Maria Trasparenza dell`amore di Dio

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Maria Trasparenza dell`amore di Dio
1. MARIA TRASPARENZA DELL’AMORE DI DIO PER NOI
1. MARIA NEL DISEGNO DI DIO E NELLA COMUNIONE DEI SANTI
Ogni riflessione sulla Vergine Maria deve svolgersi – pena la sua insignificanza
teologica – all’interno del progetto divino e nel mistero della comunione dei santi. Come
dire che il contesto storico salvifico, trinitario ed ecclesiale sono il Sitz im Leben
irrinunciabile di ogni discorso e per conseguenza di ogni forma di culto verso la Madre
del Signore.
Nonostante l’unicità irripetibile della sua storia personale, Maria fa parte del disegno
salvifico del Padre, che si realizza mediante Cristo nello Spirito e che coinvolge in un
progetto d’amore tutti i “santi”, della cui assemblea ella è membro eminente e singolare.
Isolare la Vergine dalla comunione dei santi, sia nella sua esperienza di discepola di
Cristo, sia nella sua condizione gloriosa presso il Signore, significa escluderla dal mistero
della salvezza nella storia e non riconoscerla più in quella donna-sposa dell’Agnello di
Apocalisse che simboleggia la Chiesa gloriosa, e in essa la Vergine che della comunità
ecclesiale è primizia ed icona escatologica.
Il disegno del Padre in Cristo – tutto è stato fatto per mezzo di Lui, in vista di Lui e
in Lui (cf. Col 1,16-17) – riguarda tutti i santi, anzitutto Lei:
Quelli che Egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi
all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha
predestinati li ha anche chiamati, quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha
giustificati li ha anche glorificati (Rm 8,29-30).
Questo importante testo della lettera ai Romani, che tratta esplicitamente del progetto
salvifico del Padre (cf. 8,28), non nomina Maria, ma come è possibile ignorarla,
addirittura non vederla in prima linea? In lei il disegno d’amore del Padre si è realizzato
in maniera piena ed esemplare. Se tutti in Cristo siamo stati conosciuti, predestinati,
chiamati, giustificati, lei lo è in maniera singolare ed eccedente; glorificati in Cristo
siamo tutti, secondo il progetto eterno del Padre, ma lo siamo nella speranza; Maria
invece ha già conseguito la condizione gloriosa del Figlio: una condizione che per tutti
noi si compirà solo alla fine. Ciò che distingue la Vergine da noi riguarda la priorità e la
pienezza, ma non intacca minimamente la sua solidarietà con la comunità dei santi. Tutti
infatti siamo predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, somiglianza
che in lei appare più vivida e concreta, come intuisce mirabilmente il genio dantesco:
Riguarda omai ne la faccia che a Cristo più si somiglia (Paradiso, XXXII,85).
Il disegno del Padre dal quale tutto procede - che si compie nel Figlio e mediante Lui,
ed ha noi per destinatari - riguarda anzitutto e in maniera privilegiata la Madre del
Signore, come la tradizione ecclesiale incessantemente ripete e la dottrina del Vaticano II
ripropone. A questa figura, immagine e primizia della comunità dei santi, la riflessione
conciliare dedica particolare attenzione, presentandola come “Madre del Figlio di Dio, e
perciò figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito santo; per il quale dono di grazia
esimia precede di gran lunga tutte le creature celesti e terrestri” (Lumen gentium, n. 53).
Ella è già “profeticamente adombrata” nelle pagine dell’AnticoTestamento,
accanto al Figlio di cui si annuncia la venuta:
I libri dell’Antico Testamento… come sono letti nella Chiesa e sono capiti alla luce
dell’ulteriore e piena rivelazione, passo passo mettono sempre più chiaramente in luce la figura di
una donna, la madre del Redentore… ella viene già profeticamente adombrata nella promessa,
fatta ai progenitori… Ella primeggia tra gli umili e i poveri del Signore… E infine con lei, eccelsa
Figlia di Sion, dopo la lunga attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura una nuova
economia… (Lumen gentium, n. 55).
Il Padre “misericordiosissimo e sapientissimo” che aveva progettato e guidato le tappe
della storia della salvezza lungo tutto il tempo dell’attesa,
“quando venne la pienezza del tempo… mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la
legge, per liberare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo la figliolanza divina” (Gal
4,4-5)… Questo divino mistero di salvezza ci è rivelato ed è continuato nella Chiesa, che il
Signore ha costituita quale suo corpo” (Lumen gentium, n. 52).
Volle il Padre delle misericordie che l’accettazione della predestinata madre precedesse
l’incarnazione, perché come una donna aveva contribuito a dare la morte, una donna contribuisse
a dare la vita. Il che vale in modo straordinario della Madre di Gesù, la quale ha dato al mondo la
Vita stessa che tutto rinnova, e da Dio è stata arricchita di doni consoni a un così grande ufficio.
Nessuna meraviglia quindi se presso i santi Padri invalse l’uso di chiamare la Madre di Dio la
Tutta-santa e immune da ogni macchia di peccato, dallo Spirito santo quasi plasmata e resa
nuova creatura (Lumen gentium, n. 56).
Il testo conciliare mette poi in luce l’éschaton-realizzato nella Vergine, nel quale
attingono pienezza e compimento i doni del Padre:
Infine, l’Immacolata Vergine, preservata immune da ogni macchia di colpa originale, finito il
corso della sua vita terrena, fu assunta alla celeste gloria in anima e corpo, e dal Signore, esaltata
quale Regina dell’universo, perché fosse più pienamente conformata col Figlio suo, Signore dei
dominanti e vincitore del peccato e della morte (Lumen gentium, n. 59).
Questi temi e prospettive vengono ripresi e sviluppati nella Redemptoris Mater:
… l’eterno disegno di Dio Padre, il suo piano di salvezza in Cristo… riguarda tutti gli
uomini… ma riserva un posto singolare alla “donna” che è madre di colui, al quale il Padre ha
affidato l’opera della salvezza (Redemptoris Mater, n. 7).
Gli eventi decisivi verificatisi nella pienezza del tempo e che hanno segnato
irrevocabilmente la storia successiva fino al suo compimento acquistano particolare
importanza nel memoriale che la Chiesa oggi è chiamata a rivivere e celebrare.
2. L’AMORE PATERNO-MATERNO DI DIO
La Prima Lettera di Giovanni ci offre, finalmente, la “definizione” di Dio: Amore. Mai
vi fu – al dire di Alonso-Schökel – definizione più alta di Dio: Amore; mai vi fu
definizione più elevata dell’amore: Dio. Si tratta ovviamente del vertice della rivelazione
biblica, di un invalicabile punto definitivo. Ma la Scrittura non ama solitamente dare
definizioni, privilegia il genere narrativo e il contesto storico-salvifico. L’identità di Dio
non viene definita, ma narrata e manifestata mediante le sue opere; è nascosta dietro una
sconfinata galleria di simboli e figure che ne fanno intravedere l’insondabile densità e
l’infinito splendore.
Tutta la tensione dell’Antico Testamento si può condensare nel desiderio di vedere
Dio, espresso dalla richiesta appassionata di Mosè: “Mostrami la tua gloria!” (Es 33,18).
Aspirazione dichiarata impossibile, ma finalmente soddisfatta, anche se per breve tempo,
in personaggi di confine tra l’antica e la nuova alleanza: Simeone, il quale ormai può
andare in pace, “perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza” (Lc 2,30); Giovanni
Battista, presentato come l’amico dello sposo la cui gioia finalmente s’è compiuta perché
sono giunte le nozze di Dio con il suo popolo (cf. Gv 3,29).
L’esperienza di udire-vedere-toccare è propria del Nuovo Testamento: “Abbiamo
contemplato la sua gloria!” (Gv 1,14), formula privilegiata nella quale si compendia la
rivelazione giovannea.
L’Antico Testamento, pur non avendo potuto vedere la gloria di Dio che rifulge sul
volto di Cristo, sempre ha sperimentato la tenerezza del Dio dei Padri e dell’alleanza, del
Dio salvatore e redentore.
Proprio Mosè, al quale non è dato – come a nessun mortale – di vedere il volto di Dio,
sente proclamare dal Signore il proprio Nome: “Yahwè, Yahwè, Dio di misericordia e di
tenerezza, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà” (Es 34,6-7).
Già da questa rivelazione, presente nella Torah e dunque nella parte fondamentale e
più venerata della rivelazione, collocata agli inizi della storia d’Israele, si ha una
manifestazione eccezionalmente densa del volto di Dio. E ben si comprende come a un
Dio d’infinita misericordia e di grazia si debba rispondere con un atteggiamento di amore
esclusivo e totale, come esige lo šema‘ (Dt 6,4-9) e come tutta la tradizione biblica - in
particolare la letteratura deuteronomistica, i profeti e i salmi – inculcano incessantemente.
In Dio si manifesta la forza, l’intensità, addirittura la violenza dell’amore paterno e
tutta la profondità avvolgente della tenerezza di una madre. La dimensione materna di
tale amore è ben evidente in termini come grembo, viscere, seno, braccia-culla del
bambino… e in affermazioni nelle quali Dio si paragona a una madre affettuosissima,
curva sul proprio bambino:
Sion ha detto: “Il Signore mi ha abbandonato,
il Signore mi ha dimenticato”.
Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il frutto delle sue viscere?
Anche se queste donne si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai (Is 49,14-15).
Normalmente, tuttavia, il Signore viene presentato come un Padre - ben diverso dai
padri terreni che siamo abituati a vedere -, dotato di una tenerezza così grande che a
stento riusciamo a esprimere condensando in Lui la carica d’amore maschile e femminile,
che copre l’intera realtà della nostra esperienza umana.
Così nello splendido salmo 103(102) che benedice il Signore per i suoi innumerevoli
benefici, si ricorda la rivelazione fatta a Mosè e si ribadisce:
buono e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore…
la grazia del Signore è da sempre,
dura interno per quanti lo temono;
la sua giustizia per i figli dei figli… (vv. 8.17; cf. Sal 86,15; 145,8).
In particolare l’amore paterno-materno di Dio si manifesta nel v. 13, nel quale Dio
viene paragonato a un padre, ma al quale si attribuiscono atteggiamenti materni,
collegando nascita dalla donna e creazione dalla terra, sempre ad opera di un
amorevolissimo artigiano che è padre-madre della sua creatura:
Come un padre ha viscere di misericordia verso i suoi figli
Così Yahwè ha viscere di misericordia verso quelli che lo temono
Perché egli sa che ci ha plasmati, si ricorda che noi siamo povere.
L’Antico Testamento, come sempre, è una prima tappa, fondamentale, della
rivelazione di Dio e dunque della manifestazione dell’amore del Padre per il mondo. Tale
manifestazione attinge pienezza nel Nuovo Testamento in cui Dio manifesta il suo volto
di grazia in Gesù Cristo, il Figlio del suo amore.
Su di lui riposa la compiacenza del Padre con la pienezza delle sue benedizioni. Come
tutto è stato creato nel Figlio così tutta la creazione porta la sua impronta, ed ogni persona
è amata di amore eterno. Per amore del mondo il Padre ha donato il suo Figlio: “Così Dio
ha amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito...!” (Gv 3,16).
La connotazione cristologica dell’amore divino non solo è fondamentale, ma
indispensabile, perché mediante il Figlio Dio si manifesta. E il Figlio diviene rivelazione
del Padre nel mondo assumendo una carne simile alla nostra, nascendo dalla Vergine
Maria. Ella per conseguenza è al centro di questo mistero della condiscendenza di Dio e
della sua venuta nella nostra storia.
Fin dall’annunciazione appare tutta la singolarità della sua partecipazione all’amore
del Padre. Ella per due volte – all’inizio di tutto (Lc 1,27) è chiamata vergine, vale a dire
totalmente appartenente al Signore, senza compromissioni e ambiguità, così come si
richiedeva a Israele popolo dell’alleanza e come si esigerà dalla Chiesa, sposa senza ruga
e senza macchia del suo Signore (cf. Ef 5,25-27).
Ella, vergine consacrata a Dio, è salutata come kecharitoménē (Lc 1,28), donna
trasformata dalla tenerezza del Signore, che ha trovato grazia davanti a Dio (v. 30). Il
segno concreto dell’amore del Padre verso Maria consiste nel dono del suo unico Figlio,
da lei generato per opera dello Spirito (v. 35). Tale dono è per tutti, ma è stato affidato a
Maria che a nome del mondo l’ha accolto nella propria esistenza concreta. Con un
incondizionato atto di fede ella mette la sua vita al servizio dei progetti di Dio e dunque
della storia del mondo; fede per la quale è proclamata beata da Elisabetta (v. 45) e poi da
tutte le generazioni (v. 48b).
3. MARIA SACRAMENTO DELLA TENEREZZA DI DIO
ALLA LUCE DI EFESINI 3,1-14 E DI LUCA 1,46-55
Colei che per prima - in Cristo - è stata ricolmata di tutti i doni del Padre è soggetto
privilegiato della solenne euloghia di Ef 1,3-14, che riguarda ovviamente tutti i credenti, ma
innanzitutto la Madre del Signore. Ella è stata scelta prima della creazione del mondo per
essere santa e immacolata al suo cospetto nell’amore; predestinata in Cristo ad essere figlia
amatissima del Padre; redenta in maniera sublime e singolare; ricolmata dell’abbondanza
della grazia divina; introdotta con ogni sapienza e intelligenza nel mistero della benevola
volontà divina; erede per prima e in pienezza della gloria di Cristo. Maria davvero, più di
ogni altra creatura, è stata benedetta con tutte le benedizioni del Padre in Cristo. E più di
ogni altra creatura, ella benedice “Dio, padre del Signore nostro Gesù Cristo” per essere
stata benedetta con ogni benedizione in Cristo. Insieme con lei, quanti stati ricolmati di tali
immensi doni sono chiamati a benedire Dio con una lode senza fine.
La benedizione, tuttavia, non è solo frutto delle labbra, non si esaurisce nella
proclamazione dell’amore di Dio, essa si esprime in maniera fondamentale e decisiva
nella comunione e nella condotta morale. A Dio che benedice si risponde con la lode
liturgica e con l’impegno della vita. Il ritornello che scandisce l’euloghia di Ef 1,3-14 è
ben concreto ed esistenziale: Il Padre ci ha benedetti in Cristo perché fossimo a lode della
sua gloria, ritornello che con leggere varianti risuona nei vv. 6.12.14.
Ogni credente, come Maria, è stato ricolmato di benedizioni per essere lode e gloria
dell’amore del Padre. Questa finalità, che costituisce la stessa ragion d’essere del popolo
di Dio, si realizza purtroppo solo parzialmente e in maniera imperfetta nei credenti. In
Maria, la prima della comunità dell’alleanza, sulla quale le benedizioni divine si sono
riversate con straordinaria abbondanza, il progetto del Padre è realizzato in pienezza: ella
è la pura lode della grazia di Dio di fronte al mondo. Con le labbra e con tutta la sua vita
santa e immacolata, la Vergine benedice il Signore che l’ha benedetta e porta a
compimento la vocazione di tutta la Chiesa, di cui è portio maxima, portio optima, portio
praecipua, portio electissima (RUPERTO, PL 169, 1043A). In lei è possibile contemplare
allo stato puro il disegno d’amore di Dio: ella è immagine vivente di una Chiesa santa e
immacolata che ha risposto ai doni di Dio con un sì incondizionato e fedele.
Di Ef 1,3-14 abbiamo offerto una lettura mariana dalla quale traspare con straordinaria
evidenza l’amore del Padre in Cristo e la risposta di lode-benedizione che la comunità
innalza al suo Signore.
Di un testo ecclesiale abbiamo offerto una lettura mariana, che non solo non ne
pregiudica il senso, ma al contrario lo esplicita e lo rende concreto. Dalla Chiesa a Maria
si dà un passaggio ovvio, naturale, addirittura necessario; tra le due figure esiste quasi
un’identificazione che mette in guardia da ogni tentazione di dissociarle.
Lo stretto rapporto di reciprocità tra Maria e la Chiesa – evidenziato in testo ecclesiale
come Ef 1,3-14 - appare con non minore chiarezza in un testo mariano come il
Magnificat (Lc 1,46b-55) nel quale tutti riconoscono da sempre una dimensione
ecclesiale. In quel cantico il passaggio da Maria al popolo di Dio è non solo suggerito,
ma iscritto nel testo. Non si dimentichi che nel Magnificat la Vergine celebra le grandi
azioni salvifiche di Dio a titolo personale e a nome di tutto il popolo. Anche in questo
caso non si tratta di semplici parole di lode o di ringraziamento: esse sono precedute dal
sì della vita pronunciato dalla Vergine con estrema chiarezza al termine
dell’annunciazione (cf. Lc 1,38).
Anche il Magnificat inizia con la celebrazione di Dio: La mia vita magnifica il Signore
/ e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore.
Com’è noto, l’introduzione rivela subito la tonalità del canto e dà il senso del suo
svolgimento: l’introduzione del Magnificat consiste nell’esaltazione del Signore e nella
gioia in Dio Salvatore. È evidente che non è possibile celebrare il Signore ed esplodere di
gioia senza una profonda e diretta esperienza di Lui e delle sue azioni salvifiche. Infatti
tutto il seguito del cantico, introdotto con un significativo poiché (v. 48) - che si potrebbe
ripetere ad ogni versetto – giustifica la lode e la gioia del Magnificat.
Il primo motivo del canto consiste nel fatto che egli dall’alto ha guardato, si è curvato
con misericordia, ha preso in considerazione – come in Es 3,7ss per il popolo oppresso in
Egitto - la povertà, l’umile condizione della sua serva e per lei ha compiuto grandi cose,
Lui che è il forte, il potente, il santo e il misericordioso.
Questo è il messaggio della prima parte del canto (vv. 46b-50). Dio è chiamato
Salvatore fin dall’inizio, proprio perché si è preso cura della sua povera serva ed è
intervenuto trasformando in maniera radicale la sua situazione. In tal modo, con azioni
concrete e visibili ha mostrato la sua forza salvifica, la trascendente santità e gelosia
divina a difesa degli umili e pertanto l’inesauribile ed efficace misericordia verso di essi.
Nella seconda parte del cantico (vv. 51-55) l’esperienza della serva si dilata, estendosi
a tutti i poveri ed oppressi, a Israele servo del Signore, soccorso dalla misericordia divina.
Come si vede, c’è un passaggio esplicito, in evidente continuità, tra la serva e i servi del
Signore. Quel che Dio ha operato in lei, si realizza per tutto il suo popolo.
Nella prima parte del canto si parla già di “grandi cose” operate dal “potente”; nella
seconda il motivo della forza esplode con efficacia ancor maggiore, addirittura con
violenza, a causa delle storiche, prolungate oppressioni perpetrate contro i deboli e gli
affamati – metafora d’Israele -, da parte di sinistri personaggi che dominano il mondo con
empietà e disumana violenza. Gli interventi di Dio a salvezza dei poveri sono
estremamente decisi e risolutivi. I verbi qualificano in maniera inequivocabile la sua
potente azione salvifica, che può apparire di liberazione e distruzione; in realtà, si tratta di
interventi finalizzati alla salvezza, che deve tuttavia confrontarsi con arroganza ostinata
degli oppressori. L’intento salvifico è ribadito con estrema chiarezza al termine del canto:
“ha soccorso Israele suo servo / ricordandosi dell’eterna misericordia… verso Abramo e
la sua discendenza (vv. 54-55).
La misericordia piena di forza e di efficacia è dunque il motivo centrale del
Magnificat. Il cantico della Vergine costituisce una rivelazione privilegiata del volto di
Dio: un Dio di misericordia e di grazia, liberatore dei poveri, salvatore del suo popolo.
Ancora una volta Maria di Nazaret delinea con tratti limpidissimi e densi il volto
d’amore del Padre verso la sua umile serva e verso la discendenza di Abramo oggetto
perenne della sua misericordia.
Bisogna ribadirlo: ella è testimone dell’amore di Dio che viene a noi e attinge pienezza
in Cristo suo Figlio. È limpida trasparenza della tenerezza di Dio verso il mondo e
insieme umile e generosa risposta del mondo all’insondabile amore di Dio.