TITOLO Al di là dei sogni (What Dreams May Come) REGIA Vincent

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TITOLO Al di là dei sogni (What Dreams May Come) REGIA Vincent
Al di là dei sogni (What Dreams May Come)
Vincent Ward
Robin Williams, Cuba Gooding Jr, Max von Sidow,
Annabella Sciorra, Rosalind Chao, Jessica Brooks Grant,
Josh Paddock, Lucinda Janney, Maggie McCarthy, Wilma
Bonet, Matt Salinger, Carin Sprague, June Lomena, Paul
P. Card IV, Clara Thomas, Benjamin Brock, Jared
Dorrance, Kellan Patrick, Scott Trimble
Fantastico
GENERE
106 min. – Colore
DURATA
USA – 1998 – Oscar 1999 per i migliori effetti speciali
PRODUZIONE
Chris Nielsen e sua moglie Annie sono legati da un amore illimitato. Hanno due figli
che sono la loro gioia continua. Una mattina, come tutte le mattine, i due bambini
salgono con la baby-sitter sulla macchina che li conduce a scuola. Ma stavolta non
arrivano a destinazione: un incidente e i due ragazzi muoiono. Rimasti soli, Chris e
Annie provano a continuare a vivere. Ma niente è più come prima. Annie perde
l'equilibrio mentale ed è ricoverata in manicomio, poi faticosamente i due
recuperano un certo equilibrio. Ma un giorno anche Chris muore, e trova ad
attenderlo Albert, un giovane di colore, che lo guida nell'aldilà e gli dice: "Tu non
sei scomparso, sei solo morto". Chris è felice di vedere che per lui il Cielo consiste
nell'esistenza in uno dei magnifici dipinti di Annie. Gode della stupenda maestà di
questo Mondo dipinto, pieno dei romantici ricordi che aveva diviso con lei. E, mentre
pensa questo, ne sente la mancanza, vorrebbe averla ancora con sé. Viene a sapere
che anche Annie è morta, ma si è suicidata e quindi per loro non c'è speranza di
tornare insieme. Annie è andata all'inferno. Ma Chris non rinuncia, è deciso ad
andare verso l'inferno e porta con sé il Tracker, filosofo e saggio dai comportamenti
ambigui. Chris entra nell'inferno, passa sopra le teste dei condannati, ritrova infine
Annie. La sua costanza ha avuto il premio. Nell'aldilà marito e moglie si riuniscono e
capiscono che è il momento di ricominciare daccapo sulla Terra. Ecco allora un
bambino e una bambina che si avvicinano e giocano nella grande New York
TITOLO
REGIA
INTERPRETI
“Per quelli che credono nell’amore eterno, nessuna spiegazione è necessaria; per
quelli che non ci credono nessuna spiegazione è possibile”.
Tratto dal romanzo di Richard Matheson pubblicato nel 1978, contiene molti
riferimenti alla Divina Commedia di Dante Alighieri.
Il titolo si rifà ad un verso dell’Amleto di William Shakespeare.
Il film, diretto dal neozelandese Vincent Ward alla
sua quarta regia, rappresenta un affresco gigantesco e
complesso, ricco di echi letterari e citazioni pittoriche:
l'intera produzione pittorica ottocentesca, la rottura di
Van Gogh, gli espressionisti. Un trionfo di effetti
visivi accompagnato dalla magistrale interpretazione
di Robin William e Annabella Sciorra.
Critica:
Al di là dei sogni andrebbe registrato tra i record del Guinness: perché, per quanto io
possa ricordare, è il solo film che riesca a far fuori tragicamente e cruentemente tutti i
suoi personaggi (due figli adolescenti, un po' antipatici come tanti, ma che non si
meritano una punizione così dura, un padre medico buono e gentile nonostante il
dolore, una mamma bella e sensibile che non ce la fa a sopportare il peso di queste
tragedie e si uccide) senza che allo spettatore di buona disposizione alla tenerezza e
alla umana solidarietà venga di spremere neanche una lacrimuccia. Chissà che invece
Franti..
Insomma, drammaturgia tendente a zero, commozione punta, un'impunita voglia di
far soffrire (come si può avere il cattivo gusto di rappresentare sullo schermo un
adolescente morto dentro la sua bara?) e qualche momento imbarazzante di
correttezza politica ultraterrena, in questa fantasia new age sull'aldilà - o, più
terrenamente, in questa storia di iella familiare, di dolore e di amore senza fine come
poche se ne sono viste anche ai gloriosi
tempi del mèlo. Eppure il film diretto dal
neozelandese Vincent Ward si può vedere
per ragioni di pura curiosità visiva.
Al di là dei sogni (What dreams may
come, una citazione dall'Amleto) è
visivamente affascinante. Anche se non
sempre e non soltanto. Il Kitsch dei
sentimenti e delle immagini tracima da
ogni parte, in questo paradiso tutto
fiorellini e meraviglie. Eppure non si può non restare a bocca spalancata di fronte alla
grandiosità di certe immagini che ci fanno penetrare in paesaggi alpini ispirati a
Caspar David Friedrich - il grande romantico amato dalla bella mamma infelice,
Annabella Sciorra, che nel film è pittrice e restauratrice di talento - in strepitose
costruzioni che escono dalla pittura visionaria rinascimentale, in incubi ricalcati quasi
letteralmente dalle incisioni del Doré, come quel lago ghiacciato da cui emergono le
teste dei dannati, in quel livido inferno - perché, certo, anche nell'aldilà laico i suicidi
non sono ben visti - anche se poi si scopre che ciascuno si costruisce il paradiso o
l'inferno su misura...
Ma nonostante gli incastri dei flash back che a
poco a poco rivelano qualche dettaglio in più di
questa di tragica vicenda, la meraviglia va di pari
passo nel film con una grande piattezza narrativa.
Robin Williams, che ha una sola espressione occhi strizzati perennemente incerti tra il sorriso e
il pianto - non contribuisce molto a movimentare
la piattezza: ci riesce meglio Annabella Sciorra,
mentre Max von Sydow si cita nobilmente. Da
segnalare che il materiale dato alla stampa, oltre a contenere le notizie circa i miracoli
tecnici che hanno reso possibile il film, dedica un capitoletto al tema di fondo della
storia: titolo, Qualche parola sull'aldilà, che cita perfino Giobbe. Forse a Hollywood
qualcuno ci crede davvero.
Irene Bignardi, ‘La Repubblica’, 23 novembre 1998
Affonda le sue radici nel mito dell'amore eterno di due anime gemelle e si sposa con
lo "spiritualismo new age" e la pittura dell'ottocento... Parliamo del film Al Di Là Dei
Sogni diretto dal regista neozelandese Vincent Ward. Tratto liberamente dal libro
"What Dreams May Come" dello scrittore Richard Matheson, il film racconta la
storia d'amore tra Chris (Robin Williams) e Annie (Annabella Sciorra), affiatata
coppia di sposi che la sorte mette duramente alla prova, prima sottraendo loro i figli,
poi separandoli nel dolore, nel mondo dei vivi e in fine in quello dei morti. Mentre
Chris, morto a causa di un incidente, viene infatti "spedito" in Paradiso, Annie, morta
suicida, finisce nell'Ade. Ma si possono dividere due anime gemelle una volta che si
sono incontrate? Pare proprio di no, perché oltre la vita Chris e Annie riescono a
mantenere un contatto, un contatto fatto di ricordi impressi su tela, ricordi a
pennellate di colore che prendono vita magicamente nel "paradiso soggettivo" di
Chris, creando un ponte immaginario tra la vita e la morte, tra il Paradiso e l'Inferno.
Sono proprio queste tele rese animate da artisti degli effetti speciali a rendere
suggestiva e visivamente appagante una storia
banale, infarcita di luoghi comuni e discorsi
retorici.
Fonti d'ispirazione per la rappresentazione
dell'aldilà, concepita da Ward e realizzata dal
team degli effetti speciali insieme a pittori e
scenografi, sono stati i dipinti di Monet, Van
Gogh e in particolare quelli di Friedrich le cui
suggestioni visive conferiscono grande potenza
ad ogni paesaggio. Purtroppo tali immagini
subentrano dopo un abbondante quarto d'ora di
film che, per l'elevata concentrazione di disgrazie, scoraggia a proseguire nella
visione anche i più ottimisti. Sconclusionato, un po' morboso nel gusto di sovrapporre
disavventure, onirico ma a tratti ridicolo ed eccessivamente lungo, Al Di Là Dei
Sogni è un film che, fatta eccezione per le
descrizioni pittorico-digitali dell'oltretomba e le
forti
suggestioni
dantesche
nella
rappresentazione dei dannati, risulta di scarso
valore anche dal punto di vista degli interpreti
(Williams, Sciorra, Gooding Jr., ...) la cui
recitazione appare spesso "approssimativa".
Potremmo dunque considerare Al Di Là Dei
Sogni l'ennesima dimostrazione di come gli
effetti speciali, per quanto strabilianti, non bastino a fare di un'esile storiella un buon
film.
Maria Stella Taccone, ‘reVision’, 1998
“Euridice incespicò in un serpente e morì per il suo morso: ma Orfeo
coraggiosamente discese nel Tartaro con la speranza di ricondurla sulla terra. [...]
Al suo arrivo nell’Oltretomba non soltanto incantò Caronte il traghettatore, il cane
Cerbero ed i tre giudici dei morti con la sua musica dolce e lamentosa, ma fece
cessare temporaneamente le torture dei dannati e placò il duro cuore di Ade tanto da
indurlo a restituire Euridice al mondo dei vivi. Ade pose una sola condizione: che
Orfeo non si guardasse alle spalle finché Euridice non fosse giunta alla luce del sole.
Euridice seguì Orfeo su per l’oscura voragine, guidata dal suono della sua lira; ma
appena scorse la luce del sole, Orfeo si volse per vedere se Euridice era con lui e
così la perse per sempre.”
Robert Graves - “I miti greci”, 1955.
Essendo un film hollywoodiano potremmo pensare che, a differenza della leggenda,
ci sarà un “happy ending”. D’altronde la differenza più grande tra i registi europei e
quelli americani è proprio questa: in America gli sceneggiatori tendono ad essere
vergognosamente ottimisti riguardo alla possibilità che la vita prenda una piega
positiva, mentre gli sceneggiatori europei
finiscono per essere esageratamente
pessimisti e suggerirci che quando la vita
cambia, cambia in peggio. Ma se vi
dicessi che il regista viene dalla Nuova
Zelanda?
Vincent Ward è stato il primo regista
neozelandese ad avere un film in
concorso al festival di Cannes. Non che
sia un grande traguardo, ma quel film era
anche il suo primo lungometraggio,
“Vigil”. Si fece notare dai produttori
d’America col suo secondo film, “Navigator, un’odissea nel tempo”, che gli fece
ottenere l’incarico di scrivere la storia per “Alien 3”. Il film non assomigliò molto a
ciò che lui aveva immaginato e così tornò a lavorare lontano da Hollywood dirigendo
“Avik e Albertine”. Stavolta dirige un film completamente hollywoodiano, seppure
basato su una trama veramente classica.
Guardando il trailer e leggendo i giornali può sembrare che questo film sia la storia di
un uomo in Paradiso che cerca di ritrovare la propria moglie morta. Sbagliato, questa
è la storia di un uomo che attraversa
l’Inferno per salvare l’anima della moglie,
rinunciando al Paradiso pur di stare con lei.
Come Orfeo, appunto. Ci sono persino
Cerbero e Caronte.
L’ambientazione mistica ha fatto inserire, da
parte dei giornalisti italiani, questo film
nella “New Age” spirituale degli Stati Uniti.
Si dice, infatti, che gli americani stiano
affrontando un serio bisogno di spiritualità e
di rassicurazioni riguardo la vita dopo la morte. Francamente non credo che questa
cosa sia vera, perché d’accordo che sui dollari c’è scritto “In God We Trust”, ma la
percentuale di americani che se ne frega di qualunque divinità è probabilmente più
alta che in tutto il resto del mondo. Se ci sono migliaia di piccole chiese indipendenti
sparse sul territorio è solo perché la percentuale di rincitrulliti pronti a dare soldi a
chiunque è sicuramente più alta che in tutto il resto del mondo. Il fatto che nel corso
dell’ultimo anno siano usciti diversi film che in qualche modo riguardano la religione
e la forza interiore è solamente indice del fatto che i produttori di Hollywood vedono
in questo argomento buone possibilità di guadagno. A guardare i risultati dei boxoffice hanno torto, dato che i film spiritualistici hanno fallito tutti miseramente.
Questo è il primo film di Robin Williams dopo aver vinto l’Oscar per “Will
Hunting”, e qui è affiancato da un altro premio Oscar, Cuba Gooding Jr (“Jerry
Maguire”), e da una delle mie attrici preferite: Annabella Sciorra. In più Max von
Sidow interpreta la Guida che porta Robin Williams all’Inferno, che sarebbe poi
Caronte. Tutti bravissimi, complimenti alla responsabile del Casting. Va detto,
comunque, che la sceneggiatura deve
averli aiutati non poco, perché il
film, “New Age” o no, è scritto
molto bene da Ron Bass (“Rain
Man”, “Pensieri Pericolosi”), che si è
basato sul romanzo di Richard
Matheson: l’inizio sul lago è molto
bello, l’incontro tra Chris ed i propri
figli è gestito magnificamente ed il
dialogo tra “Orfeo” e la moglie
all’Inferno è ottimo. Peccato che
tutto sia sottolineato dalle musiche di Michael Kamen, veramente insopportabili.
Ward ha sempre fatto dell’efficacia visiva il punto centrale dei propri film, e “What
dreams may come” (“For in the sleep of death what dreams may come. When we
have shuffled off this mortal coil, must give us pause”. “Amleto”, atto 3 - scena 1)
non fa eccezione. Anzi, la cosa che ha più colpito i giornalisti italiani, che
probabilmente non sapevano nient’altro su questo film, sono stati proprio gli effetti
speciali, gli ambienti disegnati al computer. In realtà non c’è molta differenza, a
livello funzionale, tra quelli di questo film e quelli dei cartoni di Walt Disney, se non
il fatto che qui ci sono attori veri che si muovono davanti a questi sfondi. Ma gli
ambienti creati al computer non sono altro che sfondi. Sfondi in movimento, per
questo non si può parlare di semplici disegni, ma ogni volta che i personaggi
interagiscono con gli ambienti si tratta di ambienti reali, costruiti, non disegnati, a
parte l’arrivo di Robin Williams in Paradiso.
La bravura del direttore della fotografia,
Eduardo Serra, nel far restare i personaggi al
centro dell’azione è evidentemente una delle
sue caratteristiche principali, dato che gli
avevo fatto esattamente lo stesso
complimento parlando del suo lavoro per
“Le ali dell’amore”.
Questo è un film che può non piacere a
molti, perché è teso quasi esclusivamente a
farci sospirare e piangere, e non sempre ci riesce. Ma è un film interessante e ben
realizzato, che utilizza al meglio tutti i talenti artistici a sua disposizione. Certo che se
pensate che dopo la morte non ci sia nulla se non il buio eterno questo film non fa
proprio per voi.
Alberto Cassani, ‘cinefile.biz’, 20 novembre 1998
Anche il grande clown Robin Williams paga il debito con la moda spiritualistica del
momento, in un film in cui la tendenza new age si sposa con i più sofisticati sistemi
di «virtualizzazione» della realtà. Il registacreatore neozelandese Vincent Ward, come
quello di «Truman show», domina la materia
con il suo potere digitale: al computer
cambia clima, paesaggi, tempo, flora e fauna.
Ma senza fatica, solo schiacciando un tasto.
E alla fine tutto ciò si paga, perché «Al di là
dei sogni» è una fantastica offerta
paesaggistica dell'al di là con richiami
pittorici ottimi e abbondanti, da Bosch a
Piranesi, da Van Gogh a Doré, dal romantico Friedrich a Monet. Gli manca il dolore
e la disperazione, gli mancano i sentimenti, che anche Williams qui fatica a rendere:
lui nell'altro mondo incontrerebbe Marilyn e Kennedy. E' lui il nuovo Dante di questo
Olimpo che si avventura nel mezzo del cammin della sua vita, puro spirito in quanto
già morto in un incidente di macchina, alla ricerca dell'adorata moglie che, essendosi
suicidata, sta in un altro girone, ed è la brava Annabella Sciorra. Orfeo ed Euridice,
Divine commedie e tragedie. Dal Paradiso all'Inferno, dove tra i dannati fa capolino
anche Herzog, attraverso lo Stige e la Guida Max Von Sidow. Grazie alla fratellanza
new age, c'è perfino un virtuale happy end, basta fidarsi dell'amore coniugal eterno,
come accade nel cinema paranormale, da «Una scala in Paradiso» di Powell e
Pressburger a «Ghost». 271 effetti specialissimi computerizzati cercano di esplorare i
misteri dell'anima mettendo la cinepresa nella zona di confine e creando una specie di
macchina celibe dotata di caleidoscopico fascino, ma incapace di superare la
meraviglia.
Maurizio Porro, ‘Il Corriere della Sera’, 21 novembre 1998
Robin Williams, novello Orfeo che ha rubato agli inferi la sua Euridice, sussurra
all'amata: «Basta chiudere gli occhi per chi sa dove andare». Siamo sull'orlo del
precipizio: sotto c'è la melassa verso cui la produzione spinge l'epilogo di Al di là dei
sogni, film dal costo eccessivo (140 miliardi) perché il responso delle pre-views
venga ignorato. A Vincent Ward,
neozelandese dalla visionarietà feconda quattro film nell'arco di vent'anni -, non è
dunque concesso un finale d'autore: mentre
il regista chiude gli occhi, la sua opera va
dove altri hanno deciso. Ma che la
sceneggiatura tratta da un romanzo di
Richard Matheson sia inadeguata alle
ambizioni figurative dell'autore alle sue
velleità new age lo intuisce fin dai primi
nodi il magico incontro sulle Alpi svizzere
di due anime gemelle - un medico e una pittrice -, la loro idilliaca unione funestata
dalla morte dei due figli e la nuova tragedia che quattro anni dopo li separa. Sono
quadri collocati con approssimazione, che stordiscono lo spettatore senza prepararlo
al lungo, vertiginoso viaggio nel
surreale. Quando Robin Williams,
vittima di un incidente d'auto,
entra nel paradiso dipinto a olio
che è la trasfigurazione delle
opere della moglie (Annabella
Sciorra), lei si annichilisce nel
senso di colpa fino a togliersi la
vita. Per sottrarla all'inferno dei
suicidi; alle tenebre di chi ha
perduto la speranza, il marito si
farà traghettare oltre lo Stige. Qui le visioni dell'oltretomba cercano riferimenti
pittorici (Doré, Fussli) persino banali al confronto con la bella idea di partenza. I
quadri della Sciorra somigliano infatti a quelli di Caspar David Friedrich. Secondo il
maestro del romanticismo tedesco «il pittore non deve ritrarre solo ciò che vede
innanzi a sé, ma ciò che vede in sé». Friedrich ritraeva piccole figure davanti alla
natura panica, colte di spalle in estatica aspettazione della morte come in attesa d'una
esistenza oltre i confini del reale. Quale miglior Virgilio di Friedrich per una
«Commedia» new age? Vincent Ward, che viene dalla pittura, sul momento ottiene
effetti sconvolgenti quando il docile Robin in questa dimensione ultraonirica,
pennellando il suo paradiso personalizzato con sofisticate tecniche digitali. Ma
eccede subito nei colori chiamando in causa Manet, Van Gogh e altri ancora, forse
per accentuare il contrasto con i cupi paesaggi dell'inferno interiore. E nella sua tela
pasticciata si disperdono anche i simboli cromatici cari al pittore tedesco: il rosso
dell'amore, l'azzurro della fede.
Alfredo Boccioletti, ‘Il Resto del Carlino’, 22 novembre 1998
Vincent Ward, regista neozelandese romantico e arcaico, porta ancora una volta lo
spettatore a sperimentare un'immersione
negli esoterici territori dell'aldilà, una
dimensione assai frequentata dal cinema
statunitense degli ultimi anni, secondo una
ricetta visiva che ha ispirato film come
Always e Ghost. Questa volta, nel modo più
archetipico e codificato, la famigliola si
ritrova nientemeno che nei gironi da
Commedia dantesca con cui si vorrebbe ammantare di arte e cultura "alte" questo non
ispirato prodotto hollywoodiano. Eccoci allora dapprima nel Paradiso immaginato dal
generoso dottore che in vita coltivava l'hobby della pittura (e dunque il Paradiso si
mostra della stessa forma di cui sono fatti i sogni del protagonista: un quadro vivente
fatto di tempere e tinture a olio), ma eccoci quindi all'Inferno, dove la moglie suicida
deve scontare nell'eterna claustrofobia del buio tombale la sua mancanza di coraggio
quando due terribili incidenti le strapparono i famigliari. Se l'assunto religioso che fa
da sfondo abbacinante al film non è velato dalla sottigliezza registica come in Always
o, addirittura, in Lubitsch (per cui nel
film di Ward tutto si deve vedere e
niente è soltanto metafora), a salvare il
film potrebbe invece contribuire un
intento
di
sussultante
iperconvenzionalità. Tuttavia Ward
prende sul serio ogni cosa, giocando
con il dramma, le epifanie, i ricordi
melensi, come se avesse letto di
Tarkovski e Kiéslowski sopra un
sussidiario per le elementari. E questo,
con buona pace di chi sa essere il cinema hollywoodiano politicamente e
culturalmente elementare, sotto una prospettiva strettamente sociologica. Per Fortuna,
un simile esercizio, che non disdegna l'attenzione psicoanalitica ("Quando si vince, si
perde"), risulta talmente artificioso da lasciare, assieme alla noia, anche la sensazione
che il cinema può essere grande anche quando è solo artificio. Ma evidentemente,
non è proprio il caso di Al di là dei sogni, che può essere invece inteso come un
paradossale modello sociologico per comprendere come secondo Hollywood il
cinema sia oggi percepito sempre di più al pari di un teatro della mente circense e
spettacolarizzante, nel quale il reale è ciò che sentiamo, e la vita è arbitraria, proprio
come confessa dinanzi allo specchio la triste vedova Annabella Sciorra. Ma di questo
come di altri temi, ad ogni modo, il film di Ward rimane un contenitore fastidioso e
pacchiano (malgrado il pur misurato Williams e il grandioso Von Sidow).
Roberto Lasagna, ‘Duel’, 28 gennaio 1999
(a cura di Enzo Piersigilli)