Giuliano Pinto I mezzadri toscani tra autoconsumo e mercato (secoli
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Giuliano Pinto I mezzadri toscani tra autoconsumo e mercato (secoli
Giuliano Pinto I mezzadri toscani tra autoconsumo e mercato (secoli XIII-XV) 1. I caratteri della mezzadria poderale A partire dalla metà del XIII secolo, prima nelle zone interne della Toscana, intorno alle due grandi città di Firenze e di Siena, poi in altre parti della regione, si diffuse una nuova forma di conduzione della terra, la cosiddetta mezzadria poderale, che successivamente conobbe notevole fortuna nelle regioni vicine, a nord e a sud dell’Appennino: Romagna ed Emilia; Umbria e Marche 1. Una struttura fondiaria (il podere) e una forma di conduzione (la mezzadria) che è arrivata sostanzialmente invariata sino agli anni sessanta del secolo scorso. Questa la natura del contratto: un contadino (il mezzadro), in genere nullatenente, ovvero privo di terra e di casa, riceveva in affidamento una unità fondiaria compatta (il cosiddetto podere) e di una certa ampiezza (da 2-3 ettari sino a 8-10 a seconda delle colture praticate) in cambio della divisione a metà con il proprietario di tutto ciò che si ricavava dalla terra, e della ripartizione, sempre tendenzialmente a metà, delle spese necessarie per la gestione del fondo (acquisto di attrezzi, di bestiame da lavoro e da ingrasso, di concime, di sementi, ecc.). Il podere tipo disponeva di una casa, dove abitava la famiglia contadina, e di tutta una serie di infrastrutture agricole: aia, fienile, pozzo, capanna, ecc. 2. Lo sfruttamento della terra si basava sulla policoltura, ovvero la compresenza di colture erbacee (cereali soprattutto) e arboree (viti, olivi, alberi da frutta), integrata dalla presenza degli animali da cortile e da un allevamento stanziale, in genere circoscritto a qualche suino e alla coppia di buoi da lavoro, più raramente era presente un piccolo numero di ovini. Tutta la famiglia mezzadrile era impegnata nel lavoro dei campi, nella conduzione dell'orto, nella cura degli animali, nella trasformazione di una parte dei prodotti; il proprietario inserì sempre più spesso tra le clausole contrattuali l'obbligo della famiglia del mezzadro di risiedere continuativamente sul podere e il divieto di lavorare altrove. Tale organizzazione fondiaria aveva dunque un obiettivo ben preciso: fornire con la metà dei prodotti tutto il necessario, o quasi, a soddisfare i bisogni primari della famiglia contadina, e con l’altra metà assicurare al proprietario, e alla sua famiglia, parte delle derrate necessarie a quel ménage, dal momento che vivere del proprio rappresentava un ideale comune ai ceti medio-alti della città. Quindi una forma di conduzione della terra che si basava in misura del tutto prevalente sull’autoconsumo 3. 1 Cfr. G. Pinto, «L'agricoltura delle aree mezzadrili», in S. Gensini (a cura di), Le Italie del tardo Medioevo, Centro di studi sulla civiltà del tardo Medioevo, San Miniato, Pisa, Pacini, 1990, pp. 433-448. Nelle regioni a nord del Po la mezzadria poderale era rara se non del tutto assente anche alla fine del Medioevo. Gli elementi mezzadrili, quasi mai strutturati in modo organico, presenti nella contrattualistica di alcune aree (le colline del Veronese, i territori di Mantova e Cremona), rappresentavano un eccezione: nel nord Italia l'affitto e i contratti di colonia parziaria a prevalenti scorte contadine erano le forme di conduzione più comuni. Per un quadro più generale della contrattualistica agraria del basso Medioevo e della prima età moderna è ancora valida la sintesi di G. Giorgetti, Contadini e proprietari nell'Italia moderna. Rapporti di produzione e contratti agrari dal secolo XVI a oggi, Torino, Einaudi, 1974, in particolare alle pp. 138-199. 2 G. Pinto, «Per una storia delle dimore mezzadrili nella Toscana medievale», in Archeologia medievale, VII, 1980, pp. 153-171. 3 La bibliografia sulla mezzadria poderale del basso Medioevo è assai vasta e si infittita negli ultimi decenni. Si vedano in particolare I. Imberciadori, Mezzadria classica toscana, con documentazione inedita dal IX al XV secolo, Firenze, Vallecchi, 1951; Ph. Jones, «From Manor to Mezzadria: a Tuscan Case-study in the Medieval Origins of Modern Agrarian Society», saggio uscito nel 1968 e ora in trad. it. con il titolo «Le origini medievali della moderna società rurale. Un caso tipico: il passaggio dalla curtis la mezzadria», all'interno del suo volume Economia e società nell'Italia medievale, Torino, Einaudi, 1980, pp. 377-433, ma all'interno di questo stesso volume si veda anche l'altro saggio di Jones, «Forme e vicende di patrimoni privati nelle “Ricordanze” fiorentine del Trecento», pp. 345376; E. Conti, La formazione della struttura agraria moderna nel contado fiorentino, I, Le campagne nell'età precomunale, III, parte 2ª, Monografie e tavole statistiche (secoli XV-XIX) Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 1965; G. Cherubini, Scritti toscani. L'urbanesimo medievale e la mezzadria, Firenze, Salimbeni, 1991, Le cose andavano diversamente per i contadini che tenevano in affitto terre con canoni in moneta. Questi dovevano immettere sul mercato i prodotti della terra per procurarsi il denaro necessario per pagare il canone; anche se non era raro il caso di affitti in moneta versati parzialmente in prodotti agricoli ai quali si attribuiva un determinato valore monetario 4. Anche i coltivatori che dovevano corrispondere canoni in natura, che si concentravano su determinati prodotti (in genere frumento, talvolta vino), erano costretti a ricorrere al mercato per conciliare tale corresponsione con le necessità dell'autoconsumo familiare. Ad esempio canoni previsti in solo grano potevano ridurre a tal punto i cereali a disposizione della famiglia contadina da costringerla in anni di cattivo raccolto a rivolgersi all'esterno per acquistare o prendere in prestito quanto era necessario per far fronte al consumo interno e alla semina, oppure a consegnare al proprietario meno grano del previsto, da restituire nelle annate successive 5. La vendita sul mercato di altri prodotti (vino, olio, frutti dell'allevamento) poteva consentire tali operazioni. 2. L'autoconsumo della famiglia mezzadrile Torniamo ai nostri mezzadri e vediamo come funzionava l’autoconsumo della famiglia mezzadrile, in rapporto a quelle che erano le necessità maggiori. Il primo obiettivo era quello di soddisfare il consumo di pane, che costituiva la base dell'alimentazione contadina. La cosa non era sempre facile. La presenza di colture arboree e arbustive, particolarmente fitta nelle aree collinari della valle dell'Arno e dei suoi affluenti, limitava la terra destinata ai cereali (quelle che le fonti del tempo definiscono talvolta come terre da pane 6); perciò in annate sfavorevoli – che si infittirono fra XIII e XIV secolo 7 – poteva mancare parte dei cereali necessari all’autoconsumo. In tali frangenti il mezzadro era solito rivolgersi al proprietario del podere per chiedere e ottenere prestiti o anticipazioni di grano per il consumo familiare e la semina. Ciò naturalmente assicurava al coltivatore e alla sua famiglia il necessario per andare avanti, ma indubbiamente, in quanto indebitato, la sua posizione si indeboliva contrattualmente nei confronti di chi tali prestiti aveva effettuato 8. Per il vino, altro prodotto fondamentale nell’alimentazione contadina, era più facile soddisfare le necessità della famiglia. Talvolta si disponeva di eccedenze, rese possibile anche dal ricorso per il consumo familiare al vino di seconda spremitura, quello che in Toscana veniva chiamato 4 5 6 7 8 in particolare alle pp. 189-207; M. Ginatempo, «La mezzadria delle origini. L'Italia centro-settentrionale nei secoli XIII-XV», Rivista di storia dell'agricoltura, XLII, 1, 2002, pp. 49-110 (con ricca bibliografia ragionata aggiornata al 1998). Molte centinaia di contratti mezzadrili sono stati editi e studiati all'interno dei tre volumi Il contratto di mezzadria nella Toscana medievale, I, Contado di Siena, sec. XIII-1348, a cura di G. Pinto e P. Pirillo, II, Contado di Firenze, secolo XIII, a cura di O. Muzzi e D. Nenci, III, Contado di Siena, 1349-1518, a cura di G. Piccinni, Firenze, Olschki, 1987-1992, ai quali si deve aggiungere L. De Angelis – O. Muzzi, «Due “contratti collettivi” di mezzadria in Toscana all'inizio dell'età moderna», in Ricerche storiche, X. 1980, pp. 415-432. Per qualche esempio si veda G. Pinto, La Toscana nel tardo Medioevo. Ambiente, economia rurale, società, Firenze, Sansoni, 1982, p. 280. Ibidem, pp. 207-223; J.L. Gaulin – F. Menant, «Crédit rural et endettement paysan dans l'Italie communale» in Endettement rural et crédit rural dans l'Europe médiévale et moderne, Actes de Flaran XVII, M. Berthe éd., Toulouse, Presses universitaires du Mirail, 1998, pp. 35-67. Esempi di fittavoli che in anni di crisi (1346) non riescono a consegnare il grano previsto in Archivio di Stato di Firenze (d'ora in avanti A.S.F.), Conventi soppressi 108 (San Domenico del Maglio), 125, cc. 300v-314r. Pinto, La Toscana nel tardo Medioevo cit., p. 93. Sull'infittirsi delle carestie in Toscana fra gli ultimi decenni del XIII secolo e la metà del XIV cfr. G. Pinto, Il Libro del Biadaiolo. Carestie e annona a Firenze dalla metà del '200 al 1348, Firenze, Olschki, 1978, pp. 79-106; Ch. M. de La Roncière, Prix et salaires à Florence au XIVe siècle, Roma, École française de Rome, 1982, pp. 69 e sgg. G. Cherubini, Signori, contadini, borghesi. Ricerche sulla società italiana del basso Medioevo, Firenze, La Nuova Italia, 1974, p. 420; S. R. Epstein, Alle origini della fattoria toscana. L'ospedale della Scala di Siena e le sue terre (metà '200 – metà '400), Firenze, Salimbeni, 1986, pp. 201-203; G. Pinto, Campagne e paesaggi toscani del Medioevo, Firenze, Nardini, 2002, pp. 171-172. acquerello 9. Ma tali eccedenze di vino di rado finivano direttamente sul mercato; accadeva in genere che fossero cedute al proprietario del fondo per far fronte ai debiti contratti 10. Del resto i proprietari erano interessati a disporre di un prodotto, il vino, molto richiesto mercato cittadino, e molti ricchi cittadini lo vendevano direttamente al minuto nei loro palazzi 11. Lo stesso accadeva per l’olio, prodotto pregiato molto richiesto sulla mensa dei cittadini, ma la cui produzione, anche se in progressiva espansione, era ancora abbastanza limitata nei secoli di cui ci stiamo occupando 12. Nell'uno e nell'altro caso, così come per il frumento, le eccedenze dei poderi mezzadrili – in larghissima misura di parte padronale – non andavano molto lontano: i rispettivi mercati cittadini erano i luoghi deputati ad assorbirne la totalità o quasi. Frutta e ortaggi erano funzionali al consumo familiare, e in piccola parte potevano essere messi in vendita, sempre che i luoghi di mercato non fossero troppo lontani 13. In particolare gli ortaggi rappresentavano il companatico d'uso comune; ogni podere aveva un orto; anzi gli Statuti delle comunità rurali prescrivevano non di rado che ogni famiglia ne coltivasse uno sufficiente a soddisfare il proprio fabbisogno 14. I porci (in genere se ne trovavano sul podere uno o due per volta, ed erano tenuti a metà con il proprietario) soddisfacevano il bisogno di carne e, ricorrendo alla salatura, se ne faceva uso nel corso di tutto l'anno. Altre proteine arrivavano dall’allevamento del pollame. In quest’ultimo caso qualche famiglia contadina era in grado di vendere parte delle uova e qualche pollo, una volta consegnata al proprietario la parte di sua spettanza 15. Insomma andavano sul mercato solo le eccedenze di pochissimi prodotti tra quelli destinati all’alimentazione, e spesso a costo di sacrificare ulteriormente il ménage familiare. Naturalmente qualità dell’autoconsumo, livello di vita della famiglia e possibilità di vendere alcuni prodotti dipendevano in buona misura dall’ampiezza e dalla qualità della terra affidata. Ad esempio 9 Ibidem, p. 98. Ma vedi anche S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, Torino, Utet, 1961 e sgg., alla voce 'acquerello'. 10 Per un esempio si veda G. Pinto, Toscana medievale. Paesaggi e realtà sociali, Firenze, Le Lettere, 1993, p. 174: un mezzadro vende olio e vino al proprietario, o tramite il proprietario, a sconto del proprio debito. La notizia deriva dal Libro di debitori e creditori (a. 1387-1392) di un medio proprietario fondiario fiorentino, Gioacchino di Gucciarello Pinciardi che possedeva alcuni poderi nelle colline a sud di Firenze, ma tutto il registro, conservato in A.S.F., Conventi soppressi 168, 132, contiene numerose operazioni simili. Nel 1394 la vedova di Gioacchino, Antonia, registrò il vino ricevuto al primo novembre dai suoi sette mezzadri a sconto dei loro debiti: furono in tutto 132 barili sui 205 della loro parte, ovvero quasi i due terzi (ibidem, 133, c. 26v). 11 Pinto, Campagne e paesaggi toscani cit., pp. 101-103. Interessante il caso di un ricco e nobile proprietario fiorentino, messer Gianni degli Amidei, che intorno al 1270 obbligava i suoi mezzadri a vendergli parte del vino loro spettante «pro eo pretio quod valuerit in civitate Florentie mustum contrate illius»: Il contratto di mezzadria nella Toscana medievale, II, Contado di Firenze cit., p. 102; ma vedi anche Jones, «Forme e vicende di patrimoni privati» cit., p. 362. 12 Pinto, Campagne e paesaggi toscani cit., pp. 111-132, e inoltre la nota qui sopra. 13 Si veda ad esempio la descrizione del mercato vecchio di Firenze nel poemetto di Antonio Pucci, su cui vedi Cherubini, Scritti toscani cit., pp. 53-69, dove si fa riferimento (p. 59) alle giovani contadine che portavano a vendere la frutta fresca di stagione. Ma all'interno del rapporto mezzadrile metà del ricavato della vendita doveva spesso andare al proprietario: per un esempio cfr. AS.F., Conventi soppressi 168, 132, c. 38r (a. 1389), i mezzadri vendono frutta per il valore di 90 soldi; la metà di questa cifra viene registrata dal proprietario a loro debito. 14 Numerosi i riferimenti all'orto nei contratti mezzadrili editi nei volumi citati alla nota 3 (cfr. Indici delle cose notevoli). Prescrizioni sull'obbligo di tenere un orto sufficiente a soddisfare i consumi domestici si incontrano in numerosi statuti rurali toscano: vedi ad esempio Statuti della Valdelsa dei secoli XIII-XIV, Vol. 1., Leghe di Gambassi, Chianti e S. Piero in Mercato, a cura di A. Latini, Milano Hoepli, 1914, p. 77; Statuti dei comuni di Monastero S. Eugenio (1352), Monteriggioni (1380) e Sovicille (1383), a cura di G. Prunai, Firenze, Olschki, 1961, p. 196. Più in generale, anche per i numerosi riferimenti bibliografici, si veda I. Naso, «Spazi agricoli nel contesto urbano. Gli orti nel Piemonte tardomedievale», in La costruzione del dominio cittadino sulle campagne dell'Italia centro-settentrionale, secoli XII-XIV, a cura di R. Mucciarelli, G. Piccinni, G. Pinto, Siena, Protagon, 2009, pp. 555586. 15 Dai contratti mezzadrili editi nei volumi indicati alla nota 3, si evince che quando non era prevista la divisione a mezzo del pollame e delle uova, il mezzadro, in cambio della possibilità di tenere il pollaio, doveva consegnare al proprietario una certa quantità di uova e varie coppie di polli in occasione di determinate festività (Ognissanti, Natale, Pasqua, ecc.). in aree, come la parte meridionale del territorio di Siena, dove i poderi erano più grandi per la più ridotta diffusione dell'arboricoltura e disponevamo spesso di spazi confinanti incolti o a bosco, i mezzadri potevano allevare anche un certo numero di ovini, e più raramente di suini, gestiti a metà con il proprietario 16. Talvolta la famiglia contadina si impegnava per contratto ad assumere stabilmente un ragazzo perché si occupasse delle greggi condotte al pascolo brado 17. I prodotti che se ne ricavavano (lana, latte, formaggio, carne) in parte arricchivano il ménage familiare e fornivano la materia prima all’artigianato domestico, in parte erano consegnati al proprietario della terra a sconto dei debiti accumulati, in parte confluivano sul mercato. Lo stesso accadeva là dove le condizioni del terreno consentivano la coltivazione del lino; nei contratti di mezzadria editi, relativi ai territori di Siena e di Firenze, la pianta viene ricordato abbastanza di frequente 18. Un altro prodotto che troviamo presente, ma assai più di rado, è lo zafferano, che alimentava un commercio particolarmente intenso 19. Dunque l’autoconsumo soddisfaceva la totalità dei bisogni alimentari della famiglia mezzadrile seppure a livelli di pura sussistenza. Per il pane, prodotto di base, si ricorreva all’esterno solo per la macinatura dei cereali; poi l'impasto veniva preparato e cotto in casa. La madia «ad faciendum panem» era il mobile più diffuso nella casa contadina: in essa il pane veniva impastato e lasciato a lievitare; poi le forme, adagiate su un'asse di legno, venivano portate a cuocere 20. Anche il forno era quasi sempre presente, e se non c'era, ci si poteva rivolgere alla casa più vicina che ne era fornita 21. Il vino e i ‘companatici’ (ortaggi, olio, uova, di rado un pezzetto di carne salata) erano prodotti sul podere. Il discorso cambia per gli altri generi di consumo. I capi di abbigliamento erano comprati all’esterno, e così le scarpe (ma i contadini le usavano saltuariamente); ma si trattava di acquisti eccezionali, soprattutto per i primi. I vestiti duravano a lungo, venivano usati fino alla consunzione, come dimostrano i numerosi inventari arrivati sino a noi 22. La descrizione dei mezzadri, e più in 16 Numerosi casi sono reperibili nei contratti di mezzadria del Senese segnalati alla nota 3 (si parta dagli Indici delle cose notevoli); segnaliamo a titolo d'esempio un contratto del 1362 (Il contratto di mezzadria nella Toscana medievale, III, Contado di Siena cit., n. 18) dove si prevede di tenere sul podere 34 porci, 80 tra pecore e capre e due bestie da soma. Per specifiche proprietà, si veda G. Piccinni, “Seminare, fruttare, raccogliere”. Mezzadri e salariati sulle terre di Monte Oliveto Maggiore (1374-1430), Milano, Feltrinelli, 1982, pp. 79-80; Epstein, Alle origini della fattoria toscana cit., pp. 92-95. Sui caratteri dei poderi mezzadrili del Senese ('mezzadria estensiva') si veda C. Pazzagli, La terra delle città. Le campagne toscane dell'Ottocento, Firenze, Ponte alle Grazie, 1992, pp. 156-158. Anche nelle valli a ridosso dell'Appennino in poderi di grandi dimensioni dati a mezzadria era presente un certo numero di capi di bestiame, cfr. A.S.F., Carte strozziane, 7 (Ricordanze di Paliano di Falco Falcucci), cc. 19v, 25v, 46v-47r ecc.: i suoi poderi del Mugello ospitavano, a cavallo fra Tre e Quattrocento, 6 o 7 tra buoi e vitelli e varie decine di ovini. 17 Si rimanda ancora una volta alle raccolte di contratti mezzadrili segnalati alla nota 3, partendo dalle voci famulus, puer registrate negli Indici. 18 Si vedano gli indici dei tre volumi di contratti mezzadrili citati alla nota 3: il lino è presente spesso nei poderi del Senese; assai meno in quelli del Fiorentino. 19 Lo zafferano (o croco) è presente solo in 10 contratti di mezzadria sui quasi 900 editi nei volumi citati alla nota 3. Per un accenno allo zafferano seminato nell'orto di un mezzadro (quindi come coltura ortiva) cfr. AS.F., Conventi soppressi 168, 132, c. 31v (a. 1389). Un riferimento alla divisione a mezzo dello zafferano è presente in un contratto relativo a un podere posto sulle colline a sud di Firenze (Pinto, Toscana medievale cit., p. 165). Sulla produzione e commercializzazione dello zafferano in Toscana si veda E. Fiumi, Storia economica e sociale di San Gimignano, Firenze, Olschki, 1961, pp. 33-39; Ch. M. de La Roncière, Firenze e le sue campagne nel Trecento. Mercanti, produzione, traffici, Firenze, Olschki, 2005, pp. 281-282; A. Barlucchi, Il contado senese all'epoca dei Nove. Asciano e il suo territorio tra Due e Trecento, Firenze, Olschki, 1997, pp.67-70. 20 M. S. Mazzi - S. Raveggi, Gli uomini e le cose nelle campagne fiorentine del Quattrocento, Firenze, Olschki, 1983, pp. 225-226. 21 Pinto, «Per una storia delle dimore mezzadrili» cit., p. 158 (oltre al forno è presente talvolta la 'fornace' per seccare i fichi); Mazzi - Raveggi, Gli uomini e le cose cit., p. 141. 22 Mazzi - Raveggi, Gli uomini e le cose cit., pp. 229-235. generale dei contadini coperti di stracci ritorna spesso nelle fonti narrative 23. Forse solo in occasioni particolari, com'era quella del matrimonio, ci si poteva permettere, a costo di indebitarsi, di acquistare qualche capo di abbigliamento di buona qualità; ma era appunto un evento unico, o quasi, nella vita. È il caso di Lorenzo di Giunta, mezzadro in un podere sulle colline a sud di Firenze che nel 1388 si indebitò per la bella somma di 50 fiorini in occasione del suo matrimonio, per comprare panno di un certo pregio (azzurrino e scarlattino) per farsi fare il vestito, e poi una cintura istoriata in argento, e ancora masserizie e biancheria 24. 3. Le modificazioni tre-quattrocentesche Negli ultimi tre secoli del Medioevo (fra XIII e XV) le condizioni di vita delle famiglie mezzadrili mutarono non poco per effetto della congiuntura demografica e della politica delle città. Lo sfruttamento del lavoro contadino da parte della proprietà appare particolarmente forte nei due-tre decenni che precedono la Peste Nera, in presenza di una forte offerta di braccia. Allora gravarono sul mezzadro corvées di vario tipo, quali trasporti gratuiti o giornate di lavoro al servizio del proprietario; questi richiese con maggiore frequenza e per contratto una quota maggiore dei prodotti o di quelli di maggior pregio; anche l'onere delle scorte gravò maggiormente sul lavoratore 25. Il quadro subì profonde modifiche a partire dalla metà del secolo in seguito al crollo demografico provocato dal ritorno della Peste Nera nell'Occidente medievale. La mancanza di manodopera nelle campagne costrinse molti proprietari a offrire condizioni migliori ai propri mezzadri per non rischiare di trovarsi il podere abbandonato 26. Si tratta – come sappiamo bene – di un fenomeno di portata assai generale, comune a gran parte delle campagne europee 27. La popolazione contadina, ridottasi fortemente di numero, si concentrò sulle terre migliori; i poderi meno fertili vennero abbandonati; altri furono accorpati: la produttività della terra assegnata crebbe non di poco. Si allargarono di conseguenza gli spazi per una maggiore presenza di animali e per l'introduzione o il potenziamento di colture, i cui prodotti erano destinati alla commercializzazione. Questo emerge bene da una serie di contratti di mezzadria della seconda metà del XIV secolo relativi all’alta valle del Tevere, che vedono l’introduzione del guado (pianta tintoria da cui si ricavava un prodotto molto richiesto dall’industria tessile) tra le colture presenti sul podere: ogni anno il mezzadro doveva seminare a guado una determinata quantità di terra, oppure seguire un determinato ciclo di rotazione che includesse la pianta tintoria 28. Un secolo dopo sarà la 23 Cherubini, Scritti toscani cit., p. 337 (che utilizza una novella del Sermini); ma si veda anche il recente lavoro di M. Urbaniak, «Gente grossa e lacrimosa». Immagini e rappresentazioni del mondo rurale nella letteratura e negli scritti toscani del XIV e XV secolo, Scuola normale superiore di Pisa, Classe di Lettere e Filosofia, Tesi di perfezionamento, relatore prof. Adriano Prosperi, a. a. 2005-2006. 24 Pinto, Toscana medievale cit., p. 173 e nota 62. 25 Rimando a G. Pinto, «Ancora su proprietari e contadini nella Siena del primo Trecento», in Scrivere il Medioevo. Lo spazio, la santità, il cibo. Un libro dedicato ad Odile Redon, a cura di B. Laurioux e L. Moulinier-Brogi, Roma, Viella, 200, pp. 139-150, con riferimento anche a lavori precedenti. Simile la situazione nel contado fiorentino come testimoniano i contratti di mezzadria inediti degli anni trenta e quaranta del XIV secolo, di cui molti sono reperibili in A.S.F., Notarile antecosimiano, 9468-9471. Ne citiamo uno a titolo d'esempio (9468, c. 138r, 21dicembre 1342): il mezzadro deve al proprietario, oltre alla metà di ogni raccolto, un moggio di grano (oltre 4 quintali), un porco di 200 libbre, uova, capponi e candele, e inoltre 6 giornate lavorative l'anno e l'impianto di 6 piantoni di olivi. 26 Alcuni cronisti fiorentini – com'è noto - stigmatizzarono le pretese dei mezzadri dopo la Peste Nera di accollare ai proprietari tutte le spese per il bestiame e per le sementi: Matteo Villani, Cronica, a cura di G. Porta, Parma, Guanda, 1995, I, 59, pp. 112-113; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di Niccolò Rodolico, R.I.S. 2ª ed., t. XXX, parte I, p. 232. 27 Rimando al mio saggio «Congiuntura economica, conflitti sociali, rivolte», in Rivolte urbane e rivolte contadine nell'Europa del Trecento. Un confronto, a cura di M. Bourin, G. Cherubini, G. Pinto, Firenze, FUP, 2008, pp. 337349. 28 A.S.F., Notarile antecosimiano, 16173, cc. 147v (30 novembre 1363); 16174, non cartolato, contratti del 3 agosto e del 22 settembre 1364; 16180, cc. 72v-73r (15 maggio 1371); 16181, c. 31v (26 febbraio 1374): si fa riferimento in quest'ultimo caso a una rotazione quadriennale con la sequenza guado, grano, fave, grano, dove le fave avevano il compito di ricostituire la fertilità del suolo; ecc. volta del gelso, sviluppatosi in funzione della bachicoltura e della produzione di seta grezza, fortemente richiesta dall’industria serica cittadina allora in piena fioritura, anche se forse la mezzadria poderale fu più restia rispetto ad altre forme di conduzione nell'accogliere la gelsicoltura 29. Anche il forte sviluppo dell'arboricoltura (ulivi soprattutto 30) trasse vantaggio dai nuovi equilibri che andavano formandosi. Resta il problema, su cui le fonti non sono in grado di fare sufficiente luce, sulle modalità di commercializzazione dei vari prodotti. Certamente troviamo contadini (o più facilmente contadine) che andavano a vendere frutta, ortaggi, uova, pollame sul vicino mercato; talvolta sul mercato cittadino se il podere sorgeva non lontano dalla città 31, riuscendo a raggranellare qualche spicciolo. Ma per i prodotti più importanti (quelli che derivavano dall’allevamento ovino o dalle piante tessili e industriali, o gli stessi surplus di vino e di olio) tutto lascia pensare – e lo abbiamo visto attraverso alcuni rimandi alla contabilità aziendale – che la commercializzazione passasse attraverso il proprietario cittadino, o attraverso l’amministratore nel caso di proprietà ecclesiastiche. Erano loro a vendere le eccedenze appartenenti alla famiglia mezzadrile e a contabilizzarle a favore del mezzadro 32. Del resto non era raro che fosse lo stesso proprietario a fornire manufatti e oggetti di consumo alla famiglia contadina, in questo caso segnandole a suo debito 33. La natura di questi rapporti, improntati a una sorta di paternalismo, legava con forti vincoli il mezzadro al proprietario; ne indeboliva la forza di contrattazione quando si trattava di decidere al momento del rinnovo del contratto sulla suddivisione dei prodotti e delle spese che gravavano sul podere. 4. Qualche considerazione sui livelli di vita delle famiglie mezzadrili Cosa possiamo dire sui livelli di vita delle famiglie mezzadrili? Fermo restando che il mondo dei contadini dipendenti era contrassegnato da livelli più o meno alti di povertà, non bisogna immaginare tuttavia un ceto compatto e uniforme. La qualità del ménage – ripeto – dipendeva dalla fertilità, dall’ampiezza e dall'ubicazione della terra affidata. Le fonti letterarie e quelle che passano sotto il termine generico di 'satira del villano' ci presentano una sorta di ideal-tipo di contadino dipendente, mezzadri compresi 34, che non rispecchia la varietà delle situazioni, spesso legata alle diverse realtà geografiche. Il valore fortemente differenziato dei poderi che venivano concessi a mezzadria era lo specchio di livelli diversi di produttività, di cui si avvantaggiavano sicuramente i mezzadri che ottenevano l'affidamento di quelli migliori 35. Un esempio concreto – ma se ne potrebbero citare tanti altri simili – ci aiuta a capire meglio la varietà delle situazioni. Nel novembre 1347 un contadino di Asciano, nel Senese, Giovanni di Domenico, soprannominato Biscaza, ricevette a mezzadria un grosso podere (ma l'estensione non viene indicata) appartenente a un proprietario cittadino, più alcuni terreni incolti e a pascolo, contigui alla terra 36. Il podere era fornito di casa colonica e di numerose infrastrutture agricole. Biscazza si impegnò a dividere a mezzo tutti i raccolti (grano, vino, olio, frutta, lino, zafferano) e 29 Per un sguardo d'insieme cfr. G. Pinto, «L'economia del gelso», in Territorio, società, cultura nell'età dell'umanesimo, Milano, Electa, 1987, pp. 104-115. 30 G. Pinto, Campagne e paesaggi toscani del Medioevo, Firenze, Nardini, 2002, pp. 118-123. 31 Cherubini, Scritti toscani cit., pp. 59-60. 32 Vedi sopra i riferimenti alla nota 10. 33 Per qualche esempio cfr. Pinto, Toscana medievale cit., pp. 171-175. 34 Si veda il classico volume di D. Merlini, Saggio di ricerche sulla satira contro il villano, Torino, 1894, ora ristampato a cura e con Presentazione di G. Pinto, Reggello (Firenze), FirenzeLibri, 2006. 35 Per un esempio di patrimonio fondiario costituito da poderi di diverso valore (da 150 sino a 3-400 fiorini e oltre) si veda Pinto, La Toscana nel tardo Medioevo cit., pp. 252-264 (si tratta delle terre dell'ospedale di San Gallo di Firenze). 36 Il contratto di mezzadria nella Toscana medievale, I, Contado di Siena cit., pp. 318-320. poi i frutti dell'allevamento: si fa riferimento nel contratto agli animali da cortile, a due porci ogni anno, e ancora a buoi, bestie da soma, pecore e capre. Il mezzadro si impegnò a trasportare ogni anno a Siena a casa del proprietario da 5 a 6 moggia di grano, e poi legumi, vino, pere formaggio e uova. Si tratta evidentemente di tutta, o di gran parte, della quota dei raccolti spettante al proprietario. A prescindere dalla varietà dei prodotti, di cui si avvantaggiava certamente anche la famiglia contadina, colpisce la notevole quantità di grano. Se ammettiamo – come appare del tutto logico – che le 5-6 moggia di grano rappresentassero la parte padronale e che quindi il mezzadro ne avesse a disposizione altrettante, se ne ricava che la produzione cerealicola era in questo caso ampiamente superiore al fabbisogno della famiglia contadina, dal momento che il consumo annuo pro capite di un adulto era stimato in uno staio al mese (un 24° di moggio), e quindi il raccolto sarebbe stato sufficiente a nutrire per un anno 10-12 persone adulte. Quel mezzadro disponeva dunque di eccedenze di grano, destinate probabilmente ad essere immesse sul mercato. Naturalmente altre fonti fanno riferimento a poderi più piccoli e meno redditizi, o ancora a mezzadri che si lamentano, ma di fronte al fisco, di essere pieni di debiti e in condizioni di povertà 37. Se è vero dunque che in generale nelle tasche dei mezzadri circolava poca moneta per il ruolo determinante dell’autoconsumo e gli scarsi legami con il mercato 38, è anche vero che quella forma di conduzione offriva in cambio altri vantaggi. I mezzadri disponevano della casa di abitazione, e, anche se si trattava in genere di edifici modesti, la cosa non era affatto di poco conto. Pensiamo, ad esempio, al momento in cui si formava una nuova famiglia contadina. I figli più giovani che vivevano con i genitori sul podere, divenuti adulti e sposatisi, in genere dovevano allontanarsi dalla famiglia paterna alla ricerca di una nuova sistemazione, dal momento che la terra non consentiva un carico umano superiore. Ottenere l'affidamento di un podere con la casa dove andare ad abitare era la soluzione più vantaggiosa. L'alternativa era sistemarsi in un casa in affitto e lavorare a giornata, con tutti i rischi che ciò comportava. Il podere mezzadrile offriva pure altri vantaggi. La legna ricavata dalla potatura degli alberi era utilizzata per la cottura dei cibi e per il riscaldamento; la coltivazione dell'orto assicurava un complemento importante per l'alimentazione contadina. I mezzadri avevano poi la possibilità di mettere a frutto sul podere la forza-lavoro di tutti i componenti il nucleo familiare (donne, bambini e vecchi compresi), il che consentiva forme di integrazione del reddito non disprezzabili. Il lavoro delle donne nella casa colonica (filatura della lana per la manifattura disseminata, lavatura dei panni per conto terzi; il baliatico) e talvolta fuori (servizi domestici, ecc.) assicurava entrate monetarie non di poco conto 39. Ancora, la presenza sul podere mezzadrile di animali da lavoro, al cui acquisto contribuivano proprietari e mezzadri, consentiva di sfruttare meglio la terra; acquisto che più difficilmente era nelle possibilità dei piccoli contadini proprietari 40. Né sembrano attestati nella Toscana bassomedievale casi di compartecipazione di famiglie di piccoli proprietari nell'acquisto e 37 Cfr. ad esempio E. Conti, I catasti agrari della Repubblica fiorentina e il catasto particellare toscano /Secoli XIXIX), Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 1966, pp. 15, 39, 86-87, 110; G. Cherubini, L'Italia rurale del basso Medioevo, Roma-Bari, Laterza, 1985, pp. 133-138. 38 Poca moneta, ma non del tutto assente, anche quella aurea: cfr. i saggi raccolti nel volume La moneta in ambiente rurale nell'Italia tardomedievale, a cura di P. Delogu e S. Sorda, Roma, Istituto italiano di numismatica, 2002, in particolare il saggio di G. Cherubini,«La monerazione in ambiente rurale nella Toscana del tardo Medioevo», pp. 79-86. 39 Per qualche esempio si veda L. Sandri, L'ospedale di S. Maria della Scala di San Gimignano nel Quattrocento. Contributo alla storia dell'infanzia abbandonata, Castelfiorentino, Società storica della Valdelsa, 1982, pp. 39-159, 204-206; Pinto, Toscana medievale cit., pp. 82-90; Piccinni, “Seminare, fruttare, raccogliere” cit., pp. 117-120; e più in generale Ead., «Le donne nella mezzadria toscana delle origini. Materiali per la definizione del ruolo femminile nelle campagne», Ricerche storiche, XV, 1985, pp. 127-182. 40 Cfr. i dati complessivi elaborati da D.Herlihy – Ch. Klapisch-Zuber, I toscani e le loro famiglie. Uno studio sul catasto fiorentino del 1427, trad. it., Bologna, il Mulino, 1988 (ed. orig. Paris, 1978), p. 376. Nel Chianti, stando sempre ai dati del Catasto fiorentino del 1427, quasi tutti i mezzadri disponevano di buoi da lavoro contro la metà circa dei proprietari coltivatori: L. Cristi – S. Raveggi, «Contadini e cittadini. Due zone del contado fiorentino all'inizio del Quattrocento», in La costruzione del dominio cittadino cit., pp. 421-477, a p. 457, nota 113. nell'utilizzazione degli animali da lavoro 41. È ragionevole pensare infine – e non mancano le testimonianze – che la divisione a mezzo dei vari prodotti sancita dai contratti non fosse sempre rispettata e consentisse al mezzadro piccoli illeciti aggiustamenti a proprio vantaggio 42. Non è un caso quindi che la consistenza delle famiglie dei mezzadri fosse mediamente più alta di quelle dei piccoli proprietari e dei fittavoli, segno della maggiore precarietà di queste ultime famiglie. I dati del Catasto fiorentino del 1427 indicano per le campagne una consistenza media di 4,74 individui per nucleo familiare: ma tra le famiglie dei mezzadri solo il 20% aveva meno di 4 componenti, mentre il 40% circa ne contava da sei in su: quindi una dimensione media maggiore e in genere una maggiore complessità della famiglia, che dipendeva dal fatto di disporre di una quantità di terra maggiore 43. Nei secoli finali del Medioevo dunque autoconsumo e scarsa frequentazione del mercato non significavano automaticamente condizioni di povertà estrema. Sicuramente il livello di vita di molti mezzadri insediati su poderi ampi e fertili, pur rimanendo basso, era superiore a quello di tanti piccoli proprietari contadini che disponevano di poca terra o di terra poco fertile. Nella gerarchia delle concezioni del tempo in rapporto a quanti vivevano del lavoro dei campi, il posto più basso spettava non ai mezzadri ma ai salariati agricoli (i braccianti), quelli che non disponevano di terra affidata e che spesso vivevano in case in affitto 44. Nelle liste redatte dai parroci di campagna toscani (siamo in età moderna) per segnalare le famiglie contadine bisognose d’assistenza, i mezzadri compaiono di rado, mentre sono in grande maggioranza i salariati agricoli (in Toscana i cosiddetti pigionali, quelli cioè che vivono in una casa a pigione, ovvero in affitto) 45. L'affidamento di un podere, con la relativa casa di abitazione, è rimasto per secoli un marcatore sociale importante all'interno del mondo contadino C’è da aggiungere che in molte aree della Toscana la fiscalità cittadina, colpendo prevalentemente la proprietà, risparmiava le famiglie dei mezzadri, mentre penalizzava i piccoli proprietari contadini 46. Il confronto tra le condizioni di vita dei mezzadri e quelle dei fittavoli presenta maggiori difficoltà, soprattutto perché le fonti – in genere di provenienza padronale o pubblica – privilegiano lo studio dei primi. Anni addietro una documentazione particolarmente ricca (quella dell'ospedale di San Gallo di Firenze) mi ha consentito affrontare il problema per alcune proprietà site nelle campagne fiorentine del tardo XIV secolo: si trattava degli stessi poderi che furono concessi in un arco di 41 Secondo quelle forme di solidarietà di villaggio attestate fuori d'Italia: cfr. M. Bourin – R. Durand, Vivre au village au Moyen Âge. Les solidarités paysannes du XIe au XIIIe siècle, Rennes, Presses universitaires, 2000, pp. 16-147. 42 Sull'accusa di furto rivolta ai mezzadri – accusa che aveva spesso effettive corrispondenze nella realtà – cfr. Cherubini, L'Italia rurale del basso Medioevo cit., pp. 135-136. Fra le testimonianze dei proprietari ricordiamo quella celebre di Leon Battista Alberti, I libri della famiglia a cura di R. Romano e A. Tenenti, Torino, Einaudi, 1969, p. 238: «cosa da nolla credere, quanto in questi aratori cresciuti fra le zolle sia malvagità. Ogni loro studio sempre sta per ingannarti […] mai errano se non a suo utile; sempre cercano in qualunque via avere e ottenere del tuo». 43 Herlihy – Klapisch-Zuber, I toscani e le loro famiglie cit., pp. 648-650, 672. 44 Uno statuto fiorentino del 1348 (Statutum bladi reipublicae florentinae, 1348, a cura di G. Masi, Milano, Vita e Pensiero, 1934, pp. 181-182) obbligava i contadini con famiglia a “conducere terras ad annum et ad annos”, mentre il lavoro salariato a giornata era permesso solo a quei lavoratori senza famiglia e che “propter eorum paupertatem laborant et colunt terras et vineas pro mercede et ad diem”. Nell'estimo fiorentino del 1402 di un bracciante si dice che non ha nulla di imponibile perché lavora la 'terra altrui' a giornata (Archivio di Stato di Firenze, Estimo, 245, c. 515r-v); naturalmente l'espressione 'terra altrui' non compare mai quando si parla di un mezzadro. 45 Ampia casistica in Archivio di Stato di Prato, Ceppi riuniti, 1684, passim: cfr. G. Pinto – I. Tognarini, «Povertà e assistenza», in Prato: storia di una città, sotto la direzione di F. Braudel, 2, Un microcosmo in movimento (14941815), a cura di E. Fasano Guarini, Comune di Prato, Firenze, Le Monnier, 1986, pp. 429-500, alle pp. 464-471. 46 È il caso delle campagne senesi: Il contratto di mezzadria nella Toscana medievale, III, Contado di Siena cit., pp. 33-55; A. K. Isaacs, «Le campagne senesi fra Quattro e Cinquecento: regime fondiario e governo signorile», in Contadini e proprietari nella Toscana moderna, 1, Dal Medioevo all'età moderna, Firenze, Olschki, 1979, pp. 377403; e più in generale Ginatempo, La mezzadria delle origini cit., pp. 69-71. tempo di qualche decennio ora a mezzadria ora ad affitto in natura o in moneta. Il confronto tra l’ammontare del canone e la quota-parte padronale dei diversi raccolti ha messo in evidenza come la mezzadria fosse più conveniente per i coltivatori, ovvero i canoni annui erano sensibilmente superiori alla metà di quanto ricavato dalla terra 47. Non è difficile farsi una ragione dei meccanismi che inducevano i proprietari a fissare canoni così alti. Per loro era più naturale far riferimento alle buone annate che non a quelle caratterizzate da basse rendite. Poi, sulla base dei raccolti effettivi, si poteva venire incontro alle necessità dei fittavoli, dilazionando il pagamento del canone o tollerando un certo margine di indebitamento cronico. Ma certo occorrerebbero riscontri su altre proprietà e per altri periodi.. Un altro possibile percorso di ricerca riguarda la mobilità sociale del mondo contadino, per verificare quali chances si offrissero a mezzadri, fittavoli, piccoli proprietari coltivatori di migliorare la propria condizione sociale. Al momento su questo tema disponiamo di scarse indicazioni, che si riferiscono per altro quasi esclusivamente o a periodi risalenti quando la mezzadria non si era ancora imposta nelle campagne toscane 48 o, per periodi successivi, alla mobilità in discesa 49; varrebbe la pena di studiare il fenomeno nella sua complessità, ma non si tratta di una ricerca facile. Certamente è ragionevole pensare che gli stretti vincoli che legavano i mezzadri ai proprietari della terra rappresentassero un ostacolo alla loro ascesa sociale. Nel contempo la gestione del podere a mezzadria, per quanto ampio e fertile esso fosse, non pare consentisse ai mezzadri di accumulare risparmi di una certa consistenza. Ne è una riprova il fatto che anche per il periodo successivo alla Peste Nera, quando la popolazione rurale si concentrò sulle terre più fertili, si accentuò il processo di appoderamento e le clausole contrattuali volsero a favore dei coltivatori dipendenti, non sono attestati, a quanto mi risulta, casi di mezzadri che acquistassero terra per mettersi in proprio. Anzi il numero dei mezzadri che possedevano qualche fazzoletto di terra sembra ridursi nel corso del XV secolo 50. I fittavoli godevano invece di una maggiore libertà e quindi avevano la possibilità di mettere a frutto meglio le proprie capacità di lavoro, anche in attività non agricole. Sicuramente la forte crescita dei contratti di mezzadria a danno di quelli in affitto nella Toscana degli ultimi secoli del Medioevo trova una delle sue ragioni nella volontà dei proprietari cittadini di controllare più strettamente la conduzione del podere e il lavoro contadino. 47 Pinto, La Toscana nel tardo Medioevo cit., pp. 298-306;Jones, «Le origini medievali della moderna società rurale» cit., p. 416, già osservava, molti anni fa, che “qualche indizio farebbe forse pensare che i contadini fossero meno ostili alla mezzadria che ai fitti”. 48 Cfr. Cherubini, L'Italia rurale del basso Medioevo cit., pp. 56-62; G. Pinto, «I nuovi equilibri tra città e campagna in Italia fra XI e XII secolo», in Città e campagna nei secoli altomedievali, Atti delle Settimane di studio del CISAM, LVI, Spoleto, CISAM, 2009, pp. 1055-108, alle pp. 1079-1081. 49 Spunti in questa direzione in Mazzi-Raveggi, Gli uomini e le cose cit., Parte III “Sei esempi di vicende contadine” e soprattutto in D. Balestracci, La zappa e la retorica. Memorie familiari di un contadino toscano del Quattrocento, Firenze, Salimbeni, 1984. 50 Secondo i dati del catasto del 1427 nel territorio fiorentino circa un quarto dei mezzadri a quella data possedeva ancora terra propria (in genere appezzamenti di modesta estensione), che coltivava in aggiunta al podere tenuto a mezzo, e il 14% circa viveva in una casa di sua proprietà (Herlihy – Klapisch-Zuber, I toscani e le loro famiglie cit., p. 374). A fine Quattrocento la forte crescita dell'appoderamento aveva eliminato molti piccoli e piccolissimi proprietari in tante aree del contado fiorentino (Conti, La formazione della struttura agraria moderna, III, parte 2ª, cit., pp. 345-394).