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CAPITOLO 1.
ZOPPÈ DI CADORE
1.INTRODUZIONE
Si emigra quando ci si sposta dal proprio luogo d’origine per stabilirsi in
altra località per lavoro o altri motivi.Sicuramente non è facile partire e
lasciare la propria terra, azione fatta da milioni di connazionali dalla metà
del 1800 in pianta stabile verso altri paesi sia europei che extraeuropei.Varie
parti d’Italia contribuirono a questo fenomeno e tra queste il Veneto dette un
significativo contributo.In questo lavoro s’intende affrontare il caso di un
piccolo paese delle Dolomiti bellunesi, Zoppè di Cadore, i cui abitanti da
dopo l’unificazione del 1866 trovarono una nuova professione per
sopravvivere come maestri gelatai esportando in Europa e all’estero un
nuovo modello di lavorante ed emigrante sia in pianta stabile che
temporaneo.
3
2.IL
QUADRO
D’INSERIMENTO
AMBIENTALE E CULTURALE
GEOGRAFICO,
Zoppè (altitudine 1461 metri sul livello del mare) è un comune veneto in
provincia di Belluno, il più piccolo e in quota del Cadore, di montagna, ed è
sito nelle Dolomiti bellunesi; la sua superficie è di 4,39 kmq e dall’ultimo
censimento nazionale la popolazione risulta composta da 303 persone: 139
maschi e 164 femmine. Dal punto di vista ambientale e silvopastorale risulta
esserci una superficie boschiva di 302,64 ettari, spazio agricolo utilizzabile,
escluso boschi, (sau) pari in estensione a 98,39 ettari e prati permanenti con
pascoli in estensione di 98,23 ettari.
È posto al confine della sub regione del Cadore e della Val di Zoldo; il suo
stemma è rappresentato dalla raffigurazione delle torri dei due castelli una
volta esistiti (a Cortina e a Pieve di Cadore) uniti da una catena con in
mezzo un abete; in basso sono presenti due stelle alpine con in mezzo una
genzianella. I suoi confini geografici sono: a Nord Est con il comune di
Vodo di Cadore, ad Ovest con il comune di Zoldo Alto e a Sud Ovest con il
comune di Forno di Zoldo.
Per raggiungerlo bisogna percorrere l’autostrada Venezia Belluno fino
all’uscita di Longarone da dove, proseguendo per la statale della Val di
Zoldo, si giunge nel comune di Forno di Zoldo; da qui per la strada
provinciale numero sette ZOLDO-ZOPPÈ si giunge in loco.
Di pertinenza del comune vi è anche un terreno di pascolo con malga e prati
in località Pecol di Zoldo Alto di nome la Grava di estensione di 401 ha 21
aree e 30 centiaree (4,012130 kmq).
4
La montagna della Grava fu acquistata il 20 aprile del 1790 dai nobili
Bressa di Treviso per lire 30.000 (de piccoli) e nel diciannovesimo secolo,
alla fine di una disputa giudiziaria con il comune di San Tiziano di Goima,
furono stabiliti i confini attuali.
La località della Grava è delimitata come confini che vanno da Ovest in
corrispondenza delle creste della Moiazzetta (2727 m) fino al Col della
Besadora (al limite settentrionale) per poi scendere tortuosamente sino allo
Spiz Zuèl (2033m-ad ovest) e rendendosi poi poco rintracciabile da elementi
geografici caratteristici.Lo Spiz Zuèl in toponomastica è indicata come
ampia zona sommitale del monte ricoperta da vegetazione erbacea; il monte
in questione è il monte Civetta.
Dal 1971 con la legge n°1102 e poi con la legge regionale n°10 del 1973 il
Cadore è stato diviso in 3 Comunità Montane per omogeneità geografica:
Val Boite, Centro Cadore, Comelico e Sapadda.
Zoppè con il comune di Ospitale si aggregò alla Comunità Montana Cadore,
Longaronese e Zoldana mentre il comune di Selva alla Comunità Montana
Agordina. Zoppè entra nella comunità montana Cadore, Longaronese e
Zoldana fin dalla sua nascita; costituita nel 1972 ebbe lo statuto approvato
dalla Giunta Regionale il 2 Luglio 1974 con il numero824.
I comuni fondatori furono: Longarone.Castellavazzo, Soverzene, Ospitale,
Perarolo (recentemente passata alla Comunità Centro Cadore), Forno di
Zoldo, Zoldo Alto e Zoppè.Delibera di adesione firmata dall’allora sindaco
Carlo Simonetti e gli assessori Gaspare Pampanin e Pompeo Livan. Tutte le
Comunità Montane cadorine hanno delle loro peculiarità; la Val Boite sul
turismo, la Cadore Longaronese e Zoldana sull’industria dell’occhiale, la
Comelico-Sappada divisa tra il turismo, la silvicoltura e l’industria.
5
L’interesse comune a tutte è di sicuro la tutela dell’ambiente, spazio di vita
della stessa comunità.
A tutela dell’ambiente vi è anche una regolamentazione sul taglio dei boschi
di antica data detta del “taglio a scelta”1.
Ogni comune fa circa ogni 10 anni un piano economico dove sono date le
direttive per il taglio dei boschi, costoso per il comune ma utile allo stesso
tempo (il tutto istituito dalla legge 3267 del 1923 detta legge Serpieri).
Deciso il taglio esce sul bosco la guardia forestale con un dirigente del
corpo e con un particolare timbro (martelletto), diverso per ogni comunità
montana, segnano la corteccia degli alberi da tagliare in modo riconoscibile.
Nel Cadore la gestione ambientale è stata affidata di maggioranza alle
Regole2 che tutelano il patrimonio silvopastorale.
Passate attraverso i secoli sopravvissero nella prassi anche dopo l’abolizione
napoleonica del 1806 e la non riconoscenza sotto gli austriaci ed italiani;
ottennero il riconoscimento di persone giuridiche pubbliche con il decreto
legislativo n°1104 del 1948 e la riconferma dei loro diritti con la legge
n°991 del 1952 e gli articoli 10 e 11 della legge n°1102 del 1971.
Dal 1994 con la legge sulla montagna n°36 e la legge regionale n°26 del
1996 sul riordino delle Regole viene attribuita loro la gestione del
patrimonio ambientale.
Oramai delle 37 Regole ne sono sopravvissute poche a causa anche del
passaggio ai comuni della gestione ambientale loro delegata.
1
Il “taglio a scelta” consiste nel taglio secondo criteri di alcune piante del bosco; possono
essere piante malate, mal conformate o le soprannumerarie di una classe diametrica.
Tutto ciò è fatto per mantenere il bosco quanto più simile alla natura possibile. Il bosco è
così fertile e disetaneo (con alberi di età diverse) e risulta più vario ed ecologicamente più
stabile.
2
Le Regole sono comunioni familiari costituite da un insieme di persone che si occupano
della tutela del patrimonio ambientale.
6
Si è pensato anche a Zoppè di ricostituire la Regola ma analizzati i costi e
benefici si è ritenuta una spesa non necessaria.
Ora soltanto alcune delle 37 Regole storiche del Cadore, che sono in
possesso di circa i quattro quinti della superficie boschiva, gestiscono
direttamente i propri patrimoni silvo-pastorali in base alle consuetudini e i
principi tradizionali; stesso ruolo svolto anche a Colle Santa Lucia, Larzonei
di Livinallongo del Col di Lana e in Zoldo.Zoppè lo si può inserire con
titolo come parte integrante della subregione del Cadore.
Il Cadore è una subregione veneta che si trova all’estremo nord del Veneto,
al confine con l’Austria.
I comuni che la compongono sono: Pieve di Cadore (il maggiore) Auronzo
(il più esteso), S.Vito, Borca, Vodo, Cibiana, Valle di Cadore, Perarolo,
Ospitale, Calalzo, Dommege, Lozzo, Vigo, Lorenzago, S.Stefano, S.Pietro,
Sappada, S.Nicolò di Comelico, Comelico Superiore, Danta, Zoppè, Selva.
Con un’estensione di 1472,221 kmq è geograficamente e storicamente una
regione con caratteristiche distinte: i suoi confini sono a NORD-NORD EST
con la ValPusteria (Bolzano) e Austria, a EST-SUD EST con la provincia di
Pordenone e Udine, a SUD con la provincia di Belluno, a OVEST con
l’Agordino e lo Zoldano.
La storia di questa regione è stata sempre legata alla storia nazionale fino al
momento dell’Unificazione nel 1866 dopo il voto del plebiscito per
l’adesione.Partecipe di tutti i moti di ribellione contro lo “straniero
austriaco” dal 1818 al 1866 pianse molti caduti morti per un’ideale poi
avveratosi anche se non pienamente (per la forte politica di centralizzazione
nazionale).Tra i morti, non in azione violente, va ricordato un cittadino di
Zoppè: don Vito Talamini, figura ai più poco nota ma di notevole statura
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morale. Per quanto piccolo come comune questo è uno dei suoi abitanti che
con il suo stile di vita e i suoi comportamenti seppe esser ricordato per
l’amore verso la sua terra.
Già in passato pur vivendo in una zona ostile i Cadorini seppero esser ligi
all’ordine civile ed ecclesiastico; fieri e liberi han sempre vissuto facendo
leva solo sulle proprie capacità senza l’aiuto di nessuna autorità; prima sotto
gli austriaci e poi sotto il Regno d’Italia.
Zoppè appartiene da sempre al Cadore anche se a prima vista può sembrare
geograficamente Zoldano.La vicina Val Zoldana ha da sempre tentato di
includerla nella propria area di appartenenza adducendo i più svariati
motivi, da quelli geografici e quelli economico culturali. La tesi di un
inserimento di Zoppè nell’area zoldana è avanzata anche nel libro: “
L’inserimento di Zoppè in Zoldo” di don Floriano Pellegrini, parroco di
Forno di Zoldo, dove viene sviluppata l’idea che il legame di Zoppè col
Cadore fosse di natura meramente economico-istituzionale e realmente poco
sentito.Tesi non accettata da parte degli stessi zoppedini; nel periodo della
presentazione del libro lo stesso parroco di Zoppè, don Antonio Mattiuzzi
(1907-1996), ribadendo l’indipendenza dei compaesani disse che: “i confini
non si discutono, ma si difendono”.
Il legame con Zoldo c’è stato prettamente in campo ecclesiastico essendo
stata legata Zoppè, per alcuni secoli, alla pievania zoldana fino alla
guadagnata indipendenza della propria Parrocchia.
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3.DA SEMPLICE AGGREGAZIONE DI CASE A PAESE
VERO E PROPRIO
La nascita di Zoppè, attualmente, è scarsamente documentata e per tentare
di tracciarne una via vengono utilizzate anche le ricerche e gli studi fatti dal
signor Pompeo Livan (autore di una ricerca sulla storia di Zoppè pubblicata
nei primi anni Ottanta sul bollettino parrocchiale) e dal signor Ermanno
Livan (maestro elementare in pensione) autore di un libro sulla locale
Chiesa3.
Per quanto frammentarie, le origini si è sempre cercato di tenerle vive da
parte di tutti i paesani anche grazie al loro forte radicamento al
territorio.Sentimento vivo già dopo l’incendio del 1896 che distrusse quasi
tutti gli archivi cittadini e da allora sono diventati ancora di maggior
importanza gli archivi familiari per mantenere vivi i ricordi.
Le leggende sulla sua nascita sono varie e avvincenti sicuramente anche se
prive di totale fondamento storico; si parla sia di rifugiati dalle invasioni
barbariche (che edificarono a difesa un castello di sassi e pietra nei pressi
della località Fiès) che di un possedimento di una fantomatica contessa
residente in Zoldo.Riguardo al periodo delle invasioni barbariche, un’altra
leggenda fa risalire la sua nascita al periodo delle invasioni di Attila e degli
Unni intorno al 435a.c. quando i Cadorini si rifugiarono sui monti per
scampare alla devastazioni e alla carestia diffusa nel periodo.
Una prima menzione, maggiormente legata ad un fondamento di verità, di
Zoppè si ha intorno al 1190 ma non come paese ma come monte.
3
Ermanno Livan (a cura di) , Storia e vita della Parrocchia di S.Anna –Zoppè di Cadore
1843-1993, tipografia Castaldi, Feltre 1993.
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In quell’anno, secondo i documenti redatti da don Pietro De Vido , un tal
Piazza di Comelico fabbricò un forno da ferro.
Per ora questa resta un’affermazione del solo Don De Vido in quanto non
citò le fonti da dove aveva tratto la notizia. Vista comunque la
localizzazione geografica, e in base a fonti orali e scritte, la nascita di Zoppè
si può far risalire agli albori del primo millennio sulla via del ferro.
La vicinanza a Zoldo e all’omonima valle costituiva titolo per lo sviluppo
anche qui dell’arte della lavorazione del ferro.
Il primo sito di cui si ha notizia è appunto in località Pian dal For (piano del
forno) dove durante gli scavi per la costruzione del cimitero attuale, nel
1940, furono ritrovati resti di scorie ferrose e di un antico forno.Questo
come altri, di cui si persero le tracce, era un forno dove veniva purificato e
lavorato il materiale ferroso; peculiarità vantaggiosa era la vicinanza di un
torrente, chiamato Rutorto , e l’abbondanza del legname utile per la
fabbricazione del carbone.Quest’ultima lavorazione era resa vantaggiosa per
la lavorazione sul posto del ferro perché era sicuramente più conveniente
portare il ferro dove c’era il carbone.
Liberata la zona dalle selve fu all’inizio pascolo, poi prato e infine dissodato
coltivato e abitato.All’inizio il paese non c’era e li esistevano dei folti e
rigogliosi boschi poi venuti meno per la lavorazione dei materiali ferrosi.
Zoppè è diviso in tre frazioni: Villa, Bortolot , Sagui.
Di queste tre frazioni due presero l’appellativo dal cognome dei primi
residenti: le famiglie Sagui e Bortolot.
L’origine o meglio la prima documentazione della costituzione delle tre
frazioni è differente e si perde nella storia a cavallo della fine del 1400.
10
Il primo documento scritto riguardante Zoppè è una pergamena del 27
gennaio 13574. Quel giorno, con quell’atto il Patriarca d’Aquileia, Nicolò di
Lussemburgo, investiva Antonio de Zupè di un maso su terreno reso
coltivabile per ampio.
Un’altra menzione avviene, col nome di Zupè (sempre inteso come monte)
nel 1369 ed è contenuta in documenti riguardanti una disputa di confini di
pascoli tra le Regole Cadorine e le Regole Zoldane di Pianaz, Mareson e
Coi.
Il primo abitante di cui si ha menzione è un tal Livanus de Zupè,
contribuente della Comunità Cadorina per un maso posseduto a Zoppè nel
1428, da cui si può desumere la presenza di primi nuclei familiari stabili.Il
maso indicava ed indica tuttora un podere o una casa rurale tipica della
zona.
Di un altro maso si ha notizia intorno al 1440, esso è posto in località
dell’attuale Via Bortolot e di proprietà di un certo Antonio Orsatto di Forno
di Zoldo, dato in affitto ad un colono locale, tal Bortholotto.
Pur sotto la Serenissima, il maso cambiò negli anni molti proprietari pur
restando affittuaria la stessa famiglia tanto che nel 1530 prende la
denominazione di Mas de Bortolot (maso di Bortolot), nome di una delle
future frazioni costituenti Zoppè. Nel 1529 l’allora proprietario, erede del
notaio Matteo Palatini di Pieve di Cadore (che l’acquistò nel 1506), lo
vendette ai coloni di Zoppè.
Notizie della frazione di Villa si hanno intorno al 1521 quando si hanno le
prime menzioni di un luogo in una determinata zona definita come "Sora le
4
Pergamena conservata presso l’archivio della Magnifica Comunità a Pieve
11
case de Villa"5 da cui si originò questo toponimo. Non molto documentate
sono le evoluzioni che portano alla nascita della frazione Sagui.
Nel 1516 si ha notizia di un certo Serafino Bortholoto di cui nel 1532 si
torna a parlare ma come Serafin Bortholoto de Sagogie.
Cinquantanni dopo il nome muta in Sagoie e i suoi figli lo adottano come
cognome dopo essersi divisi il maso del padre.
Poi in lenta evoluzione il nome mutò prima in Sagoi e a metà del 1800
nell’attuale Sagui. Alla fine del quindicesimo secolo si ha menzione della
presenza delle famiglie De Livan e Bortholotto. Fin dall’inizio Zoppè è
sempre stata divisa amministrativamente ed ecclesiasticamente in maniera
differente: in campo di vista amministrativo facente parte del Cadore, prima
sotto il patriarcato d’Aquileia poi, dal 1420, sotto sovranità della
Serenissima e per la cura delle anime sotto la Pievania e la diocesi di Forno
di Zoldo presso la parrocchia di SanFloriano.
Sempre dall’inizio la proprietà delle risorse naturali è sempre stata comune,
il tutto secondo le norme delle Regole per il bene della collettività. La stessa
salvaguardia della flora e della fauna locale fu fatta per facilitare lo sviluppo
e la continuità della stessa comunità; attività a cui era deputata la Regola.
La Regola di Zoppè nasce nel 1523 e il suo Laudo, (statuto), per la tutela dei
beni comunitari è approvato dalla comunità di 13 famiglie nel 1555.
Seguendo poi le direttive del Laudo venivano poi eletti: il MARIGO
(sindaco), i LAUDATORI (assessori), i SALTARI (guardaboschi). Le Regole
del Cadore erano raggruppate in dieci “centenari” (Pieve, Auronzo,
Comelico Superiore, Comelico Inferiore, Ampezzo, Oltre-Piave, Dommege,
Valle, Venas, Sanvito) confluenti nella “Comunità di Cadore”.In piena
5
Sopra le case di Villa
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autonomia
amministrativa
provvedevano
alla
nomina
di
propri
rappresentanti per la formazione del governo centrale del Cadore sito a
Pieve. La centena rappresenta una divisione in cento famiglie e Zoppè
faceva parte della centena di Venas6.
Fino al 1522 circa, causa i pochissimi abitanti, era sotto Vodo poi passato
anche lui sotto Venas.
I boschi erano divisi in vizze in base alla loro utilizzazione; si va dall’uso
per difesa dalle slavine, per fabbrica, per legna da ardere e ogni guadagno
era usato tutto per il pubblico interesse. A Zoppè alcuni boschi hanno
mantenuto la denominazione di “vizza” ed essi stessi oggi hanno la funzione
di contenimento e protezione.Le vizze attuali sono in località Col de Sagui,
Col de Sant'Anna e Col de la Vizza.
L’ordinamento delle Regole fu soppresso nel periodo napoleonico per poi,
dopo alterne vicende, venire riconosciuto con il decreto legislativo n.1104
del 1948 e riconfermato nel suo diritto con la legge n.991 del 1952 e gli
articoli 10 e 11 della legge n.1102 del 1971.
4.EVOLUZIONE DEMOGRAFICA FINO ALL’UNITÀ
D’ITALIA
Nella lenta evoluzione demografica di Zoppè si passa dal 1562 con 80
persone al 1592 con 123 paesani raggruppati in 21 famiglie con un totale di
6
Centena composta dalle Regole di : Zoppè, Vodo, Vinigo, Peaio, Cibiana e Venas
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145 animali bovini, 32 capre e 211 pecore.Nello stesso anno si ha menzione,
in loco, di un mulino, una segheria, una mola e una fucina da fabbro con
maglio. In questo periodo si comincia ad avere notizia certa dello
svilupparsi dei rami genealogici delle altre famiglie zoppedine. I cognomi
presenti sono quattro: Bortholoto, Sagoie, Pampanin e De Livan.
Nel 1564 da Chiapuzza (frazione di San Vito di Cadore) provengono i
Pampanin e nello stesso periodo a Zoppè sono presenti sette famiglie De
Livan dalle quali si origineranno poi le famiglie De Bernardin (1598),
Tomea (1600), De Nadal (1600). I Sagui discendenti dal detto Serafino sono
in due famiglie e posseggono un vasto appezzamento in località Sagui.
Dei Bortholoto, provenienti da Palla d’Andraz, si hanno notizie di dieci
famiglie dalle quali discendono le famiglie Simonetti, De Lorenzo e
Mattiuzzi.
I Talamini e i Belfi provengono da Vodo; i primi nel 1637 mentre i secondi
nel 1841. Via via ingranditosi anche le risorse cominciarono ad essere
insufficienti alla sussistenza e si vennero così ad acquisire i terreni e i boschi
che andranno a costituire il patrimonio forestale attuale del paese. La vita
proseguì e il paese attraversò periodi in parte propizi staccandosi via via
dalla Pieve zoldana con la costruzione della chiesa di Sant’Anna e la
progressiva autonomia ecclesiastica.
Il 22 Maggio del 1797 Napoleone soppresse la Magnifica Comunità
Cadorina smembrando il Cadore in sei Cantoni: Pieve, Lozzo, Campitello,
Vodo, Selva e Forni Savorgnani (diventati sei comuni). Zoppè viene di
conseguenza aggregato al Cantone di Vodo.Tornato brevemente sotto
l’Austria, dal 1798 al 1808, ebbe ripristinati per questo periodo i propri enti
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ed istituzioni. Il 20 novembre del 1808 il Veneto torna sotto Napoleone e di
conseguenza anche il Cadore.
La regione venne così risuddivisa, ma stavolta, in due Cantoni: Auronzo e
Pieve diventati Comuni con i paesi gravitanti intorno passati al rango di
frazioni. Zoppè divenne così frazione di Pieve.
Con la caduta di Napoleone, il Cadore tornò definitivamente austriaco ma
gli sconvolgimenti passati fecero sì che non si restaurarono i vecchi ordini e
organismi.Dal 1814 in ogni paese venne istituito un consiglio comunale
guidato da due deputati con un agente comunale (segretario) ed un cursore
(messo o corriere). I deputati rettori vennero scelti dai capi famiglia tra i
possidenti non analfabeti.A Zoppè deputati furono Giovanni Simonetti e
Simeone Simonetti, agente comunale Giovanni De Luca da Borca e cursore
Giovanni Livan.
Il 7 aprile dell’anno successivo venne costituito il Regno Lombardo-Veneto
e il Cadore fu diviso in due distretti: Auronzo e Pieve. Gli abitanti di Zoppè
erano membri del distretto di Pieve con altri 13 comuni.
A coronamento dello sviluppo del paese, nel 1825, su disposizione
dell’autorità austriaca viene istituita la scuola elementare obbligatoria
gratuita costituita all’inizio da un maestro con gli allievi divisi in due
sezioni miste; una inferiore e una superiore.Le lezioni scolastiche erano
all’inizio svolte in un’aula della canonica.
La vita di paese proseguì tra liti con la Pieve di Zoldo: in questioni
ecclesiastiche, legate alla Parrocchia, e in questioni economiche sul
possedimento della Grava contro il comune di Goima (ora frazione di Zoldo
Alto).
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Nel 1837 venne imposto da un’ordinanza, del Lombardo-Veneto,
l’eliminazione dei cimiteri attorno alle chiese e Zoppè si adeguò.
Il cimitero veniva così rimosso e ne fu costruito uno nuovo in località Riva
del Pont tra la frazione di Sagui e Bortolot. Il vecchio cimitero aveva 100
anni e lì vi erano stati tumulati 969 cadaveri.
Nel 1866 con un plebiscito il Regno Lombardo-Veneto passò sotto la
sovranità del Regno d’Italia. Il 22 ottobre 1866, dopo il suono delle
campane, anche a Zoppè venne reso pubblico il risultato: di 689 abitanti
solo 107 avevano diritto di votare e di conseguenza ci furono 106 voti
favorevoli e una scheda bianca.
Quanto la popolazione si sia ingrandita si può notare scorrendo i registri
comunali per la tassa sugli animali del 1868 dove sono annotati: 258
mucche da latte, 45 buoi e manzi, 29 vitelli di un anno, 242 pecore e 68
capre.
Da settembre dello stesso anno, in ottemperanza alla legge statale, i beni
ecclesiastici passarono sotto il Demanio che li mise all’asta.Fu così che a
Zoppè quasi tutti i suddetti beni furono acquistati dagli stessi abitanti.
Da una relazione del 1876 del sovrintendente scolastico risultano iscritti a
scuola 31 ragazzi e 34 ragazze ma con un elevato numero d’assenze
giustificate dalla famiglia per motivi lavorativi: i ragazzi erano una fonte di
sostentamento nell’economia di casa insostituibile. Nel 1883 il Comune
allargò la mulattiera che conduce in Zoldo rendendola più sicura rispetto a
prima di allora quando vi perirono molte persone.
Nel 1887 vennero fissati, con il comune di San Tiziano di Goima, i confini
precisi del possedimento della Grava. I rappresentanti di Zoppè partecipi
della trattativa erano il sindaco Giovanni Livan , Domenico De Lorenzo ,
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Michele Pampanin, Gregorio Bortolot, Antonio Pampanin, Andrea Bortolot,
Gregorio Livan e Florian De Pellegrin.
L’anno dopo venne costruita la latteria turnaria sociale per la lavorazione
del latte; fabbricato costruito in frazione Villa.
Nel 1890 ci fu un’alluvione nella zona che distrusse tutti gli opifici posti sui
torrenti Rutort e Ru dal Craut e danneggiò molte case e fienili.
A disastro viene aggiunto disastro nel 1892 quando il 7 luglio un incendio
distrusse la fucina dei coniugi Mattiuzzi-Piere, sul Rutorto, appena
ricostruita dopo l'alluvione del 1890.I sinistrati vennero poi soccorsi dal
Comune che diede loro 24 piante di larice per la ricostruzione.
Il 15 ottobre 1896 avvenne un evento ancor oggi ricordato: l’incendio di
Zoppè.Incendio scoppiato dopo la caduta di un fulmine sopra la casa dei
consorti Livan-Pez a Bortolot che distrusse così anche il più antico maso di
Zoppè oltre a quaranta fabbricati. Poche le case salvate, si ha notizia di
quelle dei Pampanin Mani, Mattiuzzi Fior, Bortolot Baro e il fienile dei
Pampanin sotto la Chiesa.Distrutta anche la Parrocchia si salvò solo la pala
raffigurante Sant’Anna, le suppellettili e parte dell’archivio.
Perso fu l’archivio comunale e della Regola ma per fortuna non si piansero
morti.
Con spirito d’abnegazione e sacrificio Zoppè seppe risorgere e venne
ricostruita in breve tempo.Nel 1898 venne poi costruito, a segno indelebile
della rinascita del paese, il rifugio del C.A.I. chiamato VENEZIA alle
pendici del monte Pelmo; monte da sempre caro ai zoppedini.
Si entrò poi nel ventesimo secolo e il paese crebbe passando attraverso due
guerre mondiali dove dette anch’egli il suo tributo di vite per la Patria.
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Nel ventesimo secolo vennero alla luce ed emersero due personalità dotate
in campo artistico e riconosciute a livello internazionale: i pittori Tommaso
detto MASI Simonetti e Fiorenzo Tomea.
Gia dal finire del diciottesimo secolo si assistette anche all’esplosione del
fenomeno migratorio che interessò e interessa tutt’ora il paese.Emigrazione
che da generica si orientò via via verso un campo specifico: il gelato.Negli
anni gli emigranti divennero principalmente gelatieri rinomati e conosciuti
in Europa e fuori da Essa.
5.TABIÀ E CASERA: SOLUZIONI
LAVORATIVE IN MONTAGNA
ABITATIVE
E
La localizzazione prettamente montanara di Zoppè lo fa rientrare nella
fascia di montagna della Comunità Montana Cadore-Longaronese-Zoldano.
La Comunità montana è divisa in due zone: una di caratteristica prettamente
alpina ed una con caratteristiche tipiche delle Prealpi. Zoppè è inserita nella
prima fascia comprendente lo Zoldano, Ospitale e Perarolo mentre la
seconda fascia che si estende lungo la valle del Piave va da Castellavazzo a
Soverzene. Due sono di conseguenza le soluzioni di residenza e abitative.
Qui spetta di conseguenza analizzare la caratteristica di tipo montana usata
anche a Zoppè.In ambito dolomitico si parla di tabià e ancora più in quota di
casera e per quanto possa essere complesso affrontare le tematiche di queste
costruzioni il tutto verrà limitato ad un'analisi del tipo di costruzioni presenti
a Zoppè con una trattazione di base sebbene l'argomento sia ampio.
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Tabià nell'accezione moderna del termine indica un fienile ma dagli inizi
esso era anche una stalla e il luogo deputato alla lavorazione dell'orzo e
all'essiccazione delle messi. A Zoppè sono presenti tabià di tipo antico e
intermedio costruiti con il metodo pietrame e blockbau.Caratteristica
comune a tutte queste costruzioni è il legno molto abbondante; agli inizi era
usato il faggio per poi passare al larice.Il passaggio al larice avvenne a causa
dell'intenso sfruttamento del faggio per la lavorazione del ferro; in tutta la
vallata globalmente ne venivano utilizzati circa 3000 metri cubi l'anno.
Il tabià costruito con il metodo blockbau, detto anche della casa baiuvara, si
evolse fino al tabià di concezione moderna.Questo tipo di tabià arrivò in
valle da Zoppè e più precisamente era una costruzione tipica del Cadore; il
collegamento tra Zoldo e Zoppè permise così l'arrivo di questo tipo di
costruzione.Oltre il legname all'inizio si usò la pietra; tutti materiali presenti
sul posto e sfruttati anche con buongusto estetico pur vincolato dalla rigida
economia del luogo.Di solito di pianta rettangolare non era quasi mai parte
integrante con l'abitazione della famiglia, per la paura atavica degli incendi,
ma si trovava nei loro terreni.La pianta è di tipo rettangolare sviluppata su
due piani.
L'impatto visivo è quello di un puzzle ad incastro; infatti, il metodo
blockbau è detto anche metodo dell’incastro delle travi.Tale struttura è
realizzata con travi squadrate incastrate negli angoli che, a volte, emergendo
dalla casa creano anche pregevoli soluzioni d'angolo e d'effetto scenico.
L'incastro avviene agli angoli dove le travi sono incastrate a "mezzo
legno"in contemporanea su tutti e quattro i lati (tecnica a castello).Via via
19
con l'innalzamento del tabià le travi sporgenti possono allungarsi creando
così il sostegno per il secondo piano.Il tetto a punta è ricoperto da scandole7.
Il pianterreno è appoggiato su uno zoccolo in muratura per evitare il
deterioramento del legno; zoccolo in muratura difficilmente intonacato per
evidenti risparmi economici.Al primo piano c'era la stalla con la mangiatoia
sul lato lungo e con l'entrata rivolta a mezzogiorno sotto l'apice del tetto.Al
secondo piano, a cui si accedeva da un'entrata esterna, vi era il fienile. A
tutt'oggi a Zoppè in varie parti ci sono ancora esempi di tabià a memoria del
passato o ristrutturati per abitazioni.
figura1.Schema costitutivo delle pareti del tabià
Nell’edilizia alpina è presente un’altra tipologia costruttiva: la casera.
Nelle Alpi e Prealpi bellunesi, come in passato, è diffusa la monticazione
estiva sulle spianate; il tutto avviene sopra i 1000 metri s.l.m. e ciò permette
così uno sfruttamento dei pascoli d'alta quota.
Lo spazio usato per pascolare è detto malga e spesso è qui presente oltre il
casello (deposito latte e prodotti caseari) anche la casera.La casera, anche
7
Tegole di larice
20
luogo di riposo dei pastori, è il luogo dove viene esercitata l'arte casearia ora
come in passato.
La Casera presente in località la Grava, tuttora funzionante conta anche la
presenza di bovini e ovini che forniscono il latte per le varie lavorazioni.
Lo sviluppo edilizio della casera varia in base alle attività svolte e alle
aggregazioni o meno di altri edifici: può andare da un semplice edificio
sviluppato su pianta rettangolare, tipo parallelepipedo, a più edifici in un
complesso.
La struttura al pian terreno comprende: la cucina e luogo di lavoro, la
caneva del formai8e il casel del lat9.
In cucina è sempre presente il fogher10 e da qui si accede alla caneva del
formai: ambiente ristretto e poco illuminato da piccole aperture dove viene
riposto il formaggio.Dalla cucina si può accedere anche al casel del lat,
zona dove i recipienti del latte sono mantenuti al fresco in vasche di legno o
cemento grazie a incanalamenti di acqua fresca intorno.Nel sottotetto sono
invece ricavati i posti dove alloggiano i pastori.Queste costruzioni per
quanto abbiano una loro funzionalità mantengono una struttura semplice
non deformando così l'impatto con l'ambiente circostante.
8
Camera del formaggio
Casello del latte
10
Focolare
9
21
6.PICCOLO
PAESE
NATIVO
ARTISTICHE E DI SPESSORE
DI
PERSONALITÀ
-Don Vito Talamini-
Eroe o quantomeno persona di cultura e impegnato è stato Don Vito
Talamini, personaggio fino ad alcuni anni fa poco valutato.
Nacque il 15 giugno 1821 da Giovanni Talamini e da Margherita Sagui a
Zoppè; famiglia come quelle di allora dedicata all’allevamento e al duro
lavoro sui campi.
Presto Vito, sentita la vocazione, entrò in seminario a Belluno nel 1835 a 14
anni e divenne sacerdote nel 1845.
Nel 1848 partecipò attivamente ai moti antiaustriaci sui monti della zona.
Nel 1850 diventò professore del liceo di Belluno frequentato in gioventù e lì
restò fino al 1851 ; in quell’anno venne arrestato dagli austriaci e tradotto
nelle prigioni di Venezia accusato di far parte dell’associazione chiamata
Società delle Alpi11.
Liberato dopo nove mesi gli ci vollero quattro anni per venir riabilitato
totalmente, pur essendo note a tutti le sue posizioni sull’argomento.Riprese
poi l’insegnamento dal 1856 al 1866 presso lo stesso liceo di Belluno.
In seguito si ritirò a vita privata dedicandosi ai suoi studi e traduzioni.
Cappellano in vari paesi del bellunese morì il 17 maggio 1885 a Perarolo e
ivi sepolto nel cimitero di San Nicolò.
Sicuramente Don Vito fu una personalità ricca d’umanità e di buona cultura
letteraria, coerente nelle sue scelte religiose e politiche; egli si distinse come
11
Associazione segreta antiaustriaca
22
traduttore, insegnante e patriota, rimanendo, però, a lungo dimenticato.Un
aiuto a risvegliare la memoria della collettività c’è stato con la tesi di laurea
di
Clementina Sagui scritta su di lui nel 1975 dal titolo: “Don Vito
Talamini patriota e letterato dell’Ottocento veneto (1821-1885) ”.
-Tommaso detto Masi Simonetti-
Uno delle due personalità artistiche che si fece conoscere al mondo, di
Zoppè, fu Tommaso detto Masi Simonetti. Nacque il 27 marzo del 1903,
rimasto orfano, nel 1919 emigrò con uno zio, Bortolo, a Pavia dove fece
come molti compaesani il venditore di dolci, il Bombonat.La povertà
spingeva molti ad emigrare e lui orfano non sfuggì a questo destino.
All’inizio Pavia non gli piacque per la vita un poco monotona che, secondo
lui, si viveva
ma scoperti i suoi tesori artistici come chiese, palazzi e
monumenti, cambiò idea. Sempre a Pavia incontrò un professore che lo
iniziò all’arte del disegno trovandogli anche un’occupazione come
decoratore.
Nel 1925 arrivò a Parigi, città storicamente all’avanguardia e, all’epoca
centro di mutamenti ed evoluzioni artistiche, dove raggiunse la sorella
Amalia ed in seguito nel 1929 conobbe Madeleine Aubert, sua futura
moglie.
23
Tema delle sue opere è il “ritorno” e la “nostalgia”; Zoppè era un paese che
amava molto, tanto che diceva sempre “volarave che i me sepolise sui Coi”
(vorrei mi seppellissero sui Coi a Zoppè).
Senza attenersi ad un uso unico delle immagini, usò sempre in modo
ambivalente forme astratte e figure per esprimere i suoi pensieri.
I suoi soggetti preferiti sono le montagne di Zoppè e le maschere del
carnevale apparse spesso nei dipinti con angoscia e inquietudine.
Era sempre di rincorsa tra Parigi e Zoppè alla ricerca di un qualcosa che non
riusciva a trovare.Scrisse poesie e lettere dove espresse sempre l’amore e la
nostalgia per la sua terra. Nel 1963 a Belluno e nel 1965 a Cortina
d’Ampezzo si tennero le uniche due mostre allestite in territorio italiano con
l’artista ancora in vita.Per il resto, l’attività espositiva si svolse tutta
all’estero e quasi esclusivamente a Parigi con sole due eccezioni: Lilla e
Amiens (1946) e Brest (1952). Fu sempre capace di stupire come durante
una visita di Dino Buzzati quando criticò, per un particolare, la Guernica di
Picasso.
Morì il 21 febbraio 1969 a Parigi amato e rimpianto dai compaesani.
-Fiorenzo Tomea-
Fiorenzo Tomea, nato nel 1910, partì ed emigrò a Milano dove orfano di
padre esercitò vari mestieri tra i quali il venditore di paste.
Qui cominciò a dipingere le sue prime opere facendo poi, tra il 1926 e il
1928, la spola con Verona.
24
Nel 1928 tornò a Milano dove avvenne l’incontro con Edoardo Persico,
critico e mentore napoletano verso i giovani amanti dell’arte, che gli fece
conoscere l’Impressionismo.
Approfondì poi l’argomento con un soggiorno studio, nel 1934, di sei mesi a
Parigi.
Di ritorno da Parigi smise di fare l’ambulante e stabile a Milano si dedicò
alla pittura, pur facendo sempre brevi viaggi nella natia Zoppè.
Nel 1937 ci fu l’esplosione artistica con l’ottenimento della medaglia d’oro
del Ministero dell’Educazione con l’opera“Candele e Maschere”.
Aderì marginalmente al gruppo Corrente che nel 1939 fece una mostra alla
Permanente di Milano.
Nel 1940, dopo un breve richiamo militare ad Udine, ci fu il periodo della
sua maturità artistica dove propose opere personali e interiori.In seguito
sposò Maria Camilla Centoza dalla quale ebbe due figli: Paolo e Felicia.
Periodo questo sereno che traspare da un maggior uso più solare dei colori.
Dal 1942 al 1960 ottenne vari e preziosi riconoscimenti e nel 1956 gli venne
dedicata una sala alla Biennale di Venezia.
Nel 1956 venne eletto sindaco di Zoppè, carica che rivestirà fino alla morte
avvenuta nel 1960.
Nel 1958 già minato nel fisico inaugurò a Metanopoli, vicino San Donato
Milanese, il mosaico“Calvario”di ben ottocento metri quadrati.
Dopo quest’ultimo lavoro ebbe diversi periodi di pausa.
Prima della sua morte gli venne anche dedicata una mostra antologica a
Torino, poi trasferita a Pieve presso la Magnifica Comunità Cadorina.
Si spense a Milano nel 1960.A Zoppè, per commemorare i due compaesani,
sulle loro case è apposta una lapide ricordo.
25
7.UNA MONTAGNA, UN SIMBOLO: IL PELMO
Appena si giunge a Zoppè una delle prime cose che balza agli occhi è la
vista del monte Pelmo sullo sfondo.Intorno ad esso ci sono il monte Rite e il
Penna che in paragone sembrano poco più che colli.
Fu il primo monte delle Dolomiti Orientali ad esser scalato, nel 1857.
Ha saputo resistere all’assalto turistico nel tempo tant’è che ci sono ancora
zone usate dalla gente del luogo per fare legna o fieno.
Il Pelmo è detto il “Caregon del Padreterno”12 per la forma che ha
osservandolo da Zoppè. Il soprannome nasce da una leggenda che si perde
nel tempo.
Dio scese ad ammirare, dopo la creazione, la bellezza del creato e arrivò in
Italia che già sapeva patria del suo successore Pietro.
Qui giunto volle creare oltre ai tre mari che la circondano anche una barriera
di montagne a nord.
Nacquero così le Alpi sì belle ma con qualcosa che sentiva mancare; un
qualcosa di ancor più bello.
Plasmò così montagne, se non più alte, più caratteristiche creando le
Dolomiti; montagne fatte di un materiale diverso, tale che specialmente al
tramonto potessero riflettere dolci riflessi color rosa tramutati poi alla luce
della luna in riflessi argentati.Montagne arricchite da creste, picchi e guglie.
Dopo un intero giorno di lavoro Dio voleva sedersi, ma non trovando dove
tra queste montagne, prese la centrale e la plasmò come una poltrona.
12
La poltrona del Padreterno
26
Qui comodamente seduto poté ammirare il creato con il panorama che si
estendeva dalla Marmolada alle Tofane, dal Cristallo alle Tre Cime di
Lavaredo, dal Peralba all’Antelao….
Stanco, Dio si appisolò e al risveglio volle rimodellarle ma ci ripensò perché
la sua azione stonava col paesaggio e anche perché avrebbe ricordato agli
uomini il suo soggiorno vedendolo.
Questa appena descritta era la leggenda mentre, il nome Pelmo sembra fosse
stato attribuito per la prima volta durante la Grande Guerra dal cappellano
militare rev. Don Zangrando; prima era semplicemente chiamato “il Sas de
Pelf”.
Il 18 settembre del 1857 avvenne l’ascesa alla sua cima e oggi il suo ricordo
è un misto di realtà e leggenda.
Quel giorno verso le ore 03.00 lo scienziato naturalista John Ball con l’aiuto
di Giovanni Battista Giacin, detto Sgrinfa cacciatore che asserì di aver
scoperto la via per la salita, partì.
Salendo incontrarono Don Alessio Marmolada13 che andava a caccia con
due compaesani.
Si annotò, in quel periodo, che lo stesso Don Marmolada avesse scoperto
una via per la vetta.
In circa due ore e mezza, John Ball e la guida giunsero alle pendici del
Pelmo e si trovarono di fronte una cengia alla parete est con tre passaggi
difficili da affrontare uno dei quali è il noto “passo del gatto”.
Passaggio quest’ultimo difficile e da superare a carponi a causa di un tetto
molto basso e di un passaggio esterno su un cornicione.
13
Parroco di Zoppè dal 1854 al 1859
27
Con il coraggio romanzato del naturalista inglese, i due proseguirono in
ascesa fino al vallone centrale e ad un piccolo ghiacciaio oggi quasi
scomparso.
A quel punto la guida, che in realtà non aveva intenzione di andare oltre, si
fermò e Ball proseguì finche verso l’una raggiunse l’affilata ed esposta
cresta di massima elevazione.
Giovanni Giacin, più cacciatore che altro, non vedeva l’utilità di salire così
in quota dove non era riscontrabile un vantaggio immediato; prede o
qualsivoglia bottino di un cacciatore.Questo era dovuto al fatto che i
cacciatori si spingevano in quota solo per recuperare selvaggina. All’epoca
non esistevano ancora le guide per semplici escursioni.
Arrivato in cima J. Ball poté vedere tutte le cime dolomitiche e, più in là, il
gruppo dello Stelvio. Da allora ad oggi furono edificati tre rifugi del C.A.I.
intorno al Pelmo: rifugio Venezia, rifugio Staulanza e rifugio Città di
Fiume.
8.IL CARBONE E LA SUA PRODUZIONE IN PASSATO:IL
POIAT
La vicinanza alla Val Zoldana e il conseguente inglobamento nelle attività
delle lavorazioni del ferro portò ad una specializzazione nella lavorazione
del carbone; materiale utile a queste lavorazioni dei materiali ferrosi. La
procedura per la lavorazione del carbone era lunga; per ottenerlo si usava
costruire un bello spiazzo14, dove si piantavano nel mezzo quattro pali di
14
Jal
28
legno da rivestire con fronde d’abete15 , ricoprendo poi il tutto con terra
lasciando
però
dei
buchi
intorno
per
dare
respiro
alla
Poiat.
Con il tutto pronto venivano gettati dei carboni accesi nella cima e poi il
tutto era ricoperto di rastole e terra.
La vigilanza sulla carbonaia doveva essere massima e appena si notava un
principio d'incendio il buco veniva chiuso e se ne apriva un altro.Il fuoco
veniva alimentato aggiungendo ogni tanto dei botoi16.
Dopo circa 100 ore di combustione, non alimentandola più e lasciandola
raffreddare e spegnere venivano tirati fuori i pezzi di legno carbonizzati e
allineati sullo Jal, spegnendo con l'acqua eventuali faville; e così si otteneva
un carbone d’ottima qualità.
In passato ogni Jal costruito ha dato il nome a diverse località del paese e
attualmente alcune zone ne conservano il toponimo come: lo Jal de Battista
sito sopra località Sagui, lo Jal de Pian in località Pian appena sopra il
paese, lo Jal de Barba Andrea in località Fraine, sulla strada per andare a
Vodo di Cadore.
9.I “SEGN DE CASA” E I BATTELIERI DEL PIAVE
Nell’economia locale e regionale il legno da sempre ha rivestito un ruolo
fondamentale sia per la sussistenza che per il commercio del quale il
maggiore fruitore era la Repubblica Serenissima di Venezia.Legno pregiato,
15
16
Rastole
Pezzi di legno di una ventina di centimetri circa
29
quello cadorino, acquistato soprattutto da Venezia per il suo arsenale navale
rinomato in tutto il mondo.
Zoppè contribuì nella fornitura del legno dei propri boschi; il legno inviato
era marchiato con determinati simboli che indicavano le singole famiglie
proprietarie del legname stesso.
Questi simboli erano detti i “Segn de casa” ed erano presenti oltre che sul
legno anche su utensili da lavoro e su tutti i beni mobili ed immobili
appartenenti ad una singola famiglia; case comprese. I Segn de casa erano
spesso usati come firma a valor legale anche in caso di controversie; essi
rappresentano una singola famiglia o fuoco ed erano tramandati integri al
primogenito.Nel caso di una prole numerosa, il segno di famiglia veniva
trasmesso a tutti i figli ma solo il primogenito lo riceveva integro; i fratelli
lo modificavano aggiungendo un segno al simbolo del padre pur
mantenendone intatta l’unicità.
Segn de casa posti a riconoscimento della casa della famiglie ora non sono
più molto presenti dopo la riconversione a metà del 1800 delle case di legno
stile Cadorino in muratura.Molti di essi sono stati recuperati e sono tutt’ora
visibili nel locale museo etnografico “Al Poiat”. Gli zoppedini contribuirono
con il loro legno all’attività dei Battellieri del Piave che trasportarono il
legno da tutto il Cadore a Venezia, sul Piave, fino agli anni venti del
ventesimo secolo. I viaggi di solito erano due l’anno: uno a Maggio e uno
verso l’inverno.
Il trasporto avveniva attraverso i canali d’acqua e con un sistema di dighe
lungo il percorso che collegava così territori distanti fra loro e ne facilitava
il commercio.Il primo viaggio, verso Maggio, avveniva quando i primi caldi
facevano sciogliere le nevi ingrossando i corsi d’acqua ed era detto menadà
30
granda; il secondo viaggio avveniva d’inverno ed era chiamato menandolà
perché la portata d’acqua era meno abbondante.
Nel gruppo dei battellieri due erano le figure presenti: i zatèr e i menadàs. I
zatèr erano i timonieri delle enormi zattere per il trasporto del legno mentre i
menadàs, mansione non priva di rischi, con aste lunghe e flessibili armate
di rostro d’acciaio cercavano di non fare arenare o bloccare i tronchi lungo
la fluitazione.
10.LA CHIESA DI SANT’ANNA E IL RADICAMENTO
DELLE RADICI CATTOLICHE
Importante per il paese è la Chiesa di Sant’Anna, intitolata alla patrona
locale che si festeggia il 26 luglio.
La Chiesa di Sant’Anna nasce come evoluzione da cappella eretta sotto la
tutela della Pieve di Zoldo.
La consacrazione, dell’allora cappella avvenne nel 1590 con la celebrazione
del primo matrimonio in loco; gli sposi erano Antonio de Livan (bandito da
Belluno) e Thomeia Ossi di San Vito.
La cappella restò affidata alla Pieve zoldana che vista la distanza e la strada
non proprio agevole capitava che mandasse poche volte l’anno un prete per
le funzioni di rito (fatto salvo per la festa patronale).
Questa carenza della presenza non costante di un prete pesava ai paesani
che, lavoravano duramente e che, poi dovevano scendere fino alla Pieve
31
presso la Chiesa di San Floriano.Ancora presente nella cultura locale è una
filastrocca distintiva tra la Chiesa di Sant’Anna e quella di San Floriano a
ricordo dei tempi passato per indicare la difficoltà di giungere a Zoldo in
alcuni periodi dell’anno: “Sant’Anna è tutta nostra e San Floriano in parte,
Sant’Anna porta i fiori e San Floriano la neve”.
Nel 1726 venne eletta Mansioneria con un prete responsabile così
unicamente della cura delle anime del paese, sebbene sempre limitato da
intromissioni, nel suo lavoro, dell’Arciprete di Zoldo.
Si arrivò al 1843 con la nomina, con decreto vescovile, a Parrocchia
indipendente; grazie anche all’ormai numerosa popolazione del paese.
Così la Parrocchia di Sant’Anna si staccò per sempre da Zoldo, pur
restando legata, per alcune funzioni e celebrazioni alla Forania.
Dal 1930 in poi ci fu anche la rinuncia delle primizie da parte del pievano di
Zoldo e così da quell’anno in poi venivano date al parroco del paese.
Primo parroco indipendente fu Don Luigi De Col, di Belluno.
Nella Chiesa, che dopo l’incendio del 1896 venne ricostruita nella forma
attuale, è custodito sull’altare principale un quadro raffigurante: “La
Madonna in trono con il Bambino fra i Santi Anna, Paolo e Giovanni”.
Questa tela è fatta risalire alla scuola di Tiziano Vecellio e dipinta se non
da lui da allievi della sua Scuola; ma per tutti questa è il quadro di
Sant’Anna di Tiziano.
Tela che fu salvata fortunosamente, durante le invasioni napoleoniche, e
venne nascosta nell’incavo vuoto di un tronco.
Troppo forte era, com’è tutt’ora, l’attaccamento alla Santa Patrona.
Purtroppo il luogo scelto rovinò non poco il quadro che inseguito subì due
restauri l’ultimo dei quali nel 1951 rimediò parzialmente ai danni del primo.
32
Il restauro, del 1951, fu fatto dal prof A. Lazzarin a Venezia e ancor oggi si
spera in un nuovo e più risolutivo restauro che possa riportare agli antichi
splendori questo quadro importante per il paese.
E' presente nella Chiesa parrocchiale anche un pregevole organo17 del 1746;
attualmente il più antico del Cadore oltre a varie opere dello scultore G.B.
De Lotto; non a caso da undici anni allo svolgersi della rassegna “Organi
Storici in Cadore” Zoppè è sempre presente con una serata a tema.Rassegna
questa degli organi storici fatta per la valorizzazione del cospicuo
patrimonio organario presente nelle varie chiese dell’alta Provincia di
Belluno.
Da quando la Parrocchia, nel 1843, divenne indipendente ci fu una famiglia
di Zoppè i cui membri, come sacrestani, si occuparono della sua gestione
fino al 1952: la famiglia dei Bortolot di "Monech".
Il loro lavoro consisteva nel preparare candele, particole e curare la Chiesa
in tutti i dettagli.Lavoro svolto egregiamente fino al 1952 quando Albino e
Virginia Bortolot cessarono l'attività' fino allora svolta; il tutto venne
celebrato con una grossa festa di paese perché in fondo una parte di storia
locale era venuta a cessare.
Albino morì nel 1955 e Virginia nel 1964.Il soprannome "di Monech" resta
ancora oggi per indicare la famiglia ed il suo antico ruolo di
sagrestani.L’ultima domenica del mese di Ottobre in coincidenza del rientro
degli emigranti si tiene la processione della Madonna del Rosario dove i
coscritti neo-diciottenni, secondo un’antica tradizione, portano per il paese il
busto raffigurante la Madonna della Salute.
17
L’organo "D.Gasparini" (1746) venne donato nel 1992 alla parrocchia da don Osvaldo
Bortolot
33
La data, con il passare degli anni, è stata spostata : dal 7 di ottobre (cadenza
effettiva della festa della Madonna della salute) è fatta slittare all’ultima
domenica di Ottobre in occasione del rientro degli emigranti.
Il momento culminante della festa è la recita dei vespri.
Questi vespri, caso unico, vengono cantati secondo le antiche melodie
patriarchine di Aquileia tramandate oralmente.
Zoppè risulta esser l’unico paese del Cadore ad aver mantenuto intatti nella
versione tradizionale i vespri.
11.ATTIVITÀ, ASSOCIAZIONI LOCALI E VITA DI PAESE
Zoppè nel secolo scorso passò attraverso due guerre mondiali crescendo e
poi perdendo per motivi di lavoro molti suoi paesani che divennero
emigrati.
Già dalla fine del 1800 per sopravvivere cominciarono quei movimenti di
gente chiamati migrazioni; sempre meno nazionali e sempre più con
carattere europeo.
Le attività commerciali presenti in passato erano varie tra alimentari, osterie
e locande; ora sono presenti solo un negozio di alimentari, un bar, un
ristorante, una banca e un ufficio postale. Il negozio di alimentari, l’unico
34
rimasto dei tre presenti in passato, è gestito da Nicolò Simonetti e si trova
in Via Bortolot di fronte al Municipio e rappresenta un angolo di vita
paesana immutato nel tempo.
Aperto nel 2002 d’estate è meta di passaggio anche di turisti che prima di
andare in passeggiata sui monti della zona o al rifugio Venezia lì fanno
tappa per far provviste. D’estate, quando la popolazione locale si riduce ad
anziani e giovani, è un valido luogo dove poter svolgere commissioni senza
dover fare più di sette chilometri per scendere a Forno.
Il signor Nicolò pubblica anche un giornale biannuale chiamato il
“Ciònch”18 dove vengono pubblicati articoli riguardanti la vita di paese: in
ambito politico sono pubblicati articoli sulla vita politica con riservati un
angolo alla maggioranza e uno all’opposizione.
Amministrativamente Zoppè è retto da una lista civica chiamata “Scarpet”19
con in opposizione la lista civica “Schirata”20.Il consiglio comunale è
composto da 13 consiglieri più il sindaco, Domenico Sagui-Pascalin. La
maggioranza “Scarpet” ha nove consiglieri mentre l’opposizione quattro.
La lista di maggioranza “I Scarpet ” è composta da: Manola Sagui
(capogruppo), Fabio Bortolot, Renzo Bortolot, Paola DeNadal, Elena
Pampanin, Clementina Sagui, Leone Sagui, Nicola Simonetti.
La lista di
minoranza “Schirata” è composta dal capogruppo Gabriele Livan, Massimo
Bez, Sara Pampanin e Romeo Sagui. La giunta è presieduta dal sindaco e
comprende due assessori di cui uno esterno: il vicesindaco nella figura di
Renzo Bortolot e l’assessore Milva Simonetti.
18
Termine ladino per indicare un pezzo di legno con il quale si legavano le balle di fieno
Dal nome di una calzatura locale
20
Dal nome dialettale dello scoiattolo
19
35
In paese si riscontra la presenza di sole liste civiche per il forte attaccamento
dei zoppedini alla loro realtà; nessuna persona esterna alla realtà locale deve
venire a gestire la loro vita polita e amministrativa.
Nel 2000 alle votazioni di rinnovo del municipio Zoppè assurse alla cronaca
giacché le votazioni finirono in parità con 56 votanti per parte.
Per un breve periodo ci fu il commissario di governo ma, grazie alla volontà
dei giovani organizzatisi nel frattempo in liste civiche, venne impedita
l’elezione di forestieri21.
Dal 1994 è presente un ristorante, “ Antica locanda al Pelmo”, ed è gestito
dalla signora Graziana Ottavi e rappresenta una valida promozione per la
cucina locale oltre ad essere l’ultimo ristorante prima della salita ai monti. È
altresì presente una ditta a gestione individuale nel ramo tecnologico che si
occupa di accessori per computer.
Non manca la presenza di uffici pubblici come la Posta e un ufficio
bancario.La Posta, pur avendo subito un drastico ridimensionamento
dell’orario
di
apertura
al
pubblico,
è
tutt’ora
presente
grazie
all’interessamento comunale.Presenza postale che è tutt’ora sentita vista la
chiusura dell’ufficio di Dozza22 che avrebbe comportato uno spostamento
non indifferente per l’uso dei servizi postali da parte degli zoppedini:
avrebbero dovuto percorrere diversi chilometri per raggiungere il primo
ufficio a Forno di Zoldo.Nel 1999 venne inaugurato un ufficio bancario che,
anche se aperto un giorno la settimana, ha permesso una facilitazione della
gestione del flusso di denaro degli emigranti nel periodo invernale e la
gestione delle normali pratiche bancarie durante l’anno.
21
22
Gente non del paese
Frazione di Forno di Zoldo
36
Nei locali sotto il municipio è presente anche un ambulatorio medico che
funziona un pomeriggio alla settimana con l’arrivo di un medico dell’ASL;
la presenza settimanale di un medico rende un servizio utile alla
popolazione specialmente d’inverno quando i collegamenti sono resi
difficoltosi a causa del maltempo.
E’ presente anche una biblioteca comunale, posta in alcuni locali della
scuola elementare, che per quanto piccola è comunque al passo coi tempi
per la fornitura di servizi come l'accesso ad internet e una futura videoteca
con inclusi anche spazi per eventi culturali vari. La scuola elementare,
intitolata ai pittori Masi Simonetti e Fiorenzo Tomea, attualmente
comprende otto alunni in classe miste con tre maestri.
Per quanto piccola avere una scuola a Zoppè
permette ai bambini di restare
è molto importante perché
radicati nel paese e nello stesso tempo
preparasi in modo tranquillo al futuro inserimento nelle scuole medie a
Forno di Zoldo.
In ambito culturale, durante tutto l’anno e specialmente in periodo estivo,
vengono organizzate varie manifestazioni o eventi come recite, mostre o
spettacoli teatrali.Molto di questo merito è dell’associazione Union Ladign
de Zopè23 nata ufficialmente nel 2002.Grazie ad essa sono affisse in alcuni
angoli caratteristici del paese delle targhe con scritte che illustrano brevi
quadri di vita trascorsa.
L’ULDZ prima era costituita da un gruppo d’amici conservatori della
cultura locale del paese che poi, nel 2002, si è dovuta costituire come
associazione per poter ottenere i contributi spettanti alle minoranze etniche
23
Unione dei ladini di Zoppè
37
erogati dallo Stato.La base comune dell’esistenza della ULDZ è
l’amore
per il paese e il desiderio di salvare e rivalutare le proprie radici.
La provincia di Belluno in base alla legge 482/99 “Norme in materia di
tutela delle Minoranze linguistiche storiche” ottenuto il compito di
delimitare le disposizioni di tutela delle Minoranze linguistiche approvò la
delibera N. 30/244 del 27.10.2001.
Nella delibera veniva circoscritta l’ambito territoriale delle minoranze
linguistiche ladine e germaniche sulla base delle deliberazioni consiliari dei
Comuni interessati.
Tra i comuni interessati c’è stato anche quello di Zoppè di Cadore in quelli
di area ladina.
In ambito associazionistico la realtà zoppedina è abbastanza viva, con un
incremento d’inverno al rientro degli emigranti dalla Germania.
A Zoppè è presente uno sci club, costituitosi subito dopo la fine della
Seconda Guerra Mondiale in maniera ufficiosa mentre in maniera ufficiale
nel 1957, al quale i paesani sono molto legati.
Prima di allora gli amanti dello sci erano iscritti allo sci club di Forno di
Zoldo.
D’inverno si può affermare che “andare con gli sci” (sciare) sia la passione
più comune dei zoppedini.
I bambini crescono già con una cultura sportiva radicata e già in età precoce
cominciano a praticare lo sci.
Zoppè ha avuto due campioni di sci: Lodovico Sagui campione nazionale di
fondo
nel
1957
e
Bonaventura
Simonetti
campione
nazionale
postelegrafonici alla fine degli anni ’70.
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Vi è stato nel 1960, in preparazione dei giochi invernali a Squaw Valley, il
raduno della squadra nazionale di sci di fondo; la sistemazione in un paese
di montagna così piccolo poteva sembrare scomoda ma gli zoppedini
seppero far sentire gli atleti accettati, come a casa loro, per impegno e
spirito di ospitalità.
Lo stemma dello sci club fu ideato e disegnato dal pittore Masi Simonetti e
rappresenta un’aquila con le racchette da sci tra gli artigli che vola con il
Pelmo sullo sfondo.
Attualmente lo sci club Zoppè di Cadore consta di 30 membri, alcuni dei
quali gareggiano con discreto successo nei vari campionati nazionali di
categoria master.
Come paese di montagna, è presente qui anche l’Associazione Nazionale
Alpini con 60 iscritti al 1986, ora scesi a una trentina.
Fino al 1973 tutti gli alpini erano iscritti nella sezione A.N.A. di Forno di
Zoldo; da quell’anno nasce ufficialmente la sezione A.N.A. zoppedina.
L’attaccamento alla “penna nera” è molto sentito in paese e a riprova di ciò
c’è stato a Ottobre 2003 un raduno di tutti gli alpini del Cadore per
festeggiare il quindicesimo raduno nazionale e il trentesimo anno dalla
fondazione della stessa.La festa è stata grazie a tutti e agli alpini di Zoppè; il
paese era tutto in festa e al culmine c’è stata una spettacolare processione di
tutti gli alpini per le sue vie.
Trovatisi poi tutti in una tenso struttura, dopo le commemorazioni e i
discorsi delle autorità c’è stato un segno d’ospitalità locale di tipo culinaria;
cucina a base di polenta, pastin (pietanza locale a base di carne di manzo e
di maiale), formai (formaggio) il tutto condito da un got’ de vin (bicchiere di
vino).Evento riuscito
grazie anche all’aiuto della popolazione che ha
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vissuto ciò con orgoglio e commozione. Molti abitanti sono in paese solo
nel periodo invernale ma ciò ha dimostrato che l’attaccamento alle proprie
radici è profondo e immutato in tutto il paese.
Dai primi anni cinquanta è presente anche una sede dell’associazione
italiana donatori del sangue collegata con l’ospedale di Belluno e in lavoro
simbiotico con la sede di Forno.
L’associazione ha sigla, come tutte le presenti in provincia, AVBS che sta
per Associazione Volontari Bellunesi Donatori di Sangue.
Dal 1930 esiste un bollettino paesano chiamato "Campane del mio
villaggio"dove è praticamente passata e scorre tuttora la vita di Zoppè tra
nascite, morti, matrimoni, avvenimenti locali e nazionali; il tutto espresso e
sviluppato in ottica cattolica.
L’esistenza di un bollettino locale è dovuta alla volontà di mantenere vivo il
paese anche per gli emigranti e gli oriundi lontano da esso che lo ricevono
in abbonamento postale. Su una popolazione attuale di 229 persone il 70% è
emigrante gelatiere in Germania. L’emigrazione gelatiera comincia alla
metà del 1800 e attualmente i più rinomati gelatieri in Europa, ma
soprattutto in Germania, sono Cadorini e Zoldani. La vita del gelatiere non
è mai stata semplice e specie dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale
ancor più dura in Germania.
Nella ricerca di una maggiore tutela della categoria, dopo varie idee e
tentativi partiti nel 1960 si arrivò nel 1969 alla nascita dell’UNITEIS
(l'Associazione dei Gelatieri Italiani in Germania) che aiuta e cura i rapporti
con lo stato tedesco oltreche a mantenere, sempre, una qualificata difesa del
gelato artigianale italiano.
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L’ultimo presidente è stato un gelatiere di Zoppè, Fausto Bortolot,
qualificato emigrante con anni d’esperienza sul campo.
Sentendo vari pareri, l’UNITEIS nella sua opera è stata parecchie volte
d’aiuto anche se a volte poteva succedere, come ogni ente di una certa
dimensione, che in alcune zone della Germania non fosse stata presente
come si sarebbe voluto.
Aiutò e attualmente aiuta ancora la tutela dei gelatieri facendo opera
meritevole.
Zoppè, come già indicato, è membro della Comunità Montana CadoreLongaronese-Zoldano ed esprime suoi rappresentanti negli organismi
direttivi come tutti i comuni membri; a tuttoggi è presidente il suo
vicesindaco Renzo Bortolot.
Dal 25 febbraio 1991, è presente in ambito della Chiesa
una sede di
“Insieme si può”facente parte dell’omonima associazione provinciale con
altre
ottanta
associate
della
provincia.Apolitica
e
apartitica
è
un’associazione di volontariato che sensibilizza sui grandi problemi quali
fame, sottosviluppo, povertà ed emigrazione che colpiscono paesi vicini e
lontani; il suo sostegno è economico, morale e sociale. Il gruppo si
autosostiene con offerte libere e grazie anche a mercatini, lotterie e dolci
fatti dai membri.
Attualmente è in atto in paese una risistemazione globale della
toponomastica per adattarla meglio al contesto e renderla più razionale.
La numerazione delle case è stata riorganizzata in maniera logica, essendo
fino ad allora casuale in base alla costruzione delle singole case senza un
ordine prestabilito. Sono state anche rinominate delle vie del paese, mentre
per altre non è stato possibile farlo per ora.
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Fermo restando il nome delle vecchie vie, la parte finale di Via Villa è stata
rinominata Via Le Chiasate; è la parte di strada che porta alla casa del
pittore Via F.Tomea. Via Bortolot è stata ridimensionata e la parte
sottostante la Chiesa è stata rinominata Borgo Sant'Anna, mentre la parte
finale verso Via Sagui diventa Borgo Sant'Antonio.
Il rititolazione di tre vie è stato bloccata definitivamente, con ordinanza del
Consiglio di Stato del 6 novembre 2002.Le tre vie interessate sono: Via
Cadore al posto di strada de Pian, Via Don Vito Talamini al posto di strada
de Costa e Piazza Masi Simonetti al posto di Piazza Simonia.
Il ricorso fu inoltrato dal Comune nella speranza di poter riqualificare e dare
voce a due personaggi importanti della sua storia.
Pur essendo già presente una via intestata al pittore Simonetti a Belluno il
problema è che viene fatto notare al paese che non esiste nessun’indicazione
toponomastica in tutta la provincia in tal senso (uno dei motivi di rigetto
dell’istanza comunale).
Comunque varie sono le motivazioni e si spera presto di giungere a mettere
la parola fine a questa vicenda.
Fine che avverrà poi con la ripresentazione della domanda presso gli Enti
competenti che la analizzeranno meglio e vi è la speranza di un maggiore
coinvolgimento dei politici locali e di una soluzione positiva al problema.
Zoppè è
nulla ma
un piccolo paese di montagna che a molti potrebbe dire poco o
merita di esser trattato perché rappresentò e rappresenta uno
spaccato sulla vicenda degli emigranti e maggiormente sul mestiere del
gelatiere.
Lavoratori che espatriando sia in Europa che in America non si
dimenticarono mai delle loro radici e del loro paese nativo; paese di
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montagna e con un paesaggio immerso nel verde e soprattutto ancora vitale
a discapito di molti cambiamenti avvenuti nel giro degli ultimi cento anni.
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