Giustizia: Giudici di pace, troppi compiti e poche tutele

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Giustizia: Giudici di pace, troppi compiti e poche tutele
Giustizia: Giudici di pace, troppi compiti e poche tutele
In una nota la magistratura di Pace rappresentata da Unagipa e AnMap ha rappresentato al
presidente della Repubblica "la grave situazione di precariato in cui versa la categoria dei giudici di
pace, magistrati ordinari investiti di alte funzioni pubbliche, ma senza le tutele fondamentali
garantite dalla Costituzione ad ogni cittadino e lavoratore". Gli esponenti della categoria rimarcano
l'inconciliabilità "del rapporto a termine del magistrato di pace con la definitiva stabilizzazione
dell'istituzione della giustizia di pace, componente ormai irrinunciabile della giustizia ordinaria,
investita di competenze sempre piu' ampie in materia penale, civile ed amministrativa". Si
sottolinea anche "l'incostituzionalita' del mancato riconoscimento ai magistrati di pace delle tutele
fondamentali spettanti a qualsiasi lavoratore, a tempo pieno, parziale od occasionale: la previdenza
sociale, la tutela della maternita' e della salute, l'assicurazione obbligatoria per infortuni e la
violazione del precetto costituzionale di indipendenza della categoria, priva delle garanzie
ordinamentali spettanti a tutti i soggetti investiti di pubblici poteri, con particolare riferimento al
diritto di difesa nei procedimenti disciplinari e paradisciplinari". La nota si conclude evidenziando
l'esigenza di "preservare l'autonomia degli uffici del Giudice di Pace, la cui direzione deve restare
affidata ad un organo interno alla magistratura di pace, che garantisca, con la sua presenza costante,
l'imparzialita' ed il buon andamento dell'Ufficio e l'esigenza di attuare il principio fondamentale di
autogoverno della magistratura, prevedendo un'adeguata rappresentanza della giustizia di pace
all'interno del Csm".
Giurisdizione del giudice amministrativo anche sui diritti fondamentali se P.A.
spende “in concreto” potere autoritativo
È del giudice amministrativo la giurisdizione in materia di lesione di diritti fondamentali come
quelli tutelati dalla costituzione (nel caso di specie di tratta dell’art.32 che tutela il diritto alla salute)
se P.A. spende in concreto potere autoritativo. Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Corte di
Cassazione con l’ordinanza n.5290 depositata il 5 marzo 2010, in seguito alla proposizione del
regolamento preventivo di giurisdizione da parte di una comunità montana, in relazione ad un
giudizio pendente davanti al giudice ordinario. Gli Ermellini precisando questa essenziale
differenza, e cioè che nel caso di specie non si trattava di un “mero comportamento” (che
comporterebbe la giurisdizione del giudice ordinario anche in materia urbanistica) della pubblica
amministrazione ma di un vero e proprio “esercizio di potere” concretizzatosi attraverso una
delibera Giunta Esecutiva della Comunità Montana, hanno stabilito che “anche in materia di diritti
fondamentali tutelati dalla costituzione, quali il diritto alla salute (art.32 Cost.) – allorché la loro
lesione sia dedotta come effetto di un comportamento materiale di poteri autoritativi e conseguente
ad atti della P.A. di cui sia denunciata la illegittimità, in materie riservate alla giurisdizione
esclusiva dei giudici amministrativi - come quella della gestione del territorio – compete a detti
giudici la cognizione esclusiva delle relative controversie in ordine alla sussistenza in concreto dei
diritto vantati, al comportamento o alla limitazione di tali diritti in rapporto all’interesse generale
pubblico dell’ambiente salubre, nonché alla emissione dei relativi provvedimenti gli effetti della
futura decisore finale sulle richiesta inibitorie, demolitore ed eventualmente risarcitorie dei soggetti
che deducono di essere danneggiati da detti comportamenti o prevedimenti e che pertanto la
presente controversia spetta alla giurisdizione del giudice amministrativo”. La differenza, tra il
“mero comportamento” e l’ “esercizio in concreto del potere”, deve presiedere, (sulla base di quanto
statuito dalla Consulta con la storica sentenza 204 del 2004), al riparto di giurisdizione: al di là
infatti dei “blocchi di materie” devoluti dal legislatore del ’98 (d.lgs.80/1998 come modificato dalla
legge 205/200) alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (giurisdizione in cui ha
cognizione anche dei diritti soggettivi), è necessario, perché sia abbia la giurisdizione del giudice
amministrativo, l'esericio in conreto di potere autoritativo e non di un "semplice comportamento"
della P.A, altrimenti, anche nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, sarà competente il giudice ordinario. In questo caso, invece non si è trattato di un
“mero comportamento” ma di un atto autoritativo della P.A e cioè della delibera della giunta
esecutiva della Comunità montana, che è servita a fondare la giurisdizione del giudice
amministrativo.
P.A., Brunetta: Stop alle raccomandazioni arrivano i concorsi chiavi in mano
Roma, 13 mar. - (Adnkronos) - Concorsi pubblici 'chiavi in mano' per porre un freno alle
raccomandazioni e risparmiare tempo e denaro. E' la nuova scommessa messa in piedi dal ministro
per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta che punta ad offrire alle pubbliche
amministrazioni, centrali e periferiche, un servizio completo per la realizzazione dei concorsi.
"Stiamo lanciando un programma che si chiamerà 'Vinca il migliore' e che collega Formez Italia
con la Bocconi per offrire a tutti gli enti pubblici, centrali e periferici, dal piccolo comune al grande,
il nostro servizio chiavi in mano per la realizzaZione di concorsi", spiega Brunetta in un'intervista
all'ADNKRONOS . L'idea è quella di sgravare gli amministratori di un 'peso' e di liberarli da
possibili pressioni. "Siamo in grado -spiega- di fornire un servizio completo a costi ridotti, dalla
preparazione del bando alla preselezione, dallo svolgimento delle prove alla certificazione fino alla
proclamazione e alla formazione dei vincitori, per evitare che di volta in volta una amministrazione
si metta a organizzare un concorso senza neanche sapere da dove cominciare... ". Il tutto in un'ottica
di dematerializzazione e di semplificazione. "L'ente pubblico potrebbe essere permeato da
sollecitazioni di vario tipo, - continua Brunetta - per questo l'incarico dovrebbe essere dato a
un'agenzia terza, in maniera 'blind' (cieca). L'agenzia, che viene chiamata da un comune del
profondo sud o del profondo nord, invece non può essere permeata - sostiene ancora il ministro così siamo in grado di liberare gli amministratori dalle eventuali sollecitazioni che sono fonti solo di
problemi". Naturalmente le pubbliche amministrazioni sono libere di scegliere se usufruire del
servizio o meno, il pacchetto ha un costo anche se inferiore a quanto costerebbe farselo in proprio.
"Non c'è alcun obbligo da parte dell'ente ad affidare un concorso a Formez-Bocconi - spiega
Brunetta - tuttavia c'è la garanzia di una buona reputazione". Il ministro infatti, racconta di aver
voluto la joint venture con l'Università Bocconi "per avere il meglio delle esperienze
internazionali". Il comune di Napoli sta sperimentando il sistema 'chiavi in mano' e lunedì prossimo
chiuderà i battenti del concorso-corso Ripam per 530 posti di lavoro, per la presentazione delle
domande esclusivamente on line . "Il primo ad averci chiesto il servizio è il comune di Napoli, ed e'
sintomatico" commenta il ministro. La previsione è di chiudere il concorso entro un anno solare,
con notevoli risparmi di denaro, molti comuni infatti, non indicono bandi proprio per non affrontare
spese insostenibili. Anche il risparmio di tempo ha un altro risvolto sotto il profilo della qualità,
siccome spesso dall'inizio del percorso all'assunzione passa moltissimo tempo, le gradutorie
possono risultare vecchie, ovvero i vincitori di concorsi, i migliori, spesso finiscono per rinunciare
al posto perché nel frattempo hanno trovato un'altra occupazione. Il nuovo sistema tra l'altro,
prevede una sorta di riforma dei concorsi a partire dai quiz, improntati a nuove formulazioni (più
scientifiche) e con processi di valutazione automatizzati che garantiscono una maggiore oggettività
di giudizio, di qui il contributo anche dell'Università Bocconi. Modifiche normative in vista sotto il
profilo della sicurezza e dell'ambiente dove si svolgono i concorsi (distanza tra posti, sterilizzazione
del segnale telefonico, ecc). Formez Italia, la nuova Spa, presieduta da Secondo Amalfitano, la cui
mission va dalla formazione all'accesso nella pubblica amministrazione, comunque metterà a
disposizione di Regioni, Comuni e Province il 24% del capitale per consentire un azionariato
diffuso. Il ministro ha poi parlato del fenomeno della corruzione. Promettendo che sarà presto
disponibile una mappa del rischio corruttivo basata non solo sulle denunce ma anche
sull'osservazione dei fenomeni. E' quanto garantisce Brunetta dopo la recente approvazione del ddl
anticorruzione da parte del Consiglio dei ministri, un provvedimento che prevede l'istituzione di un
osservatorio e di piani anticorruzione da parte delle singole amministrazioni che dovranno
convergere in un unico piano nazionale. "La corruzione è un argomento molto caldo e avere un
osservatorio analitico che mette sotto osservazione continua i fenomeni, non solo le denunce, ma
tutti i fenomeni - spiega Brunetta - è un elemento di trasparenza e chiarezza che fa da 'pendant' al
piano". D'altra parte, continua il ministro, "noi non abbiamo attualmente una statistica organica sui
temi della corruzione, per cui vengono fuori spesso allarmi motivati, a volte immotivati con
statistiche più o meno credibili". Cosi' invece, verra' messa a punto "una mappa del rischio
corruttivo - sostiene Brunetta - in modo da indirizzare eventuali investimenti per combattere il
fenomeno in determinate aree piuttosto che in altre, in determinati passaggi o tipologie, dove porre
maggiore attenzione. Saranno i singoli dirigenti a fornire le informazioni al dipartimento della
Funzione pubblica". Infine l'economia e la questione Fiat: "I posti di lavoro vanno difesi però la
logica di una multinazionale è quella di una multinazionale. Quindi fa bene il ministro Scajola a
trovare tutte le soluzioni alternative e la Fiat, dal canto suo, ha il diritto di essere un player globale".
Così Brunetta in merito a un possibile futuro meno italiano per il Lingotto. "Noi non possiamo
essere orgogliosi della Fiat quando si compra la Chrysler e - spiega - vergognarci quando ... è la
stessa Fiat. Bisogna essere equilibrati".
Legittimate a far reprimere la condotta antisindacale solo le organizzazioni che
siglano accordi applicati in tutto il territorio nazionale
Sono infatti rappresentativi e possono promuovere il procedimento previsto dall'art. 28 dello Statuto
dei lavoratori solo i sindacati che hanno stretto con le aziende contratti collettivi applicati in tutto il
territorio nazionale. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 5209 del 4 marzo
2010, ha accolto il ricorso della Tirrenia che si era opposta all'azione di un sindacato (che non aveva
firmato contratti collettivi applicati in tutta Italia) che chiedeva il pagamento dei contributi
sindacali. Secondo la sezione lavoro "in tema di rappresentatività sindacale il criterio legale
dell'effettività dell'azione sindacale equivale al riconoscimento della capacità del sindacato di
imporsi come controparte contrattuale nella regolamentazione dei rapporti lavorativi. Di
conseguenza, al fine del riconoscimento del carattere "nazionale" dell'associazione sindacale richiesto per legittimare l'azione di repressione antisindacale ex art. 28 stat. lav. - assume rilievo,
più che la diffusione delle articolazioni territoriali, la capacità di contrarre con la parte datoriale
accordi o contratti collettivi, anche gestionali, che trovano applicazione in tutto il territorio
nazionale e attestano un generale e diffuso collegamento del sindacato con il contesto socioeconomico dell'intero paese, di cui la concreta ed effettiva organizzazione territoriale si configura
quale elemento di riscontro del suo carattere nazionale piuttosto che come elemento condizionante".
Va sanzionato notio che non indica prezo di vendita nel regito
Il Notaio ha l'obbligo di indicare nel rogito di compravendita il prezzo pattuito dalle parti. E ciò
anche se la mancata indicazione del prezzo non determina la nullità della vendita. Il comportamento
del Notaio resta comunque censurabile sotto il profilo deontologico giacchè rende meno protetta la
posizione del venditore nel caso in cui si pongano problemi di risoluzione o di rescissione. La
decisione è della terza sezione civile della Corte che con sentenza n. 5065/2010 ha anche ricordato
quanto in precedenza dai giudici di merito. La Corte territoriale aveva parlato di una procurata
"instabilità" giuridica degli atti rogati. Il Notaio aveva sostenuto di aver inviato le parti a fare i
pagamenti non in contanti ma mediante assegni bancari o circolari di cui avrebbero dovuto tenere
una fotocopia. Ciò però non lo esime da responsabilità perchè in tal modo il Rogito ha abuto lo
scopo evidente di avvantaggiare sotto il profilo fiscale l'acquirente e ciò si pone in contrasto con il
principio dell'equidistanza dagli interessi delle parti che deve caraterizzare l'opera professionale del
notaio.
L'azienda paga per l'infortunio sul lavoro provocato dal dipendente distaccato
Azienda sempre responsabile degli incidenti sul lavoro provocati dai dipendenti distaccati. Infatti
paga i danni il datore che, in virtù di un collegamento societario o perché ha esternalizzato l'attività
produttiva, ha mandato presso altra impresa i lavoratori. Lo ha stabilito la Corte di cassazione che,
con una sentenza dell'11 gennaio 2010, ha respinto il ricorso di un'impresa che era stata condannata
per l'infortunio provocato da un suo dipendente, distaccato in un altro cantiere, che, alla guida della
gru, aveva ferito un collega dell'altra azienda.
Fuma spinello del nipote scambiandolo per sigaretta, 81enne a giudizio per
guida sotto l’effetto di droga
Roma, 8 mar. (Adnkronos) - Guida pericolosa sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. È questa
l'accusa contestata a un automobilista di 81 anni finito sotto processo per avere fumato una 'canna',
mentre era in auto. L'uomo però si difende e sostiene di aver preso lo stupefacente da un pacchetto
di sigarette lasciate sulla sua automobile da un nipote. P. G., di 81 anni, sarà processato il 18 giugno
prossimo dal Tribunale di Tivoli, assistito dagli avvocati Giacinto Canzona e Anna Orecchioni. I
fatti risalgono al 31 luglio di due anni fa quando una pattuglia di carabinieri fermò l'automobilista
per un controllo. A mettere in allarme la pattuglia fu uno strano odore che c'era all'interno dell'auto.
Da qui la denuncia e il successivo rinvio a giudizio per avere appunto guidato sotto l'effetto di una
'canna'.
Esposizione all’amianto? Riconoscimento benefici previdenziali solo se
esposizione è “qualificata” e ultradecennale
Con la sentenza 3453 depositata il 15 febbraio 2010, la Corte di cassazione (sezione lavoro),
accogliendo il ricorso proposto dall’Inps, non ha riconosciuto ad alcuni lavoratori i benefici delle
prestazioni pensionistiche derivanti dal rischio da esposizione all’amianto: per tali benefici, ha
stabilito la Corte, l’esposizione non deve essere generica ma “qualificata” e ultradecennale, e cioè
tale da superare le soglie previste dall’art.13, comma 8, della legge n. 257/1992 (norme relative alla
cessazione dell'impiego dell'amianto). Secondo la ricostruzione della vicenda, la Corte di Appello di
Milano, confermando quanto stabilito in primo grado, aveva riconosciuto ad alcuni lavoratori il loro
diritto alla rivalutazione del periodo contributivo, ai sensi dell’art.13, comma 8, della legge n. 257
del 1992, sul presupposto dell’avvenuta esposizione ultradecennale ai rischi dell’amianto. Tale
accertamento si basava su di una consulenza tecnica d’ufficio che aveva accertato la configurabilità
di un rischio da inalazione di amianto con superamento dei valori soglia fino al 1986 e invece, per il
periodo successivo al 1986, anche se non erano stati superati tali valori, vi era stata in ogni caso,
un’esposizione a rischio inalatorio pericoloso per la salute. La Corte, accogliendo il ricorso
dell’Inps e decidendo nel merito la questione ha stabilito che “l’accertamento dell’esistenza di
un’esposizione “qualificata” richiede che il giudice verifichi se il lavoratore abbia dimostrato che
nell’ambiente nel quale si svolgeva la lavorazione vi era una concentrazione di polveri di amianto
superiore ai valori di rischio sopra indicati e che egli è stato esposto al rischio per oltre dieci anni”.
“Nel caso di specie - ha poi aggiunto la Corte - manca la prova del superamento, a partire dal 1986,
dei valori di soglia previsti dalla legge come si desume chiaramente dalla motivazione della
sentenza impugnata che fa esplicito riferimento ai risultati della consulenza tecnica d’ufficio la
quale ha affermato che a partire dal 1986 la concentrazione di fibre di amianto era probabilmente
inferiore ai valori di soglia; del tutto ingiustificato deve pertanto ritenersi il riconoscimento del
diritto oggettivo del presente giudizio”.
Cassazione: si ai pedinamenti con il satellitare. Non serve autorizzazione del
giudice
Non occorre l'autorizzazione preventiva del giudice per iniziare un pedinamento satellitare di un
indagato. E' quanto afferma la quinta sezione penale della Corte di Cassazione (sentenza n.
9667/2010). Secondo gli Ermellini "la localizzazione mediante il sistema di rilevamento satellitare
(Gps) degli spostamenti di una persona nei cui confronti siano in corso indagini costituisce una
forma di pedinamento non assimilabile all'attivita' di intercettazione di conversazioni o
comunicazione". Ed è per questo che "non e' necessaria alcuna autorizzazione preventiva da parte
del giudice". Sulla scorta di tale motivazione la Corte ha respinto il ricorso di tre indagati nei cui
confronti il gip di Alessandria aveva disposto la misura carceraria in base a pedinamenti fatti con il
Gps. Gli indagati si sono difesi in Cassazione affermando tra le altre cose "la violazione sulla
disciplina della privacy". Respingendo il ricorso la Corte ha ricordato che non si può configurare
violazione di privacy dato se sono in corso indagini posto che il pedinamento satellitare non
prevede la preventiva autorizzazione.
Cassazione: scattano le manette per ufficiale giudiziario che ritarda notifiche
I funzionari che ostentano inerzia al lavoro possono finire sotto processo. L'avvertimento viene
dalla Corte di Cassazione che con sentenza n. 8996/2010 ha chiarito che e' reato manifestare un
"perdurante e patologico rifiuto di esercitare i doveri del proprio status e del proprio ufficio". E'
stata così convalidata dalla Sesta sezione penale della Corte una condanna ad un anno di reclusione
per rifiuto di atti d'ufficio e per interruzione di pubblico servizio nei confronti di un ufficiale
giudiziario che, affermando di essere oberato dal lavoro aveva rifiutato di effettuare notifiche,
facendole tal volta con ritardi di mesi o addirittura di anni. A nulla erano valsi i solleciti del
dirigente giacchè l'ufficiale giudiziario continuava a ritardare le notifiche determinando ritardi alla
giustizia. Il caso finiva in Tribunale e poi in Appello dove la Corte territoriale condannava
l'ufficiale giudiziario a un anno di reclusione per i reati di cui agli artt. 328 e 340 del codice penale.
Ricorrendo in Cassazione l'ufficiale giudiziario ha sostenuto che non era provato il danno alla
giustizia e che in ogni caso era sommerso da una "enorme mole di lavoro con una drammatica
carenza di personale". La Suprema Corte ha respinto il ricorso evidenziando che "il rifiuto di atti di
ufficio non sanziona penalmente la generica negligenza o la scarsa sensibilita' istituzionale del
pubblico ufficiale, ma il rifiuto consapevole di atti da adottarsi senza ritardo, per la tutela dei beni
pubblici, rispetto ai quali gli sono state conferite proprio quelle funzioni".
Cassazione: licenziabile chi invia troppi sms dal cellulare aziendale
Il telefonino messo a disposizione del lavoratore dall'azienda non si deve considerare come un
'benefit' ma come un verto e proprio strumento di lavoro. Per questo spiega la Cassazione, chi ne
abusa è a rischio di licenziamento. E non si parla solo di telefoncate. Anche l'abuso di invio di sms
privati può portare alla perdita del posto di lavoro. La precisazione arriva in relazione al caso di un
dipendente Telecom licenziato perchè sorpreso ad inviare una media di circa 100 sms al giorno, la
Suprema Corte (Sentenza n. 5546/2010) ha ricordato tra le altre cose che "il fatto che l'abuso del
cellulare di servizio avvenga con l'invio di sms e non con telefonate non esclude l'inadempimento
perche' con l'espressione traffico si intendono comprese tutte le possibili modalita' di utilizzo
dell'apparecchio". L'uomo nel suo ricorso aveva sostenuto di avere inviato gli sms "in assoluta
buona fede, visto che l'azienda aveva posto il veto sulle telefonate". Piazza Cavour ha però messo in
luce la "rilevante gravita' della condotta attestata da circa 50 mila sms con una media di oltre 100
messaggi al giorno". Fatto che secondo la Corte ha rotto "il vincolo fiduciario" tra dipendente e
azienda. E così la sezione Lavoro ha confermato la legittimità del licenziamento.
Cassazione: lavoratore in malattia va a trovare mamma malata. L'assenza è
giustificata
Il lavoratore in malattia che non viene trovato in casa al momento della visita fiscale, può essere
giustificato dal fatto di essersi recato a trovare la mamma malata. Esistono infatti esigenze di
solidarietà e vicinanza familiare che legittimano la non reperibilità fiscale. Parola di Cassazione. La
Corte spiega che tali esigenze di "solidarieta' e di vicinanza familiare" sono senz'altro meritevoli di
tutela "nell'ambito dei rapporti etico sociali garantiti dalla Costituzione". Piazza Cavour (sentenza
5718/2010) ha così respinto un ricorso dell'INPS che non voleva invece riconoscere l'indennita' di
malattia per il fatto che il lavoratore, essendo in malattia, avrebbe dovuto farsi trovare in casa. Sta di
fatto che il lavoratore si era dovuto recare a fare visita alla madre ricoverata in un centro
specialistico di riabilitazione a seguito di un intervento cardiochirurgico. Era però rimasto
intrappolato nel traffico e non era rientrato in tempo per la visita fiscale.
Cassazione: intercettazioni si rivelano false? Non integra reato di diffamazione
l’articolo che relaziona sulle stesse
Non è colpevole del reato di diffamazione il giornalista che relaziona su intercettazioni che poi si
rilevano false. Lo ha deciso la Corte di cassazione sottolineando, con la sentenza n. 5081/2010, che
rileverebbe “l’involontarietà” dell’errore: infatti, “il giornalista – ha precisato la Corte, scagionando
un noto gruppo editoriale del Paese - va esente da responsabilità non in virtù della mera
verosimiglianza dei fatti narrati, ma solo a seguito dell'avvenuta dimostrazione dell’involontarietà
dell’errore, dell'avvenuto controllo, con ogni cura professionale, da rapportare alla gravità della
notizia e all'urgenza di informare il pubblico, della fonte e dell’attendibilità di essa, onde vincere
dubbi e incertezze in ordine alla verità dei fatti narrati”. Secondo la ricostruzione della vicenda, gli
Ermellini hanno sostanzialmente confermato quanto statuito dalla Corte d’Appello territoriale. In
primo grado però, il gruppo editoriale, era stato condannato a risarcire un avvocato di 50 mila euro
all’avvocato recentemente scomparso: l’articolo, steso sulla base delle intercettazioni, era stato
considerato diffamatorio dal Tribunale di Roma. La Corte ha invece abbracciato un altro indirizzo:
“il riferimento alla verità putativa circa le notizie e le intercettazioni riportate dal giornale appare
corretto poiché, con apprezzamento di fatto insindacabile, la Corte d’appello ha ritenuto che nel
momento in cui furono pubblicate, i giornalisti avevano motivo di ritenerle vere anche se il
successivo svolgimento dei fatti le ha smentite”.
Prof licenziato a Pordenone perché usa il dialetto. La Lega: "In classe solo
italiano"
Roma, 11 mar. - (Ign) - Non ha avuto maestro Marcello D'Orta che della sua disavventura - errori e
strafalcioni degli alunni compresi - ne ha fatto il libro bestseller 'Io speriamo che me la cavo'. Anzi.
Il suo collega campano, finito al Nord in una scuola di Pordenone, tra richiami e contestazione, alla
fine ha ricevuto una visita ispettiva ed è stato licenziato perché usava il suo dialetto d'origine in
classe. A raccontare la vicenda è stato il Messaggero Veneto. Nelle due classi dei plessi primari di
Vallenoncello e di via Vesalio nel settembr scorso era scoppiato infatti un putiferio. "Ci parla una
lingua strana" aveva detto uno degli alunni. "Non lo capiamo" si era lamentato un altro. Da lì
l'intervento dei genitori, il dirigente scolastico e alla fine la visita ispettiva. Mentre la dirigente
scolastica della sede centrale Rosmini, Nadia Poletto si trincera dietro "un no comment" e
suggerisce ai suoi collaboratori di fare altrettanto, c'è chi invoca maggior rigore sui banchi di
scuola. "Si sforzino di parlare l'italiano in classe - ha detto Claudio Serafini, responsabile enti locali
della Lega Nord di Pordenone -, da noi ci sono moltissimi insegnanti meridionali. Più della metà
forse anche di più. Non abbiamo niente in contrario al fatto che vengano qua ad insegnare, ma se
devono parlare in dialetto lo facciano a casa". Se avessere parlato friulano? "Sarebbe stato lo stesso
- aggiunge - di più le dico che avrebbe dovuto essere lo stessso se io che sono di Pordenone fossi
andato a insegnare a Napoli. Mica potevo mettermi a parlare in dialetto e pensare di passarla liscia".
I colleghi invocano l'intervento dei sindacati, ma Adriano Zonta della FLC Cgil minimizza. "Non è
stato licenziato per quello - dice il segretario provinciale del comparto scuola Cgil -, ma solo perché
non faceva bene il suo lavoro. Non conosco direttamente il caso perchè non è un nostro iscritto, ma
da quel che ho capito credo sia una vicenda montata dai giornali. Se l'hanno licenziato è probabile
che il vero problema sia che non riusciva a tenere la classe . Qualche parola di dialetto - diciamoci
la verità - la usiamo tutti. Se c'è stata un'ispezione e ha stabilito che non sapeva insegnare,
probabilmente, non si è trattato soltanto dell'uso di qualche parola di dialetto, ma per
un'inadeguatezza nel saper controllare la classe e gli studenti".