare delle Aziende americane rispetto a quelle giapponesi, evidenziò che i principi tradizionali della produzione erano stati superati da altri in grado di rispondere con maggiore efficacia alle richieste del mercato. Questi nuovi principi vanno sotto il nome di lean production, produzione snella, una definizione che esprime il significato profondo di un approccio teorico che valorizza la flessibilità, attraverso la realizzazio- La valorizzazione della flessibilità e della dimensione orizzontale in un nuovo modello organizzativo ne di strutture organizzative agili, e la partecipazione attiva delle persone al processo lavorativo. Il concetto chiave è quello del valore inteso come la capacità di soddisfare, con le sue caratteristiche e il suo costo, le esigenze, sempre mutevoli nel tempo, del cliente finale, nel nostro caso il paziente. La ricerca del valore avviene attraverso la lotta agli sprechi, nella loro accezione sociale ed etica, cioè attraverso l’identificazione di ciò che è utile, che va prodotto, conservato e trasmesso. Il consumo di risorse è giustificato solo per produrre valore per il “consumatore”, cioè per colui che paga, direttamente o indirettamente, per fare proprio questo valore, esattamente come accade anche per i cittadini nel nostro sistema sanitario. Il lean thinking negli ultimi 20 anni si è diffuso enormemente nel mondo della produzione a livello internazionale ma è solo dal 2005 che le istituzioni più prestigiose di management sanitario (l’In- stitute for Healthcare Improvement, Harvard, e l’Institute for Innovation and Improvement, UK) hanno inserito questo approccio nel loro setting. Negli ultimi anni alcuni famosi Ospedali (Virginia Mason, Mayo Clinic, Thedacare negli USA, Flinders in Australia, Bolton Trust in UK) ne stanno utilizzando i principi chiave per riorganizzare alcuni settori di attività. In Italia l’esperienza dell’ Azienda sanitaria di Firenze è la prima e l’unica ad avere scelto un approccio di sistema andando a ridefinire le regole organizzative sostanziali delle attività ospedaliere. Scarsa sicurezza e qualità insoddisfacente, limiti di capacità di risposta e conseguenti attese, limiti economici e motivazione bassa del personale sono preoccupazioni che affliggono tutte le organizzazioni in qualunque settore produttivo. Per questo l’introduzione nel mondo sanitario di un approccio sviluppato nel mondo dell’industria non deve sorprendere, in pri- Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 mo luogo perché l’adozione di strumenti e tecniche che nascono nei contesti produttivi fa parte della storia stessa del miglioramento della qualità in sanità, ma anche perché il valore sotteso alla eliminazione delle attività che non aggiungono valore e del rispetto per le persone e la società stanno alla base del sistema sanitario. Da un punto di vista più strettamente tecnico i principi su cui si basa il lean thinking sono di carattere generale e per questo possono essere applicati in qualunque contesto, in un’attività produttiva come in una di servizio, in una banca così come in un Ospedale o in un ambulatorio. Il punto fondamentale del lean thinking, su cui ruotano tutti gli altri, è la logica pull: per creare valore abbiamo necessità di fornire risposte in linea con la domanda, non di meno e non di più. Questo significa che tutte le prestazioni, i materiali e le informazioni devono essere “attratti” lungo le attività da compiere nel momento esatto in cui servono, nè prima né dopo, in modo da assicurare al processo una velocità costante, Sae l ute Territorio 15 Fig. 1. Rappresentazione grafica del flusso pull (da D. Jones, A. Mitchell, Lean thinking for the NHS, 2006). considerato che il tempo speso in stand-by o in code è un esempio di spreco. Nel processo sanitario ideale, i pazienti vengono “attratti” attraverso il sistema Ospedale ad una velocità e con una frequenza che tengono il passo della domanda: – le dimissioni attraggono i pazienti dai reparti, – i reparti attraggono i pazienti dal blocco operatorio e dalle ammissioni, – mentre attraggono processi di supporto dai servizi. L’innesco della logica pull allinea le fasi del processo con l’obiettivo di azzerare i tempi persi nell’attesa e lo spreco di energie derivante da discontinuità nei flussi di lavoro (Fig. 1). Questo concetto può apparentemente sembrare contro-in- tuitivo perché, tradizionalmente, siamo portati a ragionare in termini opposti (push), ed è l’attività a monte che deve spingere per avviare lo step a valle, ad esempio nei Dipartimenti di emergenza si cerca la disponibilità di un letto quando un paziente è pronto per un ricovero, mentre con la logica pull è il reparto che attrae il paziente appropriato e ciò ha mostrato essere in grado di ridurre i tempi di attesa (Fig. 2). Il programma OLA L’obiettivo del progetto è quello di rivisitare i processi portanti ospedalieri dall’inizio alla fine per identificare le fasi in cui si produce il valore, creare le condizioni per un flusso costante nel percorso del paziente e così decli- nare la nuova mission: rendere accessibili con tempestività il maggior numero possibile di risposte appropriate, con le risorse date. Attraverso la riorganizzazione della propria rete ospedaliera, l’Azienda si prefigge infatti di poter offrire ai propri assistiti l’accesso alla migliore risposta possibile, in qualunque sede, in qualunque struttura ed in qualunque tipologia di presidio, perseguendo l’eccellenza. I tre principi ispiratori sono: – organizzazione semplice; – processi centrati sull’utente; – valorizzazione delle competenze. Il progetto è iniziato nel gennaio 2007, dopo una fase di studio di sei mesi. Nel suo sviluppo si prevede che tutte le attività di ricovero e ambu- Fig. 2. Effetto del ward pull sui tempi di attesa per ricovero al Flinders Medical Center di Adelaide (da D. Jones, A. Mitchell, Lean thinking for the NHS, 2006). l ute Sa e 16 Territorio Nuove prospettive nel SSN latoriali degli Ospedali dell’Azienda verranno ricollocate all’interno di linee di processo progettate secondo la value stream. Per ottenere questo risultato occorre prima di tutto operare un cambiamento di mentalità: – spostarsi da una logica a silos ad un’organizzazione traversale costruita sulle necessità del paziente; – ragionare in termini di catena del valore. Il primo passaggio è stato la definizione dei macroprocessi ospedalieri che vanno ad identificare le linee di attività (Fig. 3, Box 1). Le linee di processo sono state ricostruite analizzando e aggregando le attività per “famiglie di prodotti” secondo le indicazioni del lean thinking. Questo comporta la necessità di cambiare la produzione dal reparto al flusso per gruppi omogenei di pazienti in cui l’elemento comune non è il problema clinico ma bisogni assistenziali che vengono soddisfatti da una stessa linea di attività. Una delle caratteristiche metodologiche del lean è il coin- volgimento del personale direttamente impegnato nelle attività di progettazione e di miglioramento del proprio modo di lavorare. Questa indicazione è l’elemento primario del progetto aziendale che viene realizzato con l’apporto diretto dei professionisti. Le linee di indirizzo per il ridisegno dei macroprocessi sono state definite attraverso eventi kaizen exemplar (che abbiamo definito “settimane prototipo”) con un gruppo di esperti del settore individuato tra i professionisti aziendali; le specifiche organizzative sono state poi elaborate attraverso eventi kaizen realizzati nei vari presidi. Ad oggi sono stati realizzati 4 eventi kaizen exemplars, nello specifico per il macroprocesso della chirurgia in elezione, della chirurgia in urgenza, dell’interfaccia DEA – reparti, della High Care medica, e 9 eventi kaizen nei presidi ospedalieri aziendali per il ridisegno dei ricoveri chirurgici e dei ricoveri medici, coinvolgendo in prima persona 300 professionisti (Fig. 4). I criteri guida adottati sono: N. 166 - 2008 Box 1 Definizione delle linee di attività ospedaliera nella Azienda sanitaria di Firenze Le linee di attività comprendono famiglie di processi affini dal punto di vista organizzativo e del percorso dell’utente. La definizione delle linee è fatta quindi in base a variabili organizzative e non solamente in considerazione della problematica clinica. Linea della chirurgia in urgenza Questa linea comprende i ricoveri per problemi di tipo chirurgico con accesso dal Dipartimento di emergenza. Linea della chirurgia programmata Include tutti ricoveri per intervento chirurgico che fanno seguito ad una programmazione e ad una valutazione che avviene prima del ricovero in Ospedale. Comprende anche la chirurgia di un giorno (Day Surgery). Linea della High-Care Ricoveri di tipo medico, con necessità di cura continuata nelle 24 ore oppure per periodi inferiori alle 12 ore (Day Hospital), che in ogni caso richiedono una alta intensità di assistenza sanitaria. Percorso nascita È la linea di attività che comprende i servizi per la gravidanza, il parto, l’assistenza alla madre ed al neonato. Linea outpatients Raggruppa le attività per utenti non ricoverati. Comprende sia prestazioni ambulatoriali più semplici dal punto di vista organizzativo, che percorsi coordinati, anche con il coinvolgimento di risorse di elevata complessità (Day Service, servizi di emodialisi, chirurgia ambulatoriale, servizi di endoscopia, servizi di diagnostica interventiva, ed altri). Linea della low-care Ricoveri con necessità di cura continuata nelle 24 ore, che richiedono assistenza di più bassa intensità. Fig. 3. Linee di attività. 1. Ragionare in termini di catena del valore specificando il valore dalla prospettiva del paziente e identificando il value stream per ciascun gruppo di pazienti e rimuovere i muda rendendo efficienti ed efficaci le prestazioni cliniche e assistenziali, le attività di ammissione e di dimissione. 2. Passare da una gestione reattiva a una proattiva sfruttando maggiormente la possibilità di predire la domanda. N. 166 - 2008 Nuove prospettive nel SSN Sae l ute Territorio 17 Fig. 4. Persone direttamente coinvolte nello sviluppo del progetto OLA. Fig. 5. Nuovo lay-out delle degenze delle chirurgie, Ospedale S. Maria Annunziata. Fig. 6. Nuova organizzazione attività in reparto. Attraverso un’operazione a cascata che ha coinvolto gruppi di lavoro di tutti i presidi è stata ridisegnato il lay out di alcuni ospedali (Fig. 5) e completamente riletta la “ vita quotidiana” del reparto (Fig. 6). Il roll out della prima linea di attività ridisegnata è avvenuto in ottobre del 2007 con l’avvio delle nuove modalità organizzative delle attività chirurgiche dell’Ospedale Nuovo San Giovanni di Dio, seguito, nel gennaio 2007, dalle attività chirurgiche dell’Ospedale Santa Maria Annunziata. Conclusioni L’adozione di un nuovo modello organizzativo è per qualsiasi Azienda una decisione difficile, dei modelli esistenti si conoscono le lacune ma anche i punti di forza così come sappiamo che qualunque nuovo modello si porta dietro vantaggi, ma inevitabilmente anche svantaggi, la cui correzione com- l ute Sa e 18 Territorio Nuove prospettive nel SSN porta un grandissimo lavoro per assicurare il successo dell’operazione. Ben si comprende quanto sia impegnativo e per certi aspetti “rischioso” avviare processi di cambiamento che aggrediscono così profondamente le regole esistenti dell’organizzazione. Per questo uno degli elementi cardine in questi casi è il commitment Bibliografia Jones D.T., Mitchell A. (2006), Lean thinking for the NHS, Lean Enterprise Academy, NHS Confederation, UK. McCarthy M. (2006), Can car manufacturing techniques reform health care?, Commentary, Lancet, 367 (9507): 290-1. Going Lean in Health Care, IHI Innovation Series, 2005. Womack J.P., Jones D.T. (1996), Lean Thinking: Banish Waste and Create Wealth in Your Corporation, second edition 2003, Simon and Schuster, Inc., New York. (segue da pag. 8): Il pensiero debole della sanità Ebbene la grande novità del nostro tempo è che questo non è più possibile. Gli errori vanno in tribunale e rappresentano per una professione veri e propri eventi catastrofici. Uno dei grandi temi posti dal contenzioso legale tra cittadini operatori e servizi è sicuramente la sicurezza del malato. Tradizionalmente questo tema era dentro il principio di beneficialità, perché il medico aveva il dovere di fare il bene del malato con il minor danno possibile. Oggi questo principio è stato praticamente revocato e spostato in capo agli esperti di risk management. Il risk management è un pensiero debole. Il risk management si basa sul principio che tutta la complessità sanitaria sia riducibile a problemi oggettivi. Il presupposto di partenza è che il mondo è tutto un problema e che tutti i suoi abitanti sono problem solvers. “Incontreremo problemi, tenteremo di risolverli, commetteremo errori”. Ma in sanità esistono anche le contraddizioni che hanno una logica diversa, esistono i soggetti che non sono riducibili a problemi, esistono i mondi a molti mondi della complessità che non sono rappresentabili come problemi. In medicina in realtà l’errore è quasi sempre la coemergenza di tante cose che è difficile sintetizzare in un problema. Nell’errore spesso concorrono condizioni, credenze, supposizioni, situazioni, imprevedibilità, inevitabilità, strumentalità ecc. Per quel che riguarda il risk management si tratta di prendere un’altra strada. Propongo di chiamare questa nuova strada strategia per la riduzione del grado di fallibilità ine- N. 166 - 2008 della Direzione, nel caso specifico la Direzione dell’Azienda sanitaria di Firenze ha assicurato una presenza costante a fianco dei gruppi di lavoro confermando conti- nuamente il proprio impegno nell’assicurare il supporto necessario e rafforzare il mandato, elemento di forza del progetto. Rother M., Shook J., Womack J.P., Jones D.T. (2003), Learning to See, Version 1.3., Lean Enterprise Institute, Boston. Fiume O., Cunningham J.E. (2003), Real Numbers: Management Accounting in a Lean Organization, Managing Times Press. Spear S.J. (2004), Learning to lead at Toyota, Harvard Business Review, May, 82 (5): 78-86, 151. Ben-Tovim D.I., Bassham J.E., Bolch D., Martin M.A., Dougherty M., Szwarcbord M. (2007), Lean thinking across a hospital: redesigning care at the Flinders Medical Centre, Aust. Health Rev., 31 (1): 10-15. Bonner S.B. (2007), Hospitals can do more with less, Health Care News, Publisher: The Heartland Institute. vitabile della medicina. Chiarisco la proposta: – il risk management non è una strategia ma un insieme di tecniche. Sul rischio abbiamo bisogno di strategie vere che accanto alle tecniche prevedano altro e di più, ad esempio tutto quanto aiuti l’operatore a scegliere di più sbagliando di meno e quindi a fare scelte responsabili e tutto quanto aiuti l’operatore a conoscere meglio e di più il suo malato; – è necessario riconoscere un certo grado di fallibilità dell’operatore riducibile ed irriducibile. Il fallibilismo è un atteggiamento dell’operatore cosciente. Egli sa che l’errore è possibile ad ogni istante del suo lavoro e proprio per questo cerca costantemente di migliorarsi. L’atteggiamento del risk management è del tutto diverso: si dà per scontata la falli- bilità e si interviene dall’esterno sull’organizzazione per prevenirla adottando delle tecniche; – è necessario che i cittadini condividano una realtà di rischio inevitabile e questo non solo per ragioni di consenso informato, ma per ragioni di solidarietà. L’inevitabilità non è solo qualcosa che non si può eliminare, ma è soprattutto qualcosa di cui non si può dire, non si può umanamente conoscere, non si può governare. Ripensare la medicina come scienza dei soggetti, delle relazioni tra conoscenza e soggetti, del linguaggio e dei sentimenti. Quindi scienza delle virtù cardinali: prudenza, giustizia, temperanza, fortezza. Il risk management non si occupa delle virtù dei soggetti. Le virtù sono le capacità degli operatori. Le proprietà sono le caratteristiche delle tecniche. Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 Fabio Capacci Franco Carnevale Sae l ute Territorio 19 Morire di lavoro Medici del lavoro UF Prevenzione igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro “G. Pieraccini” Dipartimento di prevenzione dell’Azienda sanitaria di Firenze I l morire o subire un danno alla salute per responsabilità altrui rende i danni da lavoro, tra quelli da comportamento colposo, una delle categorie più inaccettabili. Più che il morire in auto per l’altrui imprudenza, arroganza e negligenza, il danno e la morte sul lavoro contengono in sé, particolarmente evidenti, anche elementi di prevaricazione sociale, di interesse di qualcuno ai danni di altri più deboli, tali da rendere la responsabilità per queste morti e per questi danni particolarmente odiosa. Queste considerazioni non sono state nel passato così presenti nell’immaginario sociale, se non dei lavoratori che questi danni subivano e dei loro familiari, che contro queste prevaricazioni hanno combattuto fino ad ottenere risultati tali da smorzare, ad un certo punto, rispetto ad altre esigenze più pressanti, l’urgenza della prevenzione e della tutela della salute. Dall’inizio degli anni ’90 del Novecento e fino a pochi mesi fa, in assenza di rivendicazioni forti della “base” dei lavoratori, la sicurezza del lavoro era infatti scomparsa dall’agenda di forze politiche e sociali mentre da qualche mese l’argomento è tornato prepo- tentemente all’ordine del giorno. Qualunque ne sia il motivo, ciò deve essere valutato positivamente perché l’attenzione che ha catalizzato il problema, grazie ad una battente campagna informativa svolta dai “media”, ha superato per la prima volta i confini dei diretti interessati, i lavoratori a rischio, e degli addetti ai lavori, arrivando a permeare di sé l’intera coscienza collettiva. Un fenomeno così clamoroso rischia però di indurre in qualche equivoco che si può riflettere sul modo di affrontarne gli aspetti tecnici. Alcune riflessioni utili alla discussione rischiano di essere “impopolari” e molti, soprattutto la politica, preferiscono attestarsi su proposte che abbiano il pregio di poter essere presentate come taumaturgiche, facilmente comprensibili dai media e concretamente realizzabili in tempi accettabili senza compromettere troppo equilibri ed interessi sedimentati negli anni. Ciò che si sente affermare è, sostanzialmente, che il problema dei danni e delle morti da lavoro si può risolvere: a) con una nuova normativa, b) con un aumento dei controlli ed inasprimento delle sanzio- L’esigenza di una nuova normativa. Il ruolo dei rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza ni ai datori di lavoro, c) con un aumento della formazione dei lavoratori. Normativa, formazione, controlli e sanzioni sembrano dunque gli elementi responsabili della strage sul lavoro e non è popolare insinuare dubbi su questo o pensare che siano possibili diverse letture per un fenomeno, quello degli infortuni sul lavoro, che in realtà è legato ad un insieme di cause spesso lontane tra loro, tanto che parlarne come se esistesse un’unica medicina rappresenta un ostacolo nell’individuazione di soluzioni efficaci. Un nuovo”testo unico” La lettura della normativa sulla sicurezza del lavoro in Italia, frutto di stratificazioni decennali e di recepimenti non sempre organici rispetto a norme preesistenti e mai abrogate, non è certo facile e di un testo unico sulla sicurezza si parla fin dal 1978, anno in cui era stato previsto dalla legge di riforma sanitaria. Tuttavia chi ha voluto far capire che il nuovo testo unico sarà capace tout court di ridurre gli infortuni sul lavoro avrebbe dovuto riflettere e far riflettere sul fatto che le norme preventive già in vigore sono nella sostanza quelle condivise con il resto dell’Europa ed è difficile pensare ad un loro stravolgimento per migliorarle. Più utile sarebbe invece riflettere sui motivi che hanno favorito la parziale vanificazione e quindi la mancata applicazione di questa stessa normativa, richiamando l’attenzione su alcuni obbiettivi: rendere applicabile (da parte dei datori di lavoro) in maniera snella ma sostanziale, e non formale come finora è stato, quella normativa; la possibilità che i lavoratori abbiano capacità e potere di tutelarsi; dare alle istituzioni capacità e mezzi per favorire, valutare e controllare l’applicazione, sempre quella sostanziale e non formale, della normativa; rendere più efficace l’opera dei consulenti, tecnici e medici del lavoro messi in campo dal datore di lavoro. Come nel vecchio anche nel nuovo testo, quello approvato in prima istanza dal Consi- l ute Sa e 20 Territorio glio dei ministri del 6 marzo 2008, prevale, fin dai titoli degli articoli, un incitamento alla “valutazione dei rischi”, cioè verso un atto rappresentato e poi inteso come meramente compilativo; nulla è stato fatto e scritto per enfatizzare, come pretende invece la direttiva comunitaria, il primato e la necessità di interventi gestionali e di programmi di miglioramento continui. È come se del binomio assessment – management, unitario in lingua inglese, in Italia fosse stato accolto soltanto il primo termine, quello della valutazione, che può procedere in maniera separata rispetto alla gestione dei rischi lavorativi. La deroga all’obbligo della predisposizione della valutazione in circa il 90% delle aziende italiane, quelle con meno di 10 addetti e senza distinzione di “rischi”, sembra permettere a molti di intendere che ciò riguarda anche la gestione dei rischi lavorativi. Tutto ciò è fuorviante anche per gli operatori dell’organo di controllo, perlomeno per quelli meno attenti, che nella “valutazione delle valutazioni” tendono ad esaurire tutta la loro carica tecnica ed emotiva. È stato trascurato in sostanza l’impegno, che ha valore culturale ma anche economico, di mettere più chiaramente in luce il debito preventivo specifico che il datore di lavoro con i suoi consulenti contrae con tutti (lavoratori, istituzioni, aziende concorrenti) e cioè quello di dover dimostrare di avere fatto tutto quanto è tecnicamente possibile per controllare e gestire i rischi presenti nella Nuove prospettive nel SSN propria azienda, in maniera convincente e verificabile da parte di chi ne ha titolo. Parlare di “semplificazione” delle incombenze su questa materia, soprattutto quando sono incombenze di tipo valutativo, non significa affatto voler introdurre elementi di riduzione delle garanzie ma piuttosto voler impegnare direttamente in azioni pragmaticamente efficaci invece di disperdere energie e risorse nel tenere in piedi un sistema di sicurezza teorico. È noto come la complessità di un sistema lo renda spesso inadatto ad offrire risposte semplici: indurre aziende piccole o piccolissime e con cicli produttivi semplici, come quelle che costituiscono gran parte delle aziende italiane, comprese quelle dove giornalmente si consumano molti dei danni del lavoro, a mettere in piedi ed alimentare sistemi per la prevenzione grandi e complessi, non porta ad altra conseguenza se non alla sostanziale elusione di questi obblighi e ad un atteggiamento culturale di rifiuto e scarsa considerazione nei confronti della “scienza” della prevenzione. Controlli e sanzioni: l’efficacia della deterrenza Nel nuovo testo del 6 marzo 2008, viene confermata l’attribuzione alle Regioni delle attività di controllo degli ambienti di lavoro ma nessun elemento né indirizzo viene previsto per assicurare che ogni Regione possegga risorse e strutture adeguate e perché si costruisca un sistema di prevenzione unitario, nazionale, pubblico, come esi- N. 166 - 2008 ste in ognuno dei Paesi europei. L’organo di controllo rimane collocato all’interno delle ASL in un atteggiamento di sofferenza, di isolamento e di scarsa autenticità, stante gli obbiettivi, gli interessi e l’organizzazione per nulla facilitanti che animano le Aziende sanitarie. Anche il tanto declamato “coordinamento dei controllori” rappresenta uno strumento che la sperimentazione condotta in alcune Regioni ha già dimostrato sostanzialmente inefficiente e dispendioso. Le attribuzioni aggiudicate all’ISPESL, Istituto centrale per la prevenzione, confermano la separatezza del sistema pubblico: rimane infatti l’organizzazione attuale dell’ISPESL con una sede centrale ancora alla ricerca di un ruolo e con sedi periferiche che mancano di qualsiasi collegamento con il vero sistema periferico di controllo regionale, quello delle ASL. A ciò si aggiunge oggi, con l’obbiettivo di sanare i conflitti di interesse di un’azienda che controlla se stessa, l’attribuzione all’ISPESL (alle sue strutture periferiche?) della vigilanza sulle strutture sanitarie pubbliche, attribuzione per niente chiara, almeno nella sua applicazione. Complessivamente farraginoso è il “sistema istituzionale” delineato che prospetta dei coordinamenti centrali (due, di cui uno, pare, per ricompensare il mancato impegno dimostrato negli ultimi trenta anni, dalla data della riforma sanitaria, dal Ministero della sanità nel campo della salute occupazionale …) e regionale. Gli obiettivi del coordinamento sono tanti, piuttosto evanescenti e nel contempo pretenziosi ma poco approfonditi sono i flussi ed i destinatari degli indirizzi amministrativi e tecnici “coordinati”. L’articolo 8 prospetta un altisonante quanto improbabile “Sistema informativo nazionale per la prevenzione” (SINP) nei luoghi di lavoro” che “risiede presso l’INAIL” il quale, bene che vada, replicando l’insuccesso di quanto previsto da una precedente legge a proposito del registro delle malattie professionali, potrà continuare a diffondere i dati della sua gestione assicurativa sugli infortuni e le malattie professionali. Alcuni affermano, ed il testo unico sembra recepire questo indirizzo, che l’efficacia della deterrenza possa ridurre l’incidenza dei danni e delle morti sul lavoro. È certo invece che persistendo le cose così come sono oggi in termini di numero di aziende sottoposte a sopralluogo ispettivo e di peso delle sanzioni comminate, le aziende potrebbero non avere interesse, inteso in senso esclusivamente economico, ad ottemperare alle norme. In altre parole, se lo stimolo a realizzare la prevenzione derivasse esclusivamente dall’ipotesi ispettiva e sanzionatoria, ogni azienda potrebbe avere più interesse (ossia farebbe più profitto) a non realizzarla. Fortunatamente non è così e, anche trascurando per un momento le motivazioni di tipo etico, la prevenzione è per molte aziende uno strumento di produzione e, quindi, di pro- Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 fitto. È una competizione senza regole a spingere il profitto ad associarsi al rischio lavorativo. Non si può fingere di ignorare che in una economia liberale e di mercato è il profitto l’obbiettivo di ogni impresa privata (e tendenzialmente anche di quelle pubbliche) e l’inasprimento delle sanzioni, per essere efficace, dovrebbe essere tale da incidere sensibilmente sul profitto delle imprese. Non è difficile dimostrare con pochi conti che per ottenere un risultato del genere il costo delle sanzioni dovrebbe essere assai più elevato di quello attuale ed anche di quello proposto nel nuovo testo unico e che, soprattutto, le aziende a rischio di controllo ispettivo dovrebbero essere una percentuale di gran lunga maggiore di quanto ipotizzabile anche dopo un cospicuo rafforzamento degli organici ispettivi. Ma anche ipotizzando di raggiungere un sufficiente livello di efficienza, il sistema risulterebbe iniquo e sostanzialmente inefficace: infatti avremmo sanzioni “mortali” per la piccola impresa e si creerebbe un doppio canale, quello delle imprese solvibili (medie e grandi imprese) e quelle che il sistema metterebbe in crisi. Questo specifico aspetto del problema, solo apparentemente intricato, ha una soluzione relativamente semplice, già adottata dalla maggior parte dei Paesi europei, che si fonda su un sistema assicurativo realmente premiante, tipico dell’assicurazione privata, che regola i suoi premi sulle caratteristiche delle aziende (dimensio- ni, numero di addetti, rischi presenti, ma anche livello di controllo dei rischi messo in atto). Nel nuovo testo unico tutti si aspettavano diverse novità in questo senso relativamente al ruolo dell’INAIL. In realtà l’Ente assicuratore unico manterrà la sua tradizionale caratteristica “sociale” nel senso che, principalmente, garantisce una copertura assicurativa “a buon mercato” ai datori di lavoro, attingendo diffusamente i premi da tutte le aziende quasi indipendentemente dal rischio lavorativo realmente assicurato. In tal modo l’Istituto è messo nelle condizioni di non utilizzare il premio assicurativo quale deterrente per il miglioramento delle condizioni di lavoro e per ridurre frequenza e gravità degli infortuni; in compenso lo stesso Ente è relegato al ruolo di cassaforte “sociale”, pronto ad erogare finanziamenti per progetti di miglioramento “morbidi”, da attuare con la consulenza dello stesso Istituto, tanto che la bozza del testo unico prevede che i suoi operatori, come tutti i bravi “consulenti”, siano esonerati dall’obbligo di denunciare le eventuali violazioni della normativa sull’igiene e la sicurezza del lavoro riscontrate nelle aziende (art. 11 comma 5). Sorveglianza sanitaria per tutti Un aspetto particolare dei controlli è quello legato alla sorveglianza sanitaria, arma che, per la forza di alcune corporazioni, viene perpetuata, anzi per certi aspetti esasperata con il nuovo testo unico. Spesso la “medicalizzazione” della prevenzione è intesa e fatta intendere quasi come sostituto o surrogato della prevenzione tecnica. Si tratta, come oggi spesso è possibile osservare, di una pratica medica che risulta inappropriata nella grande maggioranza dei casi, di un grande business, di un dispendio economico che può trasformasi in strumento di precarizzazione dei lavoratori, quelli resi parzialmente inidonei o del tutto inidonei alla visita medica. Dalla nuova stesura della norma si può interpretare, e non vi è dubbio che tale interpretazione prevarrà, che la pratica medica, intesa come visita “almeno annuale”, è da diffondere in qualsiasi attività lavorativa quale “misura generale (e generica) di prevenzione”; vengono in più previsti anzi legittimati, perché esistono già sul mercato, dei “visitifici”, anche itineranti, con un coordinatore che dalla sede centrale sguinzaglia per l’Italia dei medici “competenti”, poco propensi all’igiene industriale (che fa perdere tempo e “svilisce”), con un approccio di tipo clinico per la “sorveglianza” di individui sganciati dal lavoro che è praticata in maniera indipendente dal contesto ambientale ed organizzativo dove questi lavorano. L’obbligo dei medici a visitare i luoghi di lavoro viene limitato ad una volta all’anno, la stessa periodicità della visita medica. L’effetto atteso ed osservato è quello di una rinuncia alla ricerca di informazioni, anche sanitarie, individuali o di gruppo, da utilizzare come strumento Sae l ute Territorio 21 utile per la gestione della prevenzione riferita a rischi lavorativi specifici o a mansioni realmente svolte. Tutto ciò con buona pace degli indirizzi, non solo di tipo etico, oggi praticabili più che in passato, che portano a concludere che una ampia varietà di lavori può essere svolta dalla grande maggioranza dei lavoratori dovendo piuttosto prevalere impegno e competenze per mettere in atto una terapia rivolta ai rischi lavorativi in alternativa ad un perverso accanimento diagnostico e prognostico. Formazione, formula magica La “formazione” è qualcosa di cui concettualmente è difficile negare l’utilità. È parola sufficientemente generica da essere alla fine poco impegnativa. È una formula magica che nasconde anche un giro di molti milioni di euro e di “nuovi” posti di lavoro, comunque vadano le cose ed a prescindere da ogni valutazione di efficacia. Nel campo della sicurezza del lavoro è termine ormai abusato e, per questo, non più troppo tranquillizzante; mai prima d’ora c’era stato un tale fiorire di iniziative di formazione che hanno coinvolto le figure specifiche della prevenzione, i responsabili del SePP, i coordinatori per la sicurezza, i consulenti esterni e gli operatori dei servizi PISLL, in un programma che viene giustamente definito non di aggiornamento ma bensì di formazione continua, volto evidentemente a superare un gap professionale di cui giustamente qualcuno si deve esse- l ute Sa e 22 Territorio re accorto ma che in molti casi fa nascere spontanea la domanda: “ma prima questi signori che lavoro facevano?”. Programmi di formazione sono giustamente previsti e realizzati per i lavoratori, quelli addetti a compiti speciali, quelli “comuni”, i preposti ed i dirigenti, programmi calibrati per lingua, etnia, livello culturale e di percezione del rischio. Per non parlare della formazione prevista per gli eletti come rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza (RLS). Corsi di formazione sono previsti per gli apprendisti in sostituzione delle visite mediche condotte assiduamente in passato e giustamente abrogate in quanto non ritenute efficaci: tornano a scuola ragazzi che l’istruzione scolastica di base non è riuscita a coinvolgere e che ora si pretende di formare per avviare ad un lavoro, per lo più semplice, con corsi teorici per nulla banali, tenuti da professori privi di qualunque autorità. Il fallimento di queste iniziative è già sotto gli occhi di tutti, degli insegnanti che abbandonano le lezioni, dei ragazzi che imparano la irrilevanza e marginalità della formazione, delle stesse agenzie di formazione alle quali, peraltro, continuano ad arrivare finanziamenti pubblici. La mancanza di qualsiasi flessione sull’andamento del fenomeno infortunistico a fronte dell’enormità di questo sforzo formativo dovrebbe spingere a chiedersi se qualcosa, se non altro nel metodo, possa essere sbagliato. In passato la formazione professionale, quella storica cui Nuove prospettive nel SSN erano sottoposti gli apprendisti nelle botteghe artigiane, avveniva per affiancamento. Nel campo della sicurezza lo stesso metodo sarebbe auspicabile se le imprese avessero sviluppato “in sicurezza” le proprie attività. Se la prevenzione non entra a far parte dello stile della produzione, nessuna formazione potrà modificare dal basso i comportamenti sul lavoro ma solo aumentare la consapevolezza del rischio in un contesto dove marginalizzazione e ricatto occupazionale rendono i lavoratori impotenti. Su questi argomenti il recente dramma della Thyssen qualcosa potrebbe insegnare. La partecipazione dei lavoratori delegata agli RLS La definizione del percorso di nomina e di formazione degli RLS sono aspetti definiti dalla norma in maniera assai più chiara e netta di quanto non siano poi le modalità di espletamento delle loro prerogative. Oggi si assiste a due “stili” operativi degli RLS che, non casualmente, corrispondono a due diverse tipologie di aziende: – Il primo è quello degli RLS che lavorano in aziende manifatturiere di medie e grandi dimensioni (non nelle piccole perché è raro trovarceli e se ci sono, sono figure completamente assorbite nella gestione aziendale mentre sono inesistenti gli RLS territoriali), dove gli RLS svolgono spesso il ruolo di addetti al Servizio di prevenzione e protezione (SePP) apportando così, con efficacia anche se impropriamente, N. 166 - 2008 il loro contributo. In altri casi, i peggiori, gli RLS sono “trasparenti” e ricattabili e neppure la nomina sindacale riesce a dare visibilità alla sicurezza ed al loro ruolo. – Diverso è il caso delle aziende pubbliche o delle grandi aziende di servizi, dove si assiste ad uno strano fenomeno che porta gli RLS ad ipertrofizzare il confronto con l’impresa, senza possibilità né ricerca di mediazione, fino alla cristallizzazione dei ruoli in un conflitto perenne che spesso si alimenta di temi di scarso rilievo o scarsa pertinenza con la prevenzione. È una conflittualità che privilegia aspetti formali, relativi in particolare alle modalità di redazione della valutazione dei rischi, alle modalità di convocazione e svolgimento delle riunioni periodiche o, più in generale, al ruolo degli RLS ed al livello del loro coinvolgimento, nella convinzione di riuscire a rivendicarlo “626 alla mano”. Oppure si tratta di conflitti su aspetti specifici (la scelta dei DPI, le caratteristiche di arredi giudicati più o meno “ergonomici” o aspetti legati alla manutenzione ordinaria ed alla pulizia) che non colgono con chiarezza il confine tra rispetto delle caratteristiche minime prescritte dalla legge e scelte soggettive; si tratta, in genere, di condizioni di lavoro a bassissimo rischio, di questioni attinenti al “benestare” ancor più che al “benessere” dove spesso si confon- dono reazioni personali a fronte di condizioni disturbanti con veri e propri rischi specifici per la salute (la mancanza di termostato sui termosifoni, una perdita d’acqua, la necessità di rimbiancare una stanza o di sostituire la cinghia di una tapparella, fino alla qualità delle merendine del distributore automatico). Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il quale è ovviamente competente anche di problemi di igiene del lavoro ed in generale di tutti gli aspetti riguardanti la salute dei lavoratori, è stato previsto e definito da una norma europea, quindi dal D. Lgs 626/94 e poi dagli accordi, intercorsi e non più modificati, tra organizzazioni dei lavoratori e varie categorie di datori di lavoro. Con queste operazioni si è prodotta una sostanziale frattura tra questa nuova figura e l’esperienza italiana delle Commissioni Ambiente, molto attive sul tema della salute e della sicurezza, almeno in alcuni periodi ed in certi luoghi di lavoro, ed anche con quanto previsto in tema di rappresentanze dal pur poco applicato Statuto dei diritti dei lavoratori. Il vigente assetto normativo, pur confermando lo stretto legame con le rappresentanze sindacali, garantisce all’RLS una funzione consultiva e propositiva, finalizzata ad una soluzione partecipata di problemi individuati e riconosciuti, attività questa tipicamente “collaborativa”, “fattiva” e “professionalizzata” che, come è ovvio, risulta essere assai diversa da quella tradi- Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 zionale di tipo negoziale e prettamente sindacale. Nella pratica rimangono allo stato di carenza e comunque ampiamente irrisolti dei problemi ormai ben presenti nella letteratura di sociologia del lavoro ma mai abbastanza dibattuti; tra questi problemi meritano di essere ricordati: le aspettative dei lavoratori che hanno come riferimento quel preciso RLS; le risorse necessarie perché l’RLS porti a compimento la propria missione; la strategia dell’RLS; il rapporto dell’RLS con gli esperti, con l’organo di controllo e con la parte sociale rappresentata; e quindi le grandi questioni ricadenti negli ambiti dell’appartenenza dell’RLS e della sua competenza. Il processo tendente alla soluzione dei problemi di cui sopra riguardanti la figura dell’RLS, incontra due principali ostacoli che possono essere interpretati come errori “ideologici”: 1. Il primo ostacolo agirà inevitabilmente ed indefinitivamente sino a quando i datori di lavoro non riconosceranno nei RLS dei propri insostituibili collaboratori, pur se “interessati” e critici, nella valutazione e nella gestione di tutte le questioni attinenti la salute ed il benessere di ogni tipo di lavoratore coinvolto in quel dato sistema produttivo. Su questo punto l’errore “ideologico” è diffuso e nessuna dichiarazione di intenti, a quanto risulta, pare sia stata emanata per tendere al suo superamento. 2. Il secondo errore entra in gioco quando l’RLS rinun- cia o è costretto a rinunciare al suo ruolo “partecipativo” per assumerne altri non autentici e non funzionali al modello preventivo proposto. Ciò succede ancora diffusamente, specie nel settore della pubblica amministrazione e dei servizi, quando l’RLS assume o riprende un comportamento contrattualistico proprio riguardo alla salute ed alla sicurezza, o quando utilizza “sindacalmente” oppure strumentalmente argomenti riguardanti la salute al fine di richiamare l’attenzione su altri temi più o meno generali delle relazioni industriali, oppure ancora quando l’obiettivo della sua iniziativa non è tale da ridurre o controllare un rischio lavorativo individuato e approfondito. È bene notare che le organizzazioni sindacali hanno fatto molto per rinunciare a questo tipo di errore “ideologico”, quando almeno in forma di enunciazione hanno abbracciato il processo partecipativo reinterpretandolo, rispetto al significato che aveva assunto qualche decennio addietro, alla luce della norma europea. L’esperienza, ormai decennale, del movimento degli RLS si è giustamente dovuta incontrare-confrontare anche con l’Organo di controllo e cioè con i Servizi dedicati delle Aziende sanitarie locali (UF. PISLL). Come i rappresentanti dei lavoratori anche le attuali UF. PISLL hanno cambiato pelle e scheletro. Da consulenti esclusivi o privilegiati dei lavoratori (quali erano prima della Riforma sanitaria del 1978) hanno assunto sempre più un ruolo istituzionale “neutrale”, come pretende la normativa, che tuttavia deve sempre poter riconoscere e contrastare situazioni, sempre aberranti ed illegittime, di debolezza e di disinformazione. Quando questo genere di impegno di difesa dei più deboli risulta prevalente per la UF. PISLL rispetto ad altri impegni, significa che il sistema preventivo nei luoghi di lavoro del territorio di competenza è poco maturo e necessita di adeguati stimoli perché assuma rapporti e strumenti più fisiologici. In sostanza, in un contesto partecipativo i RLS dovrebbero rivolgersi all’Organo di controllo come extrema ratio, dovendosi invece consumare il loro ruolo all’interno del proprio sistema preventivo, nel proprio luogo di lavoro. Si deve ammettere che tale grado di maturità è lontano dall’essere stato raggiunto anche nella nostra realtà ed è lecito auspicare che il rapporto speciale, di sostegno privilegiato, offerto dalle UF. PISLL a RLS, almeno nella misura in cui si traduce in interventi di vigilanza e quindi repressivi per le aziende, sia a termine e quindi rappresenti una fase opportuna ma transitoria. Il superamento di questa fase potrà assumere un significato positivo testimoniando che i RLS. hanno assunto un ruolo partecipativo effettivo e dispongono della competenza e degli strumenti necessari per collaborare in maniera efficace, all’interno del sistema aziendale, alla salvaguardia della sa- Sae l ute Territorio 23 lute e della sicurezza di tutti i lavoratori. Considerazioni finali Da quanto detto fin adesso si capisce che è in atto un processo lungo, innescato dalla legge europea introdotta in Italia dal 1994, che tarda però a dimostrare la sua efficacia dal momento che lenti risultano i passi avanti di due degli elementi portanti di tutto il sistema: da una parte del meccanismo che renda indiscutibilmente remunerativa la prevenzione da parte dei datori di lavoro, rendendola funzionale all’impianto produttivo stesso. Dall’altra, della crescita culturale dei lavoratori e degli RLS che della prevenzione possono divenire preziosi strumenti in un’impresa in grado di vedere la prevenzione come opportunità e vantaggio economico. Esiste sicuramente uno “zoccolo duro” di eventi avversi che le iniziative di prevenzione non riusciranno ad eliminare nel breve termine e la cui accettazione attiene più alla filosofia che alla tecnica, tuttavia non è opportuno né utile cercare di determinarne la soglia perché in ogni caso la lotta per la sicurezza e per il benessere, per essere efficace, deve di continuo essere stimolata e rinnovata. In un passato ormai non più troppo vicino, i lavoratori si sono dovuti contrapporre frontalmente con le imprese per conquistare il diritto alla salvaguardia dei loro diritti e, tra questi, del diritto alla sicurezza. (segue a pag. 33) l ute Sa e 24 Territorio Alessandro Bussotti Elena Crucci* Medico di medicina generale, Sesto Fiorentino * Scuola di specializzazione in igiene e medicina preventiva, Dipartimento di sanità pubblica, Università di Firenze S toricamente i MMG ed i PLS in Italia hanno sviluppato il proprio ruolo in un contesto di isolamento organizzativo e di individualismo professionale, in parte derivante dall’aver iniziato l’attività con le regole e la logica delle “Mutue”. La creazione del SSN italiano nel 1978 ha comportato lo sviluppo anche nel nostro Paese di una riflessione sulle basi culturali e professionali specifiche del lavoro di MMG: il dibattito, iniziato nei Paesi in cui da più tempo la disciplina della medicina generale esiste (Paesi anglosassoni, Olanda, Scandinavia), ha portato ad una definizione della disciplina elaborata e pubblicata dalla Società europea di medicina generale / medicina di famiglia (WONCA Europe) nel 2002 (Tab. 1), che resta la base culturale di riferimento di una medicina generale inserita nel sistema delle cure primarie. Sulla base di questa crescente coscienza del proprio ruolo professionale e della necessità di un rinnovamento organizzativo, da alcuni anni, con l’avvio di gruppi sperimentali e di indicazioni derivanti da accordi nazionali e regionali, si sono sviluppate modalità organizzative che Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 Le Unità di medicina generale consentono e promuovono lo sviluppo di relazioni tra i singoli MMG. Gli scopi dell’associazionismo fra MMG sono delineati nell’articolo 54 dell’ultimo Accordo collettivo nazionale per Struttura organizzativa, funzioni, vantaggi di un’associazione professionale per le cure primarie La medicina generale /medicina di famiglia è una disciplina accademica, scientifica e una specialità clinica orientata alle cure primarie con suoi propri contenuti formativi, di ricerca e le sue prove di efficacia. Le caratteristiche della disciplina della medicina generale/medicina di famiglia sono che essa: a) è abitualmente il primo punto di contatto medico con il sistema sanitario; fornisce un accesso aperto e senza limitazioni ai suoi utilizzatori; tratta tutti i problemi di salute senza tener conto di età, sesso o qualsivoglia altra caratteristica delle persone che decidono di accedervi; b) fa un uso efficiente delle risorse sanitarie coordinando le cure, lavorando con altri professionisti nel contesto tipico delle cure primarie e gestendo l’interazione con altre specialità anche assumendo, quando necessario, il ruolo di difensore dell’interesse dei pazienti; c) sviluppa un approccio centrato sulla persona, orientato all’individuo, alla sua famiglia e alla comunità alla quale appartengono; d) si avvale di un processo di consultazione esclusivo che permette di stabilire una relazione articolata nel tempo attraverso una comunicazione efficace tra medico e paziente; e) ha la responsabilità di fornire cure con una continuità longitudinale in base alle necessità dei pazienti; f) prevede uno specifico processo decisionale determinato dalla prevalenza e dall’incidenza delle malattie nella comunità; g) gestisce nei singoli pazienti contemporaneamente problemi di salute acuti e cronici; h) gestisce infermità che si presentano in modo indifferenziato a uno stadio precoce del loro sviluppo e che possono richiedere interventi urgenti; i) promuove la salute e il benessere con interventi appropriati ed efficaci; l) ha una specifica responsabilità della salute della comunità; m) tratta problemi di salute nella loro dimensione fisica, psicologica, sociale, culturale ed esistenziale. Tab. 1. Le Definizioni della medicina generale medicina di famiglia (WONCA Europe, 2002). N. 166 - 2008 la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale (2005): a) facilitare il rapporto tra cittadino e medico di libera scelta, nonché lo snellimento delle procedure di accesso ai diversi servizi della Azienda; b) garantire un più elevato livello qualitativo e una maggiore appropriatezza delle prestazioni erogate, anche attraverso l’attivazione di ambulatori dedicati al monitoraggio di patologie croniche ad alta prevalenza individuate concordemente a livello aziendale; c) realizzare adeguate forme di continuità dell’assistenza e delle cure anche attraverso modalità di integrazione professionale tra medici; d) perseguire il coordinamento funzionale dell’attività dei medici di medicina generale con i servizi e le attività del distretto in coerenza con il programma delle attività distrettuali e quale parte integrante delle équipes territoriali di cui all’art. 26, se costituite; e) realizzare forme di maggiore fruibilità e accessibilità, da parte dei cittadini, dei servizi e delle attività dei medici di medicina generale, anche prevedendo la presenza di almeno uno studio nel quale i medici associati svolgono a rotazione attività concordate; f) perseguire maggiori e più qualificanti standard strutturali, strumentali e di organizzazione della attività professionale; g) condividere ed implemen- tare linee guida diagnostico terapeutiche per le patologie a più alta prevalenza e attuare momenti di verifica periodica. Le forme associative previste sono riportate in Tabella 2. Gli incentivi legati alla costituzione di forme associative e all’assunzione di personale infermieristico e di segreteria hanno condotto ad un progressivo allargamento del numero di MMG che lavorano in gruppo o che, comunque, partecipano a forme associative. Pur considerando l’estrema disuguaglianza dell’applicazione di queste strutture nel territorio nazionale, il processo sembra destinato a coinvolgere progressivamente la totalità dei MMG. A fronte di qualche difficoltà, soprattutto legata ai rapporti fra professionisti tradizionalmente abituati al lavoro solitario e alla difficoltà nel reperimento delle strutture che consentano un reale esercizio della medicina di gruppo, i vantaggi sono infatti innegabili, sia in termini organizzativi (maggior facilità di assunzione di personale e di acquisto e uso di strumentazione) che professionali (discussione fra i membri del gruppo, procedure di audit, implementazione di linee guida). Insieme alla medicina generale negli ultimi anni si è profondamente modificata anche la struttura del sistema sanitario, che si sta riorganizzando per far fronte ai cambiamenti demografici, sociali ed epidemiologici della popolazione. L’Ospedale si sta sempre più caratterizzando come polo specialistico dove Nuove prospettive nel SSN Sae l ute Territorio 25 si prestano cure ed assistenza per patologie acute o per riacutizzazioni di patologie croniche, con tempi di degenza sempre più limitati ed uso intenso di tecnologia e specializzazione. Questo indirizzo potrà pienamente realizzarsi solo se al fianco di questo “nuovo” Ospedale si svilupperà un insieme di servizi che garantiscano una reale continuità dell’assistenza. Già trent’anni fa ad Alma Ata l’OMS coniò la definizione di cure primarie a tutt’oggi valida ed attuale: “l’assistenza sanitaria di base è quella assistenza sanitaria essenziale, fondata su metodi pratici e tecnologie appropriate, scientificamente valide e socialmente accettabili, resa universalmente accessibile agli individui, le famiglie e la collettività. È il primo livello attraverso il quale gli individui, le famiglie e la collettività entrano in contatto con il sistema sanitario nazionale, avvicinando il più possibile l’assistenza sanitaria ai luoghi dove le persone vivono e lavorano, e costituisce il primo elemento di un processo continuo di protezione sanitaria”. Il sistema delle cure primarie territoriali deve essere dunque in grado sia di affrontare i problemi che si presentano acutamente, gestendo i casi risolvibili e selezionando quelli che devono accedere alle cure specialistiche ed ospedaliere, sia di assicurare la presa in carico delle malattie croniche ed invalidanti. Queste due funzioni sono profondamente diverse e richiedono organizzazioni e strumenti diversi e, in qualche modo, opposti: – i problemi acuti possono essere affrontati, selezionati e, poi, risolti o inviati alle strutture di secondo livello con gli strumenti della “medicina di attesa”, che costituisce la modalità tradizionale di esercizio della medicina generale: il professionista riceve presso il suo studio tutti i propri assistiti che ritengono di avere un problema che in qualche modo è collegato con la salute. È evidente che una risposta soddisfacente alle crescenti richieste da parte dei cittadini e alla sempre maggior complessità della medicina moderna richiede un notevole un ulteriore sforzo organizzativo, per esempio mediante: • l’apertura degli studi dei MMG per tutte le 12 ore diurne mediante l’esercizio in gruppo della medicina generale; • lo stretto collegamento con i colleghi che coprono gli orari notturni e festivi; • la disponibilità di servizi che garantiscano in tempi adeguati le prestazioni diagnostiche strumentali, di laboratorio, specialistiche necessarie ad affrontare il caso; • una educazione sanitaria che renda il cittadino più consapevole di quanto attualmente non sia, da una parte dei suoi diritti e dall’altra della necessità di utilizzazione razionale delle risorse; – le malattie croniche costituiscono sicuramente la ve- l ute Sa e 26 Territorio Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 Medicina in associazione (ACN, 2005): – non vincolo sede unica – chiusura di uno studio medico non prima delle 19.00 – numero di medici non superiore a 10 – condivisione ed implementazione di linee guida – momenti di revisione della qualità delle attività e della appropriatezza prescrittiva Medicina in rete (ACN, 2005): – non vincolo di sede unica – gestione scheda sanitaria individuale su supporto informatico mediante software tra loro compatibili – collegamento reciproco degli studi dei medici con sistemi informatici – chiusura pomeridiana di uno degli studi non prima delle 19.00 Medicina in associazione complessa (Accordo integrativo regionale toscano 2006): – sede ambulatoriale comune, con almeno due studi di cui uno utilizzato anche per l’assistenza infermieristica, da ritenersi comunque obbligatoria. Tale sede può essere lo studio di uno degli associati o una sede ulteriore dove garantire la presenza di almeno un medico della forma associativa per un arco di almeno 7 ore al giorno dal lunedì al venerdi, distribuite equamente nel mattino e nel pomeriggio, con chiusura non anteriore alle ore 19.00. La quota oraria di presenza di ciascun componente l’associazione presso la sede comune sarà determinata dai componenti l’associazione, in base al carico assistenziale di ogni singolo medico – collegamento reciproco di tutti gli studi dei medici e della sede comune con sistemi informatici – l’utilizzo, obbligatorio, presso la sede comune da parte dei componenti l’associazione, di personale di segreteria e infermieristico, che potrà essere fornito dai medici dell’associazione, o direttamente dall’Azienda Medicina di gruppo (ACN, 2005): – sede unica del gruppo articolata in più studi medici – presenza nella sede del gruppo di un numero di studi pari ad almeno la metà dei medici componenti il gruppo stesso – utilizzo di supporti tecnologici e strumentali comuni – utilizzo di personale di segreteria o infermieristico comune – gestione della scheda sanitaria su supporto informatico – utilizzo di software per la gestione della scheda sanitaria – numero di medici associati non superiore a 8 Tab. 2. Forme associative dell’assistenza primaria. Cooperativa (Accordo integrativo regionale toscano 2006): – costituite esclusivamente da medici dell’area di assistenza primaria, che svolgono la loro attività nell’ambito territoriale dell’Azienda sanitaria – utilizzazione di un server di cooperativa in grado di concentrare ed esportare dati dalle cartelle informatizzate dei soci per fini statistico epidemiologici ed assistenziali – stipula con l’Azienda sanitaria di un contratto sui presupposti ed in coerenza con l’Accordo quadro aziendale. Tale contratto stabilirà standard organizzativi ed assistenziali dei soci della cooperativa medica aggiuntivi rispetto a quelli già individuati sia per i medici singoli che per le altre forme associative. Tale contratto, di finalità assistenziale, potrà essere sostenuto dalla fornitura, da parte della stessa Cooperativa medica nella sua configurazione di società di servizi, ai MMG componenti della Cooperativa stessa, di sedi associative, studi professionali, poliambulatori, beni strumentali, servizi informativi, formativi, organizzativi e gestionali, servizi informatici, telematici, di raccolta dati e telemedicina, servizi di verifica e revisione di qualità e ogni altro bene o servizio, ritenuto appropriato a perseguire gli obiettivi assistenziali previsti dalla programmazione nazionale e regionale, individuato nell’ambito degli Accordi regionali/aziendali ra sfida che i servizi sanitari nel loro insieme e la medicina generale in particolare si troveranno ad affrontare nei prossimi anni. La modalità organizzativa ormai considerata indispensabile per affrontare correttamente questi problemi è la “medicina di ini- ziativa”: non ci si può limitare ad aspettare che il paziente con una malattia cronica si rivolga al servizio sanitario, ma si deve agire attivamente promuovendo controlli periodici e comportamenti virtuosi al fine di mantenere il più a lungo possibile un buono stato di attività in soggetti affetti da patologie che non siamo in grado di guarire, ma possiamo stabilizzare. L’esercizio della “medicina di iniziativa” nello studio del MMG richiede una organizzazione che va a sommarsi più che a sostituirsi a quella “di attesa” e sarebbe impossibile da realizzare se non fosse prevista una stretta integrazione con le altre figure professionali che garantiscono l’assistenza primaria: l’infermiere innanzi tutto, ma anche il medico di sanità pubblica, l’assistente sociale, il fisioterapista… e, na- N. 166 - 2008 turalmente, i servizi specialistici di secondo livello. Una nuova struttura organizzativa delle cure primarie che incentivi questa integrazione interdisciplinare e interprofessionale è così necessaria che, negli ultimi anni, sono state avanzate e sperimentate numerose proposte. Fra queste: – L’équipe di assistenza territoriale: è uno strumento attuativo della programmazione sanitaria che rende possibile l’erogazione dei livelli essenziali e appropriati di assistenza e permette la realizzazione di specifici progetti assistenziali a livello nazionale, regionale ed aziendale. Vi fanno parte figure professionali operanti per garantire assistenza primaria, continuità assistenziale, pediatria di libera scelta, assistenza specialistica ambulatoriale, medicina dei servizi, prestazioni sociali a rilevanza sanitaria. L’attività interdisciplinare e integrata dell’équipe si realizza mediante la produzione di valutazioni multidimensionali e selezionando risposte appropriate alle condizioni di bisogno. – Le Unità territoriali di assistenza primaria (UTAP): strutture territoriali ad alta integrazione multidisciplinare ed interprofessionale, in grado di dare risposte complesse al bisogno di salute delle persone. Vi sono un insieme di attività organizzate in aree specifiche di intervento profondamente integrate tra loro in cui si rea- lizza la presa in carico del cittadino per tutte le attività sociosanitarie che lo riguardano. Si persegue la prevenzione primaria, quella secondaria e terziaria, l’educazione sanitaria e le corrette pratiche di autogestione delle malattie croniche. Viene data una particolare importanza al ruolo del MMG nel governo clinico, quale professionista in grado di leggere i bisogni di salute e di orientare la domanda di servizi. – Le Unità di cure primarie: rappresentano l’articolazione organizzata del Servizio sanitario regionale nel territorio e costituiscono i riferimenti organizzativi che in una sede unitaria erogano direttamente le cure primarie, prevedendo la collaborazione di più figure professionali (innanzitutto MMG e PLS, ma anche infermieri, medici specialisti, assistenti sociali, operatori della prevenzione) e garantendo la continuità assistenziale con l’Ospedale e le attività di prevenzione. – Con questa idea viene pensata la Casa della salute, una struttura polivalente e funzionale in grado di erogare materialmente l’insieme delle cure primarie e di garantire la continuità assistenziale e le attività di prevenzione, nell’ambito delle aree elementari del distretto per un bacino corrispondente a circa 5-10.000 abitanti. La Casa della salute rappresenta il contesto in cui può operare, superando le Nuove prospettive nel SSN Sae l ute Territorio 27 precedenti divisioni, l’insieme del personale del distretto (tecnico-amministrativo, infermieristico, della riabilitazione, dell’intervento sociale), i medici di famiglia e gli specialisti ambulatoriali. Ultimamente la Federazione italiana dei medici di medicina generale (FIMMG) ha elaborato e presentato una proposta, quella delle Unità di medicina generale (UMG) che ha rapidamente ricevuto ampi consensi da parte delle varie organizzazioni sindacali e scientifiche del settore. L’Unità di medicina generale non va considerata come un modello organizzativo alternativo ai diversi che si stanno sperimentando nel nostro paese (Casa della salute, Utap, UCP…), ma come una unità operativa elementare e estremamente flessibile, rispetto alla quale potrà essere strutturato qualsiasi modello organizzativo, identificato in relazione agli orientamenti delle singole Regioni e ai bisogni della popolazione assistita. In questi anni la crescita enorme della domanda di prestazioni sanitarie, non sempre corrispondente a reali bisogni di salute, ha generato politiche volte a razionalizzare al massimo le strategie d’offerta. Tali iniziative sono insufficienti se non accompagnate da una corretta politica di governo della domanda, imperniata sull’appropriatezza delle prestazioni erogate. Il medico di medicina generale non può essere più considerato un semplice governatore della domanda, responsabile di tutte le prestazioni prescritte ai propri assistiti, senza peraltro avere la reale possibilità di governarle. Bisogna restituire a tutto il sistema il concetto di responsabilità professionale personale: come ogni professionista del servizio sanitario il medico di medicina generale deve essere considerato responsabile solo di quello che fa direttamente, diventando però parte integrante di un modello di “presa in carico” all’interno del sistema delle cure primarie. L’attivazione delle Unità di medicina generale può essere considerata quindi il punto di partenza di un percorso di valorizzazione del ruolo della medicina generale nell’ambito delle cure primarie e nel sistema di erogazione dei servizi sanitari. Tale percorso è caratterizzato da alcuni elementi fondamentali fra cui: – l’attenzione al potenziamento dell’assistenza domiciliare, che va di pari passo con un recupero significativo del valore della prevenzione, soprattutto nei confronti delle patologie evitabili, o delle complicanze di patologie già in essere; – la valorizzazione di nuovi profili professionali, in particolare di quello infermieristico, e la considerazione della integrazione professionale come elemento imprescindibile per l’esistenza ed il buon funzionamento di un sistema di cure primarie, soprattutto in un ottica di presa in carico efficace delle cronicità; – la necessità di riorientare le professionalità mediche e sanitarie, sociali e assistenziali, ad una capacità l ute Sa e 28 Territorio Nuove prospettive nel SSN di lettura ed interpretazione precoce dei bisogni di salute e di assistenza; – la constatazione che un buon sistema di cure primarie produce un elevato grado di appropriatezza prescrittiva, un minor ricorso improprio alla specialistica e ai ricoveri ospedalieri, e un gradimento più elevato da parte dei cittadini. Dal punto di vista organizzativo l’UMG può essere brevemente sintetizzata da queste caratteristiche emergenti: – le UMG sono costituite indicativamente da 20-25 MMG (15-20 con l’attuale rapporto di lavoro e 4-6 a totale o parziale rapporto orario) che assistono una popolazione di 20-25.000 cittadini. A seconda del contesto orogeografico e della programmazione locale, i componenti della UMG possono concentrare la loro attività in un’unica sede fisica, oppure essere distribuiti in studi singoli, o di gruppo, sparsi sul territorio; – le UMG assicurano un’assistenza di 10/12 ore ambulatoriali e 24H domiciliari; – tutte le UMG devono possedere un proprio sistema informativo con collegamento in rete, ove possibile collegato al sistema aziendale e/o regionale; – devono inoltre potersi avvalere di personale sanitario e non; – sono coordinate da un MMG, che svolga anche funzioni di interfaccia tra l’UMG e la struttura aziendale di riferimento (Dipartimento di cure primarie, distretto). L’UMG può rappresentare un’opportunità per sollevare il MMG da funzioni improprie, affidandole ad altri soggetti che operano in stretto collegamento col medico nella rete, e valorizzare le funzioni tendenti ad accrescere il valore dell’atto professionale rafforzando l’aspetto assistenziale e relazionale attraverso il rapporto fiduciario con il paziente. All’interno dell’UMG l’attività del MMG si svolge secondo due modalità: – attività di tipo fiduciario (retribuita con quota capitaria). Si tratta di attività professionali connesse con una scelta elettiva del cittadino, sulla base di un rapporto di fiducia nei confronti di quel determinato professionista. Il MMG acquisisce assistiti in carico secondo modalità corrispondenti all’attuale assistenza primaria basata sul rapporto di fiducia rispettando un meccanismo flessibile di compensazione scelte/ore; – attività di tipo non fiduciario (retribuita con quota oraria o per obiettivo). Sono attività non direttamente connesse con una N. 166 - 2008 scelta elettiva da parte di un cittadino ma necessarie a supportare efficacemente le attività di assistenza fiduciaria. Fermo restando il monte orario di 36 (38 o 40 ore settimanali), l’attività oraria è organizzata all’interno dell’Unità dovendo essere articolata fra: 1. Attività di continuità assistenziale notturna, diurna, feriale e festiva, domiciliare e ambulatoriale. 2. Attività di assistenza domiciliare programmata, integrata e residenziale, attività assistenziali programmate quali progetti prevenzione, ambulatori dedicati a malattie croniche, prelievi o prestazioni di particolare impegno professionale (ecg, eco, TAO, ecc). 3. Attività relative alla gestione del sistema informativo (analisi epidemiologiche, ecc.). 4. Attività di formazione, docenza e audit (dentro e fuori l’UMG). 5. Attività organizzative e gestionali dentro l’ UMG e fuori dall’ UMG (attività dirigenziale). 6. Tutoraggio ed attività seminariale universitaria e di formazione specifica, attività valutativa per l’esame di stato. 7. Attività di ricerca. Questa proposta organizzativa delle UMG, tuttora in fase di discussione e precisazione, vorrebbe affrontare e risolvere i problemi e le contraddizioni che le necessità sanitarie emergenti pongono al sistema delle cure primarie e alla medicina generale in particolare. Si vorrebbe infatti conciliare la conservazione del rapporto di fiducia individuale fra il cittadino ed il suo MMG con una moderna ed integrata forma associativa che garantisca una assistenza 24 ore su 24 e 365 giorni all’anno; con la partecipazione del MMG ad attività organizzative, tutoriali, didattiche, di ricerca, che attualmente risultano molto limitate perché si aggiungono ad un lavoro quotidiano già molto pesante; con una organizzazione che garantisca una efficace presa in carico delle patologie croniche. Si spera inoltre che l’UMG riesca ad affrontare quello che si annuncia come il principale problema della medicina generale italiana dei prossimi anni: la mancanza di medici ed il rinnovamento generazionale. Si calcola che fra 10 anni mancheranno circa 10000 MMG in Italia ed è quindi auspicabile che le UMG riescano ad inserire rapidamente ed efficacemente tutti i giovani medici che si sono formati nel Corso di formazione specifica in medicina generale e che attualmente non riescono a trovare una collocazione lavorativa stabile. Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 Luigi Tonelli Direttore sanitario Presidio ospedaliero di Campostaggia, Azienda USL 7, Siena L e origini di Internet risalgono agli anni ‘60 quando, in piena guerra fredda, il Ministero della difesa americano incarica la Advanced Research Projects Agency (ARPA) di studiare un sistema di rete in grado di preservare il collegamento via computer tra le varie basi militari in caso di guerra nucleare. Nasce, così, una rete decentralizzata, denominata ARPANET, in grado di assicurare la continuità delle comunicazioni senza un nodo centrale la cui distruzione, in caso di attacco, avrebbe compromesso il funzionamento dell’intera rete. Inizialmente si connettono in rete solo basi militari, poi intervengono le Università aderenti ad ARPA, poi i siti istituzionali, e poi nel 1983, con l’esaurirsi della guerra fredda e la crescente necessità di rapidi scambi informativi per la ricerca, la rete militare si separa con il nome di Milnet da quella universitaria, che prende il nome di Internet. Nei primi anni ‘90 dal CERN di Ginevra nasce la proposta di un sistema che consenta la pubblicazione e la gestione di 1 2 3 Sae l ute Territorio 29 Le risorse del web ipertesti sulla rete denominato world wide web (WWW), la ragnatela intorno al mondo, che ha lo scopo di condividere la documentazione scientifica in formato elettronico indipendentemente dalla piattaforma informatica, migliorando in tal modo la cooperarazione tra ricercatori. Dal 1993 il WWW è a disposizione del pubblico senza diritti d’autore ed è divenuto la modalità più diffusa per condividere dati e informazioni. Secondo stime della fine del 2007 le pagine oggi disponibili in rete sarebbero oltre 900 miliardi, di cui 20 miliardi (il surface web) sono censite dai motori di ricerca mentre la parte nascosta (il deep web) risulta ancora difficilmente rilevabile. I motori di ricerca sono strumenti che analizzano continuamente le pagine web, le catalogano e restituiscono a chi effettua l’interrogazione quelle relative all’argomento richiesto con un indice dei contenuti. “Live”, “Yahoo!”, “Ask” e “Google” sono i motori più usati internazionalmente, ma Google da solo vale oltre il 75% di tutte le ricerche fatte http://www.google.com/coop/cse/ http://www.bmj.com/cgi/content/full/335/7633/1273 http://www.pewinternet.org/PPF/r/156/report_display.asp Condivisione di dati, aggiornamento, EBM. Istruzioni per l’uso nel mondo e anche i motori di ricerca italiani di più comune utilizzo, “Libero” e “Vigilio”, fanno riferimento a Google. Esistono meta-motori di ricerca, come “Clusty”, “Dogpile” e “Surfwax”, che esplorano il web attraverso più motori di ricerca primari restituendo il risultato complessivo. Il loro uso viene sconsigliato dagli esperti per l’insufficiente completezza dei risultati rispetto a quanto ottenibile esplorando il web con i singoli motori primari. Per esigenze specifiche è anche possibile sviluppare attraverso Google un motore di ricerca personale 1 che esplora fino a 5000 siti web indicizzati. I motori di ricerca soltanto cercano nelle pagine web l’occorrenza congiunta delle parole, senza riferimento al significato. Sono, ad esempio, identiche due frasi concettualmente diversissime come “Giuseppe ama sua madre” e “sua madre ama Giuseppe”. Ne consegue che il numero di pagine restituite è esuberante rispetto alle necessità e con innumerevoli inappropriatezze, e questo rallenta il raggiungimento dell’informazione desiderata. È per questo allo studio un web semantico2 (o web 3.0) in cui le pagine sono associate ad informazioni che ne specificano il significato rendendo le risposte più attinenti alla logica di chi effettua l’interrogazione. La ricerca web ha profondamente trasformato le modalità di accesso alle informazioni, e questo è particolarmente vero per quanto riguarda il settore sanitario. Un’indagine USA nel 20053 ha rilevato che l’80% degli adulti che consulta il web (più le donne che gli uomini, più i 50-65enni) cerca anche informazioni sanitarie con particolare riferimento a malattie e trattamenti specifici, diete, comportamenti, assicurazioni, farmaci, sperimentazioni, medici e ospedali. Per i professionisti della sanità pres- l ute Sa e 30 Territorio soché tutte le riviste di aggiornamento medico sono accessibili on-line, ma per lo più è gratuito solo l’abstract mentre per il full text occorre la sottoscrizione dell’abbonamento Quelle free on line sono ancora poche (recensite da High Wire Press4) ma la necessità di rendere di libero accesso il materiale scientifico è tanto avvertita che dall’aprile 2008 le Università di Harvard e dell’Oregon metteranno sul web tutte i propri studi prima della pubblicazione. Dato il numero enorme e ogni giorno crescente di informazioni presenti sul web, in questi ultimi anni sta avendo rapida diffusione il formato RSS (Really Simple Syndication). RSS consente di avere in tempo reale tutte le notizie sugli argomenti di personale interesse attraverso un unico “aggregatore”, evitando dunque di dover visitare, uno per uno, i siti da cui provengono le notizie stesse, come i normali quotidiani o le riviste specializzate (tutte le più importanti riviste mediche producono oggi informazioni in questo formato). Per questo è sufficiente una connessione a Internet e un lettore come SharpReader 5 o FeedReader6, gratuiti e semplici da installare. Google Google è stata fondata nel 1998 da Larry Page e Sergey 4 5 6 7 8 9 10 Nuove prospettive nel SSN Brin, due studenti 25enni della Stanford University. La specificità che caratterizza Google è il PageRank, un metodo per determinare “l’importanza” di una pagina web che conta non solo le ricorrenze dei termini cercati ma anche i link che provengono da altri siti, la qualità generica dei contenuti, l’importanza dei siti da cui provengono i link ed altre caratteristiche che gli inventori non hanno rivelato. Oggi Google lavora in Internet con una propria rete composta da oltre 100.000 PC, una potenza di calcolo che nessun’altra azienda al mondo possiede. Il pacchetto azionario della società vale oltre 100 miliardi di dollari (più di Ford e General Motors messe assieme) e il patrimonio personale dei fondatori, proveniente in larga parte dagli introiti di una pubblicità che viene presentata in modo da non inquinare le pagine web e non infastidire gli utilizzatori, supera i 10 miliardi di dollari a testa. Google offre senza costi gli strumenti software. Già da tempo è possibile scaricare gratuitamente i programmi di uso ordinario 7 , alcuni dei quali (browser, elaboratore testi, foglio di calcolo, lettore musicale, comunicazione telefonica, raccoglitori di immagini, sistemi di sicurezza informatica, il celebre Google Earth) raccolti nel pacchetto http://highwire.stanford.edu/lists/freeart.dtl http://www.sharpreader.net/ http://www.feedreader.com/ http://www.google.com/intl/en/options/ http://pack.google.com/intl/it/pack_installer.html docs.google.com/ http://it.openoffice.org/ N. 166 - 2008 Box 1 Da: New England Journal of Medicine 353:2089-2090, 2005. In una conferenza clinica, alla presenza di un eminente Professore, una specializzanda in Immunologia ha presentato il caso di un bambino affetto da diarrea, eruzione cutanea tipo “pelle da alligatore”, anomalie immunitarie tra cui bassa attività dei linfociti T, eosinofilia della mucosa gastrica, e l’apparenza di un quadro genetico da mutazione del cromosoma X (nella famiglia molti maschi erano deceduti nella prima infanzia). Il caso era già oggetto di discussione da parte dello staff medico, senza però arrivare ad una diagnosi ben definita. Venne chiesto alla specializzanda se lei stessa avesse formulato una diagnosi e lei rispose di sì, che aveva identificato una rara sindrome nota come IPEX (Immunodeficienza, Poliendocrinopatia, Enteropatia, legata al cromosoma X). La diagnosi apparve subito corretta (e infatti alcune settimane dopo i test genetici ne diedero conferma rivelando una mutazione del gene FOXP3). Fu chiesto alla giovane dottoressa come avesse fatto e lei rispose: “mah, avevo in mano il referto della biopsia cutanea ed i risultati dei test immunologici. Io li ho messi su Google e la diagnosi è saltata fuori”. Google Pack8. Ora viene offerto anche lo spazio elettronico dove eseguirli 9 , usufruibile con qualunque PC in qualunque parte del mondo l’utente si trovi, e condivisibile da chi viene indicato dall’utente stesso. La vocazione dei fondatori di Google per i programmi informatici open source, ovvero disponibili gratuitamente, è dimostrato anche dalla collaborazione in corso con Sun Microsystem per la diffusione di Open Office10, suite per ufficio gratuita (scrittura, foglio di calcolo, immagini, database e foglio matematico), reale concor- rente del costoso ($399) Office della Microsoft. Per illustrare quale sia l’utilità di Google nell’informazione sanitaria basta considerare la breve storia clinica riportata nel Box 1, in cui una difficile diagnosi viene effettuata semplicemente interrogando Google con le parole chiave che identificano il caso clinico. L’episodio è del tutto verosimile (e probabilmente anche vero) anche se ovviamente non sta ad indicare che la professione medica possa essere in breve tempo sostituita da uno strumento tecnologico. Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 Per avere ben chiaro quali siano le giuste parole chiave bisogna disporre di buone conoscenze cliniche, e difficilmente si potrebbe ottenere lo stesso clamoroso risultato inserendo i sintomi che comunemente caratterizzano le malattie (“epigastralgia” o “febbre”, per esempio). Google, come tutti i motori di ricerca, si limita a cercare solo le rispondenze verbali, e non è nelle sue capacità discriminare fra informazioni attendibili e informazioni false o errate. Che invece, avvalendosi delle proprie competenze, i medici possano con Google correggere, rafforzare o migliorare le decisioni è non solo verosimile ma anche verificato11. Google presenta le pagine web in ordine di frequentazione e gradimento degli utenti (di solito i siti utili si trovano nelle prime 2 o 3 pagine delle migliaia che Google indicizza), ma di certo non garantisce in merito alla loro qualità. Per questo tipo di valutazione sono state prodotte da Università e Centri di ricerca molte checklist, in larga parte rintracciabili in rete, che più o meno prendono in considerazione gli aspetti indicati nel Box 2. Nel valutare un sito web è opportuno anche prendere in considerazione il “dominio”, ovvero il nome alfabetico che chiude l’indirizzo e serve a identificare il server Internet cui il sito appartiene. In particolare è importante il dominio di primo livello che è in11 12 13 14 Box 2 Caratteristiche di una pagina web di buona qualità Attendibilità:le informazioni provengono da una fonte attendibile (Università, Istituzione, Istituto di ricerca ecc.). Accuratezza: le informazioni appaiono accurate e libere da errori evidenti. Aggiornamento: le informazioni sono recenti e aggiornate. Bilanciamento: le informazioni sono equilibrate e apparentemente libere da “bias” di ricerca. Chiarezza: le informazioni sono presentate in modo chiaro, di agevole lettura e di facile comprensione. Rapidità: la homepage si carica rapidamente, non è troppo lunga e non ha grafica troppo pesante. Aspetto generale: la homepage è piacevole e invita all’esplorazione. Navigazione: è facile navigare da link a link. I link sono appropriati. Uso della grafica: la grafica (come gli altri ausili, es.video o sonoro) integra bene il testo scritto. Authorship: la responsabilità del sito web è chiaramente indicata. dicato dalle lettere che seguono l’ultimo punto, come ad esempio “.edu”, che indica l’appartenenza del sito web ad un’Università americana. È evidente che maggiore è l’autorevolezza delle fonte e più alta è l’affidabilità della pagina web. Nel Box 3 è riportato un elenco dei domini dei siti web più autorevoli. Al motore generalista originario Google ha aggiunto anche due motori di ricerca dedicati a chi si rivolge al web per ragioni strettamente scientifiche e di ricerca: 1. Google Scholar 12 indicizza pubblicazioni scientifiche peer reviewed ed è molto rapido nell’individuare quelle più citate, e molto adatto a rintracciare anche quelle di più difficile reperimento. Un motore di ricerca per articoli scientifici molto simile a Google Scholar e di pari efficacia è Sae l ute Territorio 31 Scirus13, della Elsevier, anch’esso gratuito; 2. Google Ricerca Libri 14 visualizza i libri digitalizzati delle biblioteche che hanno aderito al progetto (tra le quali Harvard, Stanford e Oxford) con un catalogo a schede in cui vengono fornite anche le informazioni di base sul libro e le pagine contenenti le parole di ricerca. Quando questi libri sono di pubblico dominio viene visualizzato il testo completo, dall’inizio alla fine. Medline (SUMSearch) Medline è il database bibliografico medico della National Library of Medicine (NLM). Contiene più di 17 milioni di riferimenti bibliografici e abstract (ove presenti) da 5.000 riviste biomediche pubblicate a partire dai primi anni ’50 negli Stati Uniti e in altri 70 Paesi. Gli articoli sono indicizzati in oltre 22.000 specifici descrittori, i Medical Subject Headings (MeSH) organizzati gerarchicamente Box 3 Alcuni siti di primo livello .edu .ac.uk .com .co.uk .org .gov .doh .nhs.uk .mil http://www.bmj.com/cgi/content/abstract/bmj.39003.640567.AEv1?hrss=1 http://scholar.google.it/ http://www.scirus.com/ http://books.google.it/ Università USA Università United Kingdom sito commerciale USA sito commerciale United Kingdom Istituzione privata non profit siti governativi USA Department of Health, USA National Health System inglese sito militare USA l ute Sa e 32 Territorio (analogamente alle directories di Windows) per ricomprendere le possibili parole chiave per la ricerca. L’accesso via Internet alla banca dati è libero e gratuito, e per questo è stato reso disponibile a tutta l’utenza il motore di ricerca PubMed 15 . La stringa di ricerca PubMed prevede le parole chiave contenute nei MeSH ed il loro collegamento con i classici “operatori booleani” AND, OR e NOT. La ricerca del materiale bibliografico con PubMed è nella realtà abbastanza complessa e non tiene conto di altre possibili fonti che in tempi più recenti sono divenute accessibili. L’Health Science Center dell’Università del Texas ha messo a punto e reso disponibile gratuitamente a tutta l’utenza web il motore di ricerca SUMSearch16. Dalla homepage (v. Box 4) non solo si effettua una ricerca guidata di Medline, ma anche, per le parole chiave richieste, vengono esplorate altre banche di informazioni importanti per la medicina. In particolare, oltre a Medline, vengono interrogati contemporaneamente l’enciclopedia online Wikipedia 17 , la grande banca dati di linee guida americana National Guideline Clearinghouse 18, il Database of Abstracts of Reviews of Effects (DARE)19 realizzato dall’Università di York, che con- 15 16 17 18 19 20 21 Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 Box 4 Home page di SUMSearch tiene gli abstract della Cochrane Library, la più autorevole raccolta della migliore evidenza scientifica prodotta da revisioni sistematiche e metanalisi di trial clinici in tutti i settori della medicina. Tra le funzioni di SumSearch c’è un “calcolatore” EBP (Evidencebased Practice) indipensabile per valutare le pubblicazioni secondo le regole dell’Evidence-based Medicine. Un’altra particolarità di SumSearch è che nel tempo in cui effettua la ricerca richiesta dall’utente, viene resa disponibile la consultazione dell’indice (insieme agli abstract, ove disponibili) dell’ultimo numero delle più importanti riviste mediche. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/PubMed/ http://sumsearch.uthscsa.edu/ http://en.wikipedia.org/wiki/Main_Page http://www.guideline.gov/ http://www.york.ac.uk/inst/crd/projects/dare.htm http://clinicalevidence.bmj.com/ceweb/index.jsp http://aifa.clinev.it/ Clinical Evidence (e Clinical Knowledge Summary) I risultati della ricerca biologica e medica devono essere trasferiti nella pratica assistenziale. Il database Clinical Evidence 20, edito dal British Medical Journal tanto in formato cartaceo quanto online, assolve a questo compito ed è per questo divenuto un supporto fondamentale per le decisioni mediche. È strutturato sulle situazioni cliniche di comune riscontro e in riferimento a queste viene ricercata e condensata la migliore e più recente evidenza scientifica, sia positiva che negativa. Ovvero, dopo analisi critica della letteratura esistente, viene esposto per ciascuna delle situa- zioni cliniche prese in considerazione quali interventi sono utili, quali inutili o addirittura dannosi e quali sono di efficacia ancora incerta. L’accesso è gratuito solo per i medici del National Health System e per quelli dei Paesi in via di sviluppo, è invece a pagamento per tutti gli altri. È disponibile anche in italiano nella versione curata dall’Agenzia italiana per il farmaco (AIFA)21, accessibile gratuitamente a tutti gli iscritti agli Ordini dei medici. Per i tempi di traduzione la versione italiana viene pubblicata con circa due anni di ritardo rispetto alla data di pubblicazione della versione in inglese. Clinical Knowledge Sum- Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 mary 22 (in precedenza Prodigy), edito e curato dal National Health System britannico, è analogo a Clinical Evidence nella finalità di portare all’attenzione dei medici quanto è di provata efficacia ed è affine nella strutturazione interna, ma è limitato alle patologie ed alle procedure di più frequente riscontro nella medicina di base. Di accesso gratuito previa iscrizione, contiene anche pagine di informazione dedicate ai pazienti in merito alle stesse situazioni cliniche prese in considerazione nelle pagine indirizzate ai professionisti. I capitoli clinici sono tenuti costantemente aggiornati sulla base della più recente evidenza desumibile dalla letteratura e inoltre si può accedere agli abstract della Cochrane Library. 22 Sae l ute Territorio 33 Cosa è necessario Una strumentazione informatica idonea a navigare in Internet ha standard minimo di 900 MHz, 512 MB di RAM espandibili, hard disk da 4 GB, connettività wireless 802.11b/g ed Ethenet 10/100, porte USB, webcam, microfono e lettore di schede. Attualmente il prezzo di mercato per questa configurazione si colloca tra i di 300 e i 400 Euro (http://www.ultra-mobile.it/), ma esistono strumenti sufficientemente efficaci anche a 75 Euro (http://olpc.com/). Configurazioni più potenti possono raggiungere e superare ampiamente il costo di 4000 Euro. Tenendo conto che per disporre appieno della modalità wireless è necessario acquistare un portatile, la scelta può cadere tranquillamente su uno qualunque dei modelli più economici. Solo se esistono esigenze realmente specifiche si può valutare con il venditore cosa realmente occorre acquistare in più. Questo senza essere diffidenti verso chi vende, perché il mercato rende soprattutto con i prodotti di fascia medio-bassa e gli uomini del marketing preferiscono indirizzare verso la sostituzione del prodotto ogni due-tre anni piuttosto che indirizzare verso i prodotti di alto costo. Per la legge di Moore, infatti, le prestazioni dei processori ogni 18 mesi raddoppiano, il che significa che dopo 2 o 3 anni qualsiasi strumento informatico diviene obsoleto. Per quanto riguarda i browser, quelli più comuni sono, nell’ordine, Internet Explorer, Mozilla Firefox, Opera e Apple Safari, tutti più o meno equivalenti. Certamente Explorer è tra questi il più sensibile agli attacchi dei virus informatici. Giorgio Mattei Studente di Ingegneria biomedica Università di Pisa http://cks.library.nhs.uk/clinical_knowledge/clinical_topics (segue da pag. 23): Morire di lavoro Il contesto odierno non sembra offrire spazi di successo ad una lotta frontale, almeno nel campo della prevenzione, sia a causa di alcuni formidabili elementi di debolezza legati alla frammentazione ed alle condizioni di precarietà in cui si trovano molti lavoratori, sia per le opportunità e le valide alternative di lotta che il contesto sociale, tecnico e normativo sembrano offrire. A questi moderni strumenti di rivendicazione e gestione della propria sicurezza si oppongono però elementi legati all’andamento del mercato del lavoro, alla globalizzazione ed al passaggio di manodopera che agiscono togliendo peso e visibilità ai produttori di merci a favore dei consumatori di quelle stesse merci, e creano un rapporto indiretto di sfruttamento del consumato- re sul produttore. La complessità e molteplicità degli elementi che incidono sul lavoro e sulla sua sicurezza devono far capire come la lotta agli infortuni non possa essere diretta, ma debba rivolgersi più in generale alle “cattive condizioni di lavoro”, con un intervento che affronti la complessità degli effetti negativi del lavoro ed, in primo luogo, l’usura del lavoro, lo sfruttamento del lavoro svantaggiato, gli aspetti psicosociali. Un approccio che consideri complessivamente tutti questi fattori, con interventi fondamentalmente di tipo politico ed economico, potrebbe realmente avere una ricaduta positiva anche sugli infortuni sul lavoro. Un buon indicatore di tale tendenza è nelle conoscenze che il singolo lavoratore deve possedere per autotutelarsi e nel “potere” che egli ha di far valere queste sue conoscenze. l ute Sa e 34 Territorio Paolo Sarti Pediatra N on mi risulta che esistano altri Paesi al mondo che offrano alla cittadinanza un servizio pubblico come quello che in Italia svolgono i pediatri di famiglia: tutti i giorni lavorativi dalle 8 di mattina alle 8 di sera ogni bambino (ed ogni genitore quindi) ha a disposizione (telefonicamente, in ambulatorio o al proprio domicilio, a seconda delle esigenze) fin dalla nascita e per tutti i primi quattordici anni di vita (16, in casi particolari) un medico specialista in pediatria per visite, urgenti e non, terapie, consulenze, consigli alimentari e di vita e quant’altro può servire per seguire al meglio sotto tutela medica la crescita di questo bambino. Ma non basta: negli orari in cui il pediatra si riposa e vive in famiglia (compresi i giorni festivi) è comunque possibile per i genitori avere a disposizione specialisti pediatri tramite il servizio conosciuto come “guardia medica” e il Pronto Soccorso, 24 ore su 24. Da alcune indagini recentemente condotte in Toscana che hanno preso in analisi il livello di soddisfazione dei genitori per questo servizio è emerso chiaramente che i cittadini promuovono l’attività Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 Pediatria e cultura della salute della pediatria di famiglia, dichiarandosi nel 90% soddisfatti del servizio offerto e manifestando un evidente gradimento per le modalità con cui è svolto. Lo credo bene, potremmo dire …. ma anche se tutto questo può sembrare un lusso, non lo è affatto. Si tratta piuttosto di un saggio e redditizio investimento in termini di salute del cittadino: vi sono ricadute positive sulla salute dei futuri adulti inimmaginabili. In altri termini una pediatria così attenta e capillarmente distribuita è uno strumento insostituibile per garantirci futuri adulti più sani. E bene fu pensato quando agli inizi del complesso processo di riforma sanitaria fu deciso di separare il percorso della pediatria di famiglia da quello della medicina generale: l’assistenza pediatrica è diversa da quella dell’adulto non solo per la diversa tipologia degli assistiti e delle loro patologie, e per la diversa distribuzione dei pediatri nel territorio, ma soprattutto per il maggior peso dell’attività di prevenzione. Comunque “contro” Eppure c’è sempre chi protesta e si lamenta. E non parlo dei politici “all’opposizione” Governare l’ansia, fra appropriatezza delle prestazioni e soddisfazione del paziente che comunque devono dimostrare che senza di loro le cose non possono funzionare. Anche la popolazione trova da ridire: un po’ perché come italiani “viziati” ci piace farlo per principio e un po’ perché la stampa e i mass media in genere (speso manipolati da committenti politici) come sport preferito pare abbiano quello di parlare di “malasanità” sempre e comunque, anche quando la sanità ha fatto tutto quello che doveva e poteva ed ha fallito solo perché non è ancora abilitata ai miracoli! E il più delle volte, una volta conosciuti meglio i fatti delle notizie riportate, dovremmo piuttosto parlare di “mala informazione”, scandalistica e ignorante, piuttosto che di mala sanità. Un esempio recente per tutti: “Ricoverato per una faringite bimbo muore in Calabria” (articolo pubblicato il 26 gennaio 2008 sul Corriere della Sera e ripreso con ridondanza dai quotidiani e dalle TV locali). L’articolo comincia chiedendosi se non sia questo un nuovo caso di malasanità... ma come si può scrivere una cosa simile: nessuno muore di faringite, neanche se incrocia il peggiore medico del mondo! Il realtà il bambino è morto per un rabdomioma al cuore (rarissimo tumore del sistema di conduzione del cuore che ha come primo sintomo la morte). Naturalmente nessun giornalista si è degnato di scrivere due righe di scuse: ”Ci siamo sbagliati, non di malasanità si è trattato, ma di tremenda fatalità; d’ora in poi cercheremo di documentarci seriamente prima di dare così le notizie”. Neppure i politici e gli amministratori sembrano rendersi seriamente conto dell’importanza e del valore di questo Servizio nazionale pediatrico e di quanto tutto questo complesso e ramificato sistema assistenziale faccia anche da contenitore a milioni di ansie (e numericamente non è un modo di dire) che ogni giorno si scatenano nei genitori in tutto il Paese, le più svariate e spesso anche le più ingiustificate, che se non fossero tenute sotto controllo attento proprio dai pediatri di famiglia (che filtrano, visi- Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 tano, curano, smistano, inviano agli Ospedali, rimandano a casa tranquillizzati) metterebbero in crisi totale tutto il resto del sistema. E un accenno a questo lo abbiamo proprio nei giorni di festa, quando tocca agli Ospedali contenere e vagliare tutta quest’ansia: il Pronto Soccorso spesso scoppia! Code infinite, triage che tengono ore ed ore i bambini ad aspettare, genitori che si inalberano e minacciano denuncie di qua e di là. E gli studi ci dicono che la gran parte della domanda di Pronto Soccorso era inutile, impropria e certamente non urgente. Governare l’ansia Naturalmente tutto si può migliorare (compreso rimuovere e sanzionare le “mele marce” che sicuramente anche nella categoria dei pediatri esistono, come in qualunque altra categoria di lavoratori) e ben vengano ulteriori sforzi per eliminare le inefficienze, colmare le lacune e soprattutto rendere più omogeneo il servizio sul piano nazionale. Credo però che il punto determinante, fondamentale e da cui si debba ripartire per qualificare ulteriormente la rete di assistenza pediatrica e più in generale il servizio sanitario (e sfuggire da una sorta di deriva populista che oggi ci affligge su più versanti) sia quello di riuscire a governare l’ansia; un’ansia esagerata, esasperata, incontenibile che oggi affligge i genitori facendo lievitare la domanda di intervento medico, il consumo di farmaci e in definitiva anche il vissuto nega- tivo, di insoddisfazione, che tanti cittadini sviluppano nei confronti di quello che invece è stato descritto (con giudizio neutrale, internazionale) come uno dei migliori servizi sanitari pubblici al mondo. Fino a qualche anno fa nelle programmazioni sanitarie regionali si parlava soprattutto di appropriatezza delle prestazioni e di concertazione, tanto da arrivare in alcune Regioni ad istituzionalizzare la partecipazione dei medici del territorio al Governo clinico del sistema sanitario regionale. Scelta coraggiosa, che trovava i capisaldi teorici nei principi che, ormai tanti anni fa, erano stati ispiratori della riforma sanitaria; un nuovo modo lanciato allora di impostare i servizi, alla luce della correttezza, della competenza ma anche dell’appropriatezza, consci di quanto la gran parte della domanda “prima” dell’utenza possa essere distorta, manipolata o comunque mal orientata e di come quindi occorra sempre interpretarla per arrivare a dar risposta ai veri bisogni. Rispondere acriticamente a bisogni presunti, impropri, non solo lascia inesausta la vera motivazione che ha condotto il paziente al servizio sanitario, ma poi fa lievitare ulteriormente la domanda di “salute” con conseguente consumo incontrollato di atti diagnostici e terapeutici. È ovvio che imboccare la strada dell’appropriatezza porta a scelte difficili, qualche volta poco comprensibili e poco accettate dalla popolazione, dunque impopolari, ma consente scelte che danno non solo il risultato clinico nel- l’immediato ma anche un più corretto inquadramento e futuro dimensionamento del bisogno, anche sul piano economico. Una sorta di processo “educativo” che si accompagna all’atto terapeutico, che rende il paziente più conscio dei suoi problemi e della lettura che ne dà, contribuendo a spostare la domanda (e quindi la risposta) sui bisogni reali e non su quelli indotti o presunti, oltre che naturalmente a ridurla, contenendo così i costi. La deriva populista Tutto questo è andato avanti per diversi anni, contribuendo non poco a qualificare il nostro servizio sanitario, compresa tutta la rete di intervento pediatrico. Poi la “gara fra Regioni”, la corsa a dimostrare quale “soddisfaceva di più il cittadino”. Ma una gara basata non su prove scientifiche di efficacia e sulla verifica delle ricadute sul piano della salute (che richiede molti anni, andando quindi oltre il tempo di un incarico di Assessorato), e neppure sull’appropriatezza diagnostica, ma sulla generica “soddisfazione” del paziente oltre che su di una gestione volta a ridurre genericamente le spese (e quando si tagliano le spese bisognerebbe avere il coraggio e l’onestà di dichiarare, oltre all’entità del risparmio, anche l’entità di cosa si è perso in termini di servizi). Oggi ormai si ragiona solo in termini di “soddisfazione”, e non nell’ottica del risultato ma solo e semplicemente dell’offerta. Basti pensare alle soluzioni trovate per i “codici Sae l ute Territorio 35 bianchi” ai Pronto Soccorso: aprire ambulatori codici bianchi (cioè rivolti all’acuto banale) è una spesa inutile, un raddoppio di prestazioni e soprattutto un sollecitare ulteriore domanda inappropriata. Di fronte a una classificazione “bianca” (cioè un disturbo non urgente, che può essere rimandato con calma al servizio pediatrico di famiglia) il sistema dovrebbe rendersi capace di dirottare la domanda nei canali appropriati. Non si tratta di “espellere” il paziente, ma di informarlo sulla vera entità del suo disturbo ed educarlo a saperlo affrontare nei tempi e nei luoghi della non urgenza, senza panico nè, come spesso accade, con arrogante pretesa di prestazione comunque. Ma quando l’obbiettivo non è più l’appropriatezza delle prestazioni, ma la soddisfazione (di facciata) del paziente la logica conseguenza è che non serve investire i soldi per educare i pazienti ad una migliore comprensione e gestione della propria salute evitando di affollare inutilmente il Pronto Soccorso con problematiche inconsistenti. E quindi i soldi si investono proprio per aprire più sportelli di ricezione e per pagare salatamente pediatri sempre “a disposizione”. Non è aprendo servizi a pioggia che si seda l’ansia, ma è educando, anche attraverso risposte coerenti e corrette, se pur impopolari. Eppure il termine “educazione sanitaria”, così caro ai “padri fondatori” della riforma sanitaria, sembra scomparso dal cassetto degli amministratori, tanto che in un recente l ute Sa e 36 Territorio Nuove prospettive nel SSN Piano sanitario si è potuto affermare drasticamente che “l’urgenza è tale anche se soggettiva” contro ogni concetto programmatico di governance e appropriatezza. Ma se è il cittadino a giudicare cosa è urgente e cosa no, come faccio a programmare? Se un naso un po’ tappato (o come dicono i genitori “un raffreddore mostruoso”) è sufficiente a richiedere l’urgenza, di che appropriatezza ci occupiamo? Come per farmaci e analisi, anche l’uso razionale delle risorse strutturali ed umane deve essere salvaguardato. Vanno attrezzate campagne e politiche atte a questo, con una logica di contrasto ad ogni prospettiva di consumismo, contro gli eccessi delle logiche di mercato che in sanità inducono inappropriatezza, frammentazione del percorso assistenziale, separatezza dagli altri settori e spesa inutile. Così come non si riducono le liste di attesa comprando sempre più ecografi, apparecchi diagnostici e altro e accreditando tutto il privato possibile, anche senza idonee verifiche di competenza e preparazione degli operatori, invece che cercare di rendere più appropriata la richiesta di esami, riconducendola in termini quantitativi ad una dimensione adeguata, scientificamente verificata. Sappiamo bene infatti che così facendo rischiamo di dare all’utenza una “soddisfazione di facciata”: quanto è garantito infatti il paziente con questi metodi sul piano dell’affidabilità della risposta diagnostica? Ma la deriva populista ormai è un criterio di governo sanitario a livello nazionale: pensiamo ad esempio a quanto deciso a livello ministeriale in merito alla donazione omologa degli annessi embrionali dopo il parto: favorevoli, nonostante il parere unanimemente contrario della commissione tecnica appositamente istituita per valutare la scelta. Non importa essere scientificamente corretti, importante è risultare graditi alla popolazione, alla sua “emotività” e non importa neanche che così facendo si metta in crisi il sistema di banche pubbliche italiano già in difficoltà a gestire le donazioni. E vorrei sottolineare che si è andati incontro all’emotività popolare più inutilmente egoistica (una conservazione quasi certamente inutile), rischiando anche di far venir meno la donazione per il malato “sconosciuto”, che avrebbe realmente potuto ottenere un vantaggio. Un altro esempio di questo populismo che oggi anima il programmatore di servizi sanitari riguarda la visita domiciliare. Nell’ambito dell’attività del pediatra di famiglia la soddisfazione del paziente da alcuni viene vista quasi esclusivamente nell’effettuazione della visita domiciliare; e anche i continui attacchi sui giornali alla nostra categoria sono legati quasi esclusivamente al tema della visita domiciliare. In realtà sappiamo che sul piano scientifico l’esigenza di visitare “a casa” non ha nessuna base e sappiamo anche che la visita ambulatoriale consente approfondimenti e strumentazioni che a casa non è possi- N. 166 - 2008 bile avere disponibili. Insomma un retaggio della vecchia medicina, una “coccola” che per affezione e ricordo dispiace aver perso, come tante cose del passato, ma che non va intesa come perdita scientifica: anzi, c’è più scienza in ambulatorio. Forse l’unico motivo adducibile a sostegno dell’esigenza della visita domiciliare è la possibilità che offre di potersi rendere conto del contesto abitativo in cui il paziente vive. Ma il medico non è un assistente sociale e al di là di “dare un’occhiata” non sa nemmeno quali indicatori osservare e cercare perché non è preparato a questo. Inoltre le sue eventuali osservazioni “sul contesto abitativo” a chi le ripropone perche si intervenga? Ed eccoci ad un punto critico nodale: sono troppi anni che nessun amministratore si occupa seriamente di servizio sociale. La riforma di questo servizio non è mai avvenuta, mentre avrebbe dovuto andare di pari passo con quella del servizio sanitario. Ed è improduttivo e demagogico appiccicottare al sanitario compiti sociali, tappare buchi che anni di incurie del sociale hanno generato. Non c’è vera sanità senza il sociale. E allora affermare a livello amministrativo regionale che i pediatri devono recarsi a visitare a casa i bambini che non possono recarsi all’ambulatorio perché soli in casa col nonno che non guida (anche se si tratta di curare “l’acuto banale”) non è amministrare la sanità, è fare populismo, privo di scientificità a coprire inefficacie e inefficienze nel settore sociale. Quale pediatria per i fragili genitori di oggi Ci vuole il coraggio e la determinazione di abbandonare queste scellerate scelte populiste che portano solo ad una spirale di inarrestabile aumento di consumi sanitari e di ansie irrisolte. La nuova pediatria e i suoi servizi vanno rifondati su concetti di appropriatezza e coerenza con le conoscenze scientifiche. Importante sì dar risposte pronte agli utenti ma che siano risposte prima di tutto aggiornate e scientifiche, che non concedano equivoche collusioni con ansie infondate, a soddisfare bisogni inconsistenti, perché solo con chiarezza scientifica e concreta capacità di analisi possiamo ricondurre i genitori ad una riassunzione di responsabilità nella gestione e nella cura dei figli, senza continue deleghe, senza finire vittime di un consumismo sanitario devastante sul piano economico e sul piano della cultura. Un esempio di questa deriva culturale: i bambini non fanno in tempo ad uscire da scuola, dove la maestra ha appena segnalato un po’ di tosse, o qualche linea di febbre, che subito vengono trasportati all’ambulatorio del medico, presentandosi con l’urgenza che fa passare avanti a tutti. Si presentano come pazienti “gravi” che non hanno un semplice raffreddore, la tosse o un po’ di febbre ma raffreddori “mostruosi”, tossi “pazzesche”, febbri “assurde”, ecc. Alla base di questa esasperazione dei termini sicuramente vi sono più fattori. È la società di oggi ad essere urlante, esagerata, bisognosa di N. 166 - 2008 farsi vedere. Uno smanicare diffuso, frutto soprattutto di un grande, tragico senso di solitudine dell’uomo di oggi: il timore di non esistere se non si è visti dalla folla, di non saper pensare se non si è ascoltati da una platea. Ci metterei poi anche un dilagante impoverimento e involgarimento del linguaggio che porta ad un suo uso sempre più rozzo: troppe banalizzazioni, troppe semplificazioni. E infine un esagerare verbale dove non manca un pizzico di protagonismo ed esibizionismo, che oggi condisce ogni nostro intervento pubblico, con l’inevitabile conseguente perdita di “faccia” o dignità che dir si voglia. La conseguenza diretta è che ormai i pediatri non credono più a tutto ciò che i genitori raccontano. E così il rischio di fare errori è enormemente aumentato: nel porre le diagnosi rischiamo continuamente di cadere nella trappola del “al lupo al lupo”. Insomma in mezzo a tante urlate banalità, il rischio di trascurare l’unica cosa seria, che ci deve far intervenire prontamente, è sempre più alto. Teoricamente sappiamo tutti che nel trattare con i pazienti ansiosi, l’inquadramento del sintomo nell’ambito della manifestazione emotiva, psicosomatica, dovrebbe sempre essere l’ultima diagnosi, dopo aver prima esplorato tutto l’esplorabile sul piano strettamente organico. Oggi questo non è più applicabile. I nostri ambulatori sembrano più dei centri di ascolto psicologici (se non psichiatrici) che non ambulatori pediatrici: dovremmo quindi fare esami e approfondimenti clinici a tutti! È proprio questo l’ulteriore risvolto negativo di questo fenomeno: a furia di parlare di mal di testa intollerabili e di tossi devastanti si finisce poi per crederci, sviluppando una tale intolleranza anche dei più piccoli fastidi, da portare inevitabilmente ad un consumo sconsiderato (ed economicamente disastroso) di farmaci e prestazioni mediche in generale. E il problema non si risolve certo passando dai farmaci di tipo “ufficiale”, a quelli alternativi: anche questi sono comunque usati a dismisura (omeopatia, erboristeria, chiroterapia, ecc.). La spesa è comunque altissima anche se trasferita dallo Stato al singolo privato; per al- Bibliografia Nuove prospettive nel SSN Sae l ute Territorio 37 tro poi oggi molti amministratori, da buoni politici sempre in cerca di consensi popolari, stanno scelleratamente cercando di accollare allo Stato, cioè a tutti noi, anche le spese derivanti da questi interventi “alternativi” di cui non abbiamo né certezza di efficacia né, di contro, certezza di innocuità. Da un lato si controllano le prescrizioni e le spese dei medici, richiamandoli ad un consumo di farmaci oculato, separando come fa il Prontuario terapeutico nazionale i farmaci in fasce: A (la sola di cui il SSN sostiene in toto la spesa), B e C, a seconda della loro dimostrata efficacia. Dall’altra ci si accolla la spesa di prodotti di cui ancora non sappiamo bene se si tratti di acqua pura o di acqua “sporca” di qualche molecola di efficacia tutta da dimostrare. E così mentre la Francia toglie l’omeopatia dal suo servizio sanitario essendoci ormai prove scientifiche più che sufficienti per dimostrarne l’inefficacia, nel nostro Paese si aprono servizi omeopatici pubblici, invitando la popolazione a provare questo approccio “terapeutico” che se fossimo corretti e cinicamen- te obiettivi dovremmo piuttosto inserire nel campo delle religioni. Ma soprattutto si continua a vivere i sintomi in maniera angosciata, seguitando a non capire che la soluzione “sana” non è cambiare tipo di medicine ma smettere di usarle in situazioni per cui non sono affatto necessarie e che richiederebbero invece solo pazienza, tolleranza e un più serio impegno per rivedere e migliorare il proprio stile di vita, insegnandolo anche ai propri figli. Cosa penseranno questi poveri figli a sentirsi dire continuamente che hanno tossi pazzesche e raffreddori mostruosi!? Con quale intelligenza ed equilibrio gestiranno i loro piccoli disagi fisici di adulti? In sintesi dunque credo che imboccare la strada dell’investimento in educazione sanitaria che promuova cultura della salute sia la sola via di uscita da questa spirale che si è innescata di acritica risposta ai bisogni immaginati, in una rincorsa alla soddisfazione dell’utenza fuori dal rigore scientifico, che porta inevitabilmente ad un crescere senza fine di richieste, insoddisfazioni e spese. Paolo Sarti (2008), Neonati maleducati, Giunti Demetra. Regione Toscana (2008), Piano Sanitario Regionale. Valdo Flori (2007), Il futuro della pediatria di famiglia, Fimp News. Regione Toscana (2007), Accordo integrativo per la disciplina dei rapporti con i medici pediatri. Enrico Solito (2008), Riflessioni per una nuova pediatria, materiale non pubblicato. Vincenzo Calia (2008), Malainformazione, altro che malasanità. l ute Sa e 38 Territorio Francesca Gori Serena Gori Claudia Mannini Filippo Festini Università di Firenze, Dipartimento di pediatria, Sezione di scienze infermieristiche e delle professioni sanitarie L a gestione della terapia farmacologica a domicilio è un aspetto molto complesso del processo di cura della persona temporaneamente o cronicamente malata, che richiede abilità, conoscenze specifiche e molta attenzione. In ambito pediatrico, dove la responsabilità della preparazione, della somministrazione e della conservazione dei farmaci a domicilio ricade sul genitore, aumentano le difficoltà e le probabilità di incorrere in un errore di terapia sono elevate. L’errore nell’uso del farmaco in ambito extraospedaliero è un fenomeno poco conosciuto; interessa prevalentemente l’età pediatrica e costituisce un costo rilevante sia in termini di salute pubblica, sia di spesa per il sistema sanitario, sia di costi aggiuntivi per l’intero nucleo familiare. La letteratura riporta numerosi casi di eventi avversi riconducibili all’uso scorretto dei farmaci da parte dei genitori, ma pochi studi hanno indagato sulle strategie di prevenzione. In uno studio americano condotto su 1788 pazienti pediatrici ambulatoriali, è emerso che il 70% di eventi avversi prevenibili di media o alta Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 La somministrazione di farmaci pediatrici a domicilio gravità era associato all’errata somministrazione di farmaci a domicilio (1). Una recente pubblicazione del Center for Disease Control and Prevention (Morbidity and Mortality Weekly Report MMWR) riporta tre decessi di bambini di età compresa tra uno e sei mesi, associati ad assunzione di farmaci per la tosse ed il raffreddore negli Stati Uniti. In tutti e tre i casi è stata riscontrata un’intossicazione letale da sovradosaggio (2). Un recente studio dell’Università di Pavia (3) effettuato su di una popolazione extraospedaliera ha indagato sul problema degli errori nell’uso del farmaco analizzando le schede di chiamata del CAV di Milano riferite al periodo compreso tra il 1 gennaio ed il 30 giugno 2002 ed intervistando telefonicamente le persone che hanno effettuato le telefonate. Tra i risultati ottenuti analizzando 1369 casi, è emerso che il 94% delle intossicazioni si è verificato in ambito extraospedaliero mentre solo il 2% all’interno dell’Ospedale e che la fascia di età più rappresentativa è quella pediatrica (0-14 anni) che costituisce il 69% dei casi, in particolare quella compresa tra 0 e 4 anni che da sola copre il 32% degli errori. Strategie di prevenzione di errore da parte dei familiari. Il ruolo degli infermieri Sperimentare ed applicare strategie di intervento sempre più efficaci rivolte alla prevenzione dell’errore di terapia in ambito extraospedaliero è un dovere di tutti gli attori coinvolti nell’evento: professionisti sanitari, popolazione ed industria farmaceutica. Quando abbiamo a che fare con i pazienti pediatrici, la famiglia è senza dubbio direttamente responsabile degli eventi avversi che possono manifestarsi nel bambino a causa di un uso scorretto dei farmaci ma, allo stesso tempo, essa può diventare protagonista attiva nella difesa del piccolo paziente dagli errori di terapia. Una comunicazione aperta e chiara tra la famiglia ed i professionisti sanitari, un’informazione adeguata sugli aspetti fondamentali della terapia ed un’educazione rivolta al genitore che favorisca l’acquisizione di comportamenti più sicuri nei confronti della somministrazione di farmaci al proprio bambino, costituiscono gli elementi principali che permettono alla famiglia del piccolo pa- ziente di svolgere il ruolo di barriera contro gli errori e gli eventi avversi da farmaci. Molte evidenze suggeriscono che la comunicazione gioca un ruolo cruciale nella prevenzione degli errori di terapia quando si sviluppa tra gli stessi professionisti sanitari e tra questi e la famiglia del bambino (4). Fortescue notò che il 47,4% degli errori poteva essere prevenuto da una comunicazione efficace tra il genitore e coloro che hanno in cura il piccolo paziente (5). Promuovere uno scambio circolare e dinamico di messaggi tra la famiglia, il bambino (quando ha raggiunto uno sviluppo sociale ed intellettivo sufficiente) e gli operatori sanitari al fine di prevenire gli errori di terapia, richiede la costruzione di un rapporto di fiducia e collaborazione tra queste figure ma anche la sensibilizzazione del genitore sull’importanza di esprimere i propri dubbi e fare domande riguardo al trattamento farmacologico prescritto al proprio figlio. L’American Academy of Pedia- Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 1. Qual è il nome del farmaco prescritto? 2. In che modo questo farmaco può aiutare il mio bambino? 3. Devo fare qualcosa prima di somministrare questo farmaco al mio bambino? 4. Qual è la quantità/dose di farmaco che devo dare a mio figlio? 5. A che ora devo somministrare la medicina? 6. Per quanto tempo il mio bambino dovrà assumere questo farmaco? 7. Mio figlio dovrebbe evitare alcuni cibi o attività durante la terapia? 8. Devo evitare di somministrare altri farmaci, prodotti di erboristeria o vitamine durante la terapia? 9. Il farmaco prescritto potrebbe causare effetti collaterali che dovrei conoscere? 10. Ci sono cambiamenti su come mio figlio deve prendere la medicina (ad esempio, deve assumere una dose maggiore di quella abituale)? 11. Questo farmaco è disponibile in altre formulazioni che potrebbero essere assunte più facilmente da mio figlio, come compresse masticabili o sciroppi? 12. La prescrizione è ripetibile? Quante volte? 13. Potrebbe lasciarmi delle istruzioni scritte? 14. Cosa devo fare se mio figlio salta una dose di farmaco? 15. Cosa devo fare se somministro una quantità maggiore di farmaco? 16. Cosa devo fare se il mio bambino rifiuta la medicina? 17. Potrebbe mostrarmi come si usa questo farmaco? trics ha proposto una lista di domande che il genitore dovrebbe rivolgere al pediatra al momento della prescrizione di farmaci al proprio bambino, rimarcando l’importanza della comprensione e dell’informazione della famiglia (6) (Tab. 1). Ha inoltre indicato una serie di azioni da compiere per garantire una somministrazione corretta e sicura dei farmaci a domicilio (7) (Tab. 2). Anche i professionisti sanitari (medico, infermiere e farmacista) possono contribuire in modo determinante alla prevenzione degli errori di terapia a domicilio e dei potenziali eventi avversi da farmaci nei pazienti pediatrici. Informare in modo efficace il genitore sugli aspetti fondamentali della terapia prescritta al suo bambino (a cosa ser- ve il farmaco, la dose, la frequenza, la via di somministrazione, gli effetti terapeutici e collaterali, etc.) significa adattare il linguaggio e la terminologia al livello d’istruzione della persona, essere disponibili a fornire ulteriori chiarimenti e spiegazioni che eliminino ogni perplessità emersa, verificare la comprensione delle istruzioni fornite, trascrivere in modo chiaro le informazioni più importanti su un foglio che serva da promemoria per il genitore, garantire la presenza di un mediatore culturale se i familiari del bambino non conoscono bene la lingua, ricordandosi di prestare particolare attenzione alla formulazione del farmaco nel caso di bambini stranieri. Le prescrizioni telefoniche comportano sempre un elevato rischio di errore e il pe- Tab. 1. Lista di domande proposta dall’American Academy of Pediatrics. diatra dovrebbe evitarle, ove possibile; quando queste però si verificano, il medico dovrebbe pronunciare in modo chiaro il nome commerciale del farmaco e del principio attivo (magari facendo lo spelling), fornire le indicazioni per l’uso in modo completo e comprensibile (con particolare riguardo alla pronuncia del numero e dell’unità di misura che costituiscono la dose da somministrare), verificare l’effettiva comprensione delle informazioni fornite e consigliare al genitore di appuntarsi tutte le indicazioni terapeutiche su di un foglio. Alcuni studi di recente pubblicazione suggeriscono che il farmacista può svolgere un ruolo importante nel processo di informazione e di vigilanza sui farmaci da banco, contribuendo in modo so- Sae l ute Territorio 39 stanziale alla riduzione degli errori nell’uso di questi prodotti (8). Il farmacista può indirizzare il genitore ad un uso corretto dei farmaci da banco cercando di orientare la sua scelta verso prodotti caratterizzati da buoni profili di efficacia e di tollerabilità, ricordando le modalità di somministrazione e l’importanza di misurare correttamente la dose in base al peso corporeo e mediante presidi accurati. Per promuovere un uso sicuro dei farmaci da banco (overthe-counter, OTC), il National Council on Patient Information and Education (NCPIE) ha stilato una serie di consigli per i genitori che somministrano questi prodotti ai loro bambini (9) (Tab. 3). Durante il ricovero in Ospedale del piccolo paziente, l’infermiere è il professionista sanitario che trascorre più tempo con il bambino e la sua famiglia, condividendo con loro la malattia ed imparando a conoscerli giorno dopo giorno. Per questo motivo, l’infermiere non può limitarsi a compiere un’azione informativa sugli aspetti più importanti del piano terapeutico che il bambino dovrà seguire a casa una volta dimesso ma, considerata anche la natura relazionale ed educativa dell’assistenza infermieristica, deve intraprendere un processo educativo rivolto alla famiglia (e al piccolo paziente quando la sua maturazione psicologica lo permette) che sia in grado di promuovere nuove conoscenze circa la malattia del bambino ed i farmaci che possono curarla e comportamenti più si- l ute Sa e 40 Territorio Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 Segui le istruzioni terapeutiche I farmaci prescritti devono essere somministrati regolarmente e al giusto orario perché abbiano l’effetto terapeutico desiderato. Non saltare una dose di farmaco. Quando somministri per la prima volta il farmaco al tuo bambino, chiedi al pediatra o al farmacista cosa fare se una dose non è stata data in tempo. Somministra la giusta quantità Misura attentamente la dose di farmaco da somministrare. Non dare una quantità maggiore di quella indicata: potresti arrecare un danno al tuo bambino. Sia in caso di medicinali prescritti dal medico che di farmaci da banco, segui sempre esattamente le istruzioni terapeutiche. Ricordati che sapere il peso del tuo bambino è importante Quando usi prodotti da banco, leggi attentamente il foglio illustrativo per sapere la corretta dose di farmaco da somministrare in base al peso del tuo bambino. L’età non è sempre un’unità di misura accurata per determinare la giusta dose di farmaco. Non interrompere la terapia troppo presto Il tuo bambino deve continuare ad assumere il farmaco per tutto il periodo indicato, anche se comincia a stare meglio prima della scadenza. Lo stesso vale anche per quelle situazioni in cui tuo figlio rifiuta e sputa la medicina. Somministra i farmaci con sicurezza Per prevenire sovradosaggi o intossicazioni, segui questi consigli: – Quando somministri un farmaco al tuo bambino, fallo sempre in condizioni di buona visibilità: nel buio, aumenta il rischio che tu possa dare un farmaco sbagliato o una dose scorretta. – Leggi il foglio illustrativo prima di aprire il flacone della medicina, dopo che hai rimosso la dose necessaria e prima di somministrarlo al tuo bambino: questo aumenta la sicurezza. – Richiudi sempre le medicine che hai usato con il loro tappo “a prova di bambino” e riponile in un luogo sicuro, lontano dalla portata di tuo figlio. – Somministra una dose corretta di farmaco. I bambini non sono piccoli adulti. Non calcolare mai la quantità di farmaco da somministrare in base alla corporatura del tuo bambino. – Non aumentare la dose di farmaco appena ti sembra che il tuo bambino stia peggio dell’ultima volta. – Segui sempre le raccomandazioni sul peso e sull’età che trovi nel foglietto illustrativo. Se hai delle domande da fare, chiama il pediatra. – Utilizza gli ausili adeguati per la misurazione dei farmaci in forma liquida. – Assicurati che il medico sappia quali farmaci stai somministrando al tuo bambino in questo momento. – Controlla i tuoi bambini durante la terapia. Non permettere ai tuoi figli più piccoli di assumere le medicine da soli. – Prima di utilizzare qualsiasi farmaco, controlla che non ci siano lacerazioni, tagli o imperfezioni sulla confezione. – Avverti il pediatra se stai somministrando prodotti di erboristeria, vitamine o rimedi caserecci: potrebbero interagire con i farmaci prescritti o con i medicinali da banco. – Riponi tutti i farmaci in un armadietto chiuso a chiave, che non sia localizzato in bagno: l’umidità potrebbe danneggiarli. curi nella gestione della terapia a domicilio. L’educazione alla famiglia deve essere pianificata dall’infermiere dopo aver accertato il grado di conoscenza sull’argomento in esame, il livello socio-culturale, la presenza di possibili ostacoli alla comunicazione (barriere linguistiche, psicologiche, culturali, etc.), e deve essere attuata in un momento idoneo durante il periodo di ricovero del piccolo paziente (ad esempio, non troppo vicino alla dimissione). È inoltre molto importante scegliere un luogo adatto per comunicare senza essere disturbati e dedicare il tempo necessario per ottenere dei risultati soddisfacenti. Per quanto riguarda la terapia che il bambino ha iniziato in Ospedale e che dovrà continuare a casa, l’infermiere deve assicurarsi che i genitori abbiano acquisito tutte le conoscenze necessarie, sia teo- riche che pratiche, prima della dimissione, affinchè possano somministrare con sicurezza i farmaci prescritti al piccolo paziente. L’educazione terapeutica dovrebbe includere le seguenti azioni: – Garantire sempre la presenza di un mediatore culturale per i genitori non madrelingua. – Spiegare a cosa serve il farmaco. – Insegnare a calcolare la Tab. 2. Consigli ai genitori per aumentare la sicurezza della terapia a domicilio dell’American Academy of Pediatrics. dose corretta, facendo capire l’importanza del peso corporeo del bambino nel determinare il giusto dosaggio. – Insegnare la modalità di diluizione dei farmaci in polvere e la corretta conservazione della sospensione. – Informare i genitori sull’esistenza di presidi accurati per misurare la quantità dei medicinali in forma liquida, spiegando perché il comune cucchiaio da cuci- N. 166 - 2008 na non garantisce una misurazione precisa. – Dimostrare come si usano gli appropriati ausili per la misurazione e facilitare la comprensione dei genitori proponendo una prova pratica. – Ricordare la formulazione del farmaco ed assicurarsi che il genitore abbia capi- to qual è la giusta via di somministrazione. – Ricordare la frequenza e la durata della terapia, sottolineando la necessità di rispettarle scrupolosamente per permettere al farmaco di svolgere la sua azione terapeutica; – Spiegare gli effetti terapeutici del farmaco e co- Nuove prospettive nel SSN Sae l ute Territorio 41 me riconoscere i possibili effetti non desiderati o i sovradosaggi. – Sensibilizzare il genitore sul rischio di sovradosaggio accidentale di farmaci nel bambino: errori di dosaggio; somministrazione di farmaci più concentrati (farmaci per adulti somministrati ad un bambino op- pure farmaci per neonati somministrati a bambini più grandi); assunzione contemporanea di medicinali contenenti lo stesso principio attivo; etc. – Insegnare ai genitori alcune strategie per somministrare le medicine ai bambini quando si rifiutano di prenderle (ad esempio, 1. Quando hai un dubbio, chiedi! La salute del tuo bambino è troppo importante per poter correre dei rischi basando la gestione della sua terapia su delle supposizioni. Ogni volta che hai un dubbio circa l’uso di un prodotto da banco, rivolgiti al farmacista o al pediatra. 2. Assicurati che il pediatra sia al corrente di tutti i farmaci da banco assunti dal tuo bambino, prima di una nuova prescrizione. Allo stesso modo, se tuo figlio sta già assumendo dei farmaci prescritti dal medico, chiedi al farmacista o al pediatra stesso se puoi somministrare contemporaneamente dei prodotti OTC. 3. Controlla il peso del tuo bambino: in questo modo puoi calcolare la giusta dose di farmaco raccomandata dal foglio illustrativo. Molti pediatri e farmacisti convengono che il peso del bambino è il miglior modo per determinare la dose corretta da somministrare. Per questo motivo, i professionisti della salute consigliano ai genitori di tenere in casa una bilancia accurata per poter pesare il proprio bambino prima di dare un farmaco da banco. 4. Segui correttamente le istruzioni del foglietto illustrativo. Poiché i prodotti da banco sono veri e propri farmaci che possono arrecare danno se presi in modo non corretto, leggi sempre l’intero foglietto illustrativo prima di somministrare un medicinale OTC al tuo bambino. In questo modo sarai sicuro di aver scelto il prodotto giusto, di aver compreso le istruzioni sul dosaggio e sarai consapevole delle precauzioni da prendere. 5. Usa gli specifici contagocce, tappi dosatori o altri strumenti che trovi nella confezione del farmaco. Poiché i cucchiai da cucina e altri utensili domestici hanno dimensioni diverse e non sono accurati nel misurare la quantità di medicinale da somministrare, utilizzandoli potrai dare al tuo bambino una dose maggiore o inferiore rispetto a quella consigliata. La stessa cosa può accadere se usi un presidio per misurare appartenente ad un altro farmaco di tuo figlio. 6. Se somministri più di un farmaco da banco contemporaneamente al tuo bambino, controlla che questi prodotti non contengano lo stesso principio attivo e non abbiano la stessa azione terapeutica. Per prima cosa controlla il principio attivo dei farmaci OTC che vuoi somministrare; non dare a tuo figlio contemporaneamente dei prodotti contenenti lo stesso principio attivo e consultati con un professionista sanitario se hai dei dubbi. Poiché molti farmaci per la tosse ed il raffreddore contengono lo stesso principio attivo degli antidolorifici, è possibile che tu somministri al tuo bambino due prodotti diversi ma che contengono lo stesso principio attivo senza esserne consapevole. Inoltre, assicurati che non abbiano la stessa azione terapeutica. Per esempio, due farmaci per il raffreddore possono contenere principi attivi differenti ma entrambi agiscono contro la febbre. Questa doppia azione deve essere evitata. Per essere sicuro, leggi sul foglio illustrativo le “indicazioni terapeutiche” e paragonale. Non esitare a chiamare il pediatra o il farmacista per un consiglio. 7. Somministra al tuo bambino soltanto quei farmaci formulati specificamente per il suo peso e la sua età. Tagliare a metà una compressa per adulti o provare a stimare una dose idonea per il tuo bambino di un medicinale in forma liquida per adulti può portare ad un sovradosaggio. Allo stesso modo, dare un medicinale in forma liquida per bambini ad un neonato comporta un overdose. 8. Ricordati che la maggior parte dei farmaci da banco risolvono temporaneamente sintomi lievi. Se i sintomi persistono o peggiorano, contatta il pediatra. 9. Non somministrare i farmaci al buio. Questo è spesso un problema quando il bambino sta male durante la notte ed i genitori sbagliano a leggere il livello raggiunto dalla medicina nello strumento per misurare la sua quantità, a causa della scarsa illuminazione. 10. Insegna al tuo bambino che il farmaco da banco non è un dolciume e che non deve toccarlo, annusarlo o assaporarlo. I bambini possono assumere i farmaci da banco soltanto sotto lo stretto controllo di un adulto. Tieni tutte le medicine ed i prodotti per la casa fuori dalla portata del tuo bambino. Tab. 3. I consigli del National Council on Patient Information and Education (NCPIE) ai genitori per promuovere la sicurezza nell’uso dei farmaci da banco. l ute Sa e 42 Territorio Nuove prospettive nel SSN rendere il loro gusto più gradevole mescolandole con una bevanda zuccherata o un omogeneizzato), avvertendoli delle possibili interazioni del farmaco con alcuni tipi di alimenti. – Consigliare di riporre i farmaci in un luogo sicuro, lontano dalla portata del bambino, e di prestare particolare attenzione alla possibilità di scambiare tra loro farmaci con nomi o confezioni simili (per prevenire questo errore, suggerire di collocare i farmaci a rischio in posti diversi o di differenziarli con un segno di riconoscimento). – Fornire alla famiglia delle istruzioni scritte e materiale informativo, se disponibile. – Valutare l’acquisizione di conoscenze teoriche e pratiche in merito alla gestione della terapia, facendo ripetere le informazioni al genitore e verificando le sue competenze pratiche. La letteratura sottolinea ampiamente l’importanza dell’educazione alla famiglia sulla somministrazione corretta dei farmaci al piccolo paziente, completa di istruzioni specifiche e dimostrazioni pratiche (10). Uno studio americano che indaga sulla capacità dei genitori di misurare la dose corretta dei farmaci liquidi, ha dimostrato come l’educazione sia efficace nel ridurre gli errori di dosaggio e sia capace di superare anche le barriere linguistiche e culturali. Il ricercatore ha selezionato tre gruppi di genitori (metà parlava l’inglese e metà lo spagnolo), ai cui figli era stato prescritto dal medico un antibiotico da sospendere: il primo gruppo riceveva la prescrizione e delle istruzioni verbali; il secondo gruppo veniva coinvolto in una dimostrazione pratica nella quale si misurava la dose di farmaco mediante una siringa calibrata e riceveva la prescrizione e la siringa; il terzo gruppo, come il secondo, usufruiva della prova pratica e della prescrizione, ma riceveva una siringa marcata al livello della dose prescritta (veniva apposto un “segno a T” con un pennarello indelebile, ovvero veniva tracciata una linea verticale dallo 0 al valore della corretta dose ed una linea orizzontale intorno alla siringa e sempre al livello della dose prescritta). La verifica della misurazione ha fatto emergere i seguenti risultati: solo il 37% dei genitori appartenenti al primo gruppo misurava correttamente la dose prescritta contro l’83% del secondo gruppo ed il 100% del terzo gruppo. L’educazione ai genitori, unita alla dimostrazione pratica e alla consegna di ausili accurati e semplici da usare, permette di misurare correttamente la dose di sciroppo da somministrare al bambino (11). Numerosi studi dimostrano come l’uso di strumenti accurati per misurare la dose corretta dei medicinali in forma liquida riduca notevolmente gli errori di dosaggio (12,13). Per questo motivo, i professionisti sanitari ed in particolar modo gli infermieri dovrebbero consigliare ai genitori l’impiego di questi presidi per somministrare gli sciroppi ai loro bambini, possi- N. 166 - 2008 bilmente mostrando loro la modalità d’uso. Garantire la continuità delle cure, preparando il bambino e la sua famiglia alla dimissione dall’inizio del ricovero, è un obiettivo che dovrebbe coinvolgere tutti i professionisti sanitari. Un processo graduato di educazione e d’informazione sul piano terapeutico da effettuare a domicilio è determinante nel promuovere la sicurezza del bambino ammalato. La letteratura riporta alcuni esempi di progetti educativi sulla gestione autonoma della terapia durante il ricovero in Ospedale, condotti dagli infermieri e rivolti alla famiglia e ai bambini più grandi: essi documentano una maggior adesione del piccolo paziente al piano terapeutico prescritto e la soddisfazione sia del bambino e dei genitori, per essere divenuti capaci di gestire autonomamente le cure farmacologiche, sia degli infermieri, per avere erogato un’assistenza personalizzata (14). Il momento della dimissione del piccolo paziente dall’Ospedale può rappresentare una situazione a rischio di errori di terapia, specialmente se vi sono variazioni del piano terapeutico. Una comunicazione chiara tra i professionisti sanitari è indispensabile per aumentare la sicurezza: i medici dovrebbero aggiornare in tempo reale gli infermieri ed i farmacisti sui cambiamenti apportati nel piano terapeutico dei pazienti, spiegandone possibilmente le ragioni. Un sistema computerizzato mediante il quale la scheda di terapia del paziente può essere aggiornata e visionata contemporaneamente dal medico, dall’infermiere e dal farmacista, potrebbe evitare le discrepanze che spesso emergono nello schema terapeutico durante la transizione reparto-farmacia-domicilio ed i potenziali errori connessi (15-17). Infine, anche le aziende farmaceutiche possono contribuire ad innalzare il livello di sicurezza nell’uso dei farmaci a domicilio valutando, prima che inizi la commercializzazione di un farmaco, tutte le potenziali fonti di errore: – Nome: la presenza sul mercato di farmaci con nomi simili può causare confusione ed aumentare le possibilità di errore. – Presentazione (forma, colore e confezione): la presentazione del prodotto deve essere chiara; una scarsa differenziazione, ad esempio, di una confezione contenente una stessa forma farmaceutica ma con dosaggi diversi per adulti e bambini, rischia di esporre gli adulti a dosi inefficaci ed i bambini a sovradosaggio. – Differenziazioni fisiche o visive: esse dovrebbero essere prese in considerazione tra forme diverse dello stesso prodotto e tra altri prodotti comunemente utilizzati. – Istruzioni per l’uso e via di somministrazione: è di fondamentale importanza che queste informazioni siano presentate in maniera chiara, comprensibile ed inequivocabile. Particolarmente delicata è la via di somministrazione, soprat- N. 166 - 2008 tutto nei casi in cui il ricorso ad una via diversa da quella autorizzata può mettere in pericolo la vita del paziente (ad esempio, nelle somministrazioni parenterali intramuscolo e non endovena); in questo caso le informazioni devono essere messe in risalto e maggiormente evidenziate. Anche quando la forma farmaceutica e le indicazioni terapeutiche sono Bibliografia (1) Kaushal R., Goldmann D.A., Keohane C.A., et al. (2007), Adverse drug events in pediatric outpatients, Ambul Pediatr. 7 (5): 383-9. (2) MMWR (2005), Infant Deaths Associated with Cough and Cold Medications - Two States, Morb Mortal Wkly Rep, 56: 1-4, 2007. www.cdc.gov/mmwr/preview/mmwrhtml/mm5601a1.htm (3) Moro A., Modena T., Colombo G. (2005), L’errore terapeutico: quando umano e quando diabolico (parte II), Bif XII, 5/6: 209-18. (4) Stebbing C., Wong I.C.K., Kaushal R., Jaffe A. 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(2003), Vigilanza sui farmaci da banco, Farmacovigilanza; www.farmacovigilanza.org (9) NCPIE - National Council on Patient Information and Education (2003), Ten Tips for Parents; www.bemedwise.org Nuove prospettive nel SSN Sae l ute Territorio 43 chiare, vale la pena di precisare con particolare attenzione la via e la modalità di somministrazione. – Particolare attenzione deve essere rivolta ai farmaci con uno stretto margine terapeutico, significativa tossicità e potenziale sovradosaggio. Dovrebbero essere prese in considerazione modalità per prevenire l’ingestione accidentale da parte dei bambini. (10) Fernandez C.V., Gillis-Ring J. (2003), Strategies for the prevention of medical error in pediatrics, J Pediatr, 143: 155-62. (11) McMahon S.R., Rimsza M.E., Bay R.C. (1997), Parents can dose liquid medication accurately, Pediatrics, 100: 330-33. (12) Simon H.K. 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(2007), Insufficient communication about medication use at the interface between hospital and primary care, Qual Saf Health Care, 16: 34-39. l ute Sa e 44 Territorio Maurizio Ferrara Professore associato di Psichiatria sociale Dipartimento salute mentale Firenze S i stima che in Italia una persona su cinque abbia un disturbo mentale nel corso della sua vita, una su quattordici nel corso dell’anno precedente e una su trentuno nel corso del mese precedente (de Girolamo et al., 2006). Non sono molti gli studi di prevalenza vera condotti in Italia; da considerare lo studio condotto a Sesto Fiorentino da Faravelli e coll. (2004): la prevalenza rilevata 12 – mesi (totale 8,6, maschi 5,4%, femmine 14,9%) presenta valori dello stesso ordine della ricerca ESEMeD. Persone senza alcun disturbo mentale perdono il 7% dei giorni lavorativi nel mese precedente; persone con disturbo il 16% e persone con disturbi complicati (comorbidità) dal 28 al 39%. Il Dipartimento di salute mentale: setting complesso della psichiatria di comunità Il Centro di salute mentale (CSM) costituisce ormai l’asse portante della assistenza psi- Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 La psichiatria di comunità chiatrica a livello nazionale. Nel 2001 una indagine ministeriale ne ha censiti 707, in media 1,88 per 150.000 abitanti. Al 1° gennaio 2001 risultava in trattamento attivo (prevalenza trattata) l’1.1% della popolazione italiana; il 27.7% dei pazienti era al primo contatto. Di norma i CSM sono aperti 12 ore al giorno (sei al sabato) e vi opera un gruppo di lavoro multidisciplinare composto da psichiatri, psicologi, infermieri, educatori professionali, assistenti sociali. Nel 2001 erano in servizio a tempo indeterminato 30711 operatori (5561 psichiatri, 1850 psicologi, 14760 infermieri), 0,54/1000 abitanti (Bassi, 2003). Il CSM è il centro di coordinamento di interventi terapeutici e riabilitativi complessi perché spesso riguardano il paziente ma anche la famiglia e/o altri contesti sociali, perché sono erogati in sedi sanitarie, ma sempre di più in sedi sociali, infine perché multidisciplinari con il coinvolgimento di operatori assai di- Gestione e obbiettivi dei Centri di salute mentale versi per specificità disciplinare, formazione, ruolo, responsabilità. Ciascun curante peraltro è portatore di un frammento parziale di conoscenza del paziente: il lavoro clinico funziona quando il gruppo di operatori riesce a pensare “insieme” e a costruire una rappresentazione un po’ più integrata del paziente e su questa costruire un progetto terapeutico sensato. Ed è necessaria una cospicua e continua formazione per ascoltarsi reciprocamente e per mettere insieme le tessere del poco che ciascuno riesce a capire di pazienti spesso frammentati. Per i pazienti gravi la cura e il trattamento diurno (Centro diurno e Day Hospital territoriale) sono presidio indispensabile; la funzione delle strutture intermedie diurne si articola su tre aree principali: attività di accoglienza, trattamenti riabilitativi strutturati, attività di “ponte” verso esperienze più evolute di socializzazione nel mondo “esterno” con l’accompagnamento di operatori (educatori soprattutto) che, nel momento in cui mettono piede fuori dalle istituzioni di cura (sia pure leggere come i Centri diurni) assumono inaspettatamente funzioni assai complesse, da un lato riabilitative (come case managers dei pazienti) ma dall’altro preventive quando facilitano la relazione fra il paziente e le altre persone. Quando educano, informano, rassicurano, consentono quella vicinanza che permette la conoscenza personale con la singola persona e riduce il pregiudizio nei confronti della categoria “malato mentale”. Una stima quantitativa è ricavabile dalla citata ricerca ministeriale del 2001 nella quale sono state censite anche le strutture intermedie Tab. 1. Prevalenza vera del disturbo mentale in Italia (stima). Dati da: European Study of the Epidemiology of Mental Disorders (ESEMeD-WHO). Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 Sae l ute Territorio 45 Tab. 2 diurne: in Italia erano attivi 612 Centri diurni e 309 Day Hospital, 1,6 per 150.000 abitanti, corrispondenti ad un posto per trattamento diurno ogni 10.000 abitanti. (Maone et al, 2002). Oggi un servizio psichiatrico di comunità, sufficientemente dotato dal punto di vista strutturale e chiaramente indirizzato in senso territoriale, intercetta circa il 2% delle persone con disturbo mentale (prevalenza 12-mesi trattata rispetto alla prevalenza vera stimata al 7%). Una coorte di 354 pazienti arruolati in un setting di psichiatria di comunità (Verona sud) con un follow up di sei anni offre un quadro delle caratteristiche dei pazienti ed un panorama dell’offerta e della utilizzazione dei servizi da parte dei pazienti che si rivolgono al Dipartimento di salute mentale. A fianco un raffronto con alcuni dati relativi a Firenze ricavata dalla relazione consuntiva 2006 della Unità funzionale salute mentale adulti (Rossi Prodi, 2007). Dunque il DSM accoglie un case-mix variato di cui i pazienti psicotici sono una componente significativa non tanto dal punto di vista numerico (1/3) quanto dal punto di vista della gravità, dell’impegno di presa in carico (disabilità) del consumo di risorse, ma soprattutto per l’impegno gravoso dell’investimento emotivo orientato alla speranza di miglioramento, che va mantenuto attivo per anni nei confronti di pazienti che altrimenti, da soli, non si prendono cura di sé (è ciò che in gergo si chiama continuità terapeutica: 2/3 dei pazienti psicotici sono in carico da oltre 5 anni vs 1/3 dei non psicotici. E senza entrare nel dettaglio anche la popolazione dei non psicotici non rappresenta certo quella che un tempo veniva definita “piccola psichiatria”). Il ricovero in psichiatria Il ricovero viene effettuato negli Ospedali generali nei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura il cui assetto è improntato (ancora?) alla cultura anti – istituzionale: è denominato “Servizio”, non “Reparto”, è di piccole dimensioni (max 15 posti letto); lo standard nazionale, che determina la dotazione di posti letto psichiatrici, è davvero molto basso, 1 p.l. ogni 10.000 abitanti Questo parametro “anti-isti- tuzionale” è rispettato? Si se consideriamo solo le strutture pubbliche, no, se includiamo le strutture private che appaiono ben diverse come assetto strutturale (numero di posti letto, durata della degenza) e che probabilmente rispondono a domande non accolte dagli SPDC, ormai identificati come il luogo della acuzie, dell’urgenza del turn over elevato. Rappresentazione riduttiva: un ricovero può avere funzioni molto diverse compresa quella di accompagnare il lento recupero da una regressione, processo che talvolta è una vera e propria”rianimazione psichica”. Che il Servizio psichiatrico sia sempre più servizio di controllo comportamentale e un po’ meno di diagnosi e di cura e di relazione terapeutica non è un l ute Sa e 46 Territorio Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 Tab. 3. Dati ricavati dal Progetto di ricerca finalizzata 2001 PROGRES Acuti (*). (*) A.Picardi et al (2007), A. Gaddini et al., 2007. buon segnale. Come non lo è la chiusura della porta del reparto, procedura attiva in ben oltre il 90% degli SPDC. C’è un altro segnale di criticità che è collegato in parte a questa rappresentazione del SPDC: si tratta della (opinabile) qualità della continuità terapeutica che si realizza fra momento di ricovero e percorso di cura “territoriale”. Intanto, per una quota di pazienti, gravi, (il 6-8%) che riceve solo assistenza ospedaliera, il problema nemmeno si pone (Lora et al, 2002); ma è soprattutto la quota relativamente bassa di pazienti inviati dal CSM (fra il 22 e il 28% del totale dei ricoveri) che deve far riflettere sui motivi e sul significato di un SPDC che opera come presidio di primo livello e di un servi- zio territoriale che svolge una funzione di filtro troppo modesta. Infine il problema dei pazienti revolving door, difficili da coinvolgere in una relazione terapeutica stabile e per i quali la porta del reparto non è affatto collegamento fra dentro e fuori: è la via di fuga da casa verso l’Ospedale o viceversa, esatta antitesi della continuità terapeutica. Un quadro rappresentativo del problema tratto da una indagine condotta a Firenze (Meloni et. al 2006) mostra che il 12,6% dei pazienti consuma quasi il 50% delle risorse ospedaliere. Non è solo un problema di abnorme impiego di risorse, è un grave problema di inefficacia degli interventi. Fra l’altro, il tasso di ricovero non concordato con i curanti (auto invio o in seguito a crisi in famiglia) è molto alto e questi pazienti tendono a sganciarsi dalla contrattualità terapeutica per attraversare i vari luoghi di cura in maniera quasi autonoma vivendoli probabilmente come non-luoghi (Picardi et al., 2007). Strutture residenziali psichiatriche (SR): un dispositivo per la riabilitazione Intanto è utile ricordare come riferimento che nel 1978 nei 76 Ospedali psichiatrici italiani erano presenti 78530 pazienti. In tabella una sintesi ricavati dai dati PROGRES relativa a SR con un numero di posti ≥ 4. Nel 2000 dunque sono state censite 1370 residenze (con 4 o più posti letto) per un to- tale nazionale di 17138 posti letto, in media 2,98 p.l. per 10.000 abitanti, peraltro con notevoli variazioni da regione a regione (range 0,7 6,93). Circa la metà delle residenze risultava aperta negli anni 1997-2000 (De Girolamo et al.2002). Importante la variabilità del rapporto pazienti/operatori che in media è di 1,4/1 ma con oscillazioni fra 0,8 e 22,3 pazienti per operatore. Alcuni sostengono che forse sta finendo l’era della deistituzionalizzazione, sta cambiando lo Zeitgeist (Priebe e Fioritti, 2004); ne vedono un indice in questi numeri (specie nell’incremento dei p.l. nel triennio precedente l’indagine), insieme ad altri segnali, come l’aumento dei letti nelle strutture psichiatrico Tab. 4. Fenomeno della recidiva di ricovero. Coorte reclutata nel 1999/2000 negli SPDC della Azienda sanitaria Firenze (totale1746 pazienti) con follow up di 4 anni. Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 Tab. 5 forensi in alcuni Paesi europei (ad esempio Olanda e Germania); la tendenza all’aumento degli internati negli OPG in Italia e comunque l’aumento dell’uso delle misure di sicurezza all’esterno degli OPG; il fatto che siano state recentemente pensate proposte di legge che prevedevano la possibilità di TSO prolungati anche in strutture non sanitarie; la pratica che si è diffusa in particolare negli Stati Uniti, di servizi cosiddetti “assertivi” di comunità, alcuni dei quali sono basati sulla no drop out policy (il che significa che nessuno può lasciare il trattamento). O, infine, certi programmi aggressivi di intervento precoce (early intervention) che prevedono di trattare, anche con farmaci, il più precocemente possibile e per tempi indefiniti giovani/adolescenti soggetti a rischio (non soggetti malati). Una visione di insieme sulle caratteristiche dei pazienti (ospiti) inseriti nelle Strutture residenziali (dall’indagine PROGRES fase 1 e fase 2): – il 45 % è completamente inattivo (anche rispetto alle attività di day care del CSM); – la metà dei pazienti aveva trascorso più di 5 anni in una SR; – solo nel 20% dei casi è presente un sistema familiare/sociale di sostegno; – circa il 70% ha una diagnosi nell’area del disturbo schizofrenico; – 1 paziente su 5 nell’anno precedente ha avuto un ricovero in SPDC; – il turn over dei pazienti è assai modesto (il 37% delle SR non ha dimesso pazienti nell’anno precedente l’indagine). Il processo di adattamento dei pazienti all’interno delle SR appare soddisfacente ma ad esso non corrisponde (ed anzi peggiora dopo una permanenza oltre i due anni) una corrispondente capacità sociale all’esterno (Barbato etal., 2004; Scoscia et al., 2005). Comunque la percezione soggettiva della qualità di vita da parte dei pazienti che abitano nelle SR è comparabile a quella percepita da pazienti con diagnosi di psicosi e che vivono nella propria residenza. (dati PROGRES, fase 2 campione pari al 20% di tutte le SR censite - Picardi et al., 2006). L’indagine registra una discreta qualità ambientale: strutture relativamente piccole con una media di 10-12 pazienti, che è un dato relativamente confortante, anche se va ricordato che indagini analoghe in Inghilterra, condotte anche a Londra registrano una media di 5 pazienti per struttura (Lelliott et al., 1996, Lewis e Trieman, 1995). Lo stesso studio PROGRES mostra la correlazione fra dimensioni della struttura, qualità ambientale e alcuni indicatori di funzionamento sociale: più la struttura è grande, più frequenti le fughe e i drop out e ugualmente accade quanto più carenti sono gli spazi privati (stanze singole) a disposizione dei pazienti. Come è ovvio, spes- Sae l ute Territorio 47 so i due fattori si combinano. Un obbiettivo centrale delle SR, intese come dispositivo riabilitativo, è la ricostituzione delle competenze sociali e di ruolo che permettono l’autonomia abitativa nella propria residenza; e “l’esito abitativo” (se e in che misura i pazienti vengono dimessi dalla SR e in quale situazione abitativa si trovano) è indicatore proxy di questo outcome. Nel 2005 è stata condotta a termine una indagine di follow up (5 anni) di tutti i pazienti presenti al gennaio 1999 nelle SR del Dipartimento di salute mentale della Azienda sanitaria Firenze (Fig. 1). Il turn over nel periodo di follow up può apparire insoddisfacente dal punto di vista “statistico”, non lo è affatto dal punto di vista clinico se teniamo presente la gravità psicopatologica, l’andamento cronico della malattia, il precario retroterra familiare (i dati PROGRESS per la Regione Toscana presentati a Firenze il 26.10.2001 riportano, per i pazienti inseriti nelle SR, una sintomatologia grave nel 75% dei casi, un sostegno familiare presente con certezza solo nel 15%, una durata di malattia maggiore di 10 anni nell’87% dei pazienti). I re- Fig. 1. Diagnosi e esiti abitativi. l ute Sa e 48 Territorio sponsabili delle strutture vedono “nero”: collocazione futura a breve nella SR attuale nel 78% dei casi e in una SR a maggiore assistenza nel 3%. A conferma di un utilizzo virtuoso – cioè con valenza riabilitativa – delle SR nella Azienda sanitaria fiorentina merita citare di nuovo la relazione consuntiva della attività della zona Firenze (Rossi Prodi, 2007): a fronte di 156 ospiti presenti nelle SR di zona nel 2006, ne sono stati dimessi 70 e ammessi 83. Una riflessione, infine, sulla preparazione professionale del personale operante nelle SR che è insoddisfacente, con una presenza di figure qualificate (ad es. psicologo) quantitativamente modesta e con interventi stabili di supervisione residuali. In ogni caso, elemento costitutivo del processo terapeutico è la qualità del “clima” che caratterizza la struttura, clima che è determinato sostanzialmente dall’assetto emotivo, dalla tenuta e dalla disponibilità degli operatori a tener vive (a nutrire) le relazioni con i pazienti. Il clima terapeutico si correla con l’alta qualità ambientale e la piccola dimensione della struttura (Brennan e Moos, 1990). È sulla base di queste considerazioni che viene suggerito con forza (a partire dai dati di PROGRES, A. Picardi, ISS, 2007) la necessità di pianificare strutture residenziali di piccole dimensioni. Come funziona il sistema di salute mentale nel suo complesso? Partiamo da una critica forte: Nuove prospettive nel SSN i servizi di primo accesso accolgono chi riesce ad arrivare e, in qualche modo, a chiedere (Casavola et al., Una sperimentazione di psichiatria di strada: progetto Diogene, 2005). È vero: il sistema è reattivo, a domanda risponde, anche in maniera apprezzabile e diversificata a seconda dei bisogni rilevati. A giudicare dal basso numero di TSO in Toscana e a Firenze in particolare possiamo ritenere che l’accessibilità a livello territoriale è buona e probabilmente la domanda è accolta in tempi utili per prevenire sviluppi critici non contenibili. È vero anche che è organizzato per “l’attesa” ed scarsamente “pro-attivo” nella presa in carico dei “gravi che non chiedono”, di solito pazienti con una sintomatologia regressiva/negativa, stabilizzati ma sostanzialmente in situazione di de-socializzazione più o meno grave. È una carenza importante, invisibile in ragione del fatto che i pazienti che si isolano non disturbano e dunque drammatica per chi ne soffre, da solo in prima persona, e per i suoi familiari. Ma cosa significa allora essere attivi? Specialisti del controllo rapido ed efficiente di tutti i comportamenti disturbanti e agenti della tranquillità familiare, del condominio, degli ufficiali giudiziari che rendono esecutivi gli sfratti, delle case di riposo, del Pronto Soccorso? Non è così; operare per la salute mentale nella comunità non vuol dire utilizzare gli strumenti della sedazione e N. 166 - 2008 del TSO per trasformare la comunità stessa in un’unica grande istituzione di impronta manicomiale “molle”, secondo la definizione di Basaglia. La linea guida dell’intervento comunitario è l’orientamento alla terapeuticità, alla prospettiva del cambiamento interno, che implica ricercare in tutti i modi di stabilire una relazione con il paziente, relazione che si deve approfondire per capire qualcosa di sintomatologie e situazioni complesse, per avviare almeno un barlume di relazione fiduciaria, per arrivare infine ad una rapporto terapeutico in cui il paziente è capace di esprimere una sua contrattualità e ricomincia a dar voce alla sua soggettività, di norma inespressa a causa di una disistima di sé che lo espone in continuazione al fallimento (La “spirale negativa” che conduce alla desocializzazione secondo M. Spivak). È chiaro che questo assetto, che punta alla valorizzazione del mondo interno, della soggettività, della contrattualità del paziente, è assetto antitetico all’idea del controllo esterno, in qualche modo sovrimposto al paziente, pedagogico, quando non obbligatorio, formalmente o anche e forse più spesso di fatto. L’assetto “di controllo” è una prassi terapeutica dirigista (per la quale valgono alcune ragioni teoriche) orientata all’urgenza: “non si può aspettare oltre!”, “non possiamo fare i comodi di questo paziente/di questa famiglia”, e, soprattutto, l’affermazione che chiude qualunque discussione: “sarebbe bello tentare ancora di convincerlo, purtroppo non ce lo possiamo permettere, non è l’unico paziente, abbiamo la fila, ci mancano risorse”. L’assetto orientato alla contrattualità richiede tempo, molto tempo, ad esempio quello necessario per passare da una interazione impregnata di sospettosità, più o meno strutturata in senso paranoico, ad una relazione in cui cominciano ad emergere segnali di attaccamento fiduciario. Il tempo che si impiega nel finalizzare la relazione alla contrattualità si guadagna con molti interessi in prospettiva futura, perché quanto più “contrattuale” diviene il paziente, tanto meno “dipenderà” dal sistema di cura (traduzione: tendenza a ridurre il consumo di risorse nel corso del tempo –lungo!della terapia,). Allora essere “pro-attivi” significa andare verso, creare le condizione per l’avvio della relazione. Credo che anche gli indicatori di attività e di esito debbano essere costruiti in maniera diversa e specifica per due assetti che corrispondono a due distinti processi terapeutici, che corrispondono a due concetti diversi, vuoi di efficacia, vuoi di efficienza. La “cura come prescrizione” cioè la psichiatria del “qui ed ora”,del contenimento rapido e del controllo dall’esterno del sintomo si misura abbastanza bene conteggiando prestazioni; (segue a pag. 52) Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 Guido Guidoni Mariella Orsi* Responsabile UF Ser.T. Zona fiorentina nord-ovest ASL 10, Firenze * Responsabile Centro studi, ricerca e documentazione sulle tossicodipendenze e AIDS-CESDA-ASL 10, Firenze L’ uso di droghe legali ed illegali e gli altri comportamenti a rischio rappresentano oggi alcuni dei più importanti problemi di salute nel mondo occidentale. Le conseguenze riguardano non solo gli aspetti strettamente sanitari, ma anche quelli psicologici e relazionali soprattutto per l’impatto nei sistemi familiari, quelli sociali ed anche quelli economici per i costi legati, ad esempio, all’ambito lavorativo. Infatti, i problemi correlati all’uso droghe non sono rappresentati solamente dalla cosidetta tossicodipendenza e dall’alcolismo, ma sono tutti quei problemi di vario ordine e natura causati e/o legati all’assunzione episodica o protratta di sostanze che, avendo la capacità di modificare il sistema nervoso centrale (attività psicoattiva), possano determinare problemi per qualsiasi tipo di uso anche in chi non necessariamente ha sviluppato una condizione di abuso o dipendenza. Ad esempio: – uso di bevande alcoliche e/o altre droghe illegali durante il lavoro; – uso di bevande alcoliche e/o altre droghe illegali durante la guida; – uso di bevande alcoliche Sae l ute Territorio 49 Uso di droghe e comportamenti a rischio e/o altre droghe illegali durante la gravidanza; – uso di bevande alcoliche e/o altre droghe illegali durante l’adolescenza; – uso di bevande alcoliche e/o altre droghe illegali in corso di certe malattie (ad es. neurologiche e psichiatriche); – uso di bevande alcoliche e/o altre droghe illegali in corso di certe cure farmacologiche (ad es. psicofarmacologiche); – uso di bevande alcoliche e/o altre droghe illegali in persone provenienti da altre culture. La dimensione di queste problematiche è sotto gli occhi di tutti ed è sempre più oggetto di attenzione da parte dei mass-media che, pur con tutti i limiti delle modalità allarmistiche e spesso fortemente stigmatizzanti, sottolineano comunque un chiaro cambiamento di scenario dei fenomeni rispetto agli anni ‘90. Appare quindi chiaro che i problemi correlati all’uso di droghe costituiscono uno spettro assai più ampio delle sole problematiche della tossicodipendenza e alcolismo che, per quanto ne costituiscono sicuramente le manifestazioni più gravi e drammatiche, non lo esauriscono. Nuovi scenari e nuove sfide per i servizi e per la comunità A queste problematiche infine si associano sempre più anche altri comportamenti a rischio “senza sostanza”, quali il gioco d’azzardo che mostra caratteristiche molto simili a quelle dell’uso di droghe, soprattutto di quelle legali, dove il limite tra “normale” e “patologico” appare assai difficile da definire. Aspetti epidemiologici Naturalmente esiste una correlazione stretta tra la prevalenza di queste problematiche ed i consumi nella popolazione generale e a tal proposito riporterò alcuni dati dai quali appare chiaro come questi comportamenti appaiono sempre più diffusi nelle nostre comunità e non solamente tra i giovani. Circa l’86% degli uomini e oltre il 74% delle donne fa uso di alcol. In Toscana negli ultimi anni si è registrato un importante aumento del numero di consumatori donne e giovanissimi: il 70% degli studenti delle scuole superiori fa uso di alcol (1). I dati riguardanti i problemi legati all’uso di alcol sono drammatici: è possibile stimare in un milione e mezzo gli alcolisti in Italia e in circa 4 milioni, con una forte componente giovanile, i bevitori problematici. Il tabacco in Toscana viene usato dal 23% della popolazione; l’uso tra i giovanissimi sembra essere in aumento (nei giovani tra i 14 e i 19 anni circa il 65% ha provato a fumare e 1/3 di questi diventerà un fumatore regolare), inoltre, in controtendenza rispetto alle altre droghe, la prevalenza dei giovani fumatori è maggiore tra le ragazze (1,2). L’uso di sostanze illegali riguarda il 30% dei giovani adulti (15-34 anni): la droga più diffusa è la cannabis seguita da cocaina, solventi, ecstasy, allucinogeni, anfetamine, oppiacei (3). In particolare preoccupante è la crescente diffusione di quelle droghe che prima raggiungevano solo dei consumatori di élite, in particolare la cocaina e i cosiddetti popper, mentre adesso sembrano essere a disposizione di una grande fetta di popolazione l ute Sa e 50 Territorio compresi i giovanissimi. Nella recente Relazione 2007 della Direzione generale antidroga del Viminale è stato evidenziato come l’Europa e gli Stati Uniti rappresentino il primo mercato mondiale di consumo di droga, in particolare eroina e cocaina, e l’Italia si piazza in testa alla classifica. Infatti, sulla base dei sequestri effettuati è attualmente tra i primi mercati della cocaina ed il secondo per l’eroina, della quale si apetta peraltro un ulteriore aumento di disponibilità sul nostro mercato. In Toscana tra gli studenti delle scuole medie superiori si stima che più di 57000 (33,2%) abbiano utilizzato una droga illegale almeno una volta nella vita, la maggiore prevalenza d’uso si ritrova nella zona della ASL di Firenze con una percentuale del 43%. Si stima che i consumatori abituali tra gli studenti siano in Toscana 30000. La droga più usata è la cannabis (56% dei diciannovenni). La cocaina è stata sperimentata almeno una volta nella vita dal 5,6% degli studenti, ciò significa che in Toscana circa 9300 ragazzi hanno provato questa droga e si stima che circa 3000 studenti toscani consumino cocaina mensilmente (4). Il consumo di cocaina tra i giovani risulta raddoppiato dal 2001 a oggi (5). Inquietanti appaiono i dati riferiti al primo uso: il 70% dei giovani dichiara di aver consumato la prima droga entro i 15 anni (4). Per le caratteristiche dei fenomi sono sempre più assimi- Nuove prospettive nel SSN lati ai problemi derivanti dall’uso di droghe anche altri comportamenti a rischio “senza sostanza”. Tra questi sicuramente il più preoccupante è oggi il gioco d’azzardo che appare in chiaro aumento anche in relazione alla maggiore diffusione e accessibilità delle varie tipologie di giochi d’azzardo: si tratta di un fenomeno sempre più diffuso e spesso sottovalutato e con un grande sommerso: infatti, circa l’80% della popolazione adulta gioca o ha giocato a un gioco d’azzardo; i giocatori patologici rappresentano l’1-3% della popolazione con esordio generalmente durante l’adolescenza. In Toscana oltre 20000 persone soffrono di una dipendenza da gioco (6). La forma di gioco d’azzardo più recente è rappresentata dal cosiddetto remote gambling (che si realizza attraverso Internet, telefonia fissa e mobile, TV digitale e/o interattiva) particolarmente diffuso nella fascia di età tra i 18 e i 34 anni (7). Possibili scenari e sfide per i servizi e per le comunità Allargando quindi l’orizzonte dai soli problemi di abuso e di dipendenza all’intero spettro dei problemi correlati all’uso di droghe e all’interno di questo ambito allargando lo sguardo dal solo uso di droghe illegali anche a quello delle droghe legali e poi anche gli altri comportamenti a rischio, appare sempre più chiaro come ci si trovi di fronte a fenomeni di estrema complessità difficilmente riconducibili come si è cercato di fare nel passato a una o poche determinanti di tipo N. 166 - 2008 individuale, familiare oppure sociale. È invece sempre più evidente che siamo di fronte a fenomeni multifattoriali in cui gli elementi interni alla persona (di tipo biologico, psicologico, spirituale) e quelli esterni (di tipo sociale e culturale) sono intimamente interconnessi: solo pragmaticamente e operativamente si possono distinguere ed analizzare separatamente al fine di elaborare proposte operative che comunque debbano sempre fare massima attenzione al rischio di derivarne modelli esplicativi che risulterebbero necessariamente riduzionistici (p. es i vari modelli “patologici” o quelli “sociopatici”). Proprio per la continua influenza di un gran numero di fattori sulla fenomenica di questi fenomeni, una loro intrinseca caratteristica è anche quella di essere in continua evoluzione: la storia di questi ultimi venti anni ci ha mostrato che forse sono fra i fenomeni che hanno registrato le trasformazioni maggiori fra tutti quelli che riguardano la salute. Più di altri problemi di salute impongono quindi non solo lo sviluppo di capacità “diagnostiche e di intervento” dinamiche, continuamente aggiornate, ma anche la necessità di poter elaborare i possibili scenari sulla base dei quali orientare le scelte politiche e di intervento. Tenuto conto di quanto sopra e cercando di descrivere possibili scenari all’interno di quelli già previsti più in generale per i bisogni di salute della popolazione generale, si potrebbe forse provare a de- scrivere alcuni possibili aspetti senza alcuna pretesa di esaustività. Aspetto demografico – È previsto che l’invecchiamento della popolazione comporterà un aumento generalizzato dei bisogni di salute ed in particolare dei problemi connessi alle malattie croniche e degenerative (cardiovascolari, tumori, apparato locomotore, malattie neuropsichiatriche). Nello specifico dei problemi correlati all’uso di droghe si dovrà far fronte sempre più anche al trattamento delle conseguenze a lungo termine, comprese quelle invalidanti, dell’uso di droghe illegali in modo peraltro sempre più simile a quanto da sempre avviene per i problemi alcolcorrelati. – È previsto che l’Europa diventi il primo continente d’immigrazione. Il fenomeno migratorio che riguarderà maggiormente il nostro Paese dovrebbe essere quello proveniente dall’Africa con conseguente “africanizzazione, arabizzazione e islamizzazione”. Lo stato di salute delle popolazioni migranti è generalmente buono, ma per quel che riguarda le problematiche connesse all’uso di droghe si amplificherà il problema dell’impatto di queste persone con sostanze per le quali non hanno alcuna tolleranza fisica, psicologica, culturale e sociale (soprattutto alcol) con gravi problemi di disgregazione ed emarginazione. Aumenterà Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 ulteriormente la disponibilità e l’accettazione sociale dell’uso di cannabinoidi, aumenterà la disponibilità di “manodopera” per lo spaccio di droghe illegali, sarà sempre maggior la presenza di persone immigrate con problemi di uso di droghe e problemi con la giustizia (con particolare interessamento della popolazione carceraria). Cambiamenti sociali ed ambientali – Nell’organizzazione dei servizi sanitari esiste una sempre maggiore affermazione del mercato libero contemporaneamente ad un affievolimento del ruolo dello Stato come garante di diritti come l’accesso equo ai servizi sanitari con le possibili conseguenze negative di una sempre minore possibilità di dare assistenza ad una serie di problemi quali l’emarginazione e la povertà. Nello specifico del settore questo fatto potrà tradursi in minori risorse per questo settore che è storicamente “a rimessa” e maggiori difficoltà ad intervenire soprattutto nelle situazioni particolarmente complesse. Ad oggi comunque sembra che questo settore sia di scarso interesse per i capitali privati. – Inoltre sarà possibile un aumento delle domande di cure per una maggiore informazione ed anche per il più generale fenomeno del “consumismo di cure”. Stili di vita – Gli stili di vita nelle no- stre comunità sono in rapida trasformazione, fortemente influenzati dalla globalizzazione, fenomeno dipendentente direttamente dalla frequenza dei contatti tra gli individui che peraltro continueranno ad aumentare: ciò riguarda aspetti quali l’alimentazione (problema obesità) ma anche l’uso di droghe e la relativa prevalenza dei problemi legati al loro uso, come sopra riportato. Ma anche le modalità di consumo si modificano continuamente sia per quanto riguarda le droghe legali che quelle legali, come avviene per il consumo di bevande alcoliche che non solo aumenta sempre più nei giovani e nelle don- ne, ma che viene sempre più effettuato con modalità diverse dal “tradizionale” consumo ai pasti caratteristico della cultura mediterranea, al quale si affianca sempre più anche il consumo nei luoghi di socializzazione e nel fine settimana. Ciò comporta anche un aumento delle problematiche complesse (presenza di problematiche connesse con l’uso di più droghe contemporaneamente) e sempre minor presenza dell’eroinomane “classico” e dell’alcolista “classico”. Conclusioni Superati gli angusti recinti dei soli disturbi da abuso e dipendenza in cui per lungo tempo si sono cercati di ridurre i problemi correlati al- Sae l ute Territorio 51 l’uso di droghe legali e illegali non possono oggi più essere considerati di interesse esclusivo delle persone che ne soffrono, delle loro famiglie, degli operatori pubblici e privati che se ne occupano, delle forze dell’ordine che ne cercano di contrastare l’uso illecito: le conseguenze dirette e/o indirette riguardano tutti indistintamente. Sicuramente riguardano i politici ed gli amministratori, le cui scelte strategiche risultano determinanti nel destinare risorse ad un settore che è oggi riconosciuto prioritario tra i determinanti di salute delle nostre popolazioni, ma anche sempre più centrale in termine di sicurezza delle nostre comunità; riguardano certamente gli operatori del settore, il cui operato do- Figlia: Papà quante cose sai? Padre: Eh? Uhm, so circa un chilo di cose. F. Non dire sciocchezze. Un chilo di quali cose? Ti sto chiedendo davvero quante cose sai. P. Bè, il mio cervello pesa circa un chilo e penso di usarne circa un quarto… Quindi diciamo due etti e mezzo. F. Ma tu sai più cose del papà di Johnny? Sai più cose di me? P. Uhm.. una volta conoscevo un ragazzino in Inghilterra che chiese a suo padre: “i padri sanno sempre più cose dei figli?” e il padre rispose: “Sì”. Poi il ragazzino chiese: “Papà chi ha inventato la macchina a vapore?” e il padre: “James Watt”. Ed allora il figlio gli ribatté: “Ma perché non l’ha inventata il padre di James Watt?”. F. Lo so: io so più cose di quel ragazzo, perché so perché il padre di James Watt non l’ha inventata. È perché qualcun altro doveva inventare qualcos’altro prima che chiunque potesse fare una macchina a vapore. Voglio dire… non so… ma ci voleva qualcuno che scoprisse la benzina prima che qualcuno potesse costruire un motore. P. Sì… questa è la differenza. Cioè, voglio dire che il sapere è come tutto intrecciato insieme, o intessuto, come una stoffa, e ciascun pezzo di sapere è significativo o utile in virtù degli altri pezzi e… F. Pensi che si dovrebbe misurare in metri? P. No, direi di no. F. Ma le stoffe si comprano a metro. P. Sì, ma non volevo dire che è una stoffa. È solo come stoffa… e certamente non sarebbe piatto come stoffa… ma avrebbe tre dimensioni… forse quattro dimensioni. F. Che cosa vuol dire, papà? P. Non so, veramente, tesoro. Stavo solo cercando di riflettere. G. Bateson, Step to an Ecology of Mind, Chandler Pbl., Francisco 1972. l ute Sa e 52 Territorio Nuove prospettive nel SSN vrebbe essere sempre meno orientato da visioni riduzionistiche della complessità delle problematiche correlate all’uso di droghe, quindi meno ideologizzato, continuamente problematizzato; riguardano però anche tutte le componenti delle nostre comunità e tutti i singoli cittadini che dovrebbero riconsiderare il loro pieno coinvolgimento soprattutto in termini di riconoscimento dei nessi non solo tra uso di droghe e problemi correlati, ma anche tra questi e i modelli socioculturali che sostengono modelli di consumo e di piacere (modelli consumistico-edonistici) piuttosto che modelli centrati sulla sobrietà, sul rispetto delle risorse ambientali ma anche sociali. Modelli che in altri termini abdicano ai principi della corresponsabilità e dimenticano le correlazioni (1) Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, 2006. (2) ARS Toscana (2007), Il consumo di tabacco in Toscana. La prevalenza, le conseguenze sulla salute e azioni di contrasto. (3) Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, 2003. la “cura come relazione” cioè la psichiatria orientata alla costruzione di relazioni che sollecitino il riemergere dall’interno della soggettività del paziente e quindi la sua contrattualità richiede altri indicatori che valutino l’alleanza terapeutica, i “drop out”, la continuità terapeutica, la qualità della dipendenza dal servizio, la consapevolezza di malattia… Va detto che entrambi gli assetti di cura si fondano sulla presa in carico da parte di un gruppo multidisciplinare e sulla continuità terapeutica, ma lo slogan di un servizio orientato alla “cura come relazione” potrebbe essere: passare da servizi che adotta- esistenti tra i comportamenti individuali e gli effetti “globali” di questi. In estrema sintesi emerge sempre più (8) la necessità di sviluppare l’attenzione alle caratteristiche dinamiche ed “ecologiche” dell’uso di droghe e dei problemi da questo derivanti che permetta di arricchire la comprensione del rapido modificarsi degli scenari e possa anche contribuire ad indirizzare le scelte po- litiche, amministrative, professionali a livello di prevenzione primaria, secondaria e terziaria, e che è necessario si accompagni sempre ad un atteggiamento in grado di esser aperto alla problematizzazione, alla complessità, al continuo cambiamento. Un po’ come sono i fenomeni correlati all’uso di droghe e un pò come suggerisce Bateson nel suo metalogo “Quante cose sai?”: (4) Osservatorio di epidemiologia ARS Toscana, Lo stato delle tossicodipendenze in Toscana, 2005. Bibliografia (segue da pag. 48): La psichiatria di comunità N. 166 - 2008 no a vita a servizi che tendono a rendersi superflui. Negoziare, invece di esercitare un controllo per ottenere una compliance adattiva, è una politica di servizio che tende a collimare con fenomeni nuovi che stanno attraversando il sistema della salute mentale. Mi riferisco alla progressiva importanza dei movimenti dei familiari ma anche degli utenti, movimenti molto attivi nei Paesi anglosassoni, in stato nascente in Italia. Da considerare due aspetti: a) il peso (il potere) derivante dalla trasformazione di questi movimenti da organizzazioni di autotutela a organizzazioni con funzioni propositive fino ad arrivare alla pianificazione dei servizi e, da qualche anno, alla partecipazione e al (5) ARS Toscana (2007), I consumi di cocaina e l’utenza in carico: I dati toscani. (6) Sir n. 11, 9 febbraio 2007. (7) ARS Toscana (2007), Aspetti epidemiologici del gioco d’azzardo. (8) Fea M. (2007), Editoriale, Mission, 22: 1-3. coordinamento di progetti di ricerca (D. Rose, 2007); b) la valorizzazione progressiva di una cultura e di concetti intorno alla malattia di mente che nascono dall’interno stesso del movimento dei pazienti e stanno assumendo rilievo anche nella letteratura scientifica a disposizione del medico. Si tratta della cultura centrata intorno al concetto di recovery, concetto che riguarda il sentirsi “in ripresa” (riguarda la soggettività, l’interfaccia con il sé) ben diverso dal concetto di “guarigione” che nella cultura medica significa essere senza sintomi (riguarda la misura dei sintomi, l’interfaccia con il mondo). L’alleanza terapeutica passa attraverso una negoziazione che considera la valutazione soggettiva del paziente di pari valore alla valutazione clinica del medico. Il concetto fondamentale è che la ripresa (recovery), è un processo continuo, attivo, individuale e intrapersonale. La persona non “guarisce” ma evolve. La negoziazione non è facile: il paziente deve rinunciare al pensiero onnipotente di essere sano e di non avere affatto bisogno di cura, il curante/i curanti devono a loro volta rinunciare alla onnipotenza terapeutica ed alla convinzione radicata di essere gli unici in grado di definire l’andamento della malattia ponendosi nella posizione (attualmente rara) di considerare valide anche le valutazioni dei pazienti sul proprio stato soggettivo. Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 Sabina Nuti* N el 2006 la spesa pubblica destinata alla sanità in Toscana è stata pari a 6100 milioni di euro, corrispondente a circa il 70% del budget di spesa complessivo della Regione. Il sistema sanitario regionale pubblico conta su più di 50.000 dipendenti ed i suoi servizi incidono enormemente sulla vita dei cittadini, sia in termini sociali, in quanto rappresentano una determinante rilevante della qualità di vita della persona, sia in termini economici, come spesa che la collettività sostiene, ma infine anche come volano di sviluppo economico. Il sistema sanitario regionale infatti contribuisce in modo rilevante alla generazione dei redditi dell’economia toscana. Sulla base di uno studio realizzato dall’Irpet 1, se in Toscana non esistessero i servizi sanitari il PIL regionale risulterebbe inferiore del 7,5%, gli occupati sarebbero l’8% in meno e le importazioni regionali ed estere risulterebbero rispettivamente più basse del 4,5% e del 5,7%. Sae l ute Territorio 53 La valutazione per la governance del Psr La rilevanza del sistema sanitario per una Regione è quindi tale da rendere estremamente critica e fondamentale la sua gestione intesa sia in termini di capacità di fornire ai cittadini servizi adeguati in qualità e volume, sia in termini di sostenibilità economica che di impatto per lo sviluppo del territorio. La sua gestione rappresenta infatti sempre di più una tra le sfide più difficili per le amministrazioni pubbliche. Dal suo buon funzionamento e da una qualità adeguata dei servizi sanitari il cittadino basa in buona misura il suo giudizio per valutare i risultati conseguiti dall’amministrazione regionale. Si tratta di servizi “vicini” alla gente, che incidono pesantemente sulla vita delle persone, che coinvolgono direttamente e indirettamente tutta la popolazione. Conseguentemente, per le amministrazioni regionali poter contare su un sistema di misurazione dei risultati ottenuti dal sistema sanitario diventa, in questo contesto, un Le procedure per il miglioramento della performance delle Aziende sanitarie vero e proprio fondamentale strumento di governance che può incidere pesantemente sul successo politico di una amministrazione regionale. La Regione Toscana ha inteso introdurre, con il sistema di valutazione della performance presentato nei paragrafi seguenti, uno strumento di governo del sistema sanitario regionale in cui gli orientamenti strategici di lungo periodo fossero monitorati congiuntamente con gli obiettivi di breve periodo e dove il governo della spesa fosse integrato con le misure di risultato, con la finalità di evidenziare il valore prodotto per il cittadino (Mc Laughlin et al. 2000). Fondamentale è infatti che le risorse della collettività creino “valore”, ossia che siano adeguatamente utilizzate, con efficienza e appropriatezza, per fornire servizi di elevata qualità, garantendo l’accesso e l’equità. Con questi presupposti il “Laboratorio management e sanità”, costituito dalla Scuola superiore Sant’Anna in collaborazione con la Regione Toscana, ha progettato e implementato in tutte le Aziende sanitarie della Toscana il “Sistema di valutazione della performance”, per misurare la capacità di ogni Azienda di essere strategicamente efficace ed efficiente, sia rispetto al territorio in cui opera, sia nell’ambito del sistema regionale in cui è inserita. Già nel Piano sanitario regionale 2002-2004 infatti, e poi successivamente nei Piani sanitari regionali successivi, la Regione Toscana indicava gli obiettivi, i valori ed i principi operativi del modello toscano di sanità. Tra questi, sicuramente irrinunciabili il principio dell’universalità e della programmazione, dell’efficacia e dell’efficienza. In particolare, la programma- * Sabina Nuti è professore associato di Economia e gestione delle imprese presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. È direttore del Laboratorio management e sanità della Scuola Superiore Sant’Anna costituito in collaborazione con la Regione Toscana che è responsabile del sistema di valutazione della performance delle Aziende sanitarie toscane. 1 Cfr la Relazione sanitaria Regione Toscana 2003-2005, parte seconda, cap. 7 “Il sistema sanitario regionale: un attore importante del sistema economico toscano” a cura dell’Irpet, pp. 139-149. l ute Sa e 54 Territorio zione combinata con il sistema delle Aziende attraverso cui opera il sistema regionale, è stato ritenuto fondamentale per ottenere la corrispondenza tra i bisogni dei cittadini e la tipologia, la qualità e la quantità delle prestazioni erogate, evitando sprechi di risorse e garantendo l’appropriatezza dei servizi (Vedung, 1997). Nel contesto della sanità pubblica le Aziende forse rappresentano gli unici strumenti che, se utilizzati con competenza, possono garantire il perseguimento della missione del sistema sanitario pubblico. Le Aziende rappresentano modalità potenti per organizzare l’azione, per orientare gli sforzi di tutte le componenti verso la finalità comune, ossia il miglioramento della salute dei cittadini pur adottando logiche di economicità. Basandosi sulle Aziende quali pilastri del sistema, nella Regione Toscana la competizione non è incentivata in primo luogo perché nei servizi sanitari l’utente è in condizioni di asimmetria rispetto ai soggetti erogatori, in secondo luogo perché vi è un altissimo rischio di “bruciare” risorse della comunità, ossia di duplicare investimenti soprattutto in tecnologie e macchinari per attirare la domanda in modo inappropriato. Nel sistema sanitario pubblico allora, perché le Aziende svolgano il loro ruolo in modo efficiente ed efficace, spetta alle Regioni e allo Stato attivare 2 Nuove prospettive nel SSN meccanismi che svolgano il ruolo che nel privato è svolto dalla competizione. Tra questi determinante è il sistema di valutazione dei risultati. Questo deve essere condiviso nelle linee e nelle modalità da tutti i soggetti che compongono il sistema, trasparente e chiaro, ma deve essere anche “inesorabile” nella sua oggettività, nel suo rigore, nella sua sistematicità. Il sistema di valutazione dei risultati è fondamentale anche per attivare i processi di innovazione permettendo, attraverso il confronto delle performance, di individuare le best practices e di crescere e migliorare come sistema valorizzando i risultati ottenuti dai migliori. In questo contesto, per supportare, valutare e valorizzare l’azione delle 12 Aziende sanitarie locali e delle 4 Aziende ospedaliero-universitarie2 quali soggetti fondamentali del sistema, responsabili della realizzazione degli orientamenti regionali, la Toscana ha ipotizzato fin dal 2002 l’attivazione di un sistema per monitorarne la performance, prevedendo la misurazione di molteplici variabili rilevanti nel perseguimento degli obiettivi strategici regionali. Le finalità e la struttura del sistema di valutazione La finalità del sistema di valutazione della performance è stata, fin dalla sua progettazione iniziale, quella di fornire un quadro di sintesi del- N. 166 - 2008 l’andamento della gestione delle Aziende sanitarie, utile non solo alla valutazione della performance conseguita, ma anche per la valorizzazione dei risultati ottenuti. Il sistema progettato ed implementato nelle quattro realtà pilota ha permesso di capire inoltre che lo strumento poteva diventare un mezzo fondamentale per supportare la funzione di governo soprattutto a livello regionale. Mediante il processo di valutazione della performance si è inteso quindi avviare quello di valorizzazione delle best practices delle Aziende sanitarie, mediante il quale i managers e le organizzazioni nel loro complesso potessero avere la continua opportunità di apprendere e crescere. La presentazione dei dati sempre in benchmarking tra le realtà aziendali della Toscana facilita infatti il superamento dell’autoreferenzialità a favore del confronto, inteso come strumento fondamentale per verificare i risultati conseguiti e gli eventuali spazi di miglioramento. Nel corso della progettazione, sperimentazione ed implementazione sono stati oggetto di studio e confronto i sistemi di valutazione della performance adottati in altri contesti sanitari pubblici, in particolare il sistema adottato fin dal 1997 in Canada nella regione dell’Ontario per le realtà ospedaliere3. Sono stati spunto di riflessione e di analisi anche il sistema im- plementato nel sistema sanitario inglese ed olandese, nonché la ricca bibliografia scientifica sul tema della valutazione della performance in sanità. Il sistema di valutazione della performance della sanità toscana si basa sul monitoraggio di 130 indicatori, raggruppati in 50 indicatori di sintesi costruiti ad “albero”, classificati in sei dimensioni di valutazione, ossia: lo stato di salute della popolazione, la capacità di perseguire le strategie regionali, la valutazione sanitaria, la valutazione della soddisfazione e dell’esperienza dei cittadini, la valutazione dei dipendenti ed infine la valutazione della dinamica economico-finanziaria e dell’efficienza operativa. Per rappresentare la valutazione conseguita, con una graduazione da 0 a 5, è stata adottata la simbologia del bersaglio a cinque fasce di colore, dove sono rappresentati più vicini al centro del bersaglio i risultati con più elevata performance che hanno centrato maggiormente l’obiettivo previsto. Il modello è semplice e complesso insieme. Semplice, perché la metafora del “bersaglio” che è stata utilizzata è di immediata chiarezza, ma anche complesso, perché, come in un gioco a scatole cinesi, partendo da un dato di sintesi permette di analizzare, con passaggi successivi di dettaglio, i dati di origine e le loro determinanti. Ha alcune caratteristiche fondamentali: Nel 2007 le Aziende ospedaliero-universitarie della Toscana sono diventate 5. Si è aggiunta la Fondazione Monasterio costituita congiuntamente con il CNR. 3 Confronta www.Hospital report.com Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 è trasparente e condiviso, è capace di monitorare non solo i risultati delle istituzioni sanitarie in termini economico finanziari, ma anche le modalità con cui queste si organizzano e ottengono risultati nel processo di erogazione, la qualità clinica e la soddisfazione dei cittadini. Questo è molto importante perché l’efficienza fine a sé stessa, intesa come riduzione di risorse, non ha senso nei servizi pubblici. È infatti un concetto “relativo”: misura le risorse utilizzate rispetto ai risultati conseguiti. Non basta infatti misurare i processi mediante cui si contengono le risorse utilizzate: queste vanno continuamente raffrontate con i risultati, di varia natura, conseguiti. Efficienza è allora riorganizzazione dell’allocazione delle risorse per ottene- re, a parità di costi sostenuti, output superiori in termini di servizio reso e di qualità. Ogni Azienda, quindi, vede rappresentata sinteticamente la propria performance nel suo bersaglio, in cui vengono riportati i valori di sintesi di circa 50 indicatori selezionati. La maggior parte degli indicatori rappresenta la sintesi di un “albero” di più indicatori. Le dimensioni del sistema di valutazione comprendono indicatori alimentati con dati provenienti dal sistema informativo regionale, dai bilanci aziendali e da indagini sistematiche con significatività statistica, realizzate direttamente dal “Laboratorio management e sanità” per garantire l’omogeneità delle metodologie adottate che risultano essenziali per ottenere dati confrontabili. Le fonti dei dati sono il sistema informativo regionale, i bilanci delle Aziende, le indagini realizzate direttamente dal Laboratorio MeS con le stesse metodologie in tutte le realtà per quanto concerne la valutazione interna ed esterna, e le elaborazioni dell’Agenzia regionale di sanità per quanto concerne la valutazione dello stato di salute della popolazione. Solo per gli indicatori tasso di assenteismo e infortuni sui dipendenti, nell’ambito della valutazione interna, i dati sono forniti direttamente dalle Aziende al Laboratorio MeS che li ha elaborati. La performance del sistema sanitario Toscano nel 2006 Nel 2006 il sistema sanitario nel suo complesso ha ottenuto una performance positiva su alcuni indicatori e una Sae l ute Territorio 55 performance media nella maggior parte degli indicatori selezionati. Questo è chiaramente dovuto al fatto che i risultati rappresentati sul bersaglio regionale, soprattutto nel primo anno di elaborazione, in molti casi sono calcolati sulla media dei risultati conseguiti dalle Aziende e ricadono, quindi, nella fascia gialla. Negli anni successivi al primo di elaborazione, la Regione è stata in grado di individuare un obiettivo di azione per ciascun indicatore ed il posizionamento dell’indicatore del bersaglio si è spostato dal livello intermedio in base alla capacità del sistema regionale di migliorare. I dati nel bersaglio si riferiscono al 2006, ad eccezione degli indicatori B5, B13, di quelli di salute della popolazione e di al- Fig. 1. Il bersaglio regionale 2006. l ute Sa e 56 Territorio cuni indicatori della dimensione F che fanno riferimento al 2005. I bersagli delle singole Aziende appaiono in realtà assai differenti con un maggior numero di punti estremi in fascia rossa-arancione e nelle fasce verde scuro e verde chiaro. Si veda a titolo di esempio i bersagli della Ausl 9 di Grosseto e della Ausl 11 di Empoli (vedi Figg. 2 e 3). Anche se il bersaglio regionale, elaborato sulle medie dei risultati delle Aziende, non presenta alcun indicatore sulla fascia rossa, questi sono invece presenti in alcuni casi nei bersagli delle singole realtà aziendali. L’introduzione del sistema di valutazione ha permesso di migliorare la performance conseguita nella maggioranza degli indicatori monitorati. Nuove prospettive nel SSN Gli obiettivi posti alle Aziende sono stati assegnati dalla Regione considerando il punto di partenza di ciascuna istituzione. Alle Aziende con i risultati peggiori è stato richiesto uno sforzo maggiore. Il sistema è oggi utilizzato per supportare i processi di pianificazione e programmazione a livello aziendale e regionale ed è collegato al sistema di incentivazione per la Direzione aziendale. Le Aziende del sistema a loro volta hanno collegato lo strumento al loro sistema di budget interno. La valutazione a supporto della programmazione La letteratura manageriale affronta la problematica della valutazione multidimensionale della performance considerando quale oggetto di riferi- N. 166 - 2008 mento il sistema azienda, evidenziando che la natura pubblica o privata non implica sostanziali differenze in termini di utilità ai processi decisionali del management. Se quindi sistemi di valutazione multidimensionali possono essere efficacemente applicati anche in realtà pubbliche, rimane però da affrontare il punto successivo ossia se questi possono essere applicati anche a livello di “sistema”, ossia in dimensione regionale o nazionale. Uno strumento come la valutazione multidimensionale della performance acquista utilità nella misura in cui è collegato alla strategia aziendale, ne guida l’azione e, mediante lo studio delle determinanti dei risultati, aiuta a riorientare gli sforzi nel caso questi non siano in linea con la strategia. È possibile per un sistema pubblico, composto da molteplici soggetti, con missioni a volte integrate tra di loro, a volte anche in competizione, applicare le stesse logiche? È possibile per un sistema pubblico nel suo complesso non solo avere obiettivi politici ma tradurli in strategie di azione coerenti tali da permettere l’applicazione di strumenti di misurazione gestionali? Soprattutto ciò che appare difficile e critico a livello di sistema, rispetto al riferimento aziendale, non è tanto la rappresentazione multidimensionale dei risultati quanto la costruzione della “mappa strategica” tale da consentire di governare le relazioni di causa ed effetto tra azioni e risultati conseguiti. Questa può avere, nel contesto dei sistemi sanitari pub- Fig. 2. Il bersaglio 2006 della Ausl 9 di Grosseto. Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 Sae l ute Territorio 57 Fig. 3. Il bersaglio 2006 dell’Ausl 11 di Empoli. Fig. 4. La mappa strategica del PSR toscano e suoi indicatori di sintesi. blici, diversi gradi di applicazione, in base alle scelte di ruolo del soggetto pubblico. Se questo si propone di svolgere un ruolo di programmazione complessiva, la costru- zione della mappa strategica è possibile ed auspicabile e permette di avere una visione integrata e coordinata dell’agire pubblico, facilitando l’individuazione delle azioni cor- rettive e la valutazione anche politica dell’operato dell’amministrazione pubblica (Ontario, 2005). Nel contesto sanitario quanto più il soggetto politico inter- viene per definire non solo gli obiettivi ma pianifica anche le modalità e le strategie per perseguirli, tanto più strumenti di valutazione multidimensionale sono adottabili. l ute Sa e 58 Territorio Nuove prospettive nel SSN Quindi, a tal fine, la Toscana, nell’ambito della programmazione sanitaria del prossimo triennio, ossia nel Piano sanitario regionale in fase di predisposizione, ha inserito la mappa strategica del sistema sanitario in cui ritroviamo la maggior parte degli indicatori monitorati nel sistema di valutazione (vedi Fig. 4). Per ciascuna sfida, o obiettivo strategico del Psr sono stati identificati i risultati attesi con l’indicazione di ciò che meritava di essere misurato al fine di verificare nel tempo il grado di raggiungimento degli obiettivi stessi. Ciascuno degli obiettivi è stato declinato in azioni e indicatori di monitoraggio relativi alla realizzazione stessa delle azioni previste. Tra questi indicatori sono stati inclusi la maggior parte degli indicatori che Bibliografia Baraldi S. (2005), Il balanced Scorecard nelle Aziende sanitarie, McGrow-Hill, Milano, 2-30. De Lancer P.J. (2006), Performance measurement, an effective tool for government accountability ? The debate goes on, in Evaluation, Sage publications, London, vol. 12, n. 2, 219-36. Li-cheng Chang (2004), The Use of a Scorecard Approach for strategic Performance Measurement in National Health service: Limitations and Implications, KBS, University of Kent, WP, n. 68. Mc Laughlin Curtis P., Kaluzny Arnold D. (2000), Building client Centered Systems of Care, Health Care Management Review, vol. 25, n. 1, winter. N. 166 - 2008 compongono il sistema di valutazione della performance della sanità toscana. Con queste premesse, quale elemento caratterizzante, la valutazione vuole essere lo strumento di governance su cui impostare un processo di comunicazione trasparente con i cittadini e attraverso cui il sistema pubblico si assume le proprie responsabilità sui risultati conseguiti. Il sistema di valutazione nel corso del 2008 sarà ampliato ed implementato negli Estav e predisposto anche a livello di zona distretto a supporto dei processi di governo delle Società della salute. Nel prossimo triennio sarà oggetto di studio e sperimentazione l’adozione di indicatori per la valutazione dei dirigenti di struttura complessa e dei medici di famiglia. Nuti S. (2007), Il sistema di valutazione della performance della sanità toscana - Report 2006, Edizioni Ets, Pisa. Opit L.J. (1993), The measurement of Health Service Outcomes, Oxford Textbook of health care, London. Vedung E. (1997), Public policy and Program evaluation, Transaction Publishers, New Brunswick. Zelman W.N., Pink G.H., Matthias C.B. (summer 2003), Use of the balanced Scorecard in Health Care, Journal of health Care Finance, vol. 29, n. 4, 1-16. The Ontario Health System Scorecard, Ministry of Health and Long Term Care (dec. 2005), Ontario, Canada. Fogli d’informazione n. 5-6, gennaio-giugno 2008 Legge 180 - XXX anno Un bilancio, realizzato da operatori, familiari, amministratori, delle lotte antistituzionali che hanno portato alla chiusura definitiva degli Ospedali psichiatrici ed alla organizzazione di servizi territoriali aperti e partecipati. Abbonamento annuo: privati € 30,00 - istituzioni € 60,00 - ccp. 81552713 intestato a DBA Firenze. Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 Gianni Amunni1 Adele Caldarella2 Catia Angiolini3 Paola Mantellini4 Emanuele Crocetti5 Eugenio Paci5 1 2 3 4 5 Sae l ute Territorio 59 Indicatori di qualità del percorso assistenziale Direttore operativo Istituto toscano tumori CSPO - Istituto scientifico Regione Toscana UO di Epidemiologia clinica e descrittiva e Dipartimento di patologia umana e oncologia Università di Firenze ASL 10 - UO Oncologia - Firenze CSPO - Istituto scientifico Regione Toscana UO Screening CSPO - Istituto scientifico Regione Toscana UO di Epidemiologia clinica e descrittiva U na delle prime iniziative che la rete oncologica regionale, coordinata nella RegioneToscana attraverso l’Istituto toscano tumori, ha assunto è stata quella di avviare la costruzione di Raccomandazioni cliniche per la pratica clinica avviando un lavoro condiviso tra gli operatori della Regione; sono stati utilizzati processi di condivisione diversi, più o meno metodologicamente documentati ed elaborati, ma l’obiettivo ottenuto è stato quello di costruire un denominatore di pratiche cliniche condiviso per il sistema regionale. Alla base di questo primo successo, vi è stata la sensibilità crescente per l’utilizzo degli approcci Evidente-based in oncologia, ma anche l’attenzione alla necessità di tenere in considerazione la specificità delle realtà locali, anche nella disomogeneità del loro sviluppo tecnologico, e valorizzare nel territorio la presenza di centri di eccellenza e opinion leader locali inserendoli in una rete di condivisione. Gli studi di valutazione della qualità della pratica clinica e del percorso assistenziale condotti nelle realtà regionali sono ancora pochi e occasionali, ed evidenziano risultati che testimoniano una disomogeneità della allocazione delle risorse e competenze all’interno delle Regioni; un fatto che è attribuibile in parte alle disuguaglianze socioeconomiche o all’assenza di programmazione, ma anche a problemi di comunicazione e di confronto nell’ambito della cultura professionale. In ogni sistema di linee guida (o Raccomandazioni cliniche) ciò che conta è il rapporto con il mondo clinico che opera nelle Aziende, la necessaria mediazione tra le indicazioni di migliore pratica e le realtà operative; la possibilità di attivare attraverso processi formativi, anche poco strutturati, momenti di condivisione. Il livello di governo regionale, con lo sviluppo delle reti oncologiche, si caratterizza soprattutto come momento orientato a favorire il miglioramento e il cambia- Le Raccomandazioni utili alla valutazione clinica della qualità delle prestazioni mento del sistema; volto quindi a produrre e aggiornare versioni successive delle linee guida partecipate dagli operatori con il principale obiettivo di favorire l’omogeneizzazione delle pratiche nella direzione di una maggiore applicazione di indicazioni basate sulle prove di efficacia e la migliore allocazione delle risorse. Si tratta di offrire ai cittadini adeguati e ottimali percorsi daignosticoterapeutici. Soprattutto l’approccio a rete di livello regionale deve essere capace di favorire il confronto tra i professionisti che effettivamente lavorano, superando il tradizionale distacco tra formulazione delle linee guida e loro effettiva adozione. I meccanismi di cambiamento del processo decisionale clinico sono complessi, si fondano soprattutto sull’autorevolezza di alcuni opinion leader. Si tratta di at- tuare modelli di diffusione delle conoscenza e a questo fine è essenziale studiare quali sono le informazioni essenziali per valutare ciò che nei fatti accade e i cambiamenti che avvengono. In molti casi la produzione di linee guida – e questo è avvenuto anche per le Raccomandazioni dell’ITT – non si è accompagnata a un processo formale di formulazione di indicatori di valutazione del percorso clinico e assistenziale che permettessero di valutare il loro impatto. È stato quindi necessario procedere alla definizione operativa di cosa si ritiene di dover misurare, ma anche programmare i sistemi informativi che possano essere fonti di informazioni valide, tempestive e anche piuttosto dettagliate come quelle necessarie per la valutazione clinica. Nella realtà dei nostri servizi sanitari oggi è possibile rea- l ute Sa e 60 Territorio lizzare questo obiettivo solo in poche realtà regionali e lo sviluppo di sistemi informativi utili per la valutazione è ancora piuttosto episodica. È necessario un forte impulso per lo sviluppo della costruzione di sistemi regionali che permettano la raccolta e l’elaborazione dei dati di valutazione per il governo clinico. Nel frattempo è però necessario utilizzare al meglio i sistemi informativi esistenti e arricchirli per quanto possibile. A livello nazionale sicuramente il sistema delle schede di dimissione ospedaliera è un sistema universale e con buon contenuto di validità, ancora poco utilizzato per valutazioni clinico epidemiologiche; più critico e disomogeneo quello delle prestazioni specialistiche ambulatoriali che ad oggi sono carenti di informazioni cliniche essenziali. Nella Regione Toscana è stato realizzato il flusso informativo di anatomia patologica che permette approfondimenti essenziali in campo oncologico. I Registri tumori che coprono circa il 30% della popolazione del nostro Paese rappresentano una importante risorsa per soddisfare e far cre- Nuove prospettive nel SSN scere questo bisogno informativo attraverso il lavoro di connotazione delle diverse fonti e la costruzione di percorsi diagnostico-terapeutici. Purtroppo sono ancora territorialmente rappresentativi solo nel centro-nord Italia e poco estesi nel sud Italia. Lo sviluppo di un approccio di governo clinico a livello di territorio regionale richiede che il sistema informativo abbia un orientamento di popolazione, quindi che abbia accesso alle informazioni provenienti da tutte le Aziende e dai diversi presidi erogatori, e allo stesso livello di dettaglio, includa coloro che si rivolgono per diagnosi e trattamento fuori regione e consenta realmente di misurare indicatori di interesse per comparare la performance e misurare gli outcome. Un sistema che trova quindi per sua natura il Registro tumori come momento centrale dell’integrazione dei flussi informativi. Il progetto ITT di valutazione della qualità Obiettivo principale del progetto di valutazione dell’ITT è stata la costruzione di un sistema di indicatori, cioè di N. 166 - 2008 misure della qualità dell’assistenza per la popolazione residente con particolare riferimento alla valutazione: – del percorso diagnostico-terapeutico, cioè della capacità di garantire la presa in carico da parte del sistema regionale toscano, offrendo qualità delle prestazioni e continuità assistenziale; – degli erogatori di prestazioni in quanto finalizzata alla valutazione della qualità, della appropriatezza, disequità di accesso e, di conseguenza, contribuendo alla programmazione e alla allocazione delle risorse; – del governo dell’innovazione tecnologica (diagnostica, terapeutica e assistenziale). In questa ottica il principale risultato è garantire un livello qualitativo adeguato dell’offerta clinica assistenziale in ciascuna unità di riferimento della popolazione del sistema sanitario toscano, la ASL presso la quale il cittadino è registrato. Responsabilità della Direzione aziendale è valutare la performance dell’insieme delle strutture e dei presidi che il sistema regionale toscano mette a dispo- A) Performance o ‘cruscotto’ Sono gli indicatori di interesse per i direttori generali; permettono di valutare alcune grandezze /obiettivi essenziali per la funzione decisionale. B) Programmazione della sanità pubblica Sono indicatori che permettono di programmare gli interventi della sanità pubblica per l’omogeneizzazione ed efficienza del sistema di assistenza e cura in oncologia;di specifico interesse sono quelli riferibili alla “presa in carico o continuità assistenziale”. C) Innovazione tecnologica Sono indicatori che guidano nella introduzione di innovazioni tecnologiche secondo criteri Evidence-Based. D) Qualità del percorso assistenziale Sono gli indicatori per modificare le pratiche e verificare la corrispondenza con le indicazioni delle Raccomandazioni/linee guida. Sono specifici per patologia oncologica. E) Qualità dei dati: indicatori di validità e confrontabilità dei dati presentati. sizione del cittadino, nelle diverse forme che la continuità assistenziale può assumere, dal medico di medicina generale, all’Azienda ospedaliera universitaria, al Presidio ospedaliero pubblico o convenzionato. L’ Azienda sanitaria deve offrire un percorso di cura con un livello adeguato della qualità clinico-assistenziale, qualsiasi sia il soggetto del sistema sanitario regionale, pubblico o privato convenzionato, che eroga la prestazione. Un secondo livello di valutazione, che è stato per ora affrontato solo parzialmente in questo progetto ma sarà oggetto di successivi approfondimenti, è indirizzato alla valutazione degli erogatori, cioè alla valutazione della performance di ciascuno dei soggetti, pubblici e privati, che forniscono la prestazione di interesse oncologico di rilevanza per la valutazione della qualità assistenziale. Il sistema di indicatori che è necessario costruire è naturalmente complesso, in particolare dovendo rispondere alla domanda conoscitiva di diversi decisori (Tab. 1). Un sistema di indicatori identifica un set minimo di misu- Tab. 1. Principali tipi di indicatori per la valutazione delle reti oncologiche regionali. Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 1. Proporzione di nuovi casi di carcinoma invasivo identificati dal programma di screening nella popolazione target, sul totale dei casi incidenti del Registro tumori. 2. Proporzione di nuovi casi con diagnosi preoperatoria e/o intraoperatoria sul totale dei casi operati per carcinoma invasivo. 3. Proporzione di nuovi casi operati con chirurgia conservativa, sul totale dei casi invasivi con diametro della lesione inferiore ai 2 cm. 4. Proporzione di nuovi casi con dissezione del cavo ascellare, in pazienti operati con diagnosi di carcinoma in situ. 5. Proporzione di nuovi casi di pazienti con carcinoma invasivo che eseguono il linfonodo sentinella, sul totale delle operate con carcinoma invasivo. 6. Proporzione di nuovi casi di pazienti con carcinoma invasivo sottoposte a linfoadenectomia con asportazione di almeno 10 linfonodi, sul totale delle operate con carcinoma invasivo. 7. Proporzione di nuovi casi che ricevono un intervento chirurgico ricostruttivo, sul totale delle operate con mastectomia. 8. Proporzione di nuovi casi di carcinoma invasivo per stato linfonodale e classe di età che ricevono una chemioterapia adiuvante, sul totale dei casi invasivi con intervento chirurgico. 9. Proporzione di soggetti con chemioterapia adiuvante entro un mese dall’intervento chirurgico, sul totale dei casi invasivi che ricevono chemioterapia adiuvante entro i tre mesi. 10. Proporzione di nuovi casi che ricevono radioterapia, sul totale dei casi invasivi operati di chirurgia conservativa. 11. Proporzione di nuovi casi che ricevono una ormonoterapia, per stato linfonodale e classe di età, sul numero dei casi invasivi con intervento chirurgico. 12. Proporzione di nuovi casi di carcinoma invasivo con valutazione dell’oncogene c-erbB2, sul totale dei casi di carcinoma invasivo. re che, per la loro pertinenza, siano in grado di connotare il problema di interesse. È evidente che sistemi diversi di indicatori, corrispondenti cioè a diversi obiettivi e finalità, possono richiedere diversa sensibilità. Ogni indicatore è inoltre una misura statistica e quindi soggetta a variabilità. La conoscenza del fenomeno, le caratteristiche della popolazione studiata e le proprietà statistiche dell’indicatore stesso devono essere tenute in conto al fine di valutare la validità e precisione della performance. L’ indicatore, per definizione, descrive soltanto un aspetto di un processo; la sua funzione è quella di “marcare” un processo, invitando alla revisione e miglioramento della qualità del processo stesso. Lo sviluppo dei sistemi informativi computerizzati di popolazione è alla base della odierna possibilità di realizzare sistemi di valutazione di indicatori clinici a livello di popolazione. Nella Regione Toscana sono attivi i flussi regionali (SDO,SPA e) dal 2004 anche il flusso di anatomia patologica che hanno permesso una profonda trasformazione del Registro tumori di popolazione (Registro tumori della Regione Toscana www.cspo.it, RTRT), che a partire dal 2004 produce dati relativi a tutta la popolazione regionale. Questi dati, grazie al linkage delle diverse fonti, permettono di identificare i nuovi casi di malattia oncologica e quindi a partire dalla data di diagnosi di ricostruire il percorso diagnostico terapeutico e l’outcome per ciascun soggetto. Esistono naturalmente notevoli problemi di sviluppo e omogeneità del sistema informativo oncologico, e i flussi informativi correnti, pur offrendo informazioni rilevanti e soprattutto la copertura di tutti i presidi pubblici e privati convenzionati, hanno limitazioni che solo nuovi investimenti tecnologici potranno superare. Per questo il progetto ITT ha promosso, in parallelo allo studio dei dati registri e dei flussi informativa, una indagine campionaria relativa ai casi del primo quadrimestre del 2006. Sono stati selezionati casualmente 1660 soggetti che in quel periodo si erano ammalati (nuovi casi) per tumore del polmone, della mammella, del colon retto, dell’ovaio e della prostata. Grazie alla collaborazione delle Aziende sanitarie sono state identificate le cartelle cliniche e ricostruito il percorso diagnostico terapeutico. Su questa base, attraverso una ricostruzione attenta e Sae l ute Territorio 61 Tab. 2. Indicatori essenziali per il carcinoma della mammella. complessa, si sono potute raccogliere alcune informazioni essenziali che, in primo luogo, hanno permesso di misurare gli indicatori come per l’anno 2004. La definizione delle liste degli indicatori è stata parte essenziale di questo processo. A partire dalle Raccomandazioni, pubblicate dall’ITT nel 2005, sono stati individuati pochi indicatori – un massimo di 15 – per ciascuna neoplasia. È stato quindi definita, anche sulla base delle potenzialità del sistema informativo esistente, l’indicatore di interesse. A titolo di esempio nella Tabella 2 sono presentati gli indicatori scelti per il tumore della mammella. L’ottica è quella dello studio del momento diagnostico e di trattamento primario. Non si è ancora affrontato il tema della cura e trattamento delle metastasi e recidive, ma alcuni in- l ute Sa e 62 Territorio Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 Graf. 1. Indicatore 3. dicatori comunque spaziano su altri fasi come per esempio quella della fine della vita. A titolo puramente esemplificativo presentiamo i risultati dell’Indicatore 3 (Graf. 1) come compaiono nel Rapporto in corso di pubblicazione da parte dell’ITT e che può essere richiesto a [email protected] Il sistema regionale, in accordo con le linee guida nazionali e internazionali, garantisce che nella media i suoi assistiti con una diagnosi di PT1 per tumore della mammella ricevono una terapia conservativa. Vi è qualche indicazione di criticità in alcune Aziende sanitarie, e questo aspetto dovrà essere oggetto di approfondimento e intervento. Risulta chiaro dall’insieme dei dati presentati nel Rapporto che vi è una forte tendenza all’omogeneità e che gli standard osservati mostrano alta adesione alle Raccomandazioni, anche in accordo con standard nazionali e internazionali come quelli di SQTM, un sistema di valutazione di qualità del trattamento chirurgico della mammella accreditato a livello scientifico internazionale. Il principale risultato di questo lavoro è che è stato possibile, grazie alla grande collaborazione degli operatori to- scani e delle Direzioni aziendali, realizzare un primo rapporto e presentare dati sulla performance di indicatori clinici discussi e condivisi. Naturalmente è una prima esperienza e l’avvio di un work in progress che deve essere capace di favorire confronti, discussioni, individuare differenze di comportamenti, stimolare modifiche comportamentali e organizzative. Nel complesso l’impressione è di un sistema piuttosto omogeneo, con elevata attenzione alla qualità professionale, e con livelli di performance del tutto accettabili quando comparati con le poche esperienze di letteratura disponibili anche a livello internazionale. I dati raccolti sono ricchi di informazioni e l’esperienza che è stata fatta ha dimostrato che, nella maggioranza dei casi, i servizi hanno disponibili informazioni importanti ma che non sono standardizzate e disponibili facilmente per una condivisione. Vi è quindi assoluta necessità, e questo lavoro lo ha confermato, che il sistema informativo per l’oncologia raccolga questa esperienza e la valorizzi per consentire la possibilità di continuare il lavoro e sviluppare la valutazione di qualità in oncologia. Nuove prospettive nel SSN N. 166 - 2008 Gavino Maciocco Sara Barsanti* Dipartimento di sanità pubblica, Università di Firenze * Scuola Superiore S. Anna, Pisa I n vista delle elezioni presidenziali americane del 2008 il dibattito sulla riforma del sistema sanitario è uno dei punti centrali della campagna elettorale. Una ricerca 1 condotta dal Commonwealth Found su un campione rappresentativo di circa 3.500 americani di età superiore ai 19 anni ha dimostrato che la visione sul sistema sanitario e sul possibile rinnovamento sarà un fattore determinante nella scelta del candidato. Circa l’86% degli intervistati, indipendentemente dal reddito o idee politiche, ha dichiarato infatti che la proposta di rinnovamento del sistema sanitario è molto o abbastanza importante nel voto per il candidato alle presidenziali. La maggior parte degli intervistati, inoltre, sostiene che la responsabilità di offrire una copertura assicurativa spetta ai datori di lavoro. Molti americani sono a favore di una copertura sanitaria universale, con l’aiuto del Governo per chi non può permetterselo; l’idea però di una assistenza per tutti varia a seconda dei Sae l ute Territorio 63 Un possibile sistema sanitario negli USA* livelli di reddito, dello stato di provenienza e delle idee politiche. In ogni caso la maggior parte degli americani concorda che la responsabilità del finanziamento del sistema dovrebbe essere condivisa tra i datori di lavoro, lo Stato ed i singoli individui. Democratici e repubblicani hanno programmi molto divergenti al riguardo. I candidati repubblicani ritengono che l’attuale sistema vada migliorato, allargando la copertura attraverso incentivi fiscali che favoriscano l’acquisto di polizze assicurative da parte degli individui. I due principali sfidanti in campo democratico, Hillary Clinton e Barack Obama, hanno lanciato una decisa campagna a favore della copertura sanitaria universale, denunciando il paradosso di un sistema sanitario tanto costoso, quanto iniquo. “Gli USA spendono ogni anno oltre 2000 miliardi di dollari e offrono la migliore tecnologia medica al mondo. Ma i benefici del sistema sanitario americano hanno dei prezzi così elevati che un crescente Il programma elettorale dei Democratici a favore della copertura sanitaria universale numero di individui e di famiglie, di imprese e dipendenti non se li possono permettere (Obama)”. “Gli americani danno molto valore all’assistenza sanitaria e alla copertura assicurativa, ma il suo costo è spesso proibitivo. In una recente indagine oltre la metà dei non assicurati dice che non se la possono permettere. Non è una sorpresa. Il prezzo di una polizza assicurativa basata sull’impiego (pagata dal datore di lavoro con il contributo del dipendente) è di oltre 12.000 dollari. Per metà degli americani ciò rappresenta un quarto del loro reddito annuale. Questo aiuta a spiegare perchè due terzi dei non assicurati hanno redditi al di sotto del 200 per cento della soglia di povertà (circa 40.000 dollari all’anno per una famiglia di quattro persone). Il costo dell’assicurazione è una seria barriera alla copertura per le persone con gravi problemi di salute o con difficoltà nell’accesso all’assicurazione basata sull’impiego. La polizza di una persona con problemi di salute può essere di molte volte superiore a quella di una persona giovane e sana. Ma essere giovane non significa necessariamente avere un facile accesso a una copertura abbordabile. Circa il 30% dei giovani adulti è senza assicurazione, e un giovane su tre ha qualche tipo di problema di debito dovuto a spese mediche. I giovani aduti hanno meno probabilità di essere assicurati perchè hanno con maggiore probabilità lavori precari o part-time (Clinton)”. Ma anche l’assicurazione non protegge dalla catastrofe finanziaria, infatti tra franchige e compartecipazioni alla spesa “nell’ultimo anno circa 11 milioni di assicurati hanno speso più di un quarto del loro salario in assistenza sanitaria. Oltre la metà delle bancarotte familiari sono oggi cau- * Il presente contributo è stato pubblicato su Toscana Medica, n. 3, 2008. 1 The Public’s view on health care reform in the 2008 Presidential Election, Sara Collins and Jennifer Kriss, The Commonwealth Found, January 2008; disponibile all’indirizzo web http://www.commonwealthfund.org/ l ute Sa e 64 Territorio Nuove prospettive nel SSN “Noi adesso abbiamo l’opportunità – e l’obbligo – di voltare pagina rispetto alla precedente, fallimentare, politica sanitaria. Alla base del mio programma c’è la copertura di tutti gli Americani. Se tu sei già assicurato, l’unica cosa che cambierà sarà il prezzo del tuo premio assicurativo. Esso sarà più basso. Se sei uno dei 45 milioni di Americani privi di assicurazione, tu l’avrai una volta che il mio programma sarà diventato legge. E nessuno sarà rifiutato a causa di una malattia pre-esistente”. Barak Obama sate dalle spese mediche. La mancanza di un’assistenza sanitaria finanziariamente equa si accompagna a seri problemi di affidabilità. Ogni anno circa 100 mila Americani muoiono per errori medici in ospedale. Errori nella prescrizione dei farmaci costano alla nazione più di 100 miliardi di dollari all’anno (Obama)”. Le soluzioni proposte dai due candidati democratici per uscire da questa situazione e approdare a un sistema sanitario più equo e sicuro e meno costoso, non sono molto dissimili. Nessuno dei due punta a riforme radicali (nessuno dei due, ad esempio, ha abbracciato la proposta di un altro candidato democratico uscito precocemente di scena, Dennis Kucinich, quella di istituire un’assicurazione sanitaria nazionale – tipo canadese – a cui tutti i cittadini americani si dovessero iscrivere); il loro obiettivo è quello di correggere le distorsioni più eclatanti, di rafforzare i punti deboli del sistema, di creare una solida rete di protezione per i gruppi più vulnerabili. I punti più significativi di questa manovra sono: 1. Convincere (quasi costringere) le imprese più grandi N. 166 - 2008 ad assicurare i propri dipendenti (play or pay: assicura o paghi una sovratassa). 2. Incentivare le imprese più piccole ad assicurare dipendenti tramite incentivi fiscali. 3. Convincere-costringere le assicurazioni a tenere più basse le tariffe, vietando il ricorso alla selezione dei pazienti sulla base di patologie pre-esistenti. 4. Istituire un’agenzia nazionale di acquisto (Health Choice Menu, Clinton; Nation Health Insurance Exchange, Obama) per aiuta- re gli individui e le imprese a scegliere polizze assicurative di qualità, a prezzi abbordabili. 5. Istituire una nuova assicurazione pubblica per coloro che non sono coperti da Medicaid (il programma pubblico che assicura alcune categorie di poveri) e rendere comunque obbligatoria l’assicurazione per i bambini (Obama). 6. Rafforzare la rete di protezione di Medicaid in modo che tutti gli individui e le famiglie a basso reddito siano protetti (Clinton). “Il mio programma copre tutti gli Americani e migliora l’assistenza sanitaria abbassando i costi e migliorando la qualità. Se tu sei uno delle decine di milioni di Americani senza copertura o non sei soddisfatto della copertura che hai, avrai la possibilità di ottenerla scegliendo tra vari programmi assistenziali ed riceverai un credito d’imposta che ti aiuterà a pagarla. Se sei soddisfatto del piano che hai, lo potrai mantenere. Questo è un piano che funziona bene sia per le famiglie che per le imprese, preservando la libertà di scelta dei consumatori”. Hillary Clinton