la strega di baratti

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la strega di baratti
Stelio Montomoli
LA STREGA
DI BARATTI
© 2014 Ouverture Service
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Dedicato all’Università dell’Aquila
Dipartimento scienze umane
Lab. Archeologia Medievale.
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Il progetto editoriale “COLIBRÌ – Cultura e Territorio” nasce dall’idea
di valorizzare peculiarità di interesse culturale legate al territorio inteso
come fattore fondamentale dell’evoluzione di una comunità e insieme
di caratteristiche naturali causa e conseguenza di questa.
Ringraziamenti:
Prof. Pablo Gorini,
per avermi indotto a scrivere il racconto e per la cura scrupolosa
con cui ha perfezionato il testo.
Prof. Ilio Campatelli,
per avermi chiarito un problema di fisica.
- Numero Cinque
La strega di Baratti
Testi: Stelio Montomoli
Progetto grafico, copertina e impaginazione: Ouverture Service
Ouverture Edizioni
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Tel: 0566 2301 - Fax: 0566 230200
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da parte dell’Editore. In ogni caso di riproduzione abusiva si procederà d’ufficio a norma di legge.
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Nota dell’autore
Nel 2008 un gruppo di ricercatori di Archeologia Medievale,
dell’Università dell’Aquila, si dedicò ad una campagna di scavi,
a Baratti, nei pressi della chiesina di San Cerbone, alla ricerca
della tomba del Santo.
A mio modesto parere, la storia di San Cerbone si snoda tra realtà
e fantasia. Fa parte della realtà che sia giunto nella Maremma
nel VI secolo dall’Africa mediterranea con un gruppo di suoi
collaboratori e che, successivamente, sia diventato Vescovo di
Populonia insediandosi a Baratti. È ancora realtà che, durante
le invasioni barbariche sulla costa Tirrenica, in particolare
dei Longobardi, sia stato costretto a rifugiarsi all’isola d’Elba
nella zona di Poggio- Marciana Alta, dove tutt’ora è ricordato.
Sicuramente aveva espresso anche il desiderio, alla sua morte, di
essere riportato a Baratti e di venire sepolto lì.
Che questo viaggio sia avvenuto, potrebbe far parte del mito.
I ricercatori dell’Università dell’Aquila che, mentre scrivo (14
ottobre 2014), hanno ripreso gli scavi, la tomba del Santo non
l’hanno ancora trovata. A loro tutti i nostri auguri.
Hanno trovato, però, in un area cimiteriale contigua alla chiesina,
due sepolture a dir poco anomale, risalenti al 1200, in pieno Medio
Evo. La principale -che ha dato il titolo al libro- è la sepoltura
di una donna, presumibilmente di una quarantina di anni, con
cinque chiodi in bocca di cui tre ricurvi. La donna era stata,
inoltre, inchiodata a terra per il timore che potesse riaffacciarsi
nel mondo dei vivi. Una evidente condanna per stregoneria,
ben prima che si scatenasse l’inferno dell’inquisizione. Poi ci
sono molti altri particolari, rivelati da indagini archeologiche e
antropologiche, sui quali debbo tacere altrimenti nessuno legge
il libro.
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C’è, infine, una seconda sepoltura, a cui è stato dato meno peso,
riguardante un’altra donna, nella cui fossa, scavata nella nuda
terra come la precedente, sono stati ritrovati una quindicina di
dadi da gioco! Situazioni, a dir poco, intriganti.
Viene, allora, spontaneo domandarci cosa sia mai successo, a
Baratti, nel 1200!
L’amico Pablo Gorini mi ha commissionato l’indagine, e mi ha
messo pure fretta ritenendo plausibile che l’idea potesse essere
sfruttata da altri. Questo romanzo è nato esattamente così.
Scriverlo mi ha appassionato moltissimo. Spero che sia lo stesso
anche per chi lo leggerà.
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Era solo settembre e sebbene il mese fosse ormai agli sgoccioli,
a Bologna da qualche giorno faceva freddo. In particolare quella
sera, un venticello di grecale, che faceva accapponare la pelle,
spazzava con calma le nuvole.
La luce del lampione nella strada filtrava dalle stecche delle
persiane accuratamente chiuse per non disperdere il tepore
dell’appartamento e aiutava l’illuminazione della camerina per
gli ospiti, che non erano mai venuti o per un bambino, al quale
al momento, neppure lontanamente pensavano.
Il guaio delle caldaie centralizzate è che gli inquilini non si
trovavano mai d’accordo ad accendere un po’ prima. Il governo
Berlusconi, in piena crisi, non aiutava i bolognesi del condominio
a decidere di riscaldarsi.
Nella camerina un lettino, in apparenza un mobiletto a cassetti,
accuratamente ripiegato e inserito tra parete e armadio. Un
tavolo con il computer in funzione, sopra tre grandi mensole
sovrapposte più lunghe del tavolo, affisse alla parete bianca.
Libri e carte che le ingombravano. Soprattutto libri, molti di
fantascienza. Nell’angolo esterno della mensola, in basso, anche
una foto di due giovani abbracciati e ridenti dentro una cornice
argentata. In clima con la serata, l’abbigliamento era invernale.
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Per il resto la stanzetta era una specie di ricovero di indumenti,
alcuni appesi ad un attaccapanni quasi a formare strati geologici
corrispondenti alle stagioni, una sorta di prolungamento
dell’armadio di camera, altri pendenti dallo schienale di una
sedia o accumulati sulla seduta di paglia che vai a sapere cosa
fosse esattamente.
Un panchetto e una bella poltrona da ufficio davanti al computer.
Il panchetto di legno, color mogano, dava l’idea di essere
piuttosto scomodo, al contrario della sedia imbottita capace di
scorrere su rotelle, dove si trovava Denise concentrata a leggere
casualmente un articolo su Google del Corriere della Sera.it del
23 settembre 2011. I due gatti, rigorosamente bastardi, Cleo e
Penny, accoccolati sulle sue ginocchia coperte da una vestaglia.
Seguivano, nella pagina successiva, la foto di una donna e il
commento di uno studioso dell’Università dell’Aquila. La donna
non sembrava molto in carne. Era uno scheletro adagiato in una
buca stretta scavata sulla nuda terra.
‹‹Hanno trovato una strega a Baratti›› ripeté mordicchiando la
gomma di un lapis.
Matteo si soffermò aiutandosi con una mano appoggiata sul
letto.
‹‹Una strega a Baratti?!›› I suoi occhi si erano sgranati.
‹‹Questo con certezza non lo sa nessuno. Sembra che fosse
stata sepolta nel 1200 o nel 1300, dipende dai diversi pareri,
comunque in pieno Medio Evo. Ci sono delle ipotesi di un
ricercatore universitario….››
‹‹allora non è una grande notizia, Denise…››
‹‹Cosa vuoi dire?›› Si era fatta curiosa.
Denise strillò cercando di sopraffare lo scrosciare della doccia.
‹‹Che non era mamma. L’ho sentita per telefono come tutte le
mattine in perfetto orario scassa sonno…››
‹‹Matteo, una notizia per te: hanno trovato una strega a Baratti,
Piombino!›› Aveva parafrasato il titolo del Corriere, scandendo
Baratti e Piombino.
‹‹Ha! Ha! Ha! Il tuo solito sarcasmo. E io che mi aspetto sempre
una cosa seria e ti ascolto come una deficiente nonostante che ti
conosca da quasi tre anni…››
Matteo aveva chiuso il rubinetto proprio in quel momento e ora
si stava ruvidamente strofinando con un grande asciugamano
nei pressi del letto dove erano deposti gli abiti che doveva
indossare, allineati uno accanto all’altro. Le gambe dei pantaloni
toccavano il tappetino. Con un piede infilato in una pantofola,
cercava di tirarlo completamente fuori.
Anche Matteo rise, dentatura non precisamente perfetta, e
riuscì ad infilare la seconda gamba nelle mutande. Trentotto
anni, testa pelata come una palla da biliardo, orecchie un po’
troppo discostate dalla testa, naso lievemente adunco, aveva
un bel fisico con tendini e muscoli in evidenza, risultato delle
bisettimanali partite a calcetto a sette o a cinque, con i colleghi
dell’azienda di informatica. Un impercettibile filo di pancia che
Denise con evidente perfidia non mancava di fargli notare in
ogni occasione suscitando le sue proteste.
‹‹Denise, non ho capito un tubo… Ero sotto la doccia!››
Matteo udì le rotelle della poltrona imbottita scorrere indietro
sospinte dai piedi di Denise. Tra poco l’avrebbe vista comparire
dall’angolo della parete. Apparve quel tanto da mostrare il volto,
girato dalla sua parte, gli occhi di un verde scuro ora accigliati,
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i capelli castani che oltrepassavano le spalle incorniciando un
volto in cui era difficile trovare un’imperfezione. Gli occhi si
fecero vivaci vedendolo saltellare per infilarsi le mutande.
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‹‹Ci vuole la lente di ingrandimento!›› reagiva sdegnato. Matteo
non era attraentissimo.
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Denise fece indietreggiare ancora la poltrona e si alzò. La
camicia bianca stretta sulla quale premeva il petto e i jeans
aderenti disegnavano perfettamente il suo corpo. Difficile non
pensare immediatamente che era bellissima. Ora lo guardava
maliziosa mentre si avvicinava. Sbatté perfino le ciglia.
‹‹Faresti prima a toglierti quelle mutande che a metterti camicia,
calzini, calzoni e scarpe.›› Continuava a mordicchiare la gomma
del lapis. Chissà cosa le aveva fatto?
Matteo indugiò mentre, guardandola, immaginava il suo corpo
nudo. ‹‹Resa incondizionata – pensò - Ma come ha fatto a
innamorarsi di me? Non capiva niente dei libri di fantascienza, e
io glieli spiegavo. Boh, chissà... Comunque è la mia donna. Non
me la farò portare via da sotto il naso.››
Ritornò al problema.
‹‹E gli amici? Sarebbe l’ennesimo ritardo, che scuse ci
inventiamo?›› Sporse in avanti le labbra. ‹‹Prova a dirgli della
strega di Baratti - continuò Matteo - e non dimenticare la battuta
su mamma che non era male.››
‹‹No, fino ad ora con gli amici ci ho pensato io. Ora tocca a te,
amore, spremerti le meningi.›› Aveva già iniziato a sbottonarsi la
camicetta. Lo sguardo sempre più intenso. Una davanti l’altro.
Trentasei anni, due di meno, quasi alta quanto lui che misurava
un metro e settantotto. Con i tacchi normali lo pareggiava. E
anche anche. Senza difficoltà, lo stava seducendo.
‹‹Va bene. Però se gli diciamo la verità anche questa volta, non
ci crederanno…››
***
Nel Dragon pub, in viale della Repubblica, quartiere San Donato,
solito casino assordante. Posto particolare per le frequentazioni:
studenti, giovani in generale, impiegati che fanno tardi negli uffici,
motociclisti iper tatuati che non gli vedi un pezzo di pelle integro
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e pieni di piercing, alcuni assolutamente tribali, dai capelli raccolti
in lunghe code e, anche, poliziotti e carabinieri, con sguardi
diffidenti, per una tazza di caffè. Accostamenti inusuali.
L’interno, un classico locale anglosassone in legno scuro,
scarsamente illuminato. Ai vari tavoli pochi che ascoltassero
gli altri. Tutte le voci si sovrapponevano ad accezione delle
rare pause con l’amico cameriere. Anche al tavolo di Denise
l’andazzo generale di quella sera, sebbene che a quel tavolo si
facessero discussioni spesso politiche. Ogni tanto rimettevano a
posto il mondo, ma quella sera no.
Denise beveva più dei ragazzi e delle loro ragazze. Anche
molto più di Matteo che la guardava allegro. Vino rosso che
contribuiva a renderle lucido il viso. Ma lo reggeva meglio di
tutti. Matteo si guardava bene dal dirle qualcosa mentre Mario,
il proprietario barista del Pub, allargava la bocca in un sorriso
ad ogni sorsata. Denise era troppo forte, e all’inizio pensava
che quella relazione con Matteo sarebbe durata poco. Ma quel
Matteo, laureato a Siena in scienze della comunicazione, si era
rivelato tosto. La tattica era quella di fingere di incassare, ma le
restituiva con gli interessi. Si diceva, persino, che fosse iscritto
al Partito Democratico, e che desse una mano alle feste de
L’Unità. Non era il solo a quel tavolo di sinistroidi. D’altra parte
era toscano e, per di più, di Piombino. Denise era sempre un
po’ più in là, più a sinistra. I suoi occhi, a volte, erano visionari.
Forse lo aveva conosciuto chattando in Internet certamente
non di politica ma probabilmente di fantascienza, si erano
frequentati a Firenze per un po’, facendo ciascuno un tratto di
strada per andarsi incontro, poi lo aveva presentato nell’azienda
informatica in cui lavorava ed era stato assunto. Dopo quasi tre
anni era evidente che le cose, tra lui e l’azienda funzionavano.
Funzionavano anche tra loro. Ora vivevano insieme e
apparivano realmente felici. Mario sosteneva che Matteo ci
aveva guadagnato incontrando i suoi occhi torvi.
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Denise provò un paio di volte ad introdurre il tema della strega
di Baratti, ma senza successo. C’era un eccesso di euforia nel
gruppo di amici che impediva discorsi intelligenti e ciascuno
seguiva il suo filo.
‹‹Strega - aveva detto - uno dei primi rifiuti dell’intelligenza
femminile, e il pretesto per una violenza contro le donne senza
fine.›› Ma l’argomento, sebbene si prestasse, non aveva attecchito
in quella banda di sinistroidi distratti. Matteo però l’aveva
ascoltata e le aveva strizzato l’occhio. Condivideva naturalmente,
ma soprattutto era sorpreso da come una notizia letta in modo
casuale sul web, l’avesse così colpita e incuriosita. Qualcosa di
indefinibile strisciò lungo tutta la sua spina dorsale trasmettendogli
l’idea di grattacapi e complicazioni che potevano alterare la sua
vita tendenzialmente pigra. ‹‹Ancora un paio o tre di altri bicchieri
di rosso e forse si sarebbe dimentica della donna del 1200 o del
1300››, si tranquillizzò. Forse, ma ne dubitava.
‹‹Le cazzate si alzano in volo come le farfalle, le cose serie
nemmeno con la gru riesci a sollevarle.›› Si era sfogata
praticamente inascoltata. Poi con naturalezza, dissimulando una
certa irritazione, si era alzata dalla sedia raccogliendo la borsa
dal bracciolo e il giacchetto dallo schienale. Lo indossò con uno
svolazzo. Inequivocabilmente era tempo di andare. Il piano del
tavolo, un autentico campo di battaglia di bottiglie di vino rosso,
di bicchieri scolati a fondo, di piatti con ossa di rostinciana e
bistecca con filetto scientificamente scarnificate, tutto sommato
per una manciata di euro. Alla taverna si mangiava bene e si
beveva meglio spendendo poco. Un bravo amico quel Mario.
Almeno con loro dieci. Delle cinque ragazze, Denise era
indubbiamente la più bella e la più intelligente. Anche la più
determinata. Quando voleva qualcosa che stremava le loro
modeste risorse congiunte, da tempo Matteo aveva smesso di
minacciarla dicendole ‹‹Dovrai passare sul mio cadavere!›› Ora,
con aria apparentemente rassegnata, attendeva che si consumasse
il caotico rito della suddivisione della spesa. Quando in mezzo
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ci si mettevano gli uomini, non c’era scampo. Mario rideva in
continuazione. Aveva bevuto anche lui.
Fuori dalla taverna il freddo si fece di nuovo sentire nonostante
il vino trangugiato, ma Matteo e Denise declinarono
cortesemente l’insistente invito per essere accompagnati a casa
in auto. Sebbene freddina, la nottata era incantevole. Stelle
ovunque, parzialmente offuscate dall’illuminazione pubblica, e
due terzi di luna attaccata a qualcosa lassù. Il grecale l’aveva
avuta vinta. Camminavano con un passo spedito infagottati
alla meglio in strati di giacche più pesanti, miracolosamente
trovate sull’attaccapanni. Abbracciati stretti avvertivano appena
la temperatura improvvisamente abbassatasi da alcuni giorni. Il
porticato di via Rizzoli era affollato di gente che si muoveva in
ogni direzione, sebbene fosse quasi mezzanotte. La lunga sciarpa
rossa di Denise le arrivava quasi ai piedi. Dietro, tra la notte e
l’illuminazione dei lampioni, si stagliavano le torri degli Asinelli
e della Garisenda. Un bar aperto attrasse la loro attenzione. Si
guardarono e risero, poi entrarono.
‹‹Due Jack Daniels›› chiese Matteo al ragazzo assonnato dietro
il banco. ‹‹Ne versi in abbondanza, si figuri, tutta la sera a cena
con amici astemi… ››
Gli occhi di Denise erano allegri e questo toglieva significato al
fatto che fosse abbastanza taciturna come se stesse pensando
a qualcosa che la distraeva, e Matteo non vedeva l’ora di
abbracciarla sotto il lenzuolo e una leggera coperta. Coperta
leggera?
Vicini a casa, Denise lasciò scorrere i propri pensieri.
‹‹Quella donna di Baratti con i chiodi in bocca… È terrificante,
piano piano mi ha sconvolto. Riaccendo il computer e voglio
vedere se trovo qualche altra informazione.››
‹‹Mi proponi una notte in bianco?›› Disinvolto, ma anche con un
filo di rammarico.
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‹‹Questo non sia mai. Ma c’è tempo. Fammi un po’ di compagnia
al computer, poi andiamo a nanna insieme.›› Gli dette un
colpetto al fianco con il pugno in segno di complicità.
Il miagolio e le fusa dei due gatti e lo strusciarsi ripetuto alle
gambe di entrambi, code ritte, segnalavano fame acuta.
Il computer era aperto e una lucina diceva che era in stand
bay. Anche la tastiera era estratta sopra il pianetto ritraibile
del mobile. Un conto erano i cassetti dei panni da cui poteva
spuntare il laccio di un reggipetto, un altro il computer. Non era
da Denise lasciarlo in quello stato, segno che quella di riprendere
a scuriosare non era una decisione dell’ultimo momento, ma di
inizio serata. E che non voleva perdere tempo.
***
Mentre Matteo si metteva in pigiama e provvedeva ai gatti, lei era
già all’opera. Lo chiamò. Matteo entrò nella camerina soprattutto
per farle piacere, e si sedé accanto sullo sgabello. Non vedeva
cosa ci fosse di così interessante in quella scoperta macabra da
ritardare il loro appuntamento a letto. Ma si accomodò paziente.
‹‹Guarda il Corriere della sera.it›› C’era un lungo articolo. Matteo
si rese conto che doveva leggerlo.
“Piombino. Sepolta con i chiodi in bocca. É una strega?”
Sottotitolo: “La tomba risale al 1200. Donna sepolta nella terra
nuda”. E di seguito il testo. “Nessuno, neppure il più fantasioso
Indiana Jones, avrebbe potuto immaginare una scoperta così
incredibile e misteriosa riaffiorata dalla terra otto secoli dopo
davanti al mare del golfo di Baratti. Gli archeologi stavano
scavando alla ricerca di una cattedrale e di un vescovo santo, San
Cerbone, e invece si sono trovati davanti alla tomba di quella che
potrebbe essere una strega del 1200. La donna, probabilmente di
un’età compresa tra i 25 e i 30 anni. Era stata sepolta nella nuda
terra e in bocca qualcuno la aveva inserito sette chiodi, di cui
cinque ricurvi, di una lunghezza di quattro centimetri. In una sorta
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di macabro rito, le vesti della giovane erano state poi inchiodate
nella fossa con tredici chiodi.” ‹‹Un ritrovamento atipico, non ho
mai visto niente di simile - racconta un archeologo dell’Università
dell’Aquila. Probabilmente ci troviamo di fronte a un rudimentale
rito di esorcismo. L’ipotesi è che la donna, colpita da problemi
fisici o mentali, potesse essere diventata, nell’immaginario
popolare, un soggetto malefico e forse anche una strega››.
“Dettagli inquietanti. Ci sono però alcuni particolari da chiarire
in questo interessante giallo archeologico. E soprattutto una
domanda ancora senza risposta: perché la strega è stata sepolta
in un luogo consacrato e addirittura vicino ad una chiesa?” ‹‹È un
particolare molto strano sul quale stiamo lavorando - continua
il ricercatore - si può ipotizzare che la donna appartenesse ad
una famiglia influente e che dunque sia riuscita ad ottenere una
sepoltura in terra cristiana.›› “Vicino alla tomba della probabile
strega gli archeologi hanno trovato la sepoltura di un’altra donna
enigmatica. ‹‹Accanto al suo scheletro c’era un sacchetto con 17
dadi da gioco›› racconta ancora l’archeologo. ‹‹A quei tempi il
gioco dei dadi era vietato e proibitissimo per le donne. Non
è escluso che ci si trovi di fronte a una meritrice punita con
disprezzo anche nel momento della sepoltura con il simbolo più
basso della moralità, il gioco dei dadi, appunto››
“Alla ricerca di San Cerbone. Gli scavi proseguiranno sino a fine
mese. Con un obiettivo: trovare la cattedrale di San Cerbone e
la tomba del santo…”
Matteo si rese conto che l’articolo non riguardava più la donna
con i chiodi, e neppure l’altra con i dadi, ma la leggenda del
santo. Finì di leggere in fretta... “una lotta contro il tempo.
L’erosione, infatti, minaccia le rovine e potrebbe cancellare per
sempre la storia magica e misteriosa di San Cerbone. Populonia
e Baratti sono conosciute in tutto il mondo per le necropoli
etrusche e i resti delle vestigia romane.” (data dello scritto, 23
settembre 2011.)
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Stelio Montomoli
LA STREGA
DI BARATTI
Mistero, storia e superstizione
si
intrecciano
nello
strano
ritrovamento della donna sepolta
con i chiodi in bocca.
Chi era?
Che cosa successe a Baratti nel
1200?
Stregoneria o vittime di una società
ottusa e maschilista?
€. 13.50
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