Inside job - Liceo Canossa

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Inside job - Liceo Canossa
Inside job
Catalogazione
332 FER (Dvd + libro)
Collocazione
Scaffale LEGALITA’ & CITTADINANZA
Categoria tematica
Economia e finanza – Politica e diritti
Origine
USA
Anno
2010
Regia
Charles Ferguson
Principali interpreti
Supporto
DVD + libro
Numero dischi
01
Genere
documentario
Sceneggiatura
Charles Ferguson, Chad Beck & Adam Bolt
Musiche
Alex Heffes – voce narrante: Matt Damon
Produzione
Representational Pictures in associazione con Screen Pass Pictures
Distribuzione
Sony Pictures
Durata – dati tecnici
104 minuti, colore
Lingua audio
Italiano, inglese
Lingua sottotitoli
Francese , Inglese , Italiano , Tedesco , Olandese , Norvegese , Finlandese , Danese ,
Inglese per non udenti , Hindi , Turco
Contenuti extra
Scene eliminate – la realizzazione di Inside job – commento del regista C. Ferguson e
della produttrice Audrey Marrs
Trama
Premio Oscar®2010 al miglior documentario, Inside Job è la cronaca del crudo risveglio
di un sistema che si credeva invincibile, capace di convertire tutto e tutti alla religione del
profitto senza freni, il racconto, come se fosse un giallo, dell'assassinio dell'economia
mondiale. E l'elenco dei colpevoli è lungo e doloroso, così come la lista dei politici e dei
manager che, in ossequio alle leggi di Wall Street, si sono rifiutati di rispondere alle
domande del regista.
Il libro (titolo: Pandemia, a cura di A. Bignami, ediz. G. Feltrinelli, Milano 2011)
contiene:
una guida per gli insegnanti che vogliano mostrare il film nelle scuole: per
spiegare alle nuove generazioni come evitare che la Grande Crisi si ripeta.
I profili dei protagonisti della crisi.
Un glossario della finanza.
Inoltre: saggi politico-economici di D. Harvey, N. Roubini, S. Mihm e
contributi critici di P. Mereghetti, G.A. Nazzaro, V. De Cecco e R. Cremona.
Critica 1
"C’è del marcio in Danimarca" così "cantava" il grande William Shakespeare nel primo
atto della scena IV dell’Amleto, ma c’è da chiedersi: cosa scriverebbe ora trovandosi ad
osservare l’"intrepida" Wall Street? Sono passati due anni dalla bolla finanziaria
scoppiata nel 2008 e ancora oggi l’economia risente del crollo finanziario a livello
mondiale, un fenomeno che, come un effetto a catena, ha fatto crescere il tasso di
disoccupazione e ha spinto sulla soglia della povertà numerose famiglie e altrettante ne
ha messe in ginocchio. Un fenomeno che sembra essersi generato da solo, forse per
"partenogenesi", dato che, a parte qualche indiziato, in pochi sono finiti in prigione,
sempre se ci siano finiti. Ad indagare con occhio attento senza far sconti a nessuno, è il
milionario Charles Ferguson, che dopo aver venduto la sua invenzione a Bill Gates si è
dedicato alla professione di cineasta, vincendo con "No End in Sight" sulla guerra in Iraq,
un premio speciale della giuria per i documentari al "Sundance Film Festival" 2007 e
candidandosi agli Oscar nel 2008. Il titolo di questo documentario–shock è "Inside Job",
che riprende l’espressione indicante appunto il crimine di furto, rapina o appropriazione
indebita compiuto da una persona con una posizione di fiducia e autorizzata ad accedere
ad operazioni senza supervisione.
Narrato da Matt Damon e presentato fuori concorso al festival di Cannes e al Festival del
Cinema di Roma, si sviluppa attraverso quadri tesi ad evidenziare il lungo processo
scaturito nella Grande Recessione a causa dell’avidità di poche persone. Con occhio
critico sembra scavare nel marcio di questo "grosso" affare alla ricerca dei colpevoli, che
individua in diverse persone molto vicine al potere politico americano, dimostrando con
documenti e grafici la loro indubbia responsabilità. Non solo mostra i colpevoli, ma
individua anche gli eroi, ossia tutte quelle persone che, essendosi accorte della "falla nel
sistema", hanno cercato di avvertire il mondo finanziario e politico, ma non sono stati
ascoltati oppure sono stati screditati agli occhi del mondo. Un esempio è l’ex procuratore
e governatore di New York, Eliot Spitzer, sorpreso con le prostitute, sebbene la maitresse
Kristin Davis riveli che il giro d’affari dei bordelli vicino alla Borsa fosse costituito
soprattutto da clienti che lavoravano a Wall Street, che chiedevano servizi di ogni genere,
compresa la droga. Forse potrebbe essere considerato un documentario di parte, dalla
parte dei consumatori e degli economisti "indipendenti", però... E’ un’opera interessante
che attraverso interviste, montaggi e documenti vuole ricostruire il sistema di corruzione,
cercando di individuare e spiegando in modo chiaro come funzionavano i prodotti che
hanno portato al collasso, mostrando la collusione fra il mercato finanziario e la politica,
fra la struttura universitaria e il mercato finanziario. In due ore Ferguson indaga nel
tentativo di scoprire gli "assassini", mostrando come questo nuovo sistema abbia corrotto
l’intero mercato mondiale e non ci sia scampo, poiché, nonostante questa bolla, le regole
del gioco non sono cambiate, non sono state fatte leggi per regolamentare la situazione,
quindi cosa succederà in futuro? Certamente sorge il dubbio che la tanto decantata
democrazia americana si stia trasformando in un’oligarchia finanziaria, se Wall Street è
tanto potente da far eleggere un presidente e al tempo stesso impedirgli di operare per
evitare nuove catastrofi.
La frase:
- "Scusi, ma lei non è quello che aveva firmato il documento sulla solidità finanziaria
dell'Islanda?"
- "Adesso basta! Ha solo altri quattro minuti: spari la sua cartuccia migliore".
Federica Di Bartolo
http://filmup.leonardo.it/insidejob.htm
Critica 2
È stato come per le volpi avere l'accesso all'interno del pollaio", dice uno degli
intervistati descrivendo l'operato degli executives delle società finanziarie dopo la
deregulation iniziata da Reagan. È un resoconto, spietato, di quanta avidità e mancanza di
scrupoli ci siano dietro la crisi finanziaria che ha provocato, a partire dal 2008, la perdita
di milioni di posti di lavoro. Una ricostruzione, sconcertante, dei rapporti tra strutture
finanziarie e membri dell'esecutivo, delle dannose conseguenze dei conflitti di interesse ci ricorda qualcosa? - nei rapporti tra mercato e governo. Uno dei maggiori successi
dell'anno nel campo del cinema della realtà sbarca a Roma con tutta la sua energia
disintossicante. Imperdibile.
http://cinema-tv.corriere.it/film/inside-job/06_26_13.shtml
Homepage > BLOG di Vincenzo De Cecco & Riccardo Cremona
3 novembre 2010
Perché Obama ha perso
C’è un film al Festival del Cinema di Roma che è passato sotto silenzio, perché
naturalmente bisognava parlare di The Social Network, che non è un film su Facebook o
sul suo impatto sulla società (come è invece l’ottimo Catfish di cui abbiamo parlato
recentemente), ma la solita success story all’americana, con una spruzzata di cinismo e
arrivismo (quale storia di successo non la ha?) messa in scena in modo competente da un
regista brillante qual è Fincher.
Stiamo parlando di Inside Job, forse il film più importante dell’anno, che in Italia
ovviamente non verrà mai distribuito perché a noi che ce frega della crisi economica, a
noi interessa Facebook (siamo il paese al mondo che trascorre più ore sul social
network).
Critica 3
Il regista Charles Ferguson è un geniaccio delle dotcom il cui percorso non ha nulla da
invidiare a quello di Zuckerberg, ma a differenza del profeta del social network (che per
rifarsi il look ha donato 100 milioni di dollari al sistema scolastico del New Jersey il
giorno prima dell’uscita del film), Ferguson ha deciso con le centinaia di milioni di
dollari che si era messo in tasca vendendo la sua società a Microsoft di fare qualcosa di
concreto per aumentare la nostra consapevolezza. Fare film documentari. E già questo
sarebbe un motivo sufficiente per parlare di lui.
Mario Sesti, nel suo resoconto (sul Fatto Quotidiano) sulla visita di Bruce Springsteen a
Roma ci riporta una sua definizione a nostro avviso molto importante: “Un artista è come
un meccanico”. Ferguson è decisamente un meccanico, il suo primo film parla della
guerra in Iraq (No End in Sight, candidato all’Oscar). Inside Job punta invece lo sguardo
sulla crisi economica che stiamo attraversando, nei confronti della quale incredibilmente
continuiamo a vivere nella beata ignoranza.
Ci si è mai chiesti ad esempio come funzionano i prodotti finanziari derivati, i credit
swaps o i subprime e che conseguenze abbiano avuto sull’economia mondiale? Inside
Job, con quella grande chiarezza che è propria di chi non disprezza il proprio pubblico
ma ha invece come priorità quella di farsi comprendere, ce lo spiega e senza mai cedere
al populismo (che in fondo è solo un altro modo di disprezzare il proprio pubblico) ci
mostra il terrificante percorso dell’economia mondiale verso il collasso, facendo parlare i
protagonisti e le voci più autorevoli del settore.
Vedendolo in questi giorni ci offre anche un’ottima chiave interpreatativa su come mai
Obama abbia perso il consenso del suo elettorato.
“Il presidente avrà certamente commesso molti errori, ma soltanto gli ingenui e gli
ignoranti potevano scambiare un politico per un messia, aspettandosi da lui una
palingenesi epocale dopo i disastri dell’era Bush, tanto più nel mezzo di una tempesta
finanziaria senza precedenti”, ci dice sul suo blog Chiaberge facendo un’analisi
veramente troppo semplicistica per la sua intelligenza.
Inside Job ci mostra la ragione profonda di questa sconfitta: Wall Street ha in gran parte
finanziato la campagna elettorale di Obama e una volta eletto lo ha circondato di suoi
uomini, da Larry Summers a Timothy Geithner, passando per Bernanke e uno stuolo
di ex (ex?) dirigenti di Wall Street ora alla Casa Bianca. Obama non ha commesso errori.
Semplicemente non ha potuto regolare il mercato perché il suo padrone non voleva che lo
facesse. E quindi la palingenesi epocale che era legittimo aspettarsi (perché era già
avvenuta sotto Roosevelt dopo il crollo del ‘28) non poteva avvenire, non perché si era
in una tempesta finanziaria senza precedenti, ma perché coloro che avevano scientemente
creato e sfruttato questa crisi a proprio vantaggio non volevano che fossero imposte
regole simili a quelle che avevano salvato e fatto ripartire il paese dopo la crisi del ‘28.
Alla faccia di tutti i poveri disgraziati che avevano creduto, fatto campagna elettorale e
votato per Obama e che hanno finito per pagare il conto della crisi economica mentre a
Wall Street si festeggiava a suon di bonus multimilionari. “It’s the economy, stupid”,
come si diceva alla corte dei Clinton.
E’ meglio Sarah Palin? Certo che no, è molto peggio. Ma se il meno peggio fosse
sufficiente a vincere le elezioni qui da noi il Pd sarebbe al governo da 15 anni.
tratto da: http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/11/03/perche-obama-ha-perso/75028/
"Io, tra gli indignati di Wall Street
i ragazzi più forti del potere"
Oggi parlerò a Zuccotti Park, so che sarà un'esperienza del tutto nuova. La forza
del movimento è centrifuga: unisce l'obiettivo, non la visione del mondo. In migliaia
si stanno riappropriando della democrazia e stanno difendendo le sue regole
di ROBERTO SAVIANO
Documentazione
(reuters)
QUANDO ho ricevuto l'invito di Occupy Wall Street per parlare a Zuccotti Park, sono
stato subito sicuro di una cosa: avrei partecipato a qualcosa di totalmente diverso da
quello che ero abituato a vivere in Europa. Questo movimento conserva solo da lontano
le sembianze di una protesta sociale come le abbiamo viste negli ultimi vent'anni.
Osservando i volti, le parole, le scelte, i comportamenti, ci si accorge che questa
mobilitazione è del tutto nuova. Mantiene al proprio interno un legame necessario con
tutto quello che è stata la storia dei movimenti sociali americani, ma c'è qualcosa di
diverso che sta cambiando per sempre la sintassi della protesta nel mondo. La sua forza è
centrifuga, ciò che unisce è l'obiettivo, non la visione del mondo.
Sono molto diversi i cuori che sincronizzano i loro battiti a Zuccotti Park, le menti di
coloro che si ritrovano per ragionare insieme. Alcuni sono liberali, alcuni anarchici, altri
si dichiarano socialisti, libertari, ambientalisti, democratici, e ci sono persino ragazzi che
si definiscono repubblicani. Troviamo ragazze e ragazzi atei e molti credenti. Ci sono
musulmani, ebrei, indù, buddisti e cristiani. Molti ventenni, ma tanti manifestanti sono
più maturi. Ci sono studenti e disoccupati, però la maggior parte di chi protesta ha un
lavoro: insegnanti, consulenti finanziari insoddisfatti, istruttori di Pilates, infermieri.
Questa è la prima grande differenza che ho incontrato. Tutti cercano di dare risposte a
domande che si pongono milioni di persone. Perché se studio molto non riesco a trovare
lavoro? Perché se sono bravo sul lavoro non riesco a guadagnare di più? Perché non
posso permettermi una scuola decente e cure mediche adeguate? Perché la finanza sta
creando ricchezza ma non sviluppo? Perché anche quando sbagliano i finanzieri non
pagano mai? Perché i broker hanno bonus milionari anche quando hanno guadagnato
solo da speculazioni?
I ragazzi di Occupy ti dicono che se senti tue quelle domande, puoi provare a rispondere
insieme a loro. A Zuccotti Park ci si incontra e si discute per vedere se è possibile trovare
le ragioni per impegnarsi in una protesta condivisa. Occupy Wall Street vuole
comunicare un concetto semplice e immediato: tutto questo vi riguarda. Riguarda voi e le
vostre vite. Riguarda i vostri figli, i vostri genitori e i vostri nonni. Riguarda i figli che
non farete se le condizioni non cambieranno.
Questa fiducia in un movimento capace di includere è il contrario di quanto ho visto
spesso in Italia, dove si sottolineano le differenze per non aggregarsi, dove si dibatte su
chi ha tradito, dove ci si isola andandone fieri perché il vicino è sempre troppo moderato
o troppo radicale, o è amico del nemico. Invece a Zuccotti Park non c'è la gara per chi
dev'essere incoronato re degli oppositori, non si cercano i depositari più autentici dei
sentimenti critici dei cittadini. Per cogliere appieno questa diversità molteplice che è stata
in grado di farsi movimento, invito tutti a guardare le foto, i video, e leggere cosa dicono
i manifestanti. Lì risiedono i loro programmi. Non sono trattati di economia, né manifesti
politici. Sono riflessioni possibili che sgorgano dalla condivisione di singole esperienze.
Un ragazzo sorridente tiene in mano il suo cartello su cui c'è scritto: "I media tradizionali
vogliono farvi credere che io sia un punk disoccupato anarchico che sostiene il
comunismo. La verità è che sono uno studente universitario di 19 anni che fa due lavori
per potersi permettere un'istruzione esageratamente cara. Sto inseguendo i miei sogni
mentre Wall Street continua a speculare sul mio futuro. Se non vado bene nello studio,
vengo cacciato dall'università. Se non faccio bene il mio lavoro, vengo licenziato.
Quando quelli che lavorano a Wall Street mentono, imbrogliano e rubano, ricevono
stipendi da record e bonus enormi. Mi rifiuto di stare zitto mentre i miei concittadini
soffrono per le azioni incaute e irresponsabili di qualcuno nella nostra economia. Io sono
la maggioranza. Io sono il 99%. Sorrido perché so che il potere delle persone è molto più
forte delle persone al potere".
È questo il linguaggio con cui Occupy Wall Street si batte contro la disuguaglianza
economica e sociale sviluppatasi soprattutto a seguito della crisi del 2008, dopo la quale è
stato riservato un diverso trattamento ai debiti delle grandi finanziarie e a quelli dei
cittadini. Chiedono più lavoro e lavori migliori, una più equa distribuzione della
ricchezza, riforme bancarie e una diminuzione dell'influenza delle aziende sulla politica.
Ma lo fanno con ciascuna delle loro voci singole, come un coro polifonico, e con
ciascuno dei loro corpi accampati nei parchi o altrove, come una ripresa delle prime
pratiche della democrazia, quando l'agorà era il centro della polis. Occupy Wall Street è
fermamente antigerarchica: non ha costruito un leader, né un portavoce, anche perché
finora il movimento si è rifiutato di avanzare rivendicazioni specifiche - questa di solito
l'accusa che gli viene mossa dai suoi oppositori. Il motivo per cui sono stato invitato è
quello di innescare una riflessione su quanto tutto questo abbia a che fare con l'Italia,
dove la crisi è arrivata in maniera durissima e dove si sta radicando una protesta simile
per slogan e identica per motivazioni a quella che da Zuccotti Park ha cominciato a
dilagare negli Stati Uniti.
A Zuccotti Park andrò a parlare di come le mafie si stanno mangiando l'economia, perché
la crisi innescata dalla speculazione finanziaria, creando problemi di liquidità alle
banche, ha aperto enormi territori d'azione ai mafiosi di tutto il mondo che invece
dispongono di liquidità inimmaginabili. Si comincia dal semplice strozzinaggio per chi
non riesce a pagare un mutuo e si arriva alla possibilità di comprarsi imprese, immobili,
quote societarie e infiltrarsi ovunque.
Il fatto curioso è che il movimento aveva ricevuto una delle spinte iniziali dal gruppo
canadese di attivisti Adbusters che a luglio invitava a occupare "il più grande corruttore
della nostra democrazia: Wall Street, la Gomorra finanziaria d'America". Avevo usato la
stessa metafora per descrivere il potere della camorra, ora invece la città biblica è
divenuta simbolo del potere distruttivo della finanza. Lo slogan "Noi siamo il 99%", si
riferisce alla differenza negli Stati Uniti tra l'1% dei ricchissimi e il resto della
popolazione. Secondo il Congressional Budget Office, dal 1979 al 2007 il reddito del
90% delle famiglie è diminuito di 900 dollari, mentre quello dell'1% è cresciuto di più di
700mila dollari. Dopo la Grande Recessione iniziata nel 2007, la percentuale di ricchezza
totale detenuta da quell'1% della popolazione è addirittura passata dal 34,6% al 37,1% e
il gap tra l'1% e il 99% si è ampliato ulteriormente. Una disparità mostruosa che,
mancando la volontà di intervenire, sembra destinata a non subire modifiche. Volevano
occupare Wall Street per due mesi e ci sono quasi riusciti. Dal 17 settembre fino a pochi
giorni fa i dimostranti non hanno mai abbandonato l'accampamento di Zuccotti Park,
nonostante la neve. La piazza è stata attrezzata con una cucina che fornisce pasti
gratuiti - ha dato una mano persino l'ex chef di un grande albergo - punti informazione,
bidoni per la spazzatura differenziata, una biblioteca con libri donati, un pronto soccorso,
un media center dove è possibile usare il proprio laptop e attaccarsi a una spina.
Inizialmente la corrente veniva da un generatore a gas, ma da quando i Vigili del Fuoco
lo rimossero per pericolo d'incendio, per produrre l'energia vengono usate biciclette
collegate con un motore e un diodo a senso unico.
A Zuccotti Park ci sono psicologi che forniscono assistenza ai disoccupati, una cassetta
delle lettere che riceve un continuo flusso di corrispondenza e pacchi dono con gli oggetti
più disparati - dalle batterie per fare foto e video a barrette di cereali e spazzolini. C'è
persino chi, in tutto il paese, paga con propria la carta di credito il cibo da far consegnare
dai fast-food e dalle pizzerie vicine. Ogni giorno si tengono due assemblee generali, ma
siccome a New York occorre un permesso anche per un megafono e Occupy Wall Street
non è autorizzata, i contestatori si sono inventati il "microfono umano". La persona che
sta facendo un discorso si ferma, lasciando che le persone vicine ripetano quel che ha
detto, e questo produce un ulteriore effetto aggregante. Tra le 100 e le 200 persone hanno
dormito ogni notte a Zuccotti Park, e anche i loro sacchi a pelo sono spesso donati.
Secondo alcune fonti, fino al 27 ottobre 2011, hanno ricevuto circa 500mila dollari in
donazioni.
Tutto questo però è stato smantellato. All'una di notte del 15 novembre Zuccotti Park è
stato sfollato. Ma i manifestanti non si sono persi d'animo e hanno deciso di spostarsi a
Foley Square, poi a Duarte Square, infine verso il ponte di Brooklyn. Il metodo del
movimento è straordinario. Sanno che i media si occupano delle proteste quando ci sono
scontri, violenze e arresti. Ma sanno anche che quando i media si occupano degli scontri,
spariscono le idee e le critiche che la protesta esprime. I metodi della non violenza e della
disobbedienza civile sono abbracciati e divulgati in tutti i loro aspetti. Vorrei dire a questi
ragazzi che stanno facendo molto. Stanno riappropriandosi della democrazia e stanno
difendendone le regole, difendendo l'assunto che l'economia debba sottostarvi. Ma
cercherò soprattutto di sentire un calore speranzoso che ho perso da molto tempo e che
sento sempre meno in Italia, quello espresso dal ragazzo sorridente e dal suo cartello.
Sorrido perché so che il potere delle persone è molto più forte delle persone al potere.
(19 novembre 2011) © Riproduzione riservata
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