Lo sfruttamento criminale del minore

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Lo sfruttamento criminale del minore
14 anni vergine
di Christian Charles
Presentazione critica
Introduzione al film
Cinema della nostalgia
Distribuito in Italia con un titolo del tutto fuorviante, ispirato al più celebre 40 anni vergine (The 40
Years Old Virgin, USA, 2005) di Judd Apatow, il film di Christian Charles è invece una derivazione e al
tempo stesso un omaggio alla tradizione del teen movie americano degli anni Ottanta, del quale
riproduce, in alcuni frangenti ai limiti della decalcomania, tracce di un immaginario codificato e ormai
universalmente conosciuto. Dall'abbigliamento dei protagonisti ad alcuni imprescindibili tòpoi – lo sport
come strumento di affermazione sociale, il nerd che insidia il “maschio Alfa” della comunità nel cuore
della più bella della scuola – i modelli cinematografici di Charles appaiono chiaramente intellegibili, così
come alquanto normativo risulta il percorso di crescita e attraversamento della linea d'ombra cui va
incontro la figura di Sam.
Più schizofrenica appare la rappresentazione del contesto, che si muove fra nostalgia e modernità,
cercando di gettare un ponte ideale fra l'immaginario e l'iconografia di venti e più anni fa e il suo
corrispettivo nella contemporaneità. Una pratica, questa, che accomuna 14 anni vergine a un certo
cinema hollywoodiano contemporaneo per teenagers, quasi completamente consacrato all'esercizio della
rievocazione museale del periodo più florido del genere, e caratterizzato da suggestioni, omaggi, citazioni
letterali, mutuati dalle opere più importanti o dagli autori universalmente riconosciuti come “maestri”
dello stesso, a cominciare da John Hughes regista di quello che si potrebbe definire come il vero e
proprio prototipo del genere, Breakfast Club (The Breakfast Club, USA, 1985); un intero universo
referenziale e iconografico diviene dunque oggetto di un accanito feticismo dell'immagine, non esente
tuttavia da ripetuti innesti di elementi a prima vista eretici. Qui l'elemento di rottura è dato soprattutto
dalla figura del consulente psicologico, sorta di volano occulto dell'intreccio, il cui pessimismo cosmico
determina il cambio radicale di prospettiva del protagonista e la sua scelta di mentire a oltranza per
difendersi. Una figura che stride palesemente con i tanti personaggi permeati di idealismo, slanci utopici e
aneliti di ribellione rispetto al conformismo dell'epoca che abitavano i teenage movies degli anni Ottanta
non tanto per la sua presenza in sé, quanto per il fatto che, nel film di Charles, a venga in sostanza
accordata una sostanziosa dose di ragione: venticinque anni fa, un umanista come John Hughes avrebbe
fatto in modo di “punire”, sul piano narrativo, chi mostrava tanto cinismo e tanta rassegnazione davanti
alla mediocrità dei suoi simili.
Il ruolo del minore e la sua rappresentazione
Nostalgia dell'imperfezione
Da un punto di vista strettamente iconografico, Sam è un archetipo purissimo. Anche (ma non solo) per
tramite di esso, Christian Charles intende evocare un preciso filone cinematografico, tuttavia la sua
figura prescinde dalle epoche e dai generi: sembra quasi che il regista intenda suggerire come determinati
personaggi preesistano ai generi stessi, e viceversa persistano nel tempo a dispetto del mutare delle
tendenze, delle mode, dei gusti. Per questo, Sam viene rappresentato come una figura rigidamente basic:
abbigliamento, pettinatura, modo di parlare, ma anche impacci e timidezze, sono messi in scena
all'insegna della più assoluta ordinarietà; lontani, dunque, dagli eccessi di testosterone dei protagonisti di
American Pie (id, USA, 1999) di Paul e Chris Weitz, ma anche dalla catatonia dell'eponimo protagonista di
Napoleon Dynamite (id, USA, 2006) di Jared Hess. Semmai, è la morfologia vagamente clownesca, per non
dire apertamente parodistica, del giovanissimo attore Ryan Pinkston a determinare un sovraccarico
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14 anni vergine – scheda critica
caricaturale in una figura altrimenti deprivata di ogni sovrastruttura, di ogni tratto peculiare, di ogni
segno distintivo che esuli dal proprio ruolo sociale e dalla propria destinazione drammaturgica.
Un’analoga cristallizzazione dell'immaginario di riferimento e del modo con cui vengono presentati al
pubblico investe i residui personaggi adolescenti della pellicola, Vicki, Annie e Kyle. Assieme a Sam, essi
formano il quartetto più normativo che si possa immaginare per il genere: il nerd, la reginetta di bellezza,
la ragazza alternativa e segretamente innamorata del protagonista che si accontenta della sua amicizia, il
bullo manesco e prepotente. Sembra quasi che ciascuno di essi rechi impressi nella propria morfologia i
segni di un destino immanente. A differenza della maggior parte delle pellicole analoghe, però, 14 anni
vergine marca uno scarto nelle modalità che il nerd è solito adottare – perlomeno al cinema – per
riscattarsi e prendersi una rivincita nei confronti della comunità che lo dileggia e lo rifiuta: non più
affermando con forza la propria identità, bensì mascherandola, occultandola, facendosi letteralmente
altro da sé, e battendo i bulli e i bellocci sul loro stesso territorio, quello che, in linea teorica, non
potrebbe mai essere di sua competenza: umiliandoli sotto la doccia grazie alle misure spropositate di
colpo magicamente acquisite sotto la cintola, acquisendo da un giorno all'altro simboli di lusso e potere
come la fuoriserie nuova fiammante materializzatasi in garage, esibendo come trofei divi del cinema e
risultando praticamente imbattibile nello sport.
Naturalmente, questo confronto con l'altro da sé conduce dapprima a un senso di mancanza e di vuoto
rispetto a uno status quo che Sam, a un certo punto, teme di aver perduto per sempre per cause che
dipendono esclusivamente da sue scelte errate, e in seguito il rimpianto e il desiderio di riappropriazione;
tutto ciò genera una sorta di nostalgia dell’imperfezione, che spinge il giovane, fino a un attimo prima
desideroso di essere accettato da una comunità, a rinnegare una tale volontà di palingenesi, per
recuperare le proprie radici e ricongiungersi a esse. Un processo esistenziale che si conclude con un altro
elemento assolutamente in linea con la tradizione del genere: la completa accettazione di se stessi e il
tentativo di recuperare la propria identità, per esibirla finalmente con orgoglio e senza più complessi di
inferiorità.
Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici
Come è facilmente intuibile, di pellicole che raccontano di “rivincite dei nerds” è stracolma tutta la
filmografia hollywoodiana dedicata all’universo relazionale adolescenziale degli ultimi trenta anni: fra
tutti, 14 anni vergine ha un significativo punto di contatto con Voglia di vincere (Teen Wolf, USA, 1985) di
Rod Daniel, dal momento che in entrambe le pellicole la riconfigurazione da perdente a vincente avviene
attraverso una trasformazione radicale, e la sua certificazione definitiva per mezzo dello sport (dello
stesso sport, il basket). Mentre La donna esplosiva (Weird Science, USA, 1985) di John Hughes realizza un
altro sogno proibito del tipico adolescente maschio, che diviene appannaggio anche del protagonista della
pellicola di Christian Charles: quello di avere a propria completa ed esclusiva disposizione la propria
donna ideale. Infine, un altro film di recente fattura, 17 Again (id., USA, 2009) di Burr Steers, ricorre a un
espediente fantastico – in quel caso la regressione di un adulto ai suoi diciassette anni per cambiare il
corso della propria esistenza – per consentire a un teenager di fare i conti con la propria età, e al tempo
stesso utilizza tale pretesto per retrodatare la fabula del film al 1989, rendendo quindi omaggio
all’immaginario del genere.
Sergio Di Lino
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