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NEWSLETTER 36-2016
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NOTIZIE DALL’EUROPA, DAL MONDO
E… DAL TAMISO
Questa settimana parliamo di:

Un Tour di..vino con El Tamiso, ora ci siamo!!,
o Italia: Paese malato… di mente,
 Polizze assicurative per parlamentari…,
 TTIP: cala il sipario sull’accordo?,
o Mosto concentrato?: NO dei vignaioli emilianoromagnoli,
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Sotto i portici della cultura,
o Una lezione per la Apple,
 Sette mosse per salvare l’Euro,
 Strade pericolose,
o Andare piano è meglio per tutti,
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Una Muraglia verde per l’Africa,
Terremoti e ricostruzione??,
I nicotinoidi riducono la fertilità delle api,
Gli Elfi a Deutsche Bank,
Buona lettura!!!
***AVVISO A TUTTI I NOSTRI AMICI E SIMPATIZZANTI***
Domenica prossima - 4 settembre - gita in bicicletta
con El Tamiso: "UN TOUR DI..VINO"!
La prima domenica di settembre è il momento migliore per un'allegra biciclettata e un
pic-nic all'aria aperta, tra le vigne biologiche dell'azienda agricola di Bepi Bregolato a
Luvigliano di Torreglia!
E’ tempo di vendemmia, di assaporare il profumo del mosto e di festeggiare la fine
dell’estate… è tempo di un TOUR DIVINO!
Questa volta andiamo alla scoperta dei vitigni locali e delle tradizionali tecniche di
vendemmia e vinificazione, partendo da Padova fino ad arrivare all’azienda agricola
biologica del nostro socio Bepi Bregolato.
Bepi ci racconterà gioie e dolori della viticoltura biologica e ci delizierà con un assaggio
della bevanda degli dei!
Come di consueto l’Osteria di Fuori Porta si occuperà del nostro pic-nic!
Ecco il menu che l’Osteria di Fuori Porta ha pensato per voi:
- antipasto: muffin salato con olive e feta
- piatto centrale: riso basmati con verdure speziate e mandorle
- contorno: fantasia di verdure al forno
- dessert
- acqua, vino e succo di mela
Per maggiori dettagli, cliccate qui.
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Partenza: ore 9:00 da Corti&Buoni, in via Rovigo 25 a Padova
Percorso in bici - km: 30
Tempo: 3 ore di pedalata effettiva
Adatto ai bambini: sì, sopra gli 8 anni
Quota di partecipazione: 10 € per gli adulti e 5 € per i bambini sopra i 6 anni e
comprende accompagnatore, visita guidata, laboratori e pranzo.
Prenotazione obbligatoria entro il 2 settembre presso L’Osteria di Fuori Porta –
via T. Aspetti, 7/A a Padova – fono: 049-616899 – e-mail: [email protected]
Scopri tutti gli appuntamenti della rassegna El Tamiso Biotour 2016
Rassegna a cura di El Tamiso e co-promossa da Osteria di Fuori Porta e ACS
(da Osteria di Fuori Porta - agosto/settembre 2016)
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IL PROFESSOR VITTORINO ANDREOLI: "L'ITALIA È UN PAESE
MALATO DI MENTE. ESIBIZIONISTI, INDIVIDUALISTI, MASOCHISTI,
FATALISTI"
“L’Italia è un paziente malato di mente.
Malato grave. Dal punto di vista
psichiatrico, direi che è da ricovero. Però
non ci sono più i manicomi”.
Il Professor Vittorino Andreoli, uno dei
massimi
esponenti
della
psichiatria
contemporanea,
ex
direttore
del
Dipartimento di psichiatria di Verona,
membro della New York Academy of
Sciences e
presidente
del Section
Committee on Psychopathology of Expression della World Psychiatric Association ha
messo idealmente sul lettino questo Paese che si dibatte tra crisi economica e caos politico e
si è fatto un’idea precisa del malessere del suo popolo.
Un’idea drammatica. Con una premessa: “Che io vedo gli italiani da italiano, in questo momento
particolare. Quindi, sia chiaro che questa è una visione degli altri e nello stesso tempo di me.
Come in uno specchio”.
Quali sono i sintomi della malattia mentale dell’Italia, professor Andreoli?
“Ne ho individuati quattro. Il primo lo definirei “masochismo nascosto”. Il piacere
di trattarsi male e quasi goderne. Però, dietro la maschera dell’esibizionismo”.
Mi faccia capire questa storia della maschera.
“Beh, basta ascoltare gli italiani e i racconti meravigliosi delle loro vacanze, della
loro famiglia. Ho fatto questo, ho fatto quello. Sono stato in quel ristorante, il più
caro naturalmente. Mio figlio è straordinario, quello piccolo poi…”.
Esibizionisti.
“Ma certo, è questa la maschera che nasconde il masochismo. E poi tenga presente
che generalmente l’esibizionismo è un disturbo della sessualità. Mostrare il proprio
organo, ma non perché sia potente. Per compensare l’impotenza”.
Viene da pensare a certi politici. Anzi, a un politico in particolare.
“Pensi pure quello che vuole. Io faccio lo psichiatra e le parlo di questo sintomo
degli italiani, di noi italiani. Del masochismo mascherato dall’esibizionismo. Tipo:
non ho una lira ma mostro il portafoglio, anche se dentro non c’è niente. Oppure:
sono vecchio, però metto un paio di jeans per sembrare più giovane e una
conchiglia nel punto dove lei sa, così sembra che lì ci sia qualcosa e invece non c’è
niente”.
Secondo sintomo.
“L’individualismo spietato. E badi che ci tengo a questo aggettivo. Perché un certo
individualismo è normale, uno deve avere la sua identità a cui si attacca la stima.
Ma quando diventa spietato…”.
Cattivo.
“Sì, ma spietato è ancora di più. Immagini dieci persone su una scialuppa, col
mare agitato e il rischio di andare sotto. Ecco, invece di dire “cosa possiamo fare
insieme noi dieci per salvarci?”, scatta l’io. Io faccio così, io posso nuotare, io me
la cavo in questo modo… individualismo spietato, che al massimo si estende a un
piccolissimo clan. Magari alla ragazza che sta insieme a te sulla scialuppa.
All’amante più che alla moglie, forse a un amico. Quindi, quando parliamo di
gruppo, in realtà parliamo di individualismo allargato”.
Terzo sintomo della malattia mentale degli italiani?
“La recita”.
La recita?
“Aaaahhh, proprio così… noi non esistiamo se non parliamo. Noi esistiamo per
quello che diciamo, non per quello che abbiamo fatto. Ecco la patologia della
recita: l’italiano indossa la maschera e non sa più qual è il suo volto. Guarda uno
spettacolo a teatro o un film, ma non gli basta. No, sta bene solo se recita, se
diventa lui l’attore. Guarda il film e parla. Ah, che meraviglia: sto parlando, tutti
mi dovete ascoltare. Ma li ha visti gli inglesi?”.
Che fanno gli inglesi?
“Non parlano mai. Invece noi parliamo anche quando ascoltiamo la musica,
quando leggiamo il giornale. Mi permetta di ricordare uno che aveva capito
benissimo gli italiani, che era Luigi Pirandello. Aveva capito la follia perché aveva
una moglie malata di mente. Uno nessuno e centomila è una delle più grandi opere
mai scritte ed è perfetta per comprendere la nostra malattia mentale”.
Torniamo ai sintomi, professore.
“No, no. Rimaniamo alla maschera. Pensi a quelli che vanno in vacanza. Dicono
che sono stati fuori quindici giorni e invece è una settimana. Oppure raccontano
che hanno una terrazza stupenda e invece vivono in un monolocale con un’unica
finestra e un vaso di fiori secchi sul davanzale. Non è magnifico? E a forza di
raccontarlo, quando vanno a casa si convincono di avere sul serio una terrazza
piena di piante. E poi c’è il quarto sintomo, importantissimo. Riguarda la fede…”.
Con la fede non si scherza.
“Mica quella in dio, lasciamo perdere. Io parlo del credere. Pensare che domani,
alle otto del mattino ci sarà il miracolo. Poi se li fa dio, San Gennaro o chiunque
altro poco importa.
Insomma, per capirci, noi viviamo in un disastro, in una cloaca ma crediamo che
domattina alle otto ci sarà il miracolo che ci cambia la vita. Aspettiamo Godot, che
non c’è. Ma vai a spiegarlo agli italiani. Che cazzo vuoi, ti rispondono. Domattina
alle otto arriva Godot. Quindi, non vale la pena di fare niente. E’ una fede
incredibile, anche se detta così sembra un paradosso. Chi se ne importa se ci
governa uno o l’altro, se viene il padre eterno o Berlusconi, chi se ne importa dei
conti e della Corte dei conti, tanto domattina alle otto c’è il miracolo”.
Masochismo nascosto, individualismo spietato, recita, fede nel miracolo. Siamo messi
malissimo, professor Andreoli.
“Proprio così. Nessuno psichiatra può salvare questo paziente che è l’Italia. Non
posso nemmeno toglierti questi sintomi, perché senza ti sentiresti morto. Se ti
togliessi la maschera ti vergogneresti, perché abbiamo perso la faccia dappertutto.
Se ti togliessi la fede, ti vedresti meschino. Insomma, se trattassimo questo
paziente secondo la ragione, secondo la psichiatria, lo metteremmo in una
condizione che lo aggraverebbe. In conclusione, senza questi sintomi il popolo
italiano non potrebbe che andare verso un suicidio di massa”.
E allora?
“Allora ci vorrebbe il manicomio. Ma siccome siamo tanti, l’unica considerazione è
che il manicomio è l’Italia. E l’unico sano, che potrebbe essere lo psichiatra, visto
da tutti questi malati è considerato matto”.
Scherza o dice sul serio?
“Ho cercato di usare un tono realistico facendo dell’ironia, un tono italiano. Però
adesso le dico che ogni criterio di buona economia o di buona politica su di noi non
funziona, perché in questo momento la nostra malattia è vista come una salvezza.
E’ come se dicessi a un credente che dio non esiste e che invece di pregare
dovrebbe andare in piazza a fare la rivoluzione. Oppure, da psichiatra, dovrei dire
a tutti quelli che stanno facendo le vacanze, ma in realtà non le fanno perché non
hanno una lira, tornate a casa e andate in piazza, andate a votare, togliete il
potere a quello che dice che bisogna abbattere la magistratura perché non fa
quello che vuole lui. Ma non lo farebbero, perché si mettono la maschera e dicono
che gli va tutto benissimo”.
Guardi, professore, che non sono tutti malati. Ci sono anche molti sani in circolazione.
Secondo lei che fanno?
“Piangono, si lamentano. Ma non sono sani, sono malati anche loro. Sono vicini a
una depressione che noi psichiatri chiamiamo anaclitica. Penso agli uomini di
cultura, quelli veri. Che ormai leggono solo Ungaretti e magari quel verso stupendo
che andrebbe benissimo per il paziente Italia che abbiamo visitato adesso e dice
più o meno: l’uomo… attaccato nel vuoto al suo filo di ragno”.
E lei, perché non se ne va?
“Perché faccio lo psichiatra, e vedo persone molto più disperate di me”.
Grazie della seduta, professore.
“Prego”.
(dall’Huffington Post - agosto 2016)
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POLIZZE PER ONOREVOLI, FRACCARO:
“350MILA EURO L’ANNO PER INSETTI E INSOLAZIONI”
“Non bastano stipendi, rimborsi e vitalizi. I cittadini pagano anche 350mila euro ogni
anno per assicurare i deputati, perfino per i danni subiti in stato di ebbrezza, per le
punture di insetti e le insolazioni“. E’ la denuncia che lo scorso 3 agosto, in Aula alla
Camera, ha pronunciato il deputato del M5S, Riccardo Fraccaro, durante la discussione sul
bilancio interno del 2015.
Il parlamentare ha chiesto lumi sul capitolo 1130 del bilancio della Camera, che prevede di
spendere 350 mila euro di soldi dei cittadini per coprire l’assicurazione vita, invalidità e
infortunio dei deputati. E ha snocciolato l’impressionante elenco: “I cittadini pagano per i
parlamentari l’assicurazione per punture e morsi di animali, malattie tropicali, affogamento,
ernie addominali, escursioni in montagna, colpi di sole. Ma non è finita, in caso di calamità
naturali pagheranno gli italiani: terremoto, inondazioni, alluvioni, eruzioni vulcaniche.
Paghiamo anche l’assicurazione ai deputati se essi subiscono un infortunio in stato di
ebbrezza. E’ una cosa inaccettabile”. E ha sottolineato: “Ma forse questa supera ancora quella
precedente: un’assicurazione se subite dei danni in caso di sommosse, insurrezione o tumulti
popolari. 350 mila euro che spendono i cittadini per assicurarvi, mentre fuori sono stati
tagliati dal governo Renzi 4,3 milioni al Fondo sanitario nazionale e ci sono 11 milioni
di italiani che rinunciano alle cure o le rinviano.
Mentre la spesa sanitaria privata è aumentata del 3,2 per cento sotto il governo Renzi, chiedete
350 mila euro agli italiani ogni anno per coprirvi l’assicurazione sanitaria? Ora, signori, io credo
che se un’assicurazione deve essere pagata è quella che i partiti devono pagare agli italiani per
i danni che con le vostre leggi gli arrecate ogni giorno”.
Gli ha fatto eco Luigi Di Maio: “Una cosa del genere non esiste da nessuna parte, in nessuna
realtà lavorativa. Questa non è la normale assicurazione che si fa ai lavoratori per infortuni sul
lavoro: queste sono delle voci e dei capitoli vergognosi, che tra l’altro ci costano 350 mila
euro. E vi stiamo chiedendo di abolirli con un ordine del giorno“.
**guarda QUI il video dell’intervento in Aula dell’Onorevole Fraccaro – M5S**
(da Il Fatto Quotidiano - agosto 2016)
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TTIP, CALA IL SIPARIO SULL’ACCORDO?
Questo Trattato transatlantico non s’ha da fare:
stavolta il “niet” arriva da un peso massimo della
politica continentale, il Ministro dell’Economia e
Vicecancelliere tedesco Sigmar Gabriel.
Pur precisando di parlare a titolo personale, il
leader dei socialdemocratici ha rilasciato una
dichiarazione
che
non
lascia
spazio
a
fraintendimenti: «Secondo me, i negoziati con gli
USA sono di fatto falliti, anche se nessuno lo
ammette. E questo perché dopo 14 round di
colloqui ancora non si è trovato l’accordo neanche
per uno dei 27 capitoli sul tavolo. Noi europei non
dobbiamo soccombere alle richieste americane. In Europa abbiamo già il nostro modo di vivere
insieme».
Come abbiamo già ricordato più volte nel corso degli ultimi mesi, il TTIP (Partenariato
transatlantico per il commercio e gli investimenti) è un mega accordo commerciale, in
discussione dal 2013, che mira a creare uno spazio di libero scambio tra Stati Uniti e Unione
Europea. Non si parla solo di tariffe e dazi doganali: il vero oggetto del contendere sono infatti
le cosiddette “barriere non tariffarie”, specie quelle che regolamentano l’accesso al mercato
comunitario di molti prodotti alimentari statunitensi.
Bovini allevati con ormoni, polli lavati con la clorina, frutta e verdura con alti residui
di pesticidi, alimenti Ogm destinati al consumo umano e altro ancora, su cui la
normativa europea diverge in modo significativo da quella Usa. Milioni di cittadini europei si
sono schierati contro la concreta eventualità che una trattativa condotta in segreto tra
Bruxelles e Washington portasse a un abbassamento generale dei nostri standard
sull’alimentazione e l’agricoltura, raccogliendo oltre tre milioni di firme e organizzando
proteste in tutto il continente: anche in Italia, dove lo scorso 7 maggio la campagna “Stop
TTIP” ha promosso una manifestazione nazionale a Roma a cui Slow Food Italia ha aderito
insieme a decine di associazioni dei consumatori, sindacati e movimenti ecologisti.
«La nostra opposizione non è rivolta agli accordi commerciali in generale – precisa il presidente
di Slow Food Italia, Gaetano Pascale – ma a questa modalità di trattato. Siamo soddisfatti, ma
non parliamo di una vittoria: la vittoria arriverà quando politica, economia, finanza e società
civile ribalteranno la prospettiva attuale, ponendosi obiettivi legati al benessere dei cittadini e
alla qualità dell’ambiente prima che agli aspetti puramente di mercato».
Nel febbraio scorso Obama ha incassato la firma del Partenariato transpacifico (TPP), l’accordo
“gemello” di quello negoziato con gli europei che coinvolge dodici Paesi tra Asia, America latina
e Oceania. Il presidente uscente contava di far approvare il TTIP entro la fine del suo mandato,
obiettivo che a questo punto appare davvero utopistico. Per il futuro, le prospettive vanno in
direzione tutt’altro che favorevole a quella auspicata dai tecnocrati e dalle multinazionali:
pesano l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, le elezioni in Francia e in Germania
nel 2017 e la contrarietà già espressa, con toni diversi (più netti quelli di Trump, più sfumati
quelli della Clinton), da entrambi i candidati alle presidenziali Usa di novembre.
Sul tavolo rimane però la questione aperta del CETA, il trattato negoziato con il Canada che
i critici considerano un “cavallo di Troia” del TTIP: oltre alle scarse garanzie offerte
all’agroalimentare italiano (nomi come “mozzarella”, “mortadella” e “gorgonzola”
potranno essere utilizzati sui prodotti canadesi, a patto che non compaia sulla
confezione la bandiera italiana), c’è il rischio che le multinazionali statunitensi attive sul
territorio canadese si avvalgano della possibilità di intentare cause legali davanti a tribunali
internazionali privati contro le decisioni ritenute “lesive” da parte dei governi europei. La
clausola, chiamata Investment Court System (Ics), è analoga all’ISDS previsto nella prima
versione del TTIP.
Di tutto questo si tornerà a parlare a settembre, al Consiglio Europeo di Bratislava. L’attenzione
pubblica su questi temi ha contribuito a far sì che l’eventuale ratifica del CETA spetti anche ai
parlamenti nazionali degli Stati membri. Ora sono di nuovo i cittadini a essere chiamati in
causa, perché nessuna decisione di questa rilevanza venga presa ignorando o contrastando la
volontà di milioni di europei.
(da Slow Food - agosto 2016)
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MCR (Mosto Concentrato Rettificato) non lo
vogliamo! Come ve lo dobbiamo dire? 53
vignaioli dell’Emilia Romagna lo mettono nero
su bianco…
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(da Slow Food - agosto 2016)
DOMENICA 4 SETTEMBRE ALLE ORE 17,00
L'EVENTO CULTURA E SPETTACOLO
"SOTTO I PORTICI DELLA FATTORIA"
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che
(da Il PomoDoro Onlus - agosto 2016)
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UNA LEZIONE PER LA APPLE
Dopo due anni d’indagini, il 30 agosto la Commissione europea ha
stabilito che la Apple ha ricevuto un trattamento fiscale privilegiato
da parte dell’Irlanda.
Privilegiato e molto redditizio, visto che si parla di 13 miliardi di euro
d’imposte non pagate al governo irlandese. Questo caso riassume quasi tutto
quello che c’è di sbagliato nel mondo della politica e degli affari, un mondo in
cui i ministri aiutano gli evasori fiscali a guadagnare miliardi, mentre le economie locali
soccombono e le famiglie in difficoltà vedono ridursi le buste paga e i servizi pubblici. Ma offre
anche a chi ha votato a favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea un fosco presagio
dell’ancor più assurdo capitalismo auspicato dai fondamentalisti del libero mercato e dai lobbisti
delle banche d’investimento e delle grandi aziende.
La questione va ben oltre le tasse: quanto è abbastanza? Quanto spetta ai dirigenti e agli
azionisti della Apple e delle altre grandi aziende? E quanto spetta ai loro dipendenti, alle
collettività che proteggono il loro diritto alla proprietà, gli forniscono infrastrutture e forza
lavoro e garantiscono il loro status legale? La vicenda del più famoso produttore di elettronica
di consumo al mondo conferma quanto sia necessario riportare l’ago della bilancia dalla parte
dei cittadini.
Apple Store a New York
Non esiste un’azienda più ricca della Apple. Gli
esperti calcolano che abbia da parte 216 miliardi di
dollari, quasi il doppio delle riserve in valuta estera
del governo statunitense, che secondo gli ultimi
conti ammontavano a 121 miliardi di dollari.
Questo denaro non sarà investito in prodotti
innovativi, né usato per migliorare le condizioni e la
formazione dei lavoratori, né donato a cause
meritevoli. È pura e semplice accumulazione, un
fondo d’emergenza dei miliardari per i tempi difficili.
La Apple ha accumulato questa ricchezza ingiustificata anche sfruttando le opportunità e le
scappatoie offerte dalla globalizzazione. Ha trasferito la produzione in Cina e ha goduto per
decenni degli sgravi fiscali offerti dall’Irlanda. Tutti i profitti di tutte le vendite fatte in Europa
erano registrati in Irlanda. Quasi tutti i profitti intestati alla Apple Sales International di Cork
erano trasferiti a un ufficio centrale all’interno dell’azienda.
Questo ufficio centrale, ha rilevato la Commissione europea, “non aveva sede in alcun paese e
non possedeva né dipendenti né strutture. Le sue attività consistevano unicamente in riunioni
occasionali del consiglio d’amministrazione”. L’ufficio centrale esisteva solo sulla carta, e i
profitti che registrava non erano tassati: una versione della globalizzazione spinta ai suoi limiti
più assurdi ed estremi. Se Samuel Beckett si fosse dilettato di contabilità, questo è proprio il
genere di assurdità che avrebbe potuto concepire.
Ma forse neanche lui sarebbe arrivato a concepire una risposta come quella del governo
irlandese, che ha rifiutato i 13 miliardi di euro di tasse arretrate e ha avviato un costoso ricorso
legale. Quella cifra basterebbe a coprire per un anno tutti i costi del sistema sanitario irlandese,
e avanzerebbe anche qualcosa. Ma per decenni il modello economico dello stato irlandese è
consistito nell’offrire un regime fiscale estremamente vantaggioso alle multinazionali come
Facebook, con la speranza di ottenere qualche briciola dei loro profitti e qualche posto di lavoro.
La Apple ha dichiarato che nella sua sede europea di Cork non veniva svolta praticamente
alcuna attività di ricerca. Lo ha fatto per prepararsi a fare appello contro la sentenza della
Commissione, ma ha anche rivelato la vera natura dei posti di lavoro che aveva creato in
Irlanda. Promesse non mantenute. Non è un buon segno che il governo statunitense abbia
accusato di antiamericanismo la commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager,
che di recente ha sanzionato anche l’italiana Fiat e la russa Gazprom.
Un tempo la Apple si vantava del fatto che i suoi prodotti fossero “made in America”, ma ormai
ha trasferito le sue attività produttive in Cina, anche se alcune ricerche dimostrano che
potrebbe realizzare comunque buoni profitti mantenendo i suoi stabilimenti negli Stati Uniti. È
impossibile non trarre dalla questione alcune lezioni sul futuro del Regno Unito al di fuori
dell’Unione europea. Per molto tempo la City di Londra è stata un paradiso fiscale, la capitale
del mondo ricco dove non si facevano troppe domande.
Mentre si appresta a delineare il futuro del Regno Unito fuori dall’Unione europea, la premier
britannica Theresa May subisce le pressioni di chi vorrebbe che il paese si avviasse in maniera
ancor più decisa in quella direzione: trasformando cioè tutto il Regno Unito in un’area speciale
liberista dove le aziende che fanno promesse mirabolanti ricevono trattamenti di favore.
La vicenda della Apple in Irlanda dimostra invece che queste promesse non sono mai davvero
buone come sembrano. L’investimento diretto straniero si rivela essere un arricchimento
indiretto di pochi, mentre l’economia del paese si indebolisce ancora di più.
(da Internazionale - agosto 2016)
Sette mosse per salvare l’Euro
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Strade pericolose
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Andare piano è meglio per tutti
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(da Internazionale - agosto/settembre
2016)
UNA GRANDE MURAGLIA VERDE: TRE EVVIVA PER L’AFRICA
La costruzione di un muro di alberi per tutta la
larghezza dell’Africa è un compito arduo. Risolvere il
duplice problema del degrado del suolo e della
desertificazione rappresenta una sfida ancora più
grande. Ma più di 60 anni dopo essere stato proposto
per la prima volta, proprio un tale progetto è in corso
ai confini del Sahara.
La cerimonia di apertura delle Olimpiadi a Rio de
Janeiro ha portato alla ribalta questo progetto, con
riprese del suo progresso. Al termine, diverrà la più grande struttura vivente nel mondo, tre
volte le dimensioni della Grande Barriera Corallina.
Che cosa è la "Grande Muraglia Verde" in Africa?
Nel 1952 Richard St. Barbe Baker, uno scienziato ambientale britannico, ha proposto di piantare
una fascia di alberi in tutta la parte meridionale del Sahara. Gli alberi avrebbero così potuto
bloccare il vento e la sabbia che si muovono dal deserto verso sud, e migliorare la qualità del
terreno, legando insieme i sedimenti e aggiungendo sostanze nutrienti al mix del suolo. Anche
se il signor Baker non è stato in grado di convincere altri sul suo piano durante la sua vita,
l'idea - da allora - ha messo radici.
Nel 2005, Olusegun Obasanjo, allora Presidente della Nigeria, ha rivisitato la proposta del
signor Baker, vedendo in essa una risposta ad alcuni dei problemi sociali, economici e
ambientali che affliggono la regione del Sahel-Sahara. Si stima che circa l'83% di africani delle
zone rurali subsahariane dipendono dal territorio della loro regione per il proprio
sostentamento, ma il 40% di questo è degradato o usurato a causa dell'erosione del suolo,
dalle attività umane e dalle torride temperature, rendendolo di fatto in gran parte inagibile.
Nel 2007, il Signor Obasanjo ha ottenuto il sostegno dell'Unione africana. Il progetto della
Grande Muraglia Verde è stato lanciato lo stesso anno. Oggi circa 21 Paesi africani sono coinvolti
nel progetto, che è cresciuto negli obiettivi e nella portata. Gli alberi sono stati piantati, ma la
costruzione di un muro di vegetazione non è più la priorità. Il muro di alberi è diventato ora un
veicolo per un obiettivo più ampio: i Paesi della regione uniti a lavorare insieme per affrontare
il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare e la crescita economica.
I progetti più recenti includono diminuire l'erosione del suolo e migliorare la gestione delle
risorse idriche in Nigeria, lo sviluppo dell’agro-business in Senegal e la gestione forestale nel
Mali. Ogni paese ha un proprio approccio per il raggiungimento degli obiettivi condivisi.
Alcuni si concentrano sulla pianificazione della comunità attraverso l'istruzione, mentre altri
stanno espandendo gli investimenti in tecnologia e formazione per gli agricoltori. Da quando il
progetto è iniziato, 15 milioni di ettari di terreno sono stati risanati in Etiopia e 20.000 posti di
lavoro sono stati creati in Nigeria.
Nello scorso mese di maggio in progetto della Grande Muraglia Verde ha tenuto la sua prima
conferenza, a Dakar. I leader africani hanno rinnovato il loro impegno per il progetto e si sono
impegnati ad accelerare il suo progresso con la "Dichiarazione di Dakar". Saranno in mostra
con i loro successi a COP22, la conferenza mondiale sui cambiamenti climatici, in Marocco entro
la fine dell'anno. Sono intanto in corso piani per portare l'idea in altri continenti.
Come gli Imperatori cinesi sapevano fin troppo bene, una grande muraglia richiede molto
tempo per essere costruita, ma può durare per sempre. Con fortuna, quella verde dell'Africa si
rivelerà altrettanto resistente.
(tradotto da The Economist – settembre 2016)
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TERREMOTO, FINANZIATE LE MIGLIORIE E
NON GLI ADEGUAMENTI SISMICI. CON LE
REGOLE POST UMBRIA LA POLITICA PREPARÒ
IL DISASTRO
Nel 1998 l'allora ministro dell'Interno Giorgio Napolitano firmò l'ordinanza che
consentiva a commissari e tecnici di intervenire sugli edifici pubblici con semplici
"miglioramenti". Che non garantiscono la sicurezza. Zambrano, presidente
dell'Ordine degli ingegneri: "Qualsiasi cosa il progettista definisca miglioramento
viene accettata come tale. Si sono affidati alla sorte". E ora possono dire: "Procedure
rispettate".
É stata un’ordinanza firmata il 30 gennaio 1998 dall’allora ministro dell’Interno Giorgio
Napolitano a stabilire che gli edifici pubblici e i luoghi di culto danneggiati dal sisma del 1997,
tra cui la chiesa e la caserma dei carabinieri di Accumoli, andavano solo “ripristinati” con
interventi di recupero e “miglioramento sismico”. Interventi che in base alle Norme tecniche
per le costruzioni – testo unico che detta le regole per progetti, esecuzioni e collaudi –
garantiscono solo un generico “aumento della sicurezza strutturale, senza necessariamente
raggiungere i livelli richiesti dalle presenti norme”.
Mentre la Procura di Rieti, dopo i crolli causati dal terremoto del 24 agosto, avvia
indagini su quelle ristrutturazioni, dai documenti dell’epoca emerge quindi che
i commissari e il comitato tecnico-scientifico chiamati a scrivere il piano di interventi finanziato
dallo Stato con oltre 70 milioni di euro (per la sola provincia di Rieti) si sono limitati a mettere
in pratica una decisione politica. É stata la politica a preparare il disastro, fissando paletti così
laschi che ora appare difficile contestare qualcosa a enti attuatori, imprese che hanno
eseguito i lavori – a meno che non li abbiano fatti male o con materiali scadenti – e collaudatori.
Il commissario: “Procedure rispettate” – Il deputato Pd Fabio Melilli, ex presidente della
provincia di Rieti e dal 2006 al 2010 commissario delegato per il “superamento della situazione
di criticità” dopo il terremoto dell’Umbria del settembre e ottobre 1997, ha detto al Corriere
della Sera che il crollo della chiesa di Sant’Angelo in una frazione di Amatrice, quello
del campanile del complesso parrocchiale di San Pietro e Lorenzo di Accumoli e i danni alla
caserma del paese (dichiarata inagibile) non bastano perché si possa parlare di opere malfatte:
“Le procedure sono state rispettate”, è la sua difesa. Infatti “si è dato per scontato che tutti gli
edifici pubblici fossero adeguati ai criteri antisismici”, ma in realtà “nessuno” lo è stato, perché
“quelli che fece la Provincia furono lavori di riparazione”, di “ripristino”.
Esattamente come previsto dal provvedimento del Viminale, retto all’epoca da Napolitano, che
non ha imposto un più radicale (e costoso) adeguamento sismico, dopo il quale il fabbricato
deve invece garantire un livello di sicurezza pari a quello degli edifici di nuova costruzione.
L’ordinanza firmata da Napolitano: “Ripristinare gli edifici e migliorarli” - L’ordinanza in
questione è la 2741 del 30 gennaio 1998, emanata “dal Ministro dell’Interno delegato per il
coordinamento della Protezione civile” Giorgio Napolitano (leggi QUI l’ordinanza).
Dopo l’elenco dei comuni delle province di Rieti e Arezzo interessate dal sisma dell’anno prima
– tra cui Accumoli e Amatrice – il documento dispone, all’articolo 2, che “i commissari delegati
(…) predispongono, entro 60 giorni dalla data di pubblicazione della seguente ordinanza in
Gazzetta Ufficiale, un piano per gli interventi urgenti volti al ripristino delle infrastrutture,
del patrimonio culturale, degli edifici pubblici di competenza della Regione e degli Enti Locali,
nonché degli edifici di culto danneggiati”. Il comma 5 dell’articolo 1 specifica che si tratta degli
“interventi necessari al recupero, con miglioramento sismico, degli edifici pubblici e privati”.
Nei mesi precedenti, altre ordinanze avevano disposto che anche le strutture di Umbria e
Marche danneggiate dal terremoto fossero sottoposte solo a “miglioramenti”.
“Ma miglioramento sismico è qualunque intervento il progettista definisca tale. Anche se non
aumenta sicurezza” - Il problema è che “miglioramento sismico” non vuol dire quasi nulla. “É
una definizione molto generica e molto ampia”, spiega a ilfattoquotidiano.it Armando
Zambrano, presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri. “Di fatto qualunque intervento il
progettista dichiari essere di miglioramento viene accettato come tale.
Può trattarsi della sostituzione di una piattabanda (la parte superiore di porte o finestre, ndr)
di legno con una in ferro, dell’inserimento di tiranti in acciaio che bloccano i due lati del tetto o
di catene. Interventi che in alcuni casi, intendiamoci, migliorano di molto la sicurezza. Ma non
è detto”. E il collaudo non lo verifica? “No: attesta soltanto che l’opera è conforme al progetto,
ma non è richiesto che verifichi i risultati ottenuti dal punto di vista sismico”.
Nessuna garanzia che chiese e caserme sarebbero rimaste in piedi - Di conseguenza, “se i
finanziamenti sono stati dati solo per interventi di miglioramento è evidente che non c’era
alcuna garanzia che quegli edifici potessero resistere a un terremoto dell’intensità di quello del
24 agosto”. Al contrario, l’adeguamento avrebbe “imposto al progettista di dimostrare con
verifiche e calcoli ad hoc di aver reso la costruzione sicura quanto una realizzata ex novo. In
più per ospedali o caserme dei vigili del fuoco, per esempio, le Norme tecniche richiedono che
in caso di sisma non solo sia garantita la sicurezza delle persone all’interno ma anche
l’indispensabile mantenimento della funzionalità. Del resto sarebbe assurdo altrimenti, visto
che dopo un terremoto diventano ancora più cruciali”.
Eppure gli interventi fatti ad Accumoli e Amatrice non hanno affatto assicurato questo risultato.
I lavori sulla scuola Romolo Capranica, per esempio, non ne hanno evitato il crollo.
“Mi hanno chiesto un miglioramento, non un adeguamento. C’è una differenza
abissale”, ha avuto buon gioco a difendersi l’imprenditore edile Gianfraco Truffarelli.
Dal canto suo il costruttore Carlo Cricchi, che ha vinto l’appalto per rifare il tetto della chiesa
di San Pietro e Lorenzo, ha detto a Repubblica che nel capitolato “per il miglioramento
antisismico c’erano appena 509 euro” su 75mila totali e “il progetto imponeva di inserire nella
muratura 33 euro di ferro, praticamente una sola barra”. “Si sono affidati alla sorte. Lo Stato
fa le norme e poi si autoconcede deroghe perché non ha i soldi”.
Ma da dove nasce la scelta di puntare sul “miglioramento”? Secondo Zambrano, è stata
evidentemente dettata da ragioni di budget: “Con risorse limitate puoi decidere di fare pochi
adeguamenti o optare per molti miglioramenti, affidandoti un po’ alla sorte…”. Ciliegina sulla
torta, “l’entrata in vigore dell’ordinanza di Protezione civile 3274 del 2003 che imponeva alle
amministrazioni pubbliche un’analisi di vulnerabilità degli edifici strategici tra cui scuole,
ospedali e infrastrutture è stata più volte prorogata. Lo Stato fa le norme e poi concede a se
stesso delle deroghe perché non ha i soldi o li destina ad altro. É per questo che da tempo
diciamo che serve un serio piano di adeguamento a cui destinare per venti o trent’anni, senza
eccezioni, una piccola percentuale dei bilanci pubblici. Solo così si può ridurre davvero il rischio
sismico”.
(da Il Fatto Quotidiano – settembre 2016)
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FERTILITÀ DELLE API RIDOTTA DEL 39% A CAUSA
DEI PESTICIDI NEONICOTINOIDI
Alcuni pesticidi riducono la fertilità dei maschi delle api di quasi
il 40% e ne accorciano la vita, diminuendo così le possibilità di
accoppiamento. È quanto appurato da uno studio condotto
nell’Università di Berna e pubblicato dalla rivista Proceedings of
the Royal Society B. I ricercatori hanno preso in esame l’impatto sui
fuchi di due pesticidi neonicotinoidi, il thiamethoxam e il clothianidin,
che dal 2012 sono sottoposti a severe restrizioni nell’Unione europea,
insieme a un terzo insetticida di questa famiglia, l’imidacloprid, perché ritenuti responsabili
della moria degli insetti.
L’esposizione agli insetticidi riduce anche la vita media degli insetti: I ricercatori hanno
suddiviso le api in due gruppi: uno alimentato con polline contenente i due insetticidi
neonicotinoidi in quantità analoghe a quelle rilevabili nei prodotti alimentari in cui vengono
utilizzati il thiamethoxam e il clothianidin. Il secondo gruppo è stato alimentato con polline non
contaminato da insetticidi. Dopo trentotto giorni si è notato che la fertilità dello sperma dei
fuchi del primo gruppo era del 39% inferiore. Non solo: gli insetti maschi esposti ai due
insetticidi hanno mostrato anche una minor durata di vita.
I fuchi raggiungono la maturità sessuale due settimane dopo la nascita, ma il 32% degli insetti
esposti agli insetticidi non ha raggiunto quell’età, contro una percentuale del 17% dei fuchi
nutriti con polline incontaminato.
(da Il Fatto Alimentare – settembre 2016)
Gli Elfi a Deutsche Bank
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** guarda QUI il video nell’articolo **
(da Low Living High Thinking – settembre 2016)
Buona lettura e ancora un buon fine settimana.