Scimmie – gestione del tempo

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Scimmie – gestione del tempo
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DA “LA GESTIONE DEL TEMPO:
CHI HA LA SCIMMIA SULLA SPALLA?”
di Oncken e D. L. Wass
tratto da “Harvard Business Review”
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Perché per i manager è tipico rimanere a corto di tempo assai più di quanto
accada ai loro subordinati?
Le note che seguono si propongono di analizzare il significato di “tempo
manageriale” nell’ottica dell’interazione tra il manager ed il suo capo, i suoi
colleghi ed i suoi collaboratori.
I tre tipi specifici di “management time” presi in considerazione sono:
Tempo imposto dal capo – destinato allo svolgimento delle attività ordinate dal
capo e che il manager non può trascurare per evidenti motivi di rapporto
gerarchico;
Tempo imposto dal sistema – destinato alla soddisfazione delle richieste di
supporto attivo rivolte al manager dai suoi colleghi di altre funzioni od unità
organizzative. Non si può evitare di prestare questa assistenza, nella logica del
servizio al “cliente interno” e della qualità dei rapporti interfunzionali.
Tempo auto imposto – destinato all’esecuzione di quelle cose che il manager
decide o accetta di fare da solo.
È però vero che una certa parte di questo genere di tempo viene assorbita dai
suoi collaboratori: la chiameremo “tempo imposto dai collaboratori”.
La parte rimanente è quella a disposizione del manager ed è chiamata “tempo
discrezionale”.
Il tempo auto imposto non è soggetto a particolari vincoli esterni, e né il capo
né il sistema possono intervenire sul manager per aver fatto o meno quello che
era stato lui stesso a decidere di voler fare.
La gestione del tempo richiede che il manager abbia il controllo sia della
tempificazione che del contenuto di ciò che egli fa.
Poiché egli non può interferire che parzialmente sui tempi imposti dal capo e
dal sistema, il suo principale campo di interesse diventa il tempo auto imposto.
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La strategia del manager consiste quindi nel puntare ad aumentare la
componente “discrezionale” del suo tempo auto imposto, minimizzando o
sopprimendo la componente “collaboratori”, per poter usare il tempo così
guadagnato per la conquista di un migliore controllo delle attività imposte dal
capo e dal sistema.
La maggior parte dei manager non si rende neanche lontanamente conto di
quanto condizioni le loro attività il tempo imposto dai collaboratori.
Per vedere come nasce il “tempo imposto dai collaboratori” e cosa può fare il
manager al riguardo, ci serviamo dell’analogia “la scimmia sulla spalla”.
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DOVE STA LA SCIMMIA?
Ipotizziamo che un manager, entrando in azienda, veda un suo dipendente che
si dirige verso di lui. Quando si trovano di fronte, il collaboratore lo saluta
dicendogli:
“Buongiorno, capo. Ah! A proposito, abbiamo un problema. Vede…”.
Mentre il collaboratore espone il problema, il manager individua in questo le
due caratteristiche comuni a tutte le “grane” che i suoi subordinati
gratuitamente gli fanno presenti. Cioè, egli ne sa:
a) abbastanza per essere coinvolto, ma
b) non abbastanza per poter prendere quella decisione immediata che ci si
aspetta da lui.
Alla fine, il manager dice:
“Grazie per avermi informato. Adesso vado di fretta, ma ci penserò e le farò
sapere qualcosa”.
E a questo punto i due si separano. Analizziamo quanto è accaduto.
Prima che i due si incontrassero, sulla spalla di chi si trovava la “scimmia”?
Su quella del collaboratore
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Dopo che si sono lasciati, sulla spalla di chi era?
Su quella del manager.
Il lavoro imposto dai collaboratori comincia nel
momento in cui una scimmia riesce a saltare dalla
spalla di un collaboratore su quella del suo superiore
e continua fino a quando la scimmia non ritorna al suo legittimo proprietario
perché se ne occupi e la nutra.
Accettando la scimmia, il manager ha assunto volontariamente una posizione
subordinata rispetto al suo subordinato. In altre parole, ha consentito al
collaboratore di renderlo suo subalterno facendo due cose che generalmente
un subordinato è chiamato a fare per il suo capo:
1) si è accollato una responsabilità passatagli dal suo subordinato,
2) gli ha promesso di relazionarlo sugli sviluppi.
Più avanti, tanto per assicurarsi che il manager non abbia accantonato il
problema, il subordinato si affaccerà alla porta dell’ufficio del manager e gli
chiederà:
“Allora, a che punto siamo?”
(Questa… si può chiamare “supervisione)
Immaginiamo adesso che, alla fine di una riunione di lavoro con un altro
collaboratore, il manager lo saluti dicendo:
“bene, mi mandi un memo al riguardo”.
Esaminiamo questa situazione. Ora la scimmia si trova sulla spalla del
subordinato perché spetta a lui la prossima mossa; ma è pronta a spiccare il
salto.
Osserviamo questa scimmia.
Il collaboratore scrive diligentemente il memo richiesto e lo fa pervenire al
manager.
Poco dopo, il manager lo preleva dalla vaschetta della
corrispondenza in arrivo e lo legge.
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A chi spetta adesso la mossa?
Al manager. Se non prenderà velocemente una decisione, riceverà dal suo
subordinato un memo di sollecito (e questa è un’altra forma di supervisione).
Quanto più a lungo ritarderà nel rispondere, tanto più intensa diventerà la
frustrazione del subordinato e tanto più colpevole si sentirà il manager, mentre
aumenta il suo arretrato di tempo imposto dai collaboratori.
Supponiamo ancora che durante un incontro con un terzo collaboratore, il
manager accetti di dargli il suo appoggio circa un progetto di lavoro che gli ha
appena chiesto di sviluppare.
Nel salutarsi, il manager suggerisce:
“Mi faccia sapere come posso aiutarla”.
Analizziamo questa situazione. Inizialmente la scimmia è sulla spalla del
subordinato, ma per quanto tempo? Il collaboratore sa, per esperienza, che
potranno forse passare settimane prima che il manager si decida finalmente ad
esaminare la sua proposta.
Sulla spalla di chi sta in realtà la scimmia?
Chi controlla chi?
Anche qui si va creando una situazione di stallo che rischia di sfociare in un
vicolo cieco.
Un quarto collaboratore è stato appena trasferito ad un altro incarico. Il
manager gli ha comunicato che dovranno incontrarsi al più presto per
elaborare una serie di obiettivi per la sua nuova mansione, ed ha affermato:
“Preparerò un piano di massima che vorrei discutere con lei”.
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Analizziamo anche questa situazione.
Il collaboratore ha la nuova mansione (assegnatagli formalmente) e la piena
responsabilità (per delega ufficiale), ma la mossa successiva spetta al
manager: finché egli non decide, la scimmia è sulla sua spalla e il collaboratore
non può muoversi.
Perché capita tutto ciò? Perché in ciascun caso il manager e il collaboratore fin
dall’inizio partono, intenzionalmente o no, dal presupposto che la questione in
causa sia un problema comune.
In tutti i casi, la scimmia all’inizio tiene un piede sulla spalla di entrambi. Basta
che sposti il piede sbagliato e immediatamente il collaboratore scompare
abilmente, mentre il manager colleziona nel suo “zoo” personale un nuovo
esemplare.
Ovviamente si possono addestrare le scimmie a non muovere la zampa
sbagliata, ma è certamente più semplice evitare anzitutto che stiano sulle
spalle di due persone contemporaneamente.
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CHI LAVORA PER CHI?
Supponiamo che gli stessi quattro collaboratori, precedentemente citati, siano
così consapevoli e rispettosi del lavoro del manager da fare il possibile perché
ogni giorno non più di tre scimmie saltino dalla spalla di ognuno di essi sulla
sua.
Dopo cinque giorni di lavoro, il manager avrà raccolto sessanta scimmie
urlanti,
troppe perché possa “calmarle” una per una. E così egli passa il tempo
imposto dai collaboratori a far giochi di destrezza con le sue priorità.
Nel tardo pomeriggio di venerdì, il manager si trova nel suo ufficio, con la porta
chiusa per poter studiare in privato la situazione, mentre i suoi collaboratori
stanno aspettando fuori l’ultima occasione prima del week – end per potergli
ricordare che deve prendere delle decisioni.
Si può immaginare cosa dicono del manager mentre sono in attesa:
“Siamo ad un punto morto. Non sa decidersi. Vai a capire come una persona
che non è capace di prendere decisioni abbia potuto fare carriera nella nostra
azienda!”.
Il peggio è che il manager non può fare nessuna di queste “mosse di risposta”,
dato che egli è pressoché interamente assorbito dagli impegni impostigli dal
capo e dal sistema. Per tenerli sotto controllo, egli avrebbe bisogno di tempo
discrezionale che invece gli viene a mancare, dovendosi occupare di tutte
quelle scimmie. E così il manager si trova invischiato in un circolo vizioso.
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Ma il tempo stringe: il manager convoca i suoi subordinati e dice loro che potrà
vederli solo lunedì mattina. A tarda sera, come sempre gli accade, se ne torna
a casa, fermamente intenzionato ad affrontare il problema durante il week –
end, nella tranquillità del suo ufficio.
Sabato mattina si reca presto in ufficio, armato di tutte le migliori intenzioni…
quando dalla finestra vede quattro giocatori che disputano un “doppio” sul
campo da tennis che si trova proprio di fronte al palazzo. Indovinate chi sono?
È il colmo. A questo punto egli sa chi in realtà lavora per chi. E per di più
capisce che se in quel fine settimana egli facesse veramente quello che era
intenzionato a fare, i suoi subordinati acquisirebbero tanta di quella tranquillità
e sicurezza da non farsi scrupoli di moltiplicare il numero delle scimmie da far
saltare sulla sua spalla.
A quel punto insomma, egli ha la chiara percezione che quanto più si lascerà
coinvolgere, tanto più rimarrà indietro col lavoro.
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Esce dall’ufficio con passo deciso e con le idee più chiare. Che piano ha?
Quello di farsi coinvolgere in ciò per il quale da anni non trova il tempo, vale a
dire un week – end con la sua famiglia (per citare una delle tanti varianti del
tempo discrezionale…).
Domenica notte si fa dieci belle ore di sonno tranquillo. Ha già dei piani precisi
per lunedì: ha deciso infatti di liberarsi del tempo imposto dai collaboratori.
Per contro avrà a disposizione una pari quantità di tempo discrezionale, che
potrà destinare in parte all’istruzione dei suoi collaboratori nella difficile ma
gratificante arte manageriale che prende il nome di
“Cura e Alimentazione delle Scimmie”.
Potrà, inoltre, dedicare ulteriore tempo discrezionale alla pianificazione ed ai
contenuti del tempo imposto sia dal capo che dal sistema. Tutto questo
processo potrà richiedere mesi, ma visto come è stata la situazione fino ad ora
i vantaggi saranno enormi.
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COME DISFARSI DELLE SCIMMIE
Lunedì mattina, il manager ritorna in ditta con quel tanto di ritardo che gli farà
trovare tutti i suoi collaboratori nell’anticamera del suo ufficio, pronti a sentire
che intende fare delle rispettive scimmie.
Il manager li riceve, uno dopo l’altro.
Lo scopo dell’incontro è quello di prendere una scimmia e, dopo averla messa
sulla scrivania tra i due, cercare insieme di stabilire su basi razionali quale
potrebbe essere la mossa di risposta del collaboratore.
Può accadere che la mossa di risposta del collaboratore sia così evasiva ed
insoddisfacente da indurre il manager a decidere, solo per il momento, di far
dormire la scimmia sulla spalla del collaboratore e di farlo ritornare da lui
successivamente, in un momento prestabilito, per continuare la comune
ricerca di una mossa più sostanziale da parte del collaboratore. (Il sonno
notturno delle scimmie è profondo sulla spalla sia del collaboratore che del suo
superiore).
La soddisfazione che il manager ha quando ogni collaboratore esce dal suo
ufficio è quella di vedere che una scimmia sta sulla spalla giusta, cioè quella
del collaboratore. Nelle prossime ventiquattr’ore non sarà il collaboratore ad
aspettare il manager, ma sarà il manager che aspetterà il collaboratore.
Più tardi, utilizzando una parte del suo tempo discrezionale in modo assai
costruttivo, il manager va fino all’ufficio del collaboratore, si affaccia alla porta
e gli chiede:
“Allora, a che punto siamo?”.
Quando in seguito, al momento prestabilito, il collaboratore (con la sua
scimmia sulla spalla) ed il manager si incontrano nuovamente, quest’ultimo
spiega le regole di base nel modo seguente:
“Se l’aiuto a risolvere questo o qualsiasi altro problema, ciò non vuol dire che il
suo problema debba diventare il mio problema. Dal momento che il suo
problema diventa mio, lei non ha più un problema e il mio aiuto diventa
superfluo per chi non ha un problema. Al termine del nostro incontro, il
problema uscirà da questo ufficio esattamente come vi è entrato, cioè sulla
sua spalla. Se lei chiederà di rincontrarmi io potrò aiutarla e stabiliremo
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insieme quale dovrà essere la prossima mossa e chi di noi due dovrà
compierla. Nei casi rari in cui dovesse risultare che la prossima mossa spetta a
me, la decideremo insieme. Non farò nulla da solo”.
Fino alle undici il manager incontra i vari collaboratori, ribadendo questi
concetti. A quel punto, egli non avrà più bisogno di chiudere la porta perché le
sue scimmie se ne sono andate.
Ritorneranno, certo, ma solo su
appuntamento, e a ciò penserà la sua agenda.
IL TRASFERIMENTO DELL’INIZIATIVA: LA DELEGA
Questa analogia con la scimmia sulla spalla sta ad evidenziare la necessità per
il manager di passare l’iniziativa al collaboratore e di fargliela mantenere. La
verità che abbiamo cercato di sottolineare è ovvia e insidiosa al tempo stesso.
Prima di poter stimolare i suoi collaboratori a sviluppare un’iniziativa, infatti, il
manager deve essere sicuro che essi abbiano l’iniziativa. Tutte le volte che
egli se l’assume, essi perdono spirito di iniziativa, e così il manager può dire
addio al proprio tempo discrezionale poiché torna a prevalere il lavoro imposto
dai collaboratori.
Non è neanche possibile che il manager ed un collaboratore abbiano
contemporaneamente la stessa iniziativa. La frase iniziale “capo, abbiamo un
problema…” implica questa dualità e rappresenta, come già notato, una
scimmia sulle spalle di due persone, che non è certo un buon modo per avviare
la risoluzione di un problema.
A questo proposito, intendiamo ora soffermarci su quella che chiameremo
“L’Anatomia dell’Iniziativa Manageriale”.
L’iniziativa che il manager può assumere nei riguardi del capo e del sistema si
pone su cinque livelli diversi:
1. attesa di ordini (livello più basso di iniziativa);
2. richiesta di ordini;
3. proposta di soluzione, ottenimento del consenso e avvio dell’azione
risultante;
4. azione autonoma seguita da un’immediata informazione;
5. azione indipendente seguita a tempo debito da un rapporto di routine (livello
più alto di iniziativa).
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È chiaro che il manager dovrebbe essere abbastanza professionale per evitare
di indulgere in iniziative del livello uno e due quando ha a che fare con il capo
o con il sistema.
Infatti, il manager che adotta un’iniziativa del livello uno dimostra di non avere
il controllo né della tempificazione né del contenuto del job impostogli dal capo
o dal sistema. Rinuncia così a qualsiasi diritto a lamentarsi di quanto gli viene
ordinato o del momento in cui gli viene detto di farlo.
Il manager che prende un’iniziativa di livello due non ha il controllo di quanto
gli viene ordinato di fare ma ha la facoltà di muoversi nel momento che egli
ritiene opportuno.
Ai livelli di iniziativa tre, quattro e cinque il manager ha sotto controllo
ambedue i vincoli. Al livello cinque il controllo è completo.
Riguardo alle iniziative dei collaboratori, il manager ha due compiti:
• il primo è quello di bandire l’utilizzo di iniziative del livello uno e due,
obbligando così i collaboratori ad imparare alla perfezione l’arte di portare a
compimento il lavoro di staff,
• il secondo consiste nel fare in modo che un collaboratore non esca dal suo
ufficio senza che sia stato accordato un certo livello di iniziativa per la
soluzione del problema e che sia stato fissato il momento del prossimo
incontro tra manager e collaboratore. Questo incontro sarà accuratamente
annotato sulle rispettive agende.
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CURA E ALIMENTAZIONE DELLE SCIMMIE
Per chiarire ancor meglio l’analogia tra la scimmia sulla spalla ed i processi di
delega e di controllo, faremo un rapido riferimento al programma di lavoro del
manager.
Il programma richiede cinque regole categoriche di controllo della “Cura e
Alimentazione delle Scimmie”. Le violazioni a queste regole si pagano in
termini di tempo discrezionale.
1ª regola.
Le scimmie si nutrono o si uccidono, altrimenti muoiono di fame e il manager
deve disperdere tempo prezioso in autopsie o in tentativi di resurrezione.
2ª regola.
Occorre mantenere la popolazione delle scimmie al di sotto del numero
massimo di esemplari che il manager è in grado di nutrire.
L’adeguata alimentazione di una scimmia non deve prendere più di alcuni
minuti.
3ª regola.
Bisogna nutrire le scimmie solo su appuntamento. Il manager non deve andare
a cercarsi scimmie affamate e nutrirle come e quando capita.
4ª regola.
È più produttivo nutrire le scimmie faccia a faccia o al telefono, che non per
posta. (Usando la corrispondenza, la mossa di risposta spetta al manager,
ricordate?). Una documentazione può rendere più efficace il processo di
alimentazione, ma non può sostituirlo.
5ª regola.
Per ciascuna scimmia vanno definiti “il momento del pasto successivo” e il
“livello di iniziativa”. In qualsiasi momento ci si può accordare per una
variazione di questi elementi, ma non bisogna mai lasciare che cadano nel
vago perché altrimenti la scimmia o muore di fame o finisce per aggrapparsi
alla spalla del manager.
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LA GESTIONE DEL TEMPO
NOTA CONCLUSIVA
Ai fini della gestione del management time, il consiglio adatto è: “tieni sotto
controllo la tempificazione e il contenuto di quello che fai”.
La prima cosa che il manager deve fare è estendere il suo tempo discrezionale
eliminando il tempo imposto dai collaboratori. La seconda è usare una parte
del tempo discrezionale cosi acquisito per assicurarsi che ognuno dei suoi
collaboratori possieda l’iniziativa, in mancanza della quale egli non può
assumerla, e poi per fare in modo che l’iniziativa sia portata a compimento.
La terza cosa da fare è usare un’altra porzione del tempo discrezionale
aggiuntivo per acquisire e mantenere il controllo sulla tempificazione e sul
contenuto del tempo impostogli e dal suo capo e dal sistema.
Dopo un’attenta lettura del documento, vogliate rispondere alle seguenti
domande.
1) Il tempo di un manager può essere classificato nelle tre tipologie seguenti.
Stimi quale percentuale del suo tempo è dedicato a ciascuna di esse:
– tempo imposto dal capo
– tempo imposto dal sistema
– tempo auto imposto.
2) Quali degli obiettivi da raggiungere nei tre diversi modi di utilizzo del tempo
pensate debba essere raggiunto per primo? Perché?
3) Il suo tempo auto imposto è limitato dagli altri due tipi di tempo? Quale
percentuale del suo tempo auto imposto è, secondo voi, speso nei due modi
seguenti:
tempo imposto dai subordinati
tempo discrezionale.
4)In alcuni casi si può fare molto per migliorare la situazione. In altri meno.
Individui UNA azione da intraprendere per razionalizzare l'uso del suo tempo