STILI DI VITA Dal country style all`inglese, a simbolo durevole della
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STILI DI VITA Dal country style all`inglese, a simbolo durevole della
STILI DI VITA Dal country style all’inglese, a simbolo durevole della moda-mondo. Lamberto Cantoni STILI DI VITA LAMBERTO CANTONI BARBOUR 07 Alex Turner PH. Andy Willsher. e per le passeggiate nella meravigliosa campagna inglese delle élite sociali britanniche, mirabilmente ed elegantemente implicite nelle significazioni funzionali e pratiche che discendono dall’interpretazione lineare di questo capo d’abbigliamento, hanno avuto un ruolo centrale per lo strabiliante successo di un giaccone a prima vista molto lontano dagli standard dell’eleganza. Possiamo collocare, è solo una congettura ovviamente, un evidente interesse del bel mondo per il Barbour a partire dal secondo dopoguerra. Grazie all’adesione appassionata della gente che conta il giaccone si trasformerà in un potente simbolo dello stile di vita inglese e la notorietà della marca si allargherà in modo esponenziale predisponendo il prodotto a divenire un capo d’abbigliamento mitico. IL ROMANZO DEGLI INIZI Sembra che John Barbour abbia progettato il suo giaccone impermeabilizzato grazie al cotone oleato (oilskin) verso la fine dell’Ottocento. Probabilmente esisteva già più di un modello al quale ispirarsi le cui origini rimangono oscure. Di certo possiamo registrare solo la nascita del negozio di South Shields nel 1894, che riportava il suo nome: J. Barbour & Co., Tailors and Drapers. A partire da quei giorni, probabilmente facendo seguito ai numerosi apprezzamenti per alcune sue invenzione o rivisitazioni vestimentarie, l’ingenioso scozzese cominciò la produzione in larga scala di cappotti e giacche impermeabili venduti con l’etichetta Bacon, che incontrarono immediatamente il gusto tra la gente del porto. Ma è molto probabile che il giaccone riscuotesse un interesse assai più vasto del pubblico di marinai. Non era poi così difficile accorgersi che i giacconi oleati potevano essere funzionali praticamente per tutte le attività all’aperto. Al punto che nel 1908 Malcom Barbour, il figlio di John, fece le mosse giuste per allargare il mercato. Preparò un catalogo e si lanciò con successo nella vendita per corrispondenza. Nel 1912 la ditta/negozio venne trasformata in una società iscritta con il nome di J. Barbour & Sons Limited. Seguirono anni di costante crescita e di poche ma efficaci innovazioni. Intorno al 1930 venne introdotto un nuovo tipo di cotone ingrassato, il Thornprof, meno rigido dell’oilskin, forse per rendere perfettamente funzionale il giaccone per i motociclisti. Ma non sappiamo se il nuovo materiale sia stata la conseguenza del desiderio di Duncan, figlio di Malcom, di diffondere il giaccone tra questo nuovo mercato di nicchia, oppure se un tessuto più indossabile rispondesse ad un problema di carattere generale dal momento che il Barbour si era fatto strada anche tra gli appassionati di caccia, pesca e delle passeggiate in campagna. La famiglia, ancora oggi proprietaria della marca, non ha mai fatto molto per farci conoscere nei dettagli le origini e l’evoluzione di uno dei capi d’abbigliamento più amati nel mondo. Questa scelta, probabilmente motivata all’inizio da una reticenza nei confronti delle curiosità invadenti di una opinione pubblica orchestrata dai mass media, vagamente aristocratica e britsh, nel tempo ha contribuito non poco alla leggenda del giaccone oleato, trasformandolo in un mito d’oggi (espressione che traggo dal titolo di un famoso libro di Roland Barthes, anche se non ne seguo il percorso logico; infatti mentre il celebre semiologo e scrittore francese sosteneva il fatto che fosse proprio il linguaggio parlato e scritto a creare il mito, in questa sede avanzo l’ipotesi che sia l’assenza di parole piene a crearne la necessità). Intendiamoci, John Barbour non aveva affatto origini aristocratiche. Ma è certo che la passione per la caccia DEL BARBOUR COME FENOMENO SOCIALE Provate ad immaginare lo stile di vita di un inglese di rango all’inizio del secolo XX. I week end in campagna, la caccia, la pesca, la barca fanno parte delle abitudini che identificano il bel mondo, come le feste o i salotti aristocratici a Parigi plasmano la buona società raccontata nei libri di Marcel Proust. Se queste pratiche sociali en plein air, hanno veramente una importanza cruciale per il cristallizzarsi di una cultura collettiva capace di dare senso e stabilire un posizionamento utile a rafforzare una identità, è lecito attendersi di trovare in esse le costanti della distinzione che contraddistinguono i giochi sociali. Per farla breve, l’inglese di buona famiglia o chi ha raggiunto la solidità economica per potersi rappresentare agli occhi degli altri secondo un registro di prestigio, anche quando andrà a caccia o a pesca, preferibilmente vorrà portarsi addosso il messaggio più semplice di tutti: io sono, prima di tutto, quello che dicono gli abiti che indosso, ovvero appartengo a questa classe di significazioni piuttosto che ad altre. Come scriveva James Laver: “Gli abiti sono inevitabili. Altro non sono che la struttura della mente resa visibile” (Style in Costume, Oxford University Press, 1949); una affermazione senz’altro esagerata ma molto frequentata da chi riflette sui significati dell’abbigliamento. Per esempio Balzac in Una Figlia di Eva (Passigli, 1999) cerca di convincerci che per una donna il vestito è “una continua manifestazione di pensieri intimi, un linguaggio, un simbolo”. Il sopraccitato Roland Barthes, con esiti discutibili, dedicò una poderosa ricerca scientifica per dimostrare che l’abbigliamento è un linguaggio, un vero e proprio sistema di segni. Quindi per tornare al nostro english man obbligato per status a distinguersi anche mentre a caccia disintegra un beccaccino, il come si presenta allo sguardo dell’altro riveste un ruolo di insospettabile pregnanza. 09 STILI DI VITA LAMBERTO CANTONI Le sue scelte vestimentarie configureranno look attratti dal principio di distinzione. Nel corso di una sorta di competizione silenziosa emergeranno capi d’abbigliamento più efficaci di altri; alcuni di questi capi diverranno veri e propri simboli (di distinzione e di appartenenza ad una élite); i simboli di status saranno sottoposti per imitazione ed emulazione ad una diffusione proiettata ben oltre il gruppo di partenza. A questo punto le domande cruciali per comprendere le ragioni del successo di John Barbour potrebbero essere: come mai l’élite britannica, nei suoi giochi di esibizione en plein air ha decretato il successo del giaccone oleato? C’è qualcosa nel giaccone che lo ha predisposto a divenire un vero e proprio simbolo di un lifestyle distintivo? Di passaggio, ricordo al lettore, che oggi Barbour è uno dei pochi produttori inglesi ai quali sono stati attribuiti i tre riconoscimenti reali più prestigiosi. La regina Elisabetta, il Duca di Edimburgo e il Principe di Galles hanno celebrato, in tempi e modalità diverse, la valenza della marca per il prestigio dello stile britannico. Non c’è membro della più celebre casa reale del mondo che non abbia fatto, nelle occasioni previste dal rigido codice vestimentario reale, una pubblica apparizione con addosso il mitico giaccone. E’ intuitivo concludere che le immagini dei reali abbiano fatto il giro del mondo, conferendo alla marca una notorietà superiore a qualsiasi campagna pubblicitaria. Il Barbour classico è stato prodotto fondamentalmente nelle tre diverse qualità del tessuto thornproof superleggero, leggero, pesante. Il modello Beaufort verde possiamo considerarlo il più diffuso, dopo la mitizzazione della marca. Intere generazioni di studenti, sia maschi che femmine, a partire dalle scuole superiori, lo hanno acquistato trasformandolo in un capo d’abbigliamento trasversale: indossato con jeans e maglione ha rappresentato una figura dell’eleganza decontratta ma sufficientemente marcata da essere spendibile in tutti i giochi sociali. Si tratta di un modello molto amato anche dalle signore della buona società cha spesso lo indossano per andare a fare shopping. Il maschio adulto forse preferiva optare per il modello Moorland, rigorosamente verde oliva, più pesante e meno diffuso del Beaufort, di conseguenza più distintivo. Tra i modelli classici è doveroso citare il Bendale, creato in origine per chi cavalca, quindi più corto dei primi, unico modello prodotto in piccole taglie, diffusosi subito nell’abbigliamento per bambini che devono distinguersi. Termino il breve elenco citando il Border lungo, con grandi tasche esterne e interne, particolarmente adatto a sostituire il trench; e il Northumbria, il più pesante di tutti, provvisto di una fodera di lana più calda diversa dal tipico scozzese di norma utilizzato per gli altri Barbour. Tutti i modelli che ho brevemente descritto sono caratterizzati da somiglianze di famiglia, ovvero hanno un foggia tipicamente sportiva e comodosa che li accomuna. Sono eccezionalmente robusti e pratici. Alludono quindi ad un lifestyle naturale con una punta di snobismo. Le numerose tasche interne ed esterne permettono di contenere tutto ciò di cui si ha bisogno in campagna o in città. L’attenzione funzionale ai dettagli è molto rigorosa: gli automatici sono di ottone antiruggine e continuano a chiudere bene anche dopo anni di usura, la chiusura lampo a grandi denti ottonati si apre e si chiude con estrema facilità anche grazie alla linguetta che può essere afferrata senza problemi pur 10 STILI DI VITA LAMBERTO CANTONI indossando pesanti guanti. I Barbour che ho definito “classici” vengono replicati da decine di anni pressoché identici, in deroga alle regole non scritte della moda. Ma quali sono i tratti pertinenti che ci permettono di rispondere alle domande soprariportate? Aldilà della forma del giaccone, spartana e funzionale, segnalo l’importanza dell’oleatura. In origine venne pensata per proteggere il giaccone dalla pioggia e dall’umidità, ma divenne presto ben altro. Il thornproof conferisce alla superficie del tessuto una impostazione di pieghe assolutamente diversa da quella di tutti gli altri giacconi inglesi, come, per fare solo un esempio di eguale prestigio, il Cordings of Piccadilly in costoso tweed. Spero comprenderete quanto sia difficile descrivere a parole le infinite mutazioni che con l’uso si scolpiscono sul tessuto. É come se il corpo del proprietario del Barbour plasmando dall’interno il tessuto, il quale grazie all’oleatura ne conserva i rilievi, potesse non solo stabilire una relazione percettiva differente, ma partecipasse all’identificazione tra il me sensoriale e questo capo d’abbigliamento. Aggiungo che il thornproof produce un altro effetto da tenere presente: con l’uso e pochi lavaggi la tonalità iniziale (penso al celebre verde oliva) si ingentilisce e rinforza la percezione del me sensoriale che stabilisce un legame profondo e privato con il giaccone (più lo uso più diventa bello). Ecco allora il Barbour divenire al tempo stesso l’effigie della mia identità estesica e un possibile simbolo etico. Se sono nel giusto allora si capisce bene quanto il Barbour si predisponga ad annunciare un messaggio complesso: chi lo indossa è uno sportivo, differente e leggermente snob (ancorando la distinzione negli abissi delle emozioni private). Se dovessi definire con una sola parola l’effetto vestimentario che ho cercato di trasmettervi, direi che il tratto pertinente del Barbour è la sua particolare sprezzatura, come l’intendeva Baldesar Castiglione nel suo famoso testo Il libro del cortegiano (1528), un vero e proprio best seller nel tempo in cui l’aristocrazia cominciava a avere una misura non solo guerriera bensì relazionale. Possiamo cogliere nell’eleganza distratta dalla sprezzatura quella punta ironica attribuibili a una particolare sfumatura del concetto di british. In altre parole, il Barbour esprimerebbe in modo ammirevole un’idea di eleganza che dissimula con ironica naturalezza ogni ostentazione, pur consentendo l’esibizione anticonformista (quando, per esempio, indosso il giaccone per andare ad una cerimonia). Questa curiosa e persistente antinomia secondo Erwin Panofsky (Allemandi, 1990), critico e studioso d’arte tedesco, autore di un significativo libello intitolato Breve e irriverente storia del gusto inglese, esprimerebbe da sempre la caratteristica di fondo del temperamento britannico. BARBOUR NEL MONDO Non è difficile intuire, se la lettura del giaccone come forma significante che vi ho proposto corrisponde in qualche modo ai fatti vestimentari, che cosa distingua il Barbour dagli altri capi tradizionali inglesi e perché le élite del Paese decretarono velocemente il suo successo. Conquistata l’adesione dei personaggi più influenti la sua diffusione in Europa e nel mondo non si è fatta attendere. Acquistando il giaccone oleato in qualche modo ci si attribuiva un’aura fatta di prestigio al di fuori di ogni affettazione; un po’ come essere modesti, senza fronzoli ma al tempo stesso sicuri della propria presenza. Acquistando il Barbour si indossava una lamella di cultura british e tacitamente, senza ostentarlo, si partecipava ad un immaginario club esclusivo di persone distinte. Infine il carattere durevole del prodotto (più è vecchio, più ha valore, più appartengo all’élite) lo predisponeva ad essere il simbolo perfetto dell’altra moda, quella, per intenderci che non vive di fugaci novità ma sa guardare con reverenza (ma anche con ironia) alle tradizioni. Il Italia il giaccone cerato arrivò nel 1983 grazie a WP Lavori in Corso. Fu subito un grande successo tra tutte le classi di età. Detta come vuol detta, possiamo definire il Barbour come uno dei prodotti di tendenza più persistente della nostra recente storia vestimentaria. Il successo globale e i costi per competere su tutti i mercati evoluti tuttavia ha retroagito sulla configurazione strategica della marca, costringendola ad allargare a dismisura la gamma dei prodotti. Anche il tasso di creatività fatalmente ha dovuto fare i conti con un concetto di collezione allargata potenzialmente esplosivo. Ma grazie a scelte indovinate la famiglia Barbour è riuscita a mantenere intatto il suo mito. Decisivo a mio avviso l’arrivo nel 2004 dell’art director Lord James Percy, il fratello minore del Duca di Northumberland. Le sue misurate innovazioni, l’armonia tra tradizione e il grado giusto di variazione che sapientemente ha introdotto, cito di passaggio la sua acclamatissima e premiatissima Lighweigh Cheviot Jacket, hanno consentito a Barbour di regatare con succeso nel mare quant’altri mai agitato della moda postmoderna. Recentemente la marca inglese ha cominciato la collaborazione con Paul Smith, altro magistrale interprete dello stile british, il quale nella sua prima collezione da pochissimo in vendita, ha elaborato il tradizionale concetto di distintiva sobrietà del Barbour conferendogli leggere derive anticonvenzionali. Molto più radicale risulta invece il lavoro stilistico del giapponese Tokihito per il brand Bacon (fu la prima etichetta usata da John Barbour nel lontano 1894), palesemente orientato a posizionare un giaccone della famiglia Barbour nel luogo della moda che le giornaliste di settore definiscono “di tendenza”. Aderendo maggiormente al corpo e per via di un design più radicale, le soluzioni formali di Tokihito si predispongono ad intercettare sofisticati giovani modaioli, soprattutto quelli dei mercati asiatici, per i quali l’astrazione del mito Barbour (rappresentato dalla marca) vale di più dei segni che rimandano alla tradizione. Di altra natura invece è il progetto dedicato ai giacconi usati da Steve McQueen: una serie limitata di prodotti che rimandano con precisione ai look informali che una delle più celebri icone degli anni sessanta fissò nell’immaginario di milioni di fan. Dunque un mito che celebra un altro mito, nella speranza che dalla loro fusione si liberi la particella portatrice di energie nuove per l’espansione della marca. 15 STILI DI VITA LAMBERTO CANTONI