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ilmondocambia
cambiaILMONDO
2/3
anno 1 - marzo aprile 2012
cambiailmondo
N° 2-3 MARZO APRILE 2012
IN QUESTO NUMERO:
CAMBIAILMONDO - EDITORIALE MARZO APRILE 2012
di Rodolfo Ricci
CHI CONTROLLA IL CAPITALISMO?
di Alfiero Grandi
IL NUOVO PATTO FISCALE EUROPEO:
FINE DELLA DEMOCRAZIA
di Franco Russo
4
6
8
VOGLIONO UN POPOLO DI CONFORMISTI
E DI LAVORATORI SOTTO RICATTO
di Francesco Berrettini
11
“SHOCK ECONOMY” ALL'ITALIANA
di Guglielmo Zanetta
12
UN PUNTO DI COORDINAMENTO
PER RESISTERE ALL'AGGRESSIONE NEOLIBERISTA
di Rodolfo Ricci
LA CRISI EUROPEA E ITALIANA VISTA DALL’ARGENTINA:
FINE DEL MITO EUROPEO
di Adriana Bernardotti
GLI ASSASSINI DEL PROGETTO
SOCIALDEMOCRATICO EUROPEO
di J. Carlos de Assis
14
16
VENEZUELA. CHI È H. CAPRILES RADONSKY
di Tito Pulsinelli
2 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
EGITTO. NAWAL EL SAADAWI PARLA DELLA LOTTA DELLE DONNE
E DEGLI UOMINI EGIZIANI
54
DOVE VA LA SINISTRA EUROPEA?
di Roberto Musacchio
56
FRANCIA. L'ASCESA DEL CANDIDATO
DEL FRONT DE GAUCHE, MÉLENCHON
di Paola Giaculli
60
GERMANIA. ETERNA GUERRA FREDDA
di Paola Giaculli
62
BERLINO. I SINDACATI TEDESCHI
CHIEDONO AUMENTI DEL 6,5 PER CENTO
di Massimo Demontis
64
GERMANIA. TRA GLI ULTIMI BASTIONI EUROPEI
SENZA SALARIO MINIMO
di Massimo Demontis
66
BERLINO 8 MARZO
di Paola Giaculli
68
RUSSIA. OSTACOLO AL MILITARISMO GLOBALISTA
di Tito Pulsinelli
70
FRANCIA. LA LEZIONE DEL CONSIGLIO COSTITUZIONALE
NEL CONTENZIOSO FRANCO-TURCO SUL GENOCIDIO ARMENO
di G.Z. Karl
72
CRISI ULTIMO AVVISO AI NAVIGANTI
74
SALVIAMO LA GRECIA DAI SUOI SALVATORI!
80
34
L'ISOLA DEI FAMOSI. UN POVERO PROGRAMMA IN UN PAESE POVERO.
LA LETTERA DEL DEPUTATO GINO BUCCHINO
84
42
ARGENTINA: IL BANCO CENTRALE È PATRIMONIO PUBBLICO
di Adriana Bernardotti
44
Le foto che illustrano questo numero sono state tratte dalla rete.
Desideriamo ringraziare tutti gli autori i cui nomi non siamo stati in
grado di reperire.
51
28
URUGUAY. INTERVISTA A EDUARDO BRENTA:
DALLA CRISI SI ESCE SOLO CON PIÙ INVESTIMENTI SOCIALI
di Hugo Bazzi
30
MYANMAR: IN UN PASSAGGIO CRUCIALE
SULLA STRADA DELLA DEMOCRAZIA
di Silvana Cappuccio
USA. 6 PREMI NOBEL SCRIVONO A OBAMA:
“FOLLIA” IL PAREGGIO DI BILANCIO IN COSTITUZIONE
ARGENTINA. LA TRAGEDIA FERROVIARIA DI BUENOS AIRES:
UNA STRAGE DEL NEOLIBERISMO
di Adriana Bernardotti
47
segnalazioni
PRETROLIO, IL SANGUE DELLA TERRA. DA BAGDAD A TRIPOLI:
LO STESSO DISEGNO NEOCOLONIALE
IL LIBRO DI AGOSTINO SPATARO
86
«
cambiailmondo
L'11
editoriale
MARZO APRILE
aprile ultimo scorso, un dispaccio dell'FMI ha chiarito, oltre alla
certificazione della recessione e a
vari ammonimenti sull'instabilità globale, che la
vera spada di Damocle che pende sulla testa del
mondo è costituita dall'eccessiva longevità degli
anziani nell'Occidente sviluppato. In pratica, l'età
media della popolazione, europea in particolare,
sta mettendo a serio rischio la sostenibilità del welfare (quindi dei conti pubblici, quindi della finanza
mondiale) e dunque bisogna correre ai ripari: non,
come il buon senso ci indurrebbe a pensare, reperendo nuove risorse per il rafforzamento dei
modelli di welfare, ma, al contrario, legiferando
misure che riducano le prestazioni sociali; in tal
modo, l'allungamento della vita nell'occidente,
sarebbe contrastato con l'allontanamento progressivo dell'età pensionabile, con la diminuzione degli
importi pensionistici, insomma con tutta una serie
di norme che, strada facendo, consentano di riportare la vita media sotto standard accettabili: assolutamente non oltre gli 80 anni, così pare di capire.
Ho ascoltato la notizia per radio, mentre tornavo
dal lavoro, all'interno di una trasmissione radiofonica della sera, “Tornando a casa”, diretta da una
cortese conduttrice Enrica Bonaccorti, ben nota al
pubblico italiano, la quale, complice il suo avvicinarsi alla terza età, non ha resistito e ha sbottato:
“Ma che vogliono? ammazzarci tutti?”
In effetti le argomentazioni fornite dall'FMI, a prescindere dallo scontato suggerimento “tecnico” di
demandare la protezione sociale sempre più ai
“mercati” e sempre meno al pubblico (parte
sostanziale del suo ricettario già fallito miseramente dall'Argentina agli USA e che ha lasciato sul
lastrico decine di milioni di pensionati), stimola
ben altre riflessioni: gli anziani, come i bambini, gli
handycappati, i malati cronici, insomma tutti coloro che sono fuori o ai margini dell'attività lavorativa, costituiscono un vero e proprio peso, la cui
4 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
Rodolfo Ricci
sostenibilità, all'interno dei parametri del pensiero
unico, è in contraddizione, anzi in opposizione, con
gli elementi di competitività e profitto sistemico.
La popolazione non attiva, fatta eccezione per i
bambini che costituiscono la futura forza produttiva e per quella che serve alla riproduzione della
stessa forza lavorativa (massaie, madri, casalinghe,
badanti varie) costituisce un oggettivo elemento di
abbassamento dell'efficienza e della competitività.
Quindi deve essere ridotta o, se ci fosse la possibilità, gradualmente abolita.
Una sorta di olocausto graduale e universale,
insomma riformistico, che evitando possibilmente
elementi di reazione popolare, sempre da scongiurare, consenta tuttavia di addivenire all'obiettivo
nei tempi medi previsti dalla progettazione sistemica: diciamo entro i prossimi 20-30 anni. Infatti
la situazione parossistica citata dall'autorevole
organismo internazionale dovrebbe verificarsi
intorno al 2050.
Di fronte a questo rischio immane, si può provvedere per via legislativa, con una serie di provvedimenti approntati ad hoc dai parlamenti nazionali e
di cui, la riforma pensionistica italiana recentemente varata, pare costituire per l'FMI un esempio da
perseguire con convinzione a livello mondiale.
In pratica il suggerimento (già operativo nel nostro
paese) è il seguente: durante l'età lavorativa, la singola persona è invitata ad aderire il più possibile ad
assicurazioni previdenziali private (la cui redditività si è dimostrata estremamente rischiosa) parallelamente ai versamenti verso il sistema pubblico
(che stranamente, non possono e non debbono
assolutamente essere eliminati). Ciò consentirà
infatti che fiumi di denaro vadano a rimpolpare i
deficit “derivati” di banche, assicurazioni, ecc, e
così a rimettere in equilibrio la finanza privata,
mentre, allo stesso tempo, per la parte di contribuzione pubblica versata, buona parte di quei soldi
andranno a sanare, all'occorrenza, l'equilibrio di
Ci propongono un olocausto graduale, una “morte lenta”:
bisogna cacciarli via nel migliore dei modi possibili
bilancio dei diversi paesi, garantendo il pagamento
degli interessi. A chi? Sempre, rigorosamente, ai
mercati, e alle stesse banche, fondi e assicurazioni
presso cui, grazie ai trattati europei e alla natura
dell'Euro (moneta non sovrana), siamo costretti a
chiedere prestiti.
Per essere più sicuri che la ricetta funzioni, tuttavia,
è opportuno che l'età media della popolazione
decresca; ne saranno così alleviati sia i bilanci pubblici, sia quelli dei secondi pilastri contributivi,
ovvero sempre e solo dei grandi rentiers della
finanza.
Questa architettura degna di un nuovo Hitler più
cauto e riformista, ma ben più lungimirante, va di
pari passo con il resto dell'armamentario fatto di
pareggio di bilancio in Costituzione, di riforma del
mercato del lavoro, ecc. che ingabbierà in una botte
di ferro le elites post-capitaliste e neofeudali, mentre 500 milioni di europei di diverse generazioni e
nazionalità, chi più chi meno, si troveranno sostanzialmente immersi in una nuova vita, di merda.
(suggerisco, al proposito, la lettura di un racconto
breve di J. L.Borges: “Deutsches Requiem” , nella raccolta “El Aleph” molto utile per capire l'ordine
degli eventi).
Ora, l'uscita dell'FMI, che avevamo già sentito un
decennio fa dire le stesse cose in Argentina (fu
varata una legge, secondo la quale lo Stato avrebbe
pagato le pensioni solo nella misura in cui disponeva di sufficiente denaro, cioè di pesos dollarizzati,
vale a dire di una moneta non sovrana, simile
all'Euro), rende evidente che il quadretto che
hanno in mente lor signori, è propriamente quello
di una nuova dittatura tecnocratico-finanziaria
continentale (supportata a mo' di vassallaggio dall'impresa produttiva a cui in cambio si elargisce più
precarietà e capacità di licenziare i lavoratori), in
cui gli Stati non hanno più il compito di far cresce
ed armonizzare il benessere collettivo, ma al contrario di rendere praticabili e sostenibili i loro pro-
grammi di lunga durata.
In questo senso, il re non è solo nudo, ma è ridotto all'osso. Come quando si alzano per legge i tassi
percentuali di veleni nell'acqua per considerarla
potabile anziché provvedere a purificare le fonti,
così, si tenta di modificare la biologia e la vita quotidiana di miliardi di persone, pur di mantenere
sostenibile e immodificabile il sistema di sfruttamento globale.
Tutto questo conferma anche che siamo ormai
entrati in un mondo oggettivamente post democratico e forse, come io penso, anche post capitalistico.
Nel corso della storia tentativi di questa natura si
sono ripetuti in forme diverse in diverse occasioni;
ma forse è la prima volta che l'esperimento viene
ora tentato su scala globale, dopo quello continentale, ancorché in una situazione di relativa arretratezza, attuato in America Latina tra gli anni '70 e gli
anni '90.
Il caso italiano, in questo senso, vale ben più della
Grecia. L'Italia è un grande paese, la sua risorsa
umana è tra le più pregiate, culturalmente e in termini di competenze, al mondo. Purtroppo lo è
anche anche il saper vivere, magari arrangiandosi,
magari con la dieta mediterranea, così che l'età
media è sconvenientemente lunga.
Se dunque riescono a inglobare l'Italia nel reticolo
del loro olocausto programmato, non vi è più alcun
limite al loro dominio.
In Argentina, fatta per metà di popolazione di origine italiana, li mandarono via a calci nel sedere
definitivamente. Il rigoroso presidente De La Rua,
succeduto all'orgiastico e fraudolento Menem, lo
andarono a prelevare in elicottero sul tetto de La
Casa Rosada per salvarlo dall'insurrezione popolare.
In Italia vedremo se i recenti fasti possano essere
replicati.
Per il bene dell'umanità, non solo degli italiani.
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
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Italia
cambiailmondo
CHI CONTROLLA IL CAPITALISMO?
di Alfiero Grandi
Visco ha ripreso la discussione sulla crisi del capitalismo (l’Unità, 13 febbraio 2012). Crisi
non vuol dire crollo ma incapacità di rispondere agli obiettivi di una società moderna. Il
capitalismo ha preteso di essere il supporto economico della democrazia. Oggi è in corso
un pericoloso divorzio: la democrazia non è più un obbligo, come dimostra la malcelata
invidia verso l'autoritarismo cinese.
V
engono proposti commissari che dovrebbero
sostituirsi a Governi
legittimi. Va di moda il Governo
dei tecnici che non risponde agli
elettori ma presume di sapere
cosa è bene per loro.
6 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
La crisi del capitalismo si scarica
sulla democrazia. La delegittimazione della politica, se non trova
alternative positive, può aprire
scenari preoccupanti.
Per questo occorre ricostruire le
ragioni della sinistra partendo
dalla crisi. Non si può attendere
la fine della tempesta, occorre
indicare una via d'uscita democratica dalla crisi del capitalismo.
Viene sottovalutata la dimensione dei problemi finanziari. La
crisi del 1929 aveva una dimen-
sione finanziaria incomparabilmente inferiore. La massa di
capitali che si muovono oggi è
tale che, senza argine, può travolgere Stati e forse continenti.
Il rapporto tra la massa dei prodotti finanziari e il Pil mondiale è
almeno 10 a 1. Anche la scommessa sulla morte è diventata
possibile.
A questo si è arrivati anche perché alcune delle regole auree
adottate dopo la crisi del 1929
sono state abbandonate e per di
più la Sec ha concesso ai derivati piena libertà.
Le banche, che oggi possono
fare tutto, raccolgono il denaro
dei cittadini per finanziare le
speculazioni. Se va male lo Stato
deve intervenire per evitare conseguenze sull'economia ancora
più gravi. Non ha paragoni neppure la dimensione di massa
degli interessi coinvolti, basta
pensare ai fondi pensione che
partecipano allegramente a questo casinò.
Alla finanza si affiancano grandi
soggetti economici negli armamenti, nell'energia, ecc. che
vogliono mano libera, con l'effetto di distorcere l'uso delle
risorse e in questo sono alleati
del mondo finanziario.
Finanza e lobbies economiche
blocccano ogni tentativo di
ragionamento collettivo sul futuro, sulle priorità, sugli obiettivi,
sulle indispensabili riconversioni
economiche che ci impone il
cambiamento climatico.
Il guadagno a breve e ad ogni
costo non ha bisogno di regole
democratiche ma solo della certezza di incassare i guadagni.
Solo il progetto è a medio/lungo
periodo e richiede regole demo-
cratiche per il suo raggiungimento.
Pensare di tornare a prima della
crisi è un errore. Questa non è
una pausa. La situazione sarà
comunque molto diversa. Ne
sono un preannuncio le sofferenze imposte alla Grecia che
ormai ha assunto il ruolo di
untore, nello stile colpirne uno
per educarne cento.
La divaricazione sociale è destinata a battere ogni record, tanto
più che i vari manager hanno
ripreso allegramento ad aumentarsi il reddito.
La crisi non è un fenomeno
naturale inevitabile, ma occorre
porsi il problema di un sistema
di regole per controllare, scoraggiare, vietare, prima che sia troppo tardi.
Torna il bisogno di un'area di
definizione pubblica delle regole, che non può essere modellata
solo sui vecchi Stati. Anche.
Obama ha fatto approvare una
normativa interessante sulla
finanza (poco attuata) ma riguarda solo gli Usa, non i mercati
mondiali, sui quali anzi i capitali
con base negli Usa si sono sentiti liberi di agire.
La Cina ha posto il problema di
una nuova moneta internazionale per gli scambi, ora di fronte al
silenzio punta ad un patto a 2 tra
il grande debitore e il grande creditore.
L'Europa è stata afona. Ora si
riparla di Tobin tax che è uno
strumento necessario per controllare e disincentivare le speculazioni, per far pagare il conto
anche alla finanza. Un'analista di
Milano ha detto che a volte tratta un titolo anche 70 volte al
giorno, con la Tobin questa
compulsione verrebbe scorag-
giata, ma se si continua ad aspettare l'accordo di tutti non se ne
farà nulla.
La Tobin non basta, occorre che
le banche tornino al loro mestiere e va definito un quadro di
regole e divieti che diano la certezza dei prodotti finanziari
incapsulati in un titolo.
Altrimenti avremo ancora crisi
finanziaria, intervento degli
Stati, attacco ai debiti sovrani,
conseguenze scaricate sulle
popolazioni sempre più impoverite e schiacciate tra rivolta e rassegnazione.
Le ricette neoliberali oggi dominanti sono dello stesso segno di
quelle che hanno portato alla
crisi.
La sinistra deve offrire un'altra
via d'uscita dalla crisi, partendo
dall'analisi della crisi del capitalismo, indicando una società e
un'economia più giuste, solidali e
rispettose dell'ambiente, respingendo le derive totalitarie e contrastando i focolai di guerra.
».
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
7
Europa
cambiailmondo
«
IL NUOVO PATTO FISCALE EUROPEO:
di Franco Russo
8 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
FINE DELLA DEMOCRAZIA
Il
senso del Trattato è espresso dal Titolo III, che porta a sua
intestazione Fiscal Compact ('Patto fiscale'), chiesto esplicitamente dal Presidente della BCE, Mario Draghi, nel suo
discorso al Parlamento Europeo il 1° dicembre 2011.
Le modalità autoritarie non sono dovute solo al fatto che una banca
centrale, la BCE, chieda e ottenga dai governi la definizione di un
nuovo patto fiscale; è che, a differenza delle stesse rivoluzioni borghesi del 1688-89, del 1776 e del 1789, i governi siglano un patto fra
di loro al posto dei cittadini.
Nelle rivoluzioni borghesi si conveniva un patto tra cittadini e
monarchi affinché il potere fiscale fosse di competenza dei parlamenti, della rappresentanza. Ora i governi si auto-conferiscono il
potere fiscale per imporre, per gli anni a venire, le politiche di austerità in modo da scaricare i costi della crisi economico-finanziaria sui
popoli europei.
Il secondo fatto, che colpisce al cuore i principi democratici, è l'obbligo di inserire in Costituzione il 'pareggio di bilancio', ciò che
impone una nuova 'costituzione economica' comportando la cancellazione della possibilità da parte delle istituzioni pubbliche di intervenire nella gestione dell'economia con provvedimenti anticiclici, che
hanno caratterizzato i paesi capitalistici del Secondo dopoguerra
dove si è accettato il 'compromesso keynesiano' con la gestione della
domanda pubblica e la costruzione del Welfare State.
Si afferma all'art. 3, comma 2, che le regole del pareggio di bilancio:
«devono avere effetto nelle leggi nazionali delle Parti contraenti al
massimo entro un anno dall'entrata in vigore del Trattato attraverso
previsioni con forza vincolante e
di carattere permanente, preferibilmente costituzionale». Con un
Trattato di carattere internazionale si interviene per modificare
le Costituzioni così da legittimare
nella legge fondamentale, la
prima nella gerarchia delle fonti,
il liberismo con le sue politiche
dell'offerta tese all'espansione del
mercato e dell'impresa privata. Il
Parlamento italiano ha già votato,
in prima lettura, la modifica dell'articolo 81 per imporre una
camicia di forza alle politiche di
bilancio. Sarà la Corte di
Giustizia dell'UE a verificare
l'avvenuto inserimento e a comminare eventuali sanzioni (art. 8):
la Costituzione è resa vassalla
delle esigenze di bilancio dettate
dai mercati finanziari.
Il terzo fatto, che mina alla radice la stessa democrazia rappresentativa, è che a decidere le politiche fiscali non saranno più le
rappresentanze elette ma la tecnocrazia della BCE e dei governi
riuniti nel Consiglio europeo con
la
collaborazione
della
Commissione e del Vertice Euro.
Infatti saranno questi organismi,
seguendo le procedure definite
dal Patto Euro Plus e i parametri
indicati dal Six Pack, a decidere
'la sostenibilità delle finanze pubbliche' dei paesi membri per
garantire anno dopo anno il consolidamento fiscale.
Siamo oltre il Trattato di
Maastricht perché questo prevedeva il limite del 3% del deficit
annuale e il 60% del PIL come
limite massimo del debito; prevedeva sì le procedure di disavanzo
eccessivo, ma non l'accentramento delle decisioni delle politiche
fiscali, che ora si è creato. Entrate
e spese sono sottoposte al vaglio
del Consiglio Europeo, della
Commissione e del Vertice Euro,
con l'attiva partecipazione della
BCE, in modo che il deficit
annuale strutturale non oltrepassi lo 0.5% del PIL. Nel caso si
oltrepassi questo limite, afferma
sempre l'art. 3, interviene la
Commissione per imporre
un'azione correttiva. Azione correttiva che viene letteralmente
imposta altrimenti scattano non
solo pressioni ma sanzioni come
previsto dalle procedure del
'semestre europeo'.
Intanto, per spingere gli Stati a
ratificare questo nuovo Trattato
si afferma, in un 'considerando',
che il sostegno finanziario previsto dal Meccanismo europeo di
Stabilità (noto con la sigla inglese
ESM) scatterà solo se sarà
approvato
dai
rispettivi
Parlamenti.
L'articolo 4 impone l'abbattimento del debito pubblico, per la
quota che eccede il 60% del PIL,
un ventesimo all'anno. Per l'Italia
ciò significa un abbattimento di
circa 47 miliardi l'anno, quasi il
3% del PIL!
L'articolo 5 prevede l'attuazione,
in partnership con l'UE, di un
programma relativo sia al bilancio sia alla politica economica
che 'includa una descrizione dettagliata di riforme strutturali'.
Intendendo con 'riforme strutturali' quelle del mercato del lavoro, dei servizi pubblici, della previdenza.
È il programma che sta realizzando il governo Monti: prima il
taglio alla previdenza con l'allungamento della stessa età pensionabile, poi le liberalizzazioni e
privatizzazione dei servizi partire
da quelli a rete, poi il mercato del
lavoro, per facilitare ancor di più
licenziamenti e flessibilità.
L'articolo 6 prevede che la stessa
programmazione della collocazione dei titoli di debito pubblico
deve essere comunicata ex ante
all'UE per coordinarla a livello
europeo. Inutile ricordare che
l'emissione dei titoli è una delle
'prerogative' più incisive dei
ministeri del Tesoro, che ora di
fatto viene spostata a Bruxelles.
Le procedure di governance previste dal Titolo V del Trattato
sono la razionalizzazione di quelle già assunte con il 'semestre
europeo', che voglio rapidamente
ricordare.
Il Consiglio ECOFIN del 7 settembre 2010, ha modificato il
Codice di condotta per l'attuazione del Patto di stabilità e crescita mediante le procedure del
'semestre europeo', avviato nel
gennaio 2011. La loro novità è
nella discussione e nell'indicazione ex ante delle politiche di
bilancio, le cui fasi principali
sono: a metà aprile quando gli
Stati membri sottopongono i
Piani nazionali di riforma (PNR,
elaborati nell'ambito della nuova
Strategia UE 2020) e contestualmente i Piani di stabilità e convergenza (PSC, elaborati nell'ambito del Patto di stabilità e crescita), tenendo conto delle lineeguida dettate dal Consiglio europeo; a inizio giugno quando, sulla
base dei PNR e dei PSC, la
Commissione europea elabora le
Raccomandazioni di politica economica e di bilancio rivolte ai
singoli Stati membri; nella seconda metà dell'anno quando gli
Stati membri approvano le
rispettive leggi di bilancio, sulla
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
9
Europa
cambiailmondo
Vogliono un popolo di conformisti
e di lavoratori sotto ricatto
di Francesco Berrettini
È
base delle Raccomandazioni
ricevute. In un'indagine annuale
la Commissione dà conto dei
progressi conseguiti dai paesi
membri nell'attuazione delle
Raccomandazioni stesse.
L'impianto procedurale del
semestre europeo ha, dunque,
già prodotto scelte operative e
atti legislativi costituendo il
modus operandi della governance economica europea. Questa,
con il Consiglio europeo del 2425 marzo 2011, si è arricchita del
Patto Euro Plus, che lo stesso
governo italiano ha riconosciuto
essere un 'momento di innovazione costituzionale': «Gli effetti
del Patto non sono e non saranno limitati alla dimensione economica […] ma esteso alla
dimensione politica. Effetti
destinati a prendere la forma di
una sistematica e sempre più
intensa devoluzione di potere
dagli Stati-nazione ad una comune nuova e sempre più politica
10 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
entità europea» .
Approvato il 4 ottobre 2011, il
Six pack prevede un deposito
dello 0.2% del PIL per lo Stato
che infrange le regole del limite
del deficit annuale del 3% trasformabile in una multa, prescrivendo altresì il rientro del debito
nel limite del 60% del PIL nell'ordine di un ventesimo ogni tre
anni (previsione ripresa dal
nuovo Trattato).
Se messe insieme queste regole inserimento in Costituzione del
pareggio di bilancio, deficit
annuale allo 0.5% del PIL,
abbattimento dello stock del
debito per riportarlo al 60% del
PIL, 'riforme strutturali' per
ampliare il ruolo del mercato -,
ci accorgiamo che l'altro pilastro
che mancava all'euro, la gestione
delle politiche fiscal ed economiche, è stato costruito. I bilanci
dei paesi membri saranno definiti e gestiti dall'oligarchia di
Bruxelles e la moneta dalla BCE,
con l'obiettivo della stabilità
finanziaria per rendere certi e
promuovere gli scambi di mercato e gli investimenti privati a
livello continentale .
Abbattimento della rappresentanza politica e distruzione dei
diritti sociali sono i figli gemelli
del nuovo 'patto fiscale', per questo l'opposizione alla sua ratifica
fino alla richiesta di un referendum di indirizzo per sottoporlo
al giudizio popolare, come quello tenutosi nel 1989, è un passaggio cruciale per dare forza alla
resistenza contro le misure di
austerità e per porre le basi di
un'altra Europa, l'Europa democratica dei/delle cittadini/e.
Franco Russo, Membro del Comitato No
Debito e animatore del Forum Diritti/Lavoro
Fonte:http://www.contropiano.org/it/archivionews/documenti/item/6526-il-nuovo-pattofiscale-europeo-fine-della-democrazia
indubbio che la nuova
normativa sul lavoro che
si sta approntando introduce dei miglioramenti e delle
aperture. Però non ci siamo. Le
modifiche previste per l'art. 18
dello statuto dei lavoratori peggiorano gravemente la situazione
del lavoro, nel momento in cui
prevedono i licenziamenti individuali per ragioni economiche;
cioè , solo se il giudice dimostra
che non esiste un giustificato
motivo economico per licenziare
uno o più lavoratori, interviene
l'indennizzo al posto del reintegro.
In tale ipotesi (licenziamento per
cause economiche senza giustificato motivo) il datore di lavoro ha
commesso un abuso, poiché lo
scopo del licenziamento era un
altro e diverso da quello addotto; e
tuttavia il datore di lavoro se la
cava con un esborso ma ottiene il
suo scopo; cioè, in sostanza la
nuova normativa sancisce e legalizza un abuso. Io datore di lavoro
ti licenzio, adducendo motivi economici, fondati o meno; se mi vale
tu dipendente, solo dopo avermi
fatto causa ed ottenuta una sentenza favorevole, avrai un po' di soldi
di indennizzo. Non so se, come
paventano alcuni, ci saranno licenziamenti in massa; siamo in Italia,
il Paese dei furbi, ed è verosimile
che si farà ricorso a licenziamenti
per motivi economici dubbi o
inconsistenti o inesistenti; certo è
che il lavoratore licenziato, per far
valere le sue ragioni, deve adire il
tribunale del lavoro, sostenere
spese e solo se vince la causa avrà
un minimo di ristoro; se la perde
alla beffa aggiungerà il danno
(licenziato e con le spese legali da
pagare); siamo sempre in Italia,
dove ci sono circa 9 milioni di
cause civili pendenti e dove i tempi
della giustizia sono biblici. In tali
condizioni solo una testarda minoranza ricorrerà al tribunale. La
maggioranza non lo farà; ma, per
evitare di trovarsi in quella spiacevole situazione, subirà e si adeguerà ad un comportamento che non
desti sospetto, che non lo metta
sotto la lente di ingrandimento.
Insomma il provvedimento tenderà a far scomparire dipendenti sindacalizzati che si battono per la
tutela dei diritti dei lavoratori. Il
messaggio è chiaro: fatevi i fatti
vostri, non vi impicciate, state allineati e coperti, abbozzate, subìte,
diventate dei perfetti tartufi, se no
vi succede come quei tre operai
della FIAT che, nonostante una
doppia sentenza del tribunale, non
sono stati riammessi in fabbrica,
solo perché attivisti di un sindacato sgradito, come dimostra la sentenza d'appello.
È questo che si vuole? Un popolo
bue? È questo il lavoro su cui si
fonda la nostra Costituzione?
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
11
Italia
“SHOCK ECONOMY” ALL'ITALIANA:
ovvero come operano i nipotini di M. Friedman nel nostro paese
di Guglielmo Zanetta
La
distruzione di posti di
lavoro in Italia ed in
Europa Meridionale
non è solo a causa della globalizzazione, non è casuale, non è irrazionale; è la distruzione sistematica di una “parte sostanziale”, “dei
diritti” della comunità, allo scopo
di trasformarla e ridefinire il modo
di essere, le relazioni sociali e il
nostro futuro.
Questo governo agisce come altri
autoritarismi del passato, coprendo gli errori e le ingiustizie di chi
ha rubato; non c'è spazio per altre
idee e tipologie di pensiero e di
persone; indicative sono le dichiarazioni di Monti al parlamento ed
alla stampa. Le persone che non
rientrano nel nuovo ordine sono
quelle “collocate nei settori che
intralciano la configurazione della
nuova Italia”, vedi i lavoratori
della FIOM e il loro sindacato.
Così Berlusconi e Marchionne
hanno fatto da apripista a Monti,
con la complicità di parte di un
12 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
parlamento che ha rappresentato
solo i poteri forti in questi ultimi
20 anni. Queste persone sono
complici del disastro italiano ed
oggi pontificano e fanno pagare il
prezzo alla classe lavoratrice, non
a chi la ha generata, creando solo
paura ed insicurezza. Il centro
destra (e non solo) dopo aver
infangato l'Italia, deriso la classe
lavoratrice e sostenuto che eravamo fuori dalla crisi, oggi concorre
alla distruzione dello stato sociale.
Il modello Italia, nella sua relativa
autonomia, dava fastidio alla
Europa e al mondo occidentale
era di cattivo esempio per i paesi
emergenti
dell'America
Meridionale e del terzo mondo.
Allora andava fatto scomparire
con una bella dose di Shock
Economy alla M. Friedman che,
ha già operato in tutto il mondo
con
successo
a
partire
dall'America, gestendo i colpi di
stato dell'America centro-meridionale, dell'Africa, del SudestAsiatico, e del ex blocco comunista. Sono gli stessi “nipotini” che
hanno operato nelle istituzioni,
nel FMI, nelle varie Banche del
consenso, nella BCE, ecc. Come
il Washington Consensus scriveva
i programma per questi paesi, così
la Bce (vedi la famosa lettera di
agosto, impone una trasformazione fulminea dell'economia: tagli
fiscali - eccetto che per i lavorato-
ri e i pensionati - , il mercato come
unica ragione, privatizzazione dei
servizi, tagli alla spesa sociale, e
deregulation), lo ha fatto per la
Grecia e oggi per l'Italia.
In che modo: vi facciamo il prestito, vi restituiamo il vostro credito
internazionale e voi privatizzate
tutto, ecco la questione che agli
italiani non si vuol far conoscere.
Il prezzo è rendere i cittadini più
poveri - alienando i beni comuni,
le aziende di stato, il patrimonio
artistico ed ambientale - facendo
pagare a loro il debito, non a chi lo
ha creato e a chi ha governato e
gestito l'economia italiana, abolendo di fatto la democrazia partecipativa (e riducendo drasticamente
quella parlamentare). Così si è
demandato ai cosiddetti “tecnici”
il lavoro sporco e avremo, nel
2013, le stesse persone in parlamento che, di fatto hanno portato
il paese in questa situazione.
Come reagiranno gli italiani alle
prossime elezioni, staremo a vedere. Non ci si crede come riescano
a dire in modo anche spudorato
quello che stanno facendo, senza
generare dissenso nei cittadini;
incredibile questo nostro paese
”senza memoria“; dopo 20 anni di
Berlusconi si è riusciti a cancellare
la nostra storia. Come è stato preparato lo shock: è bastato dire per
alcuni anni che tutto andava bene,
che la sinistra era solo capace di
criticare, per poi far calare la mannaia sulla testa degli italiani e
lasciarli senza respiro, tecnica consigliata e usata in tutti paesi dove
hanno operato i suggerimenti
della scuola di Chicago.
In uno dei suoi saggi M. Friedman
formulò la panacea tattica che
costituirà il nucleo del capitalismo
contemporaneo, e che definisce
“la dottrina dello shock”.
Osservava che soltanto una crisi reale o percepita - produce il vero
cambiamento.
Quando la crisi colpisce - reale o
indotta, vedi il nostro debito interno - è fondamentale agire in fretta, “non far pensare”, imporre il
mutamento rapido e irreversibile
prima che la società tormentata
dalla crisi torni a pensare.
La teoria è che, “una nuova amministrazione dispone di un periodo
di sei - nove mesi in cui realizzare
i principali cambiamenti; se non
coglie, l'opportunità di agire incisivamente in quel periodo, non avrà
altra occasione del genere”.
Variazione sul tema machiavelliano per cui i danni andavano inflitti tutti insieme, questa si sta dimostrando una delle eredità strategiche di M. Friedman più durature.
E così nel lavoro, è stato per il
nuovo modello FIAT, ascari sulla
strada se ne trovano sempre, in
politica non sempre bisogna creare, basta utilizzare il materiale esi-
stente. Ecco uno dei motivo per
cui Monti non si presenterà alle
elezioni, ma è stato per questo
eletto Senatore a vita.
Così è stato: “creare il debito
interno, nei paesi dell'America
Meridionale e Africa; gli armamenti per lo stato di polizia; in
Europa meridionale il finanziamento dello stato sociale senza il
dovuto rigido controllo”, per cancellare i diritti e la democrazia.
Nello stato, la partecipazione dei
cittadini non è più richiesta (vedi
la legge elettorale) e nelle aziende
è la dirigenza che decide gli accordi ed i rappresentati dei lavoratori.
Il problema è esteso e profondo,
si attaccano gli anelli più deboli
per cancellare le conquiste, i diritti e la democrazia. Nulla deve
essere più sicuro, si cancella tutto
quello che è normale; se la rivoluzione neo liberista deve funzionare devono fare ciò che prima sembrava impossibile “abolizione
dello stato sociale e dei diritti”,
estirpare definitivamente il seme
che aveva generato la svolta “delle
conquiste sociali” in Europa
Meridionale anche come monito
per quelle nazioni che avessero
intenzione di sviluppare il modello europeo. Non avevano sperato
così tanto i fautori della P2.
Sull'onda del debito si costruisce
il consenso sulla paura; “un po'
come per gli ebrei prima
dell'Olocausto”, non era pensabile
che potesse succedere; ebbene
l'Europa meridionale ancora non
crede e non vuol vedere quello
che sta per succedergli, “la cancellazione dell'identità”, e una nuova
forma di subalternità.
“Un conflitto armato tra nazioni
ci riempie di orrore. Ma la guerra
economica non è migliore di un
conflitto armato. Quest'ultimo è
come un operazione chirurgica; la
guerra economica è una tortura
prolungata. E la devastazione che
produce non è meno terribile di
quella scritta nella letteratura sulla
guerra propriamente detta. Non
pensiamo all'altra guerra perché
siamo abituati ai suoi nefasti effetti… Il movimento contro la guerra è giusto. Prego perché abbia
successo. Ma non posso evitare il
lancinante terrore che quel movimento fallirà nel suo intento se
non arriverà a toccare le radici di
tutti i mali, l'avidità umana”.
Queste le parole di Gandhi, era il
1926 (Non Violence - The Greatest
Force). Nulla è cambiato dal 1926,
sono passati quasi cent'anni e non
abbiamo imparato la lezione del
secolo passato. I nipotini di
Friedman oggi governano il
nostro paese; occupiamoci seriamente dei nostri interessi prima
che sia troppo tardi, visto che gran
parte del parlamento ha abdicato
al suo ruolo...
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
13
www.cambiailmondo.org
cambiailmondo
Un punto
di coordinamento
per resistere
all'aggressione
neoliberista
di Rodolfo Ricci
»».
Le
dichiarazioni di Monti delle
ore 20,20 del 2 marzo 2012,
alla fine del Consiglio dei
Ministri convocato appositamente per decidere
sulla TAV, costituiscono una riconferma ineccepibile della concezione politica del governo dei professori, o dei tecnici: l'espressione più significativa,
a parte diverse banalità a sostegno della presunta
validità tecnica dell'opera, è la seguente: “Il nostro
governo - ha detto Monti - è impegnato nella lotta
ogni resistenza corporativa, seppur legittima, che
intralci il libero sviluppo della competitività nel
paese; ciò che sarà fatto da questo governo per
sconfiggere la resistenza dei NO-TAV, è da intendersi in questa chiave”.
La chiave di lettura che dunque il Prof. Monti offre
all'opinione pubblica è che le lotte sociali vengono
derubricate a mere manifestazioni corporative di
gruppi sociali limitati e parziali e, proprio in quanto tali, non riconoscibili all'interno dell'”interesse
nazionale”, cioè del paese, il quale, al contrario, è
rappresentato, in una sorta di esaustività amministrativa globale, dai dati e dalle funzioni matematiche di cui è depositaria l'elite tecnocratica supportata dai media: nuovi scriba e nuove cattedrali per
una nuova e duratura egemonia sui sudditi e sui
credenti.
14 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
Sotto la teoria cardinalizia dei professori depositari dell'unico sapere, si stanno rapidamente riassestando a mò di legione, gli esegeti composti da
pseudo intellettuali e annessi volgarizzatori ad uso
delle masse e, allo stesso tempo, si prefigurano rinnovati circuiti di inquisizione (la magistratura è
richiamata alla sua indispensabile funzione “teoremica”) e di repressione (i cui apparati vengono
ridipinti di antichi quanto improbabili abiti pasoliniani).
Le eresie del “nuovo mondo possibile” vanno
annientate. Annientare il movimento No-Tav (e
magari la FIOM) sono passaggi indispensabili e
obbligati. Non vi è proprio nulla da “concertare” o
da “partecipare”. Tutti debbono comprenderlo e
imprimerlo nel profondo del proprio subcosciente.
Poiché il sovrano, per definizione, non discute con
i sudditi, li rappresenta globalmente ed esaustivamente. O, se si tratta di supremo sacerdote, è il
mediatore tra il divino (rappresentato dalle leggi di
mercato) e i credenti. Atei e mis-credenti, o si convertono, o sono fuori dall'ecumene.
Monti può permettersi di dire le cose che va dicendo, solo per un motivo: tutto ciò che gli si oppone
è frastagliato e atomizzato. I partiti, quel che ne
resta, come i sondaggi finalmente confermano,
non hanno alcuna legittimità: il loro indice di gradimento è al 3% e quindi non lo molleranno, perché se lo mollano, vanno definitivamente nel precipizio.
In queste condizioni, se la lotta sociale non vuole
ridursi a jacquerie e a collezioni pluridecennali di
sconfitte sotto il segno dell'emergente e novello
sorvegliare e punire, bisogna rapidamente convincersi che la costruzione di un magari post-moderno principe comincia ad imporsi, come necessità;
sappiamo che non siamo in grado di sintetizzarlo al
momento; ma alcune sue proto-funzioni possono e
debbono essere svolte: chiamare a raccolta, ricollegare e tenere insieme tutti i movimenti sociali e i
pezzi sparsi di politica.
C'è bisogno di qualcosa che somigli ad una
Convention nazionale (e magari tra qualche mese
europea) per varare un ampio fronte che, se non
ancora in grado di definire unitariamente le prospettive di futuro (cosa che rientra nella costruzione stessa di nuova soggettività politica), abbia
almeno ben chiare quali siano le linee di resistenza
e sappia mobilitare le forze in campo a solidarietà
dei soggetti più esposti. Il social intellect, ha bisogno di un punto di coordinamento riconoscibile.
Chi è in grado di dare una mano in questa direzione, si muova ora.
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
15
Dal Mondo
La crisi europea e italiana vista dall’Argentina:
FINE DEL MITO EUROPEO
di Adriana Bernardotti (Buenos Aires)
«
L' Europa è in declino economico e la spingono ogni giorno di più in quella direzione.
Ce la gettano le sue principali autorità, con le politiche di “austerity” che sollecitano licenziamenti e tagli alla spesa pubblica. Ce la gettano - consapevolmente - le agenzie di rating,
in un sistematico boicottaggio di qualsiasi recupero oggettivo o soggettivo. Ce la getta la
principale potenza regionale, la Germania, con una notevole miopia e ce la getta anche la
passività della popolazione europea, che in maggioranza non si accorge ancora dove la
stanno portando gli orientamenti neoliberisti dei suoi governanti. In Grecia la coperta è
diventata ormai socialmente troppo corta
»
Questa dura caratterizzazione
della situazione europea apre il
supplemento economico di
domenica 5 febbraio del quotidiano «Pagina 12», intitolato “La
divina commedia”.
L'articolo è di Ricardo
Aronskind, un economista e
accademico che collabora spesso
con «Pagina 12», la testata progressista pubblicata a Buenos
Aires in un formato simile al
quotidiano
italiano
«Il
Manifesto».
Comunque, salvo qualche eccezione, non è molto diverso il
16 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
tono generale dei principali giornali argentini, come se la memoria dell'esperienza della crisi
argentina della fine degli anni '90
e gli insegnamenti tratti da questi
anni di ripresa, portassero alla
comune
convinzione
che
l’Europa è sull’orlo della catastrofe e che le soluzioni proposte dagli europei non faranno
altro che accelerarla.
A questa conclusione si arriva
facendo un rapido escursus tra
gli articoli pubblicati sull’argomento dai tre principali quotidiani negli ultimi mesi: «La
Nación», giornale conservatoreliberale più attento alla politica
internazionale tra i quotidiani
argentini; il «Clarin», la pubblicazione di maggiore diffusione
con una vasta profusione di
notizie di cronaca e d’informazione locale, oggi fortemente
antigovernativo e il menzionato
«Pagina 12», quotidiano d’opinione orientato a sinistra e simpatizzante del governo di
Cristina Kirchner.
Cominciamo dal quotidiano «La
Nación»: dalla cronaca degli
avvenimenti politici ed economi-
ci tracciata dai collaboratori e
corrispondenti internazionali,
emerge un'Europa sottomessa al
diktat della Germania e della
“troika costituita dai rappresentanti
della
Commissione
Europea, la Banca Centrale
Europea e il Fondo Monetario
Internazionale”, che esigono
politiche di aggiustamento strutturale che si traducono in una
crisi politica che minaccia lo
stesso disegno dell'Unione
Europea e aggrava le condizione
sociali e le sofferenze delle
popolazioni.
Riportiamo alcuni titoli: “Para
Sarkosy Merkel lleva a Europa a
la catástrofe” (1/12/2011);
“Presionan a la UE el Foro de
Davos y el FMI” (29/1/2012)
“Polémico plan alemán para
Grecia” (29/1/2012); “Grecia
vuelve a causar una fractura en la
UE. Fuerte rechazo al plan alemán de supervisión” di Luisa
Corradini (31/1/2012); “El
descontento en Europa del Este,
una bomba de tiempo”
(31/1/2012);
“Temor
en
Europa, Grecia otra vez cerca
del default” (6/2/2012); “La
germanización de la UE despierta fantasmas en París” di L.
Corradini (6/2/2012).
Sfogliando il «Clarin» non ci
sono dubbi sul fatto che in
Europa stanno vincendo i mercati mentre è sconfitta la politica
e i cittadini. Vediamo i titoli: “Un
acuerdo que profundiza el ajuste
y refuerza a los bancos”
(10/12/2011); “Otro golpe a
Europa: rebajan la calificación al
Fondo de Rescate” (17/1/2012,
su come le agenzie di rating
comandano sulla politica economica); “Cae otro premier en
Europa y ya son quince arrasados por la crisis” (7/2/2012,
sulla caduta del governo di
Romania, il 15° governo europeo spazzato “da quando è
scoppiata la crisi greca e la UE
ha imposto politiche di aggiustamento”).
Un altro tema ricorrente è quello dell'Europa governata dai
banchieri. “A causa della crisi il
mercato arriva al potere politico”, sintetizza un'intestazione di
«Clarin» del 22 dicembre che si
sofferma sul fatto che “la crisi
del debito ha portato al potere
tecnocrati, banchieri ed economisti”, in particolare a figure collegate alla Goldman Sachs come
il premier greco Lucas
Papademos, il presidente della
BCE Mario Draghi e lo stesso
Mario Monti, tutti uomini che in
passato si sono occupati di
“aprire le porte” del potere
europeo a vantaggio di
Goldman Sachs. (“Por la crisis,
el mercado llega al poder político” - “Attraverso la crisi il mercato arriva al potere politico”,
Cl., 22/12/11).
D'altra parte è la stessa moneta
europea, l' euro che ha perso
affidabilità, come descritto dal
corrispondente del «Clarín» a
Madrid come “quell'entità europea proclamata come essenziale
dai politici dei paesi dove è in
corso di circolazione, il cui futuro è messo in dubbio da molti
economisti e della quale vogliono disfarsi la maggior parte dei
cittadini che l'hanno in tasca” in
occasione della celebrazione del
suo decennale (“Sin festejos y en
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
17
www.cambiailmondo.org
su momento más crítico, el euro
cumplió 10 años”, di J. C.
Argañaraz , Cl., 2/1/2012).
Gli stessi concetti, con un accento ancora più critico, compaiono
nelle intestazioni di «Pagina 12».
Europa è una “provetta per le
ricette neoliberali” e l'euro è
“una gogna” per i paesi in crisi.
“El cepo del euro”, di D.
Rubinzal, sottolinea come “la
debacle dell' Europa si aggrava
con le misure di aggiustamento
strutturale” (P12, 24/12/2011).
“In Europa il potere è di
Goldman Sachs” titola senza
indugi un altro collaboratore di
«Pagina 12», il servizio dove
commenta i casi di Papademos,
Monti e Draghi, che “appartengono alla rete che tesseva Sachs
nel Vecchio Mondo e, in misura
diversa, hanno partecipato alle
più raccapriccianti operazioni
illegali orchestrate da parte dall'organizzazione statunitense”
(“En Europa el poder es de
Goldman Sachs”, di E. Febbro,
P12, 23/11/2011).
Il quotidiano progressista si fa
eco dei punti di vista della sinistra europea, che allertano sulla
situazione politica ed economica
che vive il continente. “La
18 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
cambiailmondo
democrazia sta scomparendo”, è
il titolo dell'intervista al deputato
tedesco Michael Schlecht, del
partito Die Linke, che denuncia
il ruolo del capitalismo tedesco
nell'indebitamento del resto
dell'Europa.
“Il 50 o 60% del debito è creato
dalla politica tedesca” che ha
costituito enormi eccedenze
esportabili grazie a una politica
di dumping salariale senza precedenti “che equivale a dare una
mitraglietta in mano ai capitalisti
tedeschi”
per
annichilire
l'Europa, come hanno fatto il
secolo scorso “i panzer tedeschi”, dichiara il deputato utilizzando una immagine molto evocativa. (“La democrazia está
desapareciendo”, di E. Febbro,
P12, 13/11/2011).
In un'altra intervista al deputato
della sinistra greca Panagiotis
Lafazanis (“Tutto questo ci
porta in un tunnel senza luce”),
si afferma che la Grecia ha vissuto un “colpo di stato” che ha
portato “la tecnocrazia al governo, come in Italia” e che “questo
golpe non si fermerà in Grecia,
ma si amplierà a tutta l'Europa”
perché “il Fondo Monetario
Internazionale è il costruttore di
quest'idea”. (“Todo esto nos
conduce por un túnel sin luz”,
P12, 13/11/2011).
In ogni caso, non solo «Pagina
12» mette in risalto le voci dell'opposizione europea. «La
Nación» riporta un'intervista al
candidato socialista francese
François Hollande in cui sostiene
che il suo “nemico è il mondo
delle finanze” e che s'impegnerà
in una politica di crescita per la
quale occorre modificare il sistema bancario e cambiare i rapporti politici con la Germania.
(“Hollande. “Mi enemigo es el
mundo financiero”, L. N.,
23/1/2012).
In realtà, in termini quantitativi e
considerando i quotidiani nell'insieme, le tipologie di articoli che
appaiono con più frequenza
rientrano nella cronaca della vita
quotidiana in tempi di crisi e
nella cronaca dei problemi sociali, con temi come la crescita della
disoccupazione, l'aumento della
povertà, i movimenti di resistenza della popolazione.
Il fantasma delle esperienze quotidiane vissute dieci anni fa, in
piena crisi argentina, aleggia nei
servizi inviati quasi ogni giorno
dai corrispondenti nelle principali capitali europee sull'impatto
della crisi sui cittadini.
La situazione spagnola, in ragione della vicinanza culturale, è
seguita con particolare attenzione: “Fuga de jóvenes profesionales en España”, sull'emigrazione
di giovani professionisti verso la
Germania, il Regno Unito e
l'America Latina come principali
destinazioni (L.N., 3/2/12);
“España aplica más ajustes y
congela el salario mínimo”, sulle
misure che colpiscono i lavoratori (Cl., 29/12/11); “Escala la crisis social en España: cada día se
pierden 9000 empleos”, sulla
perdita di posti di lavoro (Cl.,
6/2/2012); “En el gran mercado
de Madrid, comen lo que otros
tiran”, sulla povertà estrema e la
gente che mangia dai contenitori
1/12/2011); “Adiós al paraíso
laboral europeo”, sulle riforme
nel mercato del lavoro e la fine
del modello sociale europeo
(L.N., 25/1/2012); “Advierten
que será 'inevitable' en 2012 la
recesión en la zona euro. Lo dijo
el titular del Banco Central
Europeo, Mario Draghi. Italia es
el más complicado”, sulla recessione in Italia (Cl., 16/12/2011);
“Europa en crisis: los barrios de
Londres donde reina la pobreza
y la frustración”, sulla povertà a
di spazzatura, un'immagine che
richiama fortemente alla memoria le vicende argentine (Cl.,
30/12/11).
Ciò non significa un disinteresse
per il resto dei paesi, tutto il contrario: i quotidiani vogliono mettere in risalto il cambiamento
sociale che impone la crisi nelle
società europee un tempo i paesi
del benessere, concentrandosi su
alcuni particolari.
“Record de desempleo en la
eurozona. Una de cada diez personas sin trabajo”, sulla disoccupazione europea (L. N.,
1/2/2012); “Masivo paro contra
el ajuste de Cameron”, sugli scioperi nel Regno Unito, “il più
importante in 30 anni”, (L.N.,
Londra (Cl, 16/12/2011);
“Desempleo y desesperanza en
el centro y en la periferia de
Paris”, sulla situazione sociale a
Parigi (Cl., 17/12/2011); “Crece
la brecha entre ricos y pobres en
los países de la UE. Trepó a su
máximo en 30 años, aún en los
países más igualitarios, advirtió la
OCDE”, sull'incremento della
disuguaglianza evidenziato nelle
statistiche
europee
(Cl.,
6/12/2011); “Una huelga de
estatales contra el ajuste paralizó
al Reino Unido”, sugli scioperi
inglesi (Cl., 1/12/2011); “Record
en la zona euro. Hay 23,6 millones de desocupados”, i dati europei
sulla
disoccupazione
(Cl.,1/12/2011); “Un tubo de
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
19
www.cambiailmondo.org
cambiailmondo
»»
ensayo para recetas neoliberales”, sulla povertà estrema ad
Atene e le “centinaia di persone
che fanno la fila per avere una
misera razione di alimenti in un
contenitore di plastica: una porzione di purè di patate e Coca
Cola light come unica consolazione” (P12, 5/2/2012).
Abbiamo volutamente lasciato
alla fine l'Italia perché vorremmo dedicare qualche paragrafo
al trattamento che le riservano i
quotidiani argentini.
Anche in questo caso e nonostante le profonde differenze
ideologiche dei tre quotidiani, il
tenore dei contenuti dei pezzi di
cronaca e dei servizi dei corrispondenti a Roma è sostanzialmente uniforme, con qualche
prevedibile differenza di accentuazione.
Come per gli altri paesi, sono
molto numerosi gli articoli riferiti alla questione sociale, in generale prodotti dagli inviati o corrispondenti. Ne citiamo alcuni:
“Una fábrica de pobres que no
20 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
pueden ver un futuro mejor”
(Cl., 3/12/2011 - servizio con
interviste nella mensa dei poveri
della Comunitá Sant'Egidio);
articoli sullo sciopero di dicembre in tutti i quotidiani: “Primera
huelga contra el ajuste de Monti
en Italia” (L.N., 13/12/2011);
“Masiva huelga general en Italia
contra el plan de ajuste de
Monti”(Cl., 13/12/2011); “Paro
y marcha contra los recortes”
(P12.,13/12/2011, dove si informa che “il tema che piú preoccupa a Monti è la riforma delle
pensioni e l'applicazione di tributi
regressivi”);
“Orient
Express. Final de viaje en una
Venecia golpeada por la crisis”,
(Cl.,14/12/2011, di P. Lugones turismo di lusso in un contesto
di crisi e sofferenza popolare);
“Italia, triste, pobre y endeudada
a fin de año”, (P12, 29/12/2011,
di E. Llorente - un compendio
dei problemi sociali degli italiani
alla fine del 2011: disoccupazione, inflazione, razzismo); “Para
impulsar la economía reforma-
ron el sistema de pensiones e
incorporaron impuestos” (L.N,
28/1/2012- sulle riforme Monti
e le proteste delle corporazione
di tassisti, farmacie e dei sindacati); “Los que más apuestan en
Italia son jubilados y jóvenes
desocupados” (P12., 31/1/2012
- sul gioco in tempi di crisi: la
diffusione delle slot machines e
la dipendenza dai diversi giochi
tra i pensionati e i giovani disoccupati).
Se ci soffermiamo sulla cronaca
degli eventi politici ed economici, spicca la durezza con la quale
sono affrontati i fatti italiani. Si
tratta sicuramente in parte di un
residuo della cattiva immagine
internazionale
guadagnata
dall'Italia nell'era berlusconiana.
Senza dubbio hanno anche contribuito le tensioni trascinate a
lungo attorno ai cosiddetti
“tango bond”, che sono stati
vissuti dall'Argentina come l'ultimo ostacolo per concludere con
successo la ristrutturazione del
debito e l'unico caso nel quale
prodotti finanziari dello Stato
sudamericano - emessi esclusivamente per investitori istituzionali - sono stati venduti ai privati
cittadini, in una vicenda poco
trasparente da imputare alle banche italiane.
Con questi antecedenti e l'esperienza della crisi argentina ancora fresca, l'Italia è dipinta negli
articoli dei quotidiani locali
come un paese sull'orlo del baratro economico e sociale, governata adesso da un “tecnocrate”
che arriva ad applicare le ricette
dei mercati e delle organizzazioni multilaterali a loro affini, a
cominciare dal Fondo Monetario
Internazionale di triste memoria
in Argentina.
“Scelgono un tecnocrate per salvare l'Italia: Monti”, intitola il
quotidiano liberale-conservatore
«La Nación» il 14/11/2011 il
servizio della corrispondente
Elisabetta Piqué, che presenta a
Mario Monti come “un riconosciuto economista di 69 anni sul
quale scommettono i mercati,
l'establishment,
l'Unione
Europea e il Fondo Monetario
Internazionale”. “Il Parlamento
italiano approva il severo programma di aggiustamento strutturale di Monti” informa un
mese dopo lo stesso giornale, in
riferimento alla “prima riforma
di peso promossa dal governo
tecnocratico da quando è arrivato
al
potere”
(L.N.,
23/12/2011). “Italia riceve elogi
per i tagli mentre i politici sperperano lusso”, scrive il corrispondente di «Clarin» da Roma,
J. Argañaraz, in riferimento alle
vacanze di alcuni rappresentanti
della classe politica nelle Maldive
(Cl., 13/1/2012). “Italia fa i tagli
e si prepara per la recessione”
dice «Pagina 12» il 23/12/2011,
soffermandosi sulla perdita di
potere d'acquisto degli stipendi
degli italiani che si preparano a
vivere “il peggior Natale dalla
Seconda Guerra Mondiale”.
Il tono critico degli articoli
sull'Italia ha addirittura creato un
incidente diplomatico, quando
l'Ambasciatore d'Italia ha preso
la decisione di inviare una lettera
di protesta al periodico «La
Nación». Il motivo scatenante è
stato un servizio della corrispondente E. Piqué sul tragico incidente della nave di crociera
Costa Concordia pubblicato il 19
di gennaio scorso.
Nell'articolo intitolato “Il naufragio, un drammatico specchio
dell'Italia di oggi”, la giornalista
sintetizza la situazione italiana
con queste durissime frasi: “Un
Italia debole, in galoppante crisi
economica, sull'orlo del default,
appena uscita dal lungo e controverso regno dell’ex premier
Silvio Berlusconi - lo zimbello
d'Europa per il suo harem e il
bunga-bunga - , che iniziava a
recuperare qualcosa della sua
buona immagine con il noioso e
poco carismatico governo tecnico del professore Mario Monti, è
tornata ancora ad annegare negli
abissi assieme al Costa
Concordia. (…) Se l'immagine
del tragico naufragio del Costa
Concordia sembra una metafora
della povera Italia attuale, gravata dal debito, con le sue arretratezze strutturali, gli scandali di
corruzione, i malcostumi, le due
sue facce sono Francesco
Schettino e Gregorio De Falco”.
(“El naufragio, un dramático
reflejo de la Italia de hoy”, di E.
Piqué, L.N., 19/01/2012).
L'Ambasciatore Guido La Tella
riferisce nella sua lettera che nei
due anni trascorsi nell'incarico
nel paese è stato “un lettore
attento di «La Nación»” che
“molto spesso è rimasto colpito
dell'asprezza dei commenti
sull'Italia”; spiega che sempre si
è astenuto di intervenire fino alla
pubblicazione di questo articolo
dove “la giornalista si permette il
lusso di definire 'noioso e poco
carismatico' un governo come
quello di Mario Monti, che riceve unanimi testimonianze di
rispetto, apprezzo e considerazione per lo straordinario lavoro
che sta portando avanti” e “si
azzarda a identificare nel tragico
disastro della nave Costa
Concordia 'una metafora della
povera Italia attuale' ”. Di seguito il rappresentante d'Italia prende le difese del Governo Monti,
che “nella difficile congiuntura
economica internazionale (…) si
distingue per la sua sobrietà,
rigore, impegno” chiedendo
“sacrifici che la maggioranza
degli italiani accetta con grande
senso di responsabilità”. “Mi
piacerebbe leggere - termina
l'Ambasciatore - qualche volta
articoli che tratteggino alcuni di
questi argomenti positivi, che
evidentemente annoiano la
signora Piqué”.
La lettera della diplomazia italiana è stata diffusa dalle agenzie di
stampa locali e l'insolito episodio
ha avuto in qualche modo un
seguito.
«Pagina 12» intitola ironicamente
“La gaffe di un tecnocrate noioso” il pezzo pubblicato agli inizi
di febbraio nel quale vengono
riportate le dichiarazioni di
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
21
www.cambiailmondo.org
Monti sulla “monotonia del
posto fisso” (“El furcio de un
tecnócrate aburrido”, P.12,
4/2/2012)
Un altro episodio da segnalare in
questi mesi è stato la visita della
Viceministro degli Affari Esteri,
Marta Dassu, arrivata a capo
della delegazione italiana invitata
alla cerimonia per l'assunzione
del secondo mandato di Cristina
Kirchner lo scorso dicembre. I
tre giornali passati in rassegna
hanno intervistato la rappresentante del governo e pubblicato
articoli che, con diversi accenni,
rivelano che il dialogo tra la funzionaria e la stampa locale non è
stato facile. «La Nación», più
attenta al suo pubblico d'investitori, focalizza l'attenzione sugli
aspetti economici e sul rischio
che porrebbe un default italiano:
“ 'lo scenario del collasso dell'euro non è realistico. Questo non
succederà ', ha affermato convinta la viceministro italiana”- racconta il giornalista - “e ha ripetuto questa premessa diverse volte
22 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
cambiailmondo
durante l'intervista con «La
Nación». 'Italia non considera
che è a rischio la sopravivenza
dell'euro', ha insistito” (“Para
Italia no está en juego la supervivencia del euro”, di M. P.
Markous (L. N., 11/12/2011).
«Clarin» riprende nel titolo l'argomento della “morte dell'euro”,
tuttavia si sofferma nell'intervista sugli aspetti politici e sul consenso interno alle riforme:
“L'aggiustamento strutturale è
rifiutato dai principali sindacati,
che convocano scioperi e proteste - riconosce la funzionaria -.
La caratteristica di questo governo e che ha dietro di se una maggioranza molto solida, che speriamo duri abbastanza per fare
tutte le riforme necessarie. Come
punto di partenza i sondaggi rilevano che il governo è appoggiato da una buona maggioranza del
paese e gode della fiducia delle
persone. È ovvio che su alcune
misure specifiche ci saranno
scioperi, proteste, ma sono inevitabili”. (“Italia no tiene ninguna
»»
intención de matar al euro”, da
D. Vittar , Cl., 11/12/2011).
«Pagina 12» polemizza apertamente con la rappresentante
della Farnesina, della quale traccia il profilo per porre in evidenza che “fino a tre settimane fa,
era direttrice generale delle
Attività Internazionali dell'Aspen
Institute Italia, un influente centro di studi internazionali con
sede a Washington finanziato
dalle fondazioni americane Ford,
Carnegie e Rockefeller”.
L'approccio critico sull'efficacia
delle politiche adottate in Italia e
Europa manifestato dal giornalista, portano la Dassu a dichiarare in tono indispettito: “Io non
sono un'esperta. Non sono il
ministro d'Economia. Sono la
viceministro degli Affari Esteri.
So che ci sono critiche tuttavia la
disciplina fiscale è imprescindibile per costituire un'unione fiscale, che è un passo importante. È
chiaro che abbiamo bisogno di
crescere. Non abbiamo bisogno
che Stiglitz ce lo ricordi. Ciò che
non accetto, è che dopo aver
guardato all'Unione Europea
come uno specchio, repentinamente tutto il mondo possa dirci
ciò che dobbiamo fare. Non
siamo stupidi. Possiamo vedere
la situazione e cerchiamo di fare
il meglio. È chiaro che occorre
crescere, ma non mi domandare
con quali strumenti. (Ride.
L'ambasciatore avverte che c'è il
tempo per un'ultima domanda)”.
Conclude così la trascrizione del
giornalista argentino, che riprende proprio la frase “Non siamo
stupidi” come titolo del servizio.
(“No somos estúpidos”, por S.
O'Donnell, P.12, 11/12/2011).
Fin qui abbiamo rilevato una
sostanziale - e sorprendente omogeneità tra i tre giornali nel
trattamento del tema della crisi
europea. Gli unici pezzi dove le
posizioni dei quotidiani si discosta in forma netta è negli articoli
d'opinioni. Dobbiamo premettere che - ad eccezione di «Pagina
12» - il tema della crisi è affrontato in forma prevalente attraverso articoli di cronaca. Questo
risulta abbastanza insolito nel
caso di «La Nación», considerando che il prestigio del giornale è
fondato giustamente sul numero
di firme di peso e l'ampia copertura internazionale. Si deve inoltre precisare che questa differenziazione di punti di vista si rende
evidente negli articoli dei collaboratori ed esperti locali ed
inviati, mentre non si verifica
con le opinioni e contributi raccolti e tradotti da firme o figure
internazionali.
«La Nación», ad esempio, riporta
un articolo di George Soros fortemente critico con le decisioni
della BCE e l'Operazione
Rifinanziamento
a
Lungo
Termine (ORLT), una soluzione
che - secondo l'economista e
finanziere internazionale - “lascia
metà della zona euro relegata alla
condizione di paesi del Terzo
Mondo profondamente indebitati in valuta straniera”, con la
Germania “al posto del Fondo
Monetario
Internazionale
(FMI)” che adotta “un atteggiamento implacabile al imporli una
rigida disciplina fiscale, che provocherà tensioni economiche e
politiche che potrebbero distruggere l'Unione Europea” . Soros
difende le ragioni della sua ricetta alternativa per salvare l'Europa
- che ha denominato Tommaso
Padoa-Schioppa - che, se presa in
considerazione, concederebbe
all'Italia e alla Spagna un istantaneo sollievo attraverso il rifinanziamento del debito. (“La crisis
europea con una solución a
medias” L.N., 29/1/2012).
In altri pezzi, il quotidiano si fa
eco delle opinioni di altri eterodossi come l'economista Nouriel
Roubini, che prevede un 50% di
probabilitá di disintegrazione dell'eurozona entro tre o cinque anni
e insiste sul fatto che le politiche
di austerità adottate affonderanno
l'Europa nella recessione.
Tra le collaborazioni internazionali, «Clarin» pubblica un articolo dell'ex presidente di Spagna
Felipe Gonzalez, fortemente critico della politica applicata nel
vecchio continente perché “pone
in crisi la coesione sociale che ha
definito l'Europa dalla Seconda
Guerra Mondiale”. Denuncia
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
23
www.cambiailmondo.org
d'altra parte “l'abilità dei neoconservatori, degli attori delle finanze, delle agenzie di rating, che
consiste nel farci dimenticare le
correzioni di fondo che richiede
il modello di economia delle
finanze, senza regolazione e
piena di fumo, che ci ha portato
a questa catastrofe”. (“Hay que
recordar
la
crisis”,
Cl.,
28/1/2012).
Se ci concentriamo invece sugli
articoli di opinione di collaboratori locali, oltre a manifestarsi
differenze tra le linee editoriali
dei diversi quotidiani, la questione europea offre un'occasione
per spostare il dibattito sullo scenario della politica locale.
Orlando Ferreres, un liberale
ortodosso opinionista di «La
Nación», rappresenta la voce più
oltranzista. Dal suo punto di
vista l'origine di tutti i mali è da
imputare allo stato sociale europeo. “In questo periodo - afferma - stiamo vivendo una crisi del
capitalismo europeo (…), si
potrebbe dire una crisi del capitalismo gerontologico, ricco e
anchilosato, fondato su uno
Stato che deve occuparsi della
felicità di tutti: lavorare soltanto
35 ore alla settimana, andare in
pensione prima dei 60 anni e
vivere sulle spalle degli altri fino
gli 85 o 100 anni”. L'analista traccia una sua particolare storia del
Welfare: “All'inizio tasse alte
affinché lo Stato dia successivamente ad ognuno quanto gli ha
tolto, ma ridistribuendolo verso
quelli che non lo hanno prodotto. In una fase successiva, per
evitare lamentele, la crescita della
spesa pubblica, aumentando
ancora le tasse e, quando esse
raggiungono un limite intollera24 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
cambiailmondo
bile, ricorrendo all'incremento
del debito pubblico aldilà d'ogni
ragionevole limite, mediante la
collocazione di titoli dello Stato
o prendendo prestiti dalle banche. (…) In una tale situazione le
istituzioni finanziarie preferiscono prestare allo Stato o disporre
di agenti per la collocazione dei
titoli dello Stato Sociale, ben
classificati dalle agenzie di rating
(la classificazione delle aziende
private e delle banche è sempre
inferiore a quella del debito
sovrano dello Stato dove agiscono). Finalmente arriva un
momento in cui lo Stato non è in
grado di restituire i soldi o pagare i titoli, quindi, molto tardi, è
declassato dalle agenzie di rating,
con il risultato che il meccanismo
arriva alla fine in questo modo
caotico.” Per l'analista tutto ciò
dimostra “che non è praticabile il
capitalismo statalista dello Stato
Sociale, principalmente europeo” e mette in guardia contro le
illusioni degli “attuali seguaci del
marxismo-leninismo o delle sue
varianti ideologiche” che vogliono vedere la crisi finale del sistema, quando al contrario si tratta
di “una delle regolari fluttuazioni
che migliorano il funzionamento
pratico del capitalismo”, in questo caso superando “alcuni
eccessi di questo sistema nei
paesi più sviluppati”. (“Crisis
final del capitalismo?”, L.N.,
6/2/2012).
In un articolo precedente lo stesso autore polemizzava apertamente contro il giudizio condiviso da gran parte della stampa
riguardo i nuovi governanti europei emersi in questa crisi, considerati tecnocrati vincolati ai capitali finanziari transnazionali.
“Tecnocrati o policrati?”, si
domanda nel titolo, utilizzando
un gioco di parole per definire
questi ultimi come “un'altra classe di politici: gente preparata per
governare anche in tempi difficili”.
Gli esempi sono “Monti e
Papademos che chiamano tecnocrati con una connotazione
negativa”, nonostante loro siano
arrivati per salvare i paesi della
crisi del debito pubblico sopraggiunta per gli “errori dei politici e
burocrati dei governi di Grecia e
Italia”.
Finalmente arriva la lezione per
l'Argentina, che vive una fase
politica di espansione della spesa
pubblica e sociale: “Noi possiamo guardare e imparare in salute
dall'esperienza europea - si augura Ferreres- per non arrivare a
simili eccessi di spesa che a un
certo punto diventa ingestibile”.
(Tecnocratas o policratas?, L.N.,
21/11/2012).
Posizioni come quella dell'autore
precedente, comunque, rappresentano un caso isolato anche
per la testata della destra argentina. È troppo recente la memoria
dei risultati delle ricette neoliberali in Argentina così come
l'esperienza di crisi sociale conseguente alla distruzione dello
Stato mediante politiche selvagge
di privatizzazione dei beni e servizi pubblici.
Un altro collaboratore assiduo di
«La Nación», Juan Lasch, un
liberale originariamente cattolico
che è stato funzionario dei
governi degli anni novanta 1,
offre un’analisi molto diversa
della situazione internazionale,
ma sempre con uno sguardo critico rivolto alla politica locale.
L'autore si domanda perché, nell'attuale congiuntura internazionale, va meglio ai paesi emergenti che agli sviluppati e risponde
che la ragione è soltanto che i
primi applicano “politiche che
non possono essere catalogate
né come ortodosse né come eterodosse, bensì come politiche di
senso comune”, politiche analoghe, paradossalmente, a quelle
che “sono state attuate nei paesi
europei nei due o tre decenni
successivi alla Seconda Guerra e
che gli avevano consentito di crescere in modo più veloce e sostenuto rispetto agli emergenti”. Se
gli ortodossi non hanno avvertito la crisi europea e dei paesi del
Nord, prigionieri del loro presupposto “che il mercato e i suoi
agenti economici razionali mai
sbagliano” e “che i problemi si
aggiustano da soli se i governi
non interferiscono troppo”, l'errore degli eterodossi, specialmente i più keynesiani, è considerare “politicamente scorretto
avvertire pubblicamente nei
periodi di auge che è necessario
mettere in pratica politiche fiscali meno espansive o perfino
restrittive”.
C’è un'ammonizione per i paesi
europei arruolati nell'ortodossia
“che oggi avrebbero bisogno di
politiche fiscali espansive ma
non possono farlo per il peso del
loro debito - malgrado Krugman
o Stiglitz -, il che non implica
giustificare gli erronei aggiustamenti strutturali che oggi si cercano d'applicare”.
C’è anche un insegnamento per
un paese eterodosso come
l'Argentina: “Queste lezioni
sono lontane da essere state
imparate nell'Argentina degli
ultimi anni, dove continuano ad
applicarsi politiche espansive
quando si sta crescendo all'8%”.
(“Las razones de la crisis global”,
L.N., 4/1/2012).
Non abbiamo trovato invece in
«Clarin» un utilizzo simile del
tema europeo per intervenire criticamente nella politica locale
nonostante il quotidiano e il gruppo economico multimedia del
quale fa parte sono il principale
“partito dell'opposizione” in
Argentina. Questo ruolo obbedisce più alla difesa di interessi privati e corporativi che a posizioni
politiche o ideologiche, visto che il
quotidiano ha dimostrato, nella
sua lunga storia, di saper allinearsi
ogni volta al potere di turno; infatti, il nuovo giro ha avuto origine
nel momento in cui il Governo ha
promosso leggi e altre azioni antimonopolistiche nell'area dell'informazione e delle telecomunicazioni. D’altra parte dobbiamo
ricordare la scelta editoriale del
«Clarin»: una profusione di articoli di cronaca, informazione
locale, servizi (ricerca lavoro,
compra-vendita immobili, ecc),
sport e intrattenimento mentre
sono abbastanza rari gli articoli
di fondo e di opinione.
Aldilà di tutto, riteniamo che
sarebbe molto difficile e sconveniente per “il quotidiano argentino di maggiore diffusione” come recita il suo slogan - promuovere idee e opinioni a favore
delle politiche di tagli e aggiustamento strutturale, che questa
volta toccano all'Europa, davanti
al suo ampio pubblico di diversi
ceti sociali.
I pochi articoli firmati da analisti
locali sull'argomento si limitano
generalmente ad informare
senza assumere posizione.
L'unico articolo trovato che si
discosta relativamente da quest'orientamento appartiene ad un
altro ex funzionario di Menem,
l'analista politico Julio Castro,
che sostiene le ragioni della politica dal governo Monti in Italia.
Il contributo segnala che “il
superamento della crisi europea
non è a Bruxelles ma a Roma” e
afferma che l'origine del problema è la tendenza negativa della
produttività italiana determinata
dall'incremento del costo del
lavoro e della spesa pubblica, per
arrivare alla conclusione che “lo
Stato italiano è il maggior ostacolo per la crescita del paese” e
che il problema italiano, non è
tanto finanziario né di debito
pubblico ma “deriva della sua
incapacità di crescere nelle nuovi
condizioni globali di accumulazione” (“La crisis europea se
resuelve en el rumbo político de
Italia”, Cl., 11/12/2011).
La situazione europea offre
molti spunti ad una pubblicazione come «Pagina 12», che ha scelto i lunghi articoli e le interviste,
privilegiando l'analisi e l'opinione
rispetto alla cronaca degli avvenimenti. Oltre allo staff di giornalisti specializzati nelle diverse
aree, un'altra caratteristica del
quotidiano è la pubblicazione di
articoli di esperti, generalmente
dell'ambito accademico.
I collaboratori abituali esprimono posizioni nette e concordanti
sull'inadeguatezza degli interventi propiziati in Europa. “Chi
salva chi?” si domanda Santiago
O'Donnell, prendendo nota di
come uno dietro l'altro i diversi
governi europei - Berlusconi,
Papandreu, Socrates, Zapatero marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
25
www.cambiailmondo.org
cambiailmondo
SULLA CRISI E IL DEFAULT ARGENTINO DI 10 ANNI FA,
IL DOCUMENTARIO DI ROBERTO TORELLI “ARGENTINA ARDE”.
(produzione FILEF), CAMBIAILMONDO.ORG
sono “sostituiti da manager della
destra che promettono durezza
ed efficienza per drenare le ultime risorse delle loro economie,
risorse che migrano alle banche
francesi e tedesche che loro stessi avevano contribuito a salvare
non più di un paio d'anni fa tramite i piani di salvataggio finanziari dell'Unione Europea”.
(“Salvados”, P.12, 13/1/2011).
Il giornale progressista e vicino
al Governo, è particolarmente
interessato ad accostare e confrontare i fatti europei con
l'esperienza della crisi in
Argentina, cercando di fare
emergere nelle analisi le similitudini e di valutare la possibilità di
trasferire alcune strategie adoperate localmente con successo.
“Igual que con Menem” s'intitola l'intervista a un giornalista
greco che è stato corrispondente
in Argentina all'epoca della crisi
del 2001 (P12, 12/11/2011).
Anche l'economista Marshall
Auerback del Levy Economics
Institute degli Stati Uniti, è interpellato dal giornale sullo stesso
argomento; l'intervistato, anche
se mette in rilievo differenze fondamentali tra le due situazioni,
26 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
afferma quello che è il valore
esemplare dell'esperienza argentina: “l'Argentina ha dimostrato
che le minacce della comunità
finanziaria internazionale sul
fatto che mai più avrebbe recuperato la fiducia dei mercati non
avevano senso. Il Governo ha
fatto un'offerta ai mercati del
tipo “prendere o lasciare e ha sfidato il FMI. Questa è una lezione che tutti i paesi dovrebbero
assumere” (“La solución es una
ruptura ordenada de la Unión”,
P12, 31/12/2011).
I fatti dell'Ungheria e la polemica
riguardo al ruolo delle banche
centrali sono l'argomento di un
contributo firmato da Umberto
Mazzei che se da una parte tocca
un tema sensibile al dibattito
politico locale, dall'altra si colloca
agli antipodi dalle posizioni condivise nell'Unione Europea.
L'autore - dottore di ricerca
dell'Università di Firenze e direttore dell'Istituto di Rapporti
Economici Internazionali in
G
i
n
e
v
r
a
(www.vantanaglobal.info) - prende le difese delle autorità ungheresi e della riforma costituzionale approvata dal Parlamento, che
sancisce “una maggiore supervisione del governo sulla Banca
Centrale, sfidando il criterio di
'indipendenza' imposto dal neoliberalismo”.
Nell'articolo le diverse esternazioni dei paesi europei e della
stessa UE sui rischi di una deriva
autoritaria in questo paese, sono
definiti come “pura ipocrisia”
perché “ciò che disturba è che
l'Ungheria controlli la sua Banca
Centrale”.
“È stata commovente - ironizza l'unanimità dei parlamentari della
sinistra europea per difendere
l'indipendenza delle banche centrali, per dare libertà ai 'tecnocrati' imposti dal settore finanziario
privato. Nel suo discorso, Daniel
Cohn Bendit è arrivato ad
ammonire contro deviazioni
autoritarie alla Chavez”.
Il dibattito sul ruolo della Banca
Centrale, si diceva, ha forti risonanze interne e l'analista ricorda
gli avvenimenti di due anni fa che
hanno destato un ampio conflitto politico, quando la Presidente
ha deciso di utilizzare riserve dell'erario per cancellare direttamente il debito dello Stato con i
creditori (la cosiddetta politica di
“disindebitamento” ), senza percorrere le strade proposte dagli
organismi multilaterali di credito.
(“Hungría en la mira”, di U.
Mazzei, P12, 12/02/2012).
Nei diversi dossier e supplementi
speciali dedicati al tema della crisi
europea sono pubblicati analisi di
accademici e gruppi di ricerca
specializzati che convergono nella
necessità di politiche di espansione della domanda, dell'occupazione e del consumo per porre un
freno alla recessione.
Due ricercatori del Consiglio
Nazionale
delle
Ricerche
(Conicet) e degli atenei di
Buenos Aires (UBA) e San
Martin (Unsam), giudicano “l'approfondimento delle misure di
aggiustamento strutturale e delle
politiche neoliberali” annunciate
dall'UE come “la sentenza di
morte per le economie più deboli della regione”. Le politiche
applicate, a beneficio della grande banca europea e della
Germania, sono funzionali al
“modello neomercantilista che
ha permesso al 'nucleo' europeo
di continuare a collocare i suoi
eccedenti”, perciò “regolare le
finanze o salvare le banche non
sarà la soluzione al problema”. E
concludono: “l'obiettivo della
politica economica dovrebbe
essere salvare la gente, così da
poter salvare l'economia”. (“Una
muerte anunciada”, da Andrés
Lazzarini e Margarita Olivera, P.
12., 23/1/2012).
Altri analisti avvertono sul
rischio che rappresenta per la
democrazia europea l'applicazione delle politiche neoliberali.
Uno studioso della Facoltà
Latinoamericana di Scienze
Sociali (Flacso), Enrique Arceo,
descrive la crisi internazionale
come il risultato dell'espansione
finanziaria negli Stati Uniti e del
“progetto tedesco” che è suo
correlato.
Quest’ultimo consiste nel fare
dell’Europa una grande “piattaforma per l’esportazione” e pone
come requisito l’indebolimento
dei sistemi di welfare e il consolidamento dell'euro come “disciplinante sociale”. “Credo che
questo progetto si riveli progressivamente incompatibile con la
democrazia”, afferma l'autore.
“Perciò la conservazione dell'euro rappresenta il successo dell'aggiustamento strutturale tedesco.
Se ci riescono - continua - ci sarà
tra dieci anni un'Europa molto
più diseguale, orientata verso
l'esportazione e più slegata dagli
Stati Uniti, con i quali entrerà in
concorrenza” (“La construcción
europea es neoliberal”, P12,
31/12/2011).
Alla fine di questa rassegna dei
quotidiani locali ci rimane una
sensazione, quasi una convinzione, che qualcosa stia morendo in
Argentina. Sta scomparendo il
mito d'Europa nelle sue diverse
sfaccettature. Il mito dell'Europa
delle istituzioni e dei grandi stati-
sti che le classi di intellettuali e
operatori
dell'informazione
hanno sempre messo a confronto con la pochezza dei politici e
delle figure locali. L'Europa dello
sviluppo con coesione sociale
che è stato il modello seguito
dalla generazione progressista fin
dagli inizi della stagione democratica, dopo la dittatura.
L'Europa dove il più forte movimento operaio e i grandi partiti
della sinistra erano riusciti a creare società più giuste che altrove
con le loro battaglie e le loro
conquiste. L'Europa dei nostri
avi, infine, quella terra delle origini alla quale un giorno dovevamo
tornare. Che ci ha fatto eternamente nostalgici, e che ci ha fatto
sempre considerare diversi dal
resto dei latinoamericani.
La Storia ora ha fatto un gran
salto e forse noi argentini (italo e
non) siamo, finalmente, riapprodati qui.
[1] Juan J. Lasch è stato Segretario di
Programmazione Economica nel governo di Carlos
S. Menem e Ministro della Educazione nel governo
di Fernando de la Rua. In questo ultimo ruolo promuoveva le esperienze di scuole-charter e dei voucher educativi, apprezzate dalle gerarchie cattoliche e dai sostenitori della privatizzazione dell'educazione.
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
27
Dal Mondo
cambiailmondo
GLI ASSASSINI DEL PROGETTO
SOCIALDEMOCRATICO EUROPEO
di J. Carlos de Assis * - (Paraiba-Brasile)
La
destra delle due sponde dell'Atlantico
non ha mai accettato il progetto
socialdemocratico, da un lato, nè
quello politicamente liberale, dall'altro. In effetti,
non ha mai avuto prima d'ora, il potere politico
assoluto per fermarli o invertirli. Adesso, il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi,
dà la più chiara dimostrazione che il suo mandato
è politico, non tecnico, osando dichiarare la necessità della morte del progetto socialdemocratico per
salvare la produttività europea.
Si deve al progetto socialdemocratico la paternità
dell'equilibrio sociale e politico dell'Europa nel
corso degli anni della ricostruzione postbellica e
per più di quattro decenni di guerra fredda. Oggi,
con il pretesto della crisi fiscale, viene intenzionalmente distrutto dalla destra politica del continente
che è riuscita a imporre nei posti chiave
dell'Unione europea e degli organismi di mediazione finanziaria multilaterali, dei veri e propri killer
dell'ordine sociale progressista che, più delle diverse divisioni di carri armati posizionati in Europa
occidentale, era stata la forza di contenimento del
comunismo in Europa, nel periodo di presenza
della minaccia sovietica.
Ricordo il tempo in cui Berlino Ovest era la vetrina attraverso la quale la propaganda capitalista
esponeva i grandi vantaggi dell'ordine sociale ed
economico dell'Occidente in confronto con quello
relativamente arretrato dell'Europa orientale.
Nonostante il grande progresso materiale
dell'America del Nord, non erano gli Stati Uniti,
ma gli Stati socialdemocratici, socialisti o laburisti
europei che rappresentavano i modelli di società
alternativi al regime sovietico. L'aggressività intrinseca della società americana, con il suo ritmo esasperato di competizione, non era qualcosa da emulare. La generosa Svezia, sì.
28 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
È proprio questo intero edificio socialdemocratico
che ora viene demolito dalla destra che ha assunto
il potere nei principali paesi della Comunità europea. Politicamente, non si è mai visto niente di
simile prima d'ora. Le società europee, simultaneamente, portano al potere la destra in Germania,
Francia, Inghilterra e Italia, per non parlare dei
paesi più piccoli. Hanno spazzato via dalla mappa,
letteralmente, i progressisti. Ciò che mi stupisce di
più, in questa convergenza, è l'incompetenza straordinaria delle sinistre e dei progressisti nell'incapacità di presentare un'alternativa politica al disastro che si sta approfondendo.
Gli assassini dell'ordine socialdemocratico hanno
messo assieme tecnocrati e politici per eliminare le
poche misure che lo Stato nord-americano, la più
arretrata delle democrazie sociali, ha cercato di
costruire da molto tempo a questa parte - ivi inclusa la legge di protezione sanitaria a favore di una
maggiore numero di poveri - che Barak Obama,
con estrema difficoltà, fece approvare all'inizio del
suo mandato. Il passaggio di questa legge ha suscitato l'odio dei ricchi e molti repubblicani mantengono all'ordine del giorno della loro agenda,
l'obiettivo di eliminarla. Interessante notare che, se
guardiamo le notizie e commenti dai mass media
brasiliani, il problema esiste ancora. Non è un fatto
giornalistico.
Obama è stato anche sconfitto in un secondo tentativo di rilanciare l'economia con strumenti fiscali di tipo keynesiano, che avrebbero prodotto un
beneficio per le fasce più deboli (disoccupati) e
una spinta per la ripresa economica. I nostri media
non vedono questo come un fatto economicosociale, ma puramente politico. Registrano che i
repubblicani non vogliono stimoli fiscali, ma non
analizzano perché i repubblicani non li vogliono.
Lo scopo, qui come in Europa, è chiaro: distrug-
gere lo Stato politico
liberale (da non confondere con l'economia liberale) ereditato
dal New Deal. La
destra delle due sponde dell'Atlantico non
ha mai accettato né il
progetto socialdemocratico, da un lato, né quello
liberal, dall'altro. In effetti, nessuno ha mai avuto
prima, un potere politico così assoluto per bloccarlo o controriformarlo.
Al tempo di Reagan e della Thatcher, per esempio,
la destra cristiano democratica era salita al potere
in Germania, ma i socialdemocratici e socialisti
erano al potere in Francia e in Italia. I suoi leader
si sarebbero convertiti al neoliberismo, ma siccome esisteva l'Unione Sovietica, la destra continentale non osava smantellare lo stato sociale, se non
ai margini, come avvenne in Inghilterra.
Ora, il presidente della Banca centrale europea,
Mario Draghi, nella più chiara dimostrazione che il
suo mandato è politico e non tecnico, osa dichiarare la necessità della morte del progetto socialdemocratico per salvare la produttività europea. Solo
il conforto e la certezza di vedersi sostenuto dalla
destra politica che domina l'Europa può pienamente giustificare una simile arroganza. È chiaro,
tuttavia, che questa non è la fine della storia. Per
molto meno l'Europa si incendiò nel '68. Ciò che
può ritardare l'estensione del fuoco dalla Grecia
vero il resto d'Europa è la mancanza di alternative
rappresentata dalla sinistra tradizionale.
Tuttavia, più che le contraddizioni sul piano strettamente politico, saranno quelle a livello delle
forze produttive a trascinare, in ultima analisi,
l'Europa, in una soluzione della crisi secondo il
corso delle leggi dialettiche così ben descritte da
Marx. È che non esiste, nella crisi attuale, una
nazione egemone (come gli Stati Uniti nel dopo
guerra), che possa imporre all'Europa e al mondo
i propri dettami. Qualsiasi soluzione, per quanto
tardi ad arrivare, deve venire dalla ridefinizione di
una cooperazione interna ed internazionale, probabilmente dal G-20. In caso contrario, ci sarà
instabilità permanente, e questa è una situazione
molto dannosa anche per i ricchi e i potenti. (Si
noti che il potente presidente della Federazione
dell'industria tedesca
propone un Piano
Marshall per la Grecia.
Significativamente, i
nostri media non ne
fanno menzione.)
Il progetto socialdemocratico sotto l'egida
del Mercato comune europeo, era buono per i
poveri e per i ricchi. Ma non è mai stato accettato
dalla destra. Nata principalmente da una coalizione di centro (Democratici-cristiani in Germania e
in Italia) con i socialisti (Francia), tenne fuori la
sinistra rivoluzionaria (comunisti). Ora, sotto l'egida di un'Unione europea regressiva, il centro europeo (Democratici-cristiani) si è inchinato alla
destra (liberale e liberista) in tutta Europa, creando
un'egemonia perversa che oggettivamente non è
buona per i poveri (per ovvi motivi), ma neanche
per i ricchi, a causa della instabilità che ne deriva.
(In Brasile, il progetto socialdemocratico non ha
mai preso piede: l'antico PSD è stato sempre
dominato dalle oligarchie e il PSDB di Cardoso
non si è mai emancipato dall'essere una grossolana
mistificazione neoliberista.)
Le prossime elezioni americane sono cruciali. Se
Obama viene rieletto e riconquista una maggioranza democratica nel Congresso, forse il progetto
socialdemocratico in Europa si può salvare per la
pressione americana. Se viene rieletto, ma senza
una maggioranza al Congresso, non può fare nulla.
Se perde, è possibile che il processo dialettico
venga accelerato, e che le società, in un momento
successivo, reagiscano al neoliberismo e scalzino
fuori, negli Stati Uniti come in Europa, i loro rappresentanti politici per inaugurare un nuovo ordine. Nell'intervallo, avremo un grande caos. E nel
caos, possono accadere cose così stupide come il
bombardamento di Israele all'Iran!
(Traduzione di R. Ricci)
(*) Economista, professore di UEPB, presidente Intersul e co-autore, insieme
al matematico Francisco Antonio Doria, de “L'Universo neoliberista nel disincanto”, pubblicato dall'editrice “Civilizzazione Brasiliana. Questo articolo è
stato pubblicato contemporaneamente dal sito «Rumos do Brasil» e dal quotidiano «Monitor Mercantil».
Fonte: CARTA MAJOR, periodico brasiliano
http://www.cartamaior.com.br/templates/materiaMostrar.cfm?materia_id=19
662
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
29
Dal Mondo
cambiailmondo
modities hanno avuto un’influenza positiva, così come la
certezza giuridica che è stata
conseguita nel paese, che ha permesso di conseguire maggiori
investimenti diretti dall’ estero.
Il nostro paese registra sette anni
di crescita sostenuta e sta
aumentando la distribuzione dei
redditi, contrariamente a quanto
avvenuto durante i governi anteriori che applicavano la teoria del
“derrame”, elemento basilare
delle politiche neoliberiste
(secondo la quale, la crescita fluirebbe automaticamente dalla
cima della piramide sociale verso
il basso, senza alcuna necessità di
un intervento statale per una
migliore ripartizione della ricchezza n.d.r.)
EDUARDO
BRENTA
DALLA CRISI
SI ESCE SOLO
CON PIÙ INVESTIMENTI
SOCIALI
di Hugo Bazzi (Montevideo)
La crescita sociale ed economica dell’America Latina e
dell’Uruguay, le politiche per l’occupazione, di ridistribuzione della
ricchezza, l’emergere del continente in cui si sperimentano politiche di intervento pubblico che hanno permesso di superare la crisi
economica dei primi anni 2000 nel Cono Sud; le indicazioni che ce
ne vengono per affrontare la crisi italiana ed europea, in un’intervista di Hugo Bazzi al Ministro del Lavoro e Sicurezza Sociale
dell’Uruguay, ospite a Zurigo, in un incontro organizzato dalla
Fondazione Ecap e da Cambiailmondo.org
Signor Ministro, l’Uruguay, come gran
parte dei paesi del continente latinoamericano, sta attraversando un
momento di rapido sviluppo economico
e sociale; quali ne sono le basi e le
caratteristiche?
Le fondamenta per l’avanzamento dello sviluppo economico e
sociale dei nostri popoli hanno
30 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
consistito essenzialmente in un
rafforzamento del mercato interno; con l’obiettivo di ottenere
una migliore capitalizzazione del
commercio internazionale, sono
state varate misure attive per l’occupazione che hanno permesso
di raggiungere il livello più basso
di disoccupazione di sempre,
almeno da quando ne esiste un
monitoraggio ed inoltre si sono
ampliate e rafforzate le politiche
di inclusione sociale; allo stesso
tempo sono state aumentate le
prestazioni sociali (pensioni di
vecchiaia e lavorative, per esempio). Senza dubbio, fattori come
l’aumento dei prezzi delle com-
In quale modo la politica del Governo
del Frente Amplio cerca di conciliare
sviluppo economico e crescita sociale e
quindi in cosa si distingue dai precedenti governi?
La nostra forza politica, il Frente
Amplio, ha distinto nettamente
la differenza che c’è tra sviluppo
e crescita: in questo senso, si è
differenziato dai precedenti
governi nella messa in atto di
politiche sociali che implichino
una migliore redistribuzione.
Nel primo Governo progressista, diretto da Tabaré Vasquez, la
nostra forza politica dovette far
fronte alla più grave crisi sociale
ed economica che l’Uruguay non
attraversava da molti anni; se
questa crisi non sconfinò anche
sul piano politico, durante l’ultimo periodo del governo “colorado” (dal nome del Partito Colorado
di Jorge Battle, ndr), lo si dovette solo al fatto che le forze pro-
gressiste, in nessun momento,
misero in gioco la stabilità istituzionale e il pronunciamento
democratico.
Il Fronte Ampio, si trovò di
fronte ad un paese con un alto
livello di disoccupazione, con
industrie paralizzate, salari con
bassissimo potere di acquisto, un
alto livello di mortalità infantile
ed un grande e diffuso sentimento di disperazione.
Quindi la prima questione è con
quale situazione si è dovuto confrontare il progressismo, una
volta al governo.
Una seconda differenza consiste
nella serie di misure che sono
state applicate e che hanno avuto
come obiettivo l’inclusione
sociale e lavorativa della popolazione. Sono stati realizzati piani
di occupazione e di lavoro in
tutti i settori, è stato creato il
MIDES
(Ministero
dello
Sviluppo Sociale), si sono implementate più di 40 leggi per il
lavoro per conferire diritti che i
lavoratori aveva perduto e che
non avevano mai avuto.
Quali sono i vostri obiettivi per i prossimi anni?
L’Uruguay ha obiettivi e speranze: nell’ambito del lavoro, ottenere una maggiore produttività,
migliorare la formazione professionale, costruire catene e filiere
produttive nazionali e/o regionali nell’ambito del Mercosur.
Nell’ambito
dell’educazione,
riconquistare la posizione che
storicamente lo ha contraddistinto come un esempio per tutta
l’America Latina, avanzare nell’ambito della scienza, nella tecnologia e nelle comunicazioni.
Sul piano sociale, continuare con
l’estensione della democrazia e
sviluppare sempre più i processi
di partecipazione sociale.
Come ha ricordato, circa dieci anni fa,
l’Uruguay ha subito una gravissima
crisi economica. Rispetto alle modalità
con cui ne siete usciti, quale lettura
danno, oggi, le forze progressiste uruguayane, della grande crisi che sta
attraversando l’Europa?
La crisi fu superata grazie a una
corretta lettura dei nuovi governi
della regione che non accettarono le direttive di applicare le note
“ricette” di aggiustamento strutturale condivise invece dai
governi neoliberisti nelle epoche
precedenti.
Al contrario, si decise che a maggior crisi si risponde con maggiori investimenti in politiche
sociali. A livello regionale, le affinità dei governi progressisti dell’area permisero di coordinare le
politiche con il convincimento
che “dalla crisi nessuno esce da
solo”; questo coordinamento si
ebbe anche nel campo delle organizzazioni sociali, in particolare in
ambito sindacale.
Rispetto alla crisi europea, riteniamo che abbia diverse sfaccettature; il processo politico
dell’Unione Europea è andato in
senso opposto a quello del
Mercosur; quando cominciammo a negoziare l’Accordo tra i
due blocchi, la UE era in maggioranza diretta da governi progressisti e aveva una forte struttura istituzionale, mentre il
Mercosur manifestava debolezze
istituzionali e era governato da
compagini neoliberiste.
Oggi ci troviamo di fronte ad
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
31
www.cambiailmondo.org
una UE con un numero maggiore di paesi associati, con più problemi, di quanti fossero prevedibili, per approvare la sua
Costituzione, con forti critiche
rispetto
all’azione
della
Commissione Europea e con
governi in grande maggioranza
neoliberisti. Pensiamo che questi
punti incidano molto nella crisi
europea, che è una crisi di
modello, più che una crisi economica: il crollo del welfare state in
alcuni paesi, le bolle finanziarie e
immobiliari hanno finito per
dare il colpo di grazia.
Quali scenari globali abbiamo di fronte, quali rischi e quali opportunità?
Quali nuove relazioni sono auspicabili tra America Latina ed Europa?
Se analizziamo l’America Latina
per blocchi regionali, ci rendiamo conto che essa è divisa in tre
blocchi sub regionali: la prima, è
la regione Andina, con differenti
ispirazioni ideologiche tra i suoi
governi eletti democraticamente,
32 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
cambiailmondo
che si traduce in una azione lenta
e burocratica della Comunità
Andina di Nazioni (CAN).
Mentre l’Ecuador, il Perù e la
Bolivia tentano di sostenere politiche sociali che riducano le disuguaglianze e le disparità,
Colombia e Cile mantengono
invece modelli neoliberisti, o
perlomeno non così progressisti
come per il resto di tutto il SudAmerica ed inoltre continuano
ad avere una relazione fluida con
gli Stati Uniti.
La seconda area, è quella
dell’America Centrale: è la regione più povera e di minore sviluppo delle istituzioni democratiche,
al di là delle celebrazioni delle elezioni: quest’area subisce una forte
dipendenza politico-ideologica
dagli Stati Uniti, però, allo stesso
tempo, soffre delle vicissitudini e
delle relazioni con l’Unione
Europea, avendo firmato con
entrambi (USA ed EU) degli
accordi commerciali che la vedono in situazione svantaggiata.
»»
La terza area, il Mercosur, ha, in
quanto tale, una configurazione
istituzionale in formazione, con
un Parlamento molto giovane e
con deficienze nell’implementazione della libera circolazione di
persone e di beni, che lo fanno
più assomigliare, tecnicamente,
ad una unione doganale “imperfetta”.
La sua forza maggiore sta nella
coincidenza ideologica dei
governi progressisti nell’affrontare i problemi interni e la politica estera, sebbene si deve evidenziare una forte impronta di
leadership del Brasile, tanto più
dopo aver raggiunto la posizione
di quinta economia mondiale.
Il Mercosur, che agisce attraverso il consenso unanime nell’ambito della sua politica internazionale, non ha firmato né l’ALCA,
proposto dagli USA, né
l’Accordo proposto dall’Unione
Europea, che si sta negoziando
da oltre un decennio.
Sebbene questo sia lo scenario
diversificato all’interno del continente, l’America può emergere
nel corso del decennio che stiamo vivendo, in considerazione
della situazione che stanno attraversando l’Europa e gli USA, del
forte peso delle commodities nel
mercato, dell’incidenza delle
stesse risorse per le nostre economie e la nostra produzione.
Per ciò che riguarda gli scenari
globali, ci troviamo di fronte ad
una Unione Europea in crisi economica e politica.
Gli USA, nell’anno delle elezioni
presidenziali, si trovano anch’essi con problemi occupazionali e
di recessione.
Mentre la Cina, anche se con un
tasso meno rapido a causa della
crisi, continua tuttavia a crescere
assieme al gruppo dei BRICS, i
paesi emergenti; della situazione
del Mercosur ho già detto.
Ritengo che per l’America siano
maggiori le opportunità rispetto
ai rischi: la creazione e l’ascesa
dell’UNASUR ha approfondito e
rafforzato la sua azione politica;
gli intenti di una maggiore interazione produttiva e la stabilità
democratica conquistata, determinano la possibilità di implementare politiche a medio e
lungo termine.
Parliamo infine, di relazioni
auspicabili: auspichiamo un
Accordo con l’Unione Europea,
però deve essere un accordo giusto, equo, con un piano comune
di diritti e doveri che permetta di
avanzare ad entrambi i blocchi.
È fondamentale migliorare il
nostro livello di interscambio in
tutti gli ambiti, non solo in quello commerciale.
Sebbene la storia delle nostre
relazioni con l’Unione Europea
si concentrino essenzialmente
nei paesi con i quali abbiamo un
passato comune, come Italia e
Spagna e, dagli anni ’90 anche
con Germania e Francia poiché
le loro imprese hanno investito
molto nella nostra regione, è
necessario che tutto il blocco
europeo partecipi a questo
nuovo ambito di relazioni internazionali.
Il suo nome ricorda un’origine italiana… quale messaggio si sente di dare
al popolo italiano in questo particolare
momento ?
Il popolo italiano, nella sua lunga
e ricca storia ha mostrato di possedere capacità, coraggio e cultura politica in tempi anche molto
difficili. Sono certo che uscirà
indenne anche da questo
momento critico con gli strumenti che lo hanno sempre
caratterizzato: con la lotta, con la
solidarietà e con uno sforzo congiunto per la ricerca di un progetto politico, economico e
sociale che dia possibilità e
opportunità a tutte le italiane e a
tutti gli italiani.
(Traduzione di Rodolfo Ricci)
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
33
MYANMAR
IN UN PASSAGGIO CRUCIALE
SULLA STRADA DELLA DEMOCRAZIA
di Silvana Cappuccio
34 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
La popolazione birmana vive giorni cruciali, alla vigilia di
un appuntamento elettorale che potrebbe segnare una
trasformazione epocale e democratica del suo martoriato
Paese. Il 1° aprile 2012 avranno luogo le elezioni suppletive riguardanti 48 nuovi parlamentari.
Questi sostituiranno quelli che,
eletti nell'ultima tornata elettorale del 2010, hanno poi accettato
di ricoprire delle posizioni nel
Governo, dato che l'ordinamento birmano prevede il divieto di
doppio incarico. Allo stato, il
partito che sostiene la giunta
militare e che paradossalmente
si definisce Partito Unione
Solidarietà e Sviluppo (Union
Solidarity and Development
Party , USDP), vanta una larga
maggioranza in entrambe le
assemblee
parlamentari.
Considerato che il 25% dei seggi
è riservato ai militari, secondo
quanto prevede la Costituzione
del 2008, di fatto il regime controlla così più dell'80% dell'assemblea.
Le prime elezioni “democratiche” furono tenute in Birmania
nel 1990, dopo quasi trent'anni
di regime militare. Furono vinte
con più del 60% dei voti dalla
Lega nazionale per la democrazia (LND), guidata da Aung San
Suu Kyi, paladina dei diritti
umani, premio Nobel per la
pace nel 1991 e figlia del padre
dell'indipendenza birmana. I
militari invalidarono i risultati e
imposero ancora una volta una
loro giunta al comando del
paese, calpestando così la volontà popolare. Il regime perseguitò
e ripetutamente arrestò San Suu
Kyi, lasciandola agli arresti
domiciliari fino al 2010, quando
venne liberata solo subito dopo
le elezioni di novembre. Queste
costituirono un'altra farsa organizzata dal regime per darsi
legittimità: i partiti di vera opposizione furono esclusi e i votanti sottoposti a ricatti e a pesanti
intimidazioni.
La Birmania è oggi uno dei dieci
maggiori esportatori di gas naturale al mondo, il più importante
in Asia. Il gas è la principale
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
35
fonte di reddito, rappresentando
il 12,5% del pil e oltre il 40% dell'export. Il paese è ricco di materie prime, con riserve petrolifere,
un oleodotto che collega i pozzi
di Syriam e Rangoon per più di
400 kilometri, estrazioni di
piombo, zinco, stagno e tungsteno. Ciononostante, è anche uno
dei paesi più poveri al mondo.
L'economia è instabile e l'inflazione alta. La gente vive in miseria. La speranza di vita media è
una delle più basse dell'Asia.
Secondo
Transparency
International, in quanto a corruzione la Birmania è seconda solo
alla Corea del nord e alla
Somalia. Quasi la metà della
spesa pubblica finisce in armamenti e la spesa sanitaria è ridottissima, cosicché la mortalità
36 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
infantile raggiunge il 50‰ e più
del 30% dei bambini al di sotto
dei cinque anni soffre di malnutrizione; i tassi di mortalità per
malaria e tubercolosi rimangono
molto elevati, l'Hiv/Aids si è diffuso a livello di tutta la popolazione e molti bambini non
vanno a scuola. Sono tante e diffuse le violazioni del diritto umanitario internazionale con mine
antipersone, esecuzioni stragiudiziali, pratiche di lavoro forzato,
traffico di esseri umani, sfruttamento di lavoro minorile, torture, saccheggi, pestaggi, bambini
soldato (il maggior numero al
mondo), violenze sulle donne,
confisca delle terre e controllo
dei mezzi di stampa e di comunicazione. La Birmania è anche il
primo produttore di metanfeta-
mine al mondo e il secondo per
l'oppio. Di fatto non esiste un
ordine giurisdizionale indipendente e l'accesso a internet è sottoposto a censura. La violenza
sessuale sulle donne, con rapimenti e riduzione in schiavitù, è
sistematica tra i militari. A difesa
dei diritti umani delle donne si è
formato un movimento internazionale in crescente espansione.
Questo include una forte rete di
donne per la democrazia in esilio, soprattutto lungo il confine
con la Thailandia e in Chiang
Mai.
Durante il loro lungo potere, i
militari hanno consumato feroci
atti di repressione verso ogni
forma di dissenso: sono ancora
impresse nella memoria le
immagini dei monaci buddisti
che diedero vita alla rivoluzione
di zafferano, cioè alle pacifiche
proteste di piazza del 2007.
Atrocità sono state commesse
anche verso i numerosi gruppi
etnici, che costituiscono un
terzo della popolazione birmana
e che sono stati costretti a spostarsi all'interno del paese o a
migrare altrove. Ancora all'inizio
di febbraio 2012 oltre diecimila
persone provenienti dalle regioni
più remote hanno cercato rifugio in Cina, oltrepassando il confine nella regione sudoccidentale
dello Yunnan, per sfuggire agli
scontri tra l'esercito birmano e
l'esercito per l'indipendenza del
Kachin (Kia), uno dei maggiori
gruppi ribelli del paese.
Gli Stati Uniti e l'Unione
Europea hanno posto la demo-
cratizzazione del paese come
condizione preventiva per la
progressiva eliminazione delle
sanzioni imposte alla Birmania.
Questa condizione parte proprio
dallo svolgimento delle prossime
libere elezioni, dalla liberazione
di tutti i detenuti per ragioni
politiche e dalla conclusione di
accordi di pace con le etnie ribelli.
A marzo 2011 la giunta militare,
ormai al potere da mezzo secolo,
ha costituito un Governo “civile”, di fatto da lei stessa controllato e ancora oggi in carica. Da
allora si sono moltiplicate
importanti novità in termini di
riforme e decisioni, con rilevante impatto anche in termini di
miglioramento dell'immagine del
paese. Sono state apportate delle
modifiche sulla legge elettorale e
introdotto delle aperture sulle
libertà civili. È tornata in politica
Aung San, candidata per la LND
ad occupare un seggio in
Parlamento e che si è dichiarata
“pronta ad assumere un ruolo
nel Governo”.
Queste elezioni saranno un test
e diranno se dietro a questi cambiamenti c'è la volontà autentica
di proseguire sulla strada della
democratizzazione o se invece si
tratta dell'ennesima operazione
di facciata. È un appuntamento a
cui guardano con speranza e
preoccupazione il popolo birmano, l'Asia e il resto del mondo. Il
Governo birmano sembra impegnato sulla strada di una lenta
ma progressiva trasformazione
democratica. A gennaio 2012 è
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
37
stata concessa un'amnistia e
sono stati rimessi in libertà circa
600 prigionieri politici, tra cui i
leader della rivolta popolare del
1988 e quelli della rivoluzione di
zafferano del 2007. Adesso vengono rilasciati anche dei visti
ufficiali ai giornalisti occidentali.
Negli ultimi mesi sono stati firmati degli accordi di cessate-ilfuoco con i ribelli Shan, Karen e
Mon e sta negoziando con i
Kachins. Il Presidente Thein
Sein a dicembre 2011 ha inoltre
dato l'ordine di non attaccare più
i ribelli, in tutte le zone. Gli
attacchi dell'esercito birmano
contro le minoranze etniche non
si fermano però e in realtà igno38 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
rano l'ordine di Thein Sein,
come ancora da ultimo si è verificato contro l'esercito di indipendenza del Kachin.
A gennaio 2012 per la prima
volta una delegazione ufficiale
birmana, guidata dal Ministro
dell'industria U Soe Thane, è
stata invitata al Forum economico mondiale a Davos. I messaggi
lanciati in questa sede sono inequivocabili: il paese mira ad una
crescita del 6% del pil nel 2012 e
vorrebbe soprattutto attirare gli
investimenti nei settori “che
occupano molta manodopera, in
particolare nell'agricoltura”, con
la sottolineatura peraltro di avere
anche “due coste, dei porti, la
pesca, il gas, un gasdotto, una
popolazione giovane e anglofona..” (così U Soe Thane).
Non a caso prossimamente
verrà approvata una legislazione
più favorevole agli investimenti
stranieri, con un'esenzione fiscale di otto anni per le imprese
interessate.
Dalla fine del 2011 sono inoltre
riprese le relazioni diplomatiche
tra Birmania e Stati Uniti ed
Unione Europea. Quest'ultima
aprirà a breve una propria rappresentanza in Birmania.
L'evulozione dei diritti sindacali
La Costituzione birmana sancisce che i diritti del lavoro devono essere regolati tutelati da una
legge ad hoc. In ottemperanza a
quest'articolo, ad ottobre 2011
finalmente è stata approvata una
legge, che ha abrogato e sostituito il Trade Unions Act del 1962
che aveva messo fuori legge i
sindacati.
È chiaro l'intento delle forze
governative di recuperare sul
piano della visibilità internazio-
nale, molto più che su quello del
rispetto dei diritti e della democrazia, come emerge nettamente
dalle parole del vice-ministro del
lavoro Myint Thein, il quale
afferma che la nuova legislazione
“….aiuterà ad avere maggiori
benefici economici, perché la
trasparenza del nostro Governo
attrarrà i paesi stranieri e di conseguenza gli investimenti stranieri circoleranno liberamente”.
Adesso però, sebbene con una
corposa serie di limitazioni, le
lavoratrici ed i lavoratori birmani
possono iscriversi al sindacato e
scioperare legalmente, se appartengono al settore privato e
danno tre giorni di preavviso o
invece quattordici se svolgono
un pubblico servizio. Chi lavora
in servizi considerati essenziali
non può comunque scioperare,
così come non può farlo chi può
causare danno alla salute o alla
vita delle persone. È riconosciuto il diritto di manifestare per i
diritti del lavoro, purchè non
vengano intralciati i trasporti o le
infrastrutture di sicurezza. I sindacati possono essere costituiti
se hanno almeno 30 iscritti e se
sono registrati in un registro
nazionale, presso un'agenzia di
nomina governativa. Questa
iscrizione al registro non è un
atto formale, ma viene sottoposto ad una valutazione che fondatamente
preoccupa
la
Federazione dei sindacati della
Birmania (FTUB, affiliata alla
Confederazione dei sindacati
internazionali), anche perché vi è
il concreto pericolo che il
Governo dia vita a propri sindacati di comodo che saranno poi
riconosciuti come i “legittimi”
rappresentanti.
Vi sono delle sanzioni severe
(fino a 120 dollari e/o un anno
di detenzione) contro i datori di
lavoro che violeranno le norme
di questa legge, inclusa quella sul
divieto di licenziamento di un
lavoratore in ragione della sua
appartenenza al sindacato, per lo
svolgimento di attività sindacali
o per la partecipazione ad uno
sciopero in conformità di quanto prescritto dalla legge.
Ovviamente da adesso molto
dipenderà da come applicherà
queste norme la magistratura,
che tra le altre cose non ha mai
protetto fino ad oggi i bambini
dall'arruolamento
militare,
nonostante la Birmania abbia
ratificato la Convenzione ONU
sui diritti del bambino. Un grave
vulnus rimane l'immunità giurisdizionale dei militari, garantita
dalla Costituzione
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
39
Dal Mondo
REPUBBLICA DELL'UNIONE DELLA BIRMANIA
La nuova legge del lavoro è certamente un passo in avanti, ma
non basta ancora a garantire i
lavoratori birmani. Altre riforme
sono necessarie come quelle su
un salario minimo che assicuri
una vita dignitosa ai lavoratori ed
alle loro famiglie e sulla tutela
della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro.
Se queste norme non sono
espressamente previste dalla
legge, anche se i lavoratori intraprendono un'azione collettiva, di
fatto non possono servirsi di una
base legale cui fare riferimento
per le loro rivendicazioni. Tutta
l'impalcatura della legge sarà poi
difficilmente applicabile dalla
gente più emarginata e priva di
assistenza legale, come nelle
comunità più lontane dai centri
urbani.
40 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
U Maung Maung, segretario
generale del FTUB, ha ripetutamente evidenziato che i diritti di
organizzazione sindacale e di
contrattazione collettiva non
sono ancora adeguatamente
garantiti e che è sempre essenziale l'attenzione del movimento
internazionale del lavoro.
Nell'ultimo anno i lavoratori
hanno spontaneamente lanciato
delle iniziative e organizzato
scioperi in molte aziende in
diversi punti del paese, mostrando una crescente capacità di
mobilitazione, come nel caso
delle lavoratrici dello stabilimento coreano di lavorazione del
pesce Hlaing Tharyar della più
grande zona industriale di
Yangoon che a settembre hanno
protestato per il mancato pagamento delle retribuzioni. A molti
scioperi il Governo ha reagito
con la forza.
In alcuni casi invece si è cercato
un accordo tra i lavoratori e le
aziende, come alla fabbrica di
bibite Grand Royal, nelle fabbriche di abbigliamento Super
Garment e Kaunggyi Minglar
della Shwepyithar Township di
Rangoon o nei due stabilimenti
di confezioni di proprietà SGI
nella zona industriale di South
Dagon Township.
Popolazione:
53,5 milioni (luglio 2011)
Composizione della popolazione:
età 0-14:
27,5 %
età 5-64:
67,5 %
età 65 e oltre:
5%
Aspettativa di vita alla nascita:
64,88
Tasso di mortalità materna:
240 / 100.000
Medici per abitanti:
0,457 / 1000
P o s t i l e t t o o s p e d a l i e r i p e r a b i t a n t i : 0,6 /1000
Principali città:
Gruppi etnici:
Naypyitaw (la capitale, 200.000 abitanti); Rangoon (la città più grande, 5,8 milioni)
Bamar (69%), Shan (8,5%), Karen (6,2%),Rakhine (4,5%), Mon (2,4%),
Chin (2,2%), Kachin (1,4%), Karrenni (0,4%), altri indigeni (0,1%) e
nazionalità straniere, soprattutto di origine indiana e cinese (5.3%)
Lingue:
Birmano come lingua ufficiale; inglese.
Numerose altre lingue parlate da minoranze etniche
Religioni:
buddismo (predominante), cristianesimo, islam e animismo
Valuta:
Kyat (1euro = 8,6 Kyat)
Forma di governo:
Repubblica presidenziale
Capo di Stato:
U Thein Sein (dal 4 febbraio 2011)
Indipendenza:
4 gennaio 1948
Tasso di incremento PIL:
+ 5,3% (2010)
Inflazione:
9,6% (2010)
Attività principali:
agricoltura 42,2%, industria 18,9%, servizi 38,7%
Esportazioni principali:
gas, legno, legumi, fagioli, pesce, riso, abbigliamento, giada e gioielli
Principali partners commerciali:
Thailandia, Cina, Singapore, India
cambiailmondo
Dal Mondo
Al centro del suo programma
l'apertura totale dell'economia
venezuelana in sei anni - Il variegato cartello delle opposizioni
ha scelto H.Capriles Radonsky,
attuale governatore della regione
Miranda, come suo candidato
per strappare la presidenza a
Chávez. Dopo 13 anni di sconfitte elettorali ininterrotte, il
bloco sociale liberista volta pagina. Chiude porta e portafogli ai
vecchi residuali partiti e politici
che ricordavano troppo il passato, in cui il FMI e Casa Bianca
era l'unico ed autentico governo
del Venezuela. Scegliendo il giovane rampollo reazionario, d'una
poderosa famiglia d'origine
ebrea polacca, cerca di dare
maggiore credibilità a scenari
diversi. Non immediatamente
identificabili come nostalgie del
passato o riportare meccanicamente le lancette dell'orologio al
1998.
A tale scopo, il pool formato dal
poderoso gruppo finanziario
Capriles, settore bancario privato, gruppo Mendoza, blocco
mediatico, polo sionista, e i loro
42 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
VENEZUELA.
Il potere economico ha scelto
il suo candidato presidenziale
anti Chavez.
CHI È
H. CAPRILES
RADONSKY
di Tito Pulsinelli (Valencia)
»
alleati politici ed economici
internazionali, si affidano alla
sua gestualità modernizzata ed al
nuovo lessico politico rifondato,
sterilizzato ed etereo.
In pubblico ed in TV, promette
progresso, si dichiara “progressista” che guarda avanti e supera il
passato, che propugna il “reincontro” e l'armonia. Nel suo
programma scritto, invece, è
detto chiaramente che libererà lo
Stato da ogni funzione in campo
economico. Ciò include anche
PDVSA, che è la quarta multinazionale petrolifera mondiale e i
giacimenti
della
Fascia
dell'Orinoco. Il giovane rampollo bada di non pronunciare mai
la parola “privatizzazione” e si
affida al catalogo di sinonimi,
eufemismi e allusioni sfumate
confezionato dallo staff di
esperti internazionali. In sei
anni, è deciso ad aprire totalmente l'economia venezuelana.
Lo giurerà davanti ad un notaio.
A buon intenditore..
Con Capriles Radonsky l'elite
economica e della finanza privata tenta di riconquistare quel
potere politico sottrattogli dall'insurrezione urbana di massa
del caracazo e da Chávez. Non
hanno ancora dato una risposta
razionale al perchè persero il
potere politico, ma sono già
pronti a dare un nuovo assalto
alla diligenza. La “razza oligarchica” punta su di un esponente
che proviene geneticamente dal
suo seno. È letteralmente uno di
loro, ha sempre mostrato di che
pasta è fatto.
Dai primi passi adolescenziali
nella setta reazionaria “Patria,
tradizione e famiglia”. Poi nei
circoli influenzati dall'Opus dei e
dal neofranchismo spagnolo.
Infine, da sindaco d'una circoscrizione di Caracas, durante il
fallito golpe del 2002, la sua
prova di virilità: promosse l'assalto alla sede diplomatica cubana, mise le manette all'allora
ministro degli interni Rodriguez
Chacìn ed altri deputati. Nel
dicembre del 2010, Wikileaks
pubblicò documenti dell'ambasciata USA di Caracas in cui si
evidenziano gli stretti legami
intrattenuti con il neo-candidato
presidenziale “progressista” , e il
ruolo svolto nell'operazione
contro l'ambasciata cubana.
Deve rimontare un pronostico
avverso che attribuisce a Chávez
il 63% delle preferenze eettorali,
e dimostrare che è negativa
un'economia
che è cresciuta del 4% nel 2011.
Deve convincere i settori popolari che sentono i benefici d¡una
politica che destina il 43% del
bilancio annuale alla previdenza
sociale, istruzione e salute.
Senza sfondare in questo settore
maggioritario,
a
Capriles
Radonsky non bastano solo i
voti della classe media e medioalta urbana, e delle enclaves mercantili legate al commercio
internazionale.
Storicamente, si attesta attorno
al 30% dei suffragi.
FONTE:
http://selvasorg.blogspot.com/2012/02/ven
ezuela-potere-economico-ha-scelto-il.html
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
43
Dal Mondo
Argentina: cambiano le regole
IL BANCO CENTRALE
È PATRIMONIO PUBBLICO E SOCIALE.
SI TORNA ALL'ECONOMIA REALE
di Adriana Bernardotti (Buenos Aires)
L'Argentina ha abbattuto un altro pilastro delle
politiche neoliberiste sancendo la fine dell'autonomia della Banca Centrale dalla politica. Questa settimana è prevista la conferma al Senato della
Repubblica del nuovo Regolamento Organico
della BCRA, approvato lo scorso mercoledì alla
Camera de Deputati. La modifica dello status dell'istituzione era stato il principale annuncio politico fatto dalla presidente Cristina Kirchner nell'inaugurazione dell'anno legislativo del 2012, agli
44 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
inizi del mese di marzo.
L'autonomia delle banche centrali è stata uno dei
capisaldi delle politiche imposte dal FMI e dagli
organismi internazionali negli anni '90, sotto il
paradigma del Consenso di Washington in
America Latina. Riforme in questa direzione sono
state promulgate in Cile (1989), Argentina (1992),
Venezuela (1992), Messico (1994), con l'argomento che la politica monetaria - ovvero la preservazione del valore della moneta - è una funzione emi-
nentemente tecnica che deve essere staccata dalla
politica economica di un paese e lasciata in mano
dei tecnici.
In Argentina la norma seguiva e completava la
“legge sulla convertibilità” (1991), che aveva stabilito la parità cambiaria del peso con il dollaro e
l'obbligo di mantenere delle riserve in valuta statunitense equivalenti alla massa monetaria circolante,
conducendo in pratica alla dollarizazzione dell'economia.
Entrambe le leggi nascevano con la finalità di stabilizzare l'economia e mettere fine all'enorme
inflazione che creava nere prospettive per la giovane democrazia riconquistata negli anni 80. Non
occorre soffermarci sui risultati delle politiche di
aggiustamento strutturale e deflazione promosse
dal FMI, che hanno avuto come sbocco la enorme
crisi finanziaria del 2001 in Argentina e episodi
similari nel resto dei paesi dell'America Latina.
D'ora in poi, dunque, la missione primaria e fondamentale della Banca Centrale argentina non sarà
soltanto “preservare il valore della moneta” ma
includerà anche “lo sviluppo economico con giustizia sociale, l'occupazione e la stabilità finanziaria”. Finalità analoghe hanno le banche centrali di
diversi altri paesi, a cominciare degli Stati Uniti, e
abbondano anche gli esempi internazionali sull'uso
di riserve per investimenti produttivi.
Lo ha fatto il Brasile nel 2008-2009 per soccorrere
imprese in difficoltà e per finanziare le esportazioni; la Cina per creare nel 2007 un grande fondo
sovrano per gli investimenti; l'Ecuador nel 2009
per riattivare l'economia mediante la creazione di
opere pubbliche e programmi d'impiego; il
Giappone per aiutare la Toyota a altre sue imprese
nel 2009.
Una novità importante è la capacità che avrà l'organismo, di orientare e promuovere il credito, che
oggi rappresenta soltanto il 14% del PIL (il livello
più basso a livello regionale) ed è concentrato nel
consumo e nel commercio estero. Si cerca così di
incidere su uno dei fianchi deboli dell'economia,
promuovendo lo sviluppo produttivo mediante la
regolazione dei tassi d'interesse e il sostegno alle
imprese per accedere al credito.
Si incorporano anche nuove funzioni in riferimento alla regolazione e supervisione del sistema
finanziario e alla protezione degli utenti. “L'attuale
Carta Organica della Banca Centrale è dissociata
dal modello produttivo. La nuova norma sancisce
ciò che si sta facendo negli ultimi anni”, ha spiegato la presidente della BCRA Mercedes Marcò del
Pont.
Due sono i punti contestati dall'opposizione ed
entrambi riguardano la quantità di riserve trasferibili all'Erario e i vincoli all'utilizzo di fondi da
parte del Governo. Le nuove regole sanciscono
nella Carta Organica - ma al contempo modificano - disposizioni promulgate durante il governo di
Nestor Kirchner . L'ex presidente aveva inaugurato l'uso di riserve da parte dello Stato allo scopo
esclusivo di saldare il debito con gli organismi di
credito internazionali, quando introdusse, mediante un decreto del 2005, il concetto di “riserve di
libera disponibilità” che stabiliva che quando le
riserve superassero il 100% della base monetaria,
in condizioni di surplus della bilancia commerciale, gli eccedenti potevano essere utilizzati con questo fine.
In questo modo sono stati rimborsati 10.000
milioni di dollari al FMI e cancellato il debito con
questo organismo, seguendo la politica di “desindebitamento” portata avanti pure dal Brasile nello
stesso periodo.
La Riforma attuale incrementa i fondi disponibili
per lo Stato. Per fare ciò abolisce l'obbligo del
100% di copertura in dollari - retaggio della politica di convertibilità - e stabilisce che è competenza
delle autorità monetarie fissare nuovi parametri
fondati sul livello di riserve ottimale alla politica
economica e al modello di sviluppo attuale. In
aggiunta - ma soltanto in condizioni eccezionali
per l'economia nazionale o internazionale - si
duplica l'ammontare che il Banco può anticipare in
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
45
cambiailmondo
LA TRAGEDIA FERROVIARIA DI BUENOS AIRES:
UNA STRAGE DEL NEOLIBERISMO
di Adriana Bernardotti (Buenos Aires)
»»
forma transitoria al Governo e si prolungano i
tempi per il suo reintegro (dal 10 al 20% delle
entrate fiscali del precedente anno e da 12 a 18
mesi).
L'opposizione di centro-destra mette in guardia sul
rischio di un innalzamento dell' inflazione vista la
discrezionalità con la quale l'Esecutivo potrebbe
ricorrere all' emissione monetaria. Il Governo affermano - cerca soltanto di aumentare gli introiti
in previsione della crisi e del termine della fase di
crescita e di risultati positivi nell'interscambio commerciale, in modo di continuare ad incrementare la
spesa pubblica e pagare i debito estero.
Questo ultimo punto è il bersaglio delle critiche
dell'opposizione di centro-sinistra, dal momento
che lo scopo principale della misura ufficiale non
sembra tanto essere l'ampliamento della capacità
produttiva del paese quanto piuttosto la negoziazione del debito con i paesi creditori riuniti nel
forum conosciuto come “Club di Parigi”, un tema
che ha subito diverse dilazioni e che la Presidente
46 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
vuole concludere entro il 2012.
E' requisito indispensabile per il Governo disporre
di dollari per avanzare nella politica adottata dai
tempi di Kirchner riguardo al debito estero: pagare
sì, ma alle proprie condizioni, in primo luogo con
l'esclusione del FMI nelle negoziazioni.
Comunque sia, è indubbio che la riforma rappresenta un cambiamento di paradigma e implica un
ritorno alla politica e all'economia reale. La sovranità della politica economica torna allo Stato, che
recupera la guida delle variabili macroeconomiche
indispensabili per orientare qualsiasi strategia di
sviluppo. Perché, come ha sostenuto un'analista
locale[1], “separare le riserve accumulate da un
popolo, grazie al suo lavoro, dal resto delle risorse
nazionali e lasciarle alla volontà di un gruppo di
tecnocrati senza voti è uno sproposito ed è antidemocratico”, si guardi come si guardi.
[1] Mario Wainfeld, “Movidas en el Congreso”,
Pagina 12, 11 marzo 2012.
Lo
scorso mercoledì 22
febbraio un incidente ferroviario nella
stazione di Once, in una centralissima zona di Buenos Aires, ha
lasciato il tragico saldo di 51
morti e più di 670 feriti. Si tratta
dell'ennesima tragedia che ha
come scenario il disastrato sistema ferroviario argentino, un caso
esemplare delle fallimentari e vergognose esperienze di privatizzazione degli anni Novanta.
“Linea che sciopera, linea che
chiude” (“ramal que para, ramal
que cierra”), aveva avvertito con
un' ottimo senso del ricatto, il
presidente Menem ai lavoratori
protagonisti dei grandi scioperi
ferroviari del 1991 e 1992, a difesa dei loro posti di lavoro e del
sistema pubblico di trasporto.
Le minacce si sono avverate: 80
mila lavoratori sono stati licenziati e la rete ferroviaria argentina è
stata ridotta da 37.000 a 7.000
km. Quello che era stato il più
esteso sistema ferroviario in
Sudamerica - oltre che il mezzo
più economico, sicuro e ambientalmente sostenibile per collegare
il vasto territorio - è stato mezzo
all'asta all'insegna dell'efficienza
dei privati!
Ma purtroppo ai privati interessava il guadagno, quindi soltanto i
tratti redditizi. Il sistema è stato
frantumato ed è sopravvissuta in
pratica soltanto qualche linea di
trasporto merce commercialmente redditizia ed un minimo
delle linee passeggeri, tra cui la
rete suburbana della megalopoli
di Buenos Aires. Lunghi tratti di
rotaie sono stati smantellati,
tagliando fuori d'ogni via di
comunicazione innumerevoli territori e piccole località della campagna che sono diventati “paesi
fantasma”.
Una conseguenza diretta è stata
l'incremento esponenziale degli
incidenti stradali, che in poco
tempo sono diventati la terza
causa di morte nel paese e la
prima per i giovani sotto i 35
anni.
L'ex ferrovia Sarmiento è passata
alla gestione privata nel 1994.
L'impresa TBA (Trenes de
Buenos Aires) è stata l'aggiudicataria dell'appalto che includeva
anche la ferrovia Roca e stipulava
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
47
www.cambiailmondo.org
altresì l'assegnazione di consistenti risorse economiche da
parte dello Stato, per un periodo
di dieci anni, in cambio della
sistemazione e modernizzazione
delle linee. I beneficiari sono stati
i fratelli Cirigliano, tipici esponenti del “capitalismo degli
amici” nato e cresciuto attorno ai
vantaggi dei rapporti con i
governi di turno. Da proprietari
di due linee d'autobus urbano
nella capitale, i fratelli sono
diventati i titolari di una potente
holding che include il quasi
monopolio nell'area del trasporto stradale locale e di lunga percorrenza di passeggeri, la produzione di carrozzerie e di materiale ferroviario, ramificazioni nell'area delle assicurazioni e perfino il tentativo di acquisto di una
compagnia di voli domestici. I
Cirigliano posseggono partecipazioni anche a livello internazionale, nella gestione della metro di
Rio de Janeiro (Opportrans) e
nella concessione della ferrovia
che collegherà l'Argentina con
l'Uruguay.
Un esempio lungimirante di
come i denari pubblici possono
servire per finanziare l'accumulazione di privati vicini al potere.
48 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
cambiailmondo
All'inadempienza degli obblighi
contrattuali da parte dell'impresa
si aggiungeva, con la crisi del
2001, la dichiarazione dell'emergenza economica dello Stato con la conseguente sospensione
dei programmi di investimento
nel settore - che apporta un altro
ingrediente per l'abbandono del
patrimonio esistente. Trascorsi
10 anni dalla concessione l'impresa registrava 1.198 incidenti
nella ferrovia Sarmiento, con 818
morti, e 879 nella ferrovia Mitre
con 554 vittime “fatali”, secondo
quanto
informava
la
Commissione Nazionale di
Regolazione del Trasporto. Il
caso della TBA non è isolato, al
contrario, si replica nelle altre
imprese appaltatrici, situazione
che è stata denunciata in diverse
occasioni dagli organismi di controllo senza che nessun governo
s'impegnasse a fondo per modificare lo stato di cose.
Una speranza, rimasta delusa, si
era aperta quando Nestor
Kirchner annullava nel 2004
un'altra delle concessioni - sempre per malfunzionamento - procedendo nel tentativo di creare
un sistema ferroviario misto, cioè
mantenendo la gestione privata,
ma introducendo un maggiore
intervento dello Stato. Nel 2007,
dopo gravissimi incidenti in
un'altra stazione del capoluogo,
sono state revocate le concessioni di altre due linee, che sono
passate alla gestione statale. Il
fallimento dell'esperienza della
UGOFE (Unidad de Gestión
Operativa
Ferroviaria
de
Emergencia), l'ente misto del
quale fa parte anche la TBA, è
oggi di fronte agli occhi di tutti.
L'altra innovazione della politica
kirchnerista - il ri-orientamento e
incremento progressivo dei sussidi pubblici, con l'obiettivo di
abbassare i costi del trasporto
costituendo una sorta di salario
indiretto a supporto della nuova
fase di riattivazione economica e
crescita dell'occupazione - nella
pratica ha moltiplicato i guadagni
delle imprese. E' venuto fuori nel
dibattito di questi giorni che il
75% dei loro utili proviene dei
sussidi pubblici.
Sostanzialmente tutto è proseguito come prima. La mancanza
di manutenzione, il deplorevole
stato dei binari, l'affollamento
disumano delle carrozze sono
responsabili delle varie disgrazie
che hanno come vittime esclusi-
vamente i lavoratori e i gruppi
più svantaggiati della popolazione che ogni giorno raggiungono
come pendolari il capoluogo.
Il treno dei lavoratori che alle
8:32, entrando nella stazione terminale, ha rotto i freni e provocato la morte delle 51 persone stipate nella prima carrozza, caricava soltanto operai che correvano
in fabbrica, impiegate del basso
terziario e colf occupate presso
famiglie dei ceti agiati della città.
Alcuni giornali, sfruttando con
toni melodrammatici la tragedia,
hanno evidenziato che soltanto
una delle vittime fatali aveva la
laurea e che 9 dei 51 deceduti
erano immigrati dei paesi vicini.
Le vittime sono loro, i lavoratori
che ogni mattina vanno di fretta
perché un minuto di ritardo
significa la perdita del “premio di
presentismo”, un altro residuo
del neoliberalismo nella normativa sul lavoro, vale a dire la clausola contrattuale che fa dipendere
dalla puntualità e mancate assenze una parte cospicua delle buste
paghe. Ciò spiega la calca inumana delle prime carrozze ed è alla
base delle sfortunatissime dichiarazioni del Segretario dei
Trasporti che, nelle sue prime
dichiarazioni nel giorno della tragedia, ha affermato “che l'incidente non sarebbe stato così
grave se succedeva ieri”, in riferimento alla festività del martedì
grasso.
La tragedia di questi giorni è il
corollario di una lunga serie d'incidenti ferroviari di diversa entità,
che molto spesso hanno avuto
come protagonista la furia dei
passeggeri disperati per arrivare
in orario al lavoro. Nel novembre
del 2005, i ritardi a causa di un
deragliamento nella stessa ferrovia di Once sono stati la scintilla
per una sommossa popolare che
ha avuto per saldo l'incendio di
carrozze in tre stazioni, 20 persone ferite e 113 detenute.
Episodi similari si sono verificati
nel settembre del 2008, quando
sono stati incendiati treni in due
stazioni della stessa linea come
prodotto di altri “inconvenienti”
e ai quali hanno partecipato gli
utenti. La stazione Costituzione,
la terminale dei treni che arrivano
dal sud alla città di Buenos Aires,
è stata in pratica incendiata e
sommersa dal caos nel 2007 a
causa dell'indignazione dei passeggeri. Allora il Governo reagì
rescindendo la concessione ai
privati.
Un altro protagonista di primo
piano è il movimento sindacale,
diviso tra i sindacati tradizionali coinvolti direttamente nei processi di privatizzazione e corruzione - e i nuovi raggruppamenti
di sinistra che denunciano i disservizi ricavando molti aderenti
tra i lavoratori del settore. Il giovane militante Mariano Ferreyra
ha perso la vita sulle rotaie il 20
ottobre del 2010, assassinato da
una banda criminale assoldata,
pare, dal segretario generale
dell'Unione Ferroviaria Jose
Pedraza, quando appoggiava,
assieme ai suoi compagni, la lotta
per l'assunzione dei precari reclutati attraverso cooperative, intestate a familiari dello stesso dirigente sindacale e create ad hoc
per gestire servizi terziarizzati
dell'impresa ferroviaria.
Il dolore procurato da questo
grave episodio sarebbe stata la
causa dell'indisposizione che ha
portato alla morte l'ex presidente
pochi giorni dopo, secondo una
versione allora circolata e in qualche modo avallata dalla stessa
Cristina.
Comunque sia, il Governo accumula errori madornali e gaffe
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
49
www.cambiailmondo.org
USA. 6 Premi Nobel scrivono a Obama:
sciocche sui binari delle ferrovie.
Il precedente Segretario di
Trasporti, Ricardo Jaime, è sotto
processo penale per corruzione
in una causa che coinvolge anche
l'impresa dei Cirigliano. Attivisti
sindacali della sinistra sono stati
in passato, prima degli avvenimenti di Mariano Ferreyra,
accusati di essere gli istigatori
delle ribellione di passeggeri e in
alcuni anche casi arrestati senza
rispetto delle garanzie di legge.
Davanti ai fatti di questi giorni,
critiche da molti i settori sono
piovute sulla Presidente, che ha
cercato di tenersi lontana dei
riflettori e ha parlato alla cittadinanza soltanto sei giorni dopo la
tragedia. Neanche è parsa accertata la decisione di costituirsi
come parte civile per accompagnare i familiari delle vittime,
viste le responsabilità penali e
amministrative che competono
allo Stato trattandosi sempre di
un servizio pubblico. Non piace
soprattutto il rinvio d'ogni decisione di Governo riguardo
all'impresa TBA e alla concessione alla fine delle indagini giudiziarie, anche se la Presidente ha
sollecitato la conclusione delle
stesse entro 15 giorni.
A peggiorare le cose, una gravissima svista nei lavori di riscatto
dei corpi delle vittime ha commosso la popolazione e può
avere conseguenze imprevedibili
per il Governo. Due giorni dopo
la chiusura dell'operativo d'emergenza sui resti del treno, peraltro
giudicato positivamente per la
celerità d'azioni, è stato ritrovato
il corpo di Lucas Menghini
nascosto in un comparto macchine tra le lamiere del treno. La
commovente conferenza stampa
50 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
convocata dai genitori e la sorella della vittima in un teatro della
città è stato un atto di accusa per
il Governo. Si concludeva così la
dolorosa ricerca del ragazzo ventenne da parte dei familiari e
amici, seguita da vicino dai
media e da un intero paese in
ansia.
Il Governo non può ritardare
una decisa pressa di posizione
sulla politica ferroviaria. Da più
voci, fuori e anche vicino al
governo, si sollecita l'urgente
fine della concessione con la
TBA. Dentro il palazzo non è
chiaro però il giorno dopo.
Settori che promuovono un
approfondimento in senso progressista del modello kirchnerista, sostengono che è arrivata
l'ora di ritornare al sistema pubblico attraverso la nazionalizzazione delle ferrovie.
Lo stessa soluzione si è evidenziata qualche settimana fa per
quella che era stata l'impresa
nazionale di idrocarburi - l'YPF oggi in mano di un consorzio
privato di capitali spagnoli e
argentini, accusata pubblicamente dalla Presidente di mettere a
rischio la sicurezza energetica del
paese per la mancanza di adeguati investimenti.
Per quanto possa sembrare
inconsueto in questi tempi, scelte di questo tipo sono state già
realizzate in altri settori, con
sorti diverse. Nel 2006 è stata
recuperata allo Stato l'azienda
per i servizi di somministrazione
di acqua (AySA). Nel 2009 è toccato il turno alla compagnia di
bandiera, Aerolineas Argentinas.
Il dibattito è in corso e lo scenario è aperto.
“FOLLIA”
IL PAREGGIO
DI BILANCIO
IN COSTITUZIONE
»
Sei premi nobel per l'economia ed altri esperti scrivono una lettera al
Presidente Obama contro la proposta di inserire nella Costituzione americana una norma che costringa rigidamente al pareggio di bilancio. È la
stessa norma che hanno concordato gli Stati europei su input francotedesco e che a breve si approverà pure per la Costituzione italiana.
“È una follia” dicono i nobel.
Sul piano tecnico-economico impedirebbe quelle che il grande economista inglese lord Keynes chiamava politiche “anticicliche”: sostenere
la domanda pubblica e i consumi popolari per uscire dalla recessione.
Più in generale e in sintesi i sottoscrittori della lettera denunciano con
convinzione che sarebbe una camicia di forza per la crescita, un sistema irresponsabile per addossare sugli enti locali e sui cittadini, specie
quelli più poveri, qualsiasi spesa in più, un invito aperto a svendere le
proprietà dello Stato con manovre dubbie e opache e una iattura nel
caso che eventi imprevisti richiedessero massicci stanziamenti.
Di sicuro in un momento in cui gli enormi tassi d'interesse della speculazione finanziaria caricano il debito pubblico, parlare rigidamente di
pareggio di bilancio senza mettere in discussione queste uscite, significa una politica sociale lacrime e sangue!
In ultima istanza quindi un grave rischio per la democrazia e per la possibilità dei cittadini di decidere quale politica economica adottare.
Dal Mondo
«
cambiailmondo
Cari
presidente Obama,
presidente Boehner,
capogruppo della minoranza Pelosi,
capogruppo della maggioranza Reid,
capogruppo della minoranza al Senato McConnell,
noi sottoscritti economisti sollecitiamo che venga
respinta qualunque proposta volta ad emendare la
Costituzione degli Stati Uniti inserendo un vincolo in materia di pareggio del bilancio.
Vero è che il Paese è alle prese con gravi problemi
sul fronte dei conti pubblici, problemi che vanno
affrontati con misure che comincino a dispiegare i
loro effetti una volta che l'economia sia forte abbastanza da poterle assorbire, ma inserire nella
Costituzione il vincolo di pareggio del bilancio
rappresenterebbe una scelta politica estremamente
improvvida. Aggiungere ulteriori restrizioni, cosa
che avverrebbe nel caso fosse approvato un emendamento sul pareggio del bilancio, quale un tetto
rigido della spesa pubblica, non farebbe che peggiorare le cose.
1. Un emendamento sul pareggio di bilancio
avrebbe effetti perversi in caso di recessione.
Nei momenti di difficoltà economica diminuisce il gettito fiscale e aumentano alcune spese
tra cui i sussidi di disoccupazione. Questi
ammortizzatori sociali fanno aumentare il deficit, ma limitano la contrazione del reddito
disponibile e del potere di acquisto. Chiudere
ogni anno il bilancio in pareggio aggraverebbe
le eventuali recessioni.
2. A differenza delle costituzioni di molti stati che
consentono di ricorrere al credito per finanziare la spesa in conto capitale, il bilancio federale
non prevede alcuna differenza tra investimenti
e spesa corrente. Le aziende private e le famiglie
ricorrono continuamente al credito per finanziare le loro spese. Un emendamento che introducesse il vincolo del pareggio di bilancio impe-
52 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
direbbe al governo federale di ricorrere al credito per finanziare il costo delle infrastrutture,
dell'istruzione, della ricerca e sviluppo, della
tutela dell'ambiente e di altri investimenti vitali
per il futuro benessere della nazione.
3. Un emendamento che introducesse il vincolo
del pareggio di bilancio incoraggerebbe il
Congresso ad approvare provvedimenti privi di
copertura finanziaria delegando gli stati, gli enti
locali e le aziende private trovare le risorse
finanziarie al posto del governo federale.
Inoltre favorirebbe dubbie manovre finanziarie
(quali la vendita di terreni demaniali e di altri
beni pubblici contabilizzando i ricavi come
introiti destinati alla riduzione del deficit) e altri
espedienti contabili. Le controversie derivanti
dall'interpretazione del concetto di pareggio di
bilancio finirebbero probabilmente dinanzi ai
tribunali con il risultato di affidare alla magistratura il compito di decidere la politica economica. E altrettanto si verificherebbe in caso di
controversie riguardanti il modo in cui rimettere in equilibrio un bilancio dissestato nei casi in
cui il Congresso non disponesse dei voti necessari per approvare tagli dolorosi.
4. Quasi sempre le proposte di introduzione per via
costituzionale del vincolo di pareggio di bilancio
prevedono delle scappatoie, ma in tempo di pace
sono necessarie in entrambi i rami del Congresso
maggioranze molto ampie per approvare un
bilancio non in ordine o per innalzare il tetto del
debito. Sono disposizioni che tendono a paralizzare l'attività dell'esecutivo.
5. Un tetto di spesa, previsto da alcune delle pro-
poste di emendamento, limiterebbe ulteriormente la capacita' del Congresso di contrastare
eventuali recessioni vuoi con gli ammortizzatori gia' previsti vuoi con apposite modifiche della
politica in materia di bilancio. Anche nei periodi di espansione dell'economia, un tetto rigido
di spesa potrebbe danneggiare la crescita economica perche' gli incrementi degli investimenti ad elevata remunerazione - anche quelli interamente finanziati dall'aumento del gettito sarebbero ritenuti incostituzionali se non controbilanciati da riduzioni della spesa di pari
importo. Un tetto vincolante di spesa comporterebbe la necessita', in caso di spese di emergenza (per esempio in caso di disastri naturali),
di tagliare altri capitoli del bilancio mettendo in
pericolo il finanziamento dei programmi non di
emergenza.
6. Per pareggiare il bilancio non è necessario un
emendamento costituzionale. Il bilancio non
solo si chiuse in pareggio, ma fece registrare un
avanzo e una riduzione del debito per quattro
anni consecutivi dopo l'approvazione da parte
del Congresso negli anni '90 di alcuni provvedimenti che riducevano la crescita della spesa
pubblica e incrementavano le entrate. Lo si fece
con l'attuale Costituzione e senza modificarla e
lo si può fare ancora. Nessun altro Paese
importante ostacola la propria economia con il
vincolo di pareggio di bilancio. Non c'e' alcuna
necessità di mettere al Paese una camicia di
forza economica. Lasciamo che presidente e
Congresso adottino le politiche monetarie, economiche e di bilancio idonee a far fronte ai
bisogni e alle priorità, così come saggiamente
previsto dai nostri padri costituenti.
7. Nell'attuale fase dell'economia è pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio troppo
rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale necessari per raggiungere questo scopo, danneggerebbero una
ripresa già di per sé debole.
KENNETH ARROW,
premio Nobel per l'economia 1972
PETER DIAMOND,
premio Nobel per l'economia 2010
WILLIAM SHARPE,
premio Nobel per l'economia 1990
CHARLES SCHULTZE,
consigliere economico di J.F. Kennedy e Lindon Johnson,
animatore della Great Society Agenda
ALAN BLINDER,
direttore del Centro per le ricerche economiche
della Princeton University
ERIC MASKIN,
premio Nobel per l'economia 2007
ROBERT SOLOW,
premio Nobel per l'economia 1987
LAURA TYSON,
ex direttrice del Natonal Economic Council
Tito Pulsinelli
Fonte: selvasorg.blogspot.com
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
53
Dal Mondo
cambiailmondo
NAWAL EL SAADAWI
PARLA DELLA LOTTA DELLE DONNE
E DEGLI UOMINI EGIZIANI
Celebre scrittrice, psichiatra e attivista egiziana, Nawal El Saadawi, è autrice di oltre 40 libri ed ha
avuto una vita molto difficile. La sua principale battaglia è stata contro la mutilazione genitale femminile, contro la quale ha lottato per oltre cinquant'anni, con il libro “Donne e Sesso” pubblicato nel
1969 e vietato dalle autorità politiche e religiose. Ha fondato un'Associazione di Solidarietà con le
Donne Arabe che è stata chiusa dal governo nel 1991. È stata accusata, per una sua pubblicazione,
di apostasia e di eresia dall'università Al Azhar nel 2007, verso la quale intenta causa che vince nel
2008. Ha ricevuto diversi premi letterari, tenuto conferenze in molte università e ha partecipato a
numerose conferenze internazionali e nazionali.
In occasione della Giornata Internazionale delle Donne ha rilasciato questa dichiarazione.
«
La nuova Unione delle
Donne Egiziane, formata
in piazza Tahrir da giovani
donne e giovani uomini rivoluzionari, ha lottato dalla rivoluzione del gennaio 2011 per unire i
gruppi femministi e progressisti
in Egitto, e lottato collettivamente per un nuovo sistema in
Egitto, basato sulla vera libertà
(non sulla falsa democrazia del
capitalismo patriarcale), sulla
vera dignità, sulla giustizia socio-
54 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
economica e sull'uguaglianza per
tutti, a prescindere dal sesso,
dalla religione, dalla classe e dalla
razza.
Siamo stati in grado, attraverso il
potere di milioni di persone
unite, a rimuovere la testa del
regime (Hosni Mubarak) l'11
febbraio 2011, ma il corpo del
regime è ancora al potere, sostenuto dal governo coloniale americano e dai suoi alleati egiziani
nell'Alto Consiglio Militare, nel
governo post rivoluzionario,
nelle grandi e ricchissime elites
commerciali, nei grandi media,
nei vecchi partiti politici liberali e
nei nuovi gruppi religiosi fanatici
che hanno accresciuto il loro
potere nel periodo di “Sadat”
durante gli anni settanta, e la sua
sottomissione al regime israeliano e all'aiuto militare ed economico americano.
Da allora la povertà e l'oppressione delle donne è aumentata
sotto il potere crescente del fondamentalismo religioso e dello
sfruttamento di classe. Le donne
sono la metà della società. Non
possono essere liberate in un
paese che non è liberato.
Associamo la nostra liberazione
dal patriarcato alla liberazione
del nostro paese dal colonialismo
e dall'oppressione religiosa, nel
nome di Dio, dell'amore, della
pace e della democrazia.
Bin Laden e George Bush hanno
lavorato insieme contro i poveri
e contro le donne, poi hanno
avuto interessi conflittuali e
hanno cercato di uccidersi l'un
l'altro.
Oggi, Barak Obama e i Fratelli
Musulmani sono amici, trattano i
loro interessi comuni. Non ci
sono principi in questa politica e
interessi che cambiamo. Oggi la
maggior parte delle persone nel
mondo, nel nord e nel sud, si
stanno ribellando contro il sistema capitalista patriarcale, da
piazza Tahrir al Cairo a Occupy
Wall Street a New York e in tutto
il mondo.
Le donne e gli uomini stanno lottando insieme in Egitto come in
altri paesi.
Non è abbastanza essere donna,
essere contro il patriarcato e non
è abbastanza essere liberale o
socialista, essere contro il capitalismo e il colonialismo. Non è
abbastanza essere atei per combattere l'oppressione religiosa.
Abbiamo donne che sono più
patriarcali degli uomini, abbiamo
uomini socialisti che sono più
capitalisti dei leaders di estrema
destra, e abbiamo atei che sono
più fanatici dei fondamentalisti.
La contro rivoluzione in Egitto
sta ancora uccidendo giovani
uomini e giovani donne rivoluzionare.
Da gennaio 2011, migliaia sono
stati uccisi, migliaia sono stati
mutilati, migliaia sono stati
imprigionati, ma la rivoluzione
continua. Non abbiamo perso la
speranza nonostante il duro contraccolpo contro di noi.
Le donne in Egitto sono sempre
più escluse dai poteri controrivoluzionari, dai posti importanti,
dalle attività politiche e dai consigli superiori, formati dopo la
rivoluzione. Le cosiddette elezioni democratiche in Egitto dopo
la rivoluzione hanno portato in
parlamento il 2% di parlamentari
donne e una buona maggioranza
dei Fratelli Musulmani e di gruppi salafiti che sono più arretrati
di altri gruppi fanatici religiosi.
Ma la lotta in Egitto continua.
Dobbiamo unire le forze a livello
mondiale e locale per combattere. Non dobbiamo separarci in
una lotta di livello globale, locale
e “glocale”.
Viviamo in un mondo (non in tre
mondi) dominato dallo stesso
sistema oppressivo; il sistema
capilista, imperialista, religioso,
razzista, militare e patriarcale.
Prima o poi ci libereremo.
Non perderemo mai la speranza
perché la speranza è potere».
Nawal El Sadawi
Il Cairo, Egitto
Traduzione di Maria Teresa Polico
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
55
Dall’Europa
cambiailmondo
DOVE VA LA SINISTRA EUROPEA?
di Roberto Musacchio
Visto che ormai è evidente a tutti che le scelte politiche
si fanno a dimensione europea, sarebbe necessario
provare a capire se c'è una sinistra europea e che cosa fa.
Quando si parla di sinistra europea la mente va naturalmente
subito al suo aggregato più grande e corposo, quello che si ritrova nel Partito Socialista Europeo.
Difficile prescindere dal dato che
i socialisti sono stati una parte
fondamentale della costruzione
dell'Unione Europea, avendo tra
l'altro,
ai
tempi
della
Commissione Delors, socialista,
e quindi del momento decisivo di
sua concretizzazione, una presenza in 13 governi su 15 dell'allora consesso di Stati partecipanti. Come è difficile sfuggire all'altrettanto concreta constatazione
56 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
che oggi la presenza socialista nei
governi della UE a 27 è ridotta ai
minimi termini. Per questo la
riflessione aperta in quel campo
è di grande interesse.
Da ultimo sta circolando un
documento dal titolo “ Per una
alternativa socialista europea “,
firmato da molte figure del PSE
con l'esclusione dei leader di primissimo piano operativo. Il testo
ne segue altri che hanno visto la
luce in questi mesi passati.
Dall'appello “ Change Europe “,
che provava a raccogliere adesioni più a tutto campo, e dunque
anche in altri settori verdi e di
»
sinistre radicali. Ad appelli franco - tedeschi, legati all'ambito
socialista e verde, prefiguranti
cioè una qualche ipotesi di
governo di centro sinistra per
quei due Paesi e una qualche
possibile relazione tra le loro
possibili
politiche
future.
Partiamo però dall'ultimo, che è
tutto in casa socialista. “
Per una alternativa socialista
europea “ può essere letto in tre
parti. Una critica molto forte e
radicale alle politiche di austerità,
la cui responsabilità viene consegnata sostanzialmente alle destre.
Una autocritica, ma anche una
critica, sugli errori socialisti e in
particolare sulla cosiddetta terza
via. La proposizione di indicazioni alternative programmatiche,
spesso per altro note, ma interessanti, dagli eurobond in giù, per
una diversa idea d'Europa. Quello
che però colpisce dell'appello è
che manca il qui e oggi nella sua
dimensione concreta e nella valutazione della sua portata.
Mi spiego. La domanda: “ come
mai stanno passando provvedimenti di enorme portata che rendono strutturale la politica di
austerità e modificano radicalmente di segno la natura della
democrazia europea “ - fatica ad
essere formulata e a trovare
risposte. Eppure è una domanda
ineludibile per chi critica a fondo
l'austerità, si autocritica per il
passato, prospetta un futuro
diverso e intanto non riesce a
fermare ciò che accade. Anzi, di
più, in buona parte vi contribuisce ancora. Se vediamo all'insieme delle misure prese dalla
governance
europea,
da
Europlus, al Six pack, al Fiscal
Compact, alle modifiche dettate
per inserire nelle Costituzioni
nazionali l'obbligo al pareggio di
bilancio, al nuovo Two pack sulle
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
57
Dall’Europa
cambiailmondo
regole per l'uso del “ salva stati “,
è difficile ritrovare in atto una
vera opposizione socialista.
Distingui verbali, anche forti, nel
Parlamento europeo, ma poi via
via più flebili nella articolazione
concreta delle posizioni sui
provvedimenti attuativi. Una
internità a queste scelte operata
da Zapatero in punto mortis del
suo governo,con il pareggio di
bilancio inserito in Costituzione.
Via libera dai governi di grande
intesa in Grecia e Italia. Si fa ora
molto affidamento ai possibili
cambi di governo in Francia e in
Germania.
Ma è davvero così? In Francia
Hollande ha realmente preso
una posizione critica sul Trattato
ma essa è però circoscritta ad
una sua rinegoziazione, la cui
natura è assai poco chiara.
Intanto i socialisti francesi si
astengono, e c'era anche un
imput a votare a favore,
all'Assemblea Nazionale sul
58 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
cosiddetto salva stati. La situazione francese poi è diversa da
quella cui si era pensato con i
documenti socialisti e verdi di
qualche mese va.
La lotta contro Sarkozy è molto
dura; c'è una variante populista
che incombe. Non a caso riemerge la classica union de gauche, con i comunisti che ritrovano slancio nella candidatura a
presidente della repubblica dell'ex socialista Melanchon, capace
di toni di sinistra che incontrano
umori nazionali e popolari. In
Germania poi la situazione va
vista per quello che è e non per
ciò che si vorrebbe.
Partiamo dai sondaggi elettorali
che danno la CDU al 38 % abbastanza stabilmente, l'SPD al 26
%, i grunen alti, al 14%, ma assai
meno del dopo Fukushima, la
Linke al 9%, i liberali sotto lo
sbarramento e i Pirati , vera
novità della politica tedesca e
non solo, invece stabilmente ben
sopra. E il gradimento per la
Merkel sta al 65%!
Difficile pensare che vi siano le
condizioni per una alternativa di
centro sinistra che per giunta
negli intenti di socialdemocratici
e verdi dovrebbe escludere
Linke e Pirati.
A Berlino per il governo del
Land è tornata la coalizione
CDU-SPD. Il nuovo presidente
della repubblica dovrebbe essere
votato dagli stessi due partiti più
liberali e verdi e, francamente,
non è una figura particolarmente progressista. Soprattutto tutta
la politica concreta, il rapporto
con l'opinione pubblica non vede
un grande contrasto rispetto alla
vulgata dominante che la crisi è
colpa dei “ fannulloni “ siano essi
Greci o altri.
Difficile trovare una vera volontà
di cambiare quel patto corporativo tedesco che alimenta esportazioni invasive e di fatto distrugge
l'idea stessa della armonizzazione
della UE, risultando una delle
vera cause della crisi. Per chi
pensa che sarà il cambio di
governo in Francia e in
Germania a permettere un cambio più generale, queste considerazioni dovrebbero invitare a
qualche riflessione in più. Anche
perché le misure di governance
prese sono difficilmente riconducibili ad una parentesi.
Si è stabilizzata una forma di
gestione che non è solo intergovernativa ma è fatta di un intergovernativismo separato da ogni
relazione parlamentare, interconnesso con le strutture di governance della finanza, e che rende
tendenzialmente irrevocabili le
scelte fatte. Ciò che accade per la
Grecia, l'imposizione di scelte, la
richiesta a tutti i soggetti greci di
dichiararle permanenti, la creazione di canali di gestione dei
fondi e delle scelte fuori del controllo delle istituzioni greche,
non è solo per la Grecia ma vale
per tutti.
Nel Two pack, ora in approvazione, si prevede che le finanziarie vengano riviste dalla governance prima dell'approvazione
parlamentare. Tutte funzioni per
altro fuori dal metodo comunita-
rio e dentro il nuovo metodo
postdemocratico. Che in ballo ci
sia la fine del modello sociale
europeo del resto lo scrive chiaramente, e sul Wall Street
Journal, Mario Draghi.
Il punto è che le borghesie europee sembrano aver raggiunto un
loro punto di compromesso,
intorno alla leadership tedesca, e
subordinato al capitale finanziario. Naturalmente sono aperti
punti non da poco. Si pensi alla
lettera dei 12 per la crescita, ispirata dal duo Cameron-Monti,
tutta filo liberalizzazioni, con cui
per altro Monti si autonomizza
dal mandato più mercantilista
iscritto nel testo della risoluzione
unitaria con cui la maggioranza
in Italia aveva sdoganato la politica europea.
Probabilmente vi sarà una diversa impostazione franco- tedesca
ma resta il fatto che il gioco è
tutto nel campo borghese.
Perché si è costruita una politica
borghese nella crisi europea e nel
rapporto con la globalizzazione e
una capacità di unità dei soggetti
che questa borghesia vuole rappresentare. Niente di tutto ciò si
vede a sinistra, dove la riunificazioni dei rappresentati, a partire
dai soggetti del lavoro, non è
neanche tematizzata.
Ancora una volta si pensa di
potersi affidare a soluzioni
governiste senza porsi il tema del
rovesciamento dei rapporti di
forza reali. Lo stesso errore dei
tempi in cui si pensò di governare la globalizzazione, senza comprenderne la natura. Ora il
rischio è peggiore perché nella
crisi la partita aperta è la scomparsa tout court del modello
sociale e democratico europeo.
Per altro le potenzialità di soluzioni governiste appaiono anche
ridotte e probabilmente più circoscritte a compartecipazioni a
grandi coalizioni.
Questo naturalmente non significa per me l'espunsione del tema
governo dall'orizzonte della sinistra, ma la sua ricollocazione nell'ambito in cui storicamente è
stato appunto a sinistra e cioè in
quello di una costruzione di un
nuovo rapporto di forza sociale,
della ricerca di una egemonia che
in questo caso è necessariamente
a livello europeo. Per altro è il
tema posto dai movimenti, che
sono tornati a manifestarsi ad
esempio in Spagna, dove qualcuno li aveva accusati di “ non
morire per Zapatero “, che sembrano essere più avanti della politica.
Poche righe, perché richiederebbe un altro articolo, sulle altre
sinistre. Solo per dire che sarà
interessante vedere cosa accade
loro in questa crisi, a partire dal
voto in Grecia, se lo lasceranno
fare, dove sono accreditate addirittura del 40%.
Ma sapranno unirsi?
Sapranno darsi una politica efficace, capace di parlare anche alla
discussione aperta nel campo
socialista?
Tutte domande che cercano
risposte all'altezza.
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
59
Dall’Europa
cambiailmondo
La
FRANCIA
L'ASCESA DEL CANDIDATO
DEL FRONT DE GAUCHE,
MÉLENCHON,
NEI SONDAGGI
PER LE PRESIDENZIALI
di Paola Giaculli
60 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
campagna per le presidenziali in Francia
sembra avere una
marcia in più: è il fattore
Mélenchon a incidere nella dinamica
della
competizione.
Secondo il nuovo sondaggio CSA
il candidato comune del Front de
Gauche, alleanza tra Pcf e Parti
de Gauche, il partito di
Melenchon, è nuovamente in
ascesa all'11 percento ( 6 in
autunno e 8-9 tra gennaio e febbraio). Tanto che Le Monde apre
con un titolo in prima pagina:
“L'ascesa di Mélenchon, una
sfida per Hollande”, dedicando al
“fenomeno” Mélenchon, le
prime due pagine all'interno del
giornale. Il suo successo si ripercuote non solo nei sondaggi, ma
anche nelle proposte degli altri
candidati, sia del candidato socialista Hollande che di Sarkozy. Il
primo propone la tassazione al 75
percento dei patrimoni oltre un
milione e il secondo vuole,
secondo il modello statunitense,
tassare i cosiddetti “esiliati del
fisco”, cioè i francesi che, per
non pagare le tasse al fisco francese, risiedono nei paradisi fiscali
all'estero. “Sono entusiasta”, dice
Mélenchon, nel constatare quella
che definisce “melenchonizzazione” della campagna, cioè come i
temi posti al centro della proposta politica della gauche, stiano
condizionando le elezioni presidenziali e quindi la politica francese tout court. Il successo è
dovuto al nuovo entusiasmo che
la candidatura di Mélenchon ha
generato e che negli ultimi tempi
ha galvanizzato simpatizzanti e
militanti di sinistra, anche quelli
che, tra i comunisti, all'inizio
erano diffidenti sulla sua candidatura, la prima di un “esterno” al
Pcf dal 1972, anno del “programme commun”, cioè dell'alleanza a sinistra tra socialisti,
comunisti e radicali di sinistra,
che porterà poi nel 1981 all'elezione di FrançoisMitterand.
Ora, gli stessi militanti tradizionali, il grosso dei gruppi di sostegno, riconoscono che, come si
legge nell'inchiesta di Le Monde,
grazie al carisma e all'eloquenza
di Mélenchon, “la campagna ha
saputo trovare una dinamica, un
sostegno e un entusiasmo che
ricordano i grandi momenti del
comunismo francese”. E dopo le
delusioni concenti delle precedenti candidature di Robert Hue
(2002 - 3,37%) e Marie-George
Buffet (2007 - 1,93%), entrambi
ex segretari del Pcf, “si è ripreso
gusto alla politica”, coinvolgendo
settori esterni agli ambienti tradizionali della gauche, stando ai
sondaggi. I reportages sulle iniziative elettorali con migliaia di
persone parlano di un pubblico
giovane, “non solo i soliti attempati o pensionati”. “È già una
grande vittoria che Melenchon
abbia saputo coinvolgere i giovani”, è il commento di un'attivista
comunista.
E Gilles Poux sindaco comunista
de la Courneuve, alla periferia
nord di Parigi, conferma: “in
questa campagna si ha la netta
impressione che si vada molto al
di là del sostegno tradizionale”.
Non solo gli strati popolari,
strappati al voto dell'estrema
destra, possono giocare un ruolo
importante nel successo di
Mélenchon, ma anche gli studenti, addirittura quelli che studiano
nei licei d'élite. Secondo
Charlotte, al tavolo di un caffè
per un incontro tra studenti e il
segretario di un circolo comuni-
sta, “la nostra generazione, quando guarda al futuro, si accorge di
avere un grande problema con il
capitalismo, che non ci offre nessuna prospettiva: c'è solo precarietà e nessuno può dire per
esempio che, sì, le politiche neoliberiste sono per me vantaggiose”.
E si constata che “c'è bisogno di
radicalità, è come un vulcano che
erutta magma rivoluzionario”. I
giovani e le giovani parlano di
“nuove speranze” legate alla gauche attuale, un dinamismo svecchiato, un nuovo modo di affrontare la politica. Per loro
Mélenchon parla in modo semplice, diretto, ma non in maniera
semplicistica e “non tratta da
ignorante chi lo ascolta”, facendo
appello non all'ideologia, ma
all'intelligenza delle persone,
spiegando i meccanismi della
crisi finanziaria e dell'Unione
europea. Secondo un altro studente “i socialisti non mettono in
discussione l'idea di debito, ma
partono da un ordine di idee
legittimate da anni di politica di
destra”.
L'effetto Mélenchon si fa senza
dubbio sentire anche tra i socialisti: Hollande, probabilmente
messo in guardia dagli ultimi sondaggi che lo danno alla pari con
Sarkozy (28 percento) o in un
caso addirittura sotto (26,5 contro 28 di Sarkozy), fa appello al
voto utile a partire dal primo
turno, nonostante Melenchon
abbia assicurato il suo sostegno al
secondo. Secondo Hollande “è al
primo turno che si crea la dinamica per la vittoria”, com'è successo nel 1988, nel 2002 e nel
2007, ma Mélenchon controbatte
affermando che “il risultato del
primo turno non incide sulla vittoria”, ricordando invece le elezioni del 1981 e del 1995 quando
vinsero i secondi del primo
turno, Giscard D'Estaing e
Lionel Jospin. Sul voto utile il
candidato di sinistra afferma che
non è giustificabile se la candidata del Front National, l'estrema
destra, Marine Le Pen, è a dieci
punti dietro Hollande e Sarkozy.
Sul versante dei sondaggi, secondo il segretario del Partito comunista Pierre Laurent, l'11 percento rilevato giovedì, a soli due
punti dal candidato centrista
Bayrou (13) e a cinque (16) da Le
Pen, potrebbe tenere in serbo
anche un potenziale pari al 15
percento. A detta di molti la spinta dei consensi a Mélenchon
sarebbe un buon segnale anche
per le elezioni dell'Assemblée
Nationale, il parlamento francese, che si svolgeranno a giugno.
Mentre per la candidata ecologista Eva Joly le cose non vanno
troppo bene (dal 3 all'1 percento). Come anche nel caso di
Hollande molti ecologisti potrebbero votare Melenchon al primo
turno, delusi per l'accordo di
scambio con i socialisti: ritardare
l'uscita dal nucleare” in cambio di
qualche posto”al governo. Allora
meglio il programma ecologista e
il referendum contro il nucleare
che ha proposto Mélenchon,
fanno sapere i verdi delusi.
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
61
Dall’Europa
cambiailmondo
GERMANIA
ETERNA GUERRA FREDDA
di Paola Giaculli (Berlino)
La
guerra fredda in
Germania sembra
non finire mai. A
più di ventidue anni dalla caduta
del muro di Berlino, stupisce trovare ancora argomentazioni che
fanno riferimento a questa cultura per colpire gli avversari politici. Negli ultimi giorni è stata Die
Welt, il pendant “raffinato” della
populista Bild-Zeitung, tra l'altro
proprietà dello stesso gruppo
editoriale, a scatenare una battaglia tutta calcata sullo schema
amico-nemico, tipico degli anni
in cui la Germania era divisa tra i
brutti e cattivi alleati dell'Unione
Sovietica e i buoni e i giusti del
“mondo libero” occidentale.
Stavolta il bersaglio è Beate
Klarsfeld, la candidata alla
Presidenza della repubblica
nominata dalla Linke, il partito
della sinistra tedesca. L'accusa è
di avere incassato la somma di
2000 Deutsche Mark nel 1968
dalla Sed, il partito di regime
della Ddr, a ricompensa per lo
schiaffo di Klarsfeld al cancelliere Kiesinger durante un congresso della Cdu.
Per il giornale conservatore è
assolutamente vergognoso che si
presenti una candidata alla presidenza in passato al soldo dell'altra dittatura tedesca, come molti
non veramente interessati all'ap-
62 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
profondimento storico, amano
definire la Ddr, mettendola sullo
stesso piano del Führerstaat, il
regime nazista.
È risaputo ormai che la
Repubblica federale tedesca è
stata a dir poco reticente sul suo
passato nazista e che nel dopoguerra non si contavano i “riciclati” anche in posti di assoluto
prestigio, come università e tribunali, o negli stessi partiti come
Cdu e Liberali. Il merito di
Klarsfeld è stato senza dubbio
quello di ostinarsi nella ricerca
dei criminali nazisti che vivevano
indisturbati all'estero o addirittura in casa propria in Germania, e
di volerli consegnare alla giustizia, nonostante tutte le difficoltà
mosse dalle autorità tedesche e le
coperture dei servizi segreti
come poi si è dimostrato.
La Ddr, sicuramente per motivi
di propaganda, ha sostenuto, a
differenza della Germania dell'ovest, queste ricerche, mettendo a disposizione anche i propri
archivi come nel caso di
Klarsfeld che assicura di aver
agito per conto proprio e mai al
servizio dei “concorrenti” dell'altro blocco.
Anzi, dalla Repubblica federale si
sarebbe aspettata un aiuto nelle
indagini sui criminali nazisti che
hanno in realtà goduto delle
coperture delle autorità. Invece,
fino ai giorni nostri, lo dimostrano gli attacchi della stampa, il
passato nazista è coperto da
molti tabù e si fa fatica a dover
ammettere che il “cattivo” non
era solo Hitler.
Insomma la continuità a ovest
delle classi dirigenti nelle istituzioni e nei servizi segreti, nati nel
1946 da una branchia del comando della Wehrmacht sul fronte
orientale e finanziati dalle autorità americane di occupazione, ha
sempre inibito un serio ripensamento sulla catastrofe del nazismo, e alcuni storici volenterosi
si sono fatti strada tra mille difficoltà e non in ultimo le diffidenze dell'opinione pubblica, contraria da sempre a rivangare il
passato.
Ora Die Welt si chiede perché
Beate Klarsfeld non ha persegui-
to con la stessa ostinazione i criminali che si erano nascosti, nella
Ddr, o non abbia schiaffeggiato
pubblicamente Ulbricht, il capo
del governo della Ddr. Alle accuse della stampa conservatrice
hanno fatto eco quelle dei politici della Cdu, il partito di Merkel,
di cui il numero due Gröhe ha
dichiarato che Klarsfeld “non è
degna di essere candidata alla
presidenza e la Linke dovrebbe
ritirare la sua candidatura”.
Ancora
più
oltraggioso
Dobrindt, numero due del partito gemello di Cdu alla sua destra,
la bavarese Csu, che definisce
Klarsfeld “marionetta della Sed”
e la sua candidatura “espressione
del disprezzo dei comunisti di
sinistra per la nostra democrazia
e lo stato liberale”. Per fortuna ci
sono quotidiani indipendenti
come Frankfurter Rundschau
che condannano la campagna
mediatica contro Klarsfeld e non
si scandalizzano per il compenso
della Sed a Klarsfeld: “al contrario di Cdu e Csu di quegli anni
Beate Klarsfeld si è attivata contro i nazisti “sommersi” nella
Germania ovest (…) ha dovuto
cercarsi sostegno dove l'ha trovato, senza farsi strumentalizzare
(…) è stata un esempio contro il
far finta di niente, assunta come
ragione di stato tedesco-occidentale dalla Cdu.
La sua rozza reazione dice quanto lo schiaffo di allora si faccia
sentire ancor oggi”. La Taz di
Berlino ricorda inoltre che Hans
Globke, ex nazista a capo della
cancelleria di Adenauer, fece in
modo di togliere il passaporto
tedesco a un'altra personalità,
Thomas Harlan, a causa delle sue
ricerche d'archivio in Polonia
volte a raccogliere materiale sui
crimini nazisti qui commessi.
Anche se Beate Klarsfeld nel
voto di domenica prossima non
ha chance contro il candidato
unico Joachim Gauck, per alcuni
suoi compagni di percorso paladino dell'ultim'ora dei diritti civili a est, il dibattito sollecitato
dalla sua candidatura rivela una
volta di più le contraddizioni storiche e politiche della Germania,
e si dimostra sempre più attuale
per la drammatica ripresa del
neonazismo criminale. A votare
nella sala plenaria del Bundestag
saranno in 1240, una metà composta dai deputati del Bundestag
e l'altra dai rappresentanti regionali designati dai gruppi parlamentari dei Länder. Per la Linke
voteranno in 124.
Oltre che in Saarland, al confine
con la Francia e in SchleswigHolstein, vicino alla Danimarca,
si svolgeranno elezioni anticipate
anche nella Renania settentrionale-Westfalia, dove il governo di
minoranza Spd-Verdi non è riuscito a far passare il bilancio. Nei
due anni della sua esistenza questo governo si è avvalso in alternanza dei voti liberali o di quelli
della sinistra di Linke.
Quest'ultima non è riuscita a far
passare nel bilancio l'introduzio-
ne di un ticket sociale per i mezzi
di trasporto pubblici. I Liberali
contavano in una terza lettura,
che non c'è stata, e per questa
svista hanno invece fatto cadere
il governo, anticipare le elezioni
che potrebbero decretare la loro
fine anche in questo Land, visti i
sondaggi che li danno stabilmente al di sotto della soglia del 5
percento.
Secondo l'ultimo sondaggio
nazionale il partito della cancelliera Merkel, la Cdu, è ancora
forte al 36 percento, con la Spd
ancora al 26, i Verdi al 15, Linke
e Pirati rispettivamente al 9 e al 7,
con il fanalino di coda dei
Liberali al 3. Secondo un altro
istituto demoscopico Cdu sarebbe al 37, Spd al 30, mentre i
Verdi al 13, Linke al 7. Ancora
troppo poco per un'alleanza
rosso-verde. L'eventualità invece
di un governo di sinistra anche
con la Linke viene ormai decisamente scartata dai vertici Spd e
Verdi. Nei Länder potrebbero
verificarsi altri trends, come in
Renania, dove Spd e Verdi sarebbero in maggioranza, in forte
ripresa la Spd anche in Saarland e
in Schleswig-Holstein, per la
delusione dei governi conservatori.
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
63
Dall’Europa
cambiailmondo
BERLINO
I SINDACATI TEDESCHI
CHIEDONO AUMENTI DEL 6,5 PER CENTO
I premi “stellari” delle case automobilistiche
di Massimo Demontis (Berlino)
Tra
pochi giorni si
apre
in
Germania
la
nuova stagione delle vertenze
contrattuali. E potrebbe diventare una stagione di trattative
roventi se, come dicono i sindacati, non saranno accolte le loro
richieste. I due maggiori sindacati tedeschi, IG Metall, il sindacato dei metalmeccanici, e Ver.di,
unione di diverse organizzazioni
che copre centinaia di comparti,
dal pubblico al privato, dai servizi all'elettronica, chiedono un
aumento del 6,5% di salari e stipendi e l'assunzione a tempo
indeterminato degli apprendisti.
64 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
Dopo lunghi anni di crescita
moderata o addirittura di crescita
zero delle retribuzioni, è un
segnale deciso e inequivocabile
quello che inviano i due più rappresentativi, e potenti, sindacati
tedeschi - insieme contano oltre
4 milioni di iscritti- chiedendo
all'industria privata e al settore
pubblico forti aumenti delle
retribuzioni.
Una richiesta spropositata secondo gli industriali, che per controbattere alle richieste sindacali si
rifanno da un lato a dati economici congiunturali, sostenendo
che una crescita dei salari così
marcata non rispecchia l'anda-
mento reale dell'economia in un
anno in cui probabilmente ci sarà
una diminuzione delle esportazioni e un indebolimento del
quadro economico, dall'altro ai
dati sull'inflazione, attualmente
del 2,3 per cento circa. Anche i
Comuni e tutti gli enti pubblici
statali criticano le richieste sindacali giudicandole avulse dalla
realtà perché le casse del settore
pubblico, colpite negli ultimi
anni dai tagli del governo per far
quadrare il bilancio dello stato,
sarebbero vuote.
Intervistato da ARD, il primo
canale televisivo pubblico tedesco, Frank Bsirske, leader del sin-
dacato Ver.di, ha dichiarato che i
“dipendenti del settore pubblico
hanno bisogno di retribuzioni
nettamente più alte anche perché
l'andamento dei salari nei due
anni passati non ha coperto il
tasso d'inflazione con una perdita del salario reale dello 0,6 per
cento”. Per Bsirske l'aumento
richiesto è un “segno non solo di
equità sociale,ma anche di raziocinio economico” se si pensa alla
recessione che avvolge l'Europa.
Insomma, per i sindacati gli
aumenti non farebbero altro che
far bene all'economia dando un
impulso alla domanda interna.
Anche per il sindacato dei metalmeccanici ci sono i margini per
aumenti salariali del 6,5 per
cento. Berthold Huber, leader
dell'IG Metall, con un tono piuttosto battagliero ha mandato a
dire agli industriali che la richiesta per i datori di lavoro “non
solo è finanziabile, ma è anche
economicamente
dovuta”.
L'aumento salariale, dice Huber,
“garantirebbe ai dipendenti una
quota partecipativa corretta allo
sviluppo economico”.
La confindustria tedesca ha
attaccato l'IG Metall accusando-
lo di “leggerezza” e giudicandone le richieste come eccessive e
pericolose in ragione del ristagno
economico.
“Una richiesta di queste dimensioni per noi non è immaginabile”, ha affermato Martin
Kannegiesser leader degli industriali del metallo. Secondo
Kannegiesser, ” numeri alla
mano, è motivabile un aumento
del 3 per cento. Il restante 3,5
non ha alcun solido fondamento”.
Difficile se non impossibile capire quale sia il ristagno economico di cui parlano gli industriali
considerando che l'economia
tedesca l'anno scroso è cresciuta
del 3 per cento e che ancora oggi
la gran parte delle industrie quasi
non riescono a evadere gli ordinativi come vorrebbero.
La decisione delle più grandi
case automobilistiche tedesche,
Volkswagen, Mercedes e Audi,
grazie ai successi ottenuti nei
mercati mondiali, di pagare ai
propri dipendenti premi mai
ottenuti sinora, tra i 5.000 e i
10.000 euro, sembrerebbe dare
ragione ai sindacati e allo loro
richieste.
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
65
Dall’Europa
cambiailmondo
GERMANIA
TRA GLI ULTIMI BASTIONI IN EUROPA
SENZA SALARIO MINIMO ORARIO
Un occupato ogni quattro riceve un salario ai limiti della sussistenza
di Massimo Demontis (Berlino)
66 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
La
Germania è nota
come un paese
dove si guadagna
„bene“. Tuttavia il metro per
misurare il guadagnare “bene” è
spesso relativo. Uno studio rivela
che anche qui aumenta il numero
dei lavoratori sottopagati: 8
milioni gli occupati che guadagnano meno di 9,15 euro all'ora.
Una ricerca dell'Istituto per il
lavoro e la qualificazione dell'università di Duisburg-Essen
(Nordreno Westfalia) conferma
una tendenza del mercato del
lavoro tedesco: circa il 23 per
cento degli occupati è impiegato
nel settore dei salari più bassi.
Sono quasi 8 milioni gli occupati
che guadagnano meno di 9,15
euro all'ora. Tendenza in aumento. Dal 1995 al 2010 il numero
degli occupati nel settore degli
stipendi più bassi è cresciuto di
2,3 milioni.
Per il sondaggio i ricercatori
hanno analizzato, sulla base di un
paniere socio-economico, i dati
di oltre 12.000 famiglie prendendo in considerazione per la
prima volta anche alunni, studenti e pensionati a bassa retribuzione sebbene spesso queste
categorie siano occupate in lavori occasionali e stagionali.
Dalla ricerca è merso che nel
2010 gli occupati nel settore dei
salari più bassi hanno guadagna-
to in media 6,60 euro all'ovest e
6,56 euro all'est (cioè i Laender
della ex Germania dell'est).
Degli 8 milioni che non guadagnano oltre la soglia dei 9 euro
all'ora, 4 milioni percepivano un
salario orario di meno di sette
euro, 2,5 milioni meno di 6 euro
e 1,4 milioni addirittura meno di
cinque euro all'ora. Il quadro
drammatico si completa tenendo
presente che la metà di queste
persone lavora a tempo pieno
(generalmente 40 ore alla settimana, ndr.) 800.000 occupati a
tempo pieno costretti dunque a
vivere con meno di 1000 euro
lordi al mese.
La ricerca sembra dare ragione a
chi da anni chiede l'introduzione
su tutto il territorio nazionale del
cosiddetto Mindestlohn, un salario orario minimo di 8,50 euro. Il
Mindestlohn è un vecchio cavallo di battaglia di istituzioni a
carattere sociale, del Die Linke e
dei sindacati Ver.di e IG Metall,
al quale via via si sono associati
anche l'SPD e gli ecologisti tedeschi Die Grünen.
Uno slogan del sindacato Ver.di
a favore del salario orario minimo, “Armut trotz Arbeit” (pove-
ro nonstante abbia un lavoro) fa
capire quale è l'obiettivo di chi ne
richiede l'introduzione a livello
nazionale: ricevere un corrispettivo adeguato per il lavoro svolto
e vivere una vita dignitosa.
Il salario orario minimo non è
una novità perché è già stato
introdotto negli Stati Uniti e in
20 dei 27 paesi dell'Unione europea seppur con alcune differenze. Così si passa dai 7,01 euro
della Gran Bretagna, ai 9,22 euro
della Francia, ai 10,41 Euro del
Lussemburgo.
In Germania, osteggiato non
solo dagli industriali, dai liberali
dell'FDP, dai democristiani della
CDU e dai cristiano sociali bavaresi della CSU, il Mindestlohn si
è comunque imposto negli ultimi
anni in alcune categorie raggiungendo raramente il salario orario
di 8,50 euro. Solo recentemente,
e precisamente in un congresso
tenutosi nel novembre dell'anno
scorso, CDU e CSU si sono
espressi per la prima volta a favore di una soglia minima per il
salario orario senza però sbilanciasi sull'importo esatto. CDU e
CSU continuano a dirsi contrari
a un salario orario minimo impo-
sto per legge su tutto il terriotorio nazionale. Non deve essere la
politica a stabilire il confine della
soglia minima di salario orario,
sostengono CDU e CSU, bensì le
parti sociali tenendo conto di
specificità regionali, di categoria,
aziendali.
Purtroppo, in alcuni casi, nelle
categorie in cui il salario orario
minimo è stato introdotto, per
legge o sulla base di un accordo
tra le parti sociali (azienda - sindacato), talvolta è stato aggirato
o non rispettato dai datori di
lavoro.
Le associazioni degli industriali e
dei commercianti continuano a
rifiutare l'introduzione del salario
orario minimo con la motivazione che distruggerebbe posti di
lavoro in massa.
I ricercatori dell'Istituto per il
lavoro e la qualificazione dell'università di Duisburg-Essen,
come
i
sostenitori
del
Mindestlohn, ritengono invece
un occupato ogni cinque potrebbe trarre profitto dall'introduzione di un salario orario minimo di
8,50 euro.
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
67
cambiailmondo
BERLINO 8 MARZO
In
Germania governa
una donna, ma è davvero un'eccezione:
secondo il recente studio
dell'OCSE su cento dirigenti
solo quattro sono donne contro
la media del 10% dei paesi industrializzati. Mentre il divario nelle
retribuzioni tedesche è, tra i paesi
dell'Ue il più alto, con il 22% di
differenza tra la busta paga di
una donna e quella di un uomo.
Inoltre un quinto delle donne
che lavorano percepiscono salari
infimi contro un decimo degli
uomini.
68 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
Questa rivelazione desta abbastanza stupore nell'opinione
pubblica tedesca, così avvezza a
bacchettare i paesi del sud
dell'Europa, che oltre alla fama
di essere economicamente negligenti, sono considerati estremamente maschilisti (in Italia e in
Spagna il divario è invece pari al
12 percento).
Ma qui, anche se non è diffusa
come in Italia la cultura dell'ammiccamento sessuale, il messaggio mediatico e anche il sentire
comune tende a immaginare la
donna nel ruolo di moglie e
di Paola Giaculli
madre.
In effetti è quasi sempre lei a
occuparsi dei figli e per il 70 percento si fa carico del lavoro in
casa, anche se tra le giovani generazioni si nota un primo miglioramento e circa un quarto degli
uomini va in congedo paternità
(di solito per un periodo molto
inferiore alla donna).
Circa l'82 percento delle donne
che si sposano, secondo un sondaggio del 2010, assumono il
cognome del marito, nonostante
il diritto di famiglia sia stato
modificato più volte e ci sia
ormai la possibilità di mantenere
il proprio nome (e in comune
accordo eventualmente trasmetterlo ai figli), e non sia più obbligatorio, come fino al 1976 adottare il nome del marito.
Quindi anche le più giovani
rinunciano volentieri alla propria
identità a partire dal nome, un
fatto qui del tutto normale e giustificabile con: “almeno si vede
che mi sono sposata” oppure
“così nel colloquio con gli insegnanti sanno subito di chi sono
madre”. La propensione ai lavori
part-time (46% delle donne con
un lavoro che in Germania sono
il 66%) è responsabile per due
terzi del divario retributivo, e
come è noto i lavori part-time
richiedono raramente responsabilità dirigenziali. Resta un ulteriore 8% di divario, dovuto a
pura discriminazione sessuale.
Del resto anche la propensione al
part-time è in qualche modo
obbligata, vista la scarsa diffusione, soprattutto a ovest, di asili
nido, che tra l'altro sono chiusi il
pomeriggio e costringono quindi
a orari di lavoro ridotti o a rinunciare del tutto alla vita professionale.
A est si è conservata ancora la
tradizione della ex Ddr che
garantiva il lavoro sia a donne
che uomini, e la cura dei bambini
veniva affidata agli asili presenti
spesso sul luogo di lavoro.
Insomma con l'annessione della
Ddr alla Rft molti diritti sociali
sono andati perduti e con essi
molte conquiste delle donne.
Forse non tutti sanno che, fino al
1957 nella Germania dell'ovest il
marito doveva dare la propria
autorizzazione affinché il con-
tratto di lavoro della moglie fosse
valido. E fino al 1976 poteva far
licenziare la moglie, se questa trascurava, per motivi di lavoro, il
focolare e la famiglia, ovviamente a giudizio del marito.
L'art. 1 della Costituzione tedesca (1949) non recita che la
Germania (ovest) è una repubblica fondata sul lavoro, bensì che la
dignità delle persone è inviolabile. Viene da chiedersi se le donne
venivano considerate persone.
Del resto la repubblica del dopoguerra governata dal conservatore Adenauer era quanto di più
reazionario e bigotto ci si possa
immaginare: questo era l'avamposto della civiltà occidentale da
difendere contro i comunisti e gli
atei dell'est. Il nuovo diritto di
famiglia del 1976 è frutto del
nuovo vento che soffia dal '68 in
poi, con lo sviluppo del movimento delle donne, la Ostpolitik
di Willy Brandt e i governi della
Spd.
La nuova legge metterà fine al
modello giuridico della famiglia
monoreddito istituito alla fine
dell'800 e ripreso senza soluzione
di continuità dalla Repubblica
federale tedesca nel 1949, in cui è
l'uomo a mantenere la famiglia,
di cui la donna si prende cura.
Nel terzo millennio è tanto più
doloroso constatare una ripresa
della misoginia anche in paesi
come la Germania: l'aggressione
verbale tipica di un periodo di
crisi che si accanisce sui più
deboli, prende di mira anche le
donne.
Come già due anni fa l'esponente socialdemocratico Thilo
Sarrazin se la prendeva coi
musulmani, secondo lui biologi-
camente inferiori, “buoni soli a
produrre tante ragazzine col velo
e economicamente inefficienti,
buoni soli a vendere frutta e verdura”, è in uscita un libro decisamente misogino dal titolo: “Il
sesso disonorato: il necessario
manifesto per l'uomo”.
Tale Ralf Bönts, il suo esecrabile
autore, sostiene che “l'attuale
femminismo non serve a nient'altro che a continuare l'oppressione sugli uomini”.
In altre parole “il femminismo,
che dopo la fine della guerra
fredda sembra dissolversi come
zucchero nel succo di limone
caldo in cui non ci sono più vitamine, non serve più alla costruzione della società del XXI secolo”. Oppure “per le donne tutte
le scuse sono buone per aderire
alla contrapposizione tra vittima
e carnefice, passivo e attivo”.
E sul pene: “Il membro maschile
anche da eretto rimane così morbido che è difficile che possa
arrecare lesioni a un corpo (…)
nei confronti dell'uomo e del suo
membro bisognerebbe portare
più rispetto”.
Detto ciò, non sembra poi tanto
strano che in Germania, Merkel
e la ministra per la famiglia, le
donne, i giovani e gli anziani (qui
non esiste il ministero per le pari
opportunità e il linguaggio
conta), tale Kristina Schröder (34
anni) siano contro le quote nei
consigli di amministrazione delle
imprese. Del resto anche la ministra, appena un mese dopo essere stata nominata, ha cambiato
nome: si era sposata.
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
69
Dall’Europa
cambiailmondo
RUSSIA
OSTACOLO AL MILITARISMO GLOBALISTA
di Tito Pulsinelli (Caracas)
L'
unico presidente gradito ai globalisti fu
Eltsin - Sovranismo e
multipolarismo rafforzati - Si
complica l'aggressione all'Iran 13 ufficiali francesi fatti prigionieri in Siria.
Eh sì, non resta che abbozzare.
“L'ex “spia” del KGB è saldamente al comando nel suo ufficio del Cremlino, a poco sono
servite le ingiurie ed il rumore
mediatico di quanti non ebbero
mai nulla da ridire quando Bush
senior - il “capo delle spie” della
CIA - si istallò alla Casa Bianca.
Il rituale coro di voci bianche
contro la ”frode elettorale”, è
l'inno della confraternita dei
cieco-muti che si inchinarono al
“golpe elettorale” di baby Bush.
Unico presidente per decreto
70 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
giudiziario, non per volonta degli
elettori. Deveno mettersi il cuore
in pace, anche l'apparato militarmediatico ha i suoi limiti.
L'ultimo presidente russo
applaudito da questa gente si
chiamava Eltsin, e lo sostennero
persino quando prese a cannonate la Duma.
“Putin III” scarabocchiano
senza vergogna gli scrivani che
dissero “está bien señor” a Felipe
Gonzalez durante i 13,5 anni in
cui governò la Spagna. Idem per
Helmut Kohl (16 anni al governo
in Germania Federale nrd).
Impotenti per evitare che l'uomo
che più temevano diriga la
Russia. Putin, ovvero un “sovranista”, un deciso sostenitore del
multipolarismo, è nella cabina di
regia. Per le oligarchie finanzia-
rie - interne ed internazionali - è
un ostacolo insormontabile per
appropriarsi del potere politico.
Nel grande Paese eurasiatico, il
potere economico e quello politico rimarranno separati, come
una barriera solida contro l'alleanza bellica tra gli anemici USA e
la boccheggiante rete vassalla
europea. Pazienza, dovranno
aspettare i posseduti dalla fregola di “aprire” mercati (altrui) e
fare man bassa di risorse, imprese, economie e governi (altrui).
La Russia non è una “zona geografica” dove la banca internazionale può governare designando un proprio manager (Grecia,
Italia).
Le elezioni russe sanciscono che
il “fascino indiscreto” del globalismo esce malconcio. Dietro
Putin, si piazza il comunista
Ziuganov, poi l'ultranazionalsita
Zirinosky e - buon ultimo - l'oligarca sponsorizzato da Bruxelles
e Washington.
Tutti costoro - meno il primo - si
sono riuniti con Putin, riconoscendo la legittimità della sua
leadership. La Russia sceglie la
continuità di un ciclo che l'ha traghettata fuori dall'epoca buia di
mafie giunte al potere sull'onda
del furore privatizzatore, dello
strapotere dei monopoli stranieri
e della servitù all'occidente.
Difesa del recupero delle risorse
primarie dichiarate beni strategici
nazionali, riedificazione dell'istituzionalità e di un contratto
sociale distrutto da Gorbaciov e
da Eltsin. Rinascita di una forza
armata indispensabile per difendere la sovranità.
Il multipolarismo si rafforza e con esso - un muro di contenzione all'avventurismo globalista
che ha dato piena prova di sè
con la disintegrazione della Libia,
dove la riedizione dell'antica
politica delle cannoniere si basa
oggi su “diritti umani” ad estensione variabile. Atti a garantire le
nuove depredazioni dei Paesi
Industrializzati
Altamente
Indebitati (PIAI). L'affrettata e
meccanica ripetizione in Siria è
fallita perchè Pechino e Mosca si
sono messe di traverso, fornendo
sostegno diplomatico, commer-
ciale ed economico.
Putin ha fornito la tecnologia
militare che ha reso impossibile
all'aviazione “dirittoumanista”
straniera bombardare impunemente; ha potenziato la base
navale mediterranea e il centro
radaristico già pienamente operativo in epoca sovietica.
L'aviazione siriana è rimasta
intatta.
Nonostante l'invio di kommandos USA, inglesi, francesi, giordani, turchi e libici, a Damasco
fallisce il ricambio di governo
forzato.
Tredici ufficiali francesi sono
stati catturati, e sono oggetto di
una trattativa sotterranea tra i
siriani e Sarkozy, ormai sull'orlo
del collasso.
Il vertice Obama-Netaniahu,
fatta la tara dei comunicati altisonanti, ha indicato che gli Stati
Uniti si ritrovano nell'inedito
ruolo di “guardaspalle” di
Israele. Gli interessi elettorali tra
i due alleati sono contrastanti, e
confermano che Tel Aviv non
può continuare con il grottesco
“gli spacco la faccia o fermatelo
voi”. Se agisce, dovrà farlo da
solo, ma Israele non può vincere
una guerra contro l'intero Medio
oriente, perchè perse l'ultima
contro Hezbollah.
La questione iraniana non si
risolve con un semplice bombardamento, nè con dieci mesi di
bombardamenti in “stile libico”,
e coinvolge direttamente la Cina
e l'India come acquirenti di
petrolio. E il resto delle nazioni
del BRIC, allarmate dai seriali
attentati alla sovranità e dalla
militarizzzazione delle rotte
marittime che mettono in pericolo gli scambi internazionali.
L'ombra di Putin si staglia
minacciosa sul ciclotimico orizzonte vieppiù immediatista dei
PIAI.
Nel frattempo, la Francia rispedisce a Damasco l'ambasciatore
Eric Chevallier, a mercanteggaire
la liberazione degli ufficiali, e fa
riflettere tutti quelli che chiusero
precipitosamente le loro sedi
diplomatiche.
Se l'Europa avesse una geopolitica, cioè se non fosse ostaggio
d'un gruppo dirigente fallimentare, si preoccuperebbe di quale
posto occupare nel nuovo quadro multipolare.
Purtroppo, non è così, e rimane
legata al carro dell'ex potenza
egemonica, ormai manifestamente incapace di dettare la propria legge al mondo. Siamo nelle
mani della britannica signorina
Ashton, alla testa della politica
estera europea per volontà dell'elite atlantista e della regina.
FONTE: selvasorg.blogspot.com
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
71
Dall’Europa
cambiailmondo
FRANCIA
LA LEZIONE DEL CONSIGLIO COSTITUZIONALE
NEL CONTENZIOSO FRANCO-TURCO
SUL GENOCIDIO ARMENO
di G.Z. Karl
N
egli ultimi mesi, ha sollevato molta tensione nei rapporti bilaterali franco-turchi
la volontà francese, segnatamente del
Presidente Sarkozy, di approvare una legge che
punisse coloro i quali intendano negare la realtà
storica del genocidio degli armeni.
È chiaro come, dietro una simile legge, vi fossero
in gioco interessi attuali di vario tipo, soprattutto di
tipo politico. Vi era, difatti, l'interesse di Sarkozy a
ottenere, in vista delle prossime presidenziali, il
voto dei cittadini francesi di origine armena, la cui
comunità in Francia è particolarmente numerosa.
Vi era, al contrario, l'interesse dalla Turchia a far in
modo che il genocidio degli armeni non fosse riconosciuto. Ciò avrebbe in pratica comportato, da un
lato, l'impossibilità per i politici turchi, qualora si
fossero recati in Francia, di esprimersi pubblicamente sull'argomento là dove in proposito fossero
72 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
stati interrogati, ad esempio, dai giornalisti.
Dall'altro lato, una simile legge avrebbe potuto,
forse, aprire la strada a citazioni in giudizio in
Francia contro la Turchia per risarcimenti danni da
parte dei discendenti degli armeni vittime del genocidio.
Mesi di polemiche hanno costellato le relazioni tra
i due paesi, tanto che la Turchia ha finito per richiamare in patria il proprio Ambasciatore una volta
che la legge era stata approvata dall'Assemblea
Nazionale francese lo scorso gennaio.
È interessante, tuttavia, notare, anche ai fini del
dibattito politico italiano, il modo in cui è stato
risolto tutto il contenzioso (intenso anche in senso
lato) all'interno del sistema francese. La
Costituzione francese prevede, infatti, che 60 parlamentari possano, nell'ipotesi in cui si sospetti che
una legge approvata dall'Assemblea Nazionale sia
incostituzionale, rinviare pregiudizialmente tale
legge all'esame del Consiglio Costituzionale, prima
cioè che venga promulgata dal Presidente della
Repubblica.
Il Consiglio Costituzionale francese ha considerato, a sua volta, incostituzionale la legge sulla negazione del genocidio armeno, impedendone così
l'entrata in vigore. Sui mezzi d'informazione, si è
dato unicamente risalto alla parte della decisione
del Consiglio Costituzionale relativa alla censura
delle legge per contrasto col principio della libertà
di espressione del pensiero. A ben vedere, tuttavia,
il Consiglio Costituzionale non si è limitato a questa motivazione, ma ha censurato la legge in questione richiamandosi ad alcuni princìpi fondamentali del sistema francese e risalenti peraltro alla
Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino
del 1789. In primo luogo, la legge è stata censurata
in quanto è stato ritenuto che essa non sia “espressione della volontà generale”. Ciò vuol dire che la
legge in questione si configurava come un provvedimento di amministrazione e non aveva una portata normativa generale, ossia non era rivolta a
disciplinare situazioni generali e astratte bensì
situazione singole, concrete e determinate. In
secondo luogo, è stato rilevato che la legge censurata violava il riparto di competenze stabilito dalla
Costituzione francese. In sostanza, la legge invadeva le sfere di competenza assegnate dalla
Costituzione principalmente al potere giudiziario.
Pensiamo ora a cosa sarebbe successo se in Italia
fosse stato riconosciuto ai gruppi di opposizione di
rivolgersi
preventivamente
alla
Corte
Costituzionale denunciando i provvedimenti ad
personam di Berlusconi e della sua maggioranza. E
pensiamo anche a quante numerose leggi prive di
portata generale e astratta verrebbero normalmente censurate dalla Corte Costituzionale, grazie a un
simile meccanismo e ove il nostro sistema costituzionale prevedesse al pari di quello francese alcune
più stringenti garanzie in tema di formazione delle
leggi e separazione dei poteri. Pensiamo, infine, a
quale effetto benefico ha avuto la decisione del
Consiglio Costituzionale finendo per affievolire
una situazione di tensione molto forte che si era
creata tra Francia e Turchia.
Basta questo semplice specchio riassuntivo della
situazione appena descritta per capire quanta
pochezza politica e di studio promani dal testo di
riforma costituzionale a cui sta lavorando la maggioranza che sostiene il Governo Monti, in cui
come di consueto l'unica preoccupazione è quella
di ridurre la rappresentanza democratica, di diminuire le già scarne garanzie costituzionali vigenti, di
aumentare i poteri di arbitrio di singole persone (ad
esempio, il Presidente del Consiglio), anziché preoccuparsi di studiare e proporre meccanismi come
quello appena descritto che, a prescindere dal merito del contenzioso franco-turco, consentirebbero,
finalmente, di avere una buona e rigorosa amministrazione anche nel nostro Paese.
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
73
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CRISI
ULTIMO AVVISO AI NAVIGANTI
Lettera aperta sulla crisi dell'Europa:
cambiare strada per sconfiggere la recessione,
cambiare strada finché c'è ancora tempo.
a:
-
il Parlamento Europeo
la Commissione Europea
il Consiglio d'Europa
il Presidente della Banca Centrale Europea
il Governo e il Parlamento della Repubblica
Italiana
- i rappresentanti italiani presso le istituzioni
dell'Unione europea
- i rappresentanti delle forze politiche e sociali
e per opportuna conoscenza:
- il Presidente della Repubblica Italiana
"Nel quinto anno della crisi globale più grave da
quella del 1929, una drammatica prospettiva di
recessione incombe sull'Europa mettendone a
rischio non solo l'Euro ma anche il modello sociale e l'ideale della “piena e buona occupazione”, pur
sancito in tutte le strategie europee, a partire
dall'Agenda di Lisbona. È proprio nel Vecchio
Continente infatti che si stanno ostinatamente portando avanti politiche economiche fortemente
depressive che minacciano un aumento della disoccupazione, specialmente giovanile e femminile.
Non a caso il FMI afferma che, anche a causa di
74 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
ciò, il mondo corre il rischio di una nuova “grande
depressione” stile anni '30.
Eppure, si è scelta la linea dell'austerità, del rigore
di bilancio - a cominciare dal Patto di Stabilità e
Crescita, passando per il Patto Euro Plus, per arrivare all'attuale “Fiscal Compact” - con l'idea di
contrarre il perimetro statale continuando a sperare che i privati aumentino investimenti e consumi,
sulla base della fiducia indotta dalle immissioni di
liquidità nel circuito bancario, a sua volta “sollecitato” ad acquistare titoli di stato europei. Si è, dunque, deliberatamente optato per la non-correzione
delle distorsioni strutturali di un modello di sviluppo economico basato sui consumi individuali, sull'ipertrofia della finanza, sul sovrautilizzo delle
risorse naturali e sull'indebitamento, in contraddizione con il modello sociale europeo.
Si è nuovamente scelta una politica monetarista e
liberista. Si è pensato di contrarre i deficit pubblici
- e con essi spesa e investimenti pubblici - per
ridurre il ricorso all'indebitamento, nel tentativo di
arginare gli attacchi speculativi sui debiti sovrani,
sperando così di salvare l'Euro e i precari equilibri
economici tra gli Stati Membri. Ma non sta funzionando, perché non può funzionare.
Non basta scommettere sulle aspettative dei mercati finanziari, degli investitori privati, delle banche,
dei consumatori. Non è sufficiente puntare sulla
“credibilità” dei governi.
In Europa, ne sono cambiati ben cinque in 18 mesi
(Irlanda, Portogallo, Spagna, Grecia e Italia), addirittura con due governi tecnici sostenuti da larghe
maggioranze.
La “crisi dei governi nazionali” è solo una delle tre
crisi che si sovrappongono: restano da affrontare la
“crisi delle economie nazionali” e la “crisi dell'economia sovranazionale”.
Solo così, peraltro, si possono risolvere le debolezze strutturali delle democrazie nazionali piegate
dagli interessi economico-finanziari costituiti.
L'attuale quadro europeo rappresenta il frutto di
una serie impressionante di errori: il mancato salvataggio iniziale della Grecia, che ha portato al
dramma odierno di quel Paese, a cui è seguito il
contagio degli altri debiti sovrani, con l'aggravante
delle politiche deflattive imposte indiscriminatamente a tutti i Paesi dell'Unione monetaria.
Le principali fonti statistiche istituzionali prefigurano per il 2012 un'Europa divisa fra paesi in stagnazione e paesi in recessione, senza alcuna ripresa
dell'occupazione. Tutto questo si sommerà alla
prosecuzione delle tensioni sugli interessi dei titoli
di lungo periodo della maggioranza degli Stati che
inevitabilmente proseguirà.
La disoccupazione ha assunto carattere strutturale.
Il commercio internazionale registra un'imponente
flessione e aumentano le misure protezionistiche. I
Paesi emergenti rallentano vistosamente la crescita.
Aumentano i poveri e le disuguaglianze sociali.
Crollano le produzioni, i consumi, i risparmi e gli
investimenti. Eppure, è evidente che tutte le linee
di politica economica e di finanza pubblica adottate sinora non sono altro che una risposta alle sole
conseguenze della crisi globale scoppiata nel 2008,
ma non alle cause alla radice della stessa, in questo
modo acuendone e persino moltiplicandone gli
effetti.
Il double dip e il fendente speculativo sui debiti
sovrani europei rappresentano un continuum della
crisi scoppiata nel 2008 dovuto anche alla sottovalutazione scientifica della natura strutturale della
recessione globale. È ormai noto che la crisi finanziaria è scaturita dal debito privato e che l'attuale
stress dei bilanci pubblici è solo conseguenza e non
causa della stessa crisi, anche se ciò sta ora creando un rischio di default per alcuni Paesi.
La crisi finanziaria ha avuto inizio nella seconda
metà del 2007 e la sequenza è stata: scoppio della
bolla immobiliare, crisi finanziaria, credit crunch,
recessione, aumento dei disavanzi e dei debiti (per
stabilizzatori automatici, manovre di sostegno
all'economia reale e soprattutto salvataggi delle
banche), attacco ai debiti sovrani, risposte sbagliate delle politiche economiche a partire dal 2009.
Le cause della crisi - identificate anche dal FMI,
dalla Commissione europea, dall'ILO e da molte
altre istituzioni internazionali - sono riscontrabili
nell'aumento delle disuguaglianze, nel formarsi di
squilibri strutturali nei rapporti commerciali tra i
diversi Paesi e nella degenerazione della finanza.
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
75
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Questa è una crisi di modello e occorre una riforma del modello per ritrovare la ripresa. Bisogna
assumere uno sguardo più vasto, una prospettiva di
lungo periodo. Nemmeno i paesi europei in avanzo commerciale, nei prossimi anni, potranno contare su una “locomotiva” americana o cinese, tanto
meno sulla capacità di assorbimento degli altri
paesi europei. Anzi, proprio la divergenza competitiva dei Paesi dell'Area Euro impedisce la risoluzione della crisi.
Inutile spostare la svalutazione competitiva dalla
moneta ai costi della produzione e, più precisamente, al costo del lavoro. Inutile ridurre le pensioni, i beni collettivi e lo stato sociale. Questa è una
crisi di domanda. La lezione che viene dalla crisi è
chiara.
Il nodo che oggi si pone in Europa sta nel decidere se il riequilibrio inevitabile avverrà attraverso la
“depressione” (con una ricaduta regressiva e
democraticamente pericolosa) oppure con lungimiranti scelte di cooperazione, rilanciando l'origi76 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
cambiailmondo
naria “spinta” europeista, evitando che i paesi in
disavanzo non intervengano sui propri squilibri e,
allo stesso tempo, che i paesi che hanno approfittato dell'Euro (come la Germania) accumulino surplus invece di svolgere la funzione di locomotiva a
cui sono tenuti in un contesto di moneta unica.
La partita non è ancora chiusa ma la risorsa tempo
è drammaticamente scarsa. Occorre un salto di
qualità nel promuovere e organizzare una proposta
alternativa.
In questo quadro, le iniziative dei governi nazionali, comprese quelle del governo dei tecnici in Italia,
non sono in grado di scongiurare il rischio di
default finanziario di alcuni Paesi, rischio aggravato dall'effetto depressivo delle politiche europee e
delle conseguenti politiche degli stessi governi.
Abbiamo bisogno di nuova crescita economica ma
questa non può che essere una crescita “nuova”,
anche in direzione di un'economia della
conoscenza e di un'economia sostenibile in termini ambientali, distributivi e sociali.
Oggi più che mai “cosa produrre” è importante
almeno quanto “come produrre”.
Ci vuole un nuovo modello in cui lo Stato e le istituzioni sovranazionali orientino i risparmi, gli investimenti e lo sviluppo.
È necessario dunque un programma di riforme
appoggiato sui lineamenti di una nuova politica
economica, ispirata da una nuova idea di sostenibilità di lungo periodo, economica, sociale, ambientale e intergenerazionale, fondata, in primo luogo,
su investimenti e consumi collettivi.
L'equità è la frontiera su cui orientare le scelte politiche nazionali e internazionali.
Ridurre le disuguaglianze vuol dire crescere e crescere bene. Ridurle fra popoli, fra nazioni e all'interno degli stati. Non a caso i paesi europei con
minori diseguaglianze - e quindi con gli indici di
concentrazione del reddito e della ricchezza più
bassi - sono anche quelli che stanno soffrendo
meno la crisi e che si sono sviluppati meglio, con
più PIL pro-capite e benessere diffuso (per limitarci all'Europa: Danimarca, Francia, Germania,
Finlandia, Olanda, Svezia, Norvegia).
Per questo, all'interno di un progetto di armonizzazione fiscale europea, ci vuole un riequilibrio dei
singoli sistemi fiscali nazionali per aumentare la
tassazione sulle grandi concentrazioni di reddito e
di rendita, tassare le grandi ricchezze parassitarie e
liberare le risorse private tenute imprigionate,
aumentare la spesa e gli investimenti pubblici.
In sintesi, bisogna ripartire dal lavoro.
Bisogna realizzare piani di spesa pubblica diretta
per il lavoro e per gli investimenti - a partire da
quelli verdi, infrastrutturali, ad alta intensità tecnologica e di conoscenza - finanziati con una tassazione ad hoc e anche in disavanzo, se necessario,
tenendo insieme domanda e offerta.
In altre parole: “socializzare gli investimenti e l'occupazione” per riqualificare l'offerta e aumentarne
la produttività, sostenendo la domanda e, al tempo
stesso, contenendo l'inflazione e il rapporto debito/PIL nel medio-lungo periodo.
La capacità dello Stato di elaborare strategie di
investimento per realizzare questi obbiettivi può
essere una leva anche per la mobilitazione del
risparmio privato.
L'imprescindibile disciplina di bilancio, in ragione
del consolidamento strutturale nel lungo periodo,
va realizzata in modo lungimirante ma coerente
con la scelta della via alta della competitività, della
ricerca della piena occupazione e della qualità delle
produzioni, con l'aiuto e lo stimolo dell'intervento
pubblico, coordinato a livello europeo.
È proprio l'inadeguata architettura dell'Euro che
offre l'opportunità alla speculazione di agire.
Il disegno istituzionale dell'Euro priva i singoli
paesi della possibilità di emettere moneta e di svalutare. Ma non garantisce il debito pubblico.
Qualunque paese può essere aggredito, con successo, in queste condizioni. Chi specula, infatti, non
dovrà temere né la svalutazione, né l'acquisto di
titoli da parte della Banca Centrale.
L'attuale configurazione della BCE mette gli stati
dell'Euro in soggezione dei mercati. Condizione
necessaria alla realizzazione di politiche alternative
diventa il rafforzamento della governance democratica europea, attraverso innanzitutto l'europeizzazione del debito dei Paesi dell'Unione monetaria
e la modifica dei trattati europei affinché la BCE
possa emettere moneta a garanzia dei debiti pubblici e diventare a tutti gli effetti “prestatore di ultima istanza”.
Numerose le proposte in tal senso; come quella
presentata dai “cinque saggi” tedeschi che pensano
ad un fondo che smaltisca nel lunghissimo periodo
la parte di debiti pubblici europei che eccede il
60%. Basterebbe prendere le proposte in considerazione e non derubricarle ideologicamente.
L'Europa non è stabile e non cresce.
Il Patto di Stabilità e Crescita è certamente fallito,
non perché non sia stato ben applicato, semplicemente perché non poteva funzionare.
Il Patto di stabilità andrebbe non rafforzato, ma
cambiato. Invece del solo indebitamento pubblico,
i parametri vincolanti di riferimento dovrebbero
comprendere il debito totale - somma del debito
pubblico e privato -, il debito sull'estero e il saldo
della bilancia dei pagamenti di ciascun Paese.
È necessario inoltre includere tra i parametri un
obbiettivo di crescita e un obbiettivo occupazionale perché l'Europa deve tornare a porsi la finalità
della piena occupazione.
Bisognerebbe, appunto, partire dalla crescita e non
dalla stabilità, per regolare su di essa la politica
macroeconomica, definendo poi il tasso di inflazione e il livello dei deficit pubblici accettabili in
una determinata fase, articolando il tutto tra i vari
paesi dell'Unione anche con l'obbiettivo di ridurne
le divergenze di competitività.
Occorre recuperare una politica industriale, euromarzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
77
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pea e dei singoli Stati, in grado di sostenere e riorganizzare i fattori per una “nuova crescita”, anche
imponendo un modello redistributivo funzionale
alla sua implementazione ed alla sua qualità.
D'altra parte, la crisi può essere scongiurata solo se
il peso del riequilibrio commerciale e finanziario
graverà oltre che sulle spalle dei paesi debitori
anche su quelle dei paesi creditori, attraverso
un'espansione della domanda da parte di questi
ultimi.
In questa prospettiva è necessaria una politica dei
redditi europea fondata sulla leva fiscale, sul welfare e, soprattutto, su uno “standard retributivo
europeo” che garantisca, a livello di area e con le
differenze coerenti con l'obbiettivo della convergenza dei livelli di competitività, una crescita delle
retribuzioni reali almeno uguale alla crescita della
produttività.
Tutto ciò significa avere una strategia di crescita a
livello europeo e far compiere sia pure gradualmente un salto all'unità politica.
Queste sono le prerogative per l'avvio di una vera
unificazione fiscale, distinguendo il “debito
buono” dal “debito cattivo” come condizione per
politiche di sviluppo di dimensione europea, stimolando la definanziarizzazione delle economie
avanzate e il controllo dei movimenti di capitale
(cominciando con la separazione delle banche
commerciali e da quelle di investimento e con l'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie internazionali che può servire a limitare la libertà di movimento speculativo dei capitali) in funzione delle prospettive dell'economia reale, riaprendo
78 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
cambiailmondo
così una prospettiva di futuro per le nuove generazioni.
Le istituzioni europee vanno, per questo, democratizzate rafforzando il Parlamento europeo e introducendo il voto a maggioranza qualificata ed il
peso dei diversi Stati secondo la loro popolazione.
Il presente appello vuole proporre un ultimo
“avviso ai naviganti”.
Pur consapevoli delle difficoltà e delle spinte diverse che portano le istituzioni europee e i governi
nazionali ad adottare politiche di corto respiro
strategico e riformatore, crediamo che la visione
dei conservatori europei non possa costituire una
soluzione alla crisi. Le politiche europee attuali
insistono su un approccio sbagliato.
A tutti coloro che - in buona fede - continuano a
credere nei presupposti scientifici in base ai quali si
ritiene che attraverso le politiche in atto si possa
migliorare la situazione economica e finanziaria globale, europea e nazionale (compresa quella italiana),
suggeriamo di “dubitare” delle loro posizioni.
A tutti coloro, invece, più consapevoli dell'impatto
economico e sociale che la politica delle disuguaglianze e dell'austerità incentrata sul mantra “meno
Stato, più mercato” sta generando sull'umanità,
chiediamo di assumere un atto di denuncia e di
responsabilità per correggere una traiettoria altrimenti irrimediabilmente segnata.
Occorrono il coraggio e la visione per imporre una
nuova politica economica.
A tutti coloro che dispongono di questo coraggio
e di questa visione, chiediamo di usarli per cambiare la storia.
Prime Adesioni
Acocella Nicola Università' di Roma "La Sapienza",
Amato Massimo Università Bocconi, Andriani Silvano
Presidente CESPI, Antonelli Cristiano Università di
Torino, Arachi Giampaolo Università del Salento, Artoni
Roberto Università Bocconi, Baranes Andrea Economista,
Biasco Salvatore Università La Sapienza Roma, Bosi
Paolo Università di Modena , Brancaccio Emiliano
Università del Sannio, Cacace Nicola Presidente Onesis di
Roma, Canale Rosaria Rita Università di Napoli
"Parthenope", Carlo Giannone Università del Sannio,
Carra Aldo Economista, Caselli Gian Paolo Università di
Modena e Reggio E., Cesaratto Sergio Università di Siena,
Clericetti Carlo Giornalista Economico, De Marzo
Giuseppe Portavoce Associazione A Sud, De Vivo
Giancarlo Università di Napoli "Federico II", Devillanova
Carlo Università Bocconi, Di Maio Amedeo Università di
Napoli L'Orientale, Eboli Maria Giuseppina Università
La Sapienza Roma, Fantacci Luca Università Bocconi,
Ferrari Sergio già Direttore Generale ENEA, Franzini
Maurizio Università' di Roma "La Sapienza", Gianni
Alfonso già Sottosegretario di Stato Tesoro e Bilancio,
Ginzburg Andrea Università di Modena e Reggio E.,
Gnesutta Claudio Università La Sapienza Roma,
Gottardi Donata Università di Verona, Granaglia Elena
Università Roma Tre, Grillo Michele Università Cattolica
di Milano, Leon Paolo Università Roma Tre, Leoni
Riccardo Università di Bergamo, Lettieri Antonio
Presidente Centro Internazionale di Studi Sociali,
Lucarelli Stefano Università di Bergamo, Macciotta
Giorgio già Sottosegretario di Stato tesoro e bilancio,
Marcon Giulio Portavoce della campagna Sbilanciamoci,
Masina Pietro Università di Napoli L'Orientale, Merletto
Gerardo Università di Sassari, Militello Giacintogià com-
ponente Comm. Antitrust, Montebugnoli Alessandro
Università' di Roma "La Sapienza", Paladini Ruggero
Università' di Roma "La Sapienza", Palma Daniela
ENEA, Pennacchi Laura Fondazione Basso, Petri Fabio
Università di Siena, Pini Paolo Università di Ferrara,
Pizzuti Felice Roberto Università La Sapienza Roma,
Pochini Silvia Universita di Pisa, Raitano Michele
Università' di Roma "La Sapienza", Ramazzotti Paolo
Università di Macerata, Ricci Andrea Economista
ISFOL, Ricci Gilberto Economista, Ricottilli Massimo
Università di Bologna, Romano Roberto Economista,
Ruffolo Giorgio Presidente Centro Europa Ricerche, Russo
Vincenzo Università La Sapienza Roma, Scacciati
Francesco Università di Torino, Sdogati Fabio Politecnico di
Milano, Solari Stefano Università di Padova, Stirati
Antonella Università Roma Tre, Stroffolini Francesca
Università di Napoli "Federico II", Sylos Labini Stefano
Ricercatore ENEA, Tamborini Roberto Università di
Trento, Tiberi Mario Università La Sapienza Roma,
Tomassi Federico Università' di Roma "La Sapienza",
Travaglini Giuseppe Università di Urbino Carlo Bo, Visco
Vincenzo Presidente NENS, già Ministro delle Finanze
Per aderire alla petizione: http://www.cgil.it/petizione/
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
79
cambiailmondo
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appello
SALVIAMO LA GRECIA DAI SUOI SALVATORI!
“Nel momento in cui un giovane greco su due è
disoccupato, 25.000 persone senza tetto vagano
per le strade di Atene, il 30 per cento della popolazione è ormai sotto la soglia della povertà, migliaia
di famiglie sono costrette a dare in affidamento i
bambini perché non crepino di fame e di freddo e
i nuovi poveri e i rifugiati si contendono l'immondizia nelle discariche pubbliche, i “salvatori” della
Grecia, col pretesto che i Greci “non fanno abbastanza sforzi”, impongono un nuovo piano di aiuti
che raddoppia la dose letale già somministrata. Un
piano che abolisce il diritto del lavoro e riduce i
poveri alla miseria estrema, facendo contemporaneamente scomparire dal quadro le classi medie.
L'obiettivo non è il “salvataggio”della Grecia: su
questo punto tutti gli economisti degni di questo
nome concordano. Si tratta di guadagnare tempo
per salvare i creditori, portando nel frattempo il
Paese a un fallimento differito.Si tratta soprattutto
di fare della Grecia il laboratorio di un cambiamento sociale che in un secondo momento verrà generalizzato a tutta l'Europa. Il modello sperimentato
sulla pelle dei Greci è quello di una società senza
80 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
servizi pubblici, in cui le scuole, gli ospedali e i
dispensari cadono in rovina, la salute diventa privilegio dei ricchi e la parte più vulnerabile della
popolazione è destinata a un'eliminazione programmata, mentre coloro che ancora lavorano
sono condannati a forme estreme di impoverimento e di precarizzazione.
Ma perché questa offensiva neoliberista possa
andare a segno, bisogna instaurare un regime che
metta fra parentesi i diritti democratici più elementari. Su ingiunzione dei salvatori, vediamo quindi
insediarsi in Europa dei governi di tecnocrati in
spregio della sovranità popolare. Si tratta di una
svolta nei regimi parlamentari, dove si vedono i
“rappresentanti del popolo” dare carta bianca agli
esperti e ai banchieri, abdicando dal loro supposto
potere decisionale. Una sorta di colpo di stato parlamentare, che fa anche ricorso a un arsenale
repressivo amplificato di fronte alle proteste popolari. Così, dal momento che i parlamentari avranno
ratificato la Convenzione imposta dalla Troika (Ue,
Bce, Fmi), diametralmente opposta al mandato che
avevano ricevuto, un potere privo di legittimità
democratica avrà ipotecato l'avvenire del Paese per
30 o 40 anni.
Parallelamente, l'Unione europea si appresta a istituire un conto bloccato dove verrà direttamente
versato l'aiuto alla Grecia, perché venga impiegato
unicamente al servizio del debito. Le entrate del
Paese dovranno essere “in priorità assoluta” devolute al rimborso dei creditori e, se necessario, versate direttamente su questo conto gestito dalla Ue.
La Convenzione stipula che ogni nuova obbligazione emessa in questo quadro sarà regolata dal
diritto anglosassone, che implica garanzie materiali, mentre le vertenze verranno giudicate dai tribunali del Lussemburgo, avendo la Grecia rinunciato
anticipatamente a qualsiasi diritto di ricorso contro
sequestri e pignoramenti decisi dai creditori. Per
completare il quadro, le privatizzazioni vengono
affidate a una cassa gestita dalla Troika, dove saranno depositati i titoli di proprietà dei beni pubblici..
In altri termini, si tratta di un saccheggio generalizzato, caratteristica propria del capitalismo finanziario che si dà qui una bella consacrazione istituzionale.
Poiché venditori e compratori siederanno dalla
stessa parte del tavolo, non vi è dubbio alcuno che
questa impresa di privatizzazione sarà un vero
festino per chi comprerà.
Ora, tutte le misure prese fino a ora non hanno
fatto che accrescere il debito sovrano greco, che,
con il soccorso dei salvatori che fanno prestiti a
tassi di usura, è letteralmente esploso sfiorando il
170% di un Pil in caduta libera, mentre nel 2009
era ancora al 120%. C'è da scommettere che questa
coorte di piani di salvataggio - ogni volta presentati come 'ultimi'- non ha altro scopo che indebolire
sempre di più la posizione della Grecia, in modo
che, privata di qualsiasi possibilità di proporre da
parte sua i termini di una ristrutturazione, sia
costretta a cedere tutto ai creditori, sotto il ricatto
“austerità o catastrofe”.
L'aggravamento artificiale e coercitivo del problema del debito è stato utilizzato come un'arma per
prendere d'assalto una società intera. E non è un
caso che usiamo qui dei termini militare: si tratta
propriamente di una guerra, condotta con i mezzi
della finanza, della politica e del diritto, una guerra
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
81
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di classe contro un'intera società. E il bottino che
la classe finanziaria conta di strappare al 'nemico'
sono le conquiste sociali e i diritti democratici, ma,
alla fine dei conti, è la stessa possibilità di una vita
umana. La vita di coloro che agli occhi delle strategie di massimizzazione del profitto non producono
o non consumano abbastanza non dev'essere più
preservata.
E così la debolezza di un paese preso nella morsa
fra speculazione senza limiti e piani di salvataggio
devastanti diviene la porta d'entrata mascherata
attraverso la quale fa irruzione un nuovo modello
di società conforme alle esigenze del fondamentalismo neoliberista. Un modello destinato
all'Europa intera e anche oltre. È questa la vera
questione in gioco. Ed è per questo che difendere
il popolo greco non si riduce solo a un gesto di
solidarietà o di umanità: in gioco ci sono l'avvenire
della democrazia e le sorti del popolo europeo.
Dappertutto la “necessità imperiosa” di un'austerità dolorosa ma salutare ci viene presentata come il
mezzo per sfuggire al destino greco, mentre vi conduce dritto.
Di fronte a questo attacco in piena regola contro la
società, di fronte alla distruzione delle ultime isole
di democrazia, chiediamo ai nostri concittadini, ai
nostri amici francesi e europei di prendere posizione con voce chiara e forte. Non bisogna lasciare il
82 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
cambiailmondo
monopolio della parola agli esperti e ai politici.
Il fatto che, su richiesta dei governanti tedeschi e
francesi in particolare, alla Grecia siano ormai
impedite le elezioni può lasciarci indifferenti?
La stigmatizzazione e la denigrazione sistematica di
un popolo europeo non meritano una presa di
posizione? È possibile non alzare la voce contro
l'assassinio istituzionale del popolo greco?
Possiamo rimanere in silenzio di fronte all'instaurazione a tappe forzate di un sistema che mette fuori
legge l'idea stessa di solidarietà sociale?
Siamo a un punto di non ritorno.
È urgente condurre la battaglia di cifre e la guerra
delle parole per contrastare la retorica ultra-liberista della paura e della disinformazione.
È urgente decostruire le lezioni di morale che
occultano il processo reale in atto nella società. E
diviene più che urgente demistificare l'insistenza
razzista sulla “specificità greca” che pretende di
fare del supposto carattere nazionale di un popolo
(parassitismo e ostentazione a volontà) la causa
prima di una crisi in realtà mondiale. Ciò che conta
oggi non sono le particolarità, reali o immaginari,
ma il comune: la sorte di un popolo che contagerà
tutti gli altri.
Molte soluzioni tecniche sono state proposte per
uscire dall'alternativa “o la distruzione della società
o il fallimento” (che vuol dire, lo vediamo oggi, sia
la distruzione sia il fallimento). Tutte vanno prese
in considerazione come elementi di riflessione per
la costruzione di un'altra Europa. P
rima di tutto però bisogna denunciare il crimine,
portare alla luce la situazione nella quale si trova il
popolo greco a causa dei “piani d'aiuto” concepiti
dagli speculatori e i creditori a proprio vantaggio.
Mentre nel mondo si tesse un movimento di sostegno e Internet ribolle di iniziative di solidarietà, gli
intellettuali saranno gli ultimi ad alzare la loro voce
per la Grecia?
Senza attendere ancora, moltiplichiamo gli articoli,
gli interventi, i dibattiti, le petizioni, le manifestazioni. Ogni iniziativa è la benvenuta, ogni iniziativa
è urgente.
Da parte nostra ecco che cosa proponiamo: andare velocemente verso la formazione di un comitato europeo di intellettuali e di artisti per la solidarietà con il popolo greco che resiste.
Se non lo facciamo noi, chi lo farà?
Se non adesso, quando?”
Prime adesioni:
Daniel Alvaro, Alain Badiou, Jean-Christophe Bailly,
Etienne Balibar, Fernanda Bernardo, Barbara Cassin,
Bruno Clement, Danièle Cohen-Levinas, Yannick Courtel,
Claire Denis, Georges Didi-Hubermann, Ida
Dominijanni, Roberto Esposito, Francesca Isidori, PierrePhilippe Jandin, Jérome Lebre, Jean-Clet Martin, Jean-Luc
Nancy, Jacques Ranciere, Judith Revel, Elisabeth Rigal,
Jacob Rogozinski, Avital Ronell, Ugo Santiago, Beppe
Sebaste, Michèle Sinapi, Enzo Traverso
Vicky Skoumbi, redattrice della rivista Aletheia, Atene, FONTE:
Dimitris Vergetis, direttore di Aletheia, Michel Surya, http://www.editions-lignes.com/sauvons-le-peuple-grec-de-ses.html
Traduzione: TLAXCALA comunità di traduttori
direttore della rivista Lignes, Parigi.
Lettere
cambiailmondo
L'ISOLA DEI FAMOSI
UN POVERO PROGRAMMA IN UN PAESE POVERO
E OPPRESSO DALLA DITTATURA
Gino Bucchino scrive alla Rai e riporta la lettera di un missionario comboniano in Honduras.
Il reality show della RAI si svolge in un isola di un Paese, l'Honduras, molto povero, sfruttato
da imprese transazionali, governato da un regime dittatoriale e violento, abitato da milioni di
diseredati. Un Paese le cui risorse e la cui economia sono prerogative delle brame e degli
interessi di potentati economici alieni e dei detentori del potere politico.
Roma, 28 febbraio 2012
Lettera aperta a:
- Presidente RAI, Dottor Paolo Garimberti
- Direttore generale RAI, Dottoressa Lorenza Lei
- Direttore RAI2, Dottor Pasquale D'Alessandro
- Presidente della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisi, Sen.
Sergio Zavoli
Ho ricevuto, come credo anche altri parlamentari e
gli stessi dirigenti della RAI, una lettera del missionario comboniano Manuel Ceola che mi ha commosso e turbato. La lettera stigmatizza insensibilità, cinismo e ipocrisie della trasmissione della RAI
“L'isola dei famosi”. Si dirà: critiche effimere e
84 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
infondate, che ignorano la legge del mercato e le
richieste degli utenti, quindi non rompete. Credo
invece che le riflessioni del missionario non siano
affatto impertinenti ma, obiettivamente, molto
condivisibili, e più apprezzabili in un periodo in cui
si sta cercando, con grande fatica, di ritrovare quel
decoro, quella dignità e quel senso di ragione che si
erano persi in questi ultimi anni.
Cosa ci dice il sacerdote comboniano che già non
sappiamo o che facciamo finta di non sapere?
Riassumo: che il reality show della RAI si svolge in
un isola di un Paese, l'Honduras, molto povero,
sfruttato da imprese transazionali, governato da un
regime dittatoriale e violento, abitato da milioni di
diseredati. Un Paese le cui risorse e la cui economia
sono prerogative delle brame e degli interessi di
potentati economici alieni e dei detentori del potere politico.
Riproduco alcuni efficaci passaggi della lettera. “Il
contadino viene spinto, con metodi legali e illegali,
a deforestare selvaggiamente. L'impoverimento a
lungo termine dell'ambiente avrà ovviamente conseguenze pesanti per lui. Dopo il golpe la situazione è peggiorata perché il potere delle transazionali
è enormemente cresciuto. Il Paese sta sanguinando,
ferito a morte dalla violenza, dalla povertà crescente, dalla mancanza di rispetto per la vita e dalla corruzione tra le forze dell'ordine”.
E tra l'indifferenza, aggiungo io, dei popoli “civili”.
Così indifferenti che non hanno altro di meglio da
fare che organizzare in questi Paesi poveri e sfruttati - come fa la RAI - reality di dubbio valore
morale e culturale solo perché fanno audience e
sono possibili attrazioni e facili catalizzatori di interesse, esponendo in televisione il peggio della razza
umana. E i nostri famosi? Come dice la lettera del
comboniano “non sono altro che delle persone a
cui nel loro Paese non manca nulla e che si prendo-
no il lusso di fingerefame in un Paese dove la fame
c'è davvero, di fingere lotte per la sopravvivenza
dove gente lotta e muore per davvero, di fingere
urla di dolore o di rabbia dove più di 350 uomini
hanno gridato, urlato la loro disperazione, il loro
dolore nel vedersi intrappolati dalle fiamme”.
“Come uomo, cristiano, missionario e abbonato
RAI sento il diritto e il dovere di gridare: BASTA!!!
Chiedo a chi può di intervenire e di smettere di
prendere in giro milioni di persone che, non solo in
Honduras, ma in tantissimi altri Paesi sono stanchi
di essere sfruttati, umiliati, uccisi. Sono stanchi di
vedersi sbattere in faccia la nostra ipocrisia, la
nostra ricchezza, la nostra “cultura”.
Cosa dire di più e di meglio. Potrebbe e dovrebbe
partire dalla RAI un rinnovamento della moralità e
dei costumi, una rivoluzione culturale dopo anni di
imbarbarimento che ci faccia godere finalmente
una televisione meno volgare, meno inutile, più
seria, più pulita, e perché no, anche più colta.
Gino Bucchino, Deputato
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
85
Segnalazioni
cambiailmondo
segnalazioni
AGOSTINO SPATARO
PRETROLIO, IL SANGUE DELLA TERRA.
DA BAGDAD A TRIPOLI:
LO STESSO DISEGNO NEOCOLONIALE
Il libro, partendo dall'invasione dell'Iraq, si snoda lungo un filo conduttore che
evidenzia un inquietante disegno occidentale, della Nato in particolare, di “riconquista” neocoloniale di taluni paesi del Medio Oriente e della sponda sud del
Mediterraneo.
Dall' introduzione del nuovo libro di Agostino Spataro:
Così la penso e così la dico. Un punto di vista, intimamente, da
molti condiviso ma solo da pochi dichiarato.
In realtà, il punto di svolta è stato l'orribile attentato alle “torri
gemelle” di New York col quale i suoi autori, dichiarati o presunti,
hanno inteso inaugurare il nuovo secolo.
Il 9/11 bisogna ricordarlo per la morte di tremila vittime innocenti
e anche perché ha aperto un'altra fase della tenebrosa regressione
“liberista” che sta mettendo a rischio le conquiste di libertà e di
democrazia e la stessa convivenza pacifica fra le nazioni.
Con la scusa di esportare (con gli F16 e con i “drone”) la democrazia, i diritti umani, ecc, le più forti potenze della Nato, (alcune ex
coloniali: Francia, Inghilterra e- in seconda fila- Spagna, Italia,
Belgio, Portogallo), si vogliono
impadronire delle aree più pregiate del mondo arabo e islamico, specie di quelle che sfuggono alla loro influenza politica ed economica.
Sono stati perpetrati interventi politici e militari gravissimi che, fino
a qualche anno fa, il Consiglio di sicurezza dell'Onu condannava
come inammissibili ingerenze negli affari interni di Stati sovrani.
Oggi, invece, stranamente, li ratifica, li autorizza.
Evidentemente, al Palazzo di Vetro c'è qualcosa che non sta funzio86 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
nando secondo la prassi e lo
Statuto.
Per gli arabi non c'è pace
E' inutile fingere. Gli obiettivi
sono il petrolio, questo maledetto petrolio che sta avvelenando
gli uomini, l'aria e la Terra, e il
controllo strategico delle grandi
vie commerciali e dei nuovi mercati, delle infrastrutture di
approvvigionamento e delle
enormi risorse finanziarie dei
Paesi arabi.
Perciò per gli arabi non ci sarà
pace. Sembra che a questi popoli sia negato il diritto a vivere in
pace!
Il principale conflitto che li tormenta, quello arabo-israeliano,
dura da 63 anni e non s'intravvede una conclusione a breve.
Liberatisi dal colonialismo europeo nel secondo dopoguerra, i
popoli arabi rischiano di passare
dalla padella di regimi militaristi
illiberali e, talvolta, perfino tribali, alla brace di potenze straniere
promotrici di un neo-colonialismo che non esclude- come si è
visto in Afghanistan, in Iraq, in
Somalia, in Libia, ecc. l'intervento
militare diretto e/o eterodiretto.
Tale condotta evidenzia una tendenza allarmante: il ricorso, sempre più frequente, da parte delle
“potenze” occidentali all'intrigo
politico e all'opzione militare per
risolvere le controversie internazionali.
In realtà, il colonialismo, la guerra sono scelte disperate operate
da gruppi di potere dominanti
che non riescono a vedere altre
vie di soluzione dei problemi.
Scelte, dunque, irresponsabili,
inquietanti che stanno cambiando i termini dello scambio fra
Occidente e Oriente islamico,
fra Europa e Mediterraneo.
Si sta passando, infatti, dall'auspicato rapporto paritario per il
co-sviluppo a una nuova dipendenza dei paesi produttori da
quelli consumatori d'idrocarburi.
Quello che abbiamo temuto sta
accadendo
Quello che abbiamo temuto sta
accadendo: invece del dialogo,
della cooperazione euro- araba
e mediterranea, sta tornando la
guerra, comunque camuffata e
combattuta, per il controllo delle
risorse energetiche e finanziarie.
Una guerra asimmetrica, crudele
che ha già mietuto centinaia di
migliaia di vittime e distrutto
culture e Paesi, che le potenze
occidentali vogliono vincere in
fretta poiché la Cina si avvicina,
sempre più minacciosa, a quest'
area vitale del mondo. La madre
di tutte le battaglie (speriamo
solo politiche e commerciali) è,
per il momento, rinviata.
Forse, si combatterà fra qualche
anno, nell'area del Pacifico. A
tale, tenebroso appuntamento
sembrano prepararsi Usa e Cina,
i due principali protagonisti del
confronto che- non è escluso- si
possa concludere con un accordo spartitorio globale.
All'orizzonte del futuro del
mondo, si profila un nuovo dualismo egemonico che non sopporta un terzo soggetto primario
qual è l'Unione europea, così
come si va configurando: una
entità politica dotata di una
moneta forte (com'è l'euro) e di
una politica di scambi e di cooperazione che guarda al mondo
arabo, all'Africa e alle altre regioni emergenti.
Sembra che nei programmi degli
strateghi Usa e cinesi non ci sia
posto per questa “vecchia”
Europa autonoma, democratica
che si rinnova e rilancia la sfida.
Sarebbe d'ostacolo e soprattutto
una concorrente forte e con le
carte in regola. Perciò, deve essere indebolita, divisa e riallineata
al potente alleato d'oltre
Atlantico.
Attacco all'euro e riconquista
neocoloniale
Da qui, il micidiale attacco all'euro, muovendo dai punti più
deboli della catena (Grecia,
Spagna, Italia, ecc).
Ironia della logica, della buona
finanza: l'euro è sotto attacco
non per la sua debolezza ma per
la sua forza.
Fa paura, perciò, devono fiaccarlo, degradarlo, possibilmente
estrometterlo dal paniere delle
monete che contano.
Devono farlo oggi, prima che si
completi il processo di unione
politica da cui nasceranno un
nuovo governo europeo e la
prima potenza economica del
Pianeta.
Domani sarebbe davvero imbarazzante, impossibile.
L'attacco all'Europa e la “reconquista” del mondo arabo costituiscono, pertanto, due tassellichiave nella più generale lotta
per la nuova egemonia mondiale.
In ogni caso, servono a salvaguardare la traballante primazia
del dollaro e a garantire alle multinazionali (in gran parte Usa)
affari colossali e una quota rilevante dell'approvvigionamento
d'idrocarburi e un flusso di
petro- capitali indispensabili per
le dissestate finanze occidentali.
Sotto tiro i principali partner
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
87
Segnalazioni
dell'Italia
L'Italia, e la Sicilia, sono state trascinate in questa “nuova avventura” un po' controvoglia. Anche
perché, stranamente, queste guerre e/o “primavere”, scoppiate in
pieno inverno, si stanno scatenando soltanto contro i regimi di
quei paesi di cui l'Italia è il primo
o il secondo partner commerciale, con pesanti conseguenze per
l'interscambio italiano.
A conferma segnalo alcuni dati
recenti riguardanti gli scambi fra
Italia e i 5 Paesi arabi in crisi, elaborati dalla Camera di commercio italo araba (su base Istat) e
relativi al periodo gennaio-settembre 2010-2011.
Vi sono da considerare anche i
danni indiretti provocati dall'aumento dei prezzi degli idrocarburi a causa degli interventi in Libia
e delle crisi in altri Paesi.
Nello stesso periodo, infatti, le
importazioni italiane d'idrocarburi dal mondo arabo sono diminuite (in volume) rispetti-vamente del 7,4 e del 3,5%, ma l'esborso in valuta è aumen-tato del
20,5% (da 39 a 47 miliardi di
euro).
Insomma, un affarone per
l'Italia!
L'Italia e la Sicilia, usate come
avamposti strategici
Casualità o c'è dell'altro? La
risposta potrebbe venire da chi
tiene l'agenda politica e i conti
dell'Italia.
Non vogliamo gridare al complotto, ma nemmeno ignorare la
realtà dei dati derivati dalla
sequenza degli avvenimenti: Iraq,
Libia, Tunisia, Egitto, Yemen e
domani, forse, anche Siria e Iran,
tutti principali clienti e fornitori
dell'Italia. Per altro, quasi tutti
88 CAMBIAILMONDO, marzo l aprile 2012
cambiailmondo
Paesi poveri, mentre la calma
regna sovrana nelle più ricche e
illiberali dittature petrolifere del
Golfo: dall'Arabia saudita al
Qatar.
Una doppiezza arrogante che
evidenzia una sensibilità democratica a senso unico che non si
applica- per esempio- alla dittatura dello sceicco del Bahrein
impegnato, da quasi un anno e
con l'aiuto diretto dell'esercito
saudita, a reprimere nel sangue
una rivolta popolare che chiede
libertà di voto e di espressione.
Nessuno parla e scrive di questa
tragica “primavera”.
Forse perché il Bahrein ospita le
sedi di grandi banche e una
potente flotta Usa?
Perciò, sarebbe tempo che gli
interventisti nostrani spiegassero
al popolo italiano le vere ragioni
per le quali hanno schierato le
nostre Forze Armate in operazioni politico-militari che, oltre a
violare i principi di non ingerenza e di sovranità di paesi esteri,
danneggiano gli interessi nazionali del nostro Paese.
L'Italia e la Sicilia sono territori
strategici, al centro di questo
Mediterraneo turbolento e attraversato da conflitti vecchi e
nuovi, perciò devono essere politicamente normalizzate e militarmente pronte per svolgere al
meglio il loro ruolo.
Questo parrebbe il “programma”. Tuttavia, non tutto è scontato.
Tra il dire e il fare c'è di mezzo
il…mare.
C'è il nostro Mediterraneo delle
grandiose civiltà che, certo, non
accetterà di essere ridotto a mero
ricetto di traffici e di materiali
altamente inquinanti e a zona
nevralgica di una strategia
aggressiva contro popoli e Paesi
che, con noi della sponda nord,
hanno dato vita alla filosofia, alla
scienza, alla democrazia.
Inoltre, la militarizzazione delle
relazioni
intra-mediterranee
vanificherebbe l'ipotesi, che da
tempo immaginiamo, di trasformare l'area mediterranea in uno
dei principali poli dello sviluppo
mondiale, per riportarla al ruolo
antecedente al 1492.
Insomma, un disegno troppo
sbrigativo, brutale e inaccettabile
anche per le masse di giovani
internauti.
La risposta neocolonialista
potrebbe non funzionare.
L'errore è sempre in agguato.
Come abbiamo visto in anni
recenti, gli strateghi dell'interventismo non sono infallibili,
anzi, più volte, hanno sbagliato
analisi e alleanze, tempi e modi
d'intervento.
Unire l'Europa, unire il
Mediterraneo
Nel mondo, anche in quello
arabo, persino negli Usa, c'è
tanta gente che rifiuta questa
oscura prospettiva; che lotta e
spera in un avvenire diverso, di
pace e di fratellanza universale.
Cito per tutti l'esempio più chiaro: l'America del Sud, dove è
nata una grande speranza per il
mondo intero.
Qui, infatti, governi e movimenti democratici, progressisti stanno lottando, con successo, per
liberarsi dalla perniciosa influenza delle multinazionali, per affermare la loro sovranità e libertà, il
loro diritto all'indipendenza economica, al benessere condiviso,
alla vita.
Lottano anche per noi che non
riusciamo a vedere oltre il telefonino e l'automobile.
E' tempo che i cittadini arabi ed
europei facciano, insieme, la
loro parte per riaffermare le loro
autonomie e diversità culturali, i
loro stili di vita, per unire
l'Europa e il Mediterraneo.
A tal fine, bisognerebbe ri-orientare i movimenti dei giovani e dei
lavoratori verso un grande progetto di co-sviluppo euro-mediterraneo, alternativo al fallimentare modello sedicente “liberista” e bellicista delle relazioni
economiche e commerciali internazionali.
Denunciando tale disegno, non
ho inteso difendere dittatori e
satrapi, già abbattuti o ancora al
comando, con i quali i capi delle
potenze “castigatrici” hanno
fatto affari scandalosi, anche privati, ma riaffermare i principi
(sanciti nella vigente Carta
dell'Onu e nella Costituzione italiana), di non ingerenza e di
rispetto della sovranità nazionale
degli Stati. Ed anche la necessità
di una lotta popolare per la
democrazia vera e per la pace e il
benessere condiviso, per salvare
l'umanità da una prospettiva tragica e miserabile.
Si può fare! Ma ci vorrebbero
idee nuove e soggetti politici ben
orientati e determinati.
Il libro di Agostisno Spataro sarà
p r e s e n t a t o d a l l ' a u t o r e , i n c o l l aborazione con la FILEF, a Buenos
Aires, Rosario, Montevideo e
Porto Alegre, tra fine aprile e
inizio maggio.
INDICE DEL VOLUME
Capitolo primo
DELLA GUERRA E D'ALTRI ACCIDENTI
Le vere ragioni della guerra di Bush - Iraq: le stesse potenze per lo stesso petrolio Verso un impero americano?- Armi chimiche, attenti al marchio - La guerra è anche
contro l'Europa - Attentati suicidi: una terrificante novità
Capitolo secondo
GUERRA AL TERRORISMO O A CHI?
Bin Laden come l'Araba fenice - Oriente e Occidente: la grande incomprensione Saddam Hussein: il prima e il dopo - Saddam Hussein e l'Italia - Moro è caduto per
aver troppo capito e troppo osato
Capitolo Terzo
MEDIO ORIENTE: IL CONFLITTO INFINITO
Per una vera pace in Medio Oriente - Dopo Arafat, arriverà la pace? - Andreotti terrorista? - Fermare il massacro israeliano a Gaza - Gerusalemme, la solitudine
d'Israele - 1988. Gli israeliani fanno saltare la “Nave del ritorno” dei palestinesi L'Italia riconosca lo Stato palestinese
Capitolo quarto
GUERRA ALLA LIBIA
Si può ancora trattare col regime libico? - Petrolio e dittature - Libia: Italia de nuevo
en guerra - Sicilia-Libia, un'illusione mediterranea - L'Italia e la crisi libica - Libia: la
Nato può vincere la guerra, ma perdere il dopoguerra
Capitolo quinto
MONDO ARABO, FASCINO E CONTRADDIZIONI
Fondamentalismo islamico o islam politico? - Yemen, paese di Bin Laden o della regina di Saba - Quando un sultano sbarca a Palermo - Le mutilazioni genitali femminili Una lettera da Damasco - Primavera araba: rivolta o rivoluzione?
Capitolo sesto
EUROPA SOTTO ATTACCO
L'uovo del serpente - La dittatura degli investimenti - Attacco all'euro, attacco
all'Europa - Crisi europea: finirà come in Argentina?
Capitolo settimo
LA SICILIA FRA TENSIONI E COOPERAZIONE
La Sicilia fra Europa e Mediterraneo - L'Isola al centro di un sistema agro-alimentare
mediterraneo - Mediterraneo, la centralità ritrovata - Da Sigonella la guerra al terrorismo - Basi militari: patti segreti e finti bisticci - Esiste ancora la questione meridionale? - La Sicilia al tempo della globalizzazione - Portaerei e hub energetico: i due poli
del futuro siciliano
Capitolo ottavo
L'IMMIGRAZIONE COME RISORSA
Quando i clandestini siciliani sbarcavano in Tunisia - L'immigrazione come risorsa - Le
strane rotte che portano gli immigrati in Sicilia - Morte sotto la luna - Oltre Lampedusa
- La moderna schiavitù
Il libro (316 pagg, prezzo 18,50 euro) è venduto solo via
internet nei siti www.ilmiolibro.it e www.lafeltrinelli.it e anche
nelle librerie Feltrinelli.
marzo l aprile 2012, CAMBIAILMONDO
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