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anno 18 | numero 23 | 13 giugno 2012 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1 NE/VR
settimanale diretto da luigi amicone
Perché l’Ungheria
sfida il conformismo
di Bruxelles.
Reportage
da Budapest
EDITORIALI
PRINCÌPI ASTRATTI VS URGENZE CONCRETE
Uno Stato che lega le mani ai cittadini
può fare più danni del terremoto
D
per gli
stabilimenti prima di rimettere in moto le linee di produzione nelle zone terremotate dell’Emilia. Ecco un paio di misure con cui il governo dei “tecnici” potrebbe aiutare
la crisi a mangiarsi quel poco che rimane del tessuto economico italiano e garantire più legalità in astratto nel mentre che certifica una prospettiva di recessione e disoccupazione concreta. Quanto alla misura per impedire “raccomandazioni” e “favori” illegittimi, lo sappiamo, è figlia di una sottocultura dei talk-show manipulitisti che parassitano sul lavoro altrui
e immaginano un sistema delle relazioni così perfetto che non sarà più necessario vincere
commesse all’estero, né avere la libertà di scegliere manodopera e collaboratori. Un sistema
così esiste solo nella fantasia concentrazionaria dei burocrati e aggiungerà altro piombo al
già appesantito sistema industriale. Quanto al problema delle imprese nelle zone terremotate, specie nel Modenese, dove un ricco e avanzato distretto industriale chiede solo di essere messo nelle condizioni di ripartire, lo ha sollevato per tutti Giovanni Ferrari, presidente di
un piccolo colosso della chimica: «I compratori americani e la distribuzione tedesca possono
aspettare al massimo un paio di mesi. Poi li perdi. Se il governo ci impone la nuova normativa antisismica ci vorranno mesi di lavori, non possiamo fare aspettare tanto i committenti».
Ecco di cosa c’è bisogno nel terremoto e nel resto terremotato della società italiana: più sussidiarietà e meno Stato, via libera alla responsabilità dei cittadini e meno protezione civile, Dal ddl anticorruzione al decreto che
certificazioni prodotte facendo ricorso a tecni- imporrebbe una nuova normativa
ci privati e procure lontane dai posti dove si de- antisismica per gli stabilimenti nelle
ve pensare a tornare al lavoro, non ai proceszone colpite dal sisma. Due misure
si per chi ha costruito capannoni dove
che darebbero in pasto alla crisi quel
nessuno poteva immaginare che sarebbero arrivati i terremoti.
poco che resta della nostra economia
al ddl anticorruzione al decreto che imporrebbe una nuova normativa antisismica
MALAGROTTA, EMERGENZA RIFIUTI
Bruxelles severa sulla discarica di Roma
Comune e Regione non hanno attenuanti
È
molto severo il parere motivato (in pratica la messa in stato d’accusa)
che il commissario europeo all’Ambiente ha inviato all’Italia sulla discarica di Malagrotta, soprattutto perché, violando le norme, i rifiuti vengono smaltiti senza aver subìto il prescritto
trattamento. Nel documento si sottolinea come sia impossibile trattare tutti i rifiuti prodotti, dato che il deficit di impianti nel Lazio è di circa un milione e mezzo di tonnellate, di cui
oltre un milione per la provincia di Roma. Una valutazione perfettamente contraria a quella contenuta nel Piano regionale dei rifiuti approvato dalla giunta Polverini. La redazione
del Piano fu affidata nella scorsa legislatura dall’allora commissario Marrazzo e dal vicecommissario La Porta a soggetti che vantavano, come principale requisito di qualità, l’appartenenza al sistema delle coop toscane; la Polverini e l’assessore Di Paolo lo fecero proprio con modifiche insignificanti. Va ricordato che del deficit certificato dall’Europa, e della
conseguente inconsistenza del Piano, erano stati avvisati più volte il sindaco Alemanno dagli uffici del Comune, l’Ama dai suoi consulenti e gli stessi Polverini e Di Paolo da una serie
di memorie inviate da esperti, tutti atti da me ben conosciuti. Gli avvertimenti riguardavano le valutazioni errate contenute nel Piano circa la capacità di trattamento, la sottovalutazione della quantità di rifiuti prodotti e l’assenza di programmi per garantire l’equilibrio
tecnico della gestione, che non può essere raggiunto senza la realizzazione di un sistema di
incenerimento da circa un milione e mezzo di tonDel deficit certificato dall’Ue, nellate, peraltro già presente nel programma elettorale di Alemanno e del quale non si è più neane quindi dell’inconsistenza
che parlato. La procedura di infrazione porterà a
del Piano regionale, erano
una pesante condanna pecuniaria: la realizzaziogià stati avvisati più volte
ne di discariche provvisorie non costituisce una soil sindaco Alemanno, l’Ama e
luzione tecnica né amministrativa del problema.
gli stessi Polverini e Di Paolo
Paolo Togni [email protected]
FOGLIETTO
Un bagno di lealtà.
Nessuna soluzione alla
crisi, nemmeno la più
“tecnica”, può ignorare
la volontà dei popoli
A
ncora un volta la storia
passa per l’Europa: o qui si
definisce un equilibrio o la
destabilizzazione si allargherà alle altre
aree del pianeta. C’è chi vorrebbe che
il necessario nuovo assetto nascesse
da una soluzione tecnica, da mediazioni definite da qualche algoritmo su
credito, fisco e quant’altro: si dice che
tutto ha funzionato tecnocraticamente
per mezzo secolo e così si può andare
avanti. In realtà alla base dell’Unione
c’era la Guerra fredda, cioè una rottura
tra visioni “calde”, e “partecipate” dai
popoli, del mondo (l’estrema uguaglianza contro l’idea di libertà come base del
vivere sociale): era questo che sorreggeva piani illuminati e disegni tecnici. È
difficile pensare, nel medio periodo, soluzioni che non abbiano salde radici nei
popoli “che esistono” in Europa. Solo
una dura stagione di catastrofi potrebbe incrinare gli elementi di democrazia
acquisiti dalle nazioni del Vecchio Continente. Nel frattempo si deve partire
dai popoli per disegnare un futuro realistico. Bisogna indicare opzioni legate ai
valori su cui scegliere un percorso, non
pensare di risolvere i problemi accoppiando a ricatti economici lacchè al servizio di interessi potenti messi a gestire
intere nazioni. Le vie per superare la
particolare difficoltà dell’oggi possono
essere diverse (compresi scenari in cui
Berlino si ritiri dall’euro) e comunque
garantire, pur con mezzi differenziati,
risultati positivi: la condizione è che
siano affrontate con spirito
di verità e lealtà verso
i popoli coinvolti.
Lodovico Festa
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SOMMARIO
MEDIORIENTE
COPERTINA
Dove sono finiti i vantaggi immaginati dagli ungheresi con
l’ingresso in Europa? Viaggio in un paese infiammato
dagli attacchi alla sua identità cristiana e
da vincoli finanziari «antidemocratici»
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Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1 ne/Vr
LA SETTIMANA
Foglietto
Lodovico Festa.................................. 5
Non sono d’accordo
Oscar Giannino............................. 23
La sfida
anno 18 | numero 23 | 13 giugno 2012 |  2,00
settimanale diretto da luigi amicone
Impetum suum posse sustineri existimabant.
Accedebat quod suos ab se liberos abstractos obsidum nomine dolebant, atque
Romanos non solum itinerum
Boris Godunov
Renato Farina.................................. 31
Budapest contro Bruxelles
Le nuove lettere di
Berlicche......................................................41
Presa d’aria
Paolo Togni........................................... 52
Perché l’Ungheria
sfida il conformismo
di Bruxelles.
Reportage
da Budapest
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Perché l’Ungheria sfida
il conformismo di Bruxelles.
Viaggio a Budapest
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Rodolfo Casadei........................................................................................................................................................................................................................ 8
INTERNI
I NUMERI INEDITI
INTERNI
Avercelo
un governo
lombardo
Gibelli: «Il gioco di costruire le
mozioni di sfiducia sugli articoli
di giornale non funziona con
la Lega. Non si lascia così
un’alleanza scelta a grande
maggioranza dagli elettori»
vità lombarda sono risibili rispetto a quanto si registra a livello nazionale. Il personale della giunta lombarda è diminuito del 30
per cento dal 1995 al 2010. I dirigenti della
giunta, nello stesso periodo, sono diminuiti
del 54 per cento. La giunta di Regione Lombardia ha un costo annuo per cittadino di
circa 21 euro contro la media nazionale di
133. Aggiungendo il costo del personale di
enti e società partecipate, il costo complessivo non arriva a 30 euro pro capite. Il minor
costo pro capite tra le regioni italiane. E il
nalista glielo chiede». Eppure, come rimar- costo degli organi istituzionali per abitanca lo storico ed economista di sinistra Giu- te? È pari a 9 euro, contro una media naziolio Sapelli, «vogliono distruggere soprattut- nale di 24 e un valore massimo di 199. E
to le élite politiche del Nord».
“l’indice di virtuosità”, cioè l’incidenza del
Ma perché vogliono distruggerle? Che costo del personale rispetto alla spesa corconvenienza c’è a buttare gambe all’aria il rente complessiva? In Lombardia è pari allo
Nord? E la Lombardia, per giunta, l’unica 0,9 per cento, contro il valore medio nazioRegione con i conti a posto? Se
nale di 4,3 e un valore massimo
non fosse cronaca martellante
italiano di 28. la Lombardia ha
degli ultimi sei mesi, la forsenil minor numero di dipendennata campagna in corso sulle
ti rispetto agli abitanti: 1 dipenTRA VIRGOLETTE
vacanze e gli amici di Formigodente ogni 3.300 abitanti, metà
Dimissioni? No grazie
ni si direbbe un teatro dell’asdella media nazionale. In sinSu tempi.it tre illustri
lombardi contro l’idea
surdo. Titolo: “Come sfasciare
tesi: se tutte le amministrazioche Formigoni si
l’unica amministrazione che
ni pubbliche avessero mantenudimetta solo «perché
funziona in Italia e pagare due
to il trend di crescita delle spese
qualche giornalista
volte l’Imu quando non cisarebdi questa Regione, pari al 23,5
glielo chiede»: sono
l’ex governatore Piero
be bisogno di nessuna Imu se
per cento in 16 anni, si sarebBassetti, l’ex sindaco
Formigoni governasse a Roma
be ottenuto un risparmio per lo
socialista di Milano
come ha governato in LombarStato di 41 miliardi e 686 milioCarlo Tognoli e Piero
dia”. Stiamo esagerando per
ni di euro. Sì, avete letto bene:
Ostellino, la penna più
liberale del Corriere.
partigianeria? Vediamo un po’.
41 miliardi e rotti, il doppio del
Esaminiamo i fatti del governo
gettito previsto per l’Imu.
di Roberto Formigoni, separati dalle opinioQuanto al “sistema Formigoni”. Come
ni sulle vacanze di Roberto Formigoni. I fat- mai ci si concentra su amici e vacanze del
ti dell’amministrazione lombarda, freschi leader lombardo e sappiamo ancora niendi bilancio 2011 e perciò inediti, reperiti da te sui “sistemi” delle regioni campionesse
di deficit? Ad esempio, circa due anni fa, il
Tempi nei “rendiconti di gestione”.
Intanto, dati contabili alla mano, 30 giugno 2010, dalla relazione della Com“casta” e “costi della politica” per la colletti- missione tecnica sul federalismo viene
Il presidente del
Consiglio Mario
Monti e, a sinistra,
il governatore
della Lombardia
Roberto Formigoni.
A destra, il suo
vice leghista
Andrea Gibelli
di Luigi Amicone
A
ll’indomani della svolta “maroniana”
la Lega non cambia alleato. Almeno in Lombardia. Dove mercoledì 6
giugno i “padani” guidati dal numero due
del governo formigoniano Andrea Gibelli hanno respinto insieme al Pdl l’ennesima mozione di sfiducia contro il governatore e rimandato al mittente l’appello del
Pd a riportare alle urne gli elettori lombardi. Telegrafico ma incisivo, Gibelli dice
a Tempi: «Questo giochino di costruire le
mozioni di sfiducia sugli articoli di giornale non funziona con la Lega. Noi andiamo
avanti col programma concordato in Lombardia. Ci interessa il merito delle questioni, non le sirene della sinistra il cui unico problema è quello di abbassare l’asticella a zero perché credono di trarre vantaggio dalle campagne stampa. Rigoristi in
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Lombardia, relativisti in Emilia Romagna.
Come ha detto lo stesso Formigoni, non
si lascia un’alleanza programmatica scelta a grande maggioranza dagli elettori se
non il giorno in cui venissero provate accuse che, allo stato attuale, sono fondate solo
sul “sentito dire”».
D’altra parte è uno strano partito quello di Pier Luigi Bersani. Alza la voce in Lombardia, dimentica le legnate prese a Palermo da Leoluca Orlando, non chiarisce la
situazione, a dir poco tragicomica, in cui il
Pd si trova nella giunta dimissionaria Lombardo. E così, nel territorio che già detiene
saldamente il record dei dipendenti pubblici regionali (quasi 18 mila contro i circa 3
mila della Lombardia), in attesa del ritorno
alle urne previsto per il prossimo ottobre,
gli stessi che fanno opposizione alla giunta Formigoni, in Sicilia votano l’assunzione
di 22 mila precari (tra cui trenta cosiddet-
ti “camminatori”, cioè impiegati incaricati
di trasportare documenti da un assessorato all’altro) e plaudono alla riapertura delle indagini, decisa dalla procura di Palermo il 24 maggio scorso, nientemeno che
sulla scomparsa di un sindacalista di Corleone avvenuta il 10 marzo 1948 (c’è chi dice
che tra un po’ a Palermo useranno i soldi
pubblici pure per indagare i comandi alleati che nel ’43 sbarcarono in Sicilia, come è
noto, grazie anche al supporto logistico della mafia). Ma insomma, se giustizia e welfare alla siciliana offrono un grande futuro dietro le spalle a tutti, il democrat Sergio Rizzo, l’altro famoso autore della Casta
e fustigatore dei costi della politica, dice a
Ballarò di sperare che, così, in generale, in
futuro si dia un taglio «al bubbone Regioni». Meglio, però, non entrare nel dettaglio.
Per esempio paragonando Sicilia e Lombardia. O magari comparando il favoloso ventennio rosso del “Rinascimento” bassoliniano e l’analogo terribile ventennio azzurrociellino del “sistema di potere” formigoniano. Per il bilancio del Rinascimento partenopeo sarebbe in effetti sufficiente esibire il titolo e l’occhiello apparsi sul Mattino
di Napoli il 20 maggio scorso: “Alla Campania servono 6 miliardi di euro per lasciarsi
alle spalle la crisi. A tanto ammonta, secon-
do i tecnici della Regione, l’indebitamento record delle pubbliche amministrazioni con il mondo delle imprese, che in certi casi attendono fino a 771 giorni il pagamento delle fatture”. Al capo opposto, invece, basterebbe citare la notizia del Sole 24
ore del 29 maggio. Che dai primi risultati dei tavoli di monitoraggio del governo Monti attivati con le Regioni per tenere sotto controllo la spesa pubblica, segnala la Lombardia (dove i fornitori dell’amministrazione sono pagati a sessanta-novanta giorni) come la regione più virtuosa,
con un attivo di 224 milioni ottenuto senza ricorrere alle risorse di bilancio locale.
Foto: AP/LaPresse, Infophoto
Se tutte le amministrazioni pubbliche avessero
seguito il trend di spesa del “sistema Formigoni”,
in 16 anni lo Stato avrebbe risparmiato 41 miliardi
e rotti, due volte l’Imu. Piuttosto che dimetterlo,
il Celeste bisognerebbe esportarlo. A Roma
Qualche semplice paragone
Si capisce allora perché gente seria come
Piero Bassetti, Carlo Tognoli, Piero Ostellino, tre storici e illustri esponenti della
società civile lombarda, rispettivamentecattolico, socialista e liberale, si siano risolutamente schierati «contro le dimissioni di
Roberto Formigoni». Bassetti, in particolare, ex presidente della stessa Regione, nonché ispiratore del “Gruppo 51” che ha sostenuto la candidatura di Giuliano Pisapia a
sindaco di Milano, si è addirittura infuriato: «Non è possibile che Formigoni si debba
dimettere perché qualche stronzo di gior-
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Numeri inediti. Il “sistema Formigoni”
Se tutte le amministrazioni pubbliche avessero
seguito il trend di spesa della Lombardia, in 16
anni lo Stato avrebbe risparmiato 41 miliardi
e rotti, due volte l’Imu. Piuttosto che dimetterlo
il Celeste bisognerebbe esportarlo. A Roma
Luigi Amicone..............................................................................................................................................................................................................14
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SOCIETÀ
SOCIETà
IN LIBRERIA
LA TEORIA
DEL “GENDER”
E L’ORIGINE
DELL’OMOSESSUALITÀ
T. Anatrella
San Paolo
14,90 euro
Monsignor Tony Anatrella è
psicanalista, specializzato in
psichiatria sociale, insegna a
Parigi presso le libere Facoltà
di filosofia e psicologia e al
Collège des Bernardins. È anche
consultore dei Pontifici consigli
per la famiglia e per la salute
«La teoria del “gender” ci prepara un mondo
dove nulla sarà più percepito come stabile»,
dice lo psicanalista Tony Anatrella. «I danni
provocati dal divorzio non sono nulla rispetto
a quelli che può causare l’ideologia Lgbt»
ideologia del “gender” «farà sicuramente più danni del marxismo».
Lo ha messo nero su bianco monsignor Tony Anatrella, psicanalista di fama
internazionale, specialista in psichiatria
sociale, docente alle libere Facoltà di filosofia e psicologia di Parigi e al Collège des
Bernardins, oltre che consultore del Pontificio consiglio per la famiglia e del Pontificio consiglio per la salute. Il suo ultimo libro, La teoria del “gender” e l’origine dell’omosessualità, appena pubblicato
da San Paolo, Anatrella lo ha scritto proprio per mettere in guardia dalle conseguenze – esistenziali e sociali – della teoria che nega la differenza sessuale fra l’uomo e la donna.
Monsignore, cosa può accadere a uomini
che crescono incerti delle differenze che
vedono?
Ora non si vedono ancora le conseguenze della negazione della differenza sessuale, ma tra una ventina d’anni sarà chiaro:
se si va avanti così assisteremo a crisi identitarie gravi, al diffondersi di problemi mentali. La realtà sarà confusa con l’immaginazione e niente verrà più percepito come stabile. Un’incertezza cronica è poi la madre
di comportamenti violenti. Il bambino cresce sano e sicuro quando interiorizza la differenza sessuale. Ma è un conflitto accettar| 13 giugno 2012 |
la. Se la mentalità lo spinge a non accettare la differenza è più facile che, come accade all’omosessuale, questo cresca depresso,
insicuro e incapace di accettare la diversità. I gravi danni psicologici provocati dai
divorzi che oggi constatiamo non sono nulla rispetto a quelli che può causare l’ideologia del gender sulle generazioni future.
Lei parla di una crescente diffusione di
comportamenti omosessuali. È dovuta
solo all’accettazione di questo modello
come normale o anche alla prevalenza di
una mentalità narcisistica?
Diciamo che la mentalità narcisistica,
che rifiuta l’alterità come elemento necessario al compimento dell’uomo, favorisce
l’omosessualità. Aumentano i comportamenti omosessuali perché la società, anziché favorire l’accettazione umana del proprio sesso prima e di quello opposto poi,
favorisce la regressione alla fase infantile
della sessualità in cui non si riconosce l’alterità come positiva. Ma se il bambino non
è aiutato a uscire da se stesso e a superare
le fasi infantili, come quella anale ad esem-
pio, può incorrere in problemi molto seri:
oltre a quello dell’omosessualità ci sono
l’alcol, la droga, la bulimia e molti altri.
L’omosessualità dunque non ha un’origine fisiologica, neurologica o genetica?
Ormai tutti gli studi concordano
nell’affermare che è un disturbo della psiche, come già sosteneva Sigmund Freud.
L’uomo e la donna sviluppano la propria
psicologia interiorizzando il proprio corpo
sessuato durante l’infanzia e l’adolescenza. Quando questo non accade, i soggetti
non accettano il proprio corpo reale rappresentandone uno che non corrisponde
alla loro realtà personale: il corpo immaginato è diverso dal corpo reale.
L’omosessuale, si legge nel suo libro, è
possessivo, nel rapporto con l’altro cerca
di riempire una mancanza ed è incapace
di donarsi. Come può allora la Chiesa chiedergli di
vivere nella castità?
«Non si vedono ancora le conseguenze della
negazione della differenza sessuale, ma se si
va avanti così assisteremo a crisi identitarie
gravi, al diffondersi di problemi mentali»
La Chiesa afferma che le
pratiche sessuali tra persone
dello stesso sesso sono atti
Foto: AP/LaPresse
L’
intrinsecamente disordinati perché l’omosessuale non riesce ad arginare la frustrazione che vive unendosi a chi è uguale a
lui. Tanto che, pur vivendo queste relazioni, resta insoddisfatto. Perciò la Chiesa propone alle persone veramente omosessuali (altre possono invece intraprendere un percorso terapeutico che le porti all’eterosessualità) di astenersi dal praticare e di cercare di guardarsi dentro per
fondare le loro relazioni su un altro amore
che può colmare la ferita, quello di Cristo
nella Chiesa. È un cammino difficile, ma
è l’unico che permette di vivere in questa
condizione serenamente. Ci sono cristiani
che hanno questa tendenza e la assumono
senza cercare di esprimerla o di praticarla.
Alcuni possono avere esperienze, dispiacersene e avere voglia di cambiare, trovando nella fede in Cristo la risorsa per fare
il proprio cammino di felicità: all’interno dell’amore della Chiesa ogni uomo può
trovare il proprio posto.
Che rapporto c’è tra le lobby Lgbt e la popolazione che dicono di rappresentare?
Questi gruppi di pressione rappresentano
davvero tutti gli omosessuali?
Le lobby omosessuali fanno molto
rumore. Lo si vede chiaramente quando
organizzano manifestazioni come i Gay
Pride, aperti anche agli eterosessuali per
fare numero. Resta il fatto che gli omosessuali rappresentano una percentuale molto bassa della popolazione totale. In Francia un’inchiesta ha dimostrato che nel
2008 solo l’1,1 per cento degli uomini e lo
0,3 per cento delle donne hanno avuto contatti sessuali con persone dello stesso sesso,
il che non vuol dire necessariamente che
questi siano tutti realmente omosessuali.
Parliamo quindi di un’esigua minoranza,
con un grande potere nel settore politico e
mediatico, che vuole imporre il proprio stile di vita alla maggioranza della popolazio-
ne ignara di quello che sta accadendo davvero: i media hanno un potere d’influenza
psicologica tale da far passare per cattivo
chi solo domanda di capire. Abituano ad
accettare come normale anche quello che
da sempre l’uomo percepisce come evidentemente problematico. Sono bandite dal
dibattito perfino le domande circa l’origine dell’omosessualità.
Insomma un problema che tocca poche
persone viene trasformato in una questione epocale. Come è possibile che una
lobby che rappresenta una parte minima
della popolazione abbia tanto potere?
Per comprendere questo fenomeno
bisogna inserirlo in un quadro storico che
si evolve a partire dagli anni Cinquanta,
quando iniziò a svilupparsi l’ideologia della liberazione sessuale che voleva ridurre
la sessualità al suo aspetto
infantile e ludico. In seguito, all’inizio degli anni Settanta, si cominciò ad affermare che il piacere sessuale era un diritto primario
«I media abituano ad accettare come normale
anche quello che da sempre l’uomo percepisce
come problematico. Sono bandite perfino
le domande circa l’origine dell’omosessualità»
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Lo psicanalista. Attenti all’ideologia Lgbt
«La teoria del “gender” ci prepara un mondo dove nulla
sarà più percepito come stabile». Parla Tony Anatrella
Benedetta Frigerio........................................................................................................................................................................................ 24
Sobrietà. Vacanze ai giardinetti
Ricordatevi di conservare tutti gli scontrini.................................................... 28
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CULTURA
TRA OCCIDENTE E ORIENTE
Nuovi
totalitaristi
crescono
CULTURA E SPORT
Nel suo ultimo
libro, frutto
di una lunga
gestazione,
Ernst Nolte
ritrova
nell’islamismo,
inteso come
dimensione
bellica e
dogmatica
dell’islam,
elementi
comuni con
il bolscevismo
e il fascismo
IL SAGGIO
Non erano il capitalismo né gli ebrei i veri nemici
dei movimenti estremisti che insanguinarono
il secolo scorso. Fascisti e bolscevichi volevano
cancellare la trascendenza dell’uomo. Proprio
come fa, oggi, l’islam radicale. Parla Ernst Nolte
che l’ultimo
libro di Ernst Nolte, definendo
l’islamismo come «terzo movimento di resistenza radicale» accanto a bolscevismo e fascismo, abbia suscitato a suo
tempo eco e reazioni significative sulle
stampa tedesca. Protagonista nel 1986 della cosiddetta “disputa tra gli storici” per le
sue analisi dei due grandi fenomeni totalitari del XX secolo, Nolte è dunque tornato a suscitare polemiche con questo corposo studio (Il terzo radicalismo, ora edito
anche in Italia per i tipi di Liberal), frutto
di una lunga gestazione, nel quale il “pensatore della storia” ritrova nell’islamismo,
inteso come dimensione bellica e dogmatica dell’islam, elementi comuni con il
bolscevismo e il fascismo.
Da grande personalità qual è, Nolte
non ha difficoltà ad ammettere i propri
limiti nella conoscenza dell’oggetto. Tuttavia, essendo l’islamismo ormai riconosciuto nel dibattito pubblico come un fenomeno d’opposizione radicale al “moderno”, ha ritenuto necessario non lasciare
ai soli specialisti un tema così caldo e palpabile. Col rischio di esporsi a dure critiche – come, per esempio, quelle ricevute
da Walter Laqueur, ritenuto uno dei fondatori della ricerca sulle origini del terrorismo, secondo il quale il libro di Nolte si
sofferma troppo sulle dittature novecentesche. In realtà i tratti che assimilano il «terzo movimento di resistenza radicale» alle
altre due «rivoluzioni conservatrici» possono essere colti solo riproponendo le carat-
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on stupisce più di tanto
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teristiche del marxismo e del nazionalsocialismo, ecco il motivo di quella lunga prima parte del lavoro così poco apprezzata
da Laqueur. L’elemento essenziale che lega
i tre “movimenti”, secondo Nolte, è l’aspirazione a salvare le relazioni di vita primordiali dalla modernità. Da qui lo storico parte per raccontare il progressivo confronto
dell’islam con il mondo a partire dal XIX
secolo, iniziando dall’arrivo di Napoleone
in Egitto, attraverso il sionismo, interpretato come la sfida decisiva della modernità
al cuore dell’islam, per finire con l’islamismo, inteso come forza rilevante nel contesto del conflitto globale.
Taciuta all’estero dai suoi detrattori,
ma anche dai suoi estimatori, la domanda
di Nolte si concentra su quale sia il nemico
contro il quale combatterono bolscevismo
e fascismo, che è lo stesso contro il quale
combatte oggi l’islamismo. Quel nemico
– è la risposta dello storico tedesco – non
è il capitalismo, e neppure l’ebraismo. «È
piuttosto un “qualcosa” presente nel capitalismo che è stato a lungo preso in esame
da pensatori ebrei e non ebrei: la ricchezza più interiore, o meglio, il destino vero
dell’uomo, che va “oltre se stesso”, cioè (…)
la trascendenza, la necessità di porsi in un
rapporto emozionale con il mondo nella
IL TERZO
RADICALISMO
Ernst Nolte
Edizioni Liberal
23 euro
Professor Nolte, tutto il mondo ha seguito e segue con attenzione ciò che sta
accadendo da oltre un anno nei paesi del
Nord Africa e nel Medio Oriente arabo e
musulmano. La cosiddetta “primavera
araba”, quella che i tedeschi chiamano
“Arabellion”, ha preso apparentemente
le mosse da legittime aspirazioni di libertà e giustizia. Oggi, però, i segnali indicano un po’ ovunque una possibile deriva
islamista del fenomeno, più che una vittoria delle forze democratiche. C’è dunque il rischio reale che la battaglia per la
libertà contro i regimi dittatoriali porti
all’affermazione di quell’islam radicale di
cui parla nel suo libro?
Ernst Nolte,
storico, studioso
del bolscevismo
e dei movimenti
fascisti,
è professore
emerito alla
Libera Università
di Berlino
sua interezza». Una considerazione che lo
conduce all’origine stessa del male, la ribellione dell’uomo contro il suo creatore. «Se
è giusta la tesi degli ideologi islamici – scrive Nolte – secondo la quale l’islam null’altro è se non il ritorno dell’essenza ribelle
dell’uomo contro l’armonia dell’universo
creato da Dio, allora il concetto di “trascendenza”, inteso come qualcosa di negativo e
dunque da negare, si lascia usare (nell’islamismo, ndr) in maniera non diversa da
come venne usato da Lenin e Hitler».
L’attualità del tema e la lucidità con
cui Nolte legge i movimenti della storia
umana in relazione alle aspirazioni del
singolo rendono anche que«Sia i Fratelli Musulmani che i salafiti sono, per sto suo lavoro, nonostante il
limiti da lui stesso ammessi,
motivi facilmente comprensibili, nemici radicali imprescindibile. Anche per
di Israele e i più estremisti tra loro aspirano
comprendere i fenomeni in
ad annientare lo Stato e il popolo ebraico»
atto nel contesto arabo.
|
Foto: AP/LaPresse
N
Nella cosiddetta “Arabellion” si affrontano due forze aspiranti al potere che fino
ad oggi sono state sottomesse ai regimi
dittatoriali: da un lato quella dei Fratelli
Musulmani, la cui storia in una certa misura conosco, e dei salafiti, i quali al tempo
di questo mio studio non giocavano ancora un ruolo significativo; dall’altra l’allineamento all’Occidente, sia attraverso la soppressione delle strette prescrizioni morali
dell’islam, sia con l’emigrazione di massa
verso i paesi occidentali.
Lei parla nel libro di Israele come “centro di modernità” nel contesto del mondo
islamico, sottintendendo gli stretti legami dello Stato ebraico con l’Occidente.
Dopo quanto è accaduto dall’inizio della
“primavera araba” ad oggi, quali ripercussioni politiche immagina che ci potranno essere appunto nei paesi occidentali, intendendo tra questi anche Israele?
Sia i Fratelli Musulmani che i salafiti
sono, per motivi facilmente comprensibili,
nemici radicali di Israele e i più estremisti
tra loro aspirano di fatto all’annientamento dello Stato e del popolo ebraico. I solenni giuramenti degli uomini e delle donne di Stato occidentali non lasciano intravedere alcuna altra via che non sia quella di un sostegno incondizionato a Israele, se necessario anche di carattere militare. Se la richiesta di annientamento avesse
come obiettivo solo la scomparsa dell’Israele “sionista”, col fine di rendere possibile la
convivenza di ebrei, musulmani e cristiani
in un unico stato (così come gli Alleati della Seconda Guerra Mondiale non pretesero
la distruzione della “Germania”, ma del-
la “Germania nazionalsocialista”), in Occidente non sarebbe più possibile la perpetuazione dell’interpretazione unilaterale
della richiesta islamica di annientamento, e quegli uomini e quelle donne dovrebbero decidersi: sostenere incondizionatamente anche l’Israele inteso come “potenza d’occupazione” oppure solo l’Israele
degli anni 1949-50 riconosciuto dal diritto
internazionale.
Come giudica il ruolo dei salafiti negli
atti di vandalismo verificatisi in Germania nelle ultime settimane? Ritiene che
questo radicalismo rappresenti il futuro
della Germania e dell’Europa?
Questo radicalismo, di cui sono protagonisti piccolo gruppi, non può essere il futuro della Germania e dell’Europa. Qualcosa del genere potrebbe però
accadere qualora proseguisse l’immigrazione incontrollata di musulmani verso
l’Europa e se il fanatismo della volontà di
“conquista del mondo in nome della vera
fede”, immanente all’islam in quanto tale,
sebbene spesso mascherato
o diventato inefficace, pren«Questo radicalismo non è il nostro futuro,
desse il sopravvento sulla
a meno che non prosegua l’immigrazione
maggioranza diventata nel
incontrollata e non prevalga la volontà di
frattempo minoranza.
“conquista del mondo in nome della vera fede”»
Vito Punzi
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Ernst Nolte. Nuovi totalitaristi crescono
L’islam radicale come il fascismo e il bolscevismo.................. 32
Fiabe. C’era una volta (e c’è ancora)
Tre mamme si inventano una collana per ragazzi................... 34
Calcio. Il soldato Sdengo alla riscossa
La chance decisiva per l’ultimo giapponese Zeman............ 42
62
taz&bao
TAZ&BAO
In famiglia
si sta come
in Paradiso
Le gioie dell’infanzia in Baviera nella certezza
che «è buono essere un uomo». L’importanza
di non isolarsi anche quando si è in due.
L’amore oltre il sentimento. Le formidabili
risposte a braccio di Benedetto XVI
alle domande dei fedeli da tutto il mondo
Grazie, carissima, e ai genitori: grazie di
cuore. Allora, hai chiesto come sono i ricordi della mia famiglia: sarebbero tanti! Volevo dire solo poche cose. Il punto essenziale
per la famiglia era per noi sempre la domenica, ma la domenica cominciava già il
sabato pomeriggio. Il padre ci diceva le letture, le letture della domenica, da un libro
molto diffuso in quel tempo in Germania, dove erano anche spiegati i testi. Così
cominciava la domenica: entravamo già
nella liturgia, in atmosfera di gioia. Il giorno dopo andavamo a Messa. Io sono di casa
vicino a Salisburgo, quindi abbiamo avuto
molta musica – Mozart, Schubert, Haydn –
e quando cominciava il Kyrie era come se si
aprisse il cielo. E poi a casa era importante,
naturalmente, il grande pranzo insieme. E
poi abbiamo cantato molto: mio fratello è
un grande musicista, ha fatto delle composizioni già da ragazzo per noi tutti, così tutta
la famiglia cantava. Il papà suonava la cetra
e cantava; sono momenti indimenticabili.
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Poi abbiamo fatto insieme viaggi, camminate; eravamo vicino ad un bosco e così camminare nei boschi era una cosa molto bella:
avventure, giochi eccetera. In una parola,
eravamo un cuore e un’anima sola, con tante esperienze comuni, anche in tempi molto difficili, perché era il tempo della guerra, prima della dittatura, poi della povertà. Ma questo amore reciproco che c’era tra
di noi, questa gioia anche per cose semplici
era forte e così si potevano superare e sopportare anche queste cose. Mi sembra che
questo fosse molto importante: che anche
cose piccole hanno dato gioia, perché così
si esprimeva il cuore dell’altro. E così siamo
cresciuti nella certezza che è buono essere un uomo, perché vedevamo che la bontà
di Dio si rifletteva nei genitori e nei fratelli.
E, per dire la verità, se cerco di immaginare un po’ come sarà in Paradiso, mi sembra
sempre il tempo della mia giovinezza, della mia infanzia. Così, in questo contesto di
fiducia, di gioia e di amore eravamo felici e
penso che in Paradiso dovrebbe essere simile a come era nella mia gioventù. In questo
senso spero di andare «a casa», andando verso l’«altra parte del mondo».
Serge Razafinbony e Fara andrianobonana
coppia di fidanzati dal Madagascar
Serge – Santità, siamo Fara e Serge, e
veniamo dal Madagascar. Ci siamo conosciuti a Firenze dove stiamo studiando, io
ingegneria e lei economia. Siamo fidanzati da quattro anni e non appena laureati
sogniamo di tornare nel nostro Paese per
dare una mano alla nostra gente.
Foto: AP/LaPresse
Pubblichiamo il dialogo di papa Benedetto
XVI con alcune famiglie del mondo svoltosi
il 2 giugno al Parco di Bresso (Mi) durante
la Festa delle Testimonianze, nell’ambito del
VII Incontro mondiale delle famiglie.
Cat tien dal Vietnam
Ciao, Papa. Sono Cat tien, vengo dal Vietnam. Ho sette anni e ti voglio presentare
la mia famiglia. Lui è il mio papà, Dan e la
mia mamma si chiama tao, e lui è il mio
fratellino binh. Mi piacerebbe tanto sapere qualcosa della tua famiglia e di quando
eri piccolo come me…
62
Mamma Oca
Annalena Valenti..................... 53
Post Apocalypto
Aldo Trento......................................... 56
Sport über alles
Fred Perri................................................ 60
Cartolina dal Paradiso
Pippo Corigliano......................... 61
Diario
Marina Corradi............................66
RUBRICHE
L’Italia che lavora.................... 48
Per Piacere..............................................50
Green Estate......................................... 52
Mobilità 2000.................................. 55
Lettere al direttore................. 62
VIETATO DIRLO
Col sesso
non si gioca
24
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Reportage. La sfida di Budapest a Bruxelles
E i vantaggi immaginati dagli ungheresi con l’ingresso nei
27? Viaggio in un paese infiammato dagli attacchi alla sua
identità cristiana e da vincoli finanziari «antidemocratici»
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Il Papa a Milano. In famiglia come in Paradiso
Le gioie dell’infanzia in Baviera nella certezza che «è
buono essere un uomo». L’importanza di non isolarsi
anche quando si è in due. L’amore oltre il sentimento.
Le formidabili risposte a braccio di Benedetto XVI
alle domande dei fedeli da tutto il mondo......................................................... 62
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
settimanale di cronaca, giudizio,
libera circolazione di idee
Anno 18 – N. 23 dal 7 al 13 giugno 2012
DIRETTORE RESPONSABILE:
LUIGI AMICONE
REDAZIONE: Emanuele Boffi, Laura Borselli,
Mariapia Bruno, Rodolfo Casadei (inviato
speciale), Benedetta Frigerio, Massimo
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Rizzo, Chiara Sirianni
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Dove sono finiti i vantaggi immaginati dagli ungheresi con
l’ingresso in Europa? Viaggio in un paese infiammato
dagli attacchi alla sua identità cristiana e
da vincoli finanziari «antidemocratici»
La sfida
Budapest contro Bruxelles
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MEDIORIENTE
COPERTINA
Impetum suum posse sustineri existimabant.
Accedebat quod suos ab se liberos abstractos obsidum nomine dolebant, atque
Romanos non solum itinerum
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da Budapest Rodolfo Casadei
B
udapest non solo offre il secondo più
bel parlamento d’Europa dopo quello di Westminster, che è l’esempio a
cui si ispira, ma è probabilmente la capitale numero uno del continente per il numero di statue o busti di bronzo o di marmo
sparsi per la città. Non c’è piazza o parco, di
qualunque dimensione, al centro dei quali
non troneggi una figura pensosa e assorta
di scienziato o poeta, un gruppo di soldati
o di patrioti in posa plastica, solenni simulacri di re e di altri padri della patria. Nessuno sfigura, nessuno risulta tronfio, e non
necessariamente per la mano felice di scultori e fonditori. Il segreto, tutto ungherese, è
il contesto: sono i fusti arborei circostanti, le
facciate dei palazzi, le dimensioni di piazze
o piazzette, la viabilità ampia o minuscola,
la prossimità al Danubio, a fare la bellezza
del monumento. Al contrario (per ora) degli
europei occidentali, gli ungheresi sono affa-
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mati di storia patria ogni giorno di più. E
non solo perché sono i discendenti di quel
Regno di Ungheria che all’indomani della Prima Guerra mondiale perse i due terzi
del territorio e il 63 per cento della popolazione col trattato di Trianon del 1920. Certo,
in ogni casa e ufficio pubblico magiari troverete sempre, nascosta da qualche parte,
una mappa della Grande Ungheria pre-Trianon. Ma oggi c’è dell’altro. «Siamo entrati nell’Unione Europea sulla base di condizioni sfavorevoli», argomenta un’autorevole personalità ecclesiale che non vuole essere citata. «Abbiamo tolto le barriere doganali, e tutte le nostre produzioni, a cominciare da quelle agricole, sono finite fuori mercato. Perché restassimo uno sbocco conve-
niente per i beni prodotti in Europa, siamo stati spinti a indebitarci. Le imprese e
le banche straniere hanno realizzato profitti, gli ungheresi hanno perso i loro posti di
lavoro. E così oggi la gente si domanda: chi
è che ha distrutto la nostra economia? E si
rispondono: i ladri post-comunisti che hanno privatizzato e svenduto le nostre industrie agli stranieri e i ricettatori occidentali che le hanno acquistate». «I vantaggi
dell’adesione all’Unione Europea che i politici ci avevano promesso o sono svaniti, o
sono ambigui: i generi alimentari costano
meno, ma l’agricoltura ungherese sta scomparendo», chiosa Szilard Szönyi, caporedattore del settimanale Heti Valasz. «Voi italiani avete una storia simile alla nostra e potete capirci: agli ungheresi non
«La gente si chiede chi ha distrutto l’economia. piace fare parte dell’impero
di qualcun’altro».
E risponde: i ladri post-comunisti che hanno
Ecco, il malinteso è tutprivatizzato e svenduto le industrie a stranieri to qui. Da Amnesty International alla coppia Repubblica
e gli occidentali che le hanno acquistate»
COPERTINA PRIMALINEA
LA VICENDA
LA DECISIONE DI ECOFIN
Deficit otre il 3 per cento del Pil
Il 13 marzo scorso l’Ecofin ha
sospeso l’erogazione di 495 milioni
di euro di fondi di coesione all’Ungheria obiettando che il prossimo
anno il deficit supererà il 3 per
cento del Pil. È la prima volta che
viene sanzionato un paese che non
ha ancora violato la barriera del 3
per cento ma che, secondo i ministri delle Finanze dei 27, la violerà.
IL PARERE CONTRARIO
La Commissione sblocca i fondi
Il 30 maggio, la Commissione
Europea ha esortato Bruxelles
a sbloccare i fondi congelati.
L’Ungheria, sottolinea il rapporto,
«ha preso le azioni necessarie per
correggere il suo deficit eccessivo». La decisione definitiva sarà
presa da Ecofin nella riunione del
prossimo 22 giugno.
& Corriere, dai socialisti, verdi e liberali del
Parlamento Europeo come Martin Schultz,
Daniel Cohn-Bendit e Guy Verhofstadt ai
commissari europei come Viviane Reding e
Neelie Kroes, i progressisti europei non riescono a capacitarsi del perché in pieno XXI
secolo gli ungheresi non si ribellino contro
una costituzione secondo loro intrisa di fondamentalismo cristiano e contro una maggioranza di governo che sta occupando tutti
i posti di potere, dalla magistratura alla Banca centrale, dai media pubblici alle istituzioni di garanzia. Non vogliono capire due concetti semplici. Primo, la delusione e il disincanto nei riguardi del modello democratico
è ai suoi massimi storici: «Se le scelte sono
tutte obbligate dai vincoli finanziari interni ed esterni, se chiunque governi le ricette
sono le stesse a cominciare dal taglio della
spesa sociale, che fine ha fatto la democrazia come libertà di scelta del modo in cui
si vuole essere governati?», chiede retoricamente l’ecclesiastico. Secondo: «Agli unghe-
resi non dà fastidio la citazione di santo Stefano nella nuova costituzione, né l’adombrata concentrazione di potere nelle mani
della maggioranza: sono strumenti necessari a rendere il governo più forte ed efficiente di fronte alle sfide globali della finanza e dei mercati», spiega Szönyi. «Orban sta
perdendo consensi per altri motivi: la situazione economica non tende a migliorare, e
il governo di Fidesz negli affari privilegia i
suoi protetti come facevano i socialisti prima di lui, anzi: a volte sostituisce i network
di sinistra con nuovi network di destra, a
volte stipula coi primi accordi nell’ombra».
La spasmodica ricerca delle origini, lo
sguardo rivolto al passato anziché al presente e al futuro, la riabilitazione di personag-
Il primo ministro Viktor Orban,
leader del partito Fidesz.
A sinistra, il parlamento ungherese
gi discussi della storia nascono dalla delusione verso l’Europa e dalla frustrazione di
forze politiche che, non potendo offrire un
futuro migliore ai cittadini, promettono
“un passato migliore”. E non che lamentarsi, bisognerebbe essere lieti che nella nuova
costituzione esso sia identificato con santo
Stefano e col cristianesimo, perché a volte
la ricerca conosce approdi molto più inquietanti: la rievocazione dello sciamanesimo
precristiano da parte di esponenti dell’estrema destra; la nostalgia per l’Impero austroungarico; la riabilitazione del reggente Miklos Horthy, il personaggio più controverso della storia moderna ungherese, che si
alleò con l’Italia di Mussolini e la Germania
nazista per recuperare i territori della Grande Ungheria e finì arrestato dagli uomini di
Hitler nel 1944, ma in mezzo ci mise le prime leggi antisemite d’Europa (la limitazione del numero di ebrei iscritti alle università) e l’acquiescenza alle deportazioni naziste di 438 mila ebrei ungheresi, prima del
sussulto di orgoglio in loro difesa che gli
costò la deposizione e l’imprigionamento.
I nostalgici di Horthy erigono statue all’ammiraglio che i suoi detrattori sfigurano con
vernice rossa, mentre per rappresaglia la
statua di Raoul Wallenberg, salvatore di
ebrei, viene contaminata con teste di porco.
L’estremismo di Jobbik
La sinistra europea, impegnata per ragioni
propagandistiche a demonizzare l’Ungheria di Orban e a farne il simbolo dei nemici
del progresso, grida al “rigurgito antisemita”. Ma questa è speculazione politica intorno a una questione delicata. Spiega Shlomo Köves, rabbino capo della comunità Chabad Luba«Agli ungheresi non dà fastidio la citazione
vitch (una delle tre correnti
di santo Stefano nella costituzione, né il potere in cui sono divisi i 100 mila
nelle mani della maggioranza: sono strumenti
ebrei di Budapest): «L’estremismo sta alzando la voce,
necessari a rendere il governo più forte»
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i discorsi antisemiti sono sempre più diffusi, è in atto una tendenza negativa. In parlamento è rappresentato Jobbik, un partito
di estrema destra apertamente antisemita, e
questo è un problema per tutto il paese. Nella società ungherese c’è sempre stata una
componente razzista, e le difficoltà economiche la fanno emergere. Però l’Ungheria è
anche il paese dell’Est europeo che ha visto
la maggiore rinascita di vita ebraica dopo
la fine del comunismo, quello dove è stata
restituita la più grande quantità di proprietà confiscate. Sotto il comunismo potevamo solo praticare il culto in sinagoga, nessuna manifestazione di identità culturale era ammessa e avevamo solo una piccola scuola media con tre iscritti; oggi abbiamo tre scuole con 600 studenti, un’università ebraica che ha avuto 5 mila studenti in
dieci anni, ristoranti kosher, teatri e festival
di cultura ebraica. A Budapest un ebreo può
girare per strada vestito in modo riconoscibile senza dover temere per la sua integrità
fisica: in Francia o in Belgio non mi sentirei
allo stesso modo sicuro. Non ho dubbi che
lo Stato ungherese garantirà la nostra protezione, sia che governi la destra oppure la
sinistra, ma vorrei che il governo disegnasse
un confine più netto fra sé e Jobbik».
Le polemiche sul nome
Altra questione usata come una clava contro il governo del centrodestra è quella dei
rom: qui progressisti europei e Jobbik sono
uniti nella speculazione politica. Per i primi
la generalizzata ostilità ai rom (700 mila su
10 milioni di abitanti) è la prova delle tendenze fasciste di Orban, per Jobbik è la prova che il governo sta facendo troppo poco
per reprimere un’etnia votata alla criminalità. Anche in questo caso la realtà è piegata al disegno politico. «La questione rom in
Ungheria è scoppiata dopo il 1990», spiega
Peter Kreko, direttore dell’istituto di ricerche Political Capital, solitamente critico verso Orban. «I rom lavoravano nelle costruzioni, era la principale strada all’integrazione.
Dopo la fine del comunismo, molte imprese statali hanno chiuso, altre hanno eliminato il personale meno qualificato: migliaia
di rom sono rimasti senza lavoro, e da allora non l’hanno più ritrovato. Questo ha provocato un’impennata della criminalità. E
Jobbik sfrutta politicamente la situazione».
«Il nostro è il primo governo ungherese ed
europeo che abbia disegnato una strategia
globale per l’integrazione dei rom. È stata
la priorità del nostro semestre di presidenza Ue», s’infervora Zoltan Kovacs, ministro
di Stato per la comunicazione governativa.
La catena degli equivoci e delle approssimazioni continua con le critiche alla nuova costituzione: «S’è fatta polemica attorno
al cambiamento da Repubblica Ungherese
a Ungheria, ma la forma istituzionale resta
repubblicana e la scelta ha un motivo peda12
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gogico: si vuole convincere la gente a superare la diffidenza verso le istituzioni facendo capire che Stato e nazione coincidono»,
spiega Balazs Schanda, preside della facoltà
di Legge dell’Università Cattolica. «Le leggi
cardinali modificabili solo con maggioranza dei due terzi esistevano già nella vecchia
costituzione, che dopo gli emendamenti
del 1990 era diventata transitoria: bisognava approvarne una definitiva. E gli articoli
sulla protezione della vita del feto sin dal
concepimento e sulla famiglia intesa come
matrimonio fra uomo e donna altro non
sono che recepimenti di sentenze della Corte costituzionale».
L’unico vero peccato di cui il governo
Orban dovrebbe chiedere scusa, è l’accanimento con cui i suoi nominati all’interno
della Commissione di controllo dei media
operano perché non sia rinnovata la licenza di trasmettere a Klubradio, un’emittente dell’opposizione di sinistra. La procedura è legale, ma politicamente deplorevole.
Tuttavia anche gli esponenti più seri della
sinistra ungherese ammettono che il paese non sta sprofondando nel fascismo: «Il
governo di Fidesz continuerà con la sua
politica della doppiezza, fatta di sorrisi
quando si va a Bruxelles per chiedere i fondi di coesione e di grida contro il colonialismo europeo quando si parla agli elettori ungheresi», commenta Miklos Merenyi,
ambasciatore magiaro in Italia al tempo del
governo socialista-liberale di Ferenc Gyurcsany. «Ma la sinistra in questo momento è
troppo divisa e non è pronta per tornare al
potere. Meglio stare fermi un giro e prepararsi alla sfida del 2018». n
IL MINISTRO DEGLI ESTERI JANOS MARTONYI
Noi integrati
come gli altri
«Se rileviamo contraddizioni tra le leggi nazionali e
quelle comunitarie allora le risolviamo. Altrimenti ci
rimettiamo solo alle sentenze della Corte di giustizia»
«L
o slogan della nostra politica
estera è: “Cerchiamo di essere
amici di tutti”. Tenendo fermi
dei valori fondamentali, naturalmente».
Forse Janos Martonyi, dal 2010 ministro
degli Esteri d’Ungheria, sa che wikipedia
gli attribuisce come motto un minaccioso
“non fate male all’Ungherese!” e vuole trasmettere subito un messaggio rassicurante. Che conferma quando lo si interroga sui
rapporti fra Budapest e l’Unione Europea.
Signor ministro, è l’Europa che non capisce l’Ungheria o è l’Ungheria che non
capisce l’Europa?
No, io credo che abbiamo capito le
rispettive posizioni. È stata sollevata l’esistenza di un conflitto fra alcune nostre leggi e la legge europea, e per questo sono state aperte procedure di infrazione. È una
controversia che ha inizialmente avuto contenuti politici, ma abbiamo concordato di
affrontarla in termini strettamente giuri-
COPERTINA PRIMALINEA
«La Russia è un partner
molto importante. È la nostra
principale fornitrice di energia
e il primo mercato per i nostri
prodotti agricoli. Cooperiamo
con le loro compagnie del gas,
ma siamo impegnati anche a
diversificare le nostre fonti
di approvvigionamento, perché
una dipendenza unilaterale
non è una buona cosa»
Il focus principale è l’Europa centrale:
vogliamo tradurre quello che è un fenomeno spirituale, un’eredità culturale che va
al di là della geografia, in una unione politica ed economica. I format di questa politica sono l’Iniziativa Centro Europea, che
è stata voluta anche dall’Italia, il Gruppo
di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, ndr), la nostra cooperazione bilaterale con l’Austria. L’altra direttrice è l’apertura globale: verso l’Oriente, il
Sud, l’America Latina, cioè le aree emergenti. Queste politiche le conduciamo a partire
dalla nostra appartenenza a Unione Europea e Nato. Gran parte della nostra politica commerciale, energetica, degli investimenti, eccetera è condotta nella cornice
della nostra affiliazione a Ue e Nato. L’Unione Europea è allo stesso tempo il tessuto
e lo strumento della nostra politica estera. Per quindici anni abbiamo cercato di
entrare a farne parte, ci siamo riusciti nel
2004 e dopo otto anni i vantaggi di cui abbiamo beneficiato
sono grandi. Vogliamo proseguire l’esperienza e siamo interessati a un’Unione sempre più
forte e integrata.
Cosa può dire dei vostri rapporti con la Russia?
Janos Martonyi, ministro
degli Esteri d’Ungheria
dal 2010.
In alto, il parlamento
ungherese a Budapest
dici. Là dove abbiamo rilevato un’effettiva
contraddizione stiamo cercando di provvedere, come nel caso della nuova legge sulla
Banca centrale, per la quale praticamente
tutti i problemi sono risolti. Ci sono ancora due leggi sul tavolo per le quali è aperta la procedura d’infrazione (quella sull’Autorità per i dati personali e quella sul sistema giudiziario, ndr), e probabilmente sarà
chiamata a esprimersi la Corte di giustizia
europea. Se la Commissione europea insi-
ste a ritenere che ci sia discrepanza fra le
nostre norme e la legge europea, il ricorso alla Corte è la cosa giusta da fare. Le parti alla fine si atterranno alla decisione della
Corte: l’integrazione europea funziona così
da più di cinquant’anni, ci sono centinaia
di procedure di infrazione aperte e alla fine
Stati e Commissione ottemperano alle sentenze della Corte di giustizia.
Quali sono gli orientamenti di fondo della
politica estera ungherese oggi?
La Russia è un partner molto importante. Coi russi abbiamo sviluppato una buona relazione basata su rispetto, fiducia e interessi reciproci. La Russia è la nostra principale fornitrice di energia e il primo mercato per i nostri prodotti agricoli. Cooperiamo con le compagnie russe del gas, ma siamo impegnati a diversificare le nostre fonti
di approvvigionamento, perché una dipendenza unilaterale non è una buona cosa.
E i vostri doveri come membri Nato?
Non ho mai sentito nessuno criticare l’impegno ungherese nella Nato: solo
e sempre complimenti. Partecipiamo alle
missioni in Afghanistan e in Kosovo e al
recente summit di Chicago abbiamo preso
l’impegno a partecipare alla sorveglianza
aerea dell’area baltica. [rc]
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INTERNI
I NUMERI INEDITI
Se tutte le amministrazioni pubbliche avessero
seguito il trend di spesa del “sistema Formigoni”,
in 16 anni lo Stato avrebbe risparmiato 41 miliardi
e rotti, due volte l’Imu. Piuttosto che dimetterlo,
il Celeste bisognerebbe esportarlo. A Roma
di Luigi Amicone
A
ll’indomani della svolta “maroniana”
la Lega non cambia alleato. Almeno in Lombardia. Dove mercoledì 6
giugno i “padani” guidati dal numero due
del governo formigoniano Andrea Gibelli hanno respinto insieme al Pdl l’ennesima mozione di sfiducia contro il governatore e rimandato al mittente l’appello del
Pd a riportare alle urne gli elettori lombardi. Telegrafico ma incisivo, Gibelli dice
a Tempi: «Questo giochino di costruire le
mozioni di sfiducia sugli articoli di giornale non funziona con la Lega. Noi andiamo
avanti col programma concordato in Lombardia. Ci interessa il merito delle questioni, non le sirene della sinistra il cui unico problema è quello di abbassare l’asticella a zero perché credono di trarre vantaggio dalle campagne stampa. Rigoristi in
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Lombardia, relativisti in Emilia Romagna.
Come ha detto lo stesso Formigoni, non
si lascia un’alleanza programmatica scelta a grande maggioranza dagli elettori se
non il giorno in cui venissero provate accuse che, allo stato attuale, sono fondate solo
sul “sentito dire”».
D’altra parte è uno strano partito quello di Pier Luigi Bersani. Alza la voce in Lombardia, dimentica le legnate prese a Palermo da Leoluca Orlando, non chiarisce la
situazione, a dir poco tragicomica, in cui il
Pd si trova nella giunta dimissionaria Lombardo. E così, nel territorio che già detiene
saldamente il record dei dipendenti pubblici regionali (quasi 18 mila contro i circa 3
mila della Lombardia), in attesa del ritorno
alle urne previsto per il prossimo ottobre,
gli stessi che fanno opposizione alla giunta Formigoni, in Sicilia votano l’assunzione
di 22 mila precari (tra cui trenta cosiddet-
ti “camminatori”, cioè impiegati incaricati
di trasportare documenti da un assessorato all’altro) e plaudono alla riapertura delle indagini, decisa dalla procura di Palermo il 24 maggio scorso, nientemeno che
sulla scomparsa di un sindacalista di Corleone avvenuta il 10 marzo 1948 (c’è chi dice
che tra un po’ a Palermo useranno i soldi
pubblici pure per indagare i comandi alleati che nel ’43 sbarcarono in Sicilia, come è
noto, grazie anche al supporto logistico della mafia). Ma insomma, se giustizia e welfare alla siciliana offrono un grande futuro dietro le spalle a tutti, il democrat Sergio Rizzo, l’altro famoso autore della Casta
e fustigatore dei costi della politica, dice a
Ballarò di sperare che, così, in generale, in
futuro si dia un taglio «al bubbone Regioni». Meglio, però, non entrare nel dettaglio.
Per esempio paragonando Sicilia e Lombardia. O magari comparando il favoloso ventennio rosso del “Rinascimento” bassoliniano e l’analogo terribile ventennio azzurrociellino del “sistema di potere” formigoniano. Per il bilancio del Rinascimento partenopeo sarebbe in effetti sufficiente esibire il titolo e l’occhiello apparsi sul Mattino
di Napoli il 20 maggio scorso: “Alla Campania servono 6 miliardi di euro per lasciarsi
alle spalle la crisi. A tanto ammonta, secon-
Foto: AP/LaPresse, Infophoto
Avercelo
un governo
lombardo
Gibelli: «Il gioco di costruire le
mozioni di sfiducia sugli articoli
di giornale non funziona con
la Lega. Non si lascia così
un’alleanza scelta a grande
maggioranza dagli elettori»
Foto: AP/LaPresse, Infophoto
do i tecnici della Regione, l’indebitamento record delle pubbliche amministrazioni con il mondo delle imprese, che in certi casi attendono fino a 771 giorni il pagamento delle fatture”. Al capo opposto, invece, basterebbe citare la notizia del Sole 24
ore del 29 maggio. Che dai primi risultati dei tavoli di monitoraggio del governo Monti attivati con le Regioni per tenere sotto controllo la spesa pubblica, segnala la Lombardia (dove i fornitori dell’amministrazione sono pagati a sessanta-novanta giorni) come la regione più virtuosa,
con un attivo di 224 milioni ottenuto senza ricorrere alle risorse di bilancio locale.
Qualche semplice paragone
Si capisce allora perché gente seria come
Piero Bassetti, Carlo Tognoli, Piero Ostellino, tre storici e illustri esponenti della
società civile lombarda, rispettivamentecattolico, socialista e liberale, si siano risolutamente schierati «contro le dimissioni di
Roberto Formigoni». Bassetti, in particolare, ex presidente della stessa Regione, nonché ispiratore del “Gruppo 51” che ha sostenuto la candidatura di Giuliano Pisapia a
sindaco di Milano, si è addirittura infuriato: «Non è possibile che Formigoni si debba
dimettere perché qualche stronzo di gior-
vità lombarda sono risibili rispetto a quanto si registra a livello nazionale. Il personale della giunta lombarda è diminuito del 30
Il presidente del
per cento dal 1995 al 2010. I dirigenti della
Consiglio Mario
giunta, nello stesso periodo, sono diminuiti
Monti e, a sinistra,
il governatore
del 54 per cento. La giunta di Regione Lomdella Lombardia
bardia ha un costo annuo per cittadino di
Roberto Formigoni.
circa 21 euro contro la media nazionale di
A destra, il suo
133. Aggiungendo il costo del personale di
vice leghista
Andrea Gibelli
enti e società partecipate, il costo complessivo non arriva a 30 euro pro capite. Il minor
costo pro capite tra le regioni italiane. E il
nalista glielo chiede». Eppure, come rimar- costo degli organi istituzionali per abitanca lo storico ed economista di sinistra Giu- te? È pari a 9 euro, contro una media naziolio Sapelli, «vogliono distruggere soprattut- nale di 24 e un valore massimo di 199. E
to le élite politiche del Nord».
“l’indice di virtuosità”, cioè l’incidenza del
Ma perché vogliono distruggerle? Che costo del personale rispetto alla spesa corconvenienza c’è a buttare gambe all’aria il rente complessiva? In Lombardia è pari allo
Nord? E la Lombardia, per giunta, l’unica 0,9 per cento, contro il valore medio nazioRegione con i conti a posto? Se
nale di 4,3 e un valore massimo
non fosse cronaca martellante
italiano di 28. la Lombardia ha
degli ultimi sei mesi, la forsenil minor numero di dipendennata campagna in corso sulle
ti rispetto agli abitanti: 1 dipenTRA VIRGOLETTE
vacanze e gli amici di Formigodente ogni 3.300 abitanti, metà
Dimissioni? No grazie
ni si direbbe un teatro dell’asdella media nazionale. In sinSu tempi.it tre illustri
lombardi contro l’idea
surdo. Titolo: “Come sfasciare
tesi: se tutte le amministrazioche Formigoni si
l’unica amministrazione che
ni pubbliche avessero mantenudimetta solo «perché
funziona in Italia e pagare due
to il trend di crescita delle spese
qualche giornalista
volte l’Imu quando non cisarebdi questa Regione, pari al 23,5
glielo chiede»: sono
l’ex governatore Piero
be bisogno di nessuna Imu se
per cento in 16 anni, si sarebBassetti, l’ex sindaco
Formigoni governasse a Roma
be ottenuto un risparmio per lo
socialista di Milano
come ha governato in LombarStato di 41 miliardi e 686 milioCarlo Tognoli e Piero
dia”. Stiamo esagerando per
ni di euro. Sì, avete letto bene:
Ostellino, la penna più
liberale del Corriere.
partigianeria? Vediamo un po’.
41 miliardi e rotti, il doppio del
Esaminiamo i fatti del governo
gettito previsto per l’Imu.
di Roberto Formigoni, separati dalle opinioQuanto al “sistema Formigoni”. Come
ni sulle vacanze di Roberto Formigoni. I fat- mai ci si concentra su amici e vacanze del
ti dell’amministrazione lombarda, freschi leader lombardo e sappiamo ancora niendi bilancio 2011 e perciò inediti, reperiti da te sui “sistemi” delle regioni campionesse
di deficit? Ad esempio, circa due anni fa, il
Tempi nei “rendiconti di gestione”.
Intanto, dati contabili alla mano, 30 giugno 2010, dalla relazione della Com“casta” e “costi della politica” per la colletti- missione tecnica sul federalismo viene
|
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I NUMERI INEDITI DELLA LOMBARDIA INTERNI
fuori questa bella chicca rimasta agli atti
parlamentari della XVI legislatura, documento XXVII numero 22: «In Calabria è stato necessario incaricare una società di revisione esterna per cercare di ricostruire la
contabilità, tanto questa era inattendibile.
Alla fine, per ottenere un minimo di chiarezza, si sono dovuti
LAZ
chiudere i tavoli di monitoraggio della spesa sanitaria sulla
base incredibile di “dichiarazioCAM
ni verbali certificate” dei direttori delle Asl». Domanda: ma
PUG
una redazione di Repubblica,
del Corriere della Sera, del FatBZ
to quotidiano, o anche solo una
Corte dei Conti, non esistono
PIE
in Calabria? E altri organi della
magistratura inquirente? Con
CAL
tutte le chiacchiere e i comitati antimafia che ci sono in giro,
notizie così, che fotografano l’ilSAR
legalità fatta istituzione, possibile che non abbiano suscitato
TN
la curiosità di alcuno, neppure
di quel pitbull di Fabrizio GatSIC
ti dell’Espresso, che si traveste
da infermiere per fotografare
VEN
il “marcio” che si nasconderebbe nei sottoscala del “sistema
FVG
ciellino di potere” delle aziende
ospedaliere lombarde?
VdA
11.271.541 -1.123.978
-9,97%
10.147.563
10.402.783 -1.001.321
-9,63%
9.401.462
7.499.234 -513.413
6.985.821
-6,85%
-256.511
1.106.974
-23,17%
8.656.944 -224.020
8.432.924
-2,59%
3.668.295 -200.512
3.467.783
-5,47%
3.158.152 -196.959
2.961.193
-6,24%
1.117.869 -190.815
-17,07%
8.794.089 -172.978
8.621.111
-1,97%
8.935.292 -162.465
8.772.827
-1,82%
2.474.842 -111.457
-4,50%
296.811
-63.408
-21,36%
Applicando a tutte le Regioni i
profili di spesa sanitaria pro capi3.344.810 -49.599
te delle Regioni di riferimento, si
3.295.211
-1,48%
possono quantificare gli scarti
-46.135
1.094.244
tra la spesa contabile – effettivamente transitata sul conto di
-4,22%
tesoreria nel 2010 e riconducibile
627.511
-33.102
direttamente al bilancio del Ssn –
-5,28%
e la spesa standard (fonte: Cerm,
La sostenibilità dei Sistemi sani2.453.780
3.876
tari regionali 2012-2030)
0,15%
3.0331
7.126.774
spesa effettiva
7.157.105
delta
0,42%
standardizzata
delta %
49.760
2.881.878
2.931.638
1,72%
8.228.392
69.888
8.298.280
0,85%
1.636.616
83.147
5,08%
155.192
17.515.019
17.670.211
0,88%
61%
76%
95%
ia
rd
ba
m le
Lo iso
e
d
Su o
r
nt
Ce
d
r
No
Il federalismo stoppato
Parentesi: però anche il Lazio
LIG
negli ultimi dieci anni ha accumulato debiti sanitari alla
BAS
media di 1 miliardo l’anno. E
quasi tutte le Regioni del Sud
MOL
risultano commissariate per i
buchi (non ciellini e non forABR
migoniani) che hanno prodotto
nella sanità. Risultano inchieste – tanto per dirne una, ma
TOS
se ne potrebbero aggiungere
a decine di voci sull’argomenMAR
to – circa il fatto che in Emilia Romagna una macchina per
EMR
tac a 64 slice costa 1 milione e
27 mila euro, in Lazio 1 milioUMB
ne e 397 mila euro, ovvero il 36
per cento in più? Dove finiscoLOM
no i 370 mila euro che ballano?
Altro che le vacanze alle Antille
e le aragoste sarde di Formigoni. Si dedicassero alla cernita dei miliardi
di euro scomparsi nelle regioni amiche della sanità degli editori illuminati.
Certo, la spinta riformista e federalista
data dalla Lombardia al sistema Italia forse
non è piaciuta al partito-Stato. Che, come
insegna la storia del padrone della ex Olivetti o quella di una ex importante azienda
automobilistica italiana, porta a casa i suoi
interessi interloquendo direttamente con il
governo, con i cinque direttori di ministe-
Sanità 2010, distanza della spesa effettiva dallo standard
in migliaia di euro (con popolazione al 1° gennaio 2011)
ri che contano e con quelle due o tre istituzioni che decidono i destini della nazione in palazzi tra Roma e Torino. Fatto sta
che col governo Monti la rivoluzione federalista ha subìto un brusco stop. E dire che
dal federalismo sarebbero dovuti arrivare importanti risparmi. Almeno per quanto riguarda il comparto sanità – a proposito di spending review – che rappresenta
circa l’80 per cento delle voci di spesa delle
Regioni. Alla spesa storica, foriera di man-
gia-mangia e inefficienza, si sarebbe dovuto sostituire la “spesa standard”, che viene
calcolata a partire da parametri oggettivi di
costi e fabbisogni. Non, come accade ancora oggi, sulla base del “sistema bancomat”
(così definito da Giulio Tremonti), per cui
ogni anno la cassa statale dei contribuenti
ripiana i disavanzi cronici di Regioni che si
trascinano da un anno all’altro con piani di
rientro sempre insufficienti. Il federalismo
comporterebbe obblighi e responsabili|
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INTERNI I NUMERI INEDITI DELLA LOMBARDIA
Una manifestazione delle
opposizioni lombarde
contro Roberto Formigoni
euro impiegati. Ciò significa non soltanto
che la Lombardia ha evitato di mettere le
mani nelle casse dello Stato (anzi, ha solo
dato allo Stato). Ma che appena il 10 per
cento degli investimenti lombardi è stato
finanziato con debito. In particolare, nella gestione 2011, gli investimenti sono stati
circa 932 milioni e sono stati completamente autofinanziati dalla Regione.
Capitolo trasporti. La Lombardia è la prima regione per spostamenti giornalieri (5,7
milioni) e per offerta ferroviaria (37,5 milioni di chilometri annui) e trasporto pubblico su gomma (250 milioni di chilometri
annui). Il 27 marzo scorso è stata approvata
una legge regionale di riforma del sistema
dei trasporti che produrrà risparmi e razionalizzazioni per 145 milioni di euro, anticipando così i princìpi contenuti nel “dl liberalizzazioni” del governo Monti.
Capitolo scuola. Oltre al suo sistema di
voucher e doti unico in Italia, che permette
alle famiglie di scegliere liberamente dove
istruire i figli, la Lombardia è ai massimi
livelli di efficienza pubblica nel dimensionamento della rete scolastica (935 studenti
per istituto) e nel rapporto alunni/classe (22
alunni per classe). Metà degli studenti della scuola primaria beneficia del tempo pieno e la Regione finanzia direttamente l’educazione di oltre 45 mila studenti 14-18enni
attraverso un sistema di istruzione e formazione professionale che fa risparmiare allo
Stato il costo dell’istruzione stimabile in
almeno 300 milioni di euro l’anno.
Investimenti, trasporti, scuola
Ecco, nel “sistema di potere” di Formigoni invece, come hanno certificato i tavoli
di monitoraggio dei ministeri dell’Economia e della Salute, anche nel 2011 a fronte
di servizi di eccellenza il comparto sanitario lombardo ha i conti in ordine e chiude
l’esercizio con un “attivo” di 22 milioni di
euro. La conferma di un trend più che positivo e virtuoso, per cui, dal 2002 ad oggi,
la Lombardia è l’unica Regione italiana a
non aver maturato disavanzi; l’unica che
ha una spesa del Servizio sanitario nazionale pari al 5,5 per cento del Pil (rispetto al
valore nazionale del 7,5) e la più bassa incidenza di invalidi ogni 100 abitanti (pari al
3,5 per cento, valore nazionale 4,7). Se ci
fosse il federalismo e tutte le Regioni italiane spendessero in sanità quanto spende la
Regione Lombardia, si otterrebbe un risparmio annuo di 6 miliardi di euro.
Ma vogliamo parlare di investimenti,
trasporti, scuole, cose concrete che, come la
sanità, sono le uniche cartine di tornasole
utili a valutare la bontà o meno di un certo
“sistema di potere”?
Capitolo investimenti. Un’analisi storica sul finanziamento degli investimenti
in Regione Lombardia dal 1995 al 2011 evidenzia risparmi di spesa corrente che sommati ad altre entrate in conto capitale hanno consentito l’autofinanziamento del 70 per cenColozzi: «Il federalismo fiscale rivoluziona
to degli investimenti sostel’assetto
finanziario territoriale improntandolo
nuti in Lombardia duransu
efficienza
e lotta agli sprechi. Destabilizzare
te i governi Formigoni, pari
a 9,6 dei 13,7 miliardi di la Lombardia significa fermare questa riforma»
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Dice a Tempi l’assessore regionale al
Bilancio Romano Colozzi: «La Lombardia
ha sempre creduto nella bontà di una svolta federalista e ne è stata la forza propulsiva, nei fatti e nella forma. La corsa all’efficienza e alla buona amministrazione è tipica dei sistemi istituzionali dove responsabilità di reperire le risorse e responsabilità
di spesa coincidono. Non è un segreto che
abbiamo fornito un contributo prezioso alla
predisposizione della legge delega sul federalismo fiscale, alla quale era demandato il
compito di rivoluzionare l’assetto finanziario territoriale improntandolo sulla capacità fiscale, sull’efficienza, sulla lotta agli
sprechi attraverso costi standard di servizi
e prestazioni. Destabilizzare la Lombardia
significa abbandonare la forza propulsiva
verso l’attuazione della riforma federalista».
Se buttano giù il Pirellone
Forse è in queste parole e, soprattutto, nei
numeri sopra citati che vanno cercate le
ragioni dell’attacco ad alzo zero contro Formigoni. «I numeri, i fatti, le azioni di governo di Regione Lombardia – aggiunge Colozzi – contano più di tante parole. E non solo
nelle prestazioni di bilancio e nella capacità
di spesa: ad esempio, in Lombardia sono stati creati più posti e servizi per la non autosufficienza di quanto sia accaduto nel resto
d’Italia. La gestione equilibrata delle risorse
non è incompatibile con l’offerta di servizi
eccellenti. Questo binomio, tipico dell’esperienza lombarda, dovrebbe generare qualche riflessione in chi continua a nascondersi dietro scuse e alibi di comodo con l’unico obiettivo di bloccare le riforme, facendo
perdere al paese un’opportunità enorme».
Insomma, se buttano giù la Lombardia,
il lavorìo per restituire l’Italia ai grand commis di Stato e, verosimilmente, alla grande
finanza internazionale, sarà compiuto. Per
andare dove, visto lo spread che tira? n
Foto: Infophoto
tà. Mentre nel sistema bancomat ancora
oggi vigente le regioni in “dissesto finanziario” (o “tecnicamente fallite”) godono come
quelle con i bilanci a posto (su tutte Lombardia ed Emilia Romagna) di trasferimenti, perequazioni, ripianamenti del buco da
parte dello Stato. Godono, cioè, delle tasse
prelevate dalle tasche dei cittadini contribuenti (attraverso l’Iva) e delle imprese (via
Irap). E se i cittadini sono lombardi o emiliani, pagano non solo i propri sistemi sanitari virtuosi, ma anche quelli di Regioni
che non sanno o non vogliono amministrare con onestà e oculatezza. Domanda: è solo
un caso che col governo Monti e la decapitazione delle classi dirigenti del Nord il
federalismo è stato bruscamente stoppato?
È solo un caso che le Regioni costantemente sull’orlo del default sanitario coincidano
con quelle in cui si registra anche la maggiore evasione fiscale? È solo un caso che
nel comparto sanità le Regioni Puglia, Campania e Lazio continuino a produrre da sole
e nel solo anno 2010-2011 il 61 per cento di
scostamento della spesa storica dalla spesa standard (vedi grafico a pagina 17), cioè
nessun risparmio e, anzi, la conferma di
un trend all’insegna dello Stato-bancomat?
INTERNI USCIRE DALLA CRISI
Nuovi mercati
all’orizzonte
L’esperienza di ogni singola impresa unita
alle competenze di FederlegnoArredo. Ecco
la formula del primo forum dell’associazione.
Così per Roberto Snaidero «anche la Cina può
diventare un’opportunità per il nostro settore»
C
del mercato?
Per esempio facendo rete, e facendo
circolare informazioni utili all’interno della propria associazione di categoria. È la sfida che ha voluto cogliere FederlegnoArredo (Fla), Federazione italiana delle industrie del legno, del sughero, del
mobile e dell’arredamento. In occasione
dell’assemblea generale si è deciso infatti di dar vita al primo Forum del Legno
Arredo, che si è svolto il 4 giugno presso
il MiCo-Milano Congressi. Un grande evento per una federazione sempre più aperta ai mutamenti del mercato e del mondo imprenditoriale, che ha visto la partecipazione di relatori di altissimo livello a
una serie di workshop paralleli e interattivi sugli argomenti più sentiti dagli operatori di categoria: dagli scenari mondiali al social housing, dal fisco alla riforma
del lavoro, passando per approfondimenti
sul mercato del legno, sull’uso pubblicitario dei social network e sulle nuove normative che potrebbero cambiare i cicli di produzione e distribuzione.
Non è stato il solito convegno. Perché?
«Molto semplicemente ho fatto questa considerazione: viviamo un momento durissimo, che non permette di fare grandi voli
pindarici», sintetizza Roberto Snaidero, presidente di FederlegnoArredo. «Per questo
abbiamo adottato un format nuovo. Sentiamo l’urgenza di infondere alle nostre
imprese un po’ di ottimismo, e un aiuto
concreto, funzionale a tutta la filiera. Da
una parte c’è una visione strategica, frutto
di anni di competenze maturate da FederlegnoArredo. Dall’altra l’esperienza che ogni
associato può condividere con gli altri, settore per settore. Bisogna stringere relazioni, confrontarsi, proporre idee e proget-
20
ome reagire alla crisi
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ti. All’origine dell’evento,
alle sue radici c’è la riscossa dell’io, dell’imprenditore: la sua disponibilità al
cambiamento, a ripensare
processi, prodotto e strategie. Una disponibilità a piegarsi alla realtà e farsi provocare anche trovando nuovi mercati mai sperimentati in precedenza. Questi
imprenditori sono l’orgoglio di FederlegnoArredo,
sono l’esempio chiaro da
seguire per trovare una via
d’uscita che non sia lo sterile lamento. Per questo abbiamo deciso di
creare una giornata fortemente indirizzata a fornire nuove e ulteriori possibilità e
opportunità di business».
I workshop si sono tenuti per sessioni
parallele, due la mattina e due il pomeriggio. Durante gli incontri della mattina, i
tavoli hanno fornito informazioni di scenario, nel pomeriggio, invece, è stato dato un
taglio pragmatico e concreto con lo scopo
di approfondire e mettere in comunicazione le esperienze, le idee e le conoscenze dei
partecipanti. Anche perché l’arredamento italiano gode di un’immagine di assoluta eccellenza nel mondo, e la filiera legnoarredo italiana ha costruito gran parte del
suo successo su una continua crescita della presenza all’estero, oltre il 30 per cento
della produzione totale.
Quali sono le opportunità per le imprese
nei paesi emergenti? E come si accompagnano verso l’internazionalizzazione?
Innanzitutto promuovendo tra gli associati iniziative promozionali e cogliendo
le opportunità offerte dai mercati, indivi-
Roberto Snaidero,
presidente di
FederlegnoArredo.
Si è svolto
il 4 giugno il primo
Forum del Legno
Arredo per trovare
nuove opportunità
di business
duando tutta una serie di strategie. La settimana scorsa eravamo a New York con
venti imprese che abbiamo messo in contatto con i migliori studi di architettura. Abbiamo aperto un ufficio a Chicago, a cui tutte le nostre aziende si possono rivolgere per informazioni e assistenza.
Ne apriremo uno a Londra. Abbiamo stipulato un’importante convenzione con Easyfrontier, società di consulenza aziendale che si occupa di servizi e di consulenza
alle imprese in materia doganale, con tutta una serie di semplificazioni. Ne deriva
una sostanziale diminuzione dei tempi di
consegna, una maggiore efficienza, minori costi, il governo completo del processo e
quindi, migliore competitività. E Abbiamo
deciso di allargarci verso il mercato cinese.
Il competitor per eccellenza può quindi
convertirsi in opportunità?
Certamente. È da cinque anni che
abbiamo stabilito un proficuo scambio di
esperienze e informazioni sui rispettivi
mercati, con lo scopo di favorire la creazione di un sistema commerciale a garanzia
delle regole di protezione dei marchi e della proprietà intellettuale, ovvero nel rispetto delle regole del mercato. Non tutte le
aziende possono fare questo passo, occorre avere peculiari caratteristiche. Ma credo
che rappresenti un ottimo segmento di crescita. Del resto, se loro vengono a vendere
in Italia, perché noi non dovremmo andare a vendere in Cina?
da alcune tipologie di mobili, come la cucina, gli armadi a muro e i bagni, di adeguarli tutti al 4 per cento di Iva come accade per la prima casa. Questo è un aiuto che
il governo potrebbe dare per risollevare le
sorti delle nostre imprese all’interno del
mercato italiano.
C’è forte preoccupazione per la forte
contrazione del mercato non residenziale. Su cosa sarebbe opportuno rivolgere
l’attenzione?
Le nostre aziende chiedono a MADE
expo un punto di riferimento forte e internazionale che sappia offrire un momento imperdibile per costruire i contatti con
i principali stakeholders. MADE expo raccoglie la sfida di rispondere a un mondo
che cambia e a un mercato delle costruzioni in difficoltà nello scenario economico mondiale. La sfida del costruire sostenibile, che vede protagonista tutta la filiera
e in maniera particolare il comparto delle costruzioni in legno, non è solo una
responsabilità a livello morale e culturale,
ma un impegno concreto per offrire nuove chance alle aziende. Vogliamo quindi
che la filiera sia compatta su questo, per
mostrare agli investitori e alle istituzioni
la forza del settore e la necessità di sostenerlo con misure equilibrate e doverose.
Chiara Sirianni
Saranno determinanti alcuni provvedimenti legislativi: la conferma delle detrazioni del 55 per cento per ogni singolo
prodotto in grado di concorrere alla riqualificazione energetica degli edifici, magari estese ai beni non strumentali in portafoglio alle real-estate e al patrimonio detenuto da Enti non soggetti all’Ires, la revoca del patto di stabilità per gli investimenti
degli Enti locali nel settore delle costruzioni, l’immediato svincolo dei crediti detenuti dalle imprese nei confronti dello Stato e una nuova legislazione sui tempi di
pagamento della Pubblica amministrazione. Mi sono permesso di fare un invito al
governo, in particolare per quanto riguar-
Si avvicina la quinta edizione di MADE
expo. Quale sarà il focus?
EDIZIONE 2012
MADE all’insegna
della sostenibilità
Eco-sostenibilità e nuove tecnologie.
Questi i cardini della prossima edizione di
MADE expo, la rassegna internazionale
dedicata al mondo delle costruzioni, in
programma dal 17 al 20 ottobre 2012
nei padiglioni di Fiera Milano a Rho.
Anche perché, se lo scenario delle costruzioni italiane è difficile (nel 2011 per il
quinto anno consecutivo l’andamento del
mercato è stato negativo) ci sono settori,
come il fotovoltaico, che guadagnano
terreno. E buone performance sono
arrivate anche dal comparto dell’eolico.
Un caso interessante è quello del legno,
che è tornato in auge perché garantisce
ottimi standard e dà la possibilità di
costruire in tempi rapidi e con costi certi.
Una quattro giorni dedicata all’innovazione tecnologica che riceve il sostegno del
neo presidente di Confindustria Giorgio
Squinzi (già amministratore unico di
Mapei). Se da un lato i dati riguardanti
il calo dell’attività edilizia sono «sconcertanti», dall’altro Squinzi ha ribadito
con forza che «il sistema della fiere deve
diventare uno strumento di politica industriale. Io mi impegnerò molto affinché
questo passaggio avvenga». Intanto, tra
marzo e settembre, è previsto un fitto
programma di promozione all’estero:
l’obiettivo è quello di invitare all’evento
general contractor, architetti, imprese
di costruzione, istituzioni pubbliche e
imprese produttrici di materiali edili.
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L’OBIETTORE
IN ASSENZA DI POLITICA, NIENTE PIAGNISTEO
Perché una filiera chiave del paese
alla fine si è decisa a “fare da sé”
di Oscar Giannino
N
drasticamente innovatrice la modalità con cui FederlegnoArredo
NON SONO
ha tenuto il 4 giugno al Mico di MiD’ACCORDO
lano la sua assemblea annuale. Invece del solito convegno ospitato
nell’Assemblea pubblica a seguito
delle incombenze formali che spettano a quella privata, una serie a
raffica di workshop e tavoli di lavoro dedicati a Cina, reti di impresa,
scenari mondiali, Social Housing,
mercato del legno, fisco, riforma del
lavoro, distribuzione arredamento, costruzioni, pubblicità e social network, retail, dogane ed export, credito,
normativa legno, web, distribuzione edilizia arredo. È
il segno dinamico che il presidente Roberto Snaidero,
tornato alla guida dell’associazione l’anno scorso dopo
gli indimenticabili anni dell’appassionato siciliano Saro Messina, ha voluto imprimere in
pochi mesi al senso stesso di un’associazione che alle aziende deve dare strumenti concreti, non chiacchiere. Niente piagnisteo, l’obiettivo
è fornire a ciascuna delle 2.500 imprese associate un solido punto di riferimento per incrementare innanzitutto tutte le strategie, i contatti e
i posizionamenti necessari per soddisfare l’unica domanda che aumenta, quella delle locomotive della
crescita mondiale extra Unione Europea, dove l’export dell’arredo italiano sarà in continuo sviluppo.
Il mercato domestico non può riservare soddisfazioni, ed è purtroppo la storia dei tre anni che abbiamo alle
spalle. Sul fatturato complessivo di settore nel 2011, 32
miliardi e mezzo di euro, ancora una volta il segno meno del 3 per cento è venuto dall’Italia. Mentre l’export
complessivo è salito del 5 per cento a 12,2 miliardi. I 170
mila buyers stranieri piovuti a Milano due mesi fa per il
salone del mobile, coi brasiliani addirittura più numerosi dei pur tantissimi nordamericani, sono stati la miglior riprova dell’attesa che suscita questa filiera essenziale del made in Italy, che interseca design e ricerca sui
materiali avanzati, benessere abitativo e cura della persona, cifra stilistica e praticità delle soluzioni abitative e
on poteva che essere
Quante Pmi possono permettersi direttori marketing
e valutatori di partnership estere per espandersi nei
mercati emergenti? Ecco perché Snaidero e i suoi
hanno rifocalizzato Federlegno sulla “messa a rete”
d’ufficio. Una filiera che ha strepitose occasioni di fronte a sé, se solo comprende che la sua dimensione media
(30-40 dipendenti tra gli associati a FederlegnoArredo, di
gran lunga meno tra le oltre 72 mila imprese italiane di
settore con circa 380 mila occupati complessivi) difficilmente consente attivi patrimoniali tali da reggere alla
strettoia bestiale del credito, innovazione e ricerca adeguate sui nuovi materiali, strategie di proiezione e commerciali. La ricerca Esportare la dolce vita, presentata un
mese fa dal Centro Studi Confindustria e Prometeia, ha
stimato di qui al 2017 la crescita di prodotti italiani “belli e ben fatti” assorbibili nei 30 paesi emergenti in cui si
affermeranno 200 nuovi milioni di milionari in dollari:
l’arredamento è stimato in crescita potenziale del 72 per
cento, fino a oltre 30 miliardi di euro annui, con Russia,
Emirati, Arabia Saudita, Cina, Turchia e India nelle posizioni di punta. Ma quante piccole imprese di una trentina di addetti possono permettersi direttori marketing
e valutatori di partnership estere per la rappresentanza
e la distribuzione? La risposta è impietosa, purtroppo.
Competere con una mano e un piede legati
È pensando a questo che Snaidero e la sua squadra hanno rifocalizzato l’attività di Federlegno sulla “messa a
rete”. Contatti assidui con le banche non solo nazionali per credito al settore, ma anche locali per la proiezione all’estero di una decina di piccole imprese in filiera
di settore concentrate per bacino territoriale. Missioni e
rappresentanze in Sud e Nordamerica non alla cieca, ma
faccia e faccia coi maggiori studi professionali di progettazione e architettura. Un’alta scuola professionale specifica per il legno-arredo avviata a Lentate sul Seveso, grazie alla cooperazione con l’Associazione Scuola Lavoro
dell’Alto Milanese, immaginando che l’operatore meccatronico del legno-arredo sia la frontiera avanzata di un
settore chiamato a lavorare e integrare materiali sempre
più avanzati ricorrendo alle tecnologie digitali. La parola d’ordine è rete, rete e ancora rete.
Certo, la politica non presta orecchio. L’Iva al 4 per
cento sugli arredi della prima casa, come la proponeva
originariamente l’associazione, non è passata. Né tanto
meno l’esenzione triennale dell’Imu per le neocostruzioni residenziali, chiesta dall’Ance. Né si è dato retta
a Federlegno sulla troppo lunga diluizione della piena
entrata in vigore della tutela del design d’autore. Né il
governo italiano ha protestato più di tanto contro i dazi
pazzeschi posti sull’arredo italiano dal Brasile.
Senza una politica per il rilancio del mercato domestico, gli imprenditori del legno-arredo, come tutti
quelli degli altri settori italiani che possono contare su
posizioni di eccellenza nell’export mondiale, dovranno fare da soli. È questa l’amara verità. Sopravivere agli
ostacoli crescenti posti da uno Stato bulimico e tassicodipendente, come prima prova per il successo nel mondo sui concorrenti. È come combattere con una mano e
un piede legati, purtroppo.
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| 14 aprile 2011 |
23
SOCIETÀ
VIETATO DIRLO
Col sesso
non si gioca
«La teoria del “gender” ci prepara un mondo
dove nulla sarà più percepito come stabile»,
dice lo psicanalista Tony Anatrella. «I danni
provocati dal divorzio non sono nulla rispetto
a quelli che può causare l’ideologia Lgbt»
«farà sicuramente più danni del marxismo».
Lo ha messo nero su bianco monsignor Tony Anatrella, psicanalista di fama
internazionale, specialista in psichiatria
sociale, docente alle libere Facoltà di filosofia e psicologia di Parigi e al Collège des
Bernardins, oltre che consultore del Pontificio consiglio per la famiglia e del Pontificio consiglio per la salute. Il suo ultimo libro, La teoria del “gender” e l’origine dell’omosessualità, appena pubblicato
da San Paolo, Anatrella lo ha scritto proprio per mettere in guardia dalle conseguenze – esistenziali e sociali – della teoria che nega la differenza sessuale fra l’uomo e la donna.
Monsignore, cosa può accadere a uomini
che crescono incerti delle differenze che
vedono?
Ora non si vedono ancora le conseguenze della negazione della differenza sessuale, ma tra una ventina d’anni sarà chiaro:
se si va avanti così assisteremo a crisi identitarie gravi, al diffondersi di problemi mentali. La realtà sarà confusa con l’immaginazione e niente verrà più percepito come stabile. Un’incertezza cronica è poi la madre
di comportamenti violenti. Il bambino cresce sano e sicuro quando interiorizza la differenza sessuale. Ma è un conflitto accettar24
| 13 giugno 2012 |
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la. Se la mentalità lo spinge a non accettare la differenza è più facile che, come accade all’omosessuale, questo cresca depresso,
insicuro e incapace di accettare la diversità. I gravi danni psicologici provocati dai
divorzi che oggi constatiamo non sono nulla rispetto a quelli che può causare l’ideologia del gender sulle generazioni future.
Lei parla di una crescente diffusione di
comportamenti omosessuali. È dovuta
solo all’accettazione di questo modello
come normale o anche alla prevalenza di
una mentalità narcisistica?
Diciamo che la mentalità narcisistica,
che rifiuta l’alterità come elemento necessario al compimento dell’uomo, favorisce
l’omosessualità. Aumentano i comportamenti omosessuali perché la società, anziché favorire l’accettazione umana del proprio sesso prima e di quello opposto poi,
favorisce la regressione alla fase infantile
della sessualità in cui non si riconosce l’alterità come positiva. Ma se il bambino non
è aiutato a uscire da se stesso e a superare
le fasi infantili, come quella anale ad esem-
pio, può incorrere in problemi molto seri:
oltre a quello dell’omosessualità ci sono
l’alcol, la droga, la bulimia e molti altri.
L’omosessualità dunque non ha un’origine fisiologica, neurologica o genetica?
Ormai tutti gli studi concordano
nell’affermare che è un disturbo della psiche, come già sosteneva Sigmund Freud.
L’uomo e la donna sviluppano la propria
psicologia interiorizzando il proprio corpo
sessuato durante l’infanzia e l’adolescenza. Quando questo non accade, i soggetti
non accettano il proprio corpo reale rappresentandone uno che non corrisponde
alla loro realtà personale: il corpo immaginato è diverso dal corpo reale.
L’omosessuale, si legge nel suo libro, è
possessivo, nel rapporto con l’altro cerca
di riempire una mancanza ed è incapace
di donarsi. Come può allora la Chiesa chiedergli di
della
vivere nella castità?
«Non si vedono ancora le conseguenze
negazione della differenza sessuale, ma se si
va avanti così assisteremo a crisi identitarie
gravi, al diffondersi di problemi mentali»
La Chiesa afferma che le
pratiche sessuali tra persone
dello stesso sesso sono atti
Foto: AP/LaPresse
L’
ideologia del “gender”
IN LIBRERIA
LA TEORIA
DEL “GENDER”
E L’ORIGINE
DELL’OMOSESSUALITÀ
T. Anatrella
San Paolo
14,90 euro
Foto: AP/LaPresse
Monsignor Tony Anatrella è
psicanalista, specializzato in
psichiatria sociale, insegna a
Parigi presso le libere Facoltà
di filosofia e psicologia e al
Collège des Bernardins. È anche
consultore dei Pontifici consigli
per la famiglia e per la salute
intrinsecamente disordinati perché l’omosessuale non riesce ad arginare la frustrazione che vive unendosi a chi è uguale a
lui. Tanto che, pur vivendo queste relazioni, resta insoddisfatto. Perciò la Chiesa propone alle persone veramente omosessuali (altre possono invece intraprendere un percorso terapeutico che le porti all’eterosessualità) di astenersi dal praticare e di cercare di guardarsi dentro per
fondare le loro relazioni su un altro amore
che può colmare la ferita, quello di Cristo
nella Chiesa. È un cammino difficile, ma
è l’unico che permette di vivere in questa
condizione serenamente. Ci sono cristiani
che hanno questa tendenza e la assumono
senza cercare di esprimerla o di praticarla.
Alcuni possono avere esperienze, dispiacersene e avere voglia di cambiare, trovando nella fede in Cristo la risorsa per fare
il proprio cammino di felicità: all’interno dell’amore della Chiesa ogni uomo può
trovare il proprio posto.
Che rapporto c’è tra le lobby Lgbt e la popolazione che dicono di rappresentare?
Questi gruppi di pressione rappresentano
davvero tutti gli omosessuali?
Le lobby omosessuali fanno molto
rumore. Lo si vede chiaramente quando
organizzano manifestazioni come i Gay
Pride, aperti anche agli eterosessuali per
fare numero. Resta il fatto che gli omosessuali rappresentano una percentuale molto bassa della popolazione totale. In Francia un’inchiesta ha dimostrato che nel
2008 solo l’1,1 per cento degli uomini e lo
0,3 per cento delle donne hanno avuto contatti sessuali con persone dello stesso sesso,
il che non vuol dire necessariamente che
questi siano tutti realmente omosessuali.
Parliamo quindi di un’esigua minoranza,
con un grande potere nel settore politico e
mediatico, che vuole imporre il proprio stile di vita alla maggioranza della popolazio-
ne ignara di quello che sta accadendo davvero: i media hanno un potere d’influenza
psicologica tale da far passare per cattivo
chi solo domanda di capire. Abituano ad
accettare come normale anche quello che
da sempre l’uomo percepisce come evidentemente problematico. Sono bandite dal
dibattito perfino le domande circa l’origine dell’omosessualità.
Insomma un problema che tocca poche
persone viene trasformato in una questione epocale. Come è possibile che una
lobby che rappresenta una parte minima
della popolazione abbia tanto potere?
Per comprendere questo fenomeno
bisogna inserirlo in un quadro storico che
si evolve a partire dagli anni Cinquanta,
quando iniziò a svilupparsi l’ideologia della liberazione sessuale che voleva ridurre
la sessualità al suo aspetto
«I media abituano ad accettare come normale infantile e ludico. In seguiall’inizio degli anni Setanche quello che da sempre l’uomo percepisce to,
tanta, si cominciò ad affercome problematico. Sono bandite perfino
mare che il piacere sessuale domande circa l’origine dell’omosessualità»
le era un diritto primario
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| 13 giugno 2012 |
25
SOCIETÀ VIETATO DIRLO
Il successo
internazionale
dell’ideologia
del “gender”
secondo Anatrella
è dovuto «al
lavoro incessante
degli attivisti gay
all’interno di tutte
le istituzioni più
importanti. Come
l’Onu e l’Unione
Europea, che ora
hanno ridefinito
l’omosessualità».
Qui accanto, una
protesta davanti
all’ambasciata del
Vaticano presso il
Consiglio d’Europa
a Strasburgo
Lei sostiene che gli omosessuali vivono
una sofferenza. Se è così, perché nessuno
si ribella e chiede di essere aiutato?
Chi ammette il disagio e capisce che
non è dovuto dalla società su cui proietta
le proprie manie di persecuzione e da cui
cerca una conferma che non ha trovato nel
genitore, spesso cerca di farsi aiutare. Ma
gli attivisti evidentemente o non se ne rendono conto o non vogliono uscirne: dicono
di non soffrire, anche se c’è sempre un pro26
| 13 giugno 2012 |
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blema depressivo, di isolamento e di instabilità nei rapporti che si riversa all’esterno
con rabbia. Perciò chi si fa aiutare ha spesso paura di dire le cose come stanno: siamo alla follia per cui se un eterosessuale
diventa omosessuale gli si fanno congratulazioni, nel caso contrario c’è il disprezzo.
dini non si stanno davvero accorgendo della gravità della situazione, anche perché i
problemi che riguardano l’omosessualità
sono sconosciuti e trattati come tabù.
Quale può essere la via per contrastare
questa ideologia e fermarne la deriva totalitaria?
Come giudica la ritrattazione di Robert
Spitzer, lo psichiatra più influente dello
scorso secolo, che recentemente si è scusato con gli omosessuali per aver constatato l’efficacia della terapia riparativa
del dottor Nicolosi?
Bisogna dire la verità. La Chiesa è rimasta l’unica istituzione a difendere la salute
dell’uomo. Ma occorre un maggiore impegno per educare la gente: molti sono complici e giustificano questa ideologia per
ignoranza. Spesso anche i preti parlano
Ci sono forme di omosessualità che senza conoscere il vissuto reale degli omonon possono cambiare, altre che possono sessuali. Bisogna leggere la Bibbia e poi san
evolvere e incamminarsi verso l’eteroses- Paolo che descrive le conseguenze orribili
sualità. Ma se bisogna sempre evitare le di una società che valorizza l’omosessualiterapie repressive, si può anche aiutare a tà. Sopratutto bisogna coltivare il rapporto
superare la fase infantile della sessualità con Dio. Infatti, il narcisismo in cui ci troper correggere l’orientamento di chi inti- viamo è frutto del rifiuto di Dio. E quindi
mamente lo desidera e sia quindi disposto dell’alterità che sola ci può compiere. Non
a collaborare. Chi afferma questo, però, è a caso, in questo mondo che ha dimenticato l’alterità e non conosce il Suo amore,
perseguitato, compreso Spitzer.
l’uomo non sa più chi è e non ha più un volHa mai ricevuto minacce?
Mi capita di continuo, come a tutti to, se non quello uniforme della massa che
quelli che sostengono quanto argomento lo plasma. Da qui l’importanza della nuova
io. Per ora non mi hanno ancora denun- evangelizzazione di cui parla il Papa, che
ciato, sebbene in Francia una legge con- passa dall’annuncio dell’amore di Cristo
tro l’omofobia ci sia già: un deputato che all’uomo, sperimentabile nella Chiesa e nelsi è permesso di dire che la famiglia ha la famiglia. E l’importanza dell’educazioun valore superiore a tutte le altre unio- ne a uscire da se stessi per compiersi. Non
ni è stato condannato in primo e secon- a caso il Papa continua a parlare della famido appello. La Cassazione si è pronunciata glia naturale nonostante gli attacchi. E l’alper la libertà di pensiero, ma mi doman- lora cardinal Ratzinger, con cui ho lavorato
do: quanto durerà questa tregua? C’è una per anni come membro della Congregaziopolizia delle idee che si sta sviluppando. E ne per l’educazione cattolica, chiese di proquando un’ideologia ha bisogno del pote- durre un documento molto importante in
re della polizia e dei giudici per imporsi, merito all’educazione e all’omosessualità
significa che stiamo andando verso uno e alla necessaria collaborazione fra uomo e
Stato totalitario. Il problema è che i citta- donna. È poi fondamentale l’azione pastorale in sostegno delle famiglie e un impegno maggiore
«Si sta sviluppando una polizia delle idee.
cattolici nella difesa delle
E quando un’ideologia ha bisogno della polizia dei
istanze familiari ed educatie dei giudici per imporsi, significa che stiamo
ve anche in politica.
andando verso uno Stato totalitario»
Benedetta Frigerio
Foto: AP/LaPresse
della persona, quindi anche del bambino. Di qui la diffusione della pederastia e
la legittimazione dell’omosessualità. Oggi
siamo al punto in cui l’omosessualità viene considerata un’identità grazie al lavoro incessante degli attivisti gay all’interno di tutte le istituzioni più importanti.
Come l’Onu e l’Unione Europea, che ora
hanno ridefinito l’omosessualità. All’inizio degli anni Settanta gli attivisti gay per
imporsi sono arrivati a usare la violenza
verbale e fisica: le associazioni omosessuali intervenivano in tutti i congressi medici con metodi anche brutali, strappando
il microfono a chi osava sollevare dubbi. E
attraverso l’occupazione di posti strategici si sono infiltrati anche nel consiglio di
amministrazione dell’Associazione degli
psichiatri americani. Così hanno potuto
imporre la cancellazione dell’omosessualità dal manuale delle malattie, una risoluzione raggiunta per alzata di mano dopo
che a tutti i membri erano state inviate lettere personali: non era mai successo che
si prendesse una decisione scientifica per
alzata di mano. Da allora è diventato quasi
impossibile per i medici affrontare l’omosessualità anche da un punto di vista scientifico. E dopo l’Organizzazione mondiale
della sanità, le legislazioni statali hanno
cominciato a negare l’esistenza della diversità sessuale, prima accettando l’omosessualità come normale, poi permettendo i
matrimoni fra persone dello stesso sesso e
infine aprendo all’adozione.
SOCIETÀ TINTARELLA SOBRIA
Fatevi una
vacanza
ai giardinetti
Quest’estate niente ferie senza il nulla osta della
procura nazionale anticasta. I Caraibi? Irredimibili.
Lo yacht? Troppo Suv. Le Maldive? Roba da politici.
Per colpa loro non si salva manco l’Ikea. Tanto vale
abbronzarsi in balcone. Purché non sia condonato
«O
Fregene, Rimini, Riccione»
cantava il Jovanotti di Estate
1992, «l’estate delle mie e delle tue vacanze, come ogni caldo agosto, in
giro per l’Italia a farsi il culo arrosto». Bello. Sempre che il menù dell’arrosto non lo
decida qualcun altro. Con ogni probabilità,
in quest’estate 2012 a deciderlo sarà la procura nazionale anticasta che può contare
sull’insospettabile fustigatore dei costumi
che è in ciascuno di noi. Quattro anni fa,
quando si credeva ingenuamente di essere
già al punto peggiore della crisi, non mancavano le battute ironiche sui tradizionali
scatti rubati dei vip al sole dei tropici accostati alle immagini delle famiglie americane che perdevano le proprie case sommerse dal debito di mutui concessi troppo
allegramente. Quattro anni e centinaia di
miliardi bruciati in borsa dopo, l’ironia è
roba per dilettanti sprovvisti di qualunque
coscienza civica.
Questo è piuttosto il tempo dell’indignazione e della denuncia. Così nell’Italia tecnicamente votata alla sobrietà e alla guerra
alla casta la stagione delle vacanze diviene
un campo minato. Per i politici, certo. Ma
anche per i comuni mortali. Sicché la ricerca di un luogo di villeggiatura si tramuta
in un manuale su dove non andare per non
incappare nella critica inflessibile quando
non nell’insulto esplicito. Niente di penalmente rilevante, ci mancherebbe. Ma non
negherà signora mia che farsi vedere spaparanzati al sole in un momento come questo in cui agli italiani si chiede di tirare la
cinghia è quanto meno inopportuno. Già,
l’opportunità: evoluzione infinitamente più
duttile del concetto di legalità che pure ci
ha fatto scollinare gli anni Novanta.
28
stia,
| 13 giugno 2012 |
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Dove si va in vacanza, dunque? Certo
che si può scegliere, ma occorre sapere che
alcune destinazioni sono irredimibili. Costitutivamente incompatibili con il basso profilo. Perciò addio al sole dei Caraibi. Ne sa
qualcosa Roberto Formigoni, sulla graticola
per capodanni dall’altra parte del mondo.
L’esperienza del governatore insegna che
oltre al luogo importa – e molto – il mezzo. E lo yacht è a tutti gli effetti il Suv dei
mari. Dunque semplicemente inammissibile, come profeticamente cantava Checco
Zalone: «Se avevi lo yacht fatte il gommone/
se avevi la mignotta fatte un raspone». Non
si salva neppure la barca a vela, che pure
godeva dell’aura radical chic di chi cerca
l’autentico spirito del mare capelli al vento
e salsedine sulla pelle. Restano in gara solo
la barca a remi e il pedalò, mezzi che automaticamente vi spingeranno in un mesto
lago italiano o sulle spiagge dell’Adriatico.
Conservare sempre gli scontrini
Ma guai a pensare che l’Adriatico sia così
pop da essere innocuo. C’è Adriatico e
Adriatico. Fatta eccezione per le infinite
pensioni Bellavista di Bellariva e Rivabella,
le tentazioni sono in ogni discoteca, in ogni
ristorante di pesce sfacciatamente costoso. In ogni caso, che si scelgano pensione
o motel, bed and breakfast o campeggio, il
primo comandamento dell’estate è conservare scontrini e ricevute vita natural durante. Anche scaduti i termini per i controlli dell’Agenzia delle entrate, resterà infatti
attiva la polizia dell’opportunità. “Chi pagò
quel giorno il Crodino in spiaggia prima del
calciobalilla?”, potrebbe chiedervi un giorno il cronista scrupoloso o il grillino in procinto di candidarvi in qualche lista.
Dall’alto in basso,
Nicole Minetti a
Formentera,
ripetutamente
immortalata nelle
fotogallery del sito
del Corriere della
Sera; Schifani e
Rutelli durante
le vacanze alle
Maldive dello
scorso inverno;
Anna Finocchiaro
con la scorta all’Ikea
Niente di penalmente rilevante, per carità.
Ma non negherà signora mia che farsi vedere
spaparanzati al sole in un momento come
questo appare quanto meno inopportuno
Pochi mesi fa, durante le vacanze di
Natale, Casini, Schifani e Rutelli scelsero
di andare alle Maldive. Fu subito notizia:
capodanno esotico al Palm Beach Resort di
Lhaviyani dove le suite costano tra i 2.550
e i 5.700 dollari a notte. Non solo. I politici hanno scelto le stanze migliori mentre i
Totti (qualcuno li candiderà prima o poi) si
accontentavano di «camerette» da 500 e rotti dollari a notte. Che a denunciare il misfatto fossero frotte di italiani a loro volta ospiti
del resort è un dettaglio trascurabile. Il danno era fatto. Se proprio han da essere Maldive, che siano almeno quelle low cost indicate nella guida del turista responsabile.
Frequentate da calciatori e popolo Billionaire, Formentera e la Sardegna hanno
il vantaggio di non essere neanche in gara.
Mica pretenderete adeguatezza al momento storico da gente che guadagna milioni
di euro l’anno per correre dietro a un pallone e a qualche velina? Non per nulla l’anno
scorso Formentera fu meta della consigliera
regionale lombarda Nicole Minetti. C’erano
fior fior di gallerie fotografiche a ritrarla in
costume sul sito del Corriere della Sera per
documentare con indefesso spirito giornalistico quanto la casta sia lontana dalla gente
che al mare ci va con la borsa frigo, il costume dell’Oviesse e le ciabatte di gomma.
Pellegrini a Montenero di Bisaccia
Restavano le crociere, le vacanze all inclusive più a buon mercato per le tasche del
cittadino medio. Ma il tragico naufragio
della Costa Concordia ha affondato anche
quell’universo di riferimento. Non resta che
rimanere a casa e chiedere al vicino di certificare che l’abbronzatura è il frutto di proletarissime e ripetute esposizioni sul terrazzo
di casa. Accettabile purché lo stesso non sia
frutto di un abuso edilizio condonato.
Non si salvano neanche le spedizioni
all’Ikea per il piccolo bricolage. Il paradiso
dell’arredamento a buon mercato l’ha bruciato la senatrice del Pd Anna Finocchiaro,
immortalata due settimane fa da Chi mentre si fa aiutare dagli uomini della scorta a
spingere il carrello e scegliere padelle antiaderenti. La didascalia implicita di quelle
immagini apparentemente innocenti non
lascia scampo: anche quando frequenta luoghi sfacciatamente popolari, la casta lo fa
senza rinunciare ai suoi (zozzi) privilegi.
Scartati Caraibi, Sardegna, Formentera, Maldive e le imbarcazioni a motore, cosa
resta a parte un pellegrinaggio a Montenero
di Bisaccia? Forse un bel camposcuola a Parma. Non c’è niente di più opportuno dell’illuminata neocapitale del grillismo. [lb]
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IL NOSTRO UOMO
A PALAZZO
LE “SOFFIATE” DAL PAPA AL CALCIOSCOMMESSE
Altro che libertà di cronaca
è peste bubbonica dell’anima
di Renato Farina
Foto: AP/LaPresse
C
onosco Gianluigi Nuzzi, sono sicuro della sua moralità, «siamo tutti bravi ragazzi», come dice Dustin Hoffmann in Morte di un commesso viaggiatore. Nuzzi
ha una moralità perfetta, poiché il valore decisivo da lui professato è il “diritBORIS
GODUNOV
to di cronaca”, costi quel che costi, una divinità assoluta, per cui versare il sangue,
specialmente quello degli altri. Etica cioè come coerenza con i valori professati. Peccato siano gli stessi valori del menga che stanno trascinandoci alla barbarie, al niente foruncoloso e paonazzo del collettivo. Il valore è portare notizie in magazzino come forme di grana, registrazioni minute della nostra vita e se ti ribelli sei morto.
Non c’è nulla che valga, non c’è la persona e il suo bene a contare, ma una deontologia a misura del potere. Ci sono due casi.
1. Boris ha presentato una interrogazione martedì 29 maggio. Ho scritto più o
meno che le vicende di questi giorni riguardanti il calcio si prestano a molte considerazioni etiche. Ce n’è una che, sull’onda del tin- Il governo giudica tutto, tranne i fatti
tinnar di manette, è stata trascurata, ed è la spettacolarizzazione che esigono qualcosa di diverso dalla
della giustizia, perseguita calpestando quel rispetto verso le personeutralità. Una mancanza di solidarietà
ne che dovrebbe valere sempre, tanto più in presenza di un’inchiesta in cui chi è coinvolto resta presunto innocente. La spettacola- con chi subisce un sopruso. Come è
rizzazione non merita solo una critica di costume, è in questo caso successo a Ratzinger e ai calciatori
proprio un reato, una violazione del segreto, suscettibile persino di
essere una forma di favoreggiamento. L’istantanea di questo piccolo-grande abuso
ce la regala La Stampa a pagina 3, allorché racconta come sia stato possibile che tutti i Tg avessero di prima mattina non solo la notizia ma anche le immagini della irruzione delle volanti nel Centro tecnico di Coverciano, dove alloggia la Nazionale.
Le “pantere” sono giunte all’ingresso alle 6 e 15. Scrive Marco Ansaldo: «La giornata è cominciata così, lunghissima, estenuante, con le troupe televisive e i giornalisti
appesi ai cancelli in attesa di notizie perché qualche soffiata era giunta già domenica sera». Insomma una soffiata c’è stata parecchie ore prima del blitz. Possiamo dirlo? Boris è stufo di queste soffiate ad uso della popolarità degli inquirenti, toghe o no
che siano, ciò che poi induce i giornalisti oggetti della benevola fuga di notizie a un
atteggiamento di totale appiattimento sulla linea dell’accusa, onde godere del privilegio di soffiate in anteprima. Buffon ha detto la stessa cosa, con più classe e forza.
Mario Sconcerti l’ha subito falciato sul Corriere, con la scusa che i giornalisti fanno
il loro mestiere, e pensasse piuttosto alle scommesse. Un paio di ore dopo da Torino
fanno sapere che c’è una informativa, anni fa Buffon ha versato assegni a una ricevisotto, Gianluigi Nuzzi, autore
toria, non è indagato, però taci e impara. Ma che cazzarola (Trapattoni) di roba è que- Qui
di Sua Santità, il libro con le lettere
sta? È giustizia, è diritto di cronaca? È peste bubbonica dell’anima.
private rubate al Pontefice
2. Godunov ha chiesto al governo che cosa pensa del furto di lettere al Papa. Mi
ero ripromesso di stare calmo, ascoltare e basta. Ma porcaccia la Eva come si fa. Il sottosegretario alla presidenza si è limitato a dire che la Santa Sede non ha fatto alcun
passo formale. Insomma, no comment. Il governo giudica tutto, interviene su qualsiasi guaio del mondo. E fa bene. Poi viene violata in Italia la libertà di comunicazione e zitti? Al diavolo, cos’è questa etica tecnica, pilatesca, in fondo complice con la
violazione dell’articolo 15 della Costituzione che garantisce la riservatezza della corrispondenza. Assoluta reticenza invece sulla valutazione dei fatti che esigono qualcosa di diverso dalla neutralità, che si risolve alla fine in una mancanza di solidarietà con chi ha subito un sopruso. E che si chiama Papa.
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CULTURA
TRA OCCIDENTE E ORIENTE
Nuovi
totalitaristi
crescono
Non erano il capitalismo né gli ebrei i veri nemici
dei movimenti estremisti che insanguinarono
il secolo scorso. Fascisti e bolscevichi volevano
cancellare la trascendenza dell’uomo. Proprio
come fa, oggi, l’islam radicale. Parla Ernst Nolte
N
on stupisce più di tanto che l’ultimo
libro di Ernst Nolte, definendo
l’islamismo come «terzo movimento di resistenza radicale» accanto a bolscevismo e fascismo, abbia suscitato a suo
tempo eco e reazioni significative sulle
stampa tedesca. Protagonista nel 1986 della cosiddetta “disputa tra gli storici” per le
sue analisi dei due grandi fenomeni totalitari del XX secolo, Nolte è dunque tornato a suscitare polemiche con questo corposo studio (Il terzo radicalismo, ora edito
anche in Italia per i tipi di Liberal), frutto
di una lunga gestazione, nel quale il “pensatore della storia” ritrova nell’islamismo,
inteso come dimensione bellica e dogmatica dell’islam, elementi comuni con il
bolscevismo e il fascismo.
Da grande personalità qual è, Nolte
non ha difficoltà ad ammettere i propri
limiti nella conoscenza dell’oggetto. Tuttavia, essendo l’islamismo ormai riconosciuto nel dibattito pubblico come un fenomeno d’opposizione radicale al “moderno”, ha ritenuto necessario non lasciare
ai soli specialisti un tema così caldo e palpabile. Col rischio di esporsi a dure critiche – come, per esempio, quelle ricevute
da Walter Laqueur, ritenuto uno dei fondatori della ricerca sulle origini del terrorismo, secondo il quale il libro di Nolte si
sofferma troppo sulle dittature novecentesche. In realtà i tratti che assimilano il «terzo movimento di resistenza radicale» alle
altre due «rivoluzioni conservatrici» possono essere colti solo riproponendo le carat-
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teristiche del marxismo e del nazionalsocialismo, ecco il motivo di quella lunga prima parte del lavoro così poco apprezzata
da Laqueur. L’elemento essenziale che lega
i tre “movimenti”, secondo Nolte, è l’aspirazione a salvare le relazioni di vita primordiali dalla modernità. Da qui lo storico parte per raccontare il progressivo confronto
dell’islam con il mondo a partire dal XIX
secolo, iniziando dall’arrivo di Napoleone
in Egitto, attraverso il sionismo, interpretato come la sfida decisiva della modernità
al cuore dell’islam, per finire con l’islamismo, inteso come forza rilevante nel contesto del conflitto globale.
Taciuta all’estero dai suoi detrattori,
ma anche dai suoi estimatori, la domanda
di Nolte si concentra su quale sia il nemico
contro il quale combatterono bolscevismo
e fascismo, che è lo stesso contro il quale
combatte oggi l’islamismo. Quel nemico
– è la risposta dello storico tedesco – non
è il capitalismo, e neppure l’ebraismo. «È
piuttosto un “qualcosa” presente nel capitalismo che è stato a lungo preso in esame
da pensatori ebrei e non ebrei: la ricchezza più interiore, o meglio, il destino vero
dell’uomo, che va “oltre se stesso”, cioè (…)
la trascendenza, la necessità di porsi in un
rapporto emozionale con il mondo nella
Ernst Nolte,
storico, studioso
del bolscevismo
e dei movimenti
fascisti,
è professore
emerito alla
Libera Università
di Berlino
sua interezza». Una considerazione che lo
conduce all’origine stessa del male, la ribellione dell’uomo contro il suo creatore. «Se
è giusta la tesi degli ideologi islamici – scrive Nolte – secondo la quale l’islam null’altro è se non il ritorno dell’essenza ribelle
dell’uomo contro l’armonia dell’universo
creato da Dio, allora il concetto di “trascendenza”, inteso come qualcosa di negativo e
dunque da negare, si lascia usare (nell’islamismo, ndr) in maniera non diversa da
come venne usato da Lenin e Hitler».
L’attualità del tema e la lucidità con
cui Nolte legge i movimenti della storia
umana in relazione alle aspirazioni del
singolo rendono anche que«Sia i Fratelli Musulmani che i salafiti sono, per sto suo lavoro, nonostante il
limiti da lui stesso ammessi,
motivi facilmente comprensibili, nemici radicali imprescindibile. Anche per
di Israele e i più estremisti tra loro aspirano
comprendere i fenomeni in
ad annientare lo Stato e il popolo ebraico»
atto nel contesto arabo.
Nel suo ultimo
libro, frutto
di una lunga
gestazione,
Ernst Nolte
ritrova
nell’islamismo,
inteso come
dimensione
bellica e
dogmatica
dell’islam,
elementi
comuni con
il bolscevismo
e il fascismo
IL SAGGIO
IL TERZO
RADICALISMO
Ernst Nolte
Edizioni Liberal
23 euro
Foto: AP/LaPresse
Professor Nolte, tutto il mondo ha seguito e segue con attenzione ciò che sta
accadendo da oltre un anno nei paesi del
Nord Africa e nel Medio Oriente arabo e
musulmano. La cosiddetta “primavera
araba”, quella che i tedeschi chiamano
“Arabellion”, ha preso apparentemente
le mosse da legittime aspirazioni di libertà e giustizia. Oggi, però, i segnali indicano un po’ ovunque una possibile deriva
islamista del fenomeno, più che una vittoria delle forze democratiche. C’è dunque il rischio reale che la battaglia per la
libertà contro i regimi dittatoriali porti
all’affermazione di quell’islam radicale di
cui parla nel suo libro?
Nella cosiddetta “Arabellion” si affrontano due forze aspiranti al potere che fino
ad oggi sono state sottomesse ai regimi
dittatoriali: da un lato quella dei Fratelli
Musulmani, la cui storia in una certa misura conosco, e dei salafiti, i quali al tempo
di questo mio studio non giocavano ancora un ruolo significativo; dall’altra l’allineamento all’Occidente, sia attraverso la soppressione delle strette prescrizioni morali
dell’islam, sia con l’emigrazione di massa
verso i paesi occidentali.
Lei parla nel libro di Israele come “centro di modernità” nel contesto del mondo
islamico, sottintendendo gli stretti legami dello Stato ebraico con l’Occidente.
Dopo quanto è accaduto dall’inizio della
“primavera araba” ad oggi, quali ripercussioni politiche immagina che ci potranno essere appunto nei paesi occidentali, intendendo tra questi anche Israele?
Sia i Fratelli Musulmani che i salafiti
sono, per motivi facilmente comprensibili,
nemici radicali di Israele e i più estremisti
tra loro aspirano di fatto all’annientamento dello Stato e del popolo ebraico. I solenni giuramenti degli uomini e delle donne di Stato occidentali non lasciano intravedere alcuna altra via che non sia quella di un sostegno incondizionato a Israele, se necessario anche di carattere militare. Se la richiesta di annientamento avesse
come obiettivo solo la scomparsa dell’Israele “sionista”, col fine di rendere possibile la
convivenza di ebrei, musulmani e cristiani
in un unico stato (così come gli Alleati della Seconda Guerra Mondiale non pretesero
la distruzione della “Germania”, ma del-
la “Germania nazionalsocialista”), in Occidente non sarebbe più possibile la perpetuazione dell’interpretazione unilaterale
della richiesta islamica di annientamento, e quegli uomini e quelle donne dovrebbero decidersi: sostenere incondizionatamente anche l’Israele inteso come “potenza d’occupazione” oppure solo l’Israele
degli anni 1949-50 riconosciuto dal diritto
internazionale.
Come giudica il ruolo dei salafiti negli
atti di vandalismo verificatisi in Germania nelle ultime settimane? Ritiene che
questo radicalismo rappresenti il futuro
della Germania e dell’Europa?
Questo radicalismo, di cui sono protagonisti piccolo gruppi, non può essere il futuro della Germania e dell’Europa. Qualcosa del genere potrebbe però
accadere qualora proseguisse l’immigrazione incontrollata di musulmani verso
l’Europa e se il fanatismo della volontà di
“conquista del mondo in nome della vera
fede”, immanente all’islam in quanto tale,
sebbene spesso mascherato
o diventato inefficace, pren«Questo radicalismo non è il nostro futuro,
desse il sopravvento sulla
a meno che non prosegua l’immigrazione
maggioranza diventata nel
incontrollata e non prevalga la volontà di
frattempo minoranza.
“conquista del mondo in nome della vera fede”»
Vito Punzi
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CULTURA TI RACCONTO UNA VERA fiaba
C’era una volta
(e c’è ancora)
Sei bambini, un cappotto appeso come una mela,
due scarpe magiche, tre mamme che cercano
fuoco e fulmini in libreria. E non trovandoli,
si inventano una collana per ragazzi dai 4 ai 99
anni. Vietata a orchi buoni e Barbie cenerentole
G
loria sgrana gli occhi sul suo cappotto bell’appeso come una mela. Hai
voglia a chiamarlo attaccapanni per
bambini: lei fino a quel gancio lassù non
era mai arrivata. Ma quel giorno indossa
le nuove scarpette nere di vernice: un mezzo saltino e il suo cappotto dondola appeso
accanto a quello dei fratelli. Di colpo capisce tutto: «Ma allora queste scarpe sono
magiche!». Sì, Gloria, sono magiche. Ma
non tutti i grandi sono capaci di fare una
cosa molto seria come infilarsi nelle scarpe di una bambina di quattro anni. C’è chi
ci prova, e resta in corridoio con lo sguardo fisso a terra, incurante del cappotto che
dondola qualche mela più in alto. Come se
i bambini stessero tutti in quei brevi centimetri di adulto e in un paio di scarpe, semplicemente nuove e di vernice. Come se non
sapessero alzare il capino all’insù.
Ecco: questa è una cosa che Annalena Valenti non ha mai digerito. E non solo
perché è geneticamente programma per
infilarsi nelle scarpe della figlia Gloria e
dei suoi cinque fratelli. Ex valtellinese che
sognava di fare la contadina in Gallura e
attuale Mammaoca, rubrichista di Tempi e
tra i curatori delle edizioni annuali di Adesso, 365 giorni da vivere con gusto, Annale-
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na ha a che fare con gli effetti del mondo
visto e scritto per bambini fin dagli anni
dell’università, quando decide di impegolarsi in una tesi sulle origini delle fiabe e
crescere sei figli come Dio comanda, con la
testa volta in su: a guardare i cappotti che
sembrano mele. Tutta “colpa”, dice sempre lei, di una formazione al camino della
nonna, dove smetteva le gonnelle di bambina per vestire ora le piume di un cosetto brutto brutto come il Brutto Anatroccolo di Andersen, ora i panni di quel soldino
di cacio di Pollicino di Perrault, e di signori incontrati, una volta grande, come G. K.
Chesterton, C. S. Lewis o J. R. R. Tolkien, che
con i loro boscaioli spiantati, nani, elfi e re
meschini che popolano le terre di “c’era
una volta”, hanno reso le fiabe «assolutamente ragionevoli», specchi di un’esperienza interiore e non della realtà – perché,
come ebbe a notare Bruno Bettelheim, «è
come tali che il bambino le comprende».
C’era una volta: e chissà quanto c’è
ancora dell’amatissima Gretel, che riesce a
uccidere la strega e salvarsi insieme al fratello Hansel, in Lucilla, la sua secondogenita che oggi fa l’educatrice alla Casìta de
Belén alla periferia di Asunción in Paraguay. C’era una volta: e c’è davvero di tut-
Sopra, La leggenda dei 6 compagni di Guido
Gozzano e quella nave «che andasse per mare
e per terra» disegnata da Giovanni e i suoi
amici: prima di venire editata da Lindau l’idea
di questa fiaba così illustrata era nata come
bomboniera della loro prima comunione
to in Giovanni, l’ultimo dei sei, che davanti alle suole ricurve delle modaiolissime calzature Mbt esclama: «Uao, ma una formica ci fa un bellissimo parco giochi in queste scarpe dondoline!». C’era una volta: ma
quando entri in libreria non c’è più.
Dove vai senza scarpe dondoline?
«Le fiabe non insegnano ai bambini che i
draghi esistono, i bambini che i draghi esistono lo sanno già, le fiabe insegnano ai
guarda parigi, è tutta d’oro
Lo sguardo dei figli «che noi abbiamo perduto»
Così un libro ha ispirato il Quaderno da viaggio
bambini che i draghi possono essere sconfitti», scrive Chesterton. Annalena lo ripete spesso, quando tiene i corsi sulle fiabe a
genitori e insegnanti. Ma è molto complicato per certi adulti di oggi favolare di draghi quando al posto di scarpe dondoline si
vedono solo delle suole ortopediche.
Qualcuno ci ha provato, a infilarsi nelle
scarpe dei bambini: ora operando una riduzione dei testi integrali classici, ora preferendo un linguaggio sempre più semplicistico, ora spogliando le storie di ogni elemento ritenuto “turbativo” per un sedicesimo di uomo: via le parole difficili, via le
lacrime, via la sofferenza, via la violenza,
via la morte, che queste non sono cose da
bambini. Via così, come col parental control. Qualcuno ha poi cavato principesse,
pinguini e maghetti dai rispettivi regni
fatati, trasformandoli in cittadini moderni domiciliabili a Cesano Boscone o a San
Salvatore Telesino, ad affrontare l’arrivo
di un fratellino, la separazione dei genitori, la perdita del ciuccio, l’uso del vasino. E
via così, come farla al cesso. Qualcun altro
ha perfino consegnato la penna ai bambini
e il risultato è un po’ quello che ti aspetti a
Natale, davanti ad alcuni presepi popolati
di persone, cose e animali di tutto il mon-
«Guarda quel segno
sul tronco, non sembra un
occhio?». (…) È bellissimo
andare in giro con un
bambino: guarda la realtà
con un altro sguardo. È come
camminare accanto a un
piccolo straniero, che veda,
nelle cose abituali, un mondo
diverso da quello che
vediamo noi. Come da
un’altra prospettiva.
Chi erano, mi chiese, quelle
persone nelle fotografie sulle
lapidi? Gli dissi che erano
uomini di tempi lontani, e che
ora, lì sotto, dormivano. E
lui di rimando: «Dormono? E
quando si svegliano?». Come
fosse ovvio, nei suoi tre anni,
che non c’è sonno senza
risveglio: e che nessuna notte
durerà per sempre.
«Ma mamma, Parigi è tutta
d’oro!». (…) Portateli con voi,
i bambini, a vedere una
grande città, anche se sono
piccoli. Forse da grandi
non ricorderanno. Forse
ricorderanno solo le luci, o
una faccia, o un souvenir
da pochi centesimi. Ma voi,
avrete visto quella città con
gli occhi di un bambino: uno
sguardo diverso e incantato.
Fino a quando, mi sono
chiesta tornando, mi
seguiranno i tre? Non sarà
più lo stesso girare il mondo
senza i loro brontolii,
battibecchi, domande:
senza il loro sguardo,
che allarga e
approfondisce il mio.
Marina Corradi Cronache familiari,
Edizioni Messaggero Padova, 2012
Il Quaderno da viaggio
nasce per vedere una città
con gli occhi dei bambini,
aiutandoli ad esprimere e
non perdere quello sguardo
«diverso e incantato»
che fa di ogni luogo una
avventura sempre nuova
do, come alla gita delle Nazioni Unite. Così,
occupandosi di cenere e lampadine, e non
più di fuoco e fulmini, la letteratura per
bambini ha perso i suoi draghi.
Così, seguendo una stella
Poi, un giorno dello scorso anno, a Giovanni e altri amici tocca fare la prima Comunione. E come spesso accade a quell’età,
e in particolare tra le mamme del Collegio Guastalla di Monza, l’evento trasforma
le cucine di casa in officine creative: è qui
che Annalena insieme alle amiche Adriana Rocchi, mamma e insegnante d’arte, e
Raffaella Carnovale, architetto ma soprattutto incinta del settimo figlio, impastano le idee per realizzare una bomboniera
speciale: una fiaba illustrata dai bambini.
Anzi, due fiabe, perché tra i figli prossimi
alla Comunione c’è anche una figlia, e con
le bambine bisogna fare le cose per benino; lo sa bene Annalena, che di figlie ne ha
quattro, mentre cerca e trova – anzi, ritrova – quello che stava cercando: La leggenda
dei 6 compagni di Guido Gozzano e Lo scialle, una fiaba della tradizione orale spagnola sul femminilissimo mantòn de Manila.
Ed ecco. In capo a un piccolo C’era una
volta lo sguardo dei bambini si anima e con
esso le gesta di uomini prodigiosi, insuperabili nella corsa, capaci di ascoltare l’avena seminata crescere sotto terra o di colpire una lepre distante sette miglia con arco
e frecce. Di più, i bambini si guardano, e
con quello sguardo speciale, si riconoscono:
«Sono 6, come noi della Comunione! E questo sono proprio io che corro veloce, e tu
con l’orecchio fino, e, tu…» –, perché eterno
è il talento di ogni bambino nello spazio di
un C’era una volta dato alla carta oggi come
agli inizi del Novecento. Uno sguardo incurante del limite e avido del principio di ogni
cosa che Annalena trova tutto in Cronache
familiari di Marina Corradi, uscito per le
Edizioni Messaggero di Padova in occasione
del VII Incontro mondiale delle famiglie:
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TI RACCONTO UNA VERA FIABA CULTURA
la nuova collana per ragazzi
Una scommessa educativa nata
dallo spirito garibaldino di Lindau
L’idea di affrontare un segmento di mercato nuovo a Lindau
come quello dei libri per ragazzi piaceva molto al direttore
editoriale Ezio Quarantelli. Di più, la trovava una cosa “dovuta” ai suoi fedeli lettori con figli e nipoti. Ma il progetto, non
lo nasconde, «sarebbe ancora lì se non ci fosse stato il felice
incontro con il gruppo di Annalena. In cui ho ritrovato insieme
a grandi competenze maturate come mamme e all’interno delle
scuole, lo stesso mio desiderio di scommettere, con spirito un
po’ garibaldino su un’idea di letteratura, dunque di educazione,
radicalmente diversa da quella che oggi occupa gli scaffali». La
leggenda dei 6 compagni, Lo scialle e il Quaderno da viaggio
saranno in libreria a luglio, con un prezzo compreso tra i 5 e i 12
euro. A seguire, in autunno, Storia dello zar Saltan, di suo figlio il
principe Guidone e della bella principessa Cigno, una nuova edizione della Vita di Gesù narrata da don Cesare Angelini e Il dono
di Natale di Grazia Deledda. La collana Seguendo una stella – «e
questa espressione catturata da Annalena in Stevenson esprime
meglio di ogni altra la portata dell’orizzonte proposto» – verrà
seguita da Paola Quarantelli, sorella di Ezio. Accanto a questo
filone narrativo Lindau sta anche sviluppando una produzione
“educational”, ovvero con un taglio più direttamente educativo,
volta ad affrontare argomenti come l’handicap, la morte, la
convivenza, «temi che purtroppo sembrano non trovare più in
famiglie, scuole e parrocchie un efficace interlocutore».
«Portateli con voi, i bambini,
Secondo Chesterton
a vedere una grande città», scrile
fiabe non insegnano
ve l’autrice raccontando Pariai bambini che i draghi
gi tutta d’oro vista dalla figlia
Caterina: «Vedrete come noi la
esistono: questo i bambini
Torre Eiffel dal basso, immenlo sanno già. Le fiabe
sa, e i vostri figli in piedi, piccoinsegnano
ai bambini che
lissimi, sotto, con la testa rovei
draghi
possono
essere
sciata all’indietro nello sforzo
di scorgere quella straordinaria
sconfitti. Ma come è
cima di acciaio, fin dove arriva.
possibile parlare di draghi
E dall’alto invece (…) l’immensiquando guardi le scarpe
tà di Parigi, oceano di case infiMbt
e invece di un parco
nito; tutte con le finestre accegiochi
per
formiche ci vedi
se, e, dietro ogni finestra, un
uomo». E in queste parole c’è
due suole ortopediche?
tutto quello che serve al terzetto per rimettersi in officina e progetta- di copertina, un posto pronto in libreria da
re qualcosa di molto nuovo. Il Quaderno da luglio quando, da veri filibustieri andranno
viaggio, molte pagine bianche e poche indi- a conquistarsi un posto nei marosi della letcazioni “nate in casa” – per Giovanni sape- teratura per ragazzi tra cappuccetti ingialre quanti chilometri lo separano costante- liti, Barbie cenerentole e orchi che mai più
mente da Monza o quanti chili di ferro pesa taglieranno la gola a sette figliole. Tutta
la Torre Eiffel è fondamentale – nasce così: “colpa”, questa volta, della casa editrice Linper popolare di mappe, fotografie, pensieri dau e del giorno in cui le tre mamme porun luogo visto da «esploratori avventurosi e tarono i loro libri stampati artigianalmencuriosi». Capaci di un orizzonte che allarga te al direttore Ezio Quarantelli. Il quale si
ritrovò improvvisamente sulla scrivania ciò
e approfondisce quello di mamma e papà.
che da tempo andava cercando sul mercato,
Avventurieri tra orchi in pensione
la stessa volontà di tornare ad occuparsi di
A pochi mesi dalle chiacchiere nate in cuci- fuoco e fulmini che stava animando il prona La leggenda dei 6 compagni, Lo scial- getto di aprire una collana per ragazzi. Detle e il Quaderno da viaggio sono diventati to e fatto. Ai tre libri della collana Seguenlibri. Veri libri, con un editore, un prezzo do una stella – a ispirare il nome una poesia
Sopra e a lato, Storia dello zar
Saltan, di suo figlio il principe
Guidone e della bella principessa
Cigno, edizione della favola di
Puskin che Lindau porterà in
autunno nella traduzione classica
di Ettore Lo Gatto mescolando
immagini contemporanee alle
illustrazioni d’epoca elaborate
nel 1905 da Bilibin. Sotto, la
copertina e un’illustrazione
della fiaba spagnola Lo scialle
di Stevenson cara ad Annalena – si unirà in
autunno Lo zar Saltan, la novella di Puskin
che Lindau riproporrà nella traduzione originale di Ettore Lo Gatto e i disegni di Bilibin del 1905; e, sotto Natale, una riedizione
della Vita di Gesù di Cesare Angelini, e de Il
dono di Natale, di Grazia Deledda.
Libri per ragazzi dai 6 ai 99 anni,
come dice Annalena quando spiega perché un bambino sì che può leggere
Gozzano e Puskin. O, meglio, dai 4 ai
99 anni, come ama correggersi quando
attraversa il corridoio di casa e rivede
Gloria con le scarpe magiche ai piedi e
il capino volto all’insù, verso un cappotto che dondola appeso come una mela.
Caterina Giojelli
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CULTURA LA MOSTRA
Il rapporto
di Congdon
con le cose
Alla scoperta del “periodo veneziano” del grande
action painter americano. Così nella città della
laguna l’artista sentì per la prima volta l’eco
di quella Presenza che gli travolgerà l’esistenza.
Chiedendogli di essere vissuta e trasformata
«L
ta, che s’irradia dalla basilica, aprendosi,
me e loro stava nel mio rappor- come una strada tra il campanile e le Proto con l’oggetto, con l’oggetto curatie, alla piazza, che diventa per lui il
da distruggere, o meglio da trasfigurare, presentimento d’un punto fermo, un ordidel quale io a differenza di loro trattenevo ne interiore dettato dal bello. «Venezia è
sempre un’apparenza. Oggetto trattenuto, sempre il luogo, più di ogni altro nel moncome segno dell’oggettivazione o ristruttu- do, fatto per essere dipinto, è troppo fanrazione della mia vita alla quale io andavo tastica per farne solo un ritratto dipinto
incontro». Così l’americano William Cong- – conosco bene quel dramma prima del
don spiegava, con la coscienza dei suoi set- calar della sera, quando il sole da una stritant’anni, la differenza tra lui e gli “action scia a occidente incendia San Giorgio e la
painter” della New York School. E in questa punta del campanile di San Marco…», scristoria di “rapporto con l’oggetto” Venezia è ve il pittore nel dicembre del 1950.
È proprio a Venezia che Congdon
un punto di non-ritorno. O meglio, si riveimpatta per la prima volta con la storia
lerà un eterno ritorno.
Il primo incontro di Congdon con la cit- come eco d’una Presenza. Qui la Presentà avviene nell’estate del 1948: «Venezia – za gli s’impone, e insieme gli chiede di
impressione straordinaria – fantasia – ecci- essere vissuta e trasformata. Ecco l’origine di quel suo caratteristico
tante come New York – ideale
modo di “dipingere” in cui
per una festa», annota sul suo
WILLIAM CONGDON
oli e smalti, talvolta mischiataccuino. Nel 1947 l’artista si
A VENEZIA
ti a oro e piombo, vengono
era trasferito a Capri dove la
(1948-1960).
incisi e modellati sui pansua vocazione a “uscir da sé”
UNO SGUARDO
nelli come sculture. Se ne
con il disegno, già manifeAMERICANO
accorge l’amica Peggy Gugstatasi nei ritratti dei deporVenezia, Università
Ca’ Foscari
genheim, anch’ella residente
tati del lager di Berghen BelSpazio Ca’ Foscari
a Venezia, che nel 1953 scrisen, l’aveva indirizzato come
Esposizioni,
ve: «Il suo modo d’espressioun fulmine a dipingere la
Dorsoduro 3246.
ne è moderno, la sua comnatura mediterranea e le citFino all’8 luglio 2012.
prensione vecchia quanto la
tà, innanzitutto Napoli, alla
Catalogo: Terra
Ferma (23 euro)
città stessa. Egli ha saputo
ricerca spasmodica d’un puncogliere l’effettiva essenza di
to d’appoggio. Il sole verdemolti secoli e fonde questa
arancio con i suoi bagliori
sulle case lorde di nero della Bowery a visione in un sogno così fantastico e belNew York, nell’impatto con Venezia fatta lo che i suoi dipinti lasciano senza respiro.
di acqua e di luce, muterà presto, seguen- (…) Sono fatti di lava; sono lampeggianti;
do la «musica (del) suono dell’acqua» filtra- palpitano della vita e della passione di tutta dalle vetrate policrome di Palazzo Dario ti i veneziani che da lungo tempo riposano
nella loro ultima dimora».
(1948), nell’oro traspirante di San Marco.
Nella primavera del 1951, spinto «da
Venice, 2 (St. Mark’s Square 1), del 1950,
mostra questo nucleo di luce chiara, dora- una forza interiore», Congodon si reca ad
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a distanza che subito si palesò tra
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Assisi, dove per una serie di coincidenze
viene accompagnato alla Pro Civitate Christiana di don Giovanni Rossi, il quale accoltolo e intuita la sua sete interiore gli chiede espressamente se desideri diventare cattolico. «No», risponde lui timidamente, ma
aggiunge: «Tornerò».
Quell’incontro è decisivo. Negli anni
successivi si assiste a quella formidabile
epopea costituita da città, culture che l’artista sente bisogno di conoscere per prepararsi al ritorno. Innanzitutto vivendo nuovamente Venezia, assimilandone la storia.
Il rapporto osmotico con la laguna ne trasfigura cupole e architetture, che incominciano a respirare con lo stesso ritmo delle
stagioni, per poi trasformarsi in rame col
tramonto in rame (Piazza Venice, 5 e Piazza Venice, 7, 1951) e in piombo con la notte (Venice e Venice, 22, 1952) in cui fa capolino la presenza amica d’una candida luna.
Poi l’accentramento sulla piazza, con la
veduta frontale della basilica di San Marco,
incomincia ad allentarsi. Congdon va alla
ricerca di scorci sul Canal Grande (Venezia,
Canal Grande, 1952) e vaga timidamente
per la laguna (Canal Venice [Venice from
Giudecca], 1952 e White Lagoon, 1953).
Se questi dipinti spesso planari non
hanno eguali iconografici nell’arte del XX
In queste pagine, William Congdon
(Providence, Rhode Island, 1912 –
Gudo Gambaredo, Milano, 1998): qui sopra,
Venice, 2 (St. Mark’s Square, 1), 1950;
a destra, in alto, White Lagoon, 1953, e
Piazza Venice, 1948; al centro, Canal Venice
(Venice from Giudecca), 1952; in basso,
Crocefisso N. 1b, 1960 e Venice, 4 - Canal, 1950
secolo, lui si sente accolto nel grande alveo
della tradizione pittorica veneziana. Nelle
sue riflessioni compare il nome di Guardi,
ma la luce catturata nei suoi colori suggerisce un parallelo con un Nicholas de Staël.
«Tutto vedo come mare»
La profezia del suo ritorno lo accompagna
nei continui spostamenti: prima Atene e
Istambul, come un argonauta alla ricerca delle radici di Venezia, poi l’India, nella giungla presso Madras, Deccan, di nuovo Parigi, quindi Puebla e Mexico City, il
deserto del Sahara e più in là, altrove.
Congdon ritorna a Venezia nella primavera del 1957, dopo un’assenza durata
più di tre anni, ed è come essere di nuovo
a casa. «Ma Venezia ora io l’amo, non so se
troppo in senso umano e non in senso pittorico: ho una magnifica camera all’ultimo
piano vuoto di un palazzo sul Canal Grande – non lo saprò veramente finché non
toccherò i colori, ciò che esito a fare se non
intuisco almeno una direzione – ma nuoto, dimagrisco e mi abbronzo – in mare e
negli scogli e nelle campane del campanile ritrovo nuovamente me stesso e mi chiedo perché mai me ne sono andato», annota
il 26 maggio di quell’anno. Ma quando s’accinge a dipingere di nuovo la città, si rende
conto che quasi la distrugge. In Piazza San
Marco, 5 (1957) è l’impronta stessa della
basilica che rischia di essere sconvolta dalla furia dei colori stesi e strofinati con forza.
La soglia dello scavalcamento dell’oggetto,
però, non viene mai oltrepassata. È il tempo dell’incubazione del suo battesimo, che
avviene ad Assisi il 29 agosto 1959.
Poco dopo l’artista americano conosce
don Luigi Giussani. Piazza San Marco, 1,
dipinto nell’inverno 1960, ha il sapore di
un addio, che ricorda chiarissimo il primo
incontro, lineare e semplice, come il rapido tratto del profilo della basilica inciso
nell’oro. Invece Venezia non lo lascerà più,
mai più, come aveva presentito annotando
nel novembre 1952: «Non penso che Venezia m’abbandonerà mai». Ma dovranno passare tanti anni dal paradosso dello straccio
bagnato tra le Procuratie che è il Crocefisso
N. 1b (1960) perché nella sua autocoscienza
e quindi nella sua opera torni ad affiorare
distintamente il suono dell’acqua.
Paradossalmente questo avviene nella
Bassa milanese, a Gudo Gambaredo, un luogo «senza volto, senza memoria» dove Congdon accetta di trascorrere l’ultimo periodo
della sua vita accanto al monastero benedettino della Cascinazza, vicino alla casa dei
Memores Domini di Comunione e Liberazione. È un nuovo occhio che in opere come
Campo lungo, 2 (1981), analogia di piazza
San Marco, gli permette di «scoprire sé nelle
cose e (le) cose in sé». «Tutto ho visto e vedo
più o meno consciamente come mare».
Vladek Cwalinski
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NEL DETTAGLIO
L’INELUTTABILITÀ DELLA FINE
Se anche nelle calamità insistono
a farsi domande, manda gli piscologi
M
io caro Malacoda, questa settimana avevo deciso di non scriverti la consueta
lettera di raccomandazioni per la gestione delle cose, mi sembrava che tutto andasse già abbastanza male di suo, e la depressione sparsa a piene mani da stampa e tv sugli italiani non giustificava un nostro intervento supplementare. Poi ho aperto Internet («l’esclusivo sistema di telecomunicazioni mondiali delle
forze armate statunitensi che quando fu ritenuto tecnologicamente superato venne
messo a disposizione di tutti coloro che usavano un computer», come lo definisce Ettore Bernabei) all’home page di un grande quotidiano e mi si è materializzata davanti agli occhi una videata del bombardamento confusionario cui sono sottoposti i cosiddetti fruitori di informazione. Nello spazio di una sola schermata, tre “notizie”:
“Bolt è ancora Bolt. Un fulmine da 9”76”; “Ci scontreremo con Andromeda. Tra quattro miliardi di anni”; “Elena Gelatti, 23 anni: ‘I miei sogni sconvolti dal terremoto’”;
e, ancora sul terremoto, “Santoro: ‘Non parlate di caso’”.
Tra i brevissimi nove secondi e qualcosa della corsa di un giamaicano a Roma e
i quattro miliardi di anni che separano la
Sull’home page di un quotidiano, tre “notizie”:
Terra dallo scontro con Andromeda stanno i lunghissimi venti secondi della scos“Ci scontreremo con Andromeda. Tra quattro
sa che ha frantumato la casa e i sogni sul
miliardi di anni”; “Elena Gelatti, 23 anni: ‘I miei domani di una studentessa che si doveva
sogni sconvolti dal terremoto’”; e, ancora sul
laureare e aveva pianificato una magnifica
festa. In questi quattro miliardi di anni, avterremoto, “Santoro: ‘Non parlate di caso’”
verte il Conduttore unico di sempre meno
coscienze, nulla deve essere lasciato al caso. Ne sembrano convinti anche gli scienziati della Nasa, o almeno il cronista che ne riporta il pensiero, che infatti annunciano
che «è possibile predire con certezza la collisione tra la nostra galassia e Andromeda,
che si trova attualmente a 2,5 milioni di anni luce da noi». Ma non c’è da preoccuparsi, quando si verificherà lo scontro noi non ci saremo più da tempo. Certo, mi direte;
ma neanche i nipoti dei nipoti dei vostri nipoti… Al momento dell’impatto «la Terra
sarà già inabitabile da tempo. Infatti, tra circa un miliardo di anni il Sole aumenterà
la radiazione emessa rendendo a poco a poco il pianeta inadatto alla vita».
La notizia “certa” ha due possibile interpretazioni. Quella di Santoro: “Vediamo
di non arrivarci impreparati, abbiamo tutto il tempo per prevenire gli effetti dello
scontro, non buttiamolo come abbiamo buttato questi 150 anni dall’Unità d’Italia in
cui si sono contati 88 disastri e centinaia di migliaia di morti che potevano essere evitati con la prevenzione”. Quella della giovane studentessa, che con l’intemperanza
linguistica dell’età potrebbe sbottare: “Ma se tutto deve finire bruciato da una stella,
e già sappiamo ‘con certezza’ che succederà, che me ne frega del capannone di maglieria di mia mamma, della mia laurea, del parmigiano rovinato… Se tutto prima o
poi finisce, per quanto lontano possa essere questo poi, cosa sto a piangere sui miei
sogni? Però, perché mi viene da piangere?”.
A questo punto, caro nipote, intervieni tu. Se Maometto non va alla montagna, la montagna andrà da Maometto. Se di fronte all’ineluttabilità della domanda sull’ineluttabilità della fine non si decidono ad andare da uno psicologo, manda tu gli psicologi in mezzo ai terremotati. Non essendo la prevenzione (copyright
Santoro) stata efficace neanche in questo campo, vanno curati in emergenza: la loro domanda non ha bisogno di risposte, ha bisogno di un vaccino.
Alla prossima scossa.
Tuo affezionatissimo zio Berlicche
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LE NUOVE
LETTERE DI
BERLICCHE
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SPORT
LA SFIDA DEL BOEMO
Il soldato
Sdengo
alla riscossa
dI Fred Perri
È
l’ultimo giapponese
Sdengo, soprannome-storpiatura che gli diede il mitico Pasquale Casillo, suo presidente ai
tempi della nuova terra promessa del calcio italiano per cui a Foggia arrivò pure la
Cnn. Come a Bagdad la stampa scendeva
nello stesso albergo, il leggendario Cicolella, ristorante-hotel. E tra un pancotto con
ruchetta selvatica e un’orecchietta con le
cime di rapa, raccontava di quella frontiera
calcistica, il 4-3-3 di Sdengo. Casillo, industriale granario, primariamente, e imprenditore in senso lato (fu anche editore del
rinato Roma) e Sdengo diedero vita a un
fenomeno del pallone ancora adesso indimenticabile. E che ora in molti, soprattutto i tifosi della Roma, sperano di resuscitare con sede nella capitale. Sdengo ha la sua
LA CAVALCATA DI ZDENEK
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seconda possibilità con la “maggica”. Sdengo è tornato di moda, è riemerso dall’abisso, ha terminato il suo lungo esilio. Una
grande società, con danari e possibilità,
lo ha richiamato tra gli osanna del popolo. Sdengo aveva dato fastidio, aveva rotto le scatole solo a un certo gruppo, a una
sola squadra, è vero, però a
un certo livello i petulanÈ a Foggia, dove arriva nel 1989, che la fama
ti tendono a scartarli. Non
di questo giovanotto che parla un italiano
vogliono grane. Ce la farà?
lento e intossicato, s’ingigantisce fino a farlo
Non c’è più Pasqualone con
diventare un protagonista del nostro calcio
il quale si palleggiava un
affetto sincero e il merito di quella squadra unica, nel suo gene- Zdenek Zeman ha vinto la Serie
re. «Merito tuo». «No, merito tuo». Adesso, B con il Pescara. Ora è un passo
a Roma, ci sono gli americani. Sdengo riu- dalla Roma. A destra, Franco
Mancini, portiere del Foggia dei
scirà a combattere sotto la bandiera a stelle miracoli. È stato allenatore dei
e strisce, lui che per carattere e predisposi- portieri dei biancoazzurri fino
al suo decesso, 30 marzo 2012
zione d’animo è l’ultimo giapponese?
GLI ESORDI
Il “Foggia dei miracoli”
Zdenek Zeman nasce a
Praga il 12 maggio 1947.
Allenatore professionista
dal 1979. Con il Licata
vince un campionato in
C2. Col Messina lancia in
prima squadra Salvatore
Schillaci. Nel 1989 nasce
il “Foggia dei miracoli”
caratterizzato da un
4-3-3 ultra offensivo.
Vince la Serie B nel 1991
con il contributo determinante del trio delle
meraviglie (nella foto)
composto da Francesco
Baiano, Giuseppe Signori
e Roberto Rambaudi. Si
salverà con tranquillità
per tre stagioni nella
massima serie, ottenendo
un nono, un undicesimo e
ancora un nono posto. Nel
1993-’94 Zeman sfiora
l’ingresso in Coppa Uefa.
Foto: AP/LaPresse
Non ha mai vinto un piffero. Eppure lo amano.
Ha combattuto Moggi e i muscoli di Vialli senza
capire che per avere la meglio bastava piegarsi
al compromesso (l’arte del calcio). Ora per l’ultimo
giapponese Zeman è arrivata la chance decisiva
Foto: AP/LaPresse
Sì, compagni e amici, parliamo qui di
Zdenek Zeman, nato a Praga il 12 Maggio
del 1947, in un quartiere residenziale sulle rive della Moldava, proprio quando, da
quelle parti, lo sport nazionale era il tuffo dalla finestra del moderato (con spinta d’incoraggiamento). Il padre Karel era
medico (primario addirittura) e lo avrebbe voluto come lui, con il camice bianco.
Sai che tormento strascinare quel suo passo lento per il linoleum dei corridoi senza
poter fumare una bella sigaretta. «Ma per
NELLA CAPITALE/1
Con Giuseppe Signori
Ingaggiato dalla Lazio
nel 1994, i primi due anni
riesce a conquistare un
secondo e un terzo posto.
Nelle Aquile giocano campioni come Alen Boksic
(nella foto), Aron Winter,
Roberto Di Matteo e il
bomber e suo pupillo
Giuseppe Signori. La terza
stagione, nonostante gli
acquisti di Pavel Nedved
e Igor Protti (capocannoniere con il Bari la stagione precedente), viene
esonerato a fine gennaio.
fortuna ho fatto altro», ha sempre ripetuto
Sdengo senza mai specificare cosa avrebbe detto il genitore del vizio del fumo.
Ma è la madre a essere importante per la
nostra storia, per via del cognome: Kvetuscia Vycpalek, casalinga. Dopo la scuola
secondaria e in attesa di iscriversi all’università (sta fermo un giro, per via del
numero chiuso) se ne viene in Italia, destinazione Palermo, dove suo zio Cestmir si
era stabilito dopo aver giocato per la Juve
e poi in maglia rosanero. Quando Sden-
NELLA CAPITALE/2
Con Francesco Totti
L’anno successivo il presidente Franco Sensi gli
offre la panchina della
Roma e Zeman accetta di
prendere per mano una
squadra che l’anno precedente era arrivata dodice-
sima in Serie A salvandosi
solamente alla quartultima giornata. Il primo
anno ottiene un ottimo
quarto posto, senza
però riuscire mai a tener
testa a Juventus, Inter e
Udinese. Sono gli anni di
Aldair, Cafu, Luigi Di
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LA SFIDA DEL BOEMO SPORT
go arriva in Italia, nel 1968, Cestmir detto «Cesto» deve ancora tornare alla Juve
come allenatore e conquistarvi due scudetti. È il 1968 e mentre se la spassa sull’isola,
con la sorella Jarmila, i carri sovietici invadono la Cecoslovacchia. Zeman torna, ma
per poco. Non sopporta il clima, tutt’altro che primaverile, che si è instaurato nel
suo paese. Dopo un anno rieccolo in Sicilia. E questa volta per rimanere. Si diploma all’Isef con una tesi in medicina dello
sport, conosce una ragazza di nome Chiara, ha due figli, Karel e Andrea, diventa cittadino italiano nel 1975. Nel 1979 prende
il patentino di allenatore a Coverciano. E
l’avventura può iniziare ormai.
Foto: AP/LaPresse
La creazione del personaggio
Sdengo appartiene alla categoria degli allenatori santoni, cioè quelli senza un passato
con un pallone tra i piedi, quasi neanche
all’oratorio e che per costruirsi un presente solido in campo hanno dovuto inventarne anche uno di predicazione. Senza questo secondo aspetto, insomma, l’allenatore
privo di palmarès non verrebbe preso sul
serio. Infatti, Arrigo Sacchi, Sdengo, José
Mourinho, appartengono alla stessa razza.
Gente che non avendo un background (so’
forte, eh?) di prestigio, ma neanche una
minima gavetta su qualche campo spelacchiato, ha dovuto inventarsi un presente
non legato solo al pallone in senso stretto. Si sono creati un personaggio. Ognuno
lo fa a suo modo. Sdengo lo ha fatto intingendo la sua parlata (parla sempre allo
stesso modo, malgrado sia in Italia da 40
anni con il forte sospetto, anzi la quasi certezza, che lo faccia perché gli dà quell’aria
un po’ così, insomma serva alla costruzione del ruolo, come faceva Nils Liedholm) e
nel più rigido moralismo, calcistico e filosofico. È un giapponese per questo. Per lui,
come per un soldato del Mikado, la sua
guerra non è mai finita. Non ci si arrende
mai, non si smette di combattere neanche
quando il nemico si arrende. Perché non
avendo nel suo codice d’onore l’idea della
resa non la applica neanche agli altri.
Sempre baionettarm. Sdengo è rimasto chiuso nella sua foresta, pronto a saltare fuori da dietro un albero o una felce con
la katana sguainata e il moschetto d’ordinanza a sibilare il suo livore contro la
Juventus. Quella di prima certo, quella di
cui denunciò il doping, senza prove, solo
Biagio, Abel Balbo e di un
giovanissimo Francesco
Totti (nella foto). Nel
campionato 1998-’99,
ancora alla Roma, Zeman
giunge quinto e non viene
confermato per la stagione successiva, sostituito
da Fabio Capello.
Sotto, Luciano Moggi,
ex direttore generale
dell Juventus e suo
principale “nemico”.
Zeman accusava
la Juventus di avere
dalla sua gli arbitri
e di avere dopato
alcuni suoi calciatori
«alla vista» dei muscoli di questo o quel
giocatore o per sentito dire, nella celebre
intervista a L’Espresso del 1998 che aprì
uno squarcio sul modo di amministrare i
controlli sugli atleti da parte del laboratorio dell’Acqua Acetosa. Dalla sua denuncia
partirono inchieste sportive e giudiziarie,
divenne famoso il procuratore di Torino
Raffaele Guariniello che lo mandò a chiamare. L’asse Guariniello-Zeman fece cadere
molte teste compresa quella del presidente
del Coni, di allora, Mario Pescante.
Ma il bersaglio grosso era la Juventus,
quella che Sdengo accusava di avere dalla sua gli arbitri (però in questo non c’era
nulla di originale, lo facevano tutti e già
da decenni). Però Sdengo è uno particolare e non se la prendeva solo per un rigore
non dato o per quella volta che un guardalinee, urtando Aldair che stava effettuando
una rimessa laterale gli fece perdere una
partita a Torino (secondo lui l’aveva fatto
deliberatamente). Al Lecce, dopo essere stato sconfitto per 1-0 dalla Juve, senza che
l’arbitro c’entrasse nulla, s’infuriò lo stesso, sostenendo che la partita doveva essere
sospesa per impraticabilità di campo.
E fin qui è il passato per cui ha avuto la
sua vittoria. Moggi e Giraudo non ci sono
più. Però l’ha pagata cara. Il calcio è un
ambiente dove un guastafeste, alla lunga,
non piace neanche a quelli che pure hai
favorito. Però anche ora che la Juventus ha
pagato, che si è mondata, che l’uomo nero
non c’è più, lui non molla la presa. Dopo
Parma-Juventus, partita con tre rigori contestati, uno a favore del Parma e due per
la Juventus, arrivò a dire che l’unico rigore vero era quello del Parma. Via, Sdengo,
l’unico che si avvicinava a un penalty era
quello su Giaccherini.
È così, il mitico Zdenek Zeman, un tiradritto che non fa sconti. Ed è l’unico al
mondo che, sul suo sito, dà il benvenuto
«ad amici e nemici». Sa già che uno come
lui o si ama o si odia. Però, dovunque sia
andato a predicare, ha lasciato solo vedove affrante. A parte la breve estate-autunno di Parma (1987) dove sostituì Arrigo Sacchi passato al Milan. Pensavano che avrebbe giocato allo stesso modo, ma il 4-3-3
esplosivo è un’altra cosa, rispetto al 4-4-2
speculativo. Non durò molto. A Licata parlano ancora adesso di quel campionato di
C2 vinto come un treno ad alta velocità.
A Napoli piansero quando lo esonerarono
per prendere Mondonico.
Il trio-maravilla
Ma è a Foggia, dove arriva nel 1989, che
la fama di questo giovanotto che parla un
italiano lento e intossicato, s’ingigantisce
fino a farlo diventare un protagonista del
nostro calcio. Sdengo vi arriva dopo un
buon campionato al Messina. Il Foggia è
appena stato promosso in Serie B. Il presidente è Paquale Casillo. Sdengo conquista la serie A nel 1990-’91 e approda nella
massima serie con intenti bellicosi. Schiera il trio-maravilla: Francesco Baiano, Giuseppe Signori e Roberto Rambaudi. Ottiene un nono, un undicesimo e nuovamente un nono posto. Nel 1993-1994, l’ultimo hurrah di Zeman su quella panchina
sfiora addirittura l’ingresso in Uefa. Foggia diventa Zemanlandia e il calcio «alla
IL DECLINO
Dalla Turchia al Salento
Dal 1999 al 2004 Zeman
raccoglie solo esoneri e
retrocessioni. Fenerbahçe,
Napoli, Salernitana e
Avellino. Nel 2004 torna
in Serie A, sulla panchina
del Lecce, dove conquista
la salvezza lanciando giocatori come Mirko Vucinic
e Valeri Božinov e concludendo l’annata con il
secondo migliore attacco
del campionato. Poi ricomincia il suo peregrinare:
Brescia, ancora Lecce,
Stella Rossa e Foggia.
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SPORT LA SFIDA DEL BOEMO
Zeman» supera i monti della Daunia.
Sdengo diventa un’icona. Di Foggia e della
«complanare» parla anche Antonio Albanese in un suo fantastico sketch sul giornalista Frengo a Mai dire gol. Dal 1989 al
1993 Foggia è un laboratorio in cui si sperimenta un calcio inaudito. E in cui giocatori di recupero o le scoperte diventano famosissimi. Pasquale Casillo incassa
50 miliardi di vecchie lire – con un guadagno vicino al 90 per cento – vendendo,
a più riprese, Baiano, Signori, Shalimov,
Kolyvanov, Rambaudi, Matrecano, Seno,
Di Biagio, Petrescu e altri.
Zeman festeggiato
dai giocatori
del Pescara il 20
maggio scorso dopo
la conquista diretta
della Serie A
LA RINASCITA
Il ritorno in Serie A
Nel 2011 diventa allenatore del Pescara, in
Serie B. L’obiettivo della
società sono i play off,
ma Zeman chiede un
premio per la promozione
diretta. Il boemo guida
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oggetti di scontri di mercato tra le grandi. Ma lui, Sdengo, se n’è già andato. Lo
ha richiamato la Roma, dopo il fallimento dell’esperimento Luis Enrique, a furor
di popolo. Perché sulle rive del Tevere,
anche se Capello ha vinto lo scudetto, tutti amano Zeman. Si è già ricompattato il
circolo intellettuale che su di lui ha scritto canzoni (Antonello Venditti: La coscienza di Zeman), saggi (quello di Goffredo Fofi nell’antologia Il pallone è tondo),
film (Zemanlandia di Giuseppe Sansonna),
romanzi (Il mister di Manlio Cancogni).
Adesso, però, alla fine di questo mio
trattatello fatemi la domanda. Perché Zdenek Zeman non ha mai vinto (a parte tre
promozioni) un piffero? Per colpa di Moggi e dei muscoli del capitano (Del Piero)?
Per via del fatto che è un personaggio scomodo? No. Perché nella vita puoi tirare
diritto, spezzarti ma non piegarti, ma il
calcio è l’arte del compromesso. Lo so, è
un ragionamento cinico e baro, ma Sacchi, al Milan, voleva cambiare Tassotti,
Baresi e Maldini e invece se li è tenuti. L’ultimo esempio: Conte, partito col 4-2-4 in
testa è passato al 4-3-3 e ha finito con il 3-52. Il moralismo, in questo paese, ha successo ovunque, ormai. Ma nel calcio no.
Sdengo ha l’ultima occasione per dimostrare che il 4-3-3 è l’unico modo di dare
pedate a un pallone. n
una delle squadre più
giovani della cadetteria.
Nella Zemangeneration
si mettono in evidenza il
difensore Marco Capuano,
il centrocampista Marco
Verratti. Gli attaccanti
Ciro Immobile (28 gol)
e Lorenzo Insigne (18)
con il più esperto Marco
Sansovini (16) danno vita
al nuovo trio delle meraviglie che ricorda quello del
“Foggia dei miracoli”. Il
Pescara conquista la Serie
A dopo 19 anni, vincendo
il campionato e con il
migliore attacco (90 gol).
Foto: AP/LaPresse
Le interviste in ufficio
Nel 1994 se ne va anche Sdengo, alla Lazio,
poi alla Roma. Diventa «il mago boemo». E
dal ritiro estivo, sulle Dolomiti, nell’estate del 1998, fa partire il missile: «Sono fin
troppo misteriosi i muscoli di Del Piero e
Vialli». Parla di calcio che sta nelle farmacie. Non ha alcuna prova concreta, solo la
sua opinione, ma scatena
la valanga. Quelli che stanNel 1998 fa partire il missile: «Sono fin troppo
no sotto i patiboli a fare
misteriosi i muscoli di Del Piero e Vialli». Parla
la maglia risponderanno:
di calcio che sta nelle farmacie. Nessuna prova,
chissenefrega, aveva ragiosolo la sua opinione, ma scatena la valanga
ne. Aveva ragione, almeno
sull’uso eccessivo di medicinali, ma sul legame tra questi e il doping zione al bar sotto casa. Quando un giornanon è stato trovato nulla. E il processo nato lista (o un amico) ottiene il permesso di
dalle sue parole è finito in prescrizione. intervistarlo lui lo invita ad andare lì: «Ci
Quelli che fanno la maglia diranno: sì, ma vediamo nel mio ufficio».
la Cassazione ha detto che però i pm avevano ragione. Sai che successone, milioni dei Di nuovo sulle rive del Tevere
contribuenti spesi per non arrivare nean- Con gli anni la sua fama si appanna, ma
che a una condanna. Restano un faldone lui non sparisce. Diventa periferico. Pasdi carte e il famoso commento dell’Avvoca- sa da Lecce ad Avellino, dal Fenerbahçe
to: «Zeman? È il nipote di Vycpalek. E noi alla Stella Rossa, con scarsi risultati. Fino
suo zio l’abbiamo salvato dalla Cecoslovac- al 2010-2011 quando, per la serie a volte
chia comunista. Quindi anche lui ci deve ritornano, si ripropone l’accoppiata Casilun po’ di rispetto. Non lo prenderemo mai lo-Zeman a Foggia. Non parte più la Cnn,
come allenatore perché non mi piace il però la faccenda è gustosa. Ma il miracosuo modo di allenare la squadra».
lo non si ripete.
Zeman conclude la sua avventura con
Accade, invece, a Pescara, un anno
la Roma ma la sua ascesa si blocca lì. dopo. Dirompente, seguendo lo stesso
Dall’inizio del terzo millennio non ne schema, con un attaccante, Ciro Immoimbrocca più una. Praticamente cambia bile cresciuto nelle giovanili dell’odiata
squadra una volta all’anno. Come se le Juve (che ne detiene la metà), che fino alla
maledizioni che gli hanno mandato quelli cura Zeman era sospettato di essere un
che ha sfrucugliato avessero edificato un caso conclamato di nomen omen. Invece
cordone attorno a lui. Ma Sdengo tira drit- è mobilissimo e segna 28 gol in 37 partito. Gioca a golf, va in vacanza tra Palermo te, capo cannoniere della Serie B. Si ripee Mazara del Vallo. Vive a Roma, in zona te Zemanlandia: giocatori come ImmobiFleming, e tutte le mattine va a fare cola- le, Insigne, Verratti, Sansovini diventano
L’ITALIA
CHE LAVORA
Gli chef
dei bovini
Dal Mulino Nuovo al mangimificio per vacche.
Dal bisnonno Enrico alla quarta generazione,
passando per Ettore e il presidente Eraldo. La
Ferraroni di Bonemerse e i suoi novantotto anni
tra intuizioni, cadute e una crescita inarrestabile
A
vere fiducia nella propria azienda.
Sempre. «È il mio motto, è stato
quello di mio padre e prima ancora
di mio nonno. E oggi è quello dei miei figli
e nipoti». Eraldo Ferraroni, classe 1934, è
presidente dell’omonima azienda, prossima ai cento anni e arrivata oggi alla quarta generazione. L’età non deve ingannare:
Eraldo è un uomo attento, capace, sa il fatto suo. Il suo ufficio è tappezzato da fotografie e riconoscimenti: da una parte le
immagini del figlio Ettore Giovanni con la
maglia della Cremonese addosso intanto
che rincorre Roberto Baggio o Diego Maradona; dall’altra, targhe e nomine da cavaliere, commendatore, grande ufficiale e
ufficiale. Una vita intensa quella di Eraldo, sempre in giro per lavoro o per passione. «Mia moglie mi chiamava primula rossa perché non mi vedeva mai». Ha avuto
incarichi di responsabilità e prestigio presso la Camera di commercio di Cremona, la
Fiera, l’Associazione industriali, Confartigianato. È stato vicepresidente della Banca Popolare di Cremona e della Cremonese Calcio quando presidente era Domenico
Luzzara e i grigiorossi calpestavano i campi di Serie A e vincevano la coppa angloitaliana allo stadio di Wembley.
La Ferraroni mangimi ha sede a Bonemerse, in provincia di Cremona. Ma la sua
storia è iniziata in un paesino limitrofo, ai
margini del Po: Stagno Lombardo. È il 1914
quando Enrico Ferraroni – nonno di Eraldo – acquista il Mulino Nuovo per iniziare un’attività sua. Enrico lavorava per conto terzi: i mezzadri erano pagati in natura
e parte del frumento ricevuto lo consegnavano a lui perché lo trasformasse in farina.
Nel 1930 i figli Ettore e Annibale –
scomparso prematuramente – affiancano
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il padre e nel 1935 iniziano a commercializzare cereali. È in questi anni che l’attività si sposta a Bonemerse. La Seconda guerra mondiale costringe Ettore al fronte, ma
l’attività prosegue, nonostante le difficoltà
nell’approvvigionamento delle materie prime. Nel 1955 entra in scena Eraldo per aiutare il padre Ettore nella commercializzazione dei cereali. «Prima di accettare l’offerta di papà ho lavorato per qualche anno alla
Vismara di Casatenovo. Produceva mangimi
per animali, io facevo il commerciale. Lì ho
imparato l’arte del mestiere e ho capito che
nel mercato dei mangimi c’era lo spazio per
diventare grandi. Ho chiesto a mio padre di
costruirmi un piccolo impianto per la produzione di mangimi e con quello che producevo e vendevo agli allevatori della zona
riuscivo a ricavarci qualche lira».
L’intuizione di Eraldo è corretta:
dall’inizio degli anni Settanta a oggi il core
business della Ferraroni è diventato la produzione di mangimi. Inizialmente per bovini e suini, poi anche per il settore avicolo. «Ma non è sempre andata bene. Anzi. A
metà anni Cinquanta ho dato fiducia a un
oriundo del paese. Mi sono fatto aiutare da
lui perché aveva buoni contatti nel bresciano. In poco tempo mi ha portato una trentina di clienti a cui abbiamo iniziato a fornire ingenti quantità di mangime. Di quei
30, 28 erano banditi: ricevuta la merce
sono spariti. Per le casse dell’azienda è stato devastante, abbiamo rischiato di fallire.
Mio padre poteva benissimo accompagnar-
mi alla porta, invece no: lui aveva fiducia
nella sua azienda. E aveva fiducia in me. Mi
prese e mi disse che difficilmente ci saremmo ridotti come si era ridotto lui in guerra.
Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo
ricominciato, quasi da zero. Ancora oggi,
dopo cinquant’anni, quando attraverso il
ponte sull’Oglio mi tremano le gambe. È
una cosa che ricorderò finché campo».
Dopo la morte del padre, Eraldo continua l’attività con due cugini: Emilio e
Attilio. Furono anni di grandi sacrifici,
di grande lavoro e impegno personale,
ripagati da enormi soddisfazioni grazie
allo stretto legame che nel
tempo si era instaurato tra
«Ogni anno produciamo 1 milione 100 mila
la famiglia Ferraroni e gli
quintali di mangimi. Il fatturato dal 2007 a
allevatori. «Nel 1972 abbiaoggi è aumentato del 40 per cento. Il record
mo costruito un mangimilo abbiamo fatto nel 2011: 53 milioni di euro» ficio più grande perché le
sono i figli di Emilio: Enrico che è consigliere e responsabile dello stabilimento e suo
fratello Annibale e il figlio di Attilio, Ettore
Carlo, che è vicepresidente».
richieste aumentavano. Siamo passati dalla micro alla media produzione: un passo notevole per la nostra immagine e per
l’impegno richiesto. A quel punto l’attività
molitoria è cessata».
I giovani in campo
Nel 1993 è entrata in campo la quarta
generazione che ha dato un nuovo impulso all’azienda. Nuova linfa e nuove idee
ma sempre nel solco della tradizione e della continuità imprenditoriale che hanno
caratterizzato l’origine. Con i nuovi entrati la diversificazione delle attività di Ferraroni è diventata una vera e propria politica del gruppo. Il commercio di cereali è stato implementato, e sono state aperte due
aziende agricole: la prima ospita 800 vacche di cui almeno 450 in lattazione. Oltre
alla produzione di latte è un centro dove
Il nuovo impianto
Nel 2006 è stata realizzata una nuova torre produttiva, una delle più efficienti in Italia in termini di qualità e quantità del prodotto, e di risparmio energetico. Il ciclo produttivo comincia alle 10 e si
ferma alle 20, ma le intenzioni sono quelle di passare presto a una produzione continua. E nonostante
gli allevamenti in Pianura
Padana siano drasticamente diminuiti. «Il latte non
rende più come una volta,
molti allevatori hanno mollato. Così abbiamo allargato il nostro mercato: vendiamo in tutto il Nord Italia
e abbiamo clienti anche in
alcune regioni del Sud. Per
i mangimi utilizziamo orzo,
frumento, mais, cruscami e
proteici come farina di soia
e integrazioni vitaminiche a
seconda dell’animale a cui è
destinato il prodotto. Tutto
è controllato e selezionato
per ottenere un prodotto di
ottima qualità. Invece, per
la commercializzazione di
frumento e mais compriamo le materie prime all’estero, sopratutto in Ungheria».
In un giorno sono prodotti 5 mila quintali di mangimi e trattati 3 mila quintali di cereali per la vendita.
Tutto grazie al lavoro di 37
dipendenti e una ventina di
camionisti per il trasporto
del prodotto finito.
Sopra, l’azienda Ferraroni mangimi a Bonemerse.
«Un altro problema è la
In alto, da sinistra a destra: Eraldo Ferraroni
tempistica dei pagamenti:
con la quarta generazione; il Mulino Nuovo
gli incassi non arrivano pridi Enrico Ferraroni; una fase della produzione
ma di 160 giorni, mentre le
dei mangimi nel vecchio stabilimento
materie prime vanno pagapoter sperimentare le nuove formulazioni te al momento dell’acquisto o al massimo
di mangimi. La seconda è dedicata all’al- entro 48 ore. Ma nonostante le difficoltà la
levamento di 2.500 suini. Fa sempre parte produzione è sempre aumentata: nel 2011
del gruppo Ferraroni il piccolo laboratorio +8 per cento rispetto al 2010 e nei primi
di Lavorazione Carne Suine di Bonemerse quattro mesi del 2012 +10 per cento rispetsu cui si è deciso di investire per aumenta- to allo stesso periodo dell’anno precedenre la produzione e che sta già dando grandi te. In un anno produciamo 1 milione 100
soddisfazioni: tra i clienti anche 30 punti mila quintali di mangimi e dal 2007 a oggi
vendita Esselunga oltre a un numero sem- il fatturato è aumentato del 40 per cento.
Nel 2011 abbiamo toccato il record storico:
pre crescente di privati.
«Mio figlio Maurizio è amministrato- 53 milioni di euro (+27 per cento rispetto
re delegato, non sta mai fermo, ha sem- al 2010). E la gran parte degli incassi – conpre idee nuove. Ettore Giovanni – ex cal- clude Ferraroni – li reinvestiamo per impleciatore della Cremonese degli anni d’oro – mentare continuamente il nostro business».
è il responsabile del comparto suini. Poi ci Daniele Guarneri
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PER PIACERE
OLANDA VIAGGIO E PERNOTTAMENTO LOW COST
I giardini segreti di Amsterdam
P
er chi si vuole concedere un last minute è il momento per una
fuga in Olanda. Voli economici si trovano su transavia.com
– la compagnia low cost olandese che offre voli diretti anche
da Treviso – o su Ryanair. Se prenotate per il terzo week-end di giugno non perdetevi le giornate dei giardini nascosti. Il 15, 16 e 17
giugno, la parte più misteriosa di Amsterdam svelerà i propri segreti consentendo la visita di 30 giardini privati. Sempre in tema di
piante e fiori nel Sud dell’Olanda, nel Limburgo, fino al 7 ottobre
va in scena Floriade 2012, l’Esposizione internazionale orticola. Si
passeggia tra milioni di bulbi, alberi in fiore, roseti e piante tropi-
TURISMO
MESSICO
Tra sole e mare
vince la cultura
Poggia le basi sulla cultura il successo che sta vivendo attualmente la destinazione Messico. Fino
al recente passato il mercato turistico si basava soprattutto su sole e mare di Playa del Carmen e
della Riviera Maya. I voli venivano operati con charter ora ridotti a causa della crisi. Senza questi il budget necessario per un
viaggio in Messico è più alto. Così, interrotta l’onda lunga della
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cali provenienti da tutto il mondo. Se partite con le amiche prenotate ad Amsterdam nel nuovo “Hostelle”, dove l’accesso agli uomini è concesso solo per un caffè. Inaugurato recentemente, il rifugio
“rosa” dispone di tutto ciò di cui una donna ha bisogno. Camere e
dormitori sono a tema, dalla “Chinese” alla “Fashion Room”; per le
più raffinate, quella di Maria Antonietta ha un lampadario in oro e
tessuti francesi. Prezzi convenienti a partire da 20 euro a persona.
Caterina Gatti
Per informazioni
www.opentuinendagen.nl; www.floriade.com; www.hostelle.com
vacanza sole e mare, la destinazione mantiene numeri interessanti grazie alla proposta culturale che, nel frattempo, è diventata
quella predominante nella scelta. Un prodotto sul quale alcuni
operatori hanno deciso di specializzarsi andando anche alla ricerca di percorsi alternativi ai tradizionali siti archeologici. Intanto il
paese registra numeri in crescita. Nei primi 4 mesi dell’anno sono stati più di 500 mila i turisti che sono sbarcati in Messico
e sull’onda dei ponti di primavera la destinazione ha registrato
un +7,2 per cento rispetto al precedente anno. Il mare del Messico non riscuote più il successo di
un tempo, ma il discorso è diver-
so per quanto riguarda i tour culturali. Gli operatori sono convinti
che non si tratta solo della necessità di un cambio di marcia dovuto alla riduzione dei voli charter.
Quello a cui si assiste è un vero e
proprio cambio di mentalità della clientela, soprattutto di quella americana, stimolata dalla vicenda del calendario maya. La
clientela italiana chiede un viaggio personalizzato che sappia ab-
binare l’aspetto culturale a quello balneare, anche se la maggior
parte dei tour operator, tra cultura e mare, vede vincente, nelle richieste dei clienti, proprio l’asset
della cultura. Una cifra minima di
1.200 euro a persona è da mettere a budget per un pacchetto
di una settimana con volo e soggiorno in un villaggio turistico sulla Riviera Maya. Le cifre crescono abbinando qualche giorno di
tour. Scelta fatta dalla maggior
parte dei clienti e per fortuna per
il Messico perché, per quanto riguarda il prodotto unicamente
balneare, la destinazione soffre la
concorrenza di Cuba e della Repubblica Dominicana.
Walter Abbondanti
NOSADELLO, TRATTORIA VOLPI
In una campagna stile don Camillo
per far riposare fisico e cervello
di Tommaso Farina
I
I FIORI PIù BELLI
Dove acquistare bulbi
Nei Paesi Bassi non cercate fiori solo nei negozi. All’ingresso delle aziende che commercializzano bulbi e fiori si possono trovare
chioschi o semplici scaffali in cui
sono esposti i prodotti in vendita:
vasetti o sacchetti di bulbi, mazzi di fiori, piantine. Ogni articolo è prezzato e c’è un contenitore dove lasciare il denaro. Tutto è
basato sulla fiducia. I prezzi sono
molto competitivi rispetto ai tradizionali negozi di fiori.
AMICI MIEI
BRESCIA
Quinto Happening
delle famiglie
Sulla scia della Giornata Mondiale delle Famiglie, si svolgerà nella
suggestiva sede del museo Mille
Miglia di Brescia il 5° Happening
delle Famiglie dal titolo “Amare
ancora – Genitori e figli nel mondo di oggi e di domani”. Appuntamento dal 15 al 17 giugno per
una tre giorni di incontri, eventi e
spettacoli. Il titolo di quest’anno
è tratto dal libro di don Massimo
Camisasca che sarà presentato
l successo della costanza. E dell’immutabilità. Spesso un menù immutabile è guardato di malocchio dai critici di un ristorante.
Bene, giusto. Ma se il medesimo ristorante ha un’impostazioIN BOCCA
ne popolare, il menù sempre uguale può diventare una sorta di porALL’ESPERTO
to sicuro, una garanzia di bontà. Questo, naturalmente, se chi sta in
cucina ci sa fare. E alla Trattoria Volpi di Nosadello, frazioncina di Pandino (Cremona), siete in ottime mani. Edgardo e Nunzia Volpi da oltre vent’anni hanno lanciato la formula: un menù con non molti piatti, di cui molti sempre presenti, come le “bandiere” delle squadre di calcio. Naturalmente tra inverno ed estate c’è un
minimo di alternanza, ma sostanzialmente nelle stagioni i piatti principali non
cambiano. Così, in questa bella sala linda, raffrescata da un giudizioso climatizzatore, dopo un appetizer di frittata alle erbe o di salame crudo, potrete cominciare
col tortino di erbette alla fonduta di Salva cremasco (un raro stracchino duro locale), leggero e ghiotto. Oppure, col misto di salumi locali, o con la battuta di manzo.
Di primo, c’è un piatto memorabile, in carta da tanti anni: i ravioloni di
coniglio al burro versato. Sono una specie di manifesto di casa Volpi: pasta
sottile ma rugosa, ripieno compatto e morbido. In alternativa, pappardelle con verdurine e anitra; gnocchi al mascarpone (altro classico); o uno stagionale risotto agli asparagi e basilico. Tra i secondi, la bandiera è la gallina
disossata e ripiena di funghi e salsiccia con mostarda di Cremona: d’estate
è proposta fredda. Se no, il vitello tonnato; il ghiotto, morbidissimo maialino
di latte laccato al miele; l’orata in crosta
di zucchine.
Per dessert, si chiude con la tradizionale “sabbiosa” al mascarpone, o
IL VINO
con altri dolci golosi. Cantina di buoChianti Berardenga 2009
na selezione. Servizio ottimo. Prezzo
Vi proponiamo oggi un Chianti classico
basso: 35-38 euro. A pranzo in settimaBerardenga 2009 (Fattoria di Felsina).
na c’è addirittura un menù (facoltativo) da
Di colore granato con riflessi aran10 euro. Si sta bene. E la campagna circocio. Al naso sentori di frutta rossa
e menta. È leggermente speziato,
stante, in stile don Camillo, è riposante per
in bocca intenso, pieno e suadenfisico e cervello.
te con buona acidità. Finale lungo con una nota di fiori secchi e
tannini perfettamente integrati. Si abbina ottimamente con
carne alla fiorentina, manzo in
casseruola, arrosti e selvaggina.
Ottimo anche con formaggi pe
corini molto stagionati.
Carlo Cattaneo
da padre Jonah Lynch (vicerettore del seminario della Fraternità sacerdotale dei missionari di
san Carlo Borromeo). Don Camisasca scrive: «La famiglia è veramente una delle frontiere decisive della vita dell’uomo, una
frontiera difficile oltre che necessaria. In essa si incontrano le
questioni fondamentali dell’esistenza: l’amore, l’autorità, la fecondità, la tradizione, cioè il passaggio dal passato al futuro, che
costituisce il nucleo fondamentale della vicenda storica». Da ricordare lo spettacolo “Lazzaro,
vieni dentro!” con Carlo Pastori
e Marta Martinelli che andrà in
scena venerdì 15 alle ore 21.30.
Sarà allestita la mostra “Nessu-
Per informazioni
Trattoria Volpi
Via Indipendenza, 34 – Frazione Nosadello
Pandino (Cremona)
Tel. 037390100
Chiuso domenica sera e lunedì
no genera se non è generato –
Alla scoperta del padre in Omero, Dante, Tolkien” e il tutto sarà
chiuso con la grande festa finale di Domenica 17 Giugno con la
Blood Brothers Band.
LIBRI
Come l’arte serve
la poesia e viceversa
«È un libro sconclusionato per gli
storici, strambo per i critici». Davide Rondoni, sanguigno poeta
bolognese, introduce così la sua
personale prova del fuoco, della poesia e dell’arte. E lo fa a suo
modo: scrivendo Nell’arte, vivendo, edito dai tipi di Marietti 1820
(140 pagine, 22 euro) e introdotto dalla critica d’arte Beatrice
Buscaroli. Un libro corposo, che
su una traduzione in incipit da
Charles Baudelaire – I fari, ovvero chi mostra la strada da seguire – innesta via via inserti poetici
che rappresentano illuminazioni, visite, opere d’arte di pittori
e scultori più o meno conosciuti,
da Francis Bacon ad Arturo Martini, da Hubert Van Hyke a Lorenzo Lotto. Rondoni individua
così quelle occasioni che costituiscono il livello primordiale da
cui sgorga la parola, la poesia, la
preghiera. Un’eccezionale esempio di come l’arte può servire la
poesia, e la poesia l’arte.
Daniele Ciacci
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GREEN ESTATE
OPERA DI MENTECATTI
CINEMA
Le parole che ingannano
La mia vita è uno zoo,
di Cameron Crowe
Film positivo ma
troppo prevedibile
di Paolo Togni
M
sulla mia rubrica, mi
è caduto l’occhio su una postilla ormai abbastanza usuale nella corrispondenza elettronica: l’invito a non stamPRESA
pare il messaggio se non strettamente necessario. Con l’aggiunta:
D’ARIA
«Non stampando questo messaggio eviti l’immissione in atmosfera di 1,7 chilogrammi di carbonio». Parlando con un’amica, donna
peraltro di buone letture, intelligente e informata, ho appreso che
nel far la spesa non compra i prodotti col migliore rapporto qualità/prezzo, ma quelli prodotti in Italia, alla minor distanza da Roma, possibilmente biologici perché «sono più sicuri e più buoni».
Poiché non emettere carbonio non serve assolutamente a niente;
dato che i cibi biologici espongono a notevoli rischi per la salute e
costano di più; e poiché i cibi migliori sono quelli coltivati bene, a
prescindere da dove, e con le opportune concimazioni e disinfezioni, tutti e due questi episodi testimoniano quanto le parole d’ordine diffuse da mascalzoni e ripetute da
mentecatti abbiano fatto breccia nel comune pensare delle persone, anche di quelle
intelligenti e preparate. E purtroppo anche di molti tra quelli, per lo più poco intelligenti e pochissimo preparati, che ci governano.
Ho riferito questi due episodi come sintomo di una situazione ormai deteriorata
e probabilmente irreversibile, nella quale anche le persone colte e informate si sono
abbandonate alla comoda accettazione del pensiero politicamente corretto (ma non è
meglio dire “conformismo”?), questa melma infetta e mefitica nella
Ma non ce l’aveva già insegnato
quale nessuna autonomia di giupadre Dante che siamo fatti “per
dizio resiste, nessuna valutazione
seguir virtute e canoscenza”?
razionale è ammessa; nella quale
Ragionare con la nostra testa,
l’opinione eterodossa è una bestemscegliere quello che a noi pare giusto
mia, e voler esprimere giudizi basati su coscienza e conoscenza critie il giudizio appropriato da dare
ca è considerato un reato grave. Ma
non ce l’aveva già insegnato il padre Dante che siamo fatti “per seguir virtute e canoscenza”? E che dobbiamo esser uomini, non “pecore matte”: ragionare con la nostra
testa, scegliere quello che a noi, a noi, non a qualunque imbecille che passi il tempo a
dire o scrivere parole utili solo a fargli campare la vita, paia il comportamento giusto
da tenere, il giudizio appropriato da dare. E pensare che le responsabilità per i nostri
comportamenti ci verranno attribuite in ragione delle decisioni che avremo prese, e
seguire acriticamente quel che altri dicono significa consegnarsi a loro, forse dover
in futuro scontare la pena di scelte non fatte. Non ho parlato della responsabilità dei
media in questa questione, ma non mancherà l’occasione in futuro.
[email protected]
entre scorrevo i commenti dei lettori
HUMUS IN FABULA
RICICLO RAEE
Cevoli, Albertino e la
raccolta differenziata
Martedì 19 giugno alle ore 18,
presso il Teatro Litta di Milano
Paolo Cevoli, comico romagnolo e Albertino, dj storico di Radio Deejay interverranno all’evento “Rifiuti si è, risorse si diventa!”,
un appuntamento interamente
dedicato al tema della salvaguardia ambientale per sensibilizzare i cittadini sul tema della raccolta differenziata e per educare
le giovani generazioni al rispetto
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dell’ambiente. Cevoli e Albertino
dialogheranno insieme a Ecodom,
il Consorzio italiano di recupero
e riciclaggio degli elettrodomestici, sulle piccole azioni quotidiane da adottare per contribuire a
diminuire i rifiuti abbandonati e
sull’importanza del riciclo. Ecodom racconterà come dai rifiuti
di apparecchiature elettriche ed
elettroniche sia possibile ricavare
ferro, alluminio, rame e plastica
da reinserire nel ciclo produttivo. Interverranno anche Pierfrancesco Maran assessore alla Mobilità, ambiente, arredo urbano
e verde del Comune di Milano;
Andrea Poggio vicedirettore Legambiente Onlus; Sonia Cantoni
presidente di Amsa.
Un manager, vedovo e
con due figli da tirar grandi, decide di dare vita a un
vecchio zoo.
Piccolo film positivo ma anche molto ovvio ed ecces-
sivamente semplice. È il difetto maggiore di tutti i
film di Cameron Crowe, eccezion fatta per il bel Quasi famosi. Gli altri – ma Vanilla Sky con Tom Cruise
era inguardabile – avevano
una storia bella, tanti spunti carini mai approfonditi
a dovere. Così erano Elizabethtown e Jerry Maguire, così è La mia vita è uno
HOME VIDEO
John Carter,
di Andrew Stanton
Una mezza delusione
Dall’800 sul pianeta Marte, per
diventare un grande guerriero.
Sulla carta un film che “spacca”. Tratto dalla saga Barsoom
scritta da Edgar Rice Burroughs, l’autore di Tarzan ma anche
l’ispiratore di tanta sci-fi, Star
Wars e Avatar inclusi, il film diretto dal regista di Alla ricerca di Nemo è una mezza delusione. Visivamente piatto e con
un interprete poco carismatico, narrativamente difficoltoso:
sembra tanto uno schematico
bigino di tutto il cinema di fantascienza degli ultimi trent’anni.
COMUNE DI MIILANO
Il “Patto dei sindaci”
per una vita più sana
Il Comune di Milano ha rinnovato la propria adesione al “Patto
dei Sindaci”: un impegno concreto per l’adozione di una strategia
a favore dell’efficienza energetica e dello sviluppo sostenibile. La
Giunta ha convalidato la precedente adesione del 2009, nel ri-
spetto delle linee guida per l’adesione al “Covenant of Majors”
(“Patto dei Sindaci”) predisposte dall’Unione Europea. Spetterà poi al Consiglio comunale dare
l’approvazione finale. Il “Patto dei
Sindaci” è un programma capace di coinvolgere gli attori locali e
regionali ai fini del perseguimento degli obiettivi europei. È considerato dalle istituzioni europee
come un valido modello di governance. Risparmio energetico, un
ambiente e una qualità della vita
più sani, un’accresciuta competitività economica e una maggiore
indipendenza energetica sono tra
i risultati concreti raggiunti dalle
città che, in Europa, hanno aderito al “Patto dei Sindaci”.
STILI DI VITA
INSIEME AL PARCO NORD
zoo. Parte da una domanda
da far tremare i polsi: come
può un padre dare speranza
a dei figli che hanno appena
perso la madre? Crowe dirige bene gli attori (Matt Damon è il più bravo di tutti),
evita le trappole del sentimentalismo ma il film stenta a emozionare a causa di
troppe svolte prevedibili e
soprattutto per la mancan-
za di un reale antagonista,
un “cattivo” odioso necessario in film di questo tipo.
È confezionato bene, ha le
musiche giuste: un prodotto non mediocre ma molto
“medio” che scorre via troppo semplice e di cui ci si dimentica quasi subito.
visti da Simone Fortunato
SPORTELLO INPS
In collaborazione con
DOMANDA & RISPOSTA
Tutto quello che
bisogna sapere
Calcolo della pensione
Sono nato il 20 marzo 1959. Ho
cominciato a lavorare l’1 giugno
1975 nel periodo estivo, mentre
ancora andavo a scuola, fino al 31
agosto 1975 (avevo 16 anni e 3
mesi). In modo continuativo, invece, dall’1 ottobre 1976 fino a oggi
(da quando avevo 17 anni e 7 mesi). Quando potrò andare in pensione? Con che metodo di calcolo?
Franco C.
invia il tuo quesito a
[email protected]
In bicicletta da
papa Ratzinger
Sopra, il regista
Cameron Crowe
Gentile signor Franco, dai dati
che ci fornisce possiamo dire che
lei alla data del 31/12/995 aveva
raggiunto i 18 anni di contributi, quindi il metodo di calcolo pensionistico sarà con le regole del
retributivo sino al 31/12/2011 e a
partire dall’1 gennaio 2012 seguirà le regole del sistema contributivo. La data del raggiungimento
dei requisiti è luglio del 2021.
Svolgo attività lavorativa permanente in Olanda. Inizialmente ho
lavorato diversi anni in Italia. Devo fare qualcosa di particolare
per evitare di avere problemi nei
conteggi dei contributi prima di
andare in pensione?
Lorenzo M.
di Annalena Valenti
S
ai quanti dei miei
amici sono venuti dal Papa? L.
MAMMA
è arrivato in bicicletta,
OCA
S. ha fatto 12 chilometri a piedi, la C. è arrivata in metro e poi
4 chilometri a piedi e ha portato suo fratellino nel passeggino. È venuta tutta la
quinta. Quanta gente c’era? Un milione?
Praticamente tutta la scuola. (Sì Giò, più
qualche altro migliaio di migliaio da tutto il mondo). Allora noi siamo stati fortunati, solo 22 chilometri in bicicletta, e tu
sei stata brava per essere 15 anni che non
pedali e anche la A., ha appena tolto le rotelle, anche se suo fratello mi ha detto che
l’ha allenata. Ma perchè vogliono tutti vedere il Papa? Perché arrivano dall’Africa?
Sai che M. ha ospitato una famiglia del Canada? Quelli davanti a noi sono dell’Ecuador, e quella è la bandiera della Baviera e
quelle sono inglesi e quella nuova della Libia e dietro a noi sono messicani. E hai visto i bei vestiti di quelle bambine africane
e indiane? Ma perchè sono tutti contenti? Domande di bambino, antiche, come
di chi ha già visto in altri tempi muoversi il popolo cristiano. «“Che allegria c’è?
Cos’hanno di bello tutti costoro?” Erano
uomini, donne, fanciulli, a brigate, a coppie, soli; e andavano insieme, come amici
a un viaggio convenuto. Gli atti indicavano manifestamente una fretta e una gioia
comune. Guardava, guardava; e gli cresceva in cuore una piú che curiosità di saper
cosa mai potesse comunicare un trasporto uguale a tanta gente diversa». Papà nel
2015 andiamo a Filadelfia?
mammaoca.wordpress.com
Per verificare la sua posizione
contributiva in Italia potrà richiedere un estratto conto certificativo presso la sede Inps di appartenenza. L’estratto contiene
la descrizione analitica delle registrazioni contributive esistenti a suo favore. Controlli la sua
posizione contributiva e segnali
eventuali inesattezze o anomalie.
Facendo ciò si ritroverà una situazione chiara nel momento in cui
ci richiederà la pensione e questo
accorcerà i tempi di erogazione
della prestazione.
Ho pagato 43 su 120 rate per il riscatto della laurea di mia figlia. Il
riscatto è stato richiesto sulla base
della legge Prodi a riguardo. Mia
figlia ha attualmente 32 anni e ha
lavorato per tre/quattro anni circa.
Mi conviene continuare a pagare?
Posso richiedere il versato?
Giulio S.
Il riscatto degli anni di laurea
consente sia di incrementare la
contribuzione utile che di raggiungere in maniera anticipata i
requisiti per la pensione. È possibile in ogni momento interrompere il pagamento dell’onere da riscatto se questo è effettuato in
modo rateale. In caso di interruzione del pagamento, il periodo
riscattato sarà valorizzato in proporzione all’importo versato. Non
è possibile invece ottenere il rimborso di quanto già versato.
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MOBILITÀ 2000
DI NESTORE MOROSINI
DALLA VOLVO UN NUOVO CAVALLO DI BATTAGLIA
V40, anche un airbag
per salvare i pedoni
L
Volvo V40 – che giungerà sui
mercati a settembre – sostituisce, in
un colpo solo, la C30 e la V50 proponendosi come un nuovo cavallo di battaglia in un settore popolato da temibili
concorrenti come Audi A3, Bmw Serie 1,
Mercedes Classe A e, in Italia, anche Alfa
Romeo Giulietta.
L’impostazione da berlina è quasi mascherata da una coda spiovente che impedisce di dividere in modo classico i tre
volumi tradizionali. Gli interni sono disegnati con un occhio all’ergonomia e uno
allo stile scandinavo. Ottimo il materiale
superiore della plancia mentre è davvero
rigida la plastica nei pannelli delle porte
e a lato del tunnel centrale. Il bagagliaio,
con un doppio fondo sotto il piano di carico, ha una capacità, non eccezionale, di
335 litri. Tra le novità di rilievo c’è la strumentazione digitale.
Sopra le teste dei passeggeri c’è un ampio tetto panoramico che dà luminosità
agli interni che di sera possono essere illuminati con diverse colorazioni a seconda
a nuova
Nella dotazione tecnologia
della Volvo V40 c’è il parking
automatico. Sopra, la plancia
della vettura (foto in alto)
e il tetto panoramico
dell’umore del guidatore. Per un marchio
che fa della sicurezza la sua bandiera non
mancano molti equipaggiamenti, di serie
e in opzione, che la migliorano in senso
attivo e passivo. Inedito l’airbag per i pedoni, che fuoriesce dal cofano e va a coprire parte del parabrezza.
Ci sono, inoltre, la frenata automatica sino a 30 km/h per evitare di investire gli stessi pedoni, un nuovo airbag per
le ginocchia, il debutto di sensori che avvisano del sopraggiungere di altri veicoli mentre si esce in retromarcia dal par-
cheggio. Senza contare cruise control
adattivo che non si disinserisce nelle fermate in coda, il dispositivo di mantenimento della corsia e l’avvisatore della
presenza di veicoli nell’angolo morto degli specchi retrovisori.
La Volvo V40 monta motori a 4 e a 5
cilindri, benzina e diesel. Tra questi ultimi spicca l’ecologico 1.6 quattro cilindri
turbo che dichiara un consumo medio di
appena 3,6 litri ogni 100 chilometri. Non
brilla per prestazioni (115 cavalli), ma è
perfetto per chi ama viaggiare tranquillo.
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UN ALTRO MONDO
è POSSIBILE
BLANCA E LA COMPAGNIA DI DIO
«Il lungo cammino
che mi ha portata
dritta all’altare»
di Aldo Trento
D
a quando la Divina Provvidenza ha messo “mano all’opera” in favore dei malati terminali, soli, abbandonati o rifiutati
dalle cliniche o i mendicanti della strada, quasi tutti malati di Aids, non mi sono mai stancato di dire ogni giorno: se le opere di carità che
la Divina Provvidenza ha costruito, per coloro
che secondo il mondo non valgono niente, non
ci aiutano a conoscere, amare, servire e annunziare Cristo, preferisco che si concludano. Non
sono venuto in Paraguay con un progetto né
con l’ipotesi di costruire ciò che ora esiste. Anzi, se avessi saputo ciò che Dio aveva in mente,
avrei probabilmente detto di no. Sono venuto
in Paraguay per un altro motivo, inviato da don
Giussani. Non sapevo cosa mi aspettasse.
Per quindici anni il mio unico impegno è stato quello di trovare me stesso. Dopo quindici anni di “passività”, passati a gridare, a supplicare il Signore che mi desse la grazia di dire
“Io”, sono fiorite le opere che hanno visto come
protagonista una compagnia che si è formata
tra di noi, sacerdoti e laici impegnati. Per questo motivo l’unico scopo della Clinica e delle altre opere è quello che chi arriva incontri Cristo.
Mi commuove vedere come non ci sia giorno in
cui qualcuno non si dedichi totalmente a Cristo.
Durante questi otto anni di costruzione della
Clinica (l’attuale) sono andate in Paradiso più
di mille persone, tutte morte con il nome di Gesù sulle labbra. Credo che non esista opera più
grande che quella di accompagnare un paziente terminale nel suo incontro con Cristo. Oltre
a questa, c’è un’altra occupazione, non meno
importante. Molte persone, sia malati sia gente
che lavorava con noi, vivevano in concubinato
e durante questi anni hanno chiesto di ricevere il Battesimo e gli altri Sacramenti. In particolare le persone impegnate nel lavoro con noi
hanno voluto sposarsi nella Clinica, circondate
dai malati terminali. La testimonianza che segue è un esempio commovente di un cammino
educativo che è sfociato nell’ultimo matrimonio celebrato qualche tempo fa.
Se un ospedale o qualsiasi opera non è il frutto della passione per Cristo e un cammino educativo per poter dire «Tu, o Cristo mio», non solo non resisterebbe all’usura del tempo, ma non
sarebbe neanche utile per gli ammalati. La Clinica esiste prima di tutto perché i pazienti riconoscano Gesù e affinché possano morire “in pace”,
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|
POST
APOCALYPTO
Nella foto,
il matrimonio
di Blanca nella
cappella della
nuova Clinica
come affermano i malati coscienti della morte prossima. A cosa serve un ospedale se non
è chiaro questo punto? Servirebbe solo per posticipare per un po’ di tempo la morte, mentre
lo scopo di ogni Clinica è quello di sperimentare
quello che recitiamo nel Credo: «Propter nos homines, et propter nostram salutem descendit de
coelis». E la parola salute abbraccia tutto l’umano, tutta la realtà nella quale viviamo, oltre alla salvezza eterna. La parola “salute” nella mia
esperienza indica un presente che accade e salva la totalità dell’umano, mentre la parola “salvezza” indica lo scopo della vita.
[email protected]
M
olto prima di arrivare nella Clinica
della Divina Provvidenza ho sofferto di un grave problema di salute. Ero
molto distante da Dio ed è stata proprio la gente di Chiesa quella che più mi ha aiutata ad an-
«Quando ho conosciuto il mio futuro
marito chiedevo sempre al Signore che
se questa persona fosse stata un motivo
per allontanarmi da Lui avrei preferito
che ci separasse. Invece, dopo due anni
ci siamo sposati. Dio è il pilastro della
nostra vita, del nostro matrimonio»
venuta senza informarmi se avrei ricevuto denaro o meno, perché l’unica cosa che avevo dentro
di me era un grande bisogno di venire qui.
Ciò che mi ha impressionata di più è stata la
bellezza della parrocchia e della Clinica in particolare, un luogo talmente bello che mi parlava della presenza di Dio tra di noi. Quando ho
visto il Santissimo Sacramento esposto mi sono resa conto che il Signore mi stava chiamando a intensificare la mia relazione con Lui e da
quel momento non mi sono più allontanata da
Dio. Ho iniziato a chiedergli senza stancarmi che
mi aiutasse a capire cosa volesse da me. Dopo
quattro anni di lavoro in questo luogo, ho conosciuto il mio futuro marito che stava lavorando
alla costruzione della nuova Clinica. Avevamo
in comune entrambi il fascino per questo luogo
e io chiedevo sempre al Signore che se questa
persona fosse stata un motivo per allontanarmi
da Lui avrei preferito che ci separasse.
Figli di padre Aldo
dare avanti. Loro mi venivano a trovare e mi invitavano in una comunità vicino a casa mia. Ho
cominciato a riavvicinarmi a Dio, a interessarmi, perché volevo conoscerlo, ad andare in chiesa per confessarmi, per partecipare alla Messa.
Ho deciso di separarmi dal padre dei miei figli e
iniziare un percorso dentro la mia comunità. Un
giorno un’amica, che lavorava già da molto tempo nella parrocchia di San Rafael, mi ha detto che nella Clinica c’era un lavoro per me. Sono
Questo ragazzo voleva formare una vita con me,
voleva diventare mio sposo. Vedeva il sacrificio
che facevo per i miei figli, come parlavo di Dio
e di quello che imparavo giorno per giorno nelle
omelie e nelle catechesi di padre Aldo. Ci siamo
conosciuti e frequentati fino ad arrivare a decidere di sposarci. Padre Aldo è stato felice di ricevere questa notizia e noi due ci siamo messi
nelle sua mani. Anche se il mio fidanzato aveva
molta fretta di sposarsi, padre Aldo ci ha detto
di avere pazienza, di aspettare, perché ci avrebbe sposati nella cappella della nuova Clinica, una
volta terminata. Ci ha promesso che saremmo
stati la prima coppia a inaugurarla e ci siamo
sentiti abbracciati e ansiosi all’idea che giungesse quel momento. Dopo due anni di preparazione al matrimonio, siamo arrivati, domenica
4 marzo, convinti del perché e per quale scopo
fossimo lì. Dio sarebbe stato da quel momento il
pilastro della nostra vita, del nostro matrimonio.
È stata una serata speciale, Dio sa veramente
come fare le cose. Il suo tempo non è il nostro.
Quel giorno si è compiuta la promessa. Mi sono
sentita in famiglia, come in casa, e anche i nostri parenti hanno percepito la stessa comunione, la presenza di Cristo in questo luogo. È stato
più importante ciò che hanno visto con i loro occhi che tutto quello che gli avevo raccontato. I
giovani volontari della Clinica ci hanno dedicato
una serenata: è stato tutto molto familiare. Durante la Messa si celebrava anche il battesimo
del bimbo della Casa “Chiquitunga”, luogo di accoglienza per adolescenti incinte. Ci siamo tutti
riuniti come se fossimo parte di una grande famiglia. Tutto quello che ha detto padre Aldo durante la Messa mi ha commossa molto, ma una
delle frasi che mi ha più colpita è stata quando
ha detto che il mio futuro marito non solo aveva
partecipato alla costruzione materiale della nuova Clinica, ma soprattutto alla costruzione della
sua vita. Ci siamo sentiti entrambi figli di padre
Aldo: parlava a ognuno di noi e ci faceva capire
che per lui è molto più importante che i suoi figli
si costruiscano la loro vita piuttosto che tutte le
opere che possono sorgere.
La morte di Hipólito
Ringrazio padre Aldo per essere sempre un “papà” per noi, una guida spirituale sicura. La sua
testimonianza di vita nelle opere, ci ha spinti a
metterci nelle sue mani. Vederlo ci permette di
credere in quello che dice e fa. È grazie alla formazione che ho ricevuto giorno dopo giorno che
il matrimonio è diventato per me una necessità.
Un altro fatto importante successo durante il
matrimonio è stata la morte di Hipólito, un paziente della Clinica. Solo qui si può vivere abbracciando la gioia e il dolore. È stato molto
significativo per me, perché noi due in maniera diversa stavamo ricevendo una benedizione
dall’alto. Quando l’ho saputo ho avuto la certezza che dal Paradiso lui avrebbe vegliato sul mio
matrimonio, lui sarebbe stato il mio angelo.
Ricordo che una volta Hipólito mi ha aiutata
a vivere la realtà. Una sera sono entrata nella sua stanza per salutarlo, perché sarei andata
qualche giorno in vacanza e lui mi ha chiesto di
portargli ad aggiustare un suo vecchio orologio. Gli avevo risposto che non ci sarei stata nei
giorni successivi, ma subito mi sono ricordata
che era Cristo che me lo stava chiedendo, quindi ho preso l’orologio, l’ho portato ad aggiustare e sono ritornata in Clinica durante la mia
vacanza. Hipólito era felice, mi ha ringraziato
molto e mi ha benedetto perché stavo per sposarmi. Il giorno del mio matrimonio ho vissuto
tutto ciò che Dio ha preparato, un cammino secondo la sua volontà. Sono grata a padre Aldo
per tutto e chiedo al Signore che non si stanchi
mai. Lo ringrazio per averci formati, perché
il tesoro più prezioso che abbiamo in Clinica
è la formazione, cioè la catechesi settimanale
che presto o tardi trasforma i nostri cuori.
Blanca
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L’INTERVISTA
PERCHÉ SIAMO NEL MIRINO
E vi stupite
se il potere
ci odia?
Per Ettore Bernabei il nostro tessuto economico
e civile dimostra che la dottrina sociale cattolica
funziona. «Ma il sistema che si presume autonomo
in forza della sua scienza e del denaro si allarma
di fronte a una realtà irriducibile come la Chiesa»
di Ubaldo Casotto
E
ttore
Bernabei è inequivocabilmente
cattolico, ma c’è una parola del voca-
bolario cattolico che non riesce a
digerire: miracolo. Crede nei miracoli, ma
quello che «all’estero, nel mondo anglosassone hanno chiamato “miracolo italiano” non era un miracolo, era frutto di una
politica fondata sulla dottrina sociale della Chiesa; l’hanno chiamato miracolo perché non credevano che fosse possibile, non
credevano ai loro occhi, ai capitalisti convinti dell’assioma di Weber non tornavano i conti, una nazione cattolica, governata da cattolici non poteva dare – questo era
il pregiudizio – ai propri cittadini benessere e libertà».
Il nostro incontro con lui prende spunto dal suo libro L’Italia del “miracolo” e del
futuro (intervista a cura di Pippo Corigliano, Cantagalli) e ruota intorno a questa
contrapposizione tra un sistema capitalista e mercatista già in crisi e in via di progressiva finanziarizzazione, espressione di
ambienti laici internazionali, e l’esperienza di un’economia mista pubblico-privato che pone al suo centro il bene comune anche come benessere diffuso, frutto di
un’elaborazione del cattolicesimo politico,
che «ha portato l’Italia negli anni Sessanta
a essere il quarto paese più ricco del mondo, davanti alla Gran Bretagna».
Bernabei ci riceve a Roma, nella sede
della Lux Vide (una delle società europee
più importanti per produzioni televisive, cinematografiche e di animazione), a
poche centinaia di metri dal palazzo del-
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la Rai di viale Mazzini, di cui fu direttore generale dal 1961 al 1974, prima di
diventare presidente dell’Italstat (finanziaria capogruppo dell’Iri).
Nel suo libro corre un fil rouge nella lettura che lei dà della storia del Novecento,
l’elemento anticattolico, perché?
Perché c’è. Anticattolico o antireligioso. Non mi sono inventato io il sostegno
di circoli finanziari occidentali a Lenin,
ospitato e mantenuto in Svizzera e a Capri
come un principe zarista prima di essere portato con un treno piombato, in pieno conflitto, attraversando tutti i fronti, a San Pietroburgo. Le sue prime azioni furono contro le chiese, i sacerdoti, le
monache. Impiantò in un paese di contadini credenti e grandi lavoratori l’ateismo
teorico, dopo che in Occidente il capitalismo aveva condotto all’ateismo pratico
le grandi masse di operai inurbati. Che
la Prima guerra mondiale avesse come
obiettivo, e come risultato, l’eliminazione della grande monarchia cattolica degli
Asburgo e del suo impero è un dato di fatto. Lo stesso tentativo avvenne in Spagna,
dove le Repubblica di Juan Negrín, oltre
all’appoggio politico del Fronte popolare
di Léon Blum, a quello militare dell’Unione Sovietica, godeva dei finanziamenti
delle banche inglesi, era un fronte eterogeneo unito – scusi il bisticcio – da un credo ateista.
Lì però vinsero i cattolici e un certo Francisco Franco…
Che non si fece scrupoli di perseguitare i cattolici che gli si opponevano. Li
difese l’arcivescovo Montini con un libret-
to che gli stava costando caro. Il cardinale Ottaviani lo voleva inserire nell’indice
dei libri proibiti e il Diritto canonico del
tempo prevedeva che l’autore di un libro
finito all’indice venisse ipso facto sospeso
a divinis. Ma monsignor Dell’Acqua, che
aveva sostituito Montini in Segreteria di
Stato, avvertì Pio XII delle intenzioni del
Sant’Uffizio e non se ne fece nulla.
«Mi fanno ridere i titoli dei giornali: “Le Borse
bruciano 200 miliardi”. Le Borse non bruciano
soldi, li trasferiscono, da chi li ha guadagnati
con il lavoro a chi li accumula con la finanza»
netici inglesi di inizio secolo. Né lo era
Mussolini, che però aveva, come dire, troppi preti in casa, e si barcamenò. Il Concordato fu uno sgarro per i suoi amici inglesi,
un sgarro sopportato. Poi la storia ha preso altre pieghe.
Perché i fautori del libero scambio, della
ricchezza dei popoli, del mercato dovrebbero avercela con il cattolicesimo? Non
era un ottimo instrumentum regni?
hanno portato nei conti delle società acquisite i debiti
precedenti dei nuovi padroni. E poi gli attacchi speculativi. Mi fanno ridere i giornali quando titolano “Le Borse bruciano duecento miliardi”, le Borse
non bruciano soldi, li trasferiscono, da chi
li ha guadagnati con il lavoro a chi li accumula con la finanza.
La rivoluzione non è un pranzo di gala.
Non lo sono neanche il capitalismo, la
concorrenza, il libero mercato…
C’è un problema culturale di fondo:
qual è stata l’origine di un sistema economico misto che ha prodotto ricchezza,
O Dio o Mammona. E il potere del benessere e libertà? La dottrina sociale deldenaro, la finanza, tende a prevalere sul- la Chiesa. La quale, aggiornata oggi nei
la politica e sull’economia. In questo senso princìpi di solidarietà e sussidiarietà, può
il caso italiano ha rappresentato veramen- produrre un’economia che ci porti fuote un’anomalia da destabilizzare. Negli ri da questa crisi. Non ci si stupisca degli
ultimi 150 anni la Chiesa cattolica è sta- attacchi alla Chiesa; certo, si presta il fianta di fatto ignorata dalla storiografia, fos- co con gli scandali come la pedofilia e con
se di indirizzo sovietico, progressista o le lotte interne, ma il mondo che si predi stampo illuminista, se non per venire sume autonomo in forza della sua scienaccusata di esser l’origine di ogni oscuran- za e del suo denaro si allarma di fronte a
tismo e arretratezza. Ora, nel paese catto- un potere irriducibile a sé. La crisi che stiamo vivendo è un ulteriore sussullico per antonomasia – dove ha
to della crisi del sistema capitalisede il papa – uscito distrutto
NOVITÀ
stico che si trascina da un secolo.
dalla guerra, senza materie priGli ultimi papi ne sono stati tutme, con un evanescente apparati coscienti: lo fu in modo estreto amministrativo ereditato dal
mamente lucido Paolo VI; lo fu
fascismo, un cattolico trentino,
Giovanni Paolo II quando disse:
Alcide De Gasperi, dà vita a un
«Dobbiamo ringraziare Dio per
esperimento politico che apre
la caduta del comunismo. La crisi
la strada a un gruppo di “profesmondiale non è finita e coinvolge
sorini” (Fanfani, La Pira, Moro),
ormai il sistema capitalistico. A
come li chiamarono, che sulla
voi toccherà di vedere la fine del
base della dottrina sociale coin- L’ITALIA DEL
capitalismo di speculazione e di
volge anche i partiti laici e con “MIRACOLO”
E DEL FUTURO
degenerazione finanziaria»; lo è
l’apporto di tutto il paese, mano- E. Bernabei
dopera e imprenditori, costrui- (con P. Corigliano) Benedetto XVI quando ammonisce che «la crisi finanziaria monsce il più clamoroso caso di svi- Cantagalli
diale ha dimostrato la fragilità
luppo del Dopoguerra a tassi di 16,50 euro
dell’attuale sistema economico
crescita superiori a quelli degli
Stati Uniti, della Francia e dell’Inghilter- (…) e l’erroneità dell’idea secondo la quale
ra. Chi ricava ricchezza dalla finanza non il mercato sarebbe in grado di autoregolarpuò non vedere tutto ciò come un perico- si indipendentemente dall’intervento pubblico e dal sostegno dei criteri morali».
loso concorrente.
Un concorrente da destabilizzare…
Trame vaticane? Corvi?
Mi fanno ridere gli attuali scopritori
di convulsioni Oltretevere. La Chiesa le ha
sempre superate, ed è andata avanti.
Torniamo al filone anticattolico del Novecento.
Non era certo credente Hitler, che ereditò e continuò portandoli a estreme e spaventose conseguenze gli esperimenti euge-
Bisogna chiedersi perché la contestazione giovanile e operaia in altri paesi è
durata due anni e in Italia dodici, perché è
sfociata nel terrorismo, sino all’uccisione
di Moro, perché in certi anni il fenomeno
della mafia è cresciuto esponenzialmente, perché la Sicilia divenne il centro mondiale degli stupefacenti, perché due partiti
– certo gli scandali c’erano, ma non c’erano i presupposti dell’autodissoluzione della Dc e del dissolvimento del Psi – sono stati azzerati dall’azione delle procure e dal
giustizialismo propalato a piene mani dai
media. Bisogna chiedersi perché le privatizzazioni che dovevano portare denaro
fresco dei privati nelle casse dello Stato
La Chiesa che ricorda alla politica e
all’economia la centralità della persona
umana e dei suoi diritti, per chi ricerca
solo il profitto sarebbe allora un ostacolo, una presenza da indebolire?
C’è stato un viaggio molto importante di Benedetto XVI, quello in Inghilterra. Il riavvicinamento con gli anglicani, il
ritorno di molti sacerdoti e qualche vescovo alla comunione con Roma e il riconoscimento che l’establishment inglese ha
fatto del valore e del significato pubblico
della religione ha allarmato molti circoli
finanziari, soprattutto al di là dell’Atlantico. Per scongiurare l’unità dei cristiani
certa gente è pronta a escogitare di tutto,
altro che corvi.
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LETTERE
AL DIRETTORE
Simone e i tanti che
cercano redenzione. Ma
non nell’occhio del boia
Tempi le tue lettere e anche se non ci conosciamo sei divenuto familiare. Mi addolora la condizione di carcere
preventivo cui devi sottostare e lo stato vergognosamente disumano in cui ti trovi. Al dolore però si associa la consapevolezza della testimonianza che dai, la testimonianza di una certezza,
quella della presenza di Cristo, che ti permette non semplicemente di sopravvivere, ma di stare davanti alla tua situazione,
nella sua evidente drammaticità, con tutto lo spessore del tuo
essere uomo, capace di quello sguardo
verso gli altri che abbiamo imparato da
Giussani. Il Papa a Milano, rispondendo a
una famiglia, ha detto che la sofferenza,
«se accettata, è un dono per la Chiesa».
Tu ce lo stai testimoniando. Maria Laura Fraternali Urbino
2
Commovente l’ultima lettera di Simone
(«Amico Simone, posso diventare di Comunione e libertà?», tempi.it, ndr). Invidiosa e desiderosa della sua semplicità
e del suo amico carcerato. Ringrazialo
da parte mia! Rileggendola ai miei amici, è proprio vero che quando un membro soffre tutto il corpo soffre con lui!
Fagli sapere che anche dal Paraguay si
prega per lui e la sua famiglia. Lucilla Asunción (Paraguay)
2
Caro Antonio, abbiamo scoperto in questi anni la dialettica di Nichi Vendola, aristocratica, ma suadente e carica
di sonorità. Poi quella tipica di una certa letteratura giudiziaria, che Travaglio
ha trasformato in un successo editoriale.
Senza contare la letteratura romanza-
Anch’io sono rimasto sorpreso dall’irrealtà del fondo di Sofri. Evidentemente la compagnia di Repubblica
rende increduli dell’aria che si respira
e fa raccontare cose, del cielo e della terra, che letteralmente non stanno
né in cielo né in terra.
Compagno Antonio, come vedi, eccetto questo popolo di amici e fratelli, qua fuori il pensiero carcerario gira come al solito: ci nutrono di tutte
Esiste ancora il Garante della privacy?
Se sì, cosa ci sta a fare? Perché non viene censurato Gianluigi Nuzzi per la sua
AFFERRATE QUESTA PARABOLA
SPORT
ÜBER
ALLES
L’
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2
Adriano Sofri dalle colonne di Repubblica si è indignato perché sempre più medici scelgono l’obiezione di coscienza rifiutandosi di praticare aborti. Forse non
ha pensato che essi sono i primi a rendersi conto che nell’utero materno c’è
una vita, che l’aborto è sopprimere un essere umano vivente. Perché Sofri prima
di prendere posizione non guarda un’ecografia di un bimbo nel grembo materno che ride, si succhia il pollice, si gratta
la pancia e poi, a contatto con l’aspiratore abortivo, si agita (le pulsazioni raggiungono i 200 battiti al minuto) e cerca rifugio nella parte superiore dell’utero
mentre, pezzo a pezzo, viene dilaniato?
Abbiamo tutti i mezzi per essere consapevoli che l’aborto è un omicidio. Non c’è
peggior sordo di chi non vuol sentire.
dr. Giorgio Marusi
dr. Giovanni Viviani Brescia
2
di Fred Perri
Difendi il vicino dalla gogna manettara?
Domattina sarai sputtanato a dovere
6.30 del mattino ho sentito un
gran fracasso sul pianerottolo. Ho aperto la
porta: un plotone di truppe d’assalto stava trascinando via il mio vicino di casa. Non so bene quale
sia la sua colpa, ma vive lì da dieci anni e conduce sempre la stessa vita, così, quando mi sono trovato davanti la solita troupe tv con le solite domande ai presenti,
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le buone intenzioni del mondo e non
ci ricordano mai che la prima giustizia è riconoscere che “sem chi provisori”, come dice il don Baroncini, e
cerchiamo redenzione. Non nell’occhio del boia, ma nell’occhio del ciclone degli avvenimenti in cui la realtà che è Cristo, come dice Paolo, ci si
mostra amica e fraterna come il tuo
coinquilino di “Comunione e libertà”.
|
altro giorno alle
ho detto che quello spiegamento di forze e soprattutto
la sua condanna già proclamata dai media erano vergognosi. Il giorno dopo il giornale, sopra la mia foto,
titolava: “Il palazzo dei malandrini”. Per non sbagliare, hanno intercettato tutte le utenze dello stabile e mi
hanno beccato mentre facevo l’indiano con una bella
gnocca. Lo so, non si fa, soprattutto se uno è coniugato.
Foto: AP/LaPresse
C
aro Antonio Simone, leggo regolarmente sul sito di
ta, infarcita di nobiltà gergali o leggende
trucide, del santone Saviano. Confesso
di provare una certa invidia per la loro
capacità di trasformare la parola scritta
in abbondante pane (soldoni) quotidiano.
Ma la letteratura è un’altra cosa. I premi Nobel, le copie vendute sono materiale per il commercio del circo. Scrivere
è altra cosa. Sono le tue lettere dal carcere. Parole che ti prendono a schiaffi,
o ti portano dentro sette metri quadrati di realtà, dove l’umano è il protagonista assoluto. Altro che buone scritture o
belle bandiere! La scrittura, come la musica, il cibo e il vino, unisce poveri diavoli, contadini con le unghie sporche, conti e sfaccendati, nobildonne e cardinali.
«Siamo figli dello stesso Dio» erano in
grado di dire, un tempo, uomini e donne
del nostro paese. Chi scrive rievoca memorie, fa profezie, si protrae in una continua lettera al padre, al maestro. Padre, Maestro che tu declini in “magister”
Gesù Cristo, Giussani, mentre io sosto
nell’alveo profano di colui che protegge,
nutre, mantiene la famiglia. Differenze,
colpe, ammissioni, precisazioni, è tutta
materia per il circo! Io mi limito a usare
la parola “grazie”, che poco può alleviare la tua condizione, e nulla può davanti al patibolo giudicante di chi scrive con
la penna e la bocca grondanti di sangue.
Ma sono nulla le tesi accusatorie, i teoremi, le astrazioni di coloro che si ricordano della Costituzione solo per fare retorica sull’articolo 1. Sono nulla rispetto
alla capacità di guardare gli altri, anche
costretti in pochi metri quadrati, privati
del bene più grande che è la libertà. Grazie per ricordarci chi è l’Uomo. Fabio Cavallari
[email protected]
violazione? Si può sempre e comunque
pubblicare di tutto e di più?
Adalberto Tommasi Monza
Siamo nello Stato dell’illegalità e
dell’ipocrisia elevate a potere. Di cosa
parlano infatti i giornali facendo finta
di niente? Parlano di ladri e di refurtiva come se in realtà stessero discutendo con Alberto Melloni di teologia
democratica e Concilio Vaticano III.
Foto: AP/LaPresse
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UN PAPA GIGANTE AL FAMILY 2012
Il crack sarà tutto vostro
corvi del malaugurio
di Pippo Corigliano
«Q
uesta mattina ho seguito la Santa Messa officiata dal Papa per
la giornata della famiglia: emozioni forti, dolcezza, sensi di
colpa, speranza, voglia di essere disponibile e continuare a
lottare… Grazie alla Chiesa e a questo Papa! È un GIGANTE!». È un sms di
un mio compagno di scuola che, allora, era un “discolo” ed eccolo qua
medico anestesista dal cuore grande. Da un’intervista al volo del tg: «La
famiglia è il luogo dove ho sperimentato la felicità»; oppure: «Se non ci si
aiuta in famiglia non ci si aiuta da nessuna parte». Frasi semplici che dicono le stesse verità che il Papa è venuto a ribadire. È incredibile. Chi nel
mondo ha un leader anziano, gentile e fragile che quando parla t’incanta perché ha parole di verità e di vita eterna? Il Papa dice alla bambina
che i suoi primi anni in famiglia sono stati un paradiso… Viene da ripetere con san Pietro: «Da chi andremo? Tu solo…». La famiglia sta prendendo coscienza di se stessa davanti a un mondo in macerie che finge
di non conoscerla e la ostacola. Le famiglie sono una foresta silenziosa
che cresce e, come nella tragedia di Shakespeare, la foresta si muoverà e
questo sarà il segno della fine di un vecchio mondo egoista e l’inizio di
un mondo più umano. Un settimanale, in questi giorni, presenta in copertina un corvo che fa “Cra, cra, crack” sulla sagoma di san Pietro sullo
sfondo. Il crack sarà tutto vostro, corvi del malaugurio. È ora che chi ha
fede non si nutra più di questa stampa ipocrita e portatrice di sventura.
CARTOLINA
DAL
PARADISO
Ha ragione Giannino. Si discuta subito una proposta politica ed elettorale da fare a chi sia «liberale, personalista, sussidiarista, difensore del diritto
naturale contro l’abuso del diritto positivo». Ha ragione perché mancano al massimo dieci mesi alle elezioni e il Pdl è in
stato confusionale. Ma dare concretezza alla discussione richiede una decisione pregiudiziale: cosa fare nel caso in cui
Berlusconi – anche se «da allenatore e
non da centravanti» – tornasse in campo? Per quanto mi riguarda, sono convinto che, in qualsiasi forma avvenisse,
la ridiscesa in campo di Berlusconi chiuderebbe la possibilità di sensibilizzare
gli elettori alle questioni richiamate da
Giannino, offrendo a Repubblica, alle sinistre e ai grillini l’occasione unica, e gratuita, per una campagna elettorale fatta
solo di temi, immagini e suggestioni lontanissimi dai veri problemi del paese, ma
tale da solleticare la pancia di milioni di
elettori. Dopo la decisione sulla pregiudiziale, sarà anche più facile discutere su
programmi, alleanze e scelte operative,
nello spirito indicato da Giannino.
Nicola Guiso
viamo. Avete presente il caso raccontato il 5 giugno scorso alla trasmissione di Oscar su Radio 24 dal fiscalista
Fabrizio Viel, il quale ha un cliente con
cui l’Agenzia delle Entrate si è scusata di non avere gli strumenti per annullare una cartella esattoriale da
320 mila euro, «pur riconoscendo le
ragioni del contribuente»?
Mi piace lo spirito militante di Giannino, specie quando annuncia di voler
scendere in campo per contribuire a
liberarci dallo Stato brigante in cui vi-
Sono profondamente amareggiato per
gli accertamenti in corso sul capitano
della Nazionale e della Juventus Gianlu-
2
igi Buffon. L’impressione che si tratti di
una “vendetta” per le sue parole contro
la speculazione giudiziaria e giornalistica ai danni degli indagati è troppo forte.
Ancora una volta una sorta di mafia si
abbatte su chi parla troppo. Una mafia
che al posto delle bombe usa le armi delle indiscrezioni e del passaggio illegale ai
giornalisti di informazioni riservate. Davide Rettondini via internet
Impressione di vendetta? Buffon è
stato un gigante, ma lo zelo del potere non perdona chi lo mette a nudo.
Mia moglie mi ha cacciato di casa, la gente mi guarda
scuotendo la testa e mi giudica un essere schifoso. Io
cerco di difendermi: 1) sono fatti miei; 2) lumare le pupe non è reato; 3) la prova provata che dal lumare sia
passato ad altro non c’è. Nessuno si interroga sul fatto
che ventiquattro ore dopo le mie critiche è arrivata la
stangata. Nessuno ha il sospetto che questo sia il comportamento di uno Stato fascista. Per tutti sono un fedifrago: non conta come l’hanno scoperto o se dovevano rispettare la mia privacy.
Afferrate il senso della parabola? Io sto afferrando i
bagagli. Meglio averli lì, capitasse l’occasione di mollare questa nazione di merda.
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taz&bao
In famiglia
si sta come
in Paradiso
Le gioie dell’infanzia in Baviera nella certezza
che «è buono essere un uomo». L’importanza
di non isolarsi anche quando si è in due.
L’amore oltre il sentimento. Le formidabili
risposte a braccio di Benedetto XVI
alle domande dei fedeli da tutto il mondo
Cat Tien dal Vietnam
Ciao, Papa. Sono Cat Tien, vengo dal Vietnam. Ho sette anni e ti voglio presentare
la mia famiglia. Lui è il mio papà, Dan e la
mia mamma si chiama Tao, e lui è il mio
fratellino Binh. Mi piacerebbe tanto sapere qualcosa della tua famiglia e di quando
eri piccolo come me…
Grazie, carissima, e ai genitori: grazie di
cuore. Allora, hai chiesto come sono i ricordi della mia famiglia: sarebbero tanti! Volevo dire solo poche cose. Il punto essenziale
per la famiglia era per noi sempre la domenica, ma la domenica cominciava già il
sabato pomeriggio. Il padre ci diceva le letture, le letture della domenica, da un libro
molto diffuso in quel tempo in Germania, dove erano anche spiegati i testi. Così
cominciava la domenica: entravamo già
nella liturgia, in atmosfera di gioia. Il giorno dopo andavamo a Messa. Io sono di casa
vicino a Salisburgo, quindi abbiamo avuto
molta musica – Mozart, Schubert, Haydn –
e quando cominciava il Kyrie era come se si
aprisse il cielo. E poi a casa era importante,
naturalmente, il grande pranzo insieme. E
poi abbiamo cantato molto: mio fratello è
un grande musicista, ha fatto delle composizioni già da ragazzo per noi tutti, così tutta
la famiglia cantava. Il papà suonava la cetra
e cantava; sono momenti indimenticabili.
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Poi abbiamo fatto insieme viaggi, camminate; eravamo vicino ad un bosco e così camminare nei boschi era una cosa molto bella:
avventure, giochi eccetera. In una parola,
eravamo un cuore e un’anima sola, con tante esperienze comuni, anche in tempi molto difficili, perché era il tempo della guerra, prima della dittatura, poi della povertà. Ma questo amore reciproco che c’era tra
di noi, questa gioia anche per cose semplici
era forte e così si potevano superare e sopportare anche queste cose. Mi sembra che
questo fosse molto importante: che anche
cose piccole hanno dato gioia, perché così
si esprimeva il cuore dell’altro. E così siamo
cresciuti nella certezza che è buono essere un uomo, perché vedevamo che la bontà
di Dio si rifletteva nei genitori e nei fratelli.
E, per dire la verità, se cerco di immaginare un po’ come sarà in Paradiso, mi sembra
sempre il tempo della mia giovinezza, della mia infanzia. Così, in questo contesto di
fiducia, di gioia e di amore eravamo felici e
penso che in Paradiso dovrebbe essere simile a come era nella mia gioventù. In questo
senso spero di andare «a casa», andando verso l’«altra parte del mondo».
Serge Razafinbony e Fara Andrianobonana
coppia di fidanzati dal Madagascar
Serge – Santità, siamo Fara e Serge, e
veniamo dal Madagascar. Ci siamo conosciuti a Firenze dove stiamo studiando, io
ingegneria e lei economia. Siamo fidanzati da quattro anni e non appena laureati
sogniamo di tornare nel nostro Paese per
dare una mano alla nostra gente.
Foto: AP/LaPresse
Pubblichiamo il dialogo di papa Benedetto
XVI con alcune famiglie del mondo svoltosi
il 2 giugno al Parco di Bresso (Mi) durante
la Festa delle Testimonianze, nell’ambito del
VII Incontro mondiale delle famiglie.
taz&bao
Cari amici, grazie per questa testimonianza. La mia preghiera vi accompagna in
questo cammino di fidanzamento e spero
che possiate creare, con i valori del Vangelo, una famiglia «per sempre». Lei ha accennato a diversi tipi di matrimonio: conosciamo il «mariage coutumier» dell’Africa e il
matrimonio occidentale. Anche in Europa,
per dire la verità, fino all’Ottocento, c’era
un altro modello di matrimonio dominante, come adesso: spesso il matrimonio era
in realtà un contratto tra clan, dove si cercava di conservare il clan, di aprire il futuro, di difendere le proprietà, eccetera. Si
cercava l’uno per l’altro da parte del clan,
sperando che fossero adatti l’uno all’altro. Così era in parte anche nei nostri paesi. Io mi ricordo che in un piccolo paese,
nel quale sono andato a scuola, era in gran
parte ancora così. Ma poi, dall’Ottocento,
segue l’emancipazione dell’individuo, la
libertà della persona, e il matrimonio non
è più basato sulla volontà di altri, ma sulla
propria scelta; precede l’innamoramento,
diventa poi fidanzamento e quindi matrimonio. In quel tempo tutti eravamo convinti che questo fosse l’unico modello giusto
e che l’amore di per sé garantisse il «sempre», perché l’amore è assoluto, vuole tutto
e quindi anche la totalità del tempo: è «per
sempre». Purtroppo, la realtà non era così:
si vede che l’innamoramento è bello, ma
forse non sempre perpetuo, così come è il
sentimento: non rimane per sempre. Quindi, si vede che il passaggio dall’innamoramento al fidanzamento e poi al matrimonio esige diverse decisioni, esperienze interiori. Come ho detto, è bello questo sentimento dell’amore, ma deve essere purificato, deve andare in un cammino di discernimento, cioè devono entrare anche la ragione e la volontà; devono unirsi ragione, sentimento e volontà. Nel Rito del Matrimonio,
la Chiesa non dice: «Sei innamorato?», ma
«Vuoi», «Sei deciso». Cioè: l’innamoramento
deve divenire vero amore coinvolgendo la
volontà e la ragione in un cammino, che è
quello del fidanzamento, di purificazione,
di più grande profondità, così che realmente tutto l’uomo, con tutte le sue capacità,
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con il discernimento della ragione, la forza
di volontà, dice: «Sì, questa è la mia vita».
Io penso spesso alle nozze di Cana. Il primo vino è bellissimo: è l’innamoramento.
Ma non dura fino alla fine: deve venire un
secondo vino, cioè deve fermentare e crescere, maturare. Un amore definitivo che
diventi realmente «secondo vino» è più bello, migliore del primo vino. E questo dobbiamo cercare. E qui è importante anche
che l’io non sia isolato, l’io e il tu, ma che
sia coinvolta anche la comunità della parrocchia, la Chiesa, gli amici. Questo, tutta
la personalizzazione giusta, la comunione
di vita con altri, con famiglie che si appoggiano l’una all’altra, è molto importante
e solo così, in questo coinvolgimento della comunità, degli amici, della Chiesa, della fede, di Dio stesso, cresce un vino che va
per sempre. Auguri a voi!
Famiglia Paleologos dalla Grecia
Nikos – Kalispera! Siamo la famiglia Paleologos. Veniamo da Atene. Mi chiamo Nikos
e lei è mia moglie Pania. E loro sono i nostri
due figli, Pavlos e Lydia. Anni fa con altri
due soci, investendo tutto ciò che avevamo, abbiamo avviato una piccola società di
informatica. Al sopravvenire dell’attuale
durissima crisi, i clienti sono drasticamente diminuiti e quelli rimasti dilazionano sempre più i pagamenti. Riusciamo
a malapena a pagare gli stipendi dei due
dipendenti, e a noi soci rimane pochissimo:
così che, per mantenere le nostre famiglie,
ogni giorno resta sempre meno. La nostra
situazione è una fra milioni di altre. In città
la gente gira a testa bassa; nessuno ha più
fiducia di nessuno, manca la speranza.
Pania – Anche noi, pur continuando a credere nella provvidenza, facciamo fatica a
pensare ad un futuro per i nostri figli. Ci
sono giorni e notti, Santo Padre, nei quali
viene da chiedersi come fare a non perdere la speranza. Cosa può dire la Chiesa
a tutta questa gente, a queste persone e
famiglie senza più prospettive?
Cari amici, grazie per questa testimonianza che ha colpito il mio cuore e il cuore
di noi tutti. Che cosa possiamo rispondere?
Foto: AP/LaPresse
Fara – I modelli familiari che dominano
l’Occidente non ci convincono, ma siamo
consci che anche molti tradizionalismi della nostra Africa vadano in qualche modo
superati. Ci sentiamo fatti l’uno per l’altro;
per questo vogliamo sposarci e costruire
un futuro insieme. Vogliamo anche che
ogni aspetto della nostra vita sia orientato dai valori del Vangelo. Ma parlando
di matrimonio, Santità, c’è una parola che
più d’ogni altra ci attrae e allo stesso tempo ci spaventa: il “per sempre”…
Foto: AP/LaPresse
Le parole sono insufficienti. Dovremmo fare
qualcosa di concreto e tutti soffriamo del
fatto che siamo incapaci di fare qualcosa di
concreto. Parliamo prima della politica: mi
sembra che dovrebbe crescere il senso della responsabilità in tutti i partiti, che non
promettano cose che non possono realizzare, che non cerchino solo voti per sé, ma siano responsabili per il bene di tutti e che si
capisca che politica è sempre anche responsabilità umana, morale davanti a Dio e agli
uomini. Poi, naturalmente, i singoli soffrono e devono accettare, spesso senza possibilità di difendersi, la situazione com’è. Tuttavia, possiamo anche qui dire: cerchiamo
che ognuno faccia il suo possibile, pensi a
sé, alla famiglia, agli altri, con grande senso di responsabilità, sapendo che i sacrifici sono necessari per andare avanti. Terzo punto: che cosa possiamo fare noi? Questa è la mia questione, in questo momento.
Io penso che forse gemellaggi tra città, tra
famiglie, tra parrocchie, potrebbero aiutare. Noi abbiamo in Europa, adesso, una rete
di gemellaggi, ma sono scambi culturali,
certo molto buoni e molto utili, ma forse ci
vogliono gemellaggi in altro senso: che realmente una famiglia dell’Occidente, dell’Italia, della Germania, della Francia… assuma
la responsabilità di aiutare un’altra famiglia. Così anche le parrocchie, le città: che
realmente assumano responsabilità, aiutino in senso concreto. E siate sicuri: io e tanti altri preghiamo per voi, e questo pregare non è solo dire parole, ma apre il cuore a
Dio e così crea anche creatività nel trovare
soluzioni. Speriamo che il Signore ci aiuti,
che il Signore vi aiuti sempre! Grazie.
Famiglia Rerrie dagli Stati Uniti
Jay – Viviamo vicino a New York. Mi chiamo Jay, sono di origine giamaicana e faccio il contabile. Lei è mia moglie Anna ed
è insegnante di sostegno. E questi sono i
nostri sei figli, che hanno dai 2 ai 12 anni.
Da qui può ben immaginare, Santità, che
la nostra vita, è fatta di perenni corse contro il tempo, di affanni, di incastri molto
complicati… Anche da noi, negli Stati Uniti, una delle priorità assolute è mantenere
il posto di lavoro, e per farlo non bisogna
badare agli orari, e spesso a rimetterci sono proprio le relazioni famigliari.
Anna – Certo non sempre è facile… L’impressione è che le istituzioni e le imprese
non facilitano la conciliazione dei tempi di
lavoro coi tempi della famiglia. Santità,
immaginiamo che anche per lei non sia facile conciliare i suoi infiniti impegni con il
riposo. Ha qualche consiglio per aiutarci a
ritrovare la necessaria armonia? Nel vortice di tanti stimoli imposti dalla società
contemporanea, come aiutare le famiglie
a vivere la festa secondo il cuore di Dio?
Grande questione, e penso di capire questo dilemma tra due priorità: la priorità del
posto di lavoro è fondamentale, e la priorità della famiglia. E come riconciliare le due
priorità. Posso solo cercare di dare qualche
consiglio. Il primo punto: ci sono imprese
che permettono quasi qualche extra per le
famiglie – il giorno del compleanno, eccetera – e vedono che concedere un po’ di libertà, alla fine va bene anche per l’impresa,
perché rafforza l’amore per il lavoro, per
il posto di lavoro. Quindi, vorrei qui invitare i datori di lavoro a pensare alla famiglia,
a pensare anche ad aiutare affinché le due
priorità possano essere conciliate. Secondo punto: mi sembra che si debba naturalmente cercare una certa creatività, e questo
non è sempre facile. Ma almeno, ogni giorno portare qualche elemento di gioia nella famiglia, di attenzione, qualche rinuncia alla propria volontà per essere insieme
famiglia, e di accettare e superare le notti,
le oscurità delle quali si è parlato anche prima, e pensare a questo grande bene che è la
famiglia e così, anche nella grande premura di dare qualcosa di buono ogni giorno,
trovare una riconciliazione delle due priorità. E finalmente, c’è la domenica, la festa:
spero che sia osservata in America, la domenica. Mi sembra molto importante la domenica, giorno del Signore e, proprio in quanto tale, anche “giorno dell’uomo”, perché
siamo liberi. Questa era, nel racconto della
Creazione, l’intenzione originale del Creatore: che un giorno tutti siano liberi. In questa
libertà dell’uno per l’altro, per se stessi, si è
liberi per Dio. E così penso che difendiamo
la libertà dell’uomo, difendendo la domenica e le feste come giorni di Dio e così giorni
per l’uomo. Auguri a voi! Grazie.
Famiglia Araujo dal Brasile
Maria Marta – Santità, come nel resto del
mondo, anche nel nostro Brasile i fallimenti
matrimoniali continuano ad aumentare. Mi
chiamo Maria Marta, lui è Manoel Angelo.
Siamo sposati da 34 anni e siamo già nonni.
In qualità di medico e psicoterapeuta familiare incontriamo tante famiglie, notando
nei conflitti di coppia una più marcata difficoltà a perdonare e ad accettare il perdono, ma in diversi casi abbiamo riscontrato
il desiderio di costruire una nuova unione,
qualcosa di duraturo, anche per i figli che
nascono dalla nuova unione.
Manoel Angelo – Alcune di queste coppie
di risposati vorrebbero riavvicinarsi alla
Chiesa, ma quando si vedono rifiutare i
Sacramenti la loro delusione è grande. Si
sentono esclusi, marchiati da un giudizio
inappellabile. Queste grandi sofferenze
feriscono nel profondo chi ne è coinvolto;
lacerazioni che divengono anche parte
del mondo, e sono ferite anche nostre,
dell’umanità tutta. Santo Padre, sappiamo
che queste persone stanno molto a cuore
alla Chiesa: quali parole e quali segni di speranza possiamo dare loro?
Cari amici, grazie per il vostro lavoro di
psicoterapeuti per le famiglie, molto necessario. Grazie per tutto quello che fate per
queste persone sofferenti. In realtà, questo
problema dei divorziati risposati è una delle grandi sofferenze della Chiesa di oggi. E
non abbiamo semplici ricette. La sofferenza è grande e possiamo solo aiutare le parrocchie, i singoli ad aiutare queste persone
a sopportare la sofferenza di questo divorzio. Io direi che molto importante sarebbe,
naturalmente, la prevenzione, cioè approfondire fin dall’inizio l’innamoramento in
una decisione profonda, maturata; inoltre, l’accompagnamento durante il matrimonio, affinché le famiglie non siano mai
sole ma siano realmente accompagnate nel
loro cammino. E poi, quanto a queste persone, dobbiamo dire – come lei ha detto – che
la Chiesa le ama, ma esse devono vedere e
sentire questo amore. Mi sembra un grande
compito di una parrocchia, di una comunità cattolica, di fare realmente il possibile
perché esse sentano di essere amate, accettate, che non sono «fuori» anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia:
devono vedere che anche così vivono pienamente nella Chiesa. Forse, se non è possibile
l’assoluzione nella Confessione, tuttavia un
contatto permanente con un sacerdote, con
una guida dell’anima, è molto importante
perché possano vedere che sono accompagnati, guidati. Poi è anche molto importante che sentano che l’Eucaristia è vera e partecipata se realmente entrano in comunione con il Corpo di Cristo. Anche senza la
ricezione «corporale» del Sacramento, possiamo essere spiritualmente uniti a Cristo
nel suo Corpo. Far capire questo è importante. Che realmente trovino la possibilità
di vivere una vita di fede, con la Parola di
Dio, con la comunione della Chiesa e possano vedere che la loro sofferenza è un dono
per la Chiesa, perché servono così a tutti
anche per difendere la stabilità dell’amore, del Matrimonio; e che questa sofferenza non è solo un tormento fisico e psichico, ma è anche un soffrire nella comunità
della Chiesa per i grandi valori della nostra
fede. Penso che la loro sofferenza, se realmente interiormente accettata, sia un dono
per la Chiesa. Devono saperlo, che proprio
così servono la Chiesa, sono nel cuore della
Chiesa. Grazie per il vostro impegno. n
GLI ULTIMI
SARANNO I PRIMI
IL PARROCO DI ROVERETO SULLA SECCHIA
Il gesto di don Ivan Martini
di Marina Corradi
L
4 giugno. A Quartirolo, frazione di Carpi, stamattina era annunciato il
funerale di don Ivan Martini, parroco di Santa Caterina a Rovereto sulla Secchia, morto mentre nella chiesa incrinata cercava di recuperare una Madonna cara alla sua gente. Avrei voluto esserci, al funerale di quel prete. Ho guardato
a lungo la sua faccia, nelle foto. Un sorriso da buono. Rughe tracciate dal continuo incontro e scontro e abbraccio con la vita degli uomini, così come si affaccia
a una canonica nella grande pianura. Dove d’estate l’afa soffoca il respiro, e d’inverno la nebbia confonde l’orizzonte, e trasfigura le cose. Dove la terra sembrava
così mansueta.
La chiesa di Santa Caterina era piccola, di colore rosa. Mi immagino la pace della sua piazza, prima dell’urlo del terremoto, in questi giorni di primavera; l’ombra
fresca delle navate, e il campanile dritto sopra le case, come di vedetta. Il pedalare lento della gente in bicicletta su questa terra piatta come un mare in bonaccia;
e quei battenti di chiesa ogni mattina
Perché tornare in una chiesa spezzata, sotto
spalancati – porto, madre, in cui chiunque si poteva rifugiare. E, in canonica,
alle crepe nere e maligne delle volte, per una
benedire chi nasce e chi muore, e
statua della Madonna? È che nei piccoli paesi, per
per accogliere, c’era sempre quel prete;
ancora, quelle Madonne in un altare laterale,
volto, per tutti, di misericordia.
Perché tornare in una chiesa spezzalì da trecento anni, sono come persone
ta, sotto alle crepe nere e maligne delle
volte, per una statua della Madonna? È che nei piccoli paesi, ancora, quelle Madonne in un altare laterale, lì da trecento anni, sono come persone. Sai che ci andava
tua nonna ogni mattina, e già sua madre, prima. Quando c’era un figlio malato
quella Madonna veniva implorata da tutta la famiglia. Perfino il nonno miscredente, quasi di nascosto, scuro in volto, si affacciava, borbottando fra sé, fra i denti: «Se
davvero tu esisti, ti prego, aiutaci».
Ci sono una cinquantina di chilometri tra Rovereto sulla Secchia e i posti del
don Camillo di Guareschi. Ma il gesto del prete che va a riprendere ciò che ha di
più caro nella chiesa infranta sa di Mondo piccolo, del don Camillo che parla al
Crocefisso come all’amico più caro; ora domandando, ora protestando, ora litigando, nel ribollio del sangue emiliano. Il sacerdote che muore sotto le macerie della
chiesa, come somiglia al don Camillo che nell’alluvione resta, solo, a presidiare la
sua pieve; a pregare sulla distesa opaca dell’acqua per dire alla sua gente:
qui c’è la vostra casa, qui voi tornerete.
Preti così sono Chiesa incarnata, sono il volto caro e
oscuro dietro cui il nostro Dio ama abitare. E dunque avrei
voluto essere a Quartirolo a salutare don Ivan, stamane.
Accanto al dolore dei suoi amici, che, lo so, era percorso
tuttavia da una certezza, quasi da una fierezza: questa fine, questo corpo inerte sono solo, della morte, l’arrogante
apparenza. Ben altra, e infinita è la promessa; così che si è
certi di rivedersi, come del grano che qui matura a giugno,
alto, del colore dell’oro. Anche se sembravano così annientati i campi, a novembre; e assurdo, o quasi folle, su quelle
zolle nere e gelate attendere una resurrezione.
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| 13 giugno 2012 |
|
unedì
DIARIO