IL MERCATO DEI NPLs E IL CASO UGC BANCA
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IL MERCATO DEI NPLs E IL CASO UGC BANCA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA FACOLTÀ DI ECONOMIA CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E COMMERCIO DIPARTIMENTO DI ECONOMIA AZIENDALE TESI DI LAUREA IL MERCATO DEI NPLs E IL CASO UGC BANCA Relatore: Ch.mo Prof. FLAVIO PICHLER Laureando: MICHELE LAMBIASE ANNO ACCADEMICO 2008-2009 Ai miei cari: alla memoria di mia madre, la cui assenza è divenuta nel tempo più acuta presenza, e a mio padre che mi ha indirizzato e sostenuto in tutto il mio percorso di vita e di studi. A Marce, buon fratello maggiore, a sua moglie Veronica e al piccolo Edoardo. Indice Introduzione I Capitolo 1 1 1.1 I rischi dell’attività bancaria: sua evoluzione nell’ambito dell’intermediazione finanziaria 1.2 Il rischio di credito: definizione e gestione in Basilea 2 1 10 1.2.1 Rischio di credito. Modalità di misurazione secondo l’Accordo di Basilea 2 20 1.2.2 Gli approcci per il calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito 25 1.2.3 Determinazione del requisito patrimoniale con il metodo Internal Rating Based (IRB) 30 1.2.3.1 Approccio basato sul sistema del rating interno per la determinazione del requisito patrimoniale 32 1.2.3.2 Determinazione delle perdite attese 33 1.2.3.3 Determinazione delle perdite inattese 34 Capitolo 2 37 2.1 Alcune considerazioni su Basilea 2 e le sofferenze 37 2.1.1 Crediti non performing 42 2.1.2 Modalità di gestione dei crediti non performing (o partite anomale) 42 2.1.3 La cessione delle sofferenze 46 2.2 Bad Bank, Servicing e Outsourcing 49 2.3 La cartolarizzazione dei crediti 55 2.3.1 La cartolarizzazione dei crediti in sofferenza 61 2.3.2 Caratteristiche delle operazioni sui crediti non performing 63 2.3.3 Individuazione e cessione del portafoglio oggetto di cartolarizzazione 65 2.3.4 Conseguenze della cartolarizzazione delle sofferenze sulla gestione bancaria 76 Capitolo 3 85 3.1 Il mercato degli NPLs e il caso UGC Banca 85 3.1.1 Il mercato degli NPLs 85 3.1.2 Brevi cenni sul mercato delle cartolarizzazioni 94 3.1.3 Il caso UGC Banca 98 3.1.4 Alcuni aspetti di attualità emersi da un colloquio con un gestore Conclusione 109 113 IL MERCATO DEI NPLs E IL CASO UGC BANCA “Solo due tipi di persone sanno evitare di essere imbrogliati: coloro che sono stati scottati una volta (e questi sono diventati saggi a proprie spese) e gli astuti che hanno invece imparato a spese di altri” – Baltasar Gracian – “La responsabilità rende complicato il male e semplice il bene” – Albert Einstein – Introduzione La tesi sarà suddivisa in tre parti: nella prima verrà esaminato il Nuovo Accordo di Basilea, più noto come Basilea 2, ponendo una particolare attenzione alle innovazioni da esso apportate ai fini della determinazione del capitale minimo di riferimento che le banche devono detenere per fronteggiare i rischi connessi allo svolgimento della loro attività. Si svilupperà il concetto di rischio bancario, poiché il Nuovo Accordo ha considerato categorie più ampie che non si riconnettono ad un generico concetto di rischio, ma definisce più dettagliatamente rischi di credito, di mercato e operativo, e viene presa in esame la relazione di tali rischi con il capitale proprio al fine di definire i requisiti patrimoniali minimi necessari alla copertura delle perdite inattese. In dettaglio si farà un uso frequente del termine di “default”, dato che a questo concetto è stato dato ampio spazio ed è stato particolarmente trattato nell’ambito del Nuovo Accordo che ha attribuito nuovi caratteri alla definizione di insolvenza, implicazioni innovative che hanno portato ad un allargamento della classificazione di patologie anche ai singoli inadempimenti, attribuendo ad essi una maggiore oggettività, in quanto è più facile osservare puntualmente i mancati pagamenti piuttosto che esprimere valutazioni sulla capacità strutturale di fronteggiare le obbligazioni assunte. Si studieranno le modalità di misurazione del rischio di credito e sarà approfondito l’esame dei tre pilastri di Basilea 2, e cioè i requisiti patrimoniali minimi, i processi di vigilanza e la disciplina di mercato, connesso a questi elementi, sarà esplicitato anche il concetto di “rating”, considerato che le valutazioni attribuite dalle varie agenzie specializzate sono andate acquisendo un’importanza sempre maggiore nella definizione dei gradi di rischio del credito bancario. La seconda parte seguirà un percorso in cui verranno esaminati i nuovi aspetti gestionali delle sofferenze bancarie alla luce del Nuovo Accordo di Basilea 2 e dell’entrata in vigore della Legge n. 130/1999 che ha regolamentato la cartolarizzazione dei crediti. Precedentemente alla normativa che ha innovato la disciplina della materia, la gestione dei crediti anomali creava non pochi problemi alle banche sotto molteplici I aspetti che andavano dalla difficoltà del loro recupero a motivo di complesse normative burocratiche e legali, fino a cause giudiziali protratte nel tempo che davano come risultato alti oneri e scarsa redditività. L’elemento innovativo fondamentale sta nel vedere i crediti anomali (terminologia che può essere adottata dalla banca per indicare i crediti problematici che gli anglosassoni chiamano Non Performing Loans) come beni oggetto di scambio. Ora le banche, grazie ad un insieme di riforme che consentono la “debancarizzazione” delle sofferenze e la successiva stipulazione del contratto di Servicing, esternalizzano la gestione dei crediti anomali a delle strutture specializzate quali Servicer o Bad Bank, che offrono nuove opportunità di sviluppo del business del mercato dei NPLs, provvedendo a gestire e recuperare i crediti per conto dell’originator, ossia del mandante, riducendo i costi di gestione e massimizzando la redditività grazie a tecniche innovative come ad esempio la succitata cartolarizzazione dei crediti. La terza ed ultima parte proporrà una disamina del mercato degli NPLs, inserendo in quest’ambito l’esperienza specifica di un gestore nazionale quale UGC Banca. Si esaminerà il comportamento degli operatori circa la definizione delle migliori strategie di gestione dei crediti anomali, e si vedranno quali sono i fattori che influenzano tale gestione e quali siano le scelte da preferire per ottimizzarla; queste scelte, considerando il periodo di forte sviluppo del settore e la rilevante dimensione economica del fenomeno, vanno sempre più orientandosi verso una gestione in logica di business, di specializzazione, di sviluppo professionale delle risorse, di innovazioni gestionali ed organizzative. Si vedrà anche come il mercato vada sempre più privilegiando il ricorso ad accordi stragiudiziali a causa del basso livello di efficienza della giustizia civile. Come su accennato, sarà esaminato poi il caso di un Gestore operativo sul mercato nazionale ed internazionale considerandone le principali caratteristiche, dalla sua fondazione alla definizione dei principi su cui si basa la sua attività. Si vedranno, inoltre, quali siano la sua mission, il suo modello organizzativo e i vari servizi attraverso cui si sviluppa la sua attività. La logica, o meglio la filosofia, adottata dal servicer del Gruppo Unicredit si ispira al motto “Bad loans good money”, che lungi dall’essere un ossimoro, è in realtà un modo per dire che anche i crediti anomali possono dare luogo a profitti e che non vengono più visti solo come fonte di perdite. II Si approfondirà poi attraverso un’intervista proposta all’Amministratore Delegato di UGC Banca alcuni aspetti di pratica attualità del mercato degli NPLs e dell’evoluzione organizzativo-strutturale nella logica di aggregazione e fusione del Gruppo Unicredit. Si può affermare che le tre parti di questo lavoro sono legate da un filo conduttore rappresentato dalla forza innovativa che Basilea 2 ha introdotto nel sistema bancario e i rapporti tra banca e impresa. Il sistema bancario si è trovato ad affrontare problematiche complesse, quali la valutazione del rischio operativo, la necessità di introdurre un sistema di rating efficiente, quella di programmare interventi sui sistemi informatici e, soprattutto, la necessità di porre in atto cambiamenti organizzativi nel processo di erogazione del credito. Si tratta di cambiamenti sostanziali che, aggiunti a quelli verificatisi attraverso la concentrazione nel settore bancario che ha portato alla nascita in tempi relativamente brevi di grandi gruppi che hanno assorbito in buona parte le realtà locali, hanno provocato una vera e propria trasformazione del sistema finanziario. III CAPITOLO 1 1.1 I rischi dell’attività bancaria: sua evoluzione nell’ambito dell’intermediazione finanziaria L’attività d’impresa ha costantemente presente in sé un senso di aleatorietà, dato che il risultato di un’operazione o di un complesso di operazioni misurato ex-post, può essere diverso da quello atteso ex-ante1. Un’attività finanziaria si basa sul trasferimento nel tempo e/o nello spazio di elementi come la moneta e il credito soggetti alla possibilità di subire modifiche nel loro valore: c’è la possibilità che la moneta perda potere di acquisto facendo rientrare capitali svalutati; il debitore può dimostrarsi insolvente quando è chiamato a restituire il contante o consegnare titoli, oppure ritardare il pagamento o la consegna; possono verificarsi smarrimenti o furti e c’è la possibilità di errori o malfunzionamenti nelle procedure informatiche che regolano i trasferimenti. Questi rischi possono rappresentare ciò che viene indicato come rischio monetario, di credito, finanziario e infine operativo, e possono essere classificati come rischi speculativi e puri. Nel tempo la presenza del rischio è stata costante nell’attività degli intermediari e in modo particolare delle banche, riflettendo le caratteristiche proprie dell’attività da essi svolta. Si mettono così in evidenza i concetti di rischio di credito come rischio tipico di questa attività e quello di rischio di liquidità connesso prevalentemente allo svolgimento della funzione monetaria; liquidità significa capacità di fronteggiare senza interruzioni il flusso corrente delle uscite, e quindi procurare un’adeguatezza delle entrate correnti rispetto ai flussi in uscita2. In passato tali rischi sono stati considerati come tipici dell’attività bancaria, dai quali ci si poteva coprire con approfondite analisi di fido e mediante una oculata gestione della liquidità. Dunque veniva considerata sana e prudente quella gestione che accantonava la giusta misura di fondi a fronte della svalutazione dei crediti, e che creava riserve libere rappresentate solitamente da un buon 1 2 Rocco Corigliano, L’intermediazione finanziaria – Rischi e controlli, Bononia University Press. Giancarlo Forestieri, Paolo Mottura, Il sistema finanziario, Edizioni Egea 2005. 1 portafoglio di titoli pubblici e da depositi di moneta presso la Banca Centrale (riserve di prima e seconda linea)3. All’equilibrio patrimoniale (cioè la capacità gestionale di mantenere con continuità una adeguata eccedenza del valore dell’attivo rispetto a quello del passivo, cioè un capitale netto di dimensioni coerenti con i rischi assunti) di una banca si lega con particolare rilievo anche il concetto di solvibilità che ha, appunto, come riferimento principale le quantità economiche cioè i valori dell’attivo e del passivo, anziché le quantità finanziarie (flussi di cassa, riserve, ecc.)4. Si può dire che sussiste una condizione di solvibilità quando il valore effettivo dell’attivo è superiore a quello nominale del passivo: si può dire allora che la banca è solvibile, in quanto in grado di far fronte al proprio indebitamento in senso economico. Talvolta si tende a confondere la nozione di solvibilità e quella di liquidità ritenendo che i due concetti coincidano: in realtà, una verifica sostanziale della diversità delle due nozioni emerge dalla constatazione che una banca solvibile non è necessariamente liquida e, al contrario, una banca liquida non è necessariamente solvibile. Nonostante la diversità, i due concetti sono strettamente legati e interdipendenti. Qualora si verificasse che l’attivo di una banca (prestiti, titoli) si svalutasse al punto da non coprire più il passivo, arrivando quindi ad intaccare i mezzi propri, i depositanti potrebbero temere di non recuperare i propri depositi e quindi essere indotti a chiederne il rimborso in misura superiore rispetto alla media storica (funding risk). Questo timore innesca una dinamica che, prima o poi, e in assenza di sostegni esterni (Banca Centrale, altri istituti bancari), può portare ad una crisi di liquidità sistematica che successivamente si può tradurre in una crisi di solvibilità. Infatti, le entrate conseguenti all’estinzione e alla liquidazione delle attività, processi necessariamente lenti, non sono in grado di sostenere il flusso delle uscite e le riserve si estinguono rapidamente. Nello stesso modo, una banca non liquida è in genere costretta ad azioni di cessione/liquidazione delle attività (titoli, prestiti) e, per motivi evidenti di urgenza, realizza valori inferiori a quelli di libro (market liquidity risk): l’accumulazione di tali minusvalenze mette evidentemente a rischio la solvibilità della banca. Quanto detto, spiega come la situazione di solvibilità che è un concetto squisitamente patrimoniale, pur non identificandosi di 3 4 Giancarlo Forestieri, Paolo Mottura, Il sistema finanziario, Edizioni Egea 2005. Id. 2 per sé con l’equilibrio finanziario, ne è in realtà un essenziale presupposto. Si vede, perciò, come esistano fra equilibrio patrimoniale ed equilibrio finanziario strette relazioni di interdipendenza che coinvolgono anche il profilo dell’adeguatezza del capitale proprio. Con riferimento alle attività caratteristiche degli intermediari finanziari, assume particolare rilevanza il rischio di mercato. Con esso ci si riferisce al rischio che le variazioni dei prezzi tipici dei mercati finanziari possano influire sul risultato economico della gestione5. Il rischio di mercato si può ulteriormente suddividere in: rischio di tasso di interesse; rischio di tassi di cambio; rischio prezzi – solitamente quotazioni – dei valori mobiliari e di altre attività finanziarie negoziabili, diverse dalla valuta. Svolgendo l’attività di negoziazione in proprio dei valori mobiliari, si possono generare guadagni o perdite in conto capitale a seconda che il prezzo di vendita sia superiore o inferiore al prezzo di acquisto (o di carico). La somma algebrica dei guadagni o delle perdite in conto capitale, denominata risultato di negoziazione titoli, è una significativa componente del risultato di reddito del periodo. Al momento della redazione del bilancio, sui titoli presenti in portafoglio si formano invece plusvalenze o minusvalenze a seconda del fatto che i prezzi di mercato siano superiori o inferiori ai prezzi originari di acquisto o ai rispettivi prezzi di carico. Infatti i prezzi di carico potrebbero differire dai prezzi di acquisto originari se, in tempi precedenti, sono state effettuate rivalutazioni o svalutazioni dei titoli considerati. Qualora in sede di redazione del bilancio, la valutazione dei titoli segua il criterio del valore di mercato, queste plusvalenze e minusvalenze concorrono alla formazione del risultato economico di periodo. Le variazioni dei prezzi di mercato dei titoli hanno influenza sull’ammontare del risultato da negoziazione e determinano l’entità delle plusvalenze/minusvalenze dei titoli presenti in portafoglio. Le variazioni dei prezzi dei titoli (sia di quelli ceduti in corso di esercizio che di quelli presenti in portafoglio al termine dell’esercizio) determinano variazioni del 5 Giancarlo Forestieri, Paolo Mottura, Il sistema finanziario, Edizioni Egea 2005. 3 valore economico del patrimonio netto, definendo questo come la differenza tra il valore dell’attivo e il valore del passivo, includendovi pure l’utile di esercizio. Questa circostanza è molto importante e non priva di conseguenze. Quando si afferma che un intermediario è solvibile significa, in effetti, che il valore delle attività supera quello delle passività. I motivi che possono determinare le più ingenti perdite di valore delle attività per gli intermediari sono costituite dalle perdite su crediti e dall’abbassamento dei prezzi dei titoli posseduti. Non volendo considerare il caso estremo dell’insolvenza, ci sono altre conseguenze che derivano dalla diminuzione dei prezzi dei titoli in portafoglio. Ad esempio, un fabbisogno di liquidità imprevisto può costringere a smobilizzare una quota dei titoli detenuti. In questo caso il rischio di prezzo consiste nell’eventualità che i prezzi di mercato dei titoli smobilizzati siano inferiori ai prezzi di carico, con conseguenti perdite da negoziazione. Ancora, la capacità di contrarre nuovi debiti è influenzata dal valore di mercato del portafoglio titoli. Gli eventuali finanziatori (anch’essi intermediari finanziari) tendono a valutare il patrimonio netto del debitore facendo riferimento ai valori correnti delle attività e considerando i rischi di possibili deprezzamenti futuri. Un intermediario che abbia subito sensibili deprezzamenti di portafoglio, o che risulti particolarmente esposto al rischio di variabilità dei prezzi, può incontrare difficoltà a contrarre nuovi debiti o può essere costretto ad accettare condizioni più onerose. Per ciò che riguarda il rischio di interesse, bisogna evidenziare che le variazioni dei tassi di mercato influenzano sia il risultato delle attività di intermediazione creditizia, cioè il margine di interesse, come anche il prezzo delle obbligazioni e degli altri titoli di debito presenti nel portafoglio6. Volendo puntualizzare il concetto del rischio in esame, si può dire che esso consiste nell’eventualità che l’andamento dei tassi di mercato abbia come conseguenza variazioni divergenti del rendimento medio degli impieghi e del costo medio della raccolta, con conseguenti ripercussioni sul margine di interesse; infatti le variazioni dei tassi di interesse correnti, in determinate condizioni di struttura finanziaria dell’attivo e del passivo, imprimono volatilità al margine di interesse. Il rischio di interesse scaturisce dalla presenza in bilancio di un disallineamento riguardante: 6 Giancarlo Forestieri, Paolo Mottura, Il sistema finanziario, Edizioni Egea 2005. 4 la scadenza delle attività e delle passività e le relative condizioni di rinnovo, quando siano previste contrattualmente; ad esempio, finanziando operazioni di impiego a sei mesi con raccolta a tre mesi, è chiaro che dopo tre mesi occorre effettuare una nuova operazione di raccolta; qualora nel frattempo i tassi di mercato fossero aumentati, il margine sull’operazione si restringerebbe, mentre andrebbe ampliandosi in caso di diminuzione (rischio di rifinanziamento); le condizioni di rivedibilità dei tassi; esaminando attività/passività a tasso contrattualmente rivedibile prima della scadenza si possono rilevare i seguenti casi di mismatching: provvista a tasso fisso e impieghi a tasso indicizzato, o viceversa; provvista e impieghi indicizzati a parametri differenti. A tal proposito, c’è la possibilità che i flussi di interesse dei contratti di finanziamento e di provvista possano essere convertiti da un regime di tasso fisso a uno di tasso variabile o viceversa, ricorrendo a contratti di interest rate swap; la possibile esistenza nell’ambito dei conti “impegni e rischi” (fuori bilancio o sotto la riga), di contratti interest rate future che modificano le situazioni di allineamento o di disallineamento. Ad esempio, il rischio di tasso implicito nella detenzione di un’attività a tasso fisso (posizione lunga, cioè acquisto a termine di titoli) può essere compensato con la vendita (posizione corta, cioè vendita a termine di titoli) di un contratto di interest rate future, del tipo BTP future, per equivalenti importo e scadenza. Dunque, per misurare l’esposizione al rischio di tasso di interesse, è necessario fare un’analisi delle condizioni contrattuali che disciplinano la rinegoziabilità dei tassi in relazione al complesso degli impieghi e della raccolta in essere. Per le banche che intrattenevano rapporti con l’estero poteva anche emergere un rischio di cambio che subiva però il controllo delle autorità valutarie, impedendo alle banche agenti di assumere posizioni in valuta7. Possiamo osservare che le plusvalenze o minusvalenze sulle posizioni valutarie sono potenziali o, come si dice, non realizzate. Soltanto con la loro estinzione e conseguente conversione in euro, esse determinano corrispondenti e definitivi guadagni o perdite in cambi. Quindi, la valorizzazione in euro delle posizioni in valuta è un’informazione provvisoria suscettibile di mutamenti in relazione a successive nuove variazioni dei tassi di cambio. 7 Giancarlo Forestieri, Paolo Mottura, Il sistema finanziario, Edizioni Egea 2005. 5 Al momento della formazione del bilancio, che ovviamente sarà redatto in euro, tutte le posizioni in valuta vengono valorizzate ai tassi di cambio correnti e quindi contabilizzate, con la conseguente evidenziazione in conto economico di plusvalenze/minusvalenze, per differenza rispetto al valore di carico delle medesime posizioni. Volendo inquadrare il rischio di cambio nella dinamica delle strutture e dei flussi finanziari dell’intermediazione creditizia è importante considerare il ruolo gestione della tesoreria. In linea di principio, l’acquisto di attività in valuta (investimento) è finanziato dall’emissione di passività (indebitamento) nella stessa valuta: in altri termini dovrebbe apparire normale e fisiologico che l’attività di intermediazione venga riferita alla stessa valuta. E’ da notare che in questo caso e prescindendo dalle scadenze, le posizioni in cambio verrebbero ad assumere comunque un’importanza marginale, dato che sarebbero limitate al margine di interesse in valuta. Quindi la formazione di posizioni nette in valuta è prevalentemente determinata dal fatto che l’intermediario, per motivi di convenienza e opportunità, finanzia frequentemente le attività in una data valuta mediante l’emissione di passività in valuta diversa. Questo significa necessariamente che la valuta di raccolta viene convertita nella valuta di impiego mediante operazioni di compravendita sul mercato del cambio. Tali operazioni vengono a determinare trasferimenti dalla tesoreria della prima valuta a quella della seconda, e sono ispirate da logiche di convenienza economica riferite soprattutto alle aspettative di andamento comparato dei tassi di interesse e dei tassi di cambio delle singole valute. Il rischio operativo che, sostanzialmente, si identifica nel complesso dei rischi connessi con il regolare funzionamento dell’impresa, non è, in realtà, di per sé un rischio tipico e caratteristico dell’intermediazione finanziaria8. Premesso questo, esso può diventare “caratteristico” per tale intermediazione considerando che il Comitato sulla Vigilanza Bancaria costituito presso la Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea ha valutato che il rischio operativo9 potesse avere un impatto particolarmente significativo sulla stabilità delle banche e lo ha quindi incluso fra i parametri che concorrono ad accertare le condizioni di adeguatezza 8 Giancarlo Forestieri, Paolo Mottura, Il sistema finanziario, Edizioni Egea 2005. Eugenio Pavarani, L’equilibrio finanziario – Criteri e metodologie nella logica di Basilea 2, Edizioni McGraw-Hill 2006. 9 6 patrimoniale. Questo nel contesto della regolamentazione del primo pilastro del Nuovo Accordo sul Capitale, dedicato appunto alla definizione ed al calcolo dei requisiti patrimoniali minimi10. I rischi operativi derivano da: profili interni dell’organizzazione aziendale: inadeguatezza e/o disfunzione delle procedure, per esempio, di protezione dei dati, di prevenzione delle frodi informatiche, di controllo interno; insufficienza o inadeguatezza delle risorse umane cui possono conseguire comportamenti non professionali e fraudolenti; possibili arresti e disfunzioni dei sistemi hardware e software; situazioni di responsabilità aziendale verso i clienti determinate da: performance dei servizi e prodotti offerti (trattasi di un rischio di product liability riferibile ai prodotti e servizi di investimento); comportamenti infedeli dei dipendenti (frodi a carico di clienti); altri rischi legali; situazioni di rischio reputazionale, quando comportamenti e prestazioni dell’intermediario deludono estese classi di clientela e intaccano perciò l’avviamento e la reputazione dell’intermediario e danno luogo a estese controversie legali (risarcimenti danni ecc.); possibili eventi esogeni che mettono a repentaglio il funzionamento dell’azienda: furti, frodi informatiche, fatti catastrofici, distruzione degli archivi, cancellazione delle memorie informatiche, interruzione dei processi informatici. A questa visione, che potremo definire cristallizzata, dei rischi bancari si è sostituita nel tempo una osservazione più dinamica che considera la necessità di valutare non tanto i rischi della singola operazione ma piuttosto quelli dell’intero portafoglio di prestiti11. Si evidenzia così la necessità di collegare operazioni con caratteristiche differenti al fine di ridurre sia i rischi di insolvenza, tenendo conto che diversi settori di attività hanno differenti esposizioni alla congiuntura negativa, che quelli di ritardato rimborso prevedendo i flussi di cassa delle imprese finanziate, stabilizzando così i flussi finanziari della banca. Emerge così il principio della diversificazione, ampiamente utilizzato nella teoria del portafoglio, che, come abbiamo visto, analizza i rischi dell’intero portafoglio prestiti. 10 Eugenio Pavarani, L’equilibrio finanziario – Criteri e metodologie nella logica di Basilea 2, Edizioni McGraw-Hill 2006; Roberto Ruozi, Economia e gestione della banca, Edizione Egea 2006. 11 Rocco Corigliano, L’intermediazione finanziaria – Rischi e controlli, Bononia University Press. 7 Queste considerazioni si rifanno ad un contesto storico nel quale non si sentiva la necessità di coprire l’esposizione al rischio con dotazioni patrimoniali. Nel tempo emergono regole che stabiliscono un minimo di capitale proprio per la costituzione di un’impresa e norme di vigilanza prudenziale che mirano a valorizzare il ruolo del patrimonio come elemento di equilibrio a fronte dei rischi dell’intermediazione. Si fa strada il concetto dell’attività di banca come attività d’impresa, e il patrimonio è considerato come una variabile strategica nella gestione degli intermediari finanziari, da rapportare non solo alla produzione di profitto per gli azionisti, ma anche ai rischi assunti e a quelli futuri12. Alla visione dinamica dei rischi si aggiunge la necessità di procedere ad un’analisi congiunta dell’attivo e del passivo patrimoniali, per valutare sia la congruità dei tassi applicati sulla raccolta e sugli impieghi, che le implicazioni sulla liquidità che scaturiscono dai diversi flussi finanziari in entrata e in uscita. Nel decennio a cavallo degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso viene emergendo il fenomeno della disintermediazione, con perdita di quote di raccolta e impieghi da parte del mondo bancario a favore di altri operatori, e quello della volatilità dei mercati finanziari, connesso allo sviluppo del circuito di scambio diretto. In tale contesto viene promossa la politica dell’asset and liability management (ALM)13 che mira alla gestione integrata dell’attivo e del passivo bancari, al fine di governare congiuntamente rischi finanziari ed economici, tutelandosi principalmente dalle brusche variazioni dei tassi di interesse e di cambio. Particolare importanza in questo contesto assume la gestione della liquidità. Si passa dalla semplice gestione della tesoreria – cioè aggiustamento delle posizioni di avanzo/disavanzo di cassa, solitamente movimentando le riserve libere (approccio contabile-amministrativo) – ad una vera e propria opera di pianificazione finanziaria, finalizzata a mutare la gestione di flussi finanziari in opportunità di realizzare profitti, attraverso l’uso economico delle eccedenze di liquidità previste, da prodursi anche sulla base delle previsioni dell’andamento dei tassi (approccio dinamico-speculativo). 12 13 Roberto Ruozi, Economia e gestione della banca, Edizione Egea 2006. Id; Rocco Corigliano, L’intermediazione finanziaria – Rischi e controlli, Bononia University Press. 8 La positiva presenza dell’ALM si rafforza con il contemporaneo sviluppo dell’attività di intermediazione mobiliare svolta dalle banche sia per conto proprio sia per conto di terzi. Si assiste ad una accresciuta circolazione di titoli, che non sono più solo titoli pubblici. Si va accentuando il fenomeno della volatilità sui mercati finanziari, che produce un maggior peso del rischio di mercato (riferito ai tassi di interesse e di cambio). Questo fenomeno ha fatto comprendere la necessità di spingere la ricerca a concentrare gli studi sulla misurazione e copertura dei rischi (Value at risk, VAR), e le autorità di vigilanza ad intervenire per sviluppare una piena consapevolezza nell’assunzione dei rischi assunti da parte degli intermediari finanziari ed esaltando l’importanza del patrimonio come presidio più sicuro contro le perdite inattese14. Il progresso dell’evoluzione del concetto di rischio connesso all’applicazione del VAR (con la stima della misura massima delle perdite a date condizioni) e all’introduzione dei requisiti patrimoniali legati genericamente al concetto di rischio, ha portato all’emersione del risk management15. Esso può essere definito come l’insieme delle metodologie e dei processi che mirano a misurare dettagliatamente i rischi di tutti i rapporti nei quali si realizza l’intermediazione finanziaria, individuando l’impiego più efficiente del capitale, considerati certi obiettivi di profitto. Si può aggiungere che il risk management comprende anche le tecniche usate per gestire i rischi e per decidere una loro cessione in caso di necessità. Tutti gli sviluppi appena accennati, congiuntamente alla sempre importante rilevanza del rischio di credito nell’attività bancaria, hanno comportato l’esigenza di connettere la misurazione e il controllo integrato dei rischi con la dotazione di capitale ha portato alla stesura della nuova normativa sui requisiti patrimoniali, conosciuta come Nuovo Accordo di Basilea (Basilea 2) che tende tra l’altro a superare le discrepanze emerse dall’applicazione del primo Accordo del 1988, che imponeva regole indiscriminate per tutti gli intermediari e con una misura approssimativa della rischiosità degli impieghi16. 14 Giancarlo Forestieri, Paolo Mottura, Il sistema finanziario, Edizioni Egea 2005; Rocco Corigliano, L’intermediazione finanziaria – Rischi e controlli, Bononia University Press. 15 Giacomo De Laurentiis, Stefano Caselli, Miti e verità di Basilea 2, Edizioni Egea 2004. 16 Giancarlo Forestieri, Paolo Mottura, Il sistema finanziario, Edizioni Egea 2005; Rocco Corigliano, L’intermediazione finanziaria – Rischi e controlli, Bononia University Press. 9 1.2 Il rischio di credito: definizione e gestione in Basilea 2 Si può affermare che il rischio di credito sia, tra quelli che affronta la banca, il più importante quantitativamente17, perché connesso con lo svolgimento dell’attività tipica di banca, sia per quanto riguarda la concessione di credito che come attività di investimento in titoli di debito emessi dalle imprese. Alla luce delle attuali misure legislative18 l’attività che può svolgere una banca si è ampliata considerevolmente, e con essa sono aumentati i rischi che essa corre. E’ quindi indispensabile che la banca si doti di un patrimonio che le consenta di fronteggiare i rischi che va assumendo. Con l’Accordo sul Capitale introdotto nel 1988 dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, noto come Basilea 1, nasce il concetto di adeguatezza patrimoniale. A proposito del Comitato di Basilea, è opportuno ricordare che esso è un ente preposto alla vigilanza bancaria fondato nel 1975 dai governatori delle Banche Centrali del cosiddetto Gruppo dei Dieci o G10 (che comprende, tra gli altri, i grandi paesi europei, la Svizzera, il Giappone, il Canada e gli Stati Uniti).19 Esso si riunisce presso la Banca dei Regolamenti Internazionali a Basilea e predispone degli “accordi” che, tuttavia, non hanno valore nei singoli paesi se non dopo essere stati recepiti dalle rispettive autorità nazionali. Il suo compito è quello di proporre linee guida e raccomandazioni in materia di vigilanza con lo scopo di garantire una maggiore stabilità del sistema bancario e, inoltre, armonizzare le procedure di vigilanza e le condizioni di competitività delle banche dei vari paesi aderenti. Quindi, come detto, le sue proposte devono essere poi recepite normativamente dai singoli Paesi membri20. L’Accordo, che il Comitato aveva immaginato per le banche attive a livello internazionale dei Paesi del cosiddetto G10, è stato adottato in realtà da oltre 100 Paesi anche nei confronti delle banche operanti a livello domestico. Con l’Accordo concluso nel 1988 (Basilea 1) si prescriveva un requisito patrimoniale minimo obbligatorio dell’8% rispetto alle attività della banca ponderate per fattori di rischio standard definiti dalla stessa normativa. Si indicava, 17 Rocco Corigliano, L’intermediazione finanziaria – Rischi e controlli, Bononia University Press. TUB 1993 (D.lgs. 385/1993), D.lgs. 415/1996 recepito dal TUF 1998 (D.lgs. 58/1998). 19 Giacomo De Laurentiis, Stefano Caselli, Miti e verità di Basilea 2, Edizioni Egea 2004. 20 Id. 18 10 quindi, un “coefficiente di solvibilità” che era una evoluzione dei “coefficienti dimensionali” che imponevano un requisito minimo di patrimonio rispetto al totale delle attività (non ponderate per il rischio) e che avevano mostrato grossi limiti in quanto inducevano le banche ad aumentare le componenti più rischiose dell’attivo (per aumentare i ricavi a parità di dimensione dell’intermediazione), con il risultato che si accrescevano i rischi assunti anziché limitarli21. Il coefficiente di solvibilità era chiamato a salvaguardare la stabilità delle singole banche e del sistema bancario. Questo schema, alla luce di quanto appena detto, è stato criticato e, alle soglie del nuovo millennio, è stato proposto un nuovo schema di regolamentazione prudenziale. Infatti il Comitato di Basilea nel giugno del 1999 ha pubblicato un documento intitolato “A New Capital Adequacy Framework”, che mirava a sostituire il precedente accordo del 1988. Questo documento è stato attentamente studiato da banche, associazioni di categoria, centri di ricerca, agenzie di rating, vari studiosi. In seguito ai commenti emersi da questi studi, nel gennaio del 2001, il Comitato proponeva un secondo documento sulla regolamentazione del Capitale (The New Basel Capital Accord) contenente le nuove regole in tema di vigilanza e di adeguatezza del Capitale bancario. In seguito è stata apportata una revisione nel giugno del 2004, e la più recente stesura dell’accordo (Nuovo Accordo) è datata novembre 2005. Esso trova applicazione in Italia dal primo gennaio 2007. Il nuovo schema di adeguatezza patrimoniale previsto nel Nuovo Accordo è caratterizzato da una maggiore sensibilità al rischio ed è più completo e preciso soprattutto in merito all’individuazione, alla misurazione e alla gestione dei rischi assunti dalle banche. Le novità riguardano principalmente la regolazione del capitale minimo detenuto dalle banche per fronteggiare i rischi connessi alle loro attività, e cioè ai predetti rischio di credito, di mercato e operativo. Inoltre viene concessa alle banche la possibilità di usare un proprio sistema di rating interno per attribuire un giudizio sul merito creditizio della propria clientela e 21 Giacomo De Laurentiis, Stefano Caselli, Miti e verità di Basilea 2, Edizioni Egea 2004; Eugenio Pavarani, L’equilibrio finanziario – Criteri e metodologie nella logica di Basilea 2, Edizioni McGrawHill 2006. 11 quindi valutare il requisito patrimoniale necessario a fronteggiare il rischio di credito22. Il Nuovo Accordo amplia le categorie di rischio che le banche sono tenute a definire e gestire; al fine della valutazione del capitale minimo obbligatorio delle banche i rischi da considerare sono il rischio di credito, i rischi di mercato e – come novità – il rischio operativo, che vengono determinati con l’applicazione della seguente formula: K ≥ 8% Ac + [(M + O) x 12,5] Dove: - K = patrimonio di vigilanza totale; - Ac = attività ponderate per il rischio di credito; - M = requisito patrimoniale a fronte dei rischi di mercato; - O = requisito patrimoniale a fronte del rischio operativo. Cercando di approfondire, il rischio di credito è quello connesso a perdite a causa dell’incapacità della controparte di far fronte agli obblighi assunti nei confronti della banca, sia con il mancato pagamento degli interessi che della quota capitale. Come detto poc’anzi il rischio di credito si verifica ogni qualvolta ci sia un rapporto debitorio tale che preveda un impegno di pagamento a favore della banca che, qualora non onorato, può tradursi in perdita. Trattando di questi argomenti, si fa un uso frequente del termine “Default”23. In effetti questo evento è stato definito in modo specifico da Basilea 2, e non è assimilabile a nessuno dei concetti tradizionalmente utilizzati in banca o in giurisprudenza, quali insolvenza, passaggio ad incaglio, passaggio a sofferenza. Sinteticamente, e anticipando quanto ripeteremo più avanti, si può dire che sia in default il debitore per il quale si verifichino uno o entrambi i seguenti eventi: 1) la banca consideri improbabile che il debitore onori per intero i suoi debiti, senza tenere conto delle azioni di recupero che la banca può porre in essere; 22 Giacomo De Laurentiis, Stefano Caselli, Miti e verità di Basilea 2, Edizioni Egea 2004; Eugenio Pavarani, L’equilibrio finanziario – Criteri e metodologie nella logica di Basilea 2, Edizioni McGrawHill 2006. 23 Id. 12 2) il debitore sia moroso da oltre 90 giorni su una qualunque esposizione (in Italia il periodo è dilatato a 180 giorni, per un periodo transitorio di cinque anni, tenendo conto che nel nostro paese i termini di pagamento dei crediti commerciali sono più lunghi e determinano un ritardo generalizzato nella gestione delle scadenze. Tornando al concetto di rischio e alla sua definizione, per essere più precisi, consideriamo le seguenti due possibilità: Innanzitutto il rischio di credito si collega al rischio di subire perdite per l’insolvenza del debitore, sia in merito alla restituzione del capitale prestato (rischio economico), sia in merito al pagamento degli interessi pattuiti (rischio finanziario). In questa ipotesi il rischio consiste nell’eventualità che il debitore, sia che si tratti di un’impresa mutuataria che di una società emittente titoli di debito, abbia a fallire prima della scadenza del prestito, e non riesca perciò a tenere fede alle obbligazioni assunte in relazione al proprio debito. Per la banca la perdita che scaturisce a seguito del fallimento del debitore viene definita come “Loss in the Event of Default”, oppure Loss Given Default (LGD). Inoltre il rischio di credito si configura anche nell’eventualità di subire delle perdite a causa del deterioramento della qualità delle controparti contrattuali. Questa situazione viene denominata “Downgrading”, ed è una definizione che scaturisce dalle valutazioni delle società di rating. In questo caso il rischio per la banca sta nella possibilità di subire una diminuzione di valore di una attività detenuta in portafoglio. A causa del downgrading, il debito diventa più rischioso e di conseguenza il tasso di interesse più adeguato per scontare i futuri flussi di cassa ancora da ricevere, risulta maggiore di quello fissato alla stipula del contratto. In seguito all’aumento del rischio e del tasso di attualizzazione più appropriato il valore attuale dell’attività detenuta nel portafoglio diminuisce (tale perdita, in realtà, si realizza solo quando e se l’attività viene ceduta sul mercato). Bisogna precisare che il deterioramento dello standing creditizio non significa automaticamente insolvenza del debitore, ma semplicemente un aumento della probabilità del suo fallimento. Conseguenze del downgrading sono: 13 1. maggiori tassi di interesse sulle eventuali future emissioni di titoli di debito da parte del debitore; 2. diminuzione del valore di mercato delle eventuali azioni emesse dal debitore; 3. declassamento del debitore da parte delle agenzie di rating la cui valutazione rappresenta la qualità dei titoli di debito da esso emessi. Da quanto detto emerge che la banca può incontrare perdite per effetto del mancato pagamento del capitale e degli interessi quando il debitore fallisce, e anche a causa della riduzione del valore di un’attività tenuta in portafoglio in seguito ad un downgrading del debitore. Quindi se il debitore fallisce il rischio di credito è dato dalla perdita che la banca potrebbe sopportare in seguito a tale evento. Percentualmente, quindi, tale perdita viene definita, come sopraccitato, Loss Given Default – LGD. Preventivamente (ex-ante) la somma della perdita che la banca corre il rischio di subire in caso di fallimento del debitore è a sua volta legata a tre eventi futuri ed incerti: A) insolvenza e/o fallimento del debitore; tale probabilità (PD) è difficilmente quantificabile (Default Risk), per quanto gli studi e le applicazioni più recenti abbiano reso più agevoli questi conteggi; B) ammontare dell’esposizione creditizia in caso di fallimento del debitore (Exposure Risk); infatti il valore dell’esposizione non è sempre definibile a priori. Possiamo pensare ad esempio ad un’apertura di credito in conto corrente per la quale la banca è impegnata a tenere a disposizione una cifra determinata, ma il cui effettivo utilizzo dipende dalla necessità del beneficiario e non è facilmente prevedibile a priori. Ai fini del rischio, infatti, ciò che conta non è tanto la somma disponibile quanto quella effettivamente utilizzata al momento del fallimento; C) somma effettivamente recuperabile in caso di fallimento (Recovery Risk). Anche questo dato non è facilmente prevedibile a priori essendo legato ad una 14 serie di eventi: la presenza di garanzie personali, garanzie reali (collaterals), la capacità negoziatrice della banca verso il debitore, la possibile presenza di clausole contrattuali che permettano alla banca di ricorrere ad azioni correttive qualora si verifichino determinati eventi rischiosi (covenants), l’esito delle procedure di liquidazione del patrimonio del debitore di cui sia stato dichiarato il fallimento. Considerato quanto sopra detto, si può sintetizzare il processo di quantificazione del rischio di credito come segue: 1) Ex post, il rischio di credito si può quantificare con la perdita totale in caso di fallimento (Total Loss Given Default – TLGD), che è legata a sua volta: all’ammontare di esposizione a rischio (Exposure at Default - EAD); alla percentuale recuperabile in caso di fallimento (Recovery - R). In caso di fallimento la perdita espressa percentualmente (Loss Given Default) è data dalla differenza (1 – R), dove R sta per Recovery. 2) Ex ante, il rischio di credito si misura dalla perdita attesa in caso di fallimento (Expected Loss – EL) che, oltre ai due fattori su esaminati, dipende anche dalla probabilità di fallimento (Probability of Default – PD). Dettagliatamente, la somma totale della perdita che la banca subisce in caso di fallimento del debitore (Total Loss Given Default – TLGD) si definisce tramite la differenza tra l’ammontare dell’esposizione creditizia a rischio (Exposure at Default – EAD) e la percentuale recuperabile (Recovery rate – R): TLGD = EAD – R. TLGD = EAD x (1 – R). Nell’equivalenza che segue, l’ammontare della perdita che si stima venga subita in caso di fallimento del debitore (Expected Loss – EL) risulta dalla combinazione di tre fattori analizzati in precedenza: la probabilità di default (PD), l’ammontare dell’esposizione creditizia (Exposure at Default – EAD) e il tasso di recupero (Recovery rate – R): EL = PD x EAD x (1 – R). 15 Figura n.1 – Schema sui parametri che definiscono la perdita attesa (Expected Loss) Probability of Default (PD) Total Loss Given Default (TLGD) Exposure at Default (EAD) Recovery Rate (R) Expected Loss (EL) Fonte: Rocco Corigliano, L’intermediazione finanziaria – Rischi e controlli, Bononia University Press Desiderando approfondire i contenuti del fattore PD ai fini della sua quantificazione, si può dire che il rischio di fallimento si può misurare nella probabilità che il debitore risulti insolvente nel corso di un determinato periodo di tempo. Tale probabilità è difficilmente quantificabile e così si desume dallo standing creditizio (o credit rating) del debitore, che a sua volta è legato ad una serie di fattori quali: 1) caratteristiche patrimoniali, economiche e finanziarie dell’impresa (financial profile), nonché la sua posizione sul mercato (business profile); 2) la dimensione del debitore; 3) la qualità del management. Lo standing creditizio (o credit rating) di un’impresa o semplicemente di un debitore scaturisce dalla valutazione della sua capacità di fronteggiare il servizio del debito e si considera come una misura riassuntiva della sua probabilità di default in un determinato periodo temporale24. Questa valutazione viene riassunta in un determinato punteggio definito con il termine di rating ed espresso con un determinato simbolo (ad esempio AAA), al quale si accompagna un’analisi diretta a chiarirne le motivazioni. In merito possiamo distinguere tra: 24 Giacomo De Laurentiis, Stefano Caselli, Miti e verità di Basilea 2, Edizioni Egea 2004; Eugenio Pavarani, L’equilibrio finanziario – Criteri e metodologie nella logica di Basilea 2, Edizioni McGrawHill 2006. 16 rating di un emittente , ovvero rating di controparte (Issuer Credit Rating) che fornisce una valutazione globale della solvibilità di un determinato soggetto (banca, azienda, ente pubblico); rating di un’emissione (Debt Rating) che valuta la rischiosità delle singole emissioni di debito. Occorre precisare che il rating dà una valutazione esclusivamente del rischio di credito, e non di altre tipologie di rischio come il rischio di mercato o il rischio operativo25. Esso misura la probabilità che in relazione ad una determinata emissione vengano pagati puntualmente il capitale e gli interessi. Considerando le imprese di grandi dimensioni, possiamo ricordare il rating prodotto da fonti esterne cioè le agenzie di rating specializzate che valutano i singoli titoli di debito emessi dalle imprese (Debt Rating). Si può aggiungere anche che le banche che si sono dotate di un proprio sistema interno di rating basato su principi di metodologia avanzata, lo usano per attribuire un punteggio ai loro clienti (rating degli emittenti) al fine di distinguerli in base alla loro maggiore o minore rischiosità. Si possono anche elaborare dei rating interni in relazione alle singole emissioni di debito (facilities). Comunque, sia che si tratti di rating degli emittenti o di singole emissioni, si nota una significativa correlazione fra i punteggi assegnati e le probabilità di fallimento stimate. In realtà ad ogni rating viene associata una certa probabilità di default (PD) che, non potendo essere fissata direttamente, si definisce in maniera indiretta attraverso l’uso delle serie storiche (historical statistics) dei fallimenti delle imprese incluse nelle varie categorie di rating. Dall’analisi di queste serie storiche si ottiene un “default rate” che si utilizza per rappresentare la probabilità di fallimento del debitore o di un suo titolo di debito emesso26. Questi dati sono pubblicati dalle maggiori agenzie di rating come ad esempio Moody’s, Standard & Poor’s e sono normalmente utilizzati all’interno delle banche, le quali però devono ottimizzare l’utilizzo stabilendo un legame tra le categorie di rischio considerate dalle agenzie e quelle utilizzate all’interno dai propri sistemi di rating (mapping problem). Il mapping si basa sul confronto dei criteri interni con 25 26 Giacomo De Laurentiis, Stefano Caselli, Miti e verità di Basilea 2, Edizioni Egea 2004. Id; Rocco Corigliano, L’intermediazione finanziaria – Rischi e controlli, Bononia University Press. 17 Ringraziamenti Ringrazio il Professor Flavio Pichler e il Dottor Andrea Paltrinieri per la paziente e cortese collaborazione e per il tempo che mi hanno concesso. Un pensiero particolare va al Dottor Dino Crivellari per il materiale di lavoro cui ho potuto accedere e agli amici di UGC Banca per avermi accolto con gentilezza e professionalità nel periodo dello stage. Ringrazio gli amici del “Centro”: “Betta” Albrigi, Davide Salvi per la loro continua disponibilità, Davi, Marco, le numerose Sara, Maddalena, e gli altri ragazzi e ragazze delle 150 ore con cui ho condiviso momenti splendidi. Con affetto ricordo i “Don” salesiani e in particolare Benini, Buffa e Maino, per i consigli, gli esempi di impegno, la simpatia che mi hanno accompagnato – non solo nello studio – durante il periodo del Don Bosco. Un pensiero affettuoso agli amici d’infanzia Giovanni, Carlo ed Elisabetta, per i momenti belli e difficili che abbiamo condiviso e alla dolce Silvia. Michele Il mio viaggio è finito, ma, come dice José Saramago: “…Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere in primavera quel che si era visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito.” quelli impiegati dall’agenzia di rating esterna. Le banche, quindi, devono porre a confronto le definizioni di default adottate e verificare che la quantificazione del rischio fatta dall’agenzia di rating sia orientata al merito creditizio del debitore e non alle caratteristiche dell’emissione. Dopo quanto detto sul concetto del rischio di credito e sui metodi di stima della probabilità di insolvenza del debitore, possiamo passare all’esame delle modalità di quantificazione e gestione del rischio di credito alla luce delle più importanti modifiche introdotte con il Nuovo Accordo di Basilea sul Capitale. Si può consultare lo schema seguente per una più chiara visione d’insieme schematica di quanto si dirà nel prosieguo. 18 Fonti di riferimento Bibliografia: - Roberto Ruozi, Economia e gestione della banca, Edizione Egea 2006. - Giancarlo Forestieri, Paolo Mottura, Il sistema finanziario, Edizione Egea 2005. - Pier Luigi Fabrizi, Giancarlo Forestieri, Paolo Mottura, Strumenti e servizi finanziari, Edizioni Egea 2006. - Giancarlo De Laurentiis, Stefano Caselli, Miti e verità di Basilea 2 – Guida alle decisioni, Edizioni Egea 2004. - Eugenio Pavarani, L’equilibrio finanziario – Criteri e metodologie nella logica di Basilea 2, Edizioni McGraw-Hill 2006. - Gianpaolo Luzzi, Marco Recchi, Guida alla gestione dei crediti in outsourcing – Tecniche di prevenzione, recupero e cessione, Edizione Il Sole 24 ore 2004. - Rocco Corigliano, L’intermediazione finanziaria – Rischi e controlli, Bononia University Press. - Claudio Porzio, Securitisation e crediti in sofferenza – Problemi gestionali, contabili e normativi nella recente esperienza italiana, Bancaria Editrice 2001. - Andrea Sironi, Michele Marsella, La misurazione e la gestione del rischio di credito – Modelli, strumenti e politiche, Bancaria Editrice . - Antonella Malinconico, Garanzie e Bank lending, Bancaria Editrice 2008. Sitografia: www.ugcbanca.it www.nonperformingloans.eu www.basilea2.com www.bancaditalia.it www.borsaitaliana.it www.securitisation.it Riviste: - Banche e banchieri. - Banche impresa e società. - Bancaria. Dispense: - Laboratorio crediti non performing – Facoltà di Economia – Università degli studi di Macerata tenuto dal Dott. Dino Crivellari. Articoli ed Interviste: - Dino Crivellari, Recupero crediti fra outsourcing e cartolarizzazione, Amministrazione & Finanza n.19/1999. - Dino Crivellari, Recupero crediti: dal contratto di servicing alla “business-line” bancaria, Amministrazione & Finanza n.20/1999. - Jacopo Dettoni, Bad loan, il mercato vale 220 miliardi, Finanza & Mercati 07/09/2007. - Jacopo Dettoni, Le sofferenze? Sono un buon business, Bloomberg Borsa & Finanza 21/03/2008. Figura n. 2 – Schema sulle modalità di misurazione e gestione del rischio di credito Credit Risk Management in banking (insieme delle attività dirette alla misurazione e gestione dei rischi finanziari della banca tra i quali emerge il rischio di credito, quale rischio quantitativamente più importante per l’attività bancaria) Rischio di credito Definizione In termini di default del debitore Misurazione Modelli interni di rating In termini di downgrading del debitore Modelli di Credit Risk Gestione Stima del capitale economico TLGD = EAD x (1 – R) Utilizzo di strumenti innovativi quali: -Securitisation -Credit derivatives Default Risk (PD) Exposure Risk (EAD) PD Recovery Risk (R) EL = PD x EAD x (1-R) Probabilità di fallimento Credit rating Fonte: Rocco Corigliano, L’intermediazione finanziaria – Rischi e controlli, Bononia University Press 19 1.2.1 Rischio di credito. Modalità di misurazione secondo l’Accordo di Basilea 2 Con il Nuovo Accordo sul Capitale si fa riferimento principalmente alla regolamentazione riguardante i requisiti patrimoniali che il sistema bancario deve soddisfare per fronteggiare i rischi della propria attività27. Queste proposte garantiscono un importante progresso verso una maggiore stabilità del sistema bancario ed una più incisiva ed efficace regolamentazione prudenziale in termini di adeguatezza patrimoniale, ricorrendo ad una più precisa individuazione dei rischi delle banche e delle metodologie di copertura. Essenzialmente viene richiesto un miglior raccordo tra i requisiti minimi patrimoniali richiesti alle banche e i rischi che queste assumono nello svolgimento della loro attività. Inoltre il Nuovo Accordo spinge le banche a ricercare e sviluppare procedure interne di gestione del rischio, con la previsione di un particolare metodo per il calcolo dei requisiti patrimoniali minimi, basato sull’uso dei rating interni (Internal Rating Based Approach – IRB). Con la riforma presentata dal Comitato di Basilea si è inteso mirare alla soluzione di problemi di inadeguatezza legati alla disciplina della dotazione del capitale minimo delle banche. L’Accordo sul Capitale previsto da Basilea 1 nel 1988 non tiene conto, tra l’altro, del diverso grado di rischio collegato: al merito creditizio delle varie imprese private che sono tutte sottoposte ad un uguale coefficiente di ponderazione per il rischio, pari al 100%; alla diversa durata della vita residua delle esposizioni creditizie, ai portafogli crediti, alle diverse politiche di copertura del rischio con il ricorso a garanzie e credit derivatives. Tali difficoltà hanno incentivato le banche ad effettuare operazioni di arbitraggio regolamentare, aumentando l’esposizione al rischio senza aumentare parallelamente il patrimonio di vigilanza. 27 Giacomo De Laurentiis, Stefano Caselli, Miti e verità di Basilea 2, Edizioni Egea 2004; Rocco Corigliano, L’intermediazione finanziaria – Rischi e controlli, Bononia University Press. 20 Il primo obiettivo della riforma è quello di armonizzare i criteri di misurazione dei requisiti adottati dalle autorità di vigilanza con quelli in uso presso le banche, al fine di eliminare il ricorso ad operazioni di arbitraggio regolamentare28. A questo scopo l’insieme delle proposte presentate contiene un esplicito riconoscimento dell’uso dei sistemi interni di rating utilizzati dalle banche per valutare il merito creditizio delle controparti. In seconda istanza la riforma ha come obiettivo quello di disciplinare più puntualmente il ruolo e i compiti delle autorità di vigilanza e del mercato, al fine di garantire un maggior equilibrio del sistema bancario e finanziario e per arrivare ad una maggiore trasparenza dell’attività delle banche nei confronti dei terzi29. La terza meta da raggiungere è quella di uniformare le condizioni competitive delle banche dei vari paesi (livelling the playing field)30. Il Nuovo Accordo di Basilea 2 si articola in tre grandi pilastri: 1° Pilastro: i requisiti patrimoniali minimi (Minimum Capital Requirements). 2° Pilastro: i processi di vigilanza su base individuale (Supervisory Review Process). 3° Pilastro: la disciplina del mercato (Market Discipline). Passando ad analizzare sinteticamente il contenuto dei tre pilastri notiamo che: nel primo pilastro si mira alla regolamentazione del capitale minimo richiesto alle banche a fronte dell’assunzione dei rischi assunti nello svolgimento delle loro attività. Il documento distingue innanzitutto tre tipi di rischi: i rischi di credito, i rischi di mercato ed un insieme di altri rischi raggruppati sotto la dizione di “operativi”, quali rischi tecnologici, legali, quelli derivanti da una non corretta operatività di processi interni, di persone e sistemi, oppure da eventi esterni, con esclusione dei rischi strategici e reputazionali. La previsione dei rischi operativi rappresenta una importante innovazione introdotta con il Nuovo Accordo; il secondo pilastro sottolinea l’importanza di un’attività di vigilanza che attraverso un controllo sostanziale e con l’uso di regole uniformi , approfondisca 28 Giacomo De Laurentiis, Stefano Caselli, Miti e verità di Basilea 2, Edizioni Egea 2004; Eugenio Pavarani, L’equilibrio finanziario – Criteri e metodologie nella logica di Basilea 2, Edizioni McGrawHill 2006. 29 Id. 30 Id. 21 anche su base individuale l’adeguatezza del patrimonio e dei processi gestionali delle singole banche in relazione alle loro particolari strategie. In particolare, si affida alle autorità di vigilanza il compito di valutare le tecniche di impiego del capitale adottati dalle banche, la loro adeguatezza patrimoniale e il rispetto degli standard prefissati; il terzo pilastro riguarda la trasparenza delle banche nei confronti del mercato. Si conferma l’importanza del mercato come regolatore dei sistemi capitalistici anche nel settore finanziario; si rende quindi necessaria una informativa più dettagliata sulla gestione bancaria, e, in particolare, sull’adeguatezza della loro patrimonializzazione, in grado di mettere il mercato nella possibilità di penalizzare le banche meno capitalizzate e di incentivarle ad assumere comportamenti più virtuosi. Si può passare ad una breve analisi degli elementi di novità riguardanti le misurazioni e la gestione del rischio di credito come sono previsti nel primo pilastro della riforma. Nel primo pilastro della riforma introdotto dal New Capital Accord vengono definiti i requisiti minimi di capitale che la banca deve osservare per fronteggiare i rischi di credito, di mercato e operativi collegati allo svolgimento della sua attività. Così come previsto nell’indicazione di Basilea 1, il Nuovo Accordo stabilisce che il coefficiente patrimoniale minimo deve essere pari all’8% del totale delle attività ponderate per il rischio. Dunque, riferendosi al solo rischio di credito il capitale minimo risulta dal seguente rapporto: Patrimonio di vigilanza a fronte del rischio di credito ≥ 8% Totale Attività ponderate per il rischio Come si è visto in precedenza, rispetto alla totalità dei rischi sopportati dalla banca si stabilisce il coefficiente patrimoniale minimo come risultato del seguente rapporto: 22 K ≥ 8% Ac + [(M + O) x 12,5] Ricordando, come visto sopra, che: - K = patrimonio di vigilanza totale; - Ac = attività ponderate per il rischio di credito; - M = requisito patrimoniale a fronte dei rischi di mercato; - O = requisito patrimoniale a fronte del rischio operativo. Esaminando il secondo rapporto si osserva che il Nuovo Accordo conserva invariata l’idea di base per determinare i coefficienti patrimoniali; il capitale minimo regolamentare, cioè, deve essere uguale o superiore all’8% delle attività ponderate per il rischio. In particolare, risulta che il patrimonio di vigilanza collegato al rischio di credito deve essere almeno pari all’8% dell’attivo ponderato. Per il rischio di mercato e il rischio operativo è necessario invece definire un patrimonio di vigilanza di misura tale che sia in grado di garantire la copertura delle perdite connesse. Anche nella recente normativa il capitale ai fini della vigilanza, ovvero degli aggregati di bilancio che possono essere considerati dalla banca come patrimonio valido a questi fini, viene distinto in due categorie: Patrimonio di Vigilanza di Base (Tier 1 capital); Patrimonio Supplementare (Tier 2 capital). Il primo comprende: = Capitale sottoscritto e versato + sovrapprezzo di emissione + riserve + gli strumenti innovativi di capitale + utile d’esercizio + filtri prudenziali positivi di patrimonio di base - azioni proprie - avviamento 23 - immobilizzazioni materiali - perdite d’esercizio e perdite pregresse - rettifiche di valore calcolate sul portafoglio di negoziazione ai fini di vigilanza - i filtri prudenziali negativi del patrimonio di base. A proposito dei filtri prudenziali, essi sono rettifiche positive o negative poste alla riserva di rivalutazione a fronte dell’applicazione dei nuovi principi contabili internazionali. Secondo tali nuovi principi (gli IAS-IFRS), infatti, alcune variazioni di fair value confluiscono in questa riserva piuttosto che transitare dal conto economico. Esiste anche un Tier 3 capital (debito subordinato con vita residua tra 2 e 5 anni) valido per i soli rischi di mercato sul portafoglio non immobilizzato. Il patrimonio di Vigilanza supplementare considera le riserve di rivalutazione più le passività subordinate e altri strumenti ibridi di capitale-debito, meno le minusvalenze su titoli. Possiamo ricordare che in materia di normativa di vigilanza, il testo di riferimento è la Circolare della Banca d’Italia n. 263 del 27 dicembre 200631. Tornando al rapporto che stabilisce il coefficiente patrimoniale minimo riferito alla totalità dei rischi bancari, esso risulta cambiato nel denominatore rispetto alle regole previste da Basilea 1, poiché si sono ampliati i coefficienti di ponderazione e i rischi considerati. Nel ponderare le attività per il rischio la riforma prende in considerazione diversi coefficienti di ponderazione e le succitate classi di rischio. Il patrimonio di vigilanza deve dunque avere dimensioni sufficienti ad assorbire le perdite che possono essere generate dalle suddette categorie di rischio. Le attività ponderate per il rischio (Risk Weighted Assets – RWA) risultano dalla somma degli elementi attivi di bilancio e fuori bilanci, ponderando ogni singola posta con opportuni pesi, i cosiddetti coefficienti di ponderazione, in funzione del diverso grado di rischio attribuito32. Più specificamente, la banca dovrà ponderare ogni singola posta sulla base di determinati coefficienti. Un’attività ponderata per il rischio si fissa moltiplicando la 31 In base al Titolo I Capitolo 2 di detta Circolare, il patrimonio rappresenta il primo presidio a fronte dei rischi connessi con la complessiva attività bancaria. Esso, inoltre, costituisce il principale parametro di riferimento per le valutazioni dell’autorità di vigilanza in merito alla solidità delle banche. Infatti, su di esso si fondano i più importanti strumenti di vigilanza prudenziale (requisiti patrimoniali e regole sulla concentrazione dei rischi). 32 Giacomo De Laurentiis, Stefano Caselli, Miti e verità di Basilea 2, Edizioni Egea 2004; Rocco Corigliano, L’intermediazione finanziaria – Rischi e controlli, Bononia University Press. 24 misura dell’esposizione correlata ad una certa operazione per il peso attribuito al rischio della stessa operazione (coefficiente di ponderazione). La gamma delle ponderazioni delle diverse attività è stata ampliata e resa più selettiva rispetto a quanto previsto dalla regolamentazione prudenziale messa in evidenza nell’Accordo di Basilea 1. Le principali novità di Basilea 2 rispetto al precedente Accordo per ciò che riguarda il trattamento delle componenti di rischio, si riferiscono alle cosiddette “tecniche di mitigazione del rischio” (sostanzialmente garanzie, compensazioni e derivati) ed è prevista anche la possibilità di avvalersi dei rating esterni emessi dalle agenzie riconosciute. Si fa riferimento a dodici categorie di esposizione on-balance sheet (ad esempio esposizioni verso stati sovrani, Banche Centrali, banche, imprese, clienti al dettaglio, ecc) per le quali viene prevista una gamma articolata di coefficienti di ponderazione che tiene conto della diversa tipologia dei soggetti finanziati e della scadenza dei diversi assets. Il Nuovo Accordo sul Capitale prevede nuove misure per la determinazione del rischio di credito e del rischio operativo. Per quanto riguarda il rischio di mercato, lo schema previsto dalla regolamentazione vigente rimane pressoché invariato. 1.2.2 Gli approcci per il calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito Per determinare il valore del requisito patrimoniale connesso al rischio di credito, il Comitato di Basilea 2, ha previsto due modalità o approcci: l’Approccio Standard (Standardized Approach); l’Approccio basato sull’utilizzo dei rating interni (Internal Rating Based Approach). L’Approccio Standard aggiorna quanto già veniva previsto nel precedente Accordo sul Capitale del 1988. Si prevede però un sistema più ampio di ponderazioni delle diverse esposizioni creditizie, riconoscendo in questo maggiore attenzione al grado di diversa rischiosità delle esposizioni delle varie categorie di debitori. In sintesi, l’approccio con il metodo standard si caratterizza per la circostanza di legare i coefficienti di ponderazione delle diverse esposizioni creditizie ai rating esterni delle agenzie internazionali di rating, e inoltre per la maggior importanza 25 che viene riconosciuta agli strumenti di copertura del rischio (Credit Risk Mitigation - CRM) attraverso l’utilizzo di garanzie, strumenti derivati e operazioni di compensazione33. A seconda della diversa rischiosità delle singole esposizioni, ricavata dai rating esterni assegnati, si applicano diversi coefficienti di ponderazione. A titolo di esempio, per ciò che riguarda le esposizioni verso le imprese e le compagnie di assicurazione, si possono trovare nella seguente tabella i nuovi coefficienti di ponderazione: Tabella n.1 – Coefficienti di ponderazione Valutazione Da AAA ad Da A+ ad A- Da BBB+ a < BB- per classi di AA- (classe di (classe di BB- (classi di (classi di merito merito 1) merito 2) merito 3-4) merito 5-6) 20% 50% 100% 150% (rating) Ponderazione Fonte: Rocco Corigliano, L’intermediazione finanziaria – Rischi e controlli, Bononia University Press Per le esposizioni non rated è previsto un coefficiente di ponderazione pari al 100%. Quanto maggiore è la rischiosità, peggiore è il rating esterno attribuito e maggiore è il coefficiente di ponderazione ad esso correlato. Di conseguenza maggiore è il coefficiente patrimoniale minimo che la banca deve garantire per singola esposizione. Con il secondo Approccio, cioè il metodo basato sui rating interni, si ha la possibilità per le banche che lo desiderano, di utilizzare i propri sistemi interni di rating allo scopo di stimare la qualità dei crediti e la determinazione del requisito patrimoniale minimo. 33 Antonella Malinconico, Garanzie e Bank lending, Bancaria Editrice. 26 La disciplina attuale prevede un uguale trattamento per i crediti verso le imprese, le banche e il settore pubblico. In questo caso, secondo il metodo previsto dal presente approccio le banche possono determinare il requisito patrimoniale minimo seguendo due metodologie: un approccio di base e uno avanzato. La differenza tra i due metodi sta nel diverso grado di autonomia attribuito alle singole banche nella determinazione degli input rilevanti nel calcolo dei requisiti patrimoniali. Per le esposizioni verso enti sovrani e banche centrali si possono anche usare i giudizi delle Export Credit Agencies, che hanno una loro scala e propri pesi. Secondo il sistema basato sui rating interni, ai fini della valutazione del rischio di credito e la determinazione dei requisiti patrimoniali occorre stimare una serie di parametri che rappresentano i caratteri fondamentali del sistema stesso: 1. probabilità di insolvenza dei debitori (Probability of Default – PD); 2. perdita percentuale in caso di default (Loss Given Default – LGD); 3. esposizione al rischio in caso di default (Exposure at Default – EAD); 4. durata residua dei prodotti (Maturity – M). Per ogni esposizione, la ponderazione al rischio viene determinata sulla base della stima dei suddetti parametri. Nel Nuovo Accordo di Basilea 2 vengono previste due metodologie: metodo di base (Foundation Approach) e metodo avanzato (Advanced Approach). Nell’Approccio Foundation l’autonomia riconosciuta alle banche riguarda la sola possibilità di stimare direttamente la sola PD, cioè la probabilità di insolvenza del debitore mentre i parametri relativi a LGD, EAD e M vengono forniti direttamente dalle autorità di vigilanza con l’osservanza di regole standardizzate. Nell’Approccio Advanced, invece, alle banche è riconosciuta la possibilità di stimare direttamente tutti i parametri citati, mentre le autorità di vigilanza si limiteranno a controllare le stime nella loro validità. Passiamo ad una analisi dei parametri che costituiscono il sistema dei rating interni: 27 1 – Probabilità di insolvenza – PD A prescindere dal tipo di approccio utilizzato, le banche dovranno fornire una stima della probabilità di insolvenza protratta nell’arco temporale di un anno riferita ai diversi debitori suddivisi per classi di rischio. Questa probabilità è soggetta ad un limite minimo dello 0,03%, eccezion fatta per le esposizioni verso i paesi sovrani per le quali tale limite non viene applicato. A questo proposito il Comitato provvede a fornire anche una definizione di insolvenza o default. Volendo approfondire concetti già espressi nel paragrafo 1.2.1, sappiamo che, secondo il Nuovo Accordo, si verifica l’insolvenza nei confronti di un particolare soggetto obbligato quando nei suoi confronti emerga uno dei seguenti eventi: 1) la banca ritiene improbabile che l’obbligato possa adempiere alle sue obbligazioni senza il ricorso ad azioni che prevedano l’escussione delle eventuali garanzie. Un adempimento è ritenuto improbabile quando ad esempio si verificano queste ipotesi: a) la banca include il credito tra le sofferenze e gli incagli; b) la banca effettua una svalutazione del credito alla luce di eventi che facciano ritenere sia intervenuto un significativo peggioramento del merito creditizio dell’obbligato; c) la banca presenta istanza di fallimento nei confronti dei debitori. d) l’obbligato ha dichiarato fallimento o è stato posto in stato fallimentare. 2) Il debitore è in ritardo di oltre 90 giorni nel pagamento delle obbligazioni associate al suo debito. A tal proposito, è stata riconosciuta all’Italia una deroga avendo ampliato questo termine fino a 180 giorni; nel nostro paese è questo il termine di ritardo minimo nei pagamenti oltre il quale il prestito sarà considerato in default. 28 Per la stima della PD viene raccomandato di riconsiderare i fattori sia quantitativi che qualitativi che possano influenzare il rischio di insolvenza del debitore. Viene suggerito di procedere ad una stima della probabilità di default media per ogni classe, in modo da individuare una medesima PD per ogni imprenditore che appartiene alla medesima classe di rischio. Il periodo di tempo di riferimento per il calcolo della PD è l’anno. Alla base della stima della PD deve essere presente una visione prudente della probabilità media di lungo periodo per ogni classe di rating dei prenditori. Essa dovrà avere come base dati storici e prove empiriche. In particolare, il Comitato considera tre possibili tecniche che possono venire utilizzate congiuntamente: utilizzo dei dati storici sull’insolvenza ricavati internamente dalla banca; uso di modelli statistici di insolvenza; raccordo o mapping con i ratings delle agenzie esterne. 2 – Loss Given Default – LGD La stima del secondo valore – LGD – mira a definire la perdita subita dalla banca nell’eventualità di insolvenza del debitore. Essa viene determinata in percentuale della esposizione, avendo a riferimento un periodo di tempo sufficientemente lungo, minimo un anno. Il valore stimato raffigura una misura percentuale media di perdita che la banca subirebbe nel caso in cui il debitore fosse insolvente. Come si è visto, per il calcolo della LGD si può ricorrere a due diversi approcci: Foundation o Advanced, conformemente al grado di indipendenza della banca di fronte alla stima del parametro in esame. Nel caso di Foundation le banche avranno come riferimento una griglia di valori prefissati, che si differenziano a seconda delle garanzie reali associate ai singoli prestiti. Le banche che optano per il secondo approccio – Advanced – hanno la possibilità di dotarsi di un proprio sistema di misura della LGD. Al fine di garantire la trasparenza e l’attendibilità del metodo di stima della LGD, le banche dovranno attenersi a diverse rigide condizioni. 29 3 – Exposure at Default – EAD La perdita in caso di default è una stima della perdita economica che la banca subirà in rapporto all’esposizione al momento del default (EAD) che il debitore presenterà su una data linea di credito, caratterizzata da determinate garanzie o clausole. Quindi, mentre in una banca esiste un unico borrower rating per un debitore, vi sono invece tanti rating della LGD per uno stesso debitore quante sono le diverse linee di credito in essere. Questa stima verrà successivamente verificata rispetto alle perdite effettivamente subite e consentirà di giudicare l’adeguatezza del sistema di rating della LGD che la banca adotta. Sono diversi i fattori da cui dipende la perdita in caso di non solvenza del debitore, che devono essere considerati con cura: seniority del debito; forma tecnica; subordinazione; presenza o meno di collaterals. Sono queste le cosiddette garanzie interne ed esterne. Tra le garanzie interne (inside collateral) ricordiamo le ipoteche, i pegni e i privilegi speciali. Le garanzie esterne (outside collateral) invece si riferiscono ai pegni oppure ai cosiddetti crediti di firma come le fideiussioni o gli avalli. Parallelamente a quanto previsto per l’approccio standard, qualora la banca decida di adottare un approccio di base dovrà attenersi all’applicazione di una serie di regole fisse e dovrà calcolare il requisito patrimoniale tenendo conto delle esposizioni utilizzate correntemente dal cliente sia per cassa che per firma, come pure dei margini disponibili su linee di credito non prontamente revocabili. 30 4 – Maturity – M Un aspetto importante da tenere presente per il calcolo del capitale minimo obbligatorio è la considerazione della vita residua delle esposizioni. Nel Foundation Approach la vita residua media viene determinata a due anni e mezzo. Nell’approccio Advanced alle banche viene data la possibilità di tenere conto nelle proprie stime della effettiva vita residua contrattuale delle operazioni in corso. Naturalmente la Maturity dell’esposizione, compresa tra un minimo di un anno e un massimo di cinque anni, contribuisce a ridurre il requisito patrimoniale in presenza di durate residue basse. 1.2.3 Determinazione del requisito patrimoniale con il metodo Internal Rating Based (IRB) Il ricorso all’uso di sistemi interni di rating per il calcolo dei requisiti patrimoniali rappresenta un significativo progresso verso un possibile futuro riconoscimento dei modelli per la determinazione del rischio di credito. Allo stato attuale tale possibilità è ancora all’esame del Comitato. Le banche che vogliano utilizzare l’approccio basato sui rating interni sono tenute a soddisfare diverse regole generali: una banca che adotti il sistema IRB per una parte del suo portafoglio dovrebbe estenderne l’applicazione all’intero gruppo bancario. Ogni banca deve dotarsi di un sistema che sia in grado di distinguere i diversi prenditori e i diversi prodotti in una serie di classi aventi un grado di rischio simile; si dovranno distribuire le esposizioni creditizie tra le varie classi di rischio in modo da evitare che vi sia una concentrazione eccessiva in una particolare classe; il valore minimo che ogni banca deve fornire è rappresentato dalla stima della probabilità di default a un anno relativa a ciascuna classe di rischio; 31 il rating deve essere attribuito ad ogni prenditore prima che venga assunto l’impegno del prestito; è necessario procedere periodicamente alla revisione del rating attribuito ai diversi prenditori. Questo compito deve essere svolto da speciali unità indipendenti. 1.2.3.1 Approccio basato sul sistema del rating interno per la determinazione del requisito patrimoniale L’uso di questo approccio per la determinazione del requisito patrimoniale ha come premessa la distinzione delle varie esposizioni bancarie in diverse macroclassi. Il Nuovo Accordo ne fa un elenco: 1 – Corporate (esposizioni verso le imprese) 2 – Enti sovrani 3 – Banche 4 – Retail (esposizioni verso le persone fisiche) 5 – Equity In sede di applicazione della regolamentazione comunitaria, la Banca d’Italia nella sua Circolare n.263 del 27 dicembre 2006 prevede una suddivisione più dettagliata delle esposizioni del portafoglio bancario: amministrazioni centrali e banche centrali, intermediari vigilati, imprese, retail, strumenti di capitale, posizioni di cartolarizzazioni, altre attività. L’articolazione delle esposizioni mira a considerare con più precisione e accuratezza la diversa sensibilità al rischio delle varie esposizioni. Così ad esempio, il segmento Corporate risulterà più sensibile al rischio sistematico di quanto possa essere il settore Retail nei confronti del quale assumono maggior peso i fattori correlati alla natura del debitore (fattori idiosincratici). Per ogni portafoglio occorre procedere a sottoporre a rating tutte le posizioni. Naturalmente il rating deve essere assegnato da una funzione o servizio indipendente da quello che gestisce le singole esposizioni. Inoltre la banca dovrà 32 provvedere ad informare adeguatamente il pubblico circa il proprio sistema di rating (disclosure), e deve essere periodicamente revisionato attraverso un audit interno. Dal punto di vista gestionale, la banca dovrebbe anche prevedere diversi livelli di validazione interna dei sistemi di rating, collegati funzionalmente ad applicazioni che possono influenzare in maniera più o meno forte le modalità di gestione e di interazione della banca con il mercato. 1.2.3.2 Determinazione delle perdite attese Dopo aver classificato come sopra le diverse categorie di attività bancarie con le macro-classi di riferimento si può passare a determinare la perdita attesa (Expected Loss – EL) sulla base dei quattro parametri elencati in precedenza, ossia: la probabilità di insolvenza (PD); la perdita percentuale in caso di default (LGD); l’esposizione al rischio in caso di default (EAD); la durata residua dei prodotti (M). Le fasi per arrivare alla determinazione della perdita attesa sono le seguenti: 1) suddivisione della clientela per classi di rating, e associazione ad ogni classe di una diversa probabilità di insolvenza (PD); 2) suddivisione dei diversi crediti all’interno di ogni classe sulla base della diversa LGD; 3) stima dei tassi di perdita attesa (TEL), che si determina così: TEL = PD x LGD; 4) determinazione della perdita attesa, tramite il seguente prodotto: EL = TEL x EAD. In base alla versione aggiornata del Nuovo Accordo, la perdita attesa dovrebbe essere coperta con gli accantonamenti totali effettuati dalla banca. 33 1.2.3.3 Determinazione delle perdite inattese La perdita inattesa di un portafoglio impieghi (Unexpected Loss – UL) si può chiamare come la parte di perdita che, ex post, risulta essere superiore alla perdita media che ci si attendeva di subire. Assumendo il livello di confidenza del 99%, considerando cioè che si verifichi il peggior evento tra quelli probabili nel 99% dei casi, resta confinata ad una probabilità pari all’1% l’eventualità di subire perdite superiori.Il patrimonio di vigilanza ha la funzione di coprire le perdite inattese in cui si può incorrere. Cioè, quando le perdite che effettivamente si realizzeranno dovessero essere superiori a quelle attese, l’istituzione potrà sopravvivere grazie alla dotazione del patrimonio di vigilanza. Quest’ultimo, dunque, consente di fornire l’ossigeno necessario alla banca per attendere i periodi in cui le perdite che si realizzeranno risulteranno inferiori a quelle attese alla dotazione del capitale potrà essere ricostituita. Il capitale deve, perciò, essere commisurato alla dimensione delle perdite inattese. Vediamo come si possono calcolare le perdite inattese in una operazione di impiego in prestito: immaginando un caso estremo, una banca può perdere l’intera esposizione al momento del default. Quindi se le perdite inattese fossero calcolate in questo modo, la banca dovrebbe detenere patrimonio di vigilanza nella stessa misura dei crediti; la banca non potrebbe, cioè, raccogliere depositi per fare prestiti, ma solo investire il proprio patrimonio. Le perdite inattese si calcolano in altro modo: a) si misura non la perdita massima possibile, bensì quella massima entro un dato livello di probabilità (detto livello di confidenza) e un dato orizzonte temporale; b) si sottrae da questo valore la perdita attesa, che si spesa in conto economico (dal punto di vista gestionale perché Basilea 2 non riconosce questo metodo). Tale valore è definito “valore a rischio” (Value at Risk – VAR) e rappresenta la quantità di capitale proprio da utilizzare per coprire le perdite inattese con un certo livello di confidenza (cioè, escludendo i casi di perdita ancora maggiori ma meno probabili). 34 In merito alla gestione dei rischi connaturati all’attività bancaria e alle metodologie dirette a stimare il capitale minimo richiesto a fini di prudenza per farvi fronte, il Nuovo Accordo presenta numerosi e importanti elementi innovativi. Si riconosce un maggior rilievo delle logiche e dei metodi gestionali utilizzati al proprio interno dalle banche al fine di quantificare il rischio di credito e la determinazione del capitale atto a coprirlo. Un importante elemento di innovazione consiste nel misurare il requisito patrimoniale affinché possa garantire: A) la copertura delle perdite inattese, come sopra indicato. Mentre per le perdite attese per l’anno a seguire si provvederà alla copertura tramite gli accantonamenti effettuati dalla banca; B) la copertura del rischio operativo, oltre a quella del rischio di credito e di mercato. Un altro elemento innovativo molto importante emerge dalla possibilità riconosciuta alle banche di fare uso di propri sistemi interni di rating al fine di stimare il merito creditizio dei diversi prenditori di fondi e la relativa quantificazione del requisito patrimoniale. Da questo emerge che, l’ammontare del capitale necessario a sopportare i rischi economici dell’attività bancaria viene valutato utilizzando i sistemi interni di rating delle banche. Per ogni classe di rischio viene associato un determinato requisito di capitale definito sulla base di modelli interni di gestione del rischio di credito, che si richiamano alla logica del VAR. Altro aspetto interessante della normativa si riscontra nel richiamo di una vasta gamma di strumenti diretti a mitigare e gestire il rischio di credito. 35 CAPITOLO 2 2.1 Alcune considerazioni su Basilea 2 e le sofferenze Basilea 2 ha inteso regolare con grande attenzione l’evento del default, a differenza di altri profili del sistema di rating che vengono lasciati alla libera scelta delle banche. E’ emersa infatti la convinzione che se mancasse una omogeneità nella definizione dell’evento che si vuole prevedere – la probabilità di default e la LGD – i sistemi di rating delle diverse banche sarebbero troppo diversi e sarebbe quasi impossibile dare una struttura normativa di fondo sui requisiti di patrimonio. La definizione di default che si adotta, tuttavia, comporta grosse implicazioni gestionali sia per le banche che per le imprese che hanno interesse a minimizzare il fenomeno e conseguenti perdite. La Banca d’Italia ha consolidato nel tempo una prassi di classificazione dei crediti a cui le banche si attengono, ma occorre rivedere alla luce delle scelte fatte con il Nuovo Accordo. Le “partite vive” si riferiscono agli impieghi al netto delle sofferenze rettificate e le “partite anomale” sono le partite in sofferenza e le partite incagliate. Le partite incagliate e le sofferenze sono puntualmente definite nel Manuale per la compilazione della Matrice dei Conti34: le partite incagliate sono le esposizioni verso affidati in temporanea situazione di obiettiva difficoltà, che si prevede possa essere rimossa in un congruo periodo di tempo; le sofferenze, invece, individuano i crediti al valore nominale nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non giudizialmente accertato, o in situazioni sostanzialmente equiparabili a prescindere dalle eventuali previsioni di perdite. Le sofferenze rettificate sono il risultato di un aggregato di sintesi che tiene conto di eventuali difformità di giudizio e di possibili sviste da parte delle banche che inviano i dati alla Centrale dei Rischi. 34 Circolare Banca d’Italia n.49 dell’8 febbraio 1989. 37 Per calcolare le sofferenze rettificate, alle sofferenze di ciascuna banca vengono aggiunte le posizioni da esse segnalate come impiego vivo e che invece un insieme significativo di altre banche segnala a sofferenza. In tal modo si realizza una classificazione univoca della clientela censita dalla Centrale dei Rischi, poiché un debitore in sofferenza è classificato come tale rispetto a tutte le banche del sistema; la classificazione risulta più oggettiva e più attendibile in quanto risultato di un confronto fra più segnalazioni. L’insolvenza potrebbe essere identificata con l’ingresso tra le sofferenze rettificate che rappresentano una ridefinizione a posteriori dello stato di ciascun cliente sulla base del rilievo delle segnalazioni a sofferenza sul totale dell’esposizione verso il sistema. Tale concetto di insolvenza è stato utilizzato dalla Centrale dei Rischi nella combinazione delle nuove tavole statistiche. Questo aggregato misura l’esposizione complessiva di un affidato, purché la stessa sia segnalata in sofferenza da: l’unica banca che ha erogato il credito; la banca che ha erogato il credito e tra gli sconfinamenti di un’altra banca esposta; una sola banca, quando l’importo della sofferenza sia almeno il 70% dell’esposizione complessiva, ovvero vi siano sconfinamenti almeno pari al 10%; almeno due banche per importi pari al 10% del credito utilizzato complessivo per cassa. Si può notare che entrambe le classificazioni si riferiscono esclusivamente al profilo della probabilità di insolvenza e non alla dimensione della perdita in caso di insolvenza. Da questo emerge che la Banca d’Italia esprime in modo chiaro l’esigenza di distinguere la Probability of Default dalla Loss Given Default e stabilisce che una posizione debba essere dichiarata in sofferenza anche qualora si possa recuperare completamente il credito. Attualmente nella prassi bancaria la classificazione a incaglio o sofferenza di un credito dipende dalla percezione di transitorietà delle obiettive difficoltà dell’affidato. Gli incagli rappresentano una classe dai due aspetti in quanto, da una parte, comprendono per definizione posizioni in situazioni di difficoltà transitorie che si 38 prevede possano essere rimosse in un congruo periodo di tempo, ma d’altro canto rappresentano indubbiamente un insieme di posizioni a più alte probabilità di insolvenza rispetto a quelle in bonis. Infatti molte banche ricorrono all’utilizzo di varie sottoclassi di incaglio al fine di graduarne la pericolosità. Le sofferenze sono posizioni legate a soggetti insolventi, quindi in condizioni di incapacità strutturale ad adempiere alle obbligazioni assunte. Questa situazione ancor più rispetto all’incaglio concede ampi spazi per valutazioni soggettive e, perciò, per grosse differenze nella valutazione dello stato di uno stesso debitore da parte di banche diverse. Il Comitato di Basilea è giunto alla determinazione che fosse necessario stilare una definizione di default più oggettiva, privilegiando una definizione che tenga conto anche dei singoli “inadempimenti” anziché delle sole “insolvenze”. In altre parole ha ampliato la definizione di patologia rendendola più oggettiva, poiché risulta più facile osservare puntualmente i mancati pagamenti piuttosto che esprimere valutazioni sulla incapacità strutturale di far fronte alle obbligazioni assunte. La definizione di default fatta propria da Basilea 2 per la grande maggioranza delle tipologie di esposizioni, è composta di due parti. La prima risulta più in linea con il concetto tradizionale dello stato di sofferenza; la seconda è strettamente legata alle situazioni di semplice inadempimento: si può definire in default il debitore nei confronti del quale si verifichino uno o entrambi gli eventi seguenti: 1) la banca considera improbabile che il debitore possa onorare interamente i suoi debiti, a prescindere dalle azioni di recupero che la banca può porre in essere; 2) il debitore risulta moroso da oltre 90 giorni su una qualunque esposizione (termine che per l’Italia è stato ampliato a 180 giorni e a cinque anni). La prima circostanza comporta le seguenti reazioni da parte della banca35: a) la banca inserisce il credito tra le sofferenze o gli incagli; b) la banca esegue una svalutazione o uno specifico accantonamento considerando che sia intervenuto un significativo scadimento della qualità del credito posteriormente all’assunzione dell’esposizione; 35 Giacomo De Laurentiis, Stefano Caselli, Miti e verità di Basilea 2, Edizioni Egea 2004. 39 c) la banca cede il credito subendo una perdita economica sostanziale dovuta al deterioramento della qualità del credito; d) la banca consente a una ristrutturazione del credito ”per realizzo”, ove questo implichi realisticamente una ridotta obbligazione finanziaria per il mutuatario, grazie a una remissione sostanziale del debito o al differimento dei pagamenti in linea capitale, interessi e commissioni; e) la banca ha presentato istanza di fallimento per il mutuatario o ha avviato una procedura analoga in relazione all’obbligazione creditizia del debitore verso il gruppo bancario; f) l’obbligato ha dichiarato fallimento o è stato posto in stato di fallimento o situazione assimilabile, ove questo impedisca o ritardi il pagamento dell’obbligazione creditizia verso il gruppo bancario. La seconda situazione caratterizza la definizione in modo molto stringente. Vengono infatti introdotti due elementi critici. Innanzitutto si evidenzia che il Comitato fa propria la logica del cross default36, per cui il default su una qualunque esposizione mette in default il debitore in quanto tale, e quindi tutte le sue esposizioni. Secondariamente, essa si riferisce all’inadempimento e non allo stato di insolvenza, concetto che coinvolgerebbe in modo più ampio e strutturale l’incapacità del debitore di soddisfare puntualmente i creditori. Quantunque le agenzie di rating tendano ad utilizzare definizioni di default molto sensibili all’inadempimento e adottino normalmente la logica del cross default, è da rilevare che l’inadempimento sui bonds emerge normalmente dopo il deterioramento della capacità di servire i debiti bancari. Spesso, infatti, l’impresa in difficoltà sceglie di negoziare o diventare inadempiente con le singole banche piuttosto che con il mercato finanziario. Quindi trasferire ai crediti bancari le logiche della prima manifestazione di inadempimento può allargare oltre il lecito la dimensione dei default. Sarebbe più accettabile per le banche adottare una definizione di default maggiormente connessa allo stato strutturale di insolvenza, allo scopo di: 36 Il cross default, o insolvenza incrociata, è una clausola esistente nei contratti di finanziamento la quale prevede che, nel caso in cui sia dichiarata l’insolvenza per una obbligazione, lo stato di insolvenza si estende a tutti i rapporti posti in essere dall’intero gruppo. Tale espressione divenne comune sui media italiani quando la Cirio nel 2002 non onorò una rata del suo debito. 40 caratterizzare la classe peggiore come “classe assorbente” rispetto alla quale non può verificarsi il ritorno in bonis; non dover dichiarare in default i debitori in quanto tali per inadempimento su una linea di credito marginale; considerare la diversa natura dei debitori bancari rispetto a quelli analizzati dalle agenzie; tenere conto delle varie logiche di gestione delle partite incagliate che di solito sono orientate al recupero del normale equilibrio dell’impresa. La posizione del Comitato è, invece, quella di ritenere che solo una definizione molto oggettiva di default possa evitare eccessiva elasticità nel sistema complessivo di capital adequacy proposto, rimanendo rigido e fermo sulle proprie posizioni nonostante siano emerse molte critiche a riguardo. Da parte delle banche la definizione di default da adottare comporta una diversa considerazione della patologia del credito; infatti la misura dei tassi di default risulta più alta dei tradizionali tassi di sofferenza, e parallelamente, le perdite in caso di default risultano più basse delle perdite in caso sofferenza, poiché diversi debitori potranno incorrere in situazioni di inadempimento senza essere in realtà allo stremo e, di conseguenza consentiranno elevati tassi di recupero sui crediti in default. Per le imprese resta l’esigenza di prestare grande attenzione alle condizioni di liquidità dell’impresa e di assicurare una gestione finanziaria e di tesoreria più prudente rispetto al passato. E’ da rilevare che, pur in presenza di un ampliamento delle tipologie di rischio, quello di credito rappresenta uno degli elementi più rilevanti in seguito ad un sensibile peggioramento della qualità del portafoglio. Le imprese, specie quelle di medie e piccole dimensioni, sono risultate più deboli e più soggette agli andamenti della congiuntura; d’altro canto le banche hanno attuato una politica di crescita aggressiva e poco selettiva, allargando la loro presenza verso fasce di clientela di ridotto standing la cui domanda di credito è meno elastica al tasso di interesse. Spesso l’obiettivo di espansione territoriale ha portato ad allacciare relazioni con clientela marginale che ha compromesso la qualità del portafoglio, di cui la prima e più immediata manifestazione di deterioramento è segnalata dall’incidenza della sofferenza. 41 2.1.1 Crediti non performing Il credito in default o insoluto può anche essere indicato con il termine Non Performing Loan (NPL) nel linguaggio anglosassone. Per esso si intende un credito caratterizzato da pagamenti irregolari dovuti ad uno stato di insolvenza della controparte, che rende necessaria l’escussione delle garanzie (reali e/o personali) e fa ritenere probabile la perdita di una quota significativa del capitale complessivamente erogato o del corrispettivo della prestazione eseguita. Il fatto che la perdita sia ritenuta probabile non significa però che una volta emersa l’insolvenza non sia poi possibile recuperare parte dei finanziamenti concessi. I crediti insoluti possono comportare tassi di perdita inferiori al 100%, o nulli se il valore di realizzo delle garanzie risulta più capiente rispetto all’importo del debito37. 2.1.2 Modalità di gestione dei crediti non performing (o partite anomale) Molti elementi hanno fatto sì che il problema di una efficace ed efficiente gestione delle partite anomale sia andato progressivamente complicandosi: la corretta classificazione dei rischi (sorvegliati, incagliati, a sofferenza) e dei relativi accantonamenti; il ritardo nell’individuazione delle posizioni a rischio; la scarsa efficacia delle azioni di recupero; l’insufficiente livello di recupero; una onerosa ed inefficiente operatività con effetti negativi sulla crescita dei costi di gestione; squilibrio tra le azioni interne e il ricorso a enti esterni. Una corretta gestione del contenzioso deve porsi degli obiettivi, individuabili in: svalutazione corretta dell’attivo; gestione attenta del contenzioso; efficacia del recupero intesa come capacità di proporre e gestire una transazione, di rendere il recupero più tempestivo, di arrivare ad un maggior recupero a parità di tempo; economicità delle azioni svolte. 37 Dino Crivellari, Laboratorio Crediti non performing, Università degli Studi di Macerata. 42 Con queste premesse si può mirare all’uso di soluzioni che, contando su una opportuna organizzazione, possono produrre un processo virtuoso di monitoraggio e successiva revisione delle procedure interne utilizzate. Così, già da tempo numerose banche hanno avviato progetti di riorganizzazione mirati a conferire una maggiore efficacia all’azione di sviluppo commerciale, assicurando nel contempo una più oculata gestione delle diverse fasi delle relazioni di credito (selezione, monitoraggio, recupero), e nei grandi gruppi bancari si sono definiti dei meccanismi di coordinamento nei confronti dei grandi clienti affidati. Una volta accertato lo stato di difficoltà dell’affidato, la banca procede ad individuare, progettare e gestire gli interventi di recupero. Queste fasi sono particolarmente delicate, dato che il miglioramento della qualità degli attivi è legato ai modi e ai tempi con cui le banche riusciranno a sistemare i crediti divenuti inesigibili: modalità ed efficacia delle procedure contribuiscono così a determinare le perdite attese e di conseguenza l’effettiva esposizione al rischio di credito, mentre sull’esito della crisi influiranno le modalità di intervento prescelte. Le soluzioni utilizzabili possono essere distinte in relazione alle modalità di risoluzione: negoziale, giudiziale e di mercato, e d’altro lato secondo modalità gestionali interne o esterne. La soluzione negoziale interna può assumere la tipologia della ristrutturazione, della revisione, della trasformazione in partecipazioni e della liquidazione con accordo, coinvolgendo le strutture del servizio crediti e dell’ufficio legale. La soluzione negoziale esterna si può attuare ricorrendo a professionisti per giungere ad una liquidazione con accordo. La soluzione giudiziale interna si risolve attraverso il recupero legale affidandolo all’ufficio legale interno. Analogamente, quella esterna affida il recupero legale a professionisti esterni. La soluzione di mercato interna si attua attraverso la cartolarizzazione e l’utilizzo di credit derivatives, mentre quella esterna si risolve nella cessione definitiva delle partite anomale. Sotto il primo aspetto (negoziale, giudiziale e di mercato) la scelta dipende principalmente dall’intensità dei legami con la clientela in difficoltà, dal potere contrattuale della controparte e dal grado di dissesto emerso. La suddivisione tra soluzioni interne ed esterne può dirsi meramente concettuale, poiché l’intervento delle strutture interne della banca è essenziale anche nel caso 43 in cui si decida il ricorso a professionalità esterne, coinvolte specialmente in presenza di una molteplicità di creditori. I motivi di tale scelta dipendono talora dalla pratica impossibilità in molti casi di conferire a terzi una delega su decisioni che spesso hanno un rilevante impatto economico, e inoltre dalla volontà di conservare il controllo di tutti i flussi informativi che si ritengono rilevanti per la gestione delle relazioni con la clientela. Nei confronti delle imprese insolventi l’alternativa è tra liquidazione e attuazione con piano di ristrutturazione giudiziale o stragiudiziale. L’attività di recupero diventa, allora, il momento terminale del rapporto di debito o il momento in cui avviene la rinegoziazione del contratto. In teoria, in presenza di decisioni ottimali da parte delle banche, saranno interrotti i rapporti con debitori in uno stato di crisi giudicata irreversibile, mentre saranno ristrutturati i debiti di imprese in difficoltà temporanea. La scelta tra liquidazione e ristrutturazione si basa su valutazioni che tengono conto del rapporto costo/benefici connesso con ciascuna soluzione. Risulta efficiente il processo che garantisce: in caso di liquidazione, il massimo valore di realizzo dei beni dell’impresa minimizzando i costi di transazione evitando il rischio di abbandonare partite ancora vitali o comunque risanabili; in caso di ristrutturazione, la rapida riorganizzazione dell’impresa per evitare il rischio di mantenere in vita imprese che dovrebbero invece essere liquidate. Sarà necessario valutare sia i costi diretti connessi alla gestione delle procedure (spese giudiziarie, legali e amministrative, eventuali vantaggi fiscali, costi di rinegoziazione del debito, ecc.) sia i costi corrispondenti alla riduzione del valore economico dell’impresa come conseguenza della soluzione adottata: ad esempio la caduta della reputazione dell’impresa in caso di ricorso a procedure giudiziarie. Mentre la liquidazione consente, almeno in teoria, di pervenire a un risultato a rischio contenuto, la ristrutturazione è un risultato incerto e potenzialmente più rischioso, poiché legato a elementi del rapporto contrattuale che possono condizionare le scelte: coinvolgimento di numerosi intermediari, durata dei contratti, eventuali garanzie. In presenza di molte banche la liquidazione potrebbe essere preferita ai fini di contenere i costi di coordinamento, mentre il ruolo delle garanzie potrebbe, da un lato rendere più credibile la minaccia di liquidazione e più costoso il ricorso alla procedura giudiziaria, dall’altro rappresentare un disincentivo per la banca a monitorare l’investimento. 44 Quando si giudica non conveniente continuare il rapporto, con ulteriori operazioni di finanziamento o che non presenta concrete condizioni di ripresa, l’alternativa tra il ricorso alla liquidazione e alla cancellazione della posizione dal bilancio, il recupero giudiziale, la stipula di accordi stragiudiziali38 o di cessione dipende prevalentemente dall’ammontare della somma potenzialmente recuperabile e dalla tempestività nell’attivare la soluzione prescelta rispetto al degrado della controparte. La scelta della soluzione negoziale, contrapposta a quella giudiziaria, si basa in prevalenza sulla presenza di garanzie o sulla adesione a procedure concorsuali, mentre la scelta di svolgere internamente o esternamente l’attività di recupero dipende da ragioni di carattere organizzativo e da valutazioni di ordine economico sui costi operativi aziendali. La decisione di abbandonare la controparte, invece, rende di fatto indifferente che ciò avvenga attraverso strutture e personale interni o esterni alla banca. Occorrerà solo considerare l’efficacia e l’efficienza eventualmente ritenute diverse nei due casi. La cessione ad una società specializzata si usa in presenza di prestiti di ridotto ammontare, il cui recupero è spesso oneroso e problematico. L’apposito intermediario al quale far confluire le posizioni anomale si definisce usualmente Bad Bank, e la sua missione è il recupero, anche parziale, del debito nella prospettiva del disimpegno della banca cedente. La decisione sulla eventuale vendita di posizioni in sofferenza e, più in generale, la corretta valutazione della convenienza a scegliere tra recupero diretto, recupero affidato a soggetti terzi e vendita del prestito, si basano sul concetto di “prezzo d’indifferenza”; esso, per un prestito non garantito da ipoteche su immobili, è il prezzo di cessione al quale è indifferente vendere o svolgere le attività di recupero direttamente. Il calcolo richiede la stima del valore attuale netto degli incassi previsti al netto dei costi da sostenere – stipendi pagati alle unità di recupero, commissioni a soggetti esterni, mantenimento di un’adeguata capacità di elaborazione delle informazioni, riserve in bilancio e relativo assorbimento di capitale – nonché dei tassi di recupero interni ed esterni su base continuativa. 38 Il recupero crediti in via stragiudiziale consente di risolvere efficacemente e in tempi rapidi i problemi degli insoluti aziendali, attraverso una procedura di carattere amministrativo evitando costose azioni legali. Gianpaolo Luzzi, Marco Recchi, Guida alla gestione dei crediti in outsourcing – Tecniche di prevenzione, recupero e cessione, Edizione Il Sole 24 ore 2004. 45 Una buona ed efficace strategia deve prevedere l’utilizzo congiunto di tutte le alternative dato che, osservando un approccio flessibile, la banca evita di affidarsi completamente a soggetti esterni, sia essi cessionari o semplici riscossori e aumenta il grado di competitività nel mercato tra i diversi soggetti coinvolti; inoltre la conoscenza del recupero dei propri NPLs (Non Performing Loans) è particolarmente utile anche nelle fasi di negoziazione con gli eventuali acquirenti. Esistono, specialmente negli Stati Uniti, società specializzate nell’acquisto e recupero dei prestiti in sofferenza che stipulano accordi esclusivi (denominati forward flow agreements) in base ai quali l’originator (ente cedente) si impegna a cedere con continuità tutte le sofferenze che rispondono a criteri predefiniti. Questo offre numerosi vantaggi: l’acquirente del pool si assicura un flusso di attivi in grado di coprire i costi fissi dell’attività svolta; le sofferenze sono immediatamente eliminate dal bilancio del cedente migliorando l’adeguatezza di capitale senza l’incertezza legata alla necessità di trovare volta per volta un cessionario; la banca cedente, conoscendo meglio le procedure, riduce i rischi di reputazione nei confronti dei debitori legati alle modalità di recupero del cessionario, il quale da un lato, deve documentare con precisione i criteri di recupero adottati, dall’altro, deve essere garantito che le procedure utilizzate dall’originator non vengano modificate nel corso del tempo provocandogli potenzialmente un danno. 2.1.3 La cessione delle sofferenze Una modalità alternativa alle forme tradizionali di recupero è la cessione delle sofferenze a un operatore che acquisisce e gestisce posizioni difficili già in capo ad un intermediario e così raggiunge il primo ed immediato obiettivo di ripulire il bilancio dalle partite più immobilizzate e meno redditizie. Poiché non devono essere del tutto irrecuperabili, dato che questa eventualità farebbe venir meno l’utilità dell’operazione, oggetto di cessione possono essere: 1) crediti scaduti verso operatori ancora attivi e con buone prospettive di reddito ma in stato di illiquidità; 2) crediti scaduti verso operatori in situazione di grave crisi (pre-fallimentare) assistiti da garanzie collaterali; 3) crediti in contenzioso; 46 4) crediti scaduti non garantiti. Le caratteristiche della prima tipologia di crediti potrebbero suggerire la loro permanenza nel bilancio della banca cedente. Tuttavia la scelta alternativa potrebbe essere dovuta alla volontà di procedere ad una cessione selettiva delle sole posizioni difficili, in modo da potersi concentrare sulle altre in un’ottica di specializzazione. 1) I principali problemi nella cessione dei crediti garantiti derivano dalla capienza e dalla possibilità di escutere la garanzia. Il trasferimento può essere effettivo o virtuale, a seconda che il cessionario sia dotato di proprie strutture per il recupero o esse siano messe a disposizione del cedente che, nel primo caso, può mirare a conseguire una specializzazione operativa tale da richiedere il trasferimento di risorse al cessionario nell’ambito di una rimodulazione commerciale e organizzativa. Il rischio è che la scelta possa essere suggerita da motivazioni contingenti (es.: esuberi del personale), piuttosto che da reali motivazioni di efficienza che richiedono invece un’attenta valutazione delle risorse disponibili e della loro qualità. 2) I crediti scaduti e non garantiti dovrebbero solo in misura marginale essere oggetto di cessione, ma essere sistematicamente eliminati dal bilancio della banca cedente. Nelle cessioni pro-soluto, i cessionari offrono un servizio in grado di ripulire radicalmente il bilancio del cedente: il motivo per cui le banche, ma anche altre tipologie di intermediari, possono essere interessate a questa soluzione è riconoscibile, da una parte, a elementi oggettivi quali i costi di gestione delle posizioni immobilizzate e la stima di percentuali e tempi di incasso, dall’altra, a valutazioni di natura soggettiva come il miglioramento dell’immagine e la migliore struttura finanziaria. Altri vantaggi emergono dalla possibilità di eliminare dal bilancio e dalle segnalazioni alla Centrale dei Rischi i crediti a nome dei debitori ceduti, nonché di iscrivere a nome del cessionario il credito oggetto della cessione, considerando eventualmente vivo l’importo minimo che esso si è impegnato comunque a corrispondere. Il ricorso alla cessione pro-soluto è economicamente conveniente solo se il valore di libro degli asset corrisponde alle possibilità di effettivo recupero; in caso contrario, la perdita dovuta alla circostanza che il cessionario è disposto a 47 riconoscere un valore di cessione coerente con quello di mercato, aumenterebbe notevolmente i costi dell’intera operazione. Le posizioni vengono rilevate da intermediari iscritti all’elenco speciale di cui all’art. 107 del TUB, secondo quanto previsto dagli articoli 1260 e seguenti del Codice Civile e dalle norme della legge n.52/1991 sulla cessione dei crediti d’impresa. Il corrispettivo è, in genere, pari a una certa percentuale dell’importo complessivo previa valutazione individuale di tutte le pratiche di una certa dimensione e “a campione” di quelle minori (credito al consumo, prestiti personali, ecc.) e viene riconosciuto al cedente, a titolo di acconto, in parte al perfezionamento della cessione e, successivamente, su base periodica in funzione degli incassi. Alla scadenza del contratto, in genere di lunga durata poiché il corrispettivo definitivo non può essere inferiore al minimo concordato, il cessionario si impegna a versare l’eventuale differenza tra detto importo e le somme versate. Sotto il profilo fiscale, le attività corrispondenti ai crediti ceduti possono essere iscritte come perdite, portandole così in deduzione d’imposta previo utilizzo del corrispondente fondo rischi; infatti solo dalla cessione pro-soluto, effettuata senza finalità elusive, deriva una perdita che riveste le caratteristiche di certezza e obiettiva determinabilità richiesta dalla normativa. In alternativa alla cessione pro-soluto, possono essere utilizzati schemi più complessi: nelle cosiddette operazioni di diluizione temporale delle perdite patrimoniali, l’intermediario accetta di acquisire le attività al valore facciale riconoscendo al cedente flussi di cassa periodici calcolati tenendo conto della svalutazione e del rischio sostenuto: in questo caso il cedente contabilizza periodicamente delle perdite rispetto al valore di libro; nelle cosiddette operazioni di trasformazione delle perdite di realizzo in costi di gestione e quindi in minori ricavi, l’intermediario assume su di sé una quota delle minusvalenze sulle attività cedute in cambio di prestazioni di vario genere, servizi remunerati da commissioni che costituiscono costi operativi o vere e proprie deleghe gestionali su rami di business che diminuiscono, rispetto alla gestione diretta, i ricavi per il cedente. 48 2.2 Bad Bank, Servicing e Outsourcing Riferendosi alla risoluzione di situazioni di crisi con un intervento pubblico finalizzato a isolare le sofferenze, e più in generale, tutti gli attivi problematici in organismi specializzati, è divenuta di uso comune l’espressione “Bad Bank”. Può essere definita Bad Bank, o, alternativamente, Servicer, l’intermediario al quale un soggetto, non necessariamente una banca, su base continuativa e sistematica, cede, generalmente a titolo oneroso e pro-soluto, crediti di dubbio realizzo e altre attività immobilizzate. Compito del cessionario è provvedere al loro recupero in tempi inferiori, in misura maggiore e a migliori condizioni di costo rispetto a quanto accadrebbe in ipotesi di mancato trasferimento e quindi di gestione attraverso le strutture interne del cedente; in altre parole, l’elemento di novità sta non tanto nell’attività svolta, poiché già esistono numerose società, tra cui anche quelle di factoring, che si occupano di gestione e recupero crediti, ma nelle modalità operative finalizzate a una gestione attiva. L’eventuale e non indispensabile natura bancaria della società di recupero dipende dalla circostanza che in alcuni casi si è proceduto a utilizzare, anche tenendo presente considerazioni di natura fiscale, soggetti giuridici che già avevano tale statuto; da una parte, questo è funzionale all’applicazione dell’articolo 58 del TUB, possibile solo se il cessionario è una banca e che prevede come unico adempimento conseguente alla cessione, la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale; dall’altro consente il ricorso al mercato interbancario, o ad altre forme di raccolta tipicamente bancarie, per il finanziamento delle operazioni di acquisto. Fatta una valutazione delle opportunità e dei rischi, la banca può esternalizzare la gestione dei crediti in sofferenza, rivolgendosi ad un soggetto indipendente servicer; l’accordo di mandato – assistito da procura generale che può consentire, oltre allo svolgimento delle azioni legali necessarie, di definire accordi, transazioni, piani di rientro e moratorie – stabilisce l’ampiezza dei compiti individuando per importo e categoria i crediti oggetto della gestione39. Riveste particolare importanza stabilire: i tempi di assegnazione degli incarichi in relazione al momento in cui si verifica il default del cliente per garantire la 39 Dino Crivellari, Recupero crediti: dal contratto di servicing alla “business-line” bancaria, Amministrazione & Finanza n.20/1999. 49 tempestività dell’intervento; l’eventuale termine ultimo entro il quale l’attività di gestione deve essere compiuta; le deleghe per la definizione delle posizioni con modalità diverse dal recupero integrale, spese e interessi compresi. Frazionamento del rischio, grado di ricuperabilità del portafoglio, durata degli incarichi, autonomia gestionale sono quindi elementi che determinano le modalità di offerta da parte del servicer. La fissazione dei limiti di autonomia è un compito complesso, dato che il rapporto tra le due controparti è talvolta conflittuale: il servicer, tipicamente remunerato a risultato, può avere obiettivi diversi da quelli della banca cedente tendendo a minimizzare i costi di gestione e, quindi, ad avere un livello di accettabilità della decisione, specie negli stralci, più basso; in altri casi, la banca può preferire recuperi più veloci anche se di importo inferiore, mentre il servicer, che non sostiene costi finanziari ma solo operativi, tende a conseguire risultati migliori anche se con rientri differiti nel tempo. La struttura tariffaria del contratto di servicing si articola tipicamente su tre elementi40: commissioni fisse; commissioni variabili in funzione del risultato; rimborso di oneri vari e spese legali. Le commissioni fisse, solitamente annuali per ogni posizione da gestire, dipendono dai costi d’impianto, dalla quantità degli incarichi conferiti e dal livello di automazione nel trasferimento dei dati dall’originator. Il livello delle commissioni variabili si differenzia in funzione del grado di ricuperabilità, della tipologia e dell’importo del credito, del tempo atteso del recupero. A proposito dell’importo del credito da recuperare, si presume che maggiore è l’importo, più contenuta debba essere la tariffa applicata al risultato per l’incidenza decrescente degli oneri di struttura rispetto al maggiore ricavo in valore assoluto. Questa considerazione è però mitigata dalla circostanza che più alto è il valore del contenzioso, maggiore è il tempo impiegato per realizzare. Dunque, è importante il tempo, non il grado di difficoltà. Infatti l’esperienza prova che il grado di difficoltà, se è diversificato in relazione alle tipologie del credito 40 Dino Crivellari, Recupero crediti: dal contratto di servicing alla “business-line” bancaria, Amministrazione & Finanza n.20/1999. 50 (chirografo, con garanzie personali o reali, ecc.) lo è ancora di più in relazione all’importo. Si nota che si incontrano maggiori difficoltà nel recupero di crediti più modesti e su quelli medi e medio-grandi. Questo è conseguenza della tipologia del debitore. Spesso il recupero di un credito al consumo di importo modesto risulta difficile da effettuare perché è altamente improbabile che il debitore abbia residui spazi di reddito sfruttabili per il recupero: se vi fossero stati, non si sarebbe creata la morosità. In questi casi il livello tariffario deve essere più elevato a motivo di una lunga gestione di scadenze per piccoli importi. La fissazione dei termini di recupero produce un notevole effetto nella determinazione del prezzo del servicing perché vanno combinati i risultati attesi con i tempi e i costi di gestione41. Le commissioni di extra performance applicate sugli incassi di importo superiore a quello previsto dal business plan incentivano il raggiungimento e il superamento degli obiettivi. Dal punto di vista organizzativo, il servicer deve dotarsi anche al proprio interno di un sistema che consenta la corresponsione al personale di incentivi subordinati al raggiungimento degli obiettivi e la cui entità rappresenti una percentuale significativa della retribuzione; in termini di equità, la valutazione della performance del singolo deve dipendere dall’effettivo contributo fornito per il raggiungimento degli obiettivi e basarsi su una metodologia di calcolo deterministica e dipendente in massima parte da parametri oggettivi e misurabili. Dato che il contratto di outsourcing deve considerare obiettivi, costi, comportamenti e responsabilità - elementi che possono mettere banca mandante e servicer su posizioni talvolta non coincidenti – nell’attuazione delle scelte di esternalizzazione si deve stabilire se rinunciare o meno alla gestione di una intera fase dell’attività in via permanente. Valutata positivamente la convenienza a far gestire all’esterno il contenzioso, il passaggio successivo è lo smobilizzo della propria struttura interna dedicata, eliminando risorse professionalmente qualificate per la formazione delle quali gli investimenti non sono trascurabili: come si può intuire, si tratta di una scelta non facilmente reversibile, e che una volta compiuta, condiziona per un lungo periodo le future strategie operative. 41 Dino Crivellari, Recupero crediti: dal contratto di servicing alla “business-line” bancaria, Amministrazione & Finanza n.20/1999. 51 Un equilibrato ed efficace contratto di outsourcing per la gestione del credito in contenzioso è frutto della corretta ponderazione di una serie di fattori (obiettivi, rischi, costi, comportamenti, responsabilità) che vedono servicer e mandante su posizioni non sempre coincidenti, come sopra evidenziato. Nonostante l’esortazione ad impostare il rapporto convenzionale secondo le logiche della partnership, poi, in pratica ci si rende conto che le parti tendono comunque ciascuna a massimizzare i propri risultati come in fin dei conti è giusto che sia in qualunque rapporto commerciale tra imprese. Ma la gestione del credito critico, in particolare per le banche, non è un mero accidente, ancorché ineliminabile, come avviene per qualunque impresa che vende i propri beni o servizi. Si tratta di un fattore permanente nel processo produttivo un po’ come gli scarti di produzione per una azienda manifatturiera. Questa considerazione pesa non poco nelle scelte di esternalizzazione. Una soluzione equilibrata che annulla questo rischio è quella di fare in modo che sia la banca stessa a dotarsi di strutture proprie operanti con metodica analoga a quella del servicer con particolare riferimento all’enfatizzazione della gestione dei costi variabili funzione del risultato. Questa impostazione, sotto il profilo generale, è da inquadrare nel più ampio fenomeno che vede le grandi strutture impegnate ad articolarsi in “centri di responsabilità”, soggetti sì al comando strategico centrale, ma più autonomi sul piano operativo e più impegnati sugli obiettivi. Anche le banche italiane, a prescindere dalla scelta tra “gruppo polifunzionale” o “banca universale”, hanno da tempo intrapreso questa strada da una impostazione di tipo “pubblico” dove la responsabilità delle procedure faceva premio rispetto a quella sul conseguimento dei risultati. E’ naturale immaginare questo processo di diffusione della responsabilità manageriale per obiettivi più immediatamente applicabili alle tipiche funzioni commerciali. Più difficile è immaginarlo nel contesto del recupero crediti, anche per una tradizione bancaria italiana che ha sempre visto il comparto sotto una luce specialistica e prevalentemente amministrativa. 52 Invece è più agevole pensare al recupero come una business-line, puntando a trasformare quello che fino a poco tempo fa si vedeva solo come un “centro di costo” in un “centro di profitto”42. Si tratta di acquisire un metodo di lavoro orientato agli obiettivi anche economici e non alla mera amministrazione del contenzioso, dotandosi di una strumentazione sulla falsariga del servicer professionale. Un primo approccio concreto è quello di costituire un ente ad hoc, controllato dalla banca, responsabilizzato sugli obiettivi, la cui efficienza diventa misurabile se dotato di sufficiente autonomia gestionale ed economica, che si faccia carico di tutte le fasi del processo produttivo a valle dell’insorgere della crisi fiduciaria tra banca e prenditore. Questa soluzione consente di superare alcune delle problematiche e delle criticità cui abbiamo in precedenza accennato in merito all’outsourcing. La soluzione suggerita – che potremo chiamare outsourcing interno – è particolarmente indicata per i gruppi polifunzionali ove il servicer favorisce la gestione in unica mano del debitore di Gruppo. Non trascurabile è la circostanza che l’attuale normativa in materia di Iva prevede che siano non imponibili ai fini di tale imposta le prestazioni di servizio erogate da società strumentali appartenenti a gruppi bancari per le operazioni infragruppo43. Questo consente alle banche un non trascurabile risparmio di costo che può far prevalere la soluzione di outsourcing interno rispetto alle altre. Tra gli altri vantaggi dell’outsourcing interno possiamo ricordare: la destinazione alla struttura controllata delle proprie risorse specialistiche; il servicer interno è efficiente e tempestivo nell’attività di reporting consentendo di modificare con facilità le strategie e le loro modalità di implementazione; la semplificazione dei processi di valutazione finalizzati a determinare costi del servizio, oggetto e tempistica del contratto di mandato e dei relativi incarichi; il contenuto, l’ampiezza e le modalità di esercizio delle deleghe sono soggetti a controlli diretti; il carattere di strumentalità del servicer rispetto alla banca mandante rende più semplice, rispetto al rapporto con parti terze indipendenti, l’eventuale modifica degli schemi contrattuali, poiché il primo non può che adeguarsi all’evolversi delle 42 Dino Crivellari, Recupero crediti fra outsourcing e cartolarizzazione, Amministrazione & Finanza n.19/1999. 43 Id. 53 politiche di recupero della controllante, le quali, di volta in volta, possono privilegiare la velocità o il grado di recupero delle pratiche in contenzioso; l’amministrazione di risorse a costo variabile dedicate alla gestione dei rapporti in contenzioso non può che essere svolta da una struttura agile in grado di fronteggiare le esigenze sia di assistenza che di celerità decisionale; la responsabilizzazione della struttura di servicer favorisce la gestione soprattutto delle posizioni di minore importo per le quali tradizionalmente le strutture esterne registrano maggiori difficoltà, in conseguenza soprattutto della tipologia del debitore. In termini di struttura e capacità operativa, tuttavia, la Bad Bank non può essere una scatola vuota anche se la sua eventuale caratteristica di intermediario leggero, in termini di struttura organizzativa, e povero, in termini di operatività, dipende essenzialmente dai compiti ad essa assegnati dal soggetto economico. Indipendentemente dalle ragioni che possono aver motivato la costituzione di un servicer captive, dovrebbe essere ampio il ventaglio delle operazioni da svolgere dato che, in caso di limitatezza delle funzioni attribuite, esso si ridurrebbe a svolgere le mansioni tipiche del tradizionale ufficio legale di una banca senza nessun vantaggio strutturale per i promotori. Il servicer può svolgere sia il tradizionale recupero sia ogni altra operazione che, entro i limiti legati all’assunzione di ulteriori rischi, agevoli l’attività di smobilizzo a favore del soggetto controllante: acquisizione di immobili a fronte di crediti, specie se ipotecari; cessione di crediti singoli e in blocco; erogazione di nuovi finanziamenti in caso di ricorso alla ristrutturazione; costruzione di operazioni di cartolarizzazione. Inoltre, potrebbe fornire alle imprese servizi, oltre che finanziari, di consulenza, sostituendosi alla banca cedente nella fase di gestione della crisi, e la posizione, una volta ristrutturata, potrebbe essere riacquistata dall’originator o ceduta a terzi. In tal modo la costituzione di un intermediario specializzato può rappresentare una modalità di sviluppo di un’autonoma area di business, distinguendosi in termini di diversa visibilità verso l’esterno. Questo può permettere al servicer di svolgere le sua attività anche a favore di altri operatori, comprese anche altre banche di piccole e medie dimensioni. Sfruttando queste potenzialità è possibile appunto trasformare la gestione del contenzioso in business-line autonoma, che 54 comprenda anche l’attività di arranging di operazioni di cartolarizzazione a favore di soggetti con portafogli non sufficientemente dimensionati per diventare originator. 2.3 La cartolarizzazione dei crediti Esaminiamo ora una tecnica di gestione del rischio di credito che presenta caratteri innovativi per la banca e gli intermediari finanziari italiani. Si tratta della cartolarizzazione dei crediti, o securitisation, che consiste in una tecnica tramite la quale attività finanziarie di qualsiasi tipo, e quindi anche i crediti finanziari, possono essere trasformate in titoli negoziabili su un mercato secondario44. Essa è una tecnica nata negli Stati Uniti alcuni decenni orsono e approdata in Europa negli anni Settanta. In Italia le prime operazioni di questo tipo risalgono agli inizi degli anni Novanta. La cartolarizzazione, a seconda delle scelte di strutturazione, si può considerare alternativa alla liquidazione pro-soluto o alle differenti modalità di gestione delle partite anomale che non presuppongono cessione e, dunque, trasferimento del rischio di credito. Rispetto a questi due estremi, essa presenta degli indubbi vantaggi per l’originator: da una parte, si accede a una nuova fonte di raccolta, dall’altra, a differenza delle cessioni pro-soluto o pro-solvendo, consente di individuare soluzioni ad hoc che possono prevedere, ad esempio, una cessione solo parziale dei rischi incorporati nel portafoglio, conservando in capo all’originator la gestione del processo di recupero tramite lo svolgimento della funzione di servicing. Considerando l’importanza della gestione delle sofferenze e gli innegabili benefici della securitisation rispetto ad altre soluzioni, si comprendono i motivi per cui, nonostante i numerosi ostacoli di natura giuridica e fiscale preesistenti alla vigente normativa, le prime operazioni da parte di banche italiane siano state compiute su NPL (Non Performing Loans), così come la prima operazione realizzata dopo l’approvazione della legge n. 130 del 30 aprile 1999 abbia avuto per oggetto la cessione di attivi dello stesso tipo. 44 Pierluigi Fabrizi, Giancarlo Forestieri, Fabrizio Mottura, Strumenti e servizi finanziari, Ed. Egea 2006; Claudio Porzio, Securitisation e crediti in sofferenza, Bancaria Editrice. 55 La cartolarizzazione porta alla cessione a terzi delle sofferenze ma permette all’originator di continuare a presidiare il rapporto con il debitore ceduto: questo significa che l’entità del trasferimento del rischio di credito più conveniente per il raggiungimento degli obiettivi dell’operazione dipende anche dall’efficienza delle strutture amministrative e di controllo dello stesso cedente; a maggiore efficienza risponderanno minori costi ed una più elevata porzione trasferibile a terzi a condizioni convenienti. Pur consentendo una gestione più flessibile, anche la cartolarizzazione, così come la cessione e la ristrutturazione, risente pesantemente delle condizioni di contesto in cui gli intermediari operano. Da questo punto di vista, la situazione italiana presenta limiti peculiari sia in termini di tempi necessari per la risoluzione dei contenziosi, sia sotto il profilo delle perdite sostenute dai creditori a questi fini. La tecnica in esame è attuabile in due differenti versioni: la cartolarizzazione classica o funded, e la cartolarizzazione sintetica, o synthetic securitisation. Fino al 1999 le suddette operazioni in Italia sono state realizzate utilizzando strutture giuridiche atipiche. Con la legge n.130/1999 le operazioni di cartolarizzazione hanno un impianto normativo e possono essere effettuate in modo più opportuno ed economico. Secondo la legge n.130/1999 la cartolarizzazione tradizionale viene realizzata mediante cessione a titolo oneroso di crediti pecuniari, sia esistenti sia futuri, individuabili in blocco se si tratta di una pluralità dei crediti, qualora si presentino i seguenti requisiti: a) il cessionario sia una società prevista dall’articolo 3 (cioè un intermediario finanziario disciplinato dagli articoli 106 e 107 del TUB); b) le somme corrisposte dal debitore o dai debitori ceduti siano destinate in via esclusiva, dalla società cessionaria, al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi, dalla stessa o da altra società, per finanziare l’acquisto di tali crediti, nonché al pagamento dei costi dell’operazione. 56 Lo schema base di un’operazione di cartolarizzazione si articola in tre fasi: la selezione di un portafoglio di attività idonee a produrre flussi di cassa periodici, che vengono individuate sulla base di requisiti di omogeneità tali da agevolarne l’aggregazione; la cessione del portafoglio di attività da parte del titolare originario (originator) a una società appositamente costituita (Special Purpose Vehicle, o SPV); l’emissione da parte dello SPV e il collocamento di titoli (Asset Backed Securities o ABS). Figura n. 3 – Schema base di un’operazione di cartolarizzazione Attivi Società cedente (banca) Prezzo Società cessionaria (Special Purpose Vehicle) Prezzo Investitori Proventi dell’emissione Debitori Società cedente (banca) Società cessionaria (SPV) Pagamenti di interesse e capitale Investitori Pagamenti per il servizio del debito Fonte: Pierluigi Fabrizi, Giancarlo Forestieri, Fabrizio Mottura, Strumenti e servizi finanziari, Ed. Egea 2006 L’aspetto più rilevante dell’operazione consiste nella segregazione dei flussi di cassa periodici, nel senso che, per ciascuna operazione effettuata, il ricavato dell’emissione viene destinato al pagamento delle attività cartolarizzate, mentre i flussi di cassa derivanti dalle medesime attività vengono di volta in volta utilizzati per rimborsare e remunerare i sottoscrittori di ABS. Dato che il successo di tutta l’operazione dipende dalla capacità di collocare i titoli presso il pubblico degli investitori (istituzionali e/o privati), occorre da una parte 57 selezionare attività in grado di generare flussi di cassa sufficienti a rimborsare e remunerare le ABS, e dall’altra bisogna ricomporre adeguatamente tali flussi per costituire titoli idonei a soddisfare le esigenze di mercato. La fase di re-impacchettamento (repackaging) dei flussi, in particolare, è decisiva per assicurare la qualità dell’emissione e può richiedere il supporto di garanzie o di altre forme di assicurazione, nonché il ricorso a strumenti derivati. Le operazioni di cartolarizzazione tendono ad avere una struttura più complessa di quella appena descritta, in relazione alla presenza di alcuni soggetti che possono accrescere il gradimento dei titoli e tutelare gli investitori. Essi sono rappresentati da figure quali i soggetti garanti o credit enhancer che offrono garanzie a copertura di una data percentuale del valore di rimborso dei titoli emessi, gli swap provider che si pongono come controparte dello SPV al fine di garantire protezione dai rischi di tasso e di cambio, ed infine le società di rating che valutano l’emissione sulla base della qualità delle attività sottostanti, delle garanzie offerte e della solvibilità dei garanti. Inoltre, a seconda delle caratteristiche di ciascuna operazione, possono essere coinvolti altri soggetti come l’arranger che organizza l’operazione nel suo complesso, il servicer che si occupa dell’incasso e del trasferimento dal cedente al cessionario dei flussi prodotti dal portafoglio di attività oltre al loro recupero in caso di inadempienza del debitore, funzione che spesso può essere svolta dall’originator stesso, ed infine l’investment bank che si occupa del collocamento delle ABS. Le operazioni di cartolarizzazione, se correttamente strutturate, offrono molti vantaggi per i partecipanti. Dal lato dell’originator, l’obiettivo prioritario di un’operazione di cartolarizzazione consiste nell’eliminazione dallo stato patrimoniale delle attività cedute al fine di ottenere liquidità e di ricomporre la struttura di bilancio. L’originator può essere di natura finanziaria, e in particolare bancaria, o non finanziaria: nel primo caso si riferisce agli intermediari finanziari ed in particolare alla banca, i secondi invece comprendono quelle cosiddette “imprese marginali”, ossia quelle sprovviste di rating, in forte indebitamento oppure altamente specializzate e tutti quei soggetti che hanno non poche difficoltà ad accedere al mercato dei capitali. 58 La liquidità liberata mediante la securitisation viene indirizzata al finanziamento di nuovi investimenti caratterizzati da redditività maggiore o rischio minore rispetto a quello degli impieghi dismessi, alla riduzione delle passività, alla ristrutturazione dell’attivo e passivo per renderli più aderenti agli obiettivi aziendali e al riposizionamento sul mercato tramite la cessione di attività non strategiche. Effetto non secondario è anche la liberazione di parte del patrimonio che potrà essere destinato alla copertura di altri rischi. Nello specifico caso di originator bancario/finanziario le operazioni di securitisation consentono di rendere più flessibile l’asset-liability management permettendo una gestione attiva di diverse tipologie di rischio, danno una risposta alle esigenze di crescita e di diversificazione in caso di problemi di finanziamento, riducono i costi derivanti dal rispetto degli obblighi di vigilanza e permettono una gestione dinamica del rischio di credito. Entrando nella logica di asset-liability management, la cartolarizzazione libera risorse per la ricomposizione della struttura patrimoniale, sia rimborsando passività sia finanziando attività che abbiano un grado di liquidità superiore agli impieghi cartolarizzati e che abbiano una probabilità di insolvenza inferiore rispetto alle attività cedute. Dal punto di vista del credit risk manager la cartolarizzazione, insieme ai derivati creditizi e al ricorso al mercato secondario dei prestiti, offre prospettive interessanti per una gestione dinamica del portafoglio crediti: ricorrendo a tali tecniche di trasferimento del rischio di credito permette, infatti, di modificare la composizione del portafoglio crediti anche a prescindere dall’origination di nuovi contratti o dalla sostituzione di quelli giunti a scadenza. Inoltre bisogna osservare che al di là dei vantaggi che la securitisation può offrire in capo all’originator, essa genera vantaggi sia per il sistema finanziario nel suo complesso sia per il pubblico degli investitori: a livello di sistema finanziario la cartolarizzazione libera nuove risorse riducendone i costi e sostenendo lo sviluppo dei mercati finanziari, mentre per quanto concerne gli investitori essa dà vita a nuove possibilità di investimento (ABS) e amplia la gamma di profili rischio/rendimento. Accanto ai vantaggi occorre segnalare che il ricorso ad un’operazione di cartolarizzazione può risultare particolarmente oneroso e complesso. 59 Infatti, ad esempio, per portafogli di piccolo importo l’operazione può risultare non conveniente a causa di elevati costi fissi, quali le commissioni pagate all’investment bank, alle società di rating, ai soggetti garanti, spese legali e contabili, costo di eventuali garanzie, costi amministrativi, ecc. Inoltre, il successo dell’operazione è legato anche alla capacità di riferirsi ad un efficiente sistema informativo che possa operare durante tutto il processo di securitisation, dal momento di selezione degli impieghi – quando si raccolgono informazioni sull’andamento storico della performance del credito – a quello di gestione del portafoglio cartolarizzato – quando si fa un continuo monitoraggio delle posizioni e informazioni sull’evoluzione della performance delle attività, col fine di generare flussi di cassa sufficienti a prestare il servizio del debito. Alla cartolarizzazione tradizionale si affianca la cosiddetta synthetic securitisation. Si tratta di un’operazione che con la cartolarizzazione classica condivide alcune finalità, ma rispetto alla quale emergono differenze dal punto di vista tecnico. Infatti la cartolarizzazione sintetica si basa sull’utilizzo di particolari strumenti derivati che vanno sotto il nome di credit derivatives. Con questo termine ci si riferisce ad una famiglia di prodotti riconducibili in linea di massima a strutture contrattuali già conosciute come gli swap, le opzioni e i forward, che consentono di isolare e di negoziare il rischio di credito relativo ad una determinata attività, senza che questa venga trasferita. I derivati creditizi consentono ad una delle parti (protection buyer) di acquistare protezioni dal rischio di insolvenza che caratterizza una posizione creditizia trasferendo tale rischio ad una controparte (protection seller) disposta ad assumerlo dietro il pagamento di un premio. Tali derivati hanno la caratteristica di separare il rischio di credito dallo strumento giuridico che lo rappresenta (un’obbligazione o un contratto di prestito) e di trasformarlo, in effetti, in una commodity facilmente trasferibile. Le cartolarizzazioni sintetiche, a differenza di quelle classiche, non prevedono l’emissione delle ABS a fronte delle cessioni di flussi di cassa futuri generati da poste dell’attivo, e si configurano come uno strumento di gestione del rischio di credito e non come una modalità di finanziamento. Esse, in quanto strumento di gestione del rischio di credito, presentano un’alta flessibilità sia per chi acquista (originator) sia per chi vende protezione. 60 L’originator ha la possibilità di trasferire il solo rischio connesso ad una posizione creditizia anche per un periodo inferiore alla vita del contratto sottostante, salvaguardando nel contempo la relazione con il cliente, poiché esso rimane titolare del rapporto di credito. Per il soggetto che vende protezione diviene possibile assumere un rischio di credito nei confronti di un determinato soggetto – un’impresa, un ente pubblico, uno Stato sovrano, ecc. – senza dover sostenere i costi di raccolta di compravendita del titolo, di concessione del credito e tutti i rimanenti costi e rischi connessi ad un investimento tradizionale. 2.3.1 La cartolarizzazione dei crediti in sofferenza Il mercato italiano delle transazioni asset backed (ABS) e mortgage backed (MBS) è andato sviluppandosi a ritmi moderati e costanti negli anni novanta del secolo scorso, già prima dell’entrata in vigore della legge n.130 del 30 aprile 1999 che, eliminando restrizioni civilistiche e fiscali ha favorito l’accesso al mercato soprattutto di operatori di minori dimensioni. Pur in presenza di un rilevante processo di innovazione rispetto alla tipologia degli asset ceduti e alla struttura dell’operazione, le banche e gli altri intermediari finanziari continuano a rappresentare la quasi totalità degli originator, e i crediti – di varia forma tecnica e natura – (canoni di leasing, mutui, prestiti a consumo, corporate bond, ecc.) la quasi totalità degli attivi ceduti. Inoltre, peculiare del caso italiano rispetto a quello di altri paesi è la circostanza che le operazioni hanno riguardato prevalentemente prestiti bancari in sofferenza. Specie nei casi in cui abbia per oggetto il trasferimento di crediti in sofferenza (Non Performing Loans o NPL) l’uso dell’operazione è subordinato alla presenza di un quadro regolamentare preciso che definisca i benefici per il cedente e tuteli in misura adeguata i sottoscrittori: la cessione a terzi di tale classe di attivi a condizioni convenienti dipende, infatti, dalla disponibilità di efficaci strumenti legali di gestione dei debiti insolventi. In Italia, a causa dei costi e dei tempi delle procedure di recupero dei crediti, a parità di altre condizioni, la convenienza della cartolarizzazione delle sofferenze è, in linea di massima, inferiore a quella di intermediari operanti in paesi in cui l’efficacia delle procedure è più elevata; inoltre, poiché l’obiettivo delle emissioni di 61 ABS in Europa è rappresentato da investitori istituzionali internazionali interessati a sottoscrivere titoli emessi a fronte di attivi cartolarizzati soprattutto a fini di diversificazione del portafoglio – e non per aumentarne il profilo di rischio – per rendere i titoli appetibili e ottenere un rating adeguato, il cedente italiano deve procurarsi o prestare direttamente garanzie più elevate. Pur ipotizzando lo sviluppo di un mercato di ABS ad alto rischio, che abbasserebbe i costi della cartolarizzazione di sofferenze, gli originator italiani sconterebbero in ogni caso l’arretratezza strutturale del sistema di amministrazione della giustizia45. Tuttavia, nonostante il non integrale trasferimento del rischio sui sottoscrittori dei titoli, scegliere una cartolarizzazione delle sofferenze può essere più vantaggioso che percorrere la strada di una cessione pro-solvendo; nel caso in cui esista un mercato secondario liquido per i titoli emessi, è possibile, infatti, ottenere un prezzo di smobilizzo più conveniente. Per le banche italiane non vanno però sottovalutati gli effetti positivi in termini di pulizia del bilancio, anche ai fini del rispetto dei vincoli di patrimonializzazione previsti dalle norme di vigilanza. Poiché le modalità di quantificazione del rischio di credito sostenuto dall’originator ai fini del calcolo del coefficiente di solvibilità non sono ancora state definite a livello internazionale, lo scopo di una cartolarizzazione potrebbe essere quello di “tamponare” una patrimonializzazione insufficiente ai fini del rispetto delle disposizioni normative, affiancando l’operazione a una più ampia iniziativa di ristrutturazione finanziata mediante la liquidità così raccolta46. 45 Claudio Porzio, Securitisation e crediti in sofferenza, Bancaria Editrice; Dino Crivellari, Laboratorio Crediti non performing, Università degli Studi di Macerata. 46 Id. 62 2.3.2 Caratteristiche delle operazioni sui crediti non performing La costituzione di un’operazione di cartolarizzazione e la realizzazione di una struttura adeguata presentano sempre problemi di non facile soluzione, accentuati peraltro nel caso di crediti bancari in sofferenza. Prima di valutare la convenienza relativa dell’operazione, nonché i vantaggi e svantaggi rispetto alle alternative disponibili, risulta utile ripercorrere i vari passaggi con riferimento a questa particolare tipologia di sottostante. In particolare ci soffermiamo sulle seguenti fasi che prevedono il coinvolgimento di molteplici soggetti: individuazione del portafoglio oggetto di cartolarizzazione e cessione del rischio sottostante e degli oneri collegati; definizione della struttura finanziaria dell’operazione con particolare riferimento alle caratteristiche dei titoli da emettere e alle forme di supporto (credit enhancement); valutazione da parte delle agenzie di rating; aspetti operativi e organizzativi connessi alla gestione del portafoglio e alle attività di servicing e monitoraggio. Questa articolazione è valida in termini espositivi, dato che il risultato finale di ciascuna operazione è frutto di un complesso processo di interazione e confronto tra le diverse controparti coinvolte (cedente, cessionario, arranger, servicer, agenzia di rating) e gli stessi elementi sono tra loro strettamente connessi. Si deve infatti considerare: la qualità del portafoglio crediti oggetto della cessione e la qualità del servizio prestato dal servicer possono essere entrambi considerati fattori esterni che incidono sul rating; a ogni livello di rating, secondo la prassi internazionale, corrisponde un livello minimo di credit enhancement; l’effettivo livello di credit enhancement può essere manovrato in modo tale da assicurare alla transazione il rating richiesto e necessario. Volendo definire i contorni del credit enhancement47, si può dire che molto spesso emerge la necessità di rendere le ABS più appetibili rispetto alle caratteristiche delle attività cartolarizzate. E’ possibile ad esempio limitare l’esposizione dei sottoscrittori di ABS ai rischi specifici impliciti nel portafoglio di attività cartolarizzate (rischio di credito che si manifesta con l’insolvenza del debitore principale; rischio di liquidità per la mancata coincidenza fra flussi in entrata e flussi in uscita; rischio di reinvestimento con il rimborso anticipato da parte dei 47 Pier Luigi Fabrizi, Giancarlo Forestieri, Paolo Mottura, Strumenti e servizi finanziari, Edizioni Egea 2006. 63 debitori ceduti; rischio di interesse e di cambio in caso di mismatching tra flussi riscossi dai debitori e flussi pagati agli investitori in termini di tasso di interesse o di valuta). Al fine di ridurre i rischi per l’investitore, di aumentare il rating dell’emissione e di ridurre il tasso di rendimento richiesto dal mercato, è possibile migliorare la qualità del portafoglio sottostante mediante forme di garanzie di tipo interno – prestate direttamente dal creditore originario – o esterno, cioè prestate da terzi. Nel primo caso, l’originator non trasferisce interamente il rischio di credito al cessionario, ma se ne accolla una parte. Possono essere esempi di garanzie interne48: la overcollateralisation: a garanzia dell’emissione si trasferisce un ammontare di attività sottostanti superiori al valore di mercato dei titoli emessi; la costituzione di un deposito in garanzia: l’originator costituisce presso un’altra istituzione finanziaria un deposito utilizzabile qualora i titoli emessi non fossero rimborsati integralmente, a causa dell’insolvenza dei debitori ceduti; l’excess spread: si tratta di una sorta di riserva formata nel tempo dal versamento della differenza (positiva) tra il rendimento degli impieghi cartolarizzati e il rendimento corrisposto sugli ABS. Da tale riserva può attingere lo SPV in caso di insolvenza dei debitori ceduti o di semplice ritardo nei pagamenti; l’emissione di tranche subordinate: i titoli vengono emessi in più classi o tranche, ciascuna delle quali si caratterizza per un diverso ordine di priorità nella ripartizione dei flussi di cassa. Per esempio, agli investitori finali sono riservati i titoli della classe cosiddetta senior che garantisce il pagamento in via prioritaria, mentre i titoli delle classi subordinate o junior (che hanno un rating più basso rispetto alle classi senior o non sono oggetto di alcuna valutazione) sono in genere trattenuti dall’originator. E’ da notare che, mediante tali forme di garanzie, l’originator persegue e realizza l’obiettivo di limitare il rischio dell’emissione e, quindi, la remunerazione – il costo – delle ABS, ma non si libera dei rischi di credito e di liquidità impliciti nel portafoglio cartolarizzato. 48 Antonella Malinconico, Garanzie e Bank lending, Bancaria Editrice. 64 Per aumentare il livello di copertura e per estendere alle altre tipologie di rischio sopra elencate, è necessario rivolgersi a enti garanti esterni o di utilizzare strumenti derivati. Più precisamente, il ricorso a terzi garanti – banche o compagnie di assicurazioni – può rispondere all’esigenza di ridurre ulteriormente il rischio di credito del portafoglio sottostante. La tecnica di garanzia consiste nell’assunzione da parte dell’intermediario di un rischio di insolvenza pari a una percentuale multipla rispetto a quella normale che caratterizza gli attivi ceduti. Così ad esempio, se la percentuale media di insolvenza del portafoglio è del 5%, il terzo garante si assumerà un rischio di insolvenza pari a “n” volte il 5%. Per coprirsi dal rischio di interesse o di cambio, è invece possibile effettuare un contratto di swap stipulato con una parte di elevata reputazione – in genere una banca – in modo da poter ricomporre eventuali disallineamenti tra i flussi finanziari delle attività sottostanti e i flussi delle ABS. Contro il rischio di reinvestimento, nell’ipotesi di rimborso anticipato, è invece possibile acquistare un’opzione call su titoli che assicurino interessi sufficienti a pagare il servizio del debito sulle ABS. 2.3.3 Individuazione e cessione del portafoglio oggetto di cartolarizzazione Il tema della definizione del portafoglio potenzialmente oggetto di cartolarizzazione si collega, da un lato, alla delimitazione tra asset suscettibili e non suscettibili di formare oggetto di securitisation, dall’altro alla possibilità o necessità di individuare in blocco la pluralità dei crediti, poiché anche il riferimento a un debitore non costituisce un’anomalia: è infatti possibile che il debitore sia anche uno solo, magari per molti debiti o per uno solo di significativo ammontare. Come dimostrano le operazioni più recenti, la legge concede più spazio alla creatività e alla capacità finanziaria degli intermediari anche per quanto concerne la natura dei crediti oggetto della cessione, limitandosi a precisare che essa deve riguardare crediti pecuniari sia esistenti sia futuri, individuabili in blocco quando si intende cederne una pluralità. Non viene fatta alcuna distinzione né in funzione del soggetto titolare del credito – l’operazione può essere originata sia da banche e altri intermediari finanziari, sia 65 da imprese industriali – né in ragione della solvibilità del creditore, potendosi quindi cartolarizzare crediti sia vivi sia non performing: si può affermare addirittura che consentire quest’ultima modalità applicativa fosse uno degli obiettivi primari della stessa approvazione della legge n.130/1999. Infatti, nella relazione al disegno di legge si precisa: “il disegno di legge lascia ampio margine discrezionale nella scelta dei crediti che possono essere cartolarizzati, non escludendo la cessione di titoli di credito scarsamente solvibili. La trasformazione anche di questi ultimi crediti in strumenti negoziabili agevola il loro trasferimento ad altri intermediari o ad investitori finali, in virtù del miglioramento della combinazione rischio-rendimento offerta dai titoli di credito oggetto di cartolarizzazione. La possibilità di cartolarizzare i crediti bancari consentirebbe poi di affrontare un problema tipicamente italiano, che è poco frequente all’estero: la cartolarizzazione dei bad loans, vale a dire dei crediti incagliati o in sofferenza. Se la legge consentirà di sciogliere questo nodo, tutelando il risparmio dei prenditori finali dei titoli, avrà dato un contributo importante alla rivitalizzazione del sistema del credito, soprattutto nelle zone più deboli del Paese, nelle quali questo problema si presenta con maggiore gravità”49. Per effetto dell’impostazione legislativa adottata, la cartolarizzazione è stata inserita nell’alveo della cessione e quindi l’originator perde, almeno legalmente, la possibilità di incidere sul rapporto di credito, concedendo ad esempio dilazioni di pagamento, ristrutturazioni del debito, ecc. In presenza di notevole elasticità operativa, rimane esclusa soltanto la synthetic securitisation nella quale l’originator, rimanendo a tutti gli effetti titolare dei crediti, può disporne come crede, fatti salvi gli obblighi assunti contrattualmente con lo Special Purpose Vehicle (SPV). Fra i dubbi interpretativi scaturiti dalla nuova normativa emerge il problema dei criteri da utilizzare per l’individuazione dei crediti, poiché si stabilisce che, in caso di pluralità, essi possono essere identificati in “blocco”, senza dare però una precisa definizione del termine e omettendo di specificare se, in tal caso, debbano essere omogenei. Alcuni studiosi ritengono che la cessione dei crediti in massa sia condizionata al requisito della loro individualità in blocco, come già previsto dalle istruzioni di 49 Legge n. 130 del 30 aprile 1999, "Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti", in G.U. Serie Generale n. 111 del 14 maggio 1999, aggiornata ex art. 4 ter - Legge n.35 del 15 marzo 2005. 66 vigilanza sulla cessione di rapporti giuridici alle banche emanate in attuazione dell’articolo 58 del TUB che gli definisce come “quei crediti, debiti e contratti che presentano un comune elemento distintivo che può rinvenirsi nella forma tecnica, nei settori economici di destinazione, nella tipologia della controparte, nell’area territoriale e in qualunque altro elemento comune che consenta l’individuazione del complesso dei rapporti ceduti50. Secondo altri, invece, il blocco non è condizione indispensabile per l’applicazione della speciale disciplina e quindi tali indicazioni non sono necessariamente da riferire alla fattispecie della cartolarizzazione, poiché altrimenti, il soggetto cedente dovrebbe assegnare tutti i prestiti che corrispondono a determinati criteri: di conseguenza, si ritiene possibile la cartolarizzazione di crediti non omogenei tra loro affidandone la scelta alla discrezionalità dei soggetti coinvolti in funzione della valutazione del merito di credito. Gli attivi bancari per essere oggetto di cessione e generare i flussi necessari al pagamento degli interessi e al rimborso del capitale delle obbligazioni devono essere: identificabili singolarmente in termini di crediti e connessi flussi di cassa; caratterizzati da flussi di cassa in qualche misura prevedibili per sviluppare sulla base dell’esperienza storica e delle forme tecniche dei contratti, un modello per la previsione degli effettivi introiti; isolabili legalmente, poiché il credito e i diritti che ne derivano devono essere esercitabili dall’acquirente o cessionario senza alcun legame con la situazione del cedente, al fine di limitare l’esposizione dei sottoscrittori al solo rischio di credito del portafoglio ceduto e non anche del cedente; caratterizzati da elevata omogeneità e standardizzazione in termini di natura contrattuale e struttura, ma tali da garantire nello stesso tempo una soddisfacente diversificazione dei rischi. Anche in assenza di riferimenti legislativi precisi, è evidente che la necessità di individuare il blocco rappresenta un aspetto assai rilevante su cui si basa tutta la struttura finanziaria e legale e da cui dipende il successo stesso dell’operazione. In particolare, non si può immaginare che una cartolarizzazione possa ricevere un rating accettabile se riguarda una pluralità di crediti assai diversi tra loro (in termini 50 Banca d’Italia, Istruzioni di Vigilanza, Circolare n.4 del 29 marzo 1988, aggiornamento del 5 dicembre 1996 67 di natura, scadenza, origine, ecc.); pertanto, il riferimento al blocco va inteso, in termini economici, nel senso che esso sia composto da entità suscettibili di essere omogenee, ossia aggregate e considerate unitariamente. Nel caso di prestiti non performing, i criteri di identificazione devono essere utilizzati in modo particolarmente flessibile per assegnare al pool i crediti che il soggetto intende cedere, ma che siano al tempo stesso coerenti con il profilo di rischio-rendimento dei titoli da emettere. In questo caso, infatti, il pool non genera – anche per la relativa scarsa disponibilità di dati sulle performance passate di pool analoghi – flussi di cassa stabili e facilmente prevedibili e gli incassi non sono facilmente distinguibili tra quota capitale e quota interessi da destinare rispettivamente all’ammortamento e al pagamento delle cedole. L’articolo 2 del Decreto Ministeriale del 4 aprile 2001 ha precisato che per blocco si intende “l’insieme di crediti pecuniari individuabili sulla base di criteri predeterminati e tali da assicurare l’omogeneità giuridico-finanziaria degli stessi”, mentre per crediti futuri si devono intendere “i crediti non ancora esistenti in quanto generabili nel normale esercizio dell’attività del cedente”. Dal punto di vista operativo, la cessione richiede lo svolgimento di alcune attività preliminari per determinare e quantificare la consistenza degli asset, il loro valore in termini di aspettative di incassi, la previsione dei flussi di cassa nel tempo. L’analisi e la definizione dei criteri di selezione del portafoglio devono considerare la tipologia dei debitori e la loro diversificazione geografica e settoriale; le caratteristiche finanziarie dei prestiti (tasso, durata, data di concessione, piano di ammortamento, ecc.); le statistiche di comportamento analizzate, a seconda dei casi, per pool omogenei o per singoli crediti (aggregate pool/loan-by-loan analysis) con metodologie di tipo statico o dinamico. Soprattutto per l’ottenimento del rating, risulta particolarmente importante l’analisi approfondita delle procedure di concessione, erogazione e gestione del credito, nonché delle modalità di incasso e recupero utilizzate dal cedente. Per i crediti in sofferenza, inoltre, va verificato che le procedure esecutive e concorsuali siano state tempestivamente promosse e puntualmente e debitamente proseguite e che siano state pagate tutte le imposte di bollo e le imposte di registro, come anche tutti gli onorari e le spese legali. La conclusione dell’operazione secondo gli standard internazionali richiede parametri e strumenti di controllo gestionale tali da consentire all’arranger una 68 puntuale valutazione del portafoglio ceduto; al fine della configurabilità dei crediti quale insieme di rapporti giuridici individuabili in blocco, i prestiti possono presentare, alternativamente o congiuntamente, differenti caratteristiche di omogeneità: le aree territoriali di stipula; il valore nominale superiore a soglie prefissate; la qualificazione – ai fini delle segnalazioni di vigilanza – quali sofferenze; la circostanza che siano state avviate le opportune azioni giudiziali per il recupero; la presenza, totale o parziale, di ipoteca volontaria o giudiziale. Nel caso di NPL – a differenza dei crediti in bonis per i quali la prassi processuale non si differenzia da quella ordinaria, poiché, in caso di passaggio a sofferenza, all’eventuale recupero giudiziale deve provvedere direttamente il gestore/rappresentante in nome e per conto della SPV – le azioni di recupero già avviate dovranno essere proseguite dalla banca cedente in nome e per conto del cessionario, divenuto titolare del credito. Infatti, il rapporto tra le diverse parti (cedente, cessionario e terzo debitore) si modifica in relazione alle diverse fasi processuali (domanda di decreto ingiuntivo, esistenza di titolo esecutivo, processo esecutivo già iniziato) nelle quali la cessione del credito è avvenuta. E’ pertanto indispensabile valutare attentamente la composizione del pool tenendo in considerazione anche le fasi di esecuzione legale e gli accordi effettuati e previsti, classificando i crediti in funzione di tali fasi, delle situazioni di inadempienza, delle richieste di esecuzione legale e dei decreti esecutivi emessi. Poiché l’acquirente accetta solo il rischio del realizzo dell’immobile a garanzia ma non quello di errori nella procedura esecutiva da parte del cedente, la due diligence legale viene effettuata per assicurarsi dell’esistenza dei crediti e dell’esecutività del contratto in relazione sia alla documentazione sottostante sia alle azioni esperite e alla capacità del servicer di gestire il prestito. Inoltre, la facoltà dei tribunali di non ammettere la procedura di esecuzione quando il mutuante ha giudicato male la capacità del mutuatario di pagare, oppure quando risulta esserci negligenza nell’erogare il prestito, spiega perché in gran parte dei casi l’amministrazione dei mutui rimane di responsabilità del cedente. E’ noto che la definizione di sofferenza è generica e si presta a differenti interpretazioni, generando confusione, soprattutto quando istituzioni diverse non classificano nello stesso modo il medesimo cliente; per ovviare a tale inconveniente, anche su sollecitazione delle agenzie di rating, l’identificazione dei 69 prestiti da inserire nel pool fa spesso riferimento alle azioni legali intraprese, piuttosto che al momento della classificazione del prestito come sofferente. Le garanzie a presidio dei prestiti, poiché incidono sulla struttura finanziaria del titolo e sulla sua appetibilità per i sottoscrittori, sono di fatto essenziali e non è ipotizzabile la securitisation di sofferenze che ne siano totalmente prive; la loro presenza rende possibile la parziale programmazione dei flussi di rientro e la valutazione della capacità di copertura del rischio economico del titolo – rimborso del capitale e pagamento degli interessi – mentre in caso contrario, il livello di credit enhancement richiesto per rendere l’operazione accettabile al mercato e con un rating adeguato sarebbe tanto elevato da renderla non conveniente per l’originator. Per tale ragione, un segmento importante della cartolarizzazione originata da banche è rappresentato dai mutui ipotecari che sono più appetibili e quindi più facilmente cedibili: poiché le garanzie sono automaticamente trasferite alla società di cartolarizzazione, senza altri requisiti o costi addizionali, i crediti possono essere recuperati anche avvalendosi delle garanzie personali rilasciate, evitando così complesse e costose azioni legali. Il regime per il quale i privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque prestate o comunque esistenti a favore del cedente, conservano la loro validità e il loro grado a favore del cessionario senza bisogno di alcuna formalità (a norma del comma 3 dell’articolo 58 del TUB), ha quindi semplificato notevolmente la cessione dei crediti assistiti da garanzie reali. Uno degli ostacoli principali nella struttura legale della securitisation di mutui ipotecari sono le imposte applicate nella cessione, poiché vengono pagate l’imposta di registro, l’imposta ipotecaria e l’imposta di bollo. Mentre l’imposta di bollo non è rilevante, le rimanenti due pesano per il 2,5% della garanzia; considerando che quest’ultima è generalmente doppia rispetto al prestito erogato, le imposte possono rappresentare un ostacolo alla cessione dei mutui ipotecari. Inoltre, il regime fiscale si differenzia a seconda che il prestito sia stato erogato da una banca italiana oppure da una filiale italiana di una banca straniera, nel qual caso si applica una riduzione dell’imposta sostitutiva dello 0,25%. La semplificazione nella procedura di notifica prevista dalla legge ha sensibilmente ridotto i costi della securitisation di mutui ipotecari, che in precedenza necessitavano delle notifiche all’ufficio del catasto con un costo aggiuntivo del 2%. 70 Se si prevede che l’immobile sia l’unica fonte di recupero del credito, i risultati della perizia devono essere confermati da terze parti e la stima dei flussi di cassa attesi dall’attività di recupero ulteriormente verificate in funzione sia del cosiddetto LTV (Loan-To-Value ratio, ossia il rapporto l’importo del mutuo e il valore dell’immobile. Si precisa che esso, per legge, non può superare il massimo del 90% ma generalmente è inferiore, nell’ordine del 60-70%. In realtà si possono erogare mutui al 100%, ma la garanzia immobiliare si limita all’80%, mentre la parte rimanente è garantita da un’altra banca o istituto finanziario, oppure da una polizza assicurativa o da un fondo previdenziale), sia dell’andamento storico dei mercati immobiliari per quantificare il rischio di diminuzione del valore degli immobili e poter stimare il valore di realizzo in caso di esecuzione forzata. Tra gli altri elementi utilizzati per il calcolo del valore di realizzo, vanno considerati il costo e il tempo di vendita. Secondo alcune stime, il costo di vendita di un’immobile – che include il compenso di agenzia, le competenze notarili e legali da dedurre dal valore di realizzo dell’immobile prima di effettuare la richiesta di risarcimento da parte del mutuante – può raggiungere il livello del 15%. Il periodo necessario per ottenere un decreto esecutivo è difficile da prevedere: se l’esecuzione e la successiva vendita dell’immobile richiedono tempi lunghi, si può avere una carenza di flussi di cassa che si aggiungono, quando il prezzo di vendita è insufficiente, alla perdita subita. Nel caso di elevata concentrazione geografica nel pool, arranger e società di rating verificano se gli uffici giudiziari locali sono in grado di gestire il potenziale numero di casi che potranno insorgere e di risolverli in modo efficace. La capacità di stabilire e mantenere un buon rapporto con il tribunale è considerata una componente importante anche nella valutazione del servicer. Altro aspetto importante è la valutazione del grado di liquidità e della volatilità del mercato immobiliare locale e della sua capacità di assorbimento di vendite in blocco senza incorrere in perdite di valore per eccesso di offerta. A tal proposito, si può notare che i livelli di volatilità e liquidità del mercato immobiliare a livello regionale sono molto diversi: ad esempio, nelle aree urbane il mercato è più attivo e liquido per le compravendite rispetto alle aree di provincia o rurali. Oltre al potenziale lungo periodo di vendita, il prezzo di realizzo di un immobile in un mercato poco liquido si discosta con maggiore probabilità dal prezzo che ci si 71 aspetterebbe se l’immobile fosse situato in un mercato sviluppato, dove invece ci sono parametri di riferimento per confrontare i prezzi di vendita. Un’elevata diversificazione del pool permette di migliorare le caratteristiche del titolo da emettere riducendone il rischio; nella prassi delle agenzie di rating, la diversificazione viene misurata con il cosiddetto diversity score che, considerando il grado di correlazione tra le diverse categorie di soggetti debitori, consente di ridurre i rischi di default o di downgrading: tale metodologia però non è applicabile alla cartolarizzazione di NPL, dato che l’evento negativo si è già verificato e la diversificazione attiene piuttosto a fattori genericamente definibili ambientali o settoriali. Anche se l’analisi del rischio di credito e del risk enhancement vanno sempre riferite al singolo caso, la piccola dimensione del pool di crediti ceduti e della banca originator aumenta il rischio potenziale di concentrazione, poiché la securitisation si traduce in una minore diversificazione settoriale e/o geografica dei debitori e i titoli emessi sono quindi esposti ai rischi dipendenti dall’economia locale, che si suppone essere più volatile di quella dell’intero paese. Considerando la struttura tecnica e la tipologia dei crediti cedibili, il cessionario procede alla valutazione del rischio complessivo dell’intero portafoglio e delle caratteristiche dei flussi finanziari sottostanti; in relazione all’esito di tale valutazione, il trasferimento può avvenire pro-soluto senza garanzie richieste al cedente e a terzi, oppure con garanzie quali acquisto o trattenimento di quote di subordinato, lettere di credito o assicurazioni prestate da soggetti terzi, altri attivi a garanzia del rimborso dell’obbligazione. La legge non stabilisce se la cessione debba essere pro-soluto o pro-solvendo, vale a dire se il cessionario assume o no su di sé il rischio del mancato pagamento a scadenza dei crediti ceduti: l’unica condizione imposta è che la cessione dei crediti avvenga a titolo oneroso, differenziandosi da quella disciplinata civilisticamente sia perché deve avvenire in blocco sia con riguardo alla pubblicità e al trasferimento delle garanzie. La scelta tra le diverse alternative ha un evidente risvolto di ordine economico sul prezzo di cessione, anche se per l’uscita definitiva del credito dal patrimonio del cedente (e il conseguente beneficio a livello di coefficienti patrimoniali) è necessaria, oltre alla cessione pro-soluto, la definitiva eliminazione di ogni rischio 72 economico: in realtà non sempre in una cessione pro-soluto le dimensioni del relativo rischio dal patrimonio della società cedente è totale e definitiva. Sulla definizione del prezzo di cessione incide una molteplicità di elementi che rende di fatto impossibile definire un modello di pricing specifico: nella prassi, al valore economico determinato mediante l’attualizzazione delle previsioni di recupero per il periodo stimato viene talvolta applicata una ulteriore riduzione forfetaria a fronte di un ulteriore deterioramento del credito e, più in generale, delle sue condizioni di ricuperabilità. In particolare, occorre fare riferimento al valore di iscrizione in bilancio al netto di rettifiche e svalutazioni, al valore degli immobili, alla presumibile durata delle procedure e al loro costo, al tasso di attualizzazione. Per il cedente una stima ragionevole del prezzo di cessione, prima che l’acquirente abbia verificato tutti i crediti offerti, può essere ricavata dalla due diligence su un sub-portafoglio campione rappresentativo di quello offerto, anche se rimane il problema delle informazioni disponibili e della loro attendibilità. Prima che venisse approvata la legge n.130/1999, l’emissione obbligazionaria veniva effettuata da una società di diritto estero alla quale dovevano essere preliminarmente ceduti i crediti, direttamente dal cedente o attraverso l’intervento di un’altra istituzione finanziaria. Poiché la realizzazione dell’operazione comportava una struttura caratterizzata da un impianto organizzativo molto articolato e l’intervento di un soggetto estero, l’intera procedura risultava così complessa e costosa da essere utilizzabile solo in caso di cartolarizzazione di notevoli importi di crediti. La difficoltà di creare uno SPV di diritto italiano era innanzitutto dovuta all’esistenza di incompatibilità tra le norme di codice civile – che vieta l’emissione di obbligazioni per un importo eccedente l’ammontare del capitale – e l’uso, tipico del processo di cartolarizzazione di un veicolo che utilizza un’altra leva finanziaria. Per la legge italiana, la società cessionaria, o la società emittente i titoli se diversi, deve avere per oggetto esclusivo la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione e il suo patrimonio è separato, a tutti gli effetti da quello rappresentato dai crediti relativi a ciascuna operazione e su ciascuno di essi non sono emesse azioni da parte di creditori diversi dai portatori dei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti stessi. 73 Il trasferimento può aver luogo mediante cessione oppure in sub-partecipazione dell’originator; nonostante l’esperienza di securitisation anglosassone, e per certi aspetti anche i primi tentativi effettuati da imprese italiane non siano privi di casi in cui il trasferimento è avvenuto tramite sub-partecipazioni, la prima modalità, cioè la cessione, è senza dubbio quella più utilizzata. La true sale dei crediti è perfezionata con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e, dopo che il periodo di revocatoria (periodo abbreviato in questa ipotesi) è trascorso, gli asset sono isolati dal fallimento dell’originator. La società costituita per la cartolarizzazione dei crediti non persegue uno scopo imprenditoriale suo proprio, ma la sua capacità di reagire si esaurisce con la stipula subito dopo la sua costituzione del pacchetto di contratti relativi ai crediti ceduti. Agli SPV sono applicabili le disposizioni del Titolo V del TUB (articolo 2 comma 3, lett. c), con conseguente obbligo di iscrizione nell’elenco generale, ma la legge non ne disciplina specificamente l’operatività. Considerati natura e caratteristiche della cartolarizzazione, nonché il profilo particolare dell’attività svolta, tali da rendere difficilmente assimilabile alle altre attività esercitate dagli intermediari finanziari, le autorità di vigilanza hanno affidato specifiche funzioni di garanzia allo SPV, il quale deve porre in essere solo operazioni pertinenti alla gestione dell’operazione e garantire la trasparenza nei confronti degli investitori e del mercato. Nel caso di emissioni a fronte di molteplici pool, ciascun titolo fa riferimento a un ben definito e non modificabile lotto di crediti “segregati" e il veicolo deve assicurare costantemente la separatezza dei patrimoni delle varie operazioni tra loro e con i beni della società. Per evitare commistioni, le somme di denaro relative ad ogni cartolarizzazione devono essere depositate in appositi conti, distinti o sottorubricati, e in qualunque momento deve essere possibile ricostruire con certezza il complesso delle operazioni poste in essere relativamente a ciascuna di esse. Ci si trova di fronte ad una operatività più articolata proponendosi uno scenario simile ad una società di gestione che amministra più fondi, anche se emerge il problema di un’eventuale organizzazione stabile d’impresa, mirante al perseguimento dell’oggetto sociale prestabilito, ma moltiplicato in più operazioni, 74 quindi più rischioso. D’altra parte sono innegabili i benefici in termini di risparmio dei costi connessi alla costituzione e allo scioglimento della società. La normativa stabilisce che lo SPV deve avere ad oggetto sociale esclusivo la realizzazione di uno o più processi di cartolarizzazione, dovendosi limitare a divenire cessionario dei crediti e ad emettere i titoli. Ad esso rimane dunque precluso l’esercizio di ogni attività di tipo imprenditoriale diversa da quella strettamente necessaria all’effettuazione dell’operazione. Dal momento della cessione gli attivi non possono essere distratti, né sugli stessi possono essere compiute operazioni diverse da quelle finalizzate esclusivamente a realizzare gli interessi dei portatori dei titoli. In merito alla operatività delle banche italiane, c’è da osservare che esse finora hanno ricoperto il ruolo di originator e sono state assistite, in qualità di arranger, da primarie banche d’affari estere in grado di combinare la conoscenza specifica del mercato domestico e degli standard internazionali accettati dagli investitori; l’arranger, svolge e coordina molteplici attività non facilmente standardizzabili ma che in relazione alle diverse fasi di svolgimento dell’operazione, possono essere identificate così: assistenza al cedente nelle problematiche interne attraverso due diligence sui crediti ed elaborazione dei dati relativi alle sofferenze; analisi, descrizione e proposte di miglioramento delle procedure di erogazione e gestione; individuazione del portafoglio oggetto di cessione; definizione della struttura dell’emissione con la scelta della modellistica da utilizzare per la stima dei flussi futuri; struttura legale; struttura finanziaria (caratteristica dei titoli e predisposizione delle forme di credit enhancement); gestione dei rapporti con gli altri soggetti coinvolti: autorità di vigilanza; credit enhancer; controparte degli strumenti di copertura dei rischi (swap, cap, ecc.); trustee; agenzie di rating; finalizzazione della documentazione legale; definizione degli aspetti gestionali e organizzativi delle attività di servicing; emissione: preparazione del collocamento (pre marketing, circolari di offerta, road-show); negoziazione del pricing; collocamento ed eventuale sottoscrizione dei titoli; procedure di quotazione; intervento sul mercato secondario; monitoraggio dell’operazione. 75 Affinché il mercato italiano possa giovarsi di ulteriore sviluppo, si rende necessaria la presenza di intermediari in grado di proporsi prima ancora che come arranger, come consulenti, offrendo alle imprese ogni possibile servizio collaterale fino ad assicurare il collegamento con il risparmio gestito e lo sviluppo di un mercato secondario dei titoli. 2.3.4 Conseguenze della cartolarizzazione delle sofferenze sulla gestione bancaria Le potenzialità e l’impatto delle operazioni di securitisation sulla gestione bancaria si comprendono solo esaminando la loro complessa natura: i vantaggi e le motivazioni che sottostanno a queste operazioni concorrono insieme a determinarne la convenienza, anche se le operazioni su NPL sono essenzialmente motivate dalla volontà di attuare una pulizia di bilancio. Dagli studi in materia è stato messo in evidenza che la cartolarizzazione consente, da un lato, il trasferimento dei rischi di prezzo e di credito (risk-transfering), dall’altro, di generare nuova liquidità (liquidity-enhancing), nuovo capitale di credito (credit-generating), mezzi propri aggiuntivi (equity-generating)51. Sotto un primo profilo, la cartolarizzazione può essere utilizzata dalle banche con l’obiettivo di: controllo della volatilità dei prezzi, dato che permette di trasferire il rischio vendendo prestiti e reimpiegando le risorse ottenute in forme alternative di investimento con effetti in termini di aumento della redditività del capitale investito, una modifica della struttura dello stato patrimoniale, una riduzione delle mancate convergenze tra le scadenze dell’attivo e del passivo; controllo del rischio di controparte, in quanto mobilizzando alcuni attivi è possibile trasferire sul mercato il rischio di insolvenza ad essi collegato; inoltre, nel caso di acquisto dei titoli, è possibile modificare il grado di diversificazione del portafoglio. Sotto un secondo profilo, l’operazione, attraverso il collocamento di titoli presso gli investitori, consente di raggiungere un obiettivo di stabilizzazione e diversificazione delle fonti di provvista, riducendo contemporaneamente i costi del 51 Claudio Porzio, Securitisation e crediti in sofferenza, Bancaria Editrice; Dino Crivellari, Laboratorio Crediti non performing, Università degli Studi di Macerata. 76 funding: smobilizzando determinate classi di attivi, le banche sono in grado di concedere nuovi prestiti a nuova clientela ricavando dal proprio stato patrimoniale le risorse necessarie. In termini di vigilanza prudenziale, la securitisation non accresce in maniera diretta il capitale proprio disponibile ma, consentendo la conversione di classi di attività ad alto rischio in altre che beneficiano di coefficienti di ponderazione più bassi, fa aumentare il patrimonio in rapporto all’attivo. La normativa comporta per i prezzi delle imprese un costo, in termini di capitale allocato, pari all’8% senza alcuna differenziazione per lo specifico grado di rischio; i modelli interni di misurazione hanno evidenziato che, soprattutto per i prestiti verso grandi imprese dotate di elevato standing e di buone classi di rating, il capitale a rischio è molto inferiore a quello di vigilanza, riducendo il ROE effettivo rispetto a quello potenziale. L’influenza positiva della cartolarizzazione in termini di riduzione degli oneri di regolamentazione, specie con riferimento ai requisiti minimi di capitale, si può evidenziare considerando che a livello contabile lo spostamento di attività fuori bilancio migliora la capitalizzazione della banca in rapporto all’attivo. Nella cessione di crediti in bonis, le motivazioni della banca venditrice e dell’acquirente sono riconducibili, rispettivamente, a ragioni per lo più di carattere reddituale e finanziario – trasferimento del rischio di credito, riduzione dei vincoli di capitale, accesso a una fonte di finanziamento a lunga scadenza a tassi convenienti – e alla possibilità di investire in titoli emessi a fronte di attività a elevato rating. Al contrario la convenienza del ricorso alla cessione di crediti non performing (che sono prevalentemente ipotecari), è di più complessa valutazione dato che deve considerare aspetti economici, finanziari e gestionali. In particolare, l’originator consegue il beneficio oltre che in termini di trasferimento del rischio di credito e di aumento delle risorse finanziarie, anche in termini di: riduzione delle spese di gestione del contenzioso, in particolare quelle legali; trasferimento dei rischi di recupero; diverso uso del personale in precedenza impegnato nella gestione del portafoglio. Il cessionario da parte sua acquisisce asset che possiamo definire commerciali e non puramente finanziari, con l’obiettivo di massimizzarne il recupero rispetto al prezzo di acquisto potendo nello stesso tempo finanziarsi a condizioni più vantaggiose. 77 Con riferimento ai NPLs, i molteplici obiettivi della cartolarizzazione e i relativi effetti, strettamente connessi tra di loro, possono quindi essere classificati in52: obiettivi di natura economico-finanziaria; obiettivi di natura gestionale; tra quelli di natura economico-finanziaria possiamo evidenziare: smobilizzo delle sofferenze e dei crediti dubbi con immediata disponibilità dei fondi; realizzazione di fondi derivanti dal corrispettivo della cessione; incremento del patrimonio libero e del coefficiente di solvibilità; miglioramento degli indici di bilancio; miglioramento del rating dell’originator e dunque maggiori possibilità di accesso al mercato per future operazioni sul capitale; la possibilità di spalmare su un arco temporale pluriennale le eventuali perdite derivanti dalla peggiore performance del portafoglio attraverso la sottoscrizione delle tranche subordinate; incasso delle commissioni di servicing; in merito a quelli di natura gestionale, possiamo ricordare: miglioramento dei meccanismi di controllo del credito attraverso un più efficace monitoraggio delle posizioni in sofferenza; risparmio dei costi operativi di attuazione del recupero che qualora venga svolto per via giudiziaria richiede tempi più lunghi e occupa in misura notevole le risorse interne. Con l’approvazione della legge n.130/1999 si sono potuti realizzare anche obiettivi specifici in termini di: riduzione dei costi legali e delle spese per la costituzione all’estero dello SPV; inoltre si possono realizzare più emissioni con lo stesso veicolo riducendo l’incidenza dei costi fissi sulla singola transazione; emettere titoli soggetti ad un regime fiscale con la ritenuta del 12,50%, e inoltre, per il periodo transitorio di due anni (ormai trascorso), distribuire su cinque esercizi la perdita derivante dal differenziale tra il valore contabile dei crediti e il loro valore di cessione. La legge inoltre, mantenendo inalterata la possibilità di realizzare gli obiettivi indicati, ha fatto venire meno sia la necessità di emettere il prestito subordinato zero coupon – grazie alla possibilità di riportare le perdite realizzate sul prezzo di cessione per i cinque successivi esercizi –, sia la necessità di frapporre un’istituzione finanziaria tra originator e SPV come era invece accaduto in alcune operazioni concluse in passato. 52 Claudio Porzio, Securitisation e crediti in sofferenza, Bancaria Editrice; Dino Crivellari, Laboratorio Crediti non performing, Università degli Studi di Macerata. 78 Osservando più da vicino gli obiettivi e le conseguenze di natura economicofinanziaria possiamo affermare che la valutazione del profilo economico-finanziario di un’operazione di securitisation, specie se di dimensioni significative, è molto complessa poiché incidendo sulla composizione e sulle caratteristiche di rischio del portafoglio, richiede non soltanto la misurazione dell’effetto della riduzione del costo del finanziamento dei crediti (quando il rendimento atteso di questi ultimi è più basso del costo medio ponderato del capitale), ma anche il confronto tra il profilo di rischio-rendimento atteso degli impieghi cartolarizzati e quello degli investimenti che la banca intende effettuare utilizzando le somme ottenute mediante la cessione. Dall’osservazione pratica sembra emergere che il mercato non valuti positivamente le operazioni di securitisation effettuate dalle banche minori perché hanno l’effetto di deteriorare la qualità complessiva del portafoglio crediti generando conseguentemente un aumento del rischio e una maggiore volatilità dei rendimenti; al contrario, per le banche maggiori pare esserci un apprezzamento da parte degli investitori che vedono l’operazione come uno strumento destinato ad aumentare la capacità dell’originator di erogare altri prestiti. Finora la letteratura non ha affrontato in maniera specifica il tema con riferimento ai NPL, dato che l’esperienza internazionale si basa sull’utilizzo prevalente, se non esclusivo, di crediti in bonis i quali, da un lato possono essere finanziati a costi più bassi perché di qualità migliore rispetto a quella media dell’intero portafoglio, dall’altro, permettono di ridurre i costi legati al rispetto delle norme di vigilanza poiché andrebbero fronteggiati da un ammontare di capitale proprio più basso di quello previsto dai coefficienti. Lo smobilizzo di sofferenze e crediti dubbi, posizioni a scarso rendimento e alti costi di gestione, presenta anzitutto vantaggi legati alla riduzione dell’ammontare di attività e passività con miglioramento degli indici di redditività lorda e netta; le nuove risorse finanziarie acquisite consentono inoltre di concentrare l’attività su nuove aree rendendo così possibile recuperare più velocemente le condizioni di equilibrio finanziario ed economico con connessi benefici in termini di solidità patrimoniale. 79 Sotto il profilo patrimoniale possiamo osservare che la cessione di NPL consente: il miglioramento di alcuni indicatori di bilancio tra cui il coefficiente sofferenze/impieghi e l’indice di copertura degli impieghi; la modifica della composizione del portafoglio sofferenze qualora la cessione riguardi prevalentemente una sola categoria di crediti: ad esempio, se si tratta di soli crediti ordinari aumenterà l’incidenza di quelli fondiari; l’eventuale riduzione della concentrazione del rischio verso singoli obbligati evitando di superare i limiti imposti in materia di grandi fidi; l’aumento del capitale libero (free capital). Per ciò che riguarda i coefficienti patrimoniali l’operazione genera un’eccedenza pari all’8% del valore di carico dei crediti ceduti e un assorbimento pari al valore ponderato dei nuovi impieghi: il saldo tenderà sempre a produrre un effetto positivo in quanto il primo fattore dovrebbe essere sempre maggiore del secondo. In merito a questo, un minore incentivo deriva dal nuovo indice di ponderazione previsto per le sofferenze che, nel dicembre 1996 è passato da 2 a 1; l’effettivo assorbimento di capitale di vigilanza dipende tuttavia dalla forma legale della cessione e dall’eventuale presenza di garanzie dirette o indirette, nonché dalla partecipazione a una quota del prestito con grado di subordinazione. Deve essere anche ricordato che il livello delle sofferenze concorre a determinare due indicatori di rischio – sofferenze su crediti verso clientela ordinaria, sofferenze su patrimonio – che occorre rispettare nell’ambito della adesione al fondo interbancario di tutela dei depositanti; la loro cessione produce un effetto positivo sul primo indice e, positivo o negativo sul secondo in funzione del prezzo di cessione uguale o inferiore al valore di carico. La cessione comporta spesso una perdita, pari alla differenza tra il corrispettivo e il valore iscritto in bilancio al netto delle svalutazioni effettuate, che assume rilievo ai fini sia civilistici che fiscali con riferimento all’esercizio in cui si perfeziona; infatti come disposto dalla citata legge n.130/1999, la minusvalenza, per due anni dall’entrata in vigore, poteva essere portata interamente a conto economico nell’esercizio in corso o, in alternativa, imputata a riduzione del patrimonio e a conto economico in cinque esercizi. La valutazione delle garanzie rilasciate dalla banca cedente e degli eventuali titoli in portafoglio dovrebbe essere effettuata sulla base del presumibile valore di 80 realizzo/recupero dei crediti cartolarizzati, mentre la linea di liquidità che rappresenta essenzialmente un impegno a favore del programma e, come tale, sopporta un rischio limitato, fino al suo eventuale utilizzo rappresenta un impegno fuori bilancio. La cartolarizzazione ha un impatto positivo sul conto economico della banca cedente grazie a53: sostituzione delle sofferenze con impieghi più redditizi; interessi sui titoli detenuti; eventuali commissioni per lo svolgimento dell’attività di servicing; minori spese legali; eventuale ammortamento della minusvalenza da cessione. Gli oneri sostenuti per la conclusione dell’operazione possono, per effetto del rapporto tra il costo complessivo per la sua realizzazione organizzativa tecnica e finanziaria e il valore atteso dei vantaggi, essere considerati tra i costi capitalizzati e ammortizzati in quote costanti in cinque esercizi a partire da quello nel corso del quale l’operazione è conclusa. Valutando gli obiettivi e la convenienza delle operazioni di cartolarizzazione di sofferenze, una particolare criticità assume la stima dei costi (finanziari e impliciti) sopportati direttamente dall’originator per assicurare il credit enhancement. La bassa qualità del pool e/o i dubbi circa l’efficienza delle procedure di gestione del portafoglio debbono essere compensati da un’adeguata strutturazione dell’operazione. La presenza di clausole contrattuali e di meccanismi di garanzia permette di bilanciare, almeno in parte, il rischio di default dei debitori ceduti ma, contemporaneamente, richiede un più intenso supporto dei credit enhancer esterni e/o la costituzione di maggiori garanzie interne che si traducono in un aumento dei costi sostenuti dall’originator. In merito alle garanzie esterne, la loro onerosità è indirettamente influenzata dall’efficacia della tutela legale dei creditori e, a sua volta, influisce sia sulla stima dei flussi di cassa attesi sia sulla quantificazione della loro variabilità; infatti, una 53 Claudio Porzio, Securitisation e crediti in sofferenza, Bancaria Editrice; Dino Crivellari, Laboratorio Crediti non performing, Università degli Studi di Macerata. 81 debole protezione dei diritti dei creditori aumenta la convenienza all’inadempimento per i debitori perché riduce i costi di insolvenza. In contesti legali che vanno a privilegiare la posizione dei prenditori di fondi a danno di quella dei datori, la probabilità di default è strettamente legata all’andamento congiunturale rispetto a realtà in cui la protezione legale dei creditori è più efficace, anche se in fasi congiunturali negative il valore degli attivi dei prenditori di fondi si riduce indebolendo ulteriormente la posizione di chi ha concesso il credito. Queste considerazioni di ordine generale sono valide soprattutto per la cartolarizzazione delle sofferenze. L’efficienza delle procedure legali incide sia su tempi e modi del recupero sia sull’effettiva possibilità di arrivare ad una soluzione negoziale di tipo privato; in questo secondo caso, infatti, i debitori saranno disposti a cooperare anche nella misura in cui il ricorso ad alternative legali penalizzanti si presenti come una minaccia realmente utilizzabile dai creditori. Da queste osservazioni di carattere generale può emergere che l’ottenimento di rating adeguati richiede o una massiccia overcollateralisation oppure un consistente livello di credit enhancement di altro tipo che, per la banca cedente, si traducono o nell’impossibilità di trasferire quote rilevanti del rischio di credito sui sottoscrittori o in costi molto elevati per il suo trasferimento a terzi. Passando ad esaminare alcuni effetti di natura gestionale, possiamo affermare che la securitisation, in alternativa alla liquidazione pro-soluto o ad altre modalità che non presuppongono la cessione, presenta grandi vantaggi per l’originator perché consente, da un lato, la raccolta di nuovi fondi e, dall’altro, l’adozione di soluzioni che prevedano una cessione solo parziale dei rischi di portafoglio mantenendo la gestione del processo di recupero tramite lo svolgimento della funzione di servicing. Se la cartolarizzazione implica la cessione a terzi dell’attivo non performing ma consente all’originator di continuare a presidiare il rapporto con il debitore ceduto, l’entità del rischio da trasferire dipende dall’efficienza delle strutture amministrative e di controllo: maggiore è l’efficienza nella gestione dei crediti, minori sono i costi della loro cessione e più elevata la quota trasferibile ai terzi a condizioni convenienti. L’originator può liberarsi interamente dei costi di gestione del portafoglio solo se tali attività sono svolte da un terzo sulla base di un contratto di servicing; questa è 82 una delle principali differenze rispetto alla cessione dei crediti in bonis, nella quale il cedente conserva sempre il ruolo di gestore del portafoglio, facilitando la riscossione dei pagamenti e mantenendo le relazioni con la clientela. L’analisi delle operazioni di cartolarizzazione finora conclusa ha evidenziato come la funzione di servicer continui quasi sempre ad essere svolta dalla banca cedente, la quale mantiene una quota equity o subordinata talvolta molto significativa anche per fornire un’ulteriore forma di credit enhancement; si può, inoltre, constatare la scarsa presenza di intermediari specializzati in grado di svolgere, su base continuativa e a favore di molteplici soggetti, il ruolo di servicer. Lo svolgimento dell’attività di servicing a fronte dell’incasso delle relative commissioni, richiede al cedente la preliminare attuazione di significative innovazioni di processo: infatti la conclusione dell’operazione secondo standard internazionali richiede parametri e strumenti di controllo gestionali tali da consentire una puntuale valutazione del portafoglio ceduto e delle sue performance. E’ indispensabile quindi attuare forme di riorganizzazione interna che consentano un flusso immediato delle informazioni sul debito sottostante, a partire dall’ufficio che gestisce l’originario debitore a quello centrale che coordina le operazioni di cartolarizzazione. In alcuni casi la banca cedente ha costituito delle strutture dedicate che consentono la separazione contabile ed evitano i conflitti di interesse. Per assicurare la massima efficienza del processo di recupero, esse utilizzano l’opera dei migliori gestori cui viene offerto un sistema di incentivazione basato sui risultati. La cartolarizzazione può, quindi, avere un non trascurabile impatto positivo sull’efficienza dell’intera struttura interna la cui attività dovrebbe essere finalizzata a una migliore gestione delle posizioni e al puntuale controllo dei rischi. Nella valutazione degli oneri complessivi va opportunamente considerata la stima dei costi e dei benefici di tali innovazioni organizzative: le conoscenze accumulate e la presenza di strutture già predisposte per la raccolta delle informazioni e l’elaborazione dei dati favoriscono quindi la contrazione dei costi, sia iniziali che ricorrenti, di progettazione delle operazioni. Forse è anche per questa ragione che va sempre più diffondendosi il numero delle “operazioni sorelle” concluse o annunciate. I costi a carico dell’originator possono essere distinti tra spese iniziali e di struttura e costi ricorrenti. Quelli iniziali e di struttura comprendono i costi necessari per 83 giungere all’effettiva emissione, principalmente quelli relativi alla costituzione dello SPV e alla predisposizione del quadro giuridico e contrattuale. Poiché il loro ammontare è solo parzialmente determinato dalla dimensione, essi possono costituire una barriera all’entrata rendendo le operazioni proponibili e convenienti solo al di sopra di una determinata soglia. Naturalmente questi costi si riducono nel caso di strutture multi-seller in cui lo SPV assume le funzioni di raccordo (conduit) e acquista crediti da differenti originator. La securitisation rappresenta una strategia perseguibile non solo da operatori di grandi dimensioni ma anche da istituzioni di dimensioni più ridotte, in quanto due o più banche locali potrebbero cedere congiuntamente allo SPV impieghi omogenei al massimo grado, per poi ottenere pro-quota le disponibilità ricavate dall’emissione delle ABS. Ai costi iniziali vanno aggiunti quelli operativi che lo SPV deve sostenere dopo il classamento dei titoli e durante tutta la loro vita: servizio e monitoraggio del portafoglio, informativa periodica alle controparti e agli investitori, commissioni da riconoscere ai fornitori dei servizi amministrativi. La circostanza che la banca cedente preferisca trattenere il servicing al fine di mantenere il rapporto con il cliente ceduto e di limitare il rischio di diffusione delle informazioni sulla clientela, può, in realtà, rispondere anche a un criterio di economicità in considerazione delle commissioni incassate che coprono parte dei costi sostenuti. 84 CAPITOLO 3 3.1 Il mercato degli NPLs e il caso UGC Banca 3.1.1 Il mercato degli NPLs Nel mondo economico-finanziario è nota la teoria conosciuta come “Legge di Gresham”, formulata nel sedicesimo secolo da Sir Thomas Gresham, agente di commercio al servizio di Sua Maestà britannica, secondo la quale la circolazione di moneta è caratterizzata dalla presenza di due tipologie: la moneta “buona” e quella “cattiva”. Entrambe sono accettate al medesimo valore e con lo stesso corso legale ma quella dominante è sempre quella “cattiva”. Questo perché le persone preferiscono spendere quella cattiva e tenere per sé quella buona, la quale, un po’ alla volta sparisce dalla circolazione. Un esempio pratico si può riscontrare in tempi relativamente recenti: nel 1965 in America la moneta da mezzo dollaro era costituita per il 40% da lega in argento. L’anno precedente la stessa moneta era stata coniata con argento al 90%. Nel 1965 le due monete avevano entrambe corso legale ed erano accettate al medesimo valore, ma, rapidamente, la moneta con più alto contenuto di argento scomparve dalla circolazione e il suo posto fu preso dalla moneta più povera di argento. Questa “legge” venne ripresa successivamente come base per l’elaborazione di altre teorie di scienza economica. In particolare, per l’argomento che ci interessa, ricordiamo gli studi dell’economista scozzese Sir Henry Dunning McLeod (18211902) nella sua nota teoria del credito: “Se mi venisse chiesto quale scoperta abbia più profondamente influenzato la fortuna della razza umana, si potrebbe probabilmente dichiarare la scoperta che il credito è una merce vendibile”54. Richiamandoci a quanto espresso nel capitolo 2, nella categoria dei Non Performing Loans rientrano quei crediti caratterizzati da pagamenti irregolari dovuti ad uno stato di insolvenza della controparte, che rende necessaria l’escussione delle garanzie e fa ritenere probabile la perdita di una quota 54 Dino Crivellari, Laboratorio Crediti non performing, Università degli Studi di Macerata 2007. 85 significativa del capitale complessivamente erogato o del corrispettivo della prestazione eseguita. Ciò non significa che una volta emersa l’insolvenza non sia possibile recuperare parte dei finanziamenti concessi. Infatti i crediti insoluti possono comportare tassi di perdita inferiori al 100% o nulli se il valore di realizzo delle garanzie è più capiente rispetto all’importo del debito. In Italia, come in altri Paesi, si è creato un vero e proprio mercato nel quale vengono intermediati, ceduti, acquistati e gestiti i crediti insoluti. Nel 2006, secondo dati pubblicati da UGC Banca (di cui tratteremo diffusamente più avanti), su stime di A.T. Kearney (società di consulenza strategica fondata a Chicago nel 1926, presente in oltre 30 Paesi), in Italia si valutava che il mercato dei NPLs ammontasse a circa 220 miliardi di Euro, distribuiti percentualmente tra diversi soggetti economici, come da grafico che segue: Grafico 1 – Stima totale NPLs in Italia (2006, dati in mld di Euro, %) 100% 10-15% 25-30% 5-10% 45-50% Banche/Società finanziarie Banche di investimento/Società specializzate Aziende industriali/utilities Fonte: UGC Banca su stime A.T. Kearney 86 Pubblica amm.ne/Enti previdenziali Totale La quota maggiore di insoluti appartiene al sistema bancario nonostante il trend delle sofferenze bancarie negli ultimi tempi sia andato riducendosi. In realtà il decremento è dovuto ad operazioni di cessione effettuate sempre più sistematicamente. Infatti negli ultimi anni le banche hanno ceduto asset non performing per un valore equivalente ad oltre un terzo delle sofferenze prodotte dal sistema bancario italiano. Gli acquirenti sono solitamente rappresentati da investment banks straniere che ne affidano la gestione a servicer italiani (bancari e non). Nel grafico sottostante si nota l’andamento decrescente delle sofferenze bancarie nel periodo che va dal dicembre 2000 al gennaio 2007: Grafico 2 – Riduzione del trend delle sofferenze bancarie dicembre 2000 - gennaio 2007 Fonte: Dino Crivellari, Laboratorio Crediti non performing, Università degli Studi di Macerata 2007 Da ciò si evince che le sofferenze bancarie vanno sempre più acquistando la caratteristica di “merce di scambio”, si assiste cioè alla cosiddetta “debancarizzazione delle sofferenze” ed alla successiva “bancarizzazione del servicer”. In questo modo le banche: saranno sempre meno interessate a gestire i propri crediti; resteranno erogatrici di credito; venderanno il “servizio di gestione dei crediti”, creando le premesse per una nuova business-line bancaria. 87 Se ci chiediamo quali siano stati i fattori che hanno indotto le banche a porsi il problema della gestione dei NPLs, possiamo trovare la risposta nelle seguenti tabelle tratte dagli studi del Laboratorio Crediti non performing dell’Università di Macerata. Tabella n.2 – Fattori che influenzano la gestione dei NPLs Fattori interni alle banche Fattori di mercato Fattori normativi la gestione stragiudiziale è da preferire a quella giudiziale una gestione interna dedicata e professionale degli NPLs può creare valore • • • entrata nel mercato italiano di player attivi nelle cessioni con conseguente incremento dei prezzi: • • banche di investimento player specializzati • • società di recupero crediti servicing immobiliare diminuita convenienza delle cartolarizzazioni rispetto alle cessioni “tout court” per l’entrata in vigore degli IAS/IFRS quantificazione puntuale LGD in ottica Basilea 2 Se si studia il comportamento degli operatori bancari in merito alla scelta di una strategia ottimale di gestione dei NPLs, possiamo notare che essi possono comportarsi secondo lo schema seguente: 88 Tabella n.3 – Comportamento degli operatori bancari in relazione alla strategia di gestione dei NPLs adottata Modelli possibili In house Arbitraggisti * Strategia applicata Tipologia operatore bancario gestione in house della maggior parte dei crediti offerta proattiva di servizi di servicing a controparti di dimensioni minori grandi banche italiane o estere, che hanno conseguito economie di scala e di scopo per gestione economicamente ottimale dei loro portafogli NPLs valutazione della convenienza economica della strategia make vs buy per i diversi segmenti gestione in house della fascia alta della clientela servicing/cessione delle altre cessioni in base al pricing stimato nei due mercati banche di dimensioni mediograndi che avranno sviluppato skill/expertise per la valutazione economica delle alternative *Terminologia mutuata da McKinsey Tradizionale gestione in house delle fasi di pre-incaglio cessione a terzi in blocco delle sofferenze ogni 2/3 anni banche di medie dimensioni banche piccole Si è andata via via osservando un’evoluzione gestionale ed organizzativa degli operatori: il settore della gestione dei crediti problematici sta attraversando un periodo di forte sviluppo, considerata la rilevante e significativa dimensione economica del fenomeno; va sempre più accentuandosi un orientamento alla gestione “in logica di business” e alla creazione di valore. La specializzazione, lo sviluppo professionale delle risorse, l’innovazione gestionale ed organizzativa rappresentano le leve fondamentali per seguire con successo questo percorso di sviluppo. In margine a quanto appena detto, possiamo ricorrere all’uso di uno schema per osservare come la costituzione di unità specializzate nella gestione dei crediti problematici sia andata evolvendosi: 89 Fonte: Dino Crivellari, Laboratorio Crediti non performing, Università degli Studi di Macerata 2008 In merito agli sviluppi futuri del mercato italiano degli NPLs si può ipotizzare l’evolversi di un trend di questo tipo, riguardante gli operatori di mercato, i comportamenti delle banche e gli strumenti di supporto: Fonte: Dino Crivellari, Laboratorio Crediti non performing, Università degli Studi di Macerata 2008 90 Pur volgendo la mente alle strategie future e ipotizzando sviluppi di crescita del mercato, non si può fare a meno di considerare che quello italiano deve fare i conti con molte sacche di inefficienza che influiscono negativamente sulla procedura di recupero. Sono soprattutto i “tempi della giustizia” che influenzano la qualità del credito. Da una rilevazione della Banca d’Italia Anno 1998 – 2000 è emerso che: le procedure giudiziali e gli accordi privatistici hanno la stessa rilevanza nell’ambito delle procedure di recupero crediti; i costi attesi delle procedure giudiziali tendono a superare i vantaggi attesi a beneficio delle procedure stragiudiziali; le procedure stragiudiziali mostrano un più elevato tasso di recupero; i costi sostenuti per il recupero del credito sono pari al 2,3% dei costi operativi, di cui circa il 50% sono imputabili al costo dei legali esterni. Fonte: Rilevazione Banca d’Italia – Anno 1998-2000 – Valori espressi in % dei costi operativi E’ ormai opinione diffusa e condivisa che la lunga durata delle cause civili offre vantaggi dilatori per il debitore; il ricorso alle vie giudiziali è infatti una strategia finalizzata ad ottenere una dilazione di pagamento della somma contestata o, in alternativa, a concordare una transazione favorevole. Inoltre i tassi di interesse applicati sulle somme contestate sono generalmente inferiori a quelli di mercato a tutto vantaggio della parte in torto che, in questo modo, si avvantaggia dell’eccessiva durata dei processi. E’ evidente che i lunghi tempi della giustizia rappresentano un costo per lo svolgimento e lo sviluppo dell’attività d’impresa. Dall’esame di una recente ricerca55, per il recupero di un credito in Italia sono necessari in media 1210 giorni lavorativi a fronte di soli 190 55 World Bank 2006. 91 della Danimarca, dei 229 del Regno Unito, dei 342 dell’Austria e dei 394 della Germania. Secondo recenti stime56, i costi della giustizia ammontano a circa 2,3 miliardi di Euro, con un impatto medio per ciascuna impresa di circa 384 mila Euro. Il costo del ritardo per la riscossione di crediti è di 1,1 miliardi di Euro, mentre il costo conseguente ai ritardi nelle procedure concorsuali impegna le imprese a sostenere maggiori oneri finanziari per quasi 1,2 miliardi di Euro. Tutti questi costi vanno ad incrementare di circa il 12% quelli già cospicui dovuti ai fallimenti (stimati in 9,6 miliardi di Euro) e comportano una perdita complessiva per il sistema economico italiano stimata in circa di tre quarti di punto del PIL!! Quanto il livello di efficienza della giustizia civile influenzi la qualità del credito emerge osservando lo schema sotto riportato: (*) Rilevazione Banca d’Italia – Anno 2000 – Valori espressi in % (**) Elaborazione dati Ministero della Giustizia – Dati nazionali 56 Centro Studi Confindustria. 92 Secondo dati riportati da Cercone, Coppola e Corsini nel 1998 sull’intervallo tra inizio della procedura e recupero effettivo in mesi57, i tempi della giustizia presentano una significativa eterogeneità tra le diverse regioni del territorio nazionale, ad esempio il completamento di una procedura esecutiva richiede 35 mesi in Trentino-Alto Adige e 95 in Sicilia. Questo comporta che il ricorso a diversi Tribunali – nello stesso territorio nazionale – si traduce in procedure più o meno lente e, quindi, più o meno dannose nei confronti dei creditori. Le conseguenze di ciò sul valore attualizzato dei crediti si evidenziano nella tabella seguente: Fonte: Dino Crivellari, Laboratorio Crediti non performing, Università degli Studi di Macerata 2008 L’inefficienza della giustizia si misura in termini di differenziale di prezzo e non soltanto in termini di iniquità. La perdita subita dalle banche è considerevole: 10,3 miliardi di Euro per mancato incasso (che si traduce anche in un minor gettito fiscale pari a 4,4 miliardi di Euro) più la perdita finanziaria dovuta alla eccessiva durata dei procedimenti. 57 Claudio Porzio, Securitisation e crediti in sofferenza, Bancaria Editrice; Dino Crivellari, Laboratorio Crediti non performing, Università degli Studi di Macerata. 93 3.1.2 Brevi cenni sul mercato delle cartolarizzazioni Riprendendo quanto detto nel capitolo precedente a proposito delle cartolarizzazioni, nonostante la legge che le disciplina in Italia sia entrata in vigore relativamente tardi rispetto agli altri Paesi europei, il loro mercato in Italia continua ad essere uno dei più attivi in Europa. Il settore bancario italiano sta subendo dei marcati cambiamenti in termini di strutture proprietarie e assetti operativi. Questi cambiamenti stanno trasformando le banche italiane in entità più imprenditoriali. Molte banche stanno guardando alla cessione dei crediti, per larga parte ancora NPLs, come un concreto strumento di gestione di bilancio, una via per liberare capitale e una strada per migliorare la competitività nazionale ed internazionale. Il settore delle cartolarizzazioni in Italia pertanto continua ad essere positivo. Le cessioni di molti portafogli NPLs italiani creano il potenziale per una nuova ripresa del settore in un futuro molto prossimo. Questa previsione è ampiamente supportata dal continuo aumento del livello dei NPLs. Al contempo il mercato ha subìto un numero di cambiamenti e un grado di riorganizzazione, inclusa l’implementazione diffusa di piattaforme avanzate per la gestione dei NPLs, creando così un ambiente ideale per un’ulteriore espansione del settore. Alla luce dei requisiti minimi di capitale richiesti da Basilea 2, è molto probabile che le nuove operazioni acquisiranno la forma di cartolarizzazioni in cui un investiment bank o un fondo immobiliare acquisterà un pool di NPLs dalle banche e poi lo cartolarizzerà, ricavandone un interesse accessorio. L’entrata in vigore di Basilea 2 creerà nuovi incentivi relativi al modo con cui le banche misurano il rischio e allocano il capitale. Questi nuovi incentivi influenzeranno gli investimenti bancari e le strategie di gestione del portafoglio, e di conseguenza avranno un importante impatto sul mercato finanziario dove le banche e le istituzioni finanziarie sono i maggiori players. Considerando il mercato italiano delle cartolarizzazioni dei NPLs, si può affermare che esso è stato molto attivo tra il 1999 e il 2002, con un’ampia disponibilità di attivi ancora da cartolarizzare e buona performance delle operazioni esistenti, con recuperi sui crediti chirografari superiori alle aspettative. 94 Per contro, c’è stato un rallentamento del mercato pubblico degli NPLs dovuto in realtà al parallelo sviluppo di un mercato privato caratterizzato da un’intensa attività di compravendita di portafogli di sofferenze; le cartolarizzazioni dirette, dove l’originator ed il servicer coincidono, sono state progressivamente sostituite da operazioni di principal finance; i portafogli di NPLs assumono dimensione inferiore rispetto al passato, con una maggiore incidenza di crediti chirografari verso società rispetto ai più tradizionali mutui residenziali a privati visti in tempi precedenti, e le cartolarizzazioni di sofferenze tornano nuovamente ad essere trattate come un asset class a sé stante. Antecedentemente all’emanazione della Legge n.130/1999, l’Italia non era rimasta estranea ad operazioni di cartolarizzazione. Ma tutte queste operazioni erano caratterizzate dall’esigenza di situare la società emittente in un Paese estero dotato di regolamentazioni fiscali e normative favorevoli. Con la Legge appena richiamata, il legislatore ha dettato un microsistema di principi innovativi rispetto alle tradizionali codificazioni del diritto comune italiano. In merito alla tecnica normativa, il legislatore, limitandosi a dettare dei principi guida, ha privilegiato l’autonomia negoziale attribuendo facoltà di costruire le più svariate architetture finanziarie, rispondendo così alle esigenze della pratica finanziaria e degli operatori di settore. Il prospetto informativo è l’unico documento il cui contenuto il legislatore ha preferito disciplinare nel dettaglio, vista la funzione pubblicistica assolta dallo stesso. Pur coinvolgendo molte figure, la legge considera quali soggetti centrali della securitisation soltanto le società veicolo ed il servicer. Un esempio degli asset cartolarizzabili ai sensi della Legge sopraccitata può emergere dal seguente elenco58: mutui ipotecari a tasso fisso e a tasso variabile; contratti di franchising; prestiti per l’acquisto dell’auto; prestiti per l’acquisto di attrezzature di ufficio; crediti al consumo; prestiti per l’acquisto di attrezzature agricole; contratti di leasing; 58 Dino Crivellari, Laboratorio Crediti non performing, Università degli Studi di Macerata 2006-20072008. 95 diritti televisivi e cinematografici; student loans; premi assicurativi; carte di credito; crediti all’esportazione; corporate loans; contratti di locazione di immobili; royalties musicali; crediti commerciali; security repackagings; cash flows derivanti da attività commerciali (hotel, pubs, ecc.); finanziamenti per l’acquisto di aerei; sovereign loans; health-care receivables; future cash flows. Schematicamente, un’operazione di securitisation è caratterizzata da una cessione correlata ad una emissione di titoli. Affinché si realizzi concretamente ed effettivamente un’operazione di cartolarizzazione è però necessario che vi sia una true sale, ovvero un effettivo e non fiduciario trasferimento degli attivi, in caso contrario si dovrebbe parlare di operazione di finanziamento garantito (finanziamento con garanzia dissimulato), non essendovi in tal caso una traslazione del rischio in capo all’acquirente. Ci si trova in presenza di una true sale solo nei casi in cui la società veicolo abbia una completa capacità di controllo sugli attivi cartolarizzati e se ne assuma i rischi connessi. Qualora lo schema contrattuale della securitisation preveda il trasferimento della plusvalenza all’originator si dovrebbe negare di essere in presenza di una true sale e riqualificare l’operazione quale forma di finanziamento con garanzia dissimulato. Per evitare il rischio di riqualificazione è necessario strutturare l’operazione in modo che il rischio sostanziale inerente gli attivi ceduti non permanga in capo al cedente. E’ pertanto necessario che il trasferimento avvenga nella tipologia del pro soluto. 96 Figura n.4 – Schema di un’operazione di cartolarizzazione di NPLs di successo: “Quercia Funding S.r.l.” Struttura dell’operazione ABS Class* Flussi iniziali Class A – “AAA” Class B – “A” Flussi successivi all’emissione 111.7 mln Euro 39.5 mln Euro Class C – “BBB” Class D – “BB” 26 mln Euro Class E 19.4 mln Euro 20.8 mln Euro Portafoglio NPLs 112 mln Euro Emissione ABS CARIVERONA BANCA (Originator) Collocamento sul mercato LEHMAN BROTHERS UBM- MPS FINANCE (Lead Manager) Cessione portafoglio Ricavo netto di sottoscrizione Incasso corrispettivo della cessione QUERCIA FUNDING (SPV) INVESTITORI Destinazione incassi al rimborso degli investitori MEDIOVENEZIE BANCA (Originator) Cessione portafoglio Trasferimento in gestione Portafoglio NPLs 141 mln Euro UGC BANCA (Servicer) * Il rating indicato è quello dell’inizio operazione, avendo Fitch Ratings nel maggio 2004 innalzato il rating a tutte le classi, ad eccezione della A in quanto il titolo era già stato rimborsato integralmente in via anticipata nel 2003. Fonte:UGC Banca 97 3.1.3 Il caso UGC Banca59 UGC Banca (nell’aprile 2008 l’assemblea straordinaria dei soci di UGC Banca, società del gruppo UniCredit specializzata nella gestione dei crediti anomali, ha approvato la modifica statutaria che recepisce la denominazione sociale UniCredit Credit Management Bank), è la Banca del Gruppo UniCredit specializzata nella gestione dei crediti anomali. L’Istituto è attivo da oltre un secolo. Esso è nato infatti nel 1900 come sezione del Credito Fondiario della Cassa Civica di Risparmio di Verona; nel 1919 si costituisce in Istituto di Credito Fondiario delle Venezie per poi trasformarsi in SpA nel 1992, assumendo la denominazione di Mediovenezie Banca. Fino a tutto il 1999 la Banca opera nell’ambito dei finanziamenti a medio e lungo termine e del credito speciale. Nello stesso anno UniCredit avvia il progetto denominato “C.O.R.E. – Creare una Organizzazione di Recupero Crediti Eccellente” finalizzato a trasformare l’allora Mediovenezie in Banca specializzata nella gestione dei crediti non performing sia per il Gruppo Unicredito Italiano che per la clientela extra-captive. Il principio di fondo cui si ispira il progetto “C.O.R.E.” si basa sulla considerazione che l’opportunità di gestire i crediti anomali in maniera accentrata porta a realizzare un rilevante beneficio nell’area del recupero crediti. Infatti: l’attività di recupero interessa un ammontare molto rilevante di crediti sia in numero che in volume; l’organizzazione aziendale della banca e l’approccio amministrativo-legale tradizionalmente seguito si sono dimostrati nel tempo di ridotta efficacia; la creazione di una Banca dedicata, dotata di un modello industriale innovativo e indipendente consente di migliorare significativamente l’efficacia e l’efficienza della funzione, perseguendo significativi benefici economici. La mission di UGC Banca è orientata su due fronti: 1) minimizzare il valore attuale del costo di gestione degli NPLs del Gruppo Unicredit; 2) massimizzare la redditività derivante dall’attività di gestione degli NPLs di società ed enti esterni. 59 Dino Crivellari, Laboratorio Crediti non performing, Università degli Studi di Macerata 2006-20072008. 98 Il modello organizzativo che viene adottato si fonda sulle seguenti direttive: strategia di recupero, che si traduce in velocità e tempestività del recupero, orientamento alla transazione stragiudiziale e perseguimento dell’economicità delle singole azioni; struttura organizzativa, specializzata per tipologia di credito; risorse e competenze, in quanto l’attività viene svolta da professionisti di alto profilo, organizzati in team e con elevate competenze specialistiche. In questo schema il gestore interno diviene il principale snodo organizzativo. Egli è il capo team da cui dipendono esperti di settore, consulenti e legali con la collaborazione dei quali gestisce un portafoglio di clienti. Egli deve avere competenze specialistiche e capacità gestionali ed è orientato a perseguire, finché è possibile, soluzioni stragiudiziali e viene premiato in funzione dei risultati conseguiti complessivamente. Il suo approccio nel trattamento dei grandi rischi è di tipo specialistico con la finalità di tutelare il valore del portafoglio e di massimizzare i recuperi; nella gestione del portafoglio intermedio il suo è un approccio integrato mirante a massimizzare i recuperi e minimizzare i costi; nei confronti dei micro-crediti l’approccio è deterministico con lo scopo di minimizzare i costi, velocizzare la gestione, cedere i portafogli esausti. Di regola il gestore avvia la negoziazione con una prima offerta prossima al credito nominale; compatibilmente con l’evoluzione della trattativa esso propone offerte successive di importo ribassato che convergono verso un punto di equilibrio di potenziale accordo. Il processo organizzativo adottato mira a contenere al massimo i tempi di gestione. Al conferimento dell’incarico l’operazione si svolge seguendo queste modalità: 1) il mandante informa a mezzo lettera l’obbligato principale e i garanti; 2) viene attribuita immediatamente la posizione ad un gestore ed eventualmente anche ad un consulente e ad un legale; 3) alle controparti viene subito inviata una prima lettera di invito alla definizione; 99 4) la gestione avvia tempestivamente la procedura di “rintraccio” del debitore, attività stragiudiziale, attività giudiziale eventuale; 5) si passa alla compilazione di un dossier e alla successiva valutazione che porta alla definizione della posizione. Tutto questo si avvale di un sistema informativo altamente avanzato sia sotto il profilo tecnologico che funzionale; grazie alle continue personalizzazioni consente di non gestire fascicoli cartacei. La documentazione relativa alla singola posizione è scansita e risiede in formato elettronico all’interno del sistema gestionale. Con la Riforma della Legge sul Risparmio – Legge 28/12/2005 n.262 – si prevede un ampliamento delle competenze di mediatori creditizi (art. 17)60: ad essi viene attribuita la possibilità di effettuare la gestione delle attività di recupero crediti. Si è così istituzionalizzata la figura professionale del Consulente esterno. I Consulenti esterni diventano così il vero elemento di gestione innovativa; di essi si avvale la banca per l’attività stragiudiziale. Si stima che il 90% di essi abbia conseguito la laurea; molti sono iscritti ad Albi professionali (Mediatori creditizi, Promotori finanziari, Commercialisti, Avvocati e praticanti Avvocati) e per la maggioranza vantano una pluriennale esperienza nel ruolo. Essi operano in base ad un contratto d’opera professionale e sono remunerati esclusivamente a risultato. L’attività di UniCredit Credit Management Bank, già UGC Banca, comprende un ampio spettro di servizi. 1) Operazioni di cartolarizzazione Innanzitutto essa svolge attività di servicing e di arranging in operazioni di cartolarizzazione. I crediti ceduti alla SPV vengono di norma gestiti da un servicer esterno; appunto UniCredit Credit Management Bank, già UGC Banca. Gli attivi cartolarizzabili devono essere in grado di generare flussi di cassa prevedibili e certi. 60 Art. 17 Legge 28/12/2005 n. 262 - (Disposizioni in materia di mediatori creditizi). 1. I mediatori creditizi iscritti all’albo di cui all’articolo 16 della legge 7 marzo 1996, n. 108, possono svolgere anche l’attività di mediazione e consulenza nella gestione del recupero dei crediti da parte delle banche o di intermediari finanziari di cui all’articolo 107 del testo unico di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni. 100 Il volume degli asset da cartolarizzare deve essere elevato, al fine di permettere la costituzione di un portafoglio dotato di un buon profilo di rischio/rendimento, per consentire l’assorbimento dei costi connessi all’operazione. I vantaggi per l’azienda si traducono in: sensibile miglioramento delle condizioni di liquidità aziendali e conseguente possibilità di riduzione del livello di indebitamento mediante il reimpiego del capitale; miglioramento degli indici di bilancio (patrimoniali, finanziari e reddituali) e conseguentemente del rating aziendale; riduzione del costo del capitale mediante finanziamento a tassi competitivi; riduzione del rischio commerciale e dell’impatto dei crediti dubbi; aumento di valore per gli azionisti; benefici fiscali. L’operazione, inoltre, è capace di assicurare notevole visibilità aziendale di immagine sul mercato finanziario con possibilità di confronto e presentazione su questo mercato, anche in vista di una successiva eventuale quotazione in borsa. Essa migliora anche l’efficienza nell’organizzazione interna all’azienda grazie all’esternalizzazione a costi variabili dell’attività di gestione dei crediti. 2) La gestione del credito anomalo E’ stata costituita un’unità specializzata nella gestione dei crediti anomali che offre un servizio di gestione anche giudiziale. La Banca opera sull’intero territorio nazionale gestendo anche la fase di contatto e trattativa con i clienti delle mandanti allo scopo di individuare, ove possibile, soluzioni di definizione stragiudiziale più rapide e meno costose. La Banca si propone alla propria clientela istituzionale, a quella delle Banche del Gruppo e in generale al mercato, per la gestione su mandato di crediti anche anomali compresa l’attività giudiziale. Viene messa a disposizione della clientela una struttura costituita espressamente nella logica della gestione innovativa del credito, munita di strumenti di gestione d’avanguardia, di competenze settoriali consolidate e di personale specializzato e coadiuvato da un efficiente sistema di coordinamento informatizzato, con il vantaggio di disporre di propri uffici localizzati nelle principali città italiane, di legali e di collaboratori esterni di comprovata esperienza e affidabilità in tutte le piazze. 101 Alla luce dell’esperienza consolidata nel campo del contenzioso in generale e avendo come primo obiettivo quello di realizzare il credito personalizzando i rapporti in base alle specifiche esigenze del cliente, la banca è orientata a privilegiare la definizione extragiudiziale e a vedere il recupero giudiziale del credito, di norma, in via strumentale. Il rapporto con la società titolare dei crediti anomali viene formalizzato in un contratto di mandato, assistito da procura generale, che fissa, tra l’altro: tipologia del portafoglio da gestire e limiti d’importo; deleghe dei poteri per le definizioni anche transattive; tempistiche e modalità delle assegnazioni; tempistiche e contenuto del reporting; costi ed oneri. Il vantaggio per l’impresa consiste nell’eliminazione del costo fisso rappresentato dal costo amministrativo per la gestione del contenzioso e nella sua sostituzione con il costo variabile rappresentato dal corrispettivo dovuto alla banca, in funzione del successo dell’attività di recupero. Ciò consente all’azienda di ottenere non indifferenti vantaggi economici unitamente a vantaggi fiscali poiché la banca, valutato il credito e le garanzie reali e collaterali che lo assistono, fornisce al cliente una relazione informativa che, oltre a contenere un dettagliato resoconto dell’attività svolta, prospetta la migliore soluzione che può essere o meno di natura contenziosa ovvero, in relazione alla comprovata inesigibilità del credito, il suggerimento di svalutare ed in quale misura il credito. La professionalità e l’esperienza che muovono il meccanismo del contenzioso bancario permettono, inoltre, di non pregiudicare eventuali futuri rapporti di lavoro tra l’azienda e il cliente inadempiente. Infatti, la banca si propone non come mero esattore del credito, ma come tramite: contempera l’esigenza primaria del cliente di recuperare il proprio credito, e insieme ottiene dal debitore tutte le informazioni sulla sua situazione finanziaria che le permettano di individuare la soluzione più opportuna e conveniente. Infatti, non sempre conseguono vantaggi dall’aggressione immediatamente giudiziaria. Paventarla, invece, onde raggiungere la conciliazione, comporta sicuramente un doppio vantaggio: ottenere il massimo dal debitore e mantenere 102 impregiudicati i rapporti di lavoro tra quest’ultimo e l’azienda. Conseguente è pure la diminuzione per l’azienda dei rischi dipendenti dalla gestione diretta del credito. Il costo del servizio è estremamente contenuto rispetto ai vantaggi che derivano all’azienda, considerato che incide esclusivamente sull’importo recuperato delle pratiche andate a buon fine. Esso è articolato in: commissioni fisse per pratica, stabilite in funzione del numero delle posizioni da gestire e del livello di informatizzazione dei flussi; commissioni variabili in funzione dell’incasso conseguito per singola posizione, parametrate a volumi di lavoro, tipologia del credito, anzianità della criticità. Non vi sono altri oneri per la mandante fatti salvi i costi legali e gli aggiornamenti ipotecari ed informativi, ribaltati al costo. 3) Valutazione dei portafogli – Due diligence UGC Banca interviene nell’attività di due diligence nella fase di predisposizione di cartolarizzazioni ed operazioni di finanza strutturata. Effettua l’azione di supporto nella corretta definizione preliminare dell’asset con l’analisi strutturale e creditizia della Società (originator nelle cartolarizzazioni), verificando la realtà economica specifica nella quale opera la medesima e le caratteristiche della clientela coinvolta e valuta le singole posizioni del portafoglio determinando l’attendibilità e la valutazione dei crediti. In tale ambito effettua le previsioni di perdite e recuperi; per le cartolarizzazioni le previsioni vengono effettuate anche in funzione del rating atteso. Tutta l’attività è volta a rilevare che le caratteristiche del portafoglio siano rispondenti ai principi di omogeneità, cedibilità e adeguatezza a raggiungere gli obiettivi dell’operazione. 4) Servicing Come previsto dalla Legge n.130/1999 e dai successivi regolamenti in materia, la Banca svolge compiti di natura operativa oltre a funzioni di garanzia circa il corretto svolgimento delle singole fasi, verificando che le operazioni di cartolarizzazione siano conformi alle disposizioni vigenti. Essa assicura che: le riscossioni affluiscano correttamente nei conti dedicati della SPV; nelle singole fasi siano tutelati gli interessi dei portatori di titoli; 103 gli incassi avvengano nel rispetto delle scadenze programmate. L’attività di servicer della Banca, nelle cartolarizzazioni di crediti non performing, riguarda anche l’attività giudiziale. Inoltre essa ha acquisito un’adeguata specializzazione nel settore con un’efficace organizzazione dedicata. Si avvale di sistemi informativi rispondenti alle necessità della gestione sia stragiudiziale che giudiziale, che supportano le decisioni avvalendosi di specifiche banche dati. Ciò consente di velocizzare il recupero, uno stile orientato per quanto possibile agli accordi extra-giudiziali, con adeguate competenze finanziarie, legali e fiscali e collaudate capacità negoziali. Infine la Banca si propone anche per il ruolo di back up servicer, qualora ne sia richiesta la presenza, allo scopo di garantire, in caso di necessità, che il Servicer venga tempestivamente sostituito da un nuovo gestore del portafoglio. 5) Gestione integrata dei crediti delle procedure concorsuali Fra le diverse problematiche che possono ostacolare una più rapida e vantaggiosa chiusura delle procedure si può senz’altro annoverare la presenza – nell’attivo fallimentare, del concordato preventivo, della liquidazione coatta amministrativa, della amministrazione straordinaria – di crediti verso terzi di varia natura e di lunga e/o difficile ricuperabilità. Con riferimento alla gestione di tale parte dell’attivo, la prassi giudiziale e l’esperienza degli operatori di settore consentono di mettere a fuoco alcuni fra i più ricorrenti fattori di criticità: il “disordine” amministrativo e/o il mancato aggiornamento contabile che caratterizzano in taluni casi l’impresa ammessa alla procedura, uniti alla molteplicità e frammentazione delle posizioni creditorie, possono generare notevoli difficoltà di individuazione, valutazione e gestione di una parte significativa dell’attivo concorsuale; per numerosi crediti l’attività di recupero risulta di fatto paralizzata dalla apparente “irreperibilità” del debitore e gli uffici dei Curatori non sempre sono attrezzati per effettuare ricerche efficaci per il rintraccio; il tentativo di recupero quasi sempre si traduce in un primo invio di sollecito di pagamento, seguito spesso da una lettera di diffida; in caso di esito infruttuoso di solleciti e diffide inviati a mezzo posta, normalmente accade che la Curatela non effettua altre attività e propone al 104 Giudice Delegato la rinuncia all’attività di recupero, giustificata da uno o più fattori dissuasivi; ovvero, dove l’entità del credito lo consiglia/impone, il Curatore è solito proporre tout court il ricorso alle azioni giudiziali di recupero, anche senza essere nelle condizioni di fare una concreta valutazione di opportunità in mancanza di contatti diretti con la parte debitrice e/o di verifiche sulla sua rispondenza economico-patrimoniale; la scarsità di informazioni verificate “in loco” sul terzo debitore, la mancanza di analisi preventiva della situazione economico-patrimoniale ed un monitoraggio delle sue eventuali evoluzioni, l’onerosità e la tempistica delle attività giudiziarie possono indurre ad accettare definizioni transattive in realtà penalizzanti ovvero a non accettare proposte di fatto vantaggiose o, peggio ancora, ad accettare a contenzioso già avviato, proposte meno favorevoli rispetto a quelle ottenibili inizialmente, senza l’aggravio dei costi legali e di giustizia. La soluzione a queste problematiche è quella di adottare un “modello” di gestione e recupero dei crediti dinamico e pro-attivo, basato prevalentemente sulla valutazione ed il monitoraggio del grado di ricuperabilità dei crediti nonché sul recupero stragiudiziale mediante negoziato diretto con il terzo debitore ovvero mediante cessione dei crediti, limitando ai soli casi di effettiva prevedibile convenienza economica il ricorso all’azione giudiziale e continuando comunque ad affiancare a quest’ultima l’attività stragiudiziale, a risparmio di costi e di tempi. 6) Recupero crediti esteri UGC Banca ha ampliato la propria capacità di intervento per soddisfare le esigenze di aziende commerciali/industriali e delle procedure concorsuali, verso numerosi Paesi europei ed extra europei. Essa è attualmente operativa per recuperare in via stragiudiziale crediti problematici vantati verso debitori residenti in 26 Paesi europei e in 8 Paesi extraeuropei. 105 7) Cessione pro-soluto dei crediti tributari vantati dalle procedure concorsuali E’ noto che la presenza di crediti IVA, maturati nell’ambito delle procedure concorsuali, costituisce spesso una delle cause di maggior ritardo nella chiusura dei procedimenti. In tale situazione, è ormai prassi diffusa presso numerose sedi giudiziarie fare ricorso allo strumento della cessione pro-soluto del credito tributario maturato. I vantaggi di questa soluzione sono evidenti e soddisfano esigenze sempre più pressanti delle Curatele e della Magistratura in termini di riduzione dei tempi di durata delle procedure, di diminuzione delle procedure pendenti e di soddisfacimento delle pretese del ceto creditorio. La Banca è interessata a valutare operazioni di cessione pro-soluto di crediti IVA maturati interamente, ovvero parzialmente, nel corso delle procedure concorsuali. 8) Marketplace dei crediti anomali Dal concetto che il credito anomalo è un bene che può generare liquidità, il cui valore è rappresentato dal prezzo che un soggetto è disposto a pagare per acquistarlo, è nata l’idea di creare una “vetrina informatica” dove poter acquistare crediti in modo veloce e sicuro: il “Marketplace dei crediti anomali”. Esso è accessibile full-time attraverso il sito della Banca e contiene una vastissima gamma di crediti non performing (ipotecari, chirografari, concorsuali) rappresentativi di tutti i segmenti di mercato nelle varie aree geografiche e ripartito per classi di importo estremamente differenziale. Il vantaggio immediato è quello di poter visualizzare dei dati sintetici relativi a singoli crediti o pacchetti di crediti per consentire di conoscere e valutare l’opportunità di acquistare pro-soluto tali crediti. Questo servizio si rivolge a: investitori istituzionali (aziende e persone fisiche) operanti professionalmente nel settore dei crediti non performing che intendano acquistare uno o più crediti – si ricorda che l’acquisto in via sistematica, e quindi non occasionale o saltuaria, di singoli crediti, e in ogni caso l’acquisto di pacchetti di crediti, potrà intervenire solo da parte di soggetti iscritti negli elenchi di cui al titolo V del D.Lgs. 1 settembre 1993, n.385 (Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia); 106 banche o altre istituzioni, finanziarie e non, che intendono affittare uno spazio per proporre la vendita dei loro crediti non performing. Dunque un vero e proprio mercato dove si incontra la domanda e l’offerta di questa speciale merce costituita dal credito anomalo. Rilasciata la password (dopo il buon fine dell’istruttoria sulla richiesta d’accesso) l’investitore potrà accedere al market-place, individuare in totale autonomia i crediti di suo interesse, contattare il team di operatori dedicati della Banca e partecipare ad aste on-line nonché formulare proposte di acquisto di singoli crediti come di interi pacchetti. Avviandoci alla conclusione dell’esame del “Caso UGC Banca” possiamo riportare dei dati rilevati al 31 ottobre 2005 e di fonte della Banca stessa, secondo cui UGC Banca è la più grande Banca dati italiana di NPLs con 330.580 posizioni gestite per un valore di crediti amministrati pari a 11,3 miliardi di Euro, 600.000 nominativi anagrafati. Alla stessa data la Banca è lo special servicer con il maggior numero di cartolarizzazioni (16). Le pratiche in portafoglio sono passate da circa 126.624 del 2004 ad oltre 223.131 del 2005. Gli utenti sono passati da poco meno di 900 ad oltre 3.858 nel 2005. Infine da gennaio ad ottobre 2005 sono state assunte 39.984 delibere, circa 4.000 al mese. Per completare la nostra esposizione riportiamo qui di seguito una tabella con l’indicazione del rating quale special servicer assegnato alla Banca dalle principali agenzie internazionali di rating. La fonte è della Banca stessa. Agenzie Standard and Poor's Standard and Poor's Fitch Ratings Fitch Ratings Standard and Poor's Standard and Poor's Fitch Ratings Rating Data di rilascio STRONG ABOVE AVERAGE RSS1- CSS1RSS2+IT and CSS2+IT STRONG STRONG R/CSS2+ 21-gen-09 21-gen-09 16-dic-08 14-ott-07 28-giu-07 23-set-06 31-lug-06 107 Volendo descrivere brevemente cosa siano le agenzie di rating, esse possono qualificarsi come organismi indipendenti incaricati di supplire alla difficoltà degli investitori di valutare l’operazione nella sua complessità e la reale qualità degli ABS oggetto di emissione. Assolvono al compito di assegnare un rating alle operazioni di cartolarizzazione ed effettuare un’attività di monitoraggio globale della struttura dell’operazione. In una prima fase viene determinata l’affidabilità e l’appetibilità dei titoli; questa fase si conclude con l’assegnazione del rating. Successivamente viene effettuato un monitoraggio globale diretto a riscontrare la corrispondenza delle performance dei portafogli cartolarizzati con il business plan. In questa fase il rating potrebbe anche essere sottoposto a revisione in senso migliorativo (upgrade) o peggiorativo (downgrade). La valutazione viene espressa in maniera sintetica attraverso determinate simbologie; quando essa è riferita ad una emissione, analizza la probabilità che il capitale e gli interessi vengano corrisposti alla scadenza stabilita. Le varie società di rating non seguono procedure e criteri di valutazione uniformi ed adottano simbologie differenti nei loro giudizi. A titolo esemplificativo riporto una scala di rating utilizzata dall’agenzia internazionale S&P’s: STRONG (forte): Il Servicer dimostra abilità elevatissime, efficienza, competenza nella gestione di portafogli ampi ed altamente diversificati, gestione forte e stabile provata nel tempo, information tecnology avanzata, controlli interni, procedure e politiche eccellenti. ABOVE AVERAGE (sopra la media): Il Servicer dimostra abilità elevate, efficienza e competenza nella gestione di portafogli medio grandi, solida esperienza del management, performance storiche accettabili, controlli interni, procedure e politiche in linea con gli standard di mercato e regolamentari, performance del portafoglio in linea con le medie del settore. AVERAGE (in media): Il Servicer realizza performance accettabili, effettua controlli interni, ha procedure e politiche in linea con gli standard di mercato e regolamentari; le performance del portafoglio in linea con le medie del settore. BELOW AVERAGE (sotto la media): Il servicer dimostra capacità, efficienza e competenze molto basse oltre a controlli interni e sistemi informatici sotto la media. Storicità delle performance non positiva. 108 WEAK (debole): Rilasciato a fronte di un “veramente basso” grado di abilità, competenza ed efficienza del servicer; le performance non sono positive con perdite ricorrenti e controlli interni non sufficienti. 3.1.4 Alcuni aspetti di attualità emersi da un colloquio con un gestore Al fine di far emergere alcuni aspetti di interesse pratico che possano meglio spiegare l’attualità operativa della gestione degli NPLs, è stato ascoltato il punto di vista di un esperto nonché autore di pubblicazioni in materia – il Dott. Dino Crivellari, Amministratore Delegato e Direttore Generale di UGC Banca (ora UniCredit Credit Management Bank). Dal colloquio si evince che, per quanto riguarda il valore attualmente stimato del mercato italiano degli NPLs, esso sta acquisendo dimensioni sempre più importanti in Italia, come in altri Paesi anche emergenti. Ad oggi non esistono dati ufficiali ed aggiornati sulla dimensione di questo mercato ma solo delle stime. E’ ragionevole ipotizzare che in Italia abbia una dimensione di circa 220 miliardi di euro. Il sistema bancario ne detiene la quota maggiore nonostante il trend di crescita delle sofferenze sia stato assai contenuto negli anni 2005-2007 grazie anche alle operazioni di cessione attuate sempre più in via sistematica. A seguito della crisi Subprime il tasso sofferenze impieghi sta crescendo vertiginosamente e gli analisti stimano crescerà ancora. Secondo le previsioni di Prometeia le sofferenze aumenteranno di quasi il 20% in due anni e la loro incidenza sugli impieghi salirà dal 2,6% del 2008 al 3,8% del 2011. In merito all’andamento dell’esercizio 2008 di UCCM Bank si può affermare che è stato un anno “faticoso”. Molte sono state le sfide e altrettanti i risultati di pieno successo. Tra questi: l’integrazione dell’ex Gruppo Capitalia conclusasi positivamente e in tempi molto rapidi; il processo di rebranding che ha visto la banca sul mercato con una nuova denominazione; 109 la crescita del 52% degli incassi compresi i risultati della complessa operazione dei crediti contributivi agricoli INPS unica nel suo genere in Italia; la promozione da parte della Agenzie di Rating Fitch e Standard and Poor’s dei rating rispettivamente “Upgrade” e “Strong”; e in ultimo l’apertura della prima Branch europea della Banca a Monaco di Baviera. Alla luce delle politiche di fusione e aggregazione attuate, non solo a livello nazionale, dal Gruppo Unicredit, risulta interessante osservare che quella con i Servicer dell’ex Gruppo Capitalia avviata a gennaio 2008, si è conclusa con successo in soli sei mesi. L’operazione di integrazione è stata molto complessa. Prima della fusione vi era una grande differenza nella gestione nel mondo UniCredit e nel Gruppo ex Capitalia. Nel primo tutti i crediti si trovavano nei bilanci delle banche ed erano gestiti da UniCredit Credit Management Bank. Nel secondo vi era una situazione molto diversificata in quanto i crediti di Capitalia Holding e di Banca di Roma venivano gestiti da due diversi Servicer Captive mentre le altre Banche dell’ex Gruppo Capitalia gestivano i propri crediti in larga parte direttamente e in alcuni casi attraverso società esterne. E’ stato necessario riaccentrare tutto razionalizzando le strutture attraverso la costituzione di Aspra Finance ovvero la Società che ha acquisito tutti gli NPLs delle Banche e delle Società finanziarie del Gruppo con il mandato a gestire a UniCredit Credit Management Bank. Il leitmotiv di tutto il processo è stato: ”Stiamo costruendo una Banca più competitiva e lo stiamo facendo insieme”. Volendo definire , a seguito dell’integrazione dei Servicer del Gruppo ex Capitalia, a quanto ammonti il numero delle operazioni cartolarizzate, si può osservare che, nonostante la legge sulle cartolarizzazioni in Italia sia entrata in vigore relativamente tardi rispetto agli altri Paesi, il mercato continua ad essere uno dei più attivi in Europa. Il settore bancario sta subendo cambiamenti in termini di assetti operativi. Molte banche ricorrono alla cessione dei crediti come strumento concreto di gestione di bilancio, una via per liberare capitale e migliorare così la competitività. Tuttavia nell’ultimo anno la crisi dei subprime ha imposto un rallentamento nel mercato internazionale delle cartolarizzazioni. Ad oggi la Banca gestisce 19 operazioni. 110 In tempi recenti, con l’aggravarsi della crisi dei mercati finanziari, è divenuto familiare l’argomento dei mutui subprime. Se vogliamo considerare l’incidenza di tale fenomeno sul mercato italiano osserviamo che la crisi complessiva del sistema economico-finanziario ha prodotto i suoi effetti anche nella gestione dei Non Performing Loans. Il settore NPLs è anticiclico, con riferimento alla dimensione di mercato, considerato che le partite anomale a dicembre 2008 sono aumentate rispetto all’anno precedente del 5,5% ma è ciclico con riferimento alle performance di incasso avendo riguardo ai seguenti percorsi chiave: Prezzo di cessione: l’appetibilità di un portafoglio NPLs trova riscontro nel prezzo di cessione offerto per operazioni di acquisto; per i rapporti ipotecari il prezzo offerto dai player è sceso dal 66% del GBV del 2005 al 32% del 2008; nel solo ultimo anno l’offerta degli investitori è scesa del 38%. Tempi e Costi dell’attività giudiziale: le performance delle posizioni giudiziali sono invece “guidate” dal valore netto giudiziale, inteso come rapporto tra valore della CTU e prezzo di aggiudicazione. Il dato al 30/06/2008 cala rispetto al primo semestre 2007 dal 93% all’87%. A questo deve aggiungersi l’aumento dell’incidenza del fenomeno delle aste deserte che nel 2007 riguardava il 66% degli incanti mentre nel 2008 è pari al 78%. La scarsa liquidità dei debitori italiani, che ha ridotto la possibilità delle transazioni e reso necessario un maggior ricorso al “giudiziale”, è dimostrata dall’aumento del 22% del numero di aste rispetto allo scorso esercizio. Prezzo della quietanza (stragiudiziale): per le trattative stragiudiziali il prezzo della quietanza, inteso come rapporto tra la proposta di transazione del debitore e la sua esposizione, nei primi sei mesi del 2008 è peggiorato rispetto allo scorso semestre, come conseguenza si è avuta una maggior incidenza di proposte di definizione respinte. Coverage: il mercato sconta le difficoltà economiche del periodo aumentando il “coverage”, diminuendo quindi di fatto il valore attribuito dal creditore al portafoglio NPLs. Le sofferenze nette del sistema bancario italiano al 30/06/2008 sono diminuite del 6,3% rispetto al dicembre 2006; le sofferenze lorde, invece, sono aumentate dell’1% a conferma dell’aumento accantonamenti effettuati. 111 medio complessivo degli Alla luce di quanto detto in precedenza, volendo stilare un’ipotetica classifica mondiale, il mercato italiano degli NPLs, grazie alla forte evoluzione verificatasi negli ultimi dieci anni, può oggi definirsi un mercato maturo con operatori specializzati sempre più numerosi orientati alla gestione “in logica di business” e alla creazione di valore considerando i crediti insoluti vera e propria “merce di scambio”. Specializzazione, sviluppo professionale delle risorse, innovazione gestionale ed organizzativa rappresentano le leve fondamentali di evoluzione di questo settore. Il mercato italiano può classificarsi per dimensione al secondo posto dopo quello tedesco che tra il 2003 e il 2006 è stato il Paese più attivo nel Mondo. 112 Conclusione Nel corso di questo lavoro si è visto come il tema del Nuovo Accordo possa essere considerato alla stregua di uno spartiacque attorno al quale si assumono scelte rilevanti da parte del mondo delle banche, delle imprese e degli altri soggetti coinvolti nelle complesse relazioni fra sistema finanziario e sistema produttivo. I risultati che emergono da questa breve indagine ci portano a considerare che per ciò che riguarda il settore bancario, la qualità e l’incisività delle norme contenute nell’Accordo hanno spinto nella direzione di un radicale rinnovamento dei criteri di determinazione del patrimonio di vigilanza coinvolgendo numerose aree di gestione del settore creditizio. In modo particolare, abbiamo visto come alla luce dei nuovi principi siano emersi diversi concetti anche in tema di rischi e di gestione degli aspetti patologici del credito. Non possiamo dimenticare che i bilanci delle banche italiane da diversi anni ormai sono condizionati dall’ingombrante presenza di tali sofferenze e dalle presunte perdite su crediti ad esse collegate. Il risultato economico e patrimoniale dei bilanci bancari dipendono sempre più dalla valutazione dell’adeguatezza degli accantonamenti e delle rettifiche effettuati. Si è evidenziato come i crediti anomali contribuiscano ad appesantire i bilanci delle banche soprattutto in considerazione della difficoltà delle operazioni di recupero legate ai tradizionali metodi che privilegiano il ricorso a procedure giudiziali, risultando particolarmente pesanti ed onerose a causa degli elevati costi e dei lunghi tempi d’attesa per la soluzione delle controversie. Abbiamo osservato quindi come, prima che entrassero in vigore i nuovi principi di Basilea 2, gli aspetti gestionali dei crediti anomali non consentissero sbocchi alternativi a quelli appena accennati. Lo smobilizzo dei crediti era immerso in una situazione statica e cristallizzata e spesso, giunti ad una positiva soluzione del contenzioso, i recuperi realizzati non compensavano gli oneri sostenuti. Sullo sfondo di questa realtà, le novità introdotte dal Nuovo Accordo, hanno invece aperto la strada a nuovi scenari e nuove metodologie. Ora, il sistema bancario ha la possibilità di esternalizzare la gestione dei crediti anomali sia affidandola a dei servicer estranei alla propria organizzazione sia dotandosi di strutture ad hoc, giuridicamente separate, a cui delegare l’intera fase della gestione. Ci troviamo, così, di fronte a società autonome sul piano operativo 113 e orientate al raggiungimento di obiettivi di efficienza economica e non alla mera amministrazione del contenzioso. Appare di particolare utilità il ricorso a queste società specializzate poiché esso permette di sostituire alle spese fisse degli uffici legali interni delle spese variabili e di realizzare maggiori recuperi grazie alla professionalità che si può riscontrare solo quando si arriva a gestire un volume di contenzioso che eccede quello certamente minore gestibile da parte di una singola banca. Sono quindi entrati nella realtà operativa molti elementi di novità non soltanto dal punto di vista di nuove soluzioni tecnico-negoziali – come ad esempio le cartolarizzazioni – ma anche con la comparsa di nuovi soggetti economici come le Bad Bank. Ciò si è tradotto in una ventata di innovazioni positive per il settore bancario dato che quelli che erano precedentemente considerati aspetti problematici della gestione si sono trasformati in nuove opportunità di profitto. Il nuovo business degli NPLs, sviluppatosi inizialmente negli Stati Uniti, ha trovato in Italia ampie possibilità di crescita negli ultimi anni, facendo del nostro mercato uno degli attori più importanti sullo scenario europeo. Esso infatti si posiziona, nelle più recenti graduatorie, al secondo posto dopo il mercato tedesco sia in termini di volumi che di numero di operazioni. Questo grazie alla presenza di Servicer tradizionalmente attivi nel settore ed anche alle politiche di fusione ed aggregazione portate avanti dai più grandi gruppi bancari del nostro Paese. Giunti alla conclusione di questo percorso, riteniamo di poter affermare che gli aggiornamenti normativi e gestionali introdotti negli ultimi anni nel settore della gestione dei crediti non performing, pur non potendo essere enfatizzati al punto da considerarli come la soluzione ottimale di tutti i problemi connessi ad un tema così complesso, rappresentano tuttavia un punto di buona sintesi che ha permesso la trasformazione di un mondo che, solo fino agli ultimi decenni del secolo scorso, poggiava su strutture legislative e tecnico-operative proprie di una realtà che presentava molti aspetti di oligopolio. 114 Ringraziamenti Ringrazio il Professor Flavio Pichler e il Dottor Andrea Paltrinieri per la paziente e cortese collaborazione e per il tempo che mi hanno concesso. Un pensiero particolare va al Dottor Dino Crivellari per il materiale di lavoro cui ho potuto accedere e agli amici di UGC Banca per avermi accolto con gentilezza e professionalità nel periodo dello stage. Ringrazio gli amici del “Centro”: “Betta” Albrigi, Davide Salvi per la loro continua disponibilità, Davi, Marco, le numerose Sara, Maddalena, e gli altri ragazzi e ragazze delle 150 ore con cui ho condiviso momenti splendidi. Con affetto ricordo i “Don” salesiani e in particolare Benini, Buffa e Maino, per i consigli, gli esempi di impegno, la simpatia che mi hanno accompagnato – non solo nello studio – durante il periodo del Don Bosco. Un pensiero affettuoso agli amici d’infanzia Giovanni, Carlo ed Elisabetta, per i momenti belli e difficili che abbiamo condiviso e alla dolce Silvia. Michele Il mio viaggio è finito, ma, come dice José Saramago: “…Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: “non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere in primavera quel che si era visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito.” Fonti di riferimento Bibliografia: - Roberto Ruozi, Economia e gestione della banca, Edizione Egea 2006. - Giancarlo Forestieri, Paolo Mottura, Il sistema finanziario, Edizione Egea 2005. - Pier Luigi Fabrizi, Giancarlo Forestieri, Paolo Mottura, Strumenti e servizi finanziari, Edizioni Egea 2006. - Giancarlo De Laurentiis, Stefano Caselli, Miti e verità di Basilea 2 – Guida alle decisioni, Edizioni Egea 2004. - Eugenio Pavarani, L’equilibrio finanziario – Criteri e metodologie nella logica di Basilea 2, Edizioni McGraw-Hill 2006. - Gianpaolo Luzzi, Marco Recchi, Guida alla gestione dei crediti in outsourcing – Tecniche di prevenzione, recupero e cessione, Edizione Il Sole 24 ore 2004. - Rocco Corigliano, L’intermediazione finanziaria – Rischi e controlli, Bononia University Press. - Claudio Porzio, Securitisation e crediti in sofferenza – Problemi gestionali, contabili e normativi nella recente esperienza italiana, Bancaria Editrice 2001. - Andrea Sironi, Michele Marsella, La misurazione e la gestione del rischio di credito – Modelli, strumenti e politiche, Bancaria Editrice . - Antonella Malinconico, Garanzie e Bank lending, Bancaria Editrice 2008. Sitografia: www.ugcbanca.it www.nonperformingloans.eu www.basilea2.com www.bancaditalia.it www.borsaitaliana.it www.securitisation.it Riviste: - Banche e banchieri. - Banche impresa e società. - Bancaria. Dispense: - Laboratorio crediti non performing – Facoltà di Economia – Università degli studi di Macerata tenuto dal Dott. Dino Crivellari. Articoli ed Interviste: - Dino Crivellari, Recupero crediti fra outsourcing e cartolarizzazione, Amministrazione & Finanza n.19/1999. - Dino Crivellari, Recupero crediti: dal contratto di servicing alla “business-line” bancaria, Amministrazione & Finanza n.20/1999. - Jacopo Dettoni, Bad loan, il mercato vale 220 miliardi, Finanza & Mercati 07/09/2007. - Jacopo Dettoni, Le sofferenze? Sono un buon business, Bloomberg Borsa & Finanza 21/03/2008.