linee guida per l`impiego di test per autoanticorpi nucleo

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linee guida per l`impiego di test per autoanticorpi nucleo
LINEE GUIDA PER L’IMPIEGO DI TEST PER AUTOANTICORPI NUCLEO-CITOPLASMATICI
NELLA DIAGNOSI E NEL MONITORAGGIO DELLE MALATTIE AUTOIMMUNI SISTEMICHE.
REVISIONE 2002.
R. Tozzoli, N. Bizzaro, E. Tonutti, D. Villalta, D. Bassetti, F. Manoni, A. Piazza, M. Pradella, P. Rizzotti, M.
Bagnasco, L. Camogliano, M. Tampoia
Gruppo di Studio in Autoimmunologia della Società Italiana di Medicina di Laboratorio (SIMeL)
Introduzione
In Medicina di Laboratorio le linee guida (LG) sono raccomandazioni di comportamento sulle modalità più
appropriate di condurre il procedimento diagnostico: lo scopo è il miglioramento dell'efficienza e l'efficacia
della diagnosi e del monitoraggio della malattia (1,2).
Negli ultimi anni la pratica della Medicina basata sull'evidenza (3, 4) ha determinato una significativa crescita
di interesse verso le LG: le esperienze internazionali confermano che le Società Medico-Scientifiche giocano
un ruolo centrale nella loro elaborazione e nella definizione degli indicatori dell'efficienza e/o l'efficacia del
processo di erogazione delle prestazioni diagnostiche o dell'esito delle stesse.
Nel campo della diagnostica immunologica di laboratorio e in particolare nella sua nuova branca, l'Autoimmunologia (cioè la disciplina che si occupa dello studio degli autoanticorpi, dei fenomeni autoimmuni e
delle malattie autoimmuni), il problema è particolarmente sentito, dato che da 50 anni in laboratorio si impiegano metodi per il dosaggio di autoanticorpi organo- e non organo-specifici (5).
Il progresso delle conoscenze sulla natura degli autoanticorpi, la caratterizzazione molecolare dei principali
autoantigeni bersaglio e il recente riconoscimento del grande significato diagnostico e prognostico della presenza e della concentrazione di alcuni autoanticorpi nel siero di soggetti affetti da malattie autoimmuni, sono i
principali motivi del notevole incremento di richieste di test per la rilevazione di questi analiti.
La parallela proliferazione, ormai tumultuosa, di nuovi metodi e sistemi analitici in autoimmunologia comporta un sempre crescente dispendio di risorse economiche per il dosaggio di autoanticorpi, stimato in alcune centinaia di milioni di dollari in tutto il mondo (6): tale fenomeno impone in maniera sempre più pressante l'adozione di misure di standardizzazione e di verifica della qualità dei metodi, l'introduzione e la diffusione di LG
per la diagnosi ed il monitoraggio delle malattie autoimmuni e l'adozione di indicatori di efficienza e di efficacia delle prestazioni diagnostiche per la rilevazione di autoanticorpi e dei loro esiti sui pazienti (7).
Il Gruppo di Studio in Autoimmunologia della Società Italiana di Medicina di Laboratorio (SIMeL) ha prodotto alcune Raccomandazioni-Linee Guida di diagnostica di laboratorio delle malattie autoimmuni sistemiche
(MAIS) che sono state proposte all'attenzione dei medici di laboratorio e dei patologi clinici nel corso di numerose iniziative scientifiche.
Il percorso metodologico seguito è stato costituito da una fase iniziale di discussione tra tutti i componenti del
Gruppo di Studio per integrare le conoscenze derivate dalle evidenze scientifiche (articoli pubblicati nella let-
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teratura scientifica da 1966 al 2001), dalla verifica dell’opinione di esperti italiani e stranieri e dalla successiva diffusione ai Medici e Laureati dei Laboratori di Autoimmunologia presenti nel nostro Paese (9-11).
L’impatto di queste raccomandazioni è stato significativo e sono note ormai numerose esperienze di implementazione delle Linee Guida e dei risultati confortanti in termini di miglioramento della qualità delle prestazioni diagnostiche nei Laboratori di Immunologia Clinica.
Dato che gli autoanticorpi rivolti contro antigeni intracellulari e le MAIS sono il campo dell'autoimmunologia,
per il quale è complessivamente maggiore l'interesse del medico clinico (reumatologo, immunologo, dermatologo, ecc.) e del medico di laboratorio, le 16 raccomandazioni proposte sono specifiche per anticorpi antinucleo (ANA), per anticorpi anti-dsDNA e per anticorpi anti-antigeni nucleari specifici (ENA).
Da circa un decennio infatti la progressiva revisione dei criteri cardinali per la diagnosi delle principali MAIS
ha attribuito un ruolo sempre più centrale alla diagnostica di laboratorio, dato che attualmente la presenza di
criteri diagnostici riferiti all'assetto sierologico autoanticorpale del paziente rappresenta un requisito insostituibile per la diagnosi clinica. Infatti,
- la positività della ricerca di autoanticorpi anti-nucleo (ANA) o la presenza di anticorpi anti-dsDNA o antiSm costituiscono 2 degli 11 criteri utilizzati da anni per la diagnosi di lupus eritematoso sistemico e recentemente rivisti (12, 13);
- la positività della ricerca di autoanticorpi anti-nucleo (ANA) a titolo elevato o la presenza di autoanticorpi
anti-Ro/SSA o anti-La/SSB rappresentano criteri diagnostici per la sindrome di Sjögren (14);
- la presenza di autoanticorpi anti-Jo-1 costituisce un criterio per la diagnosi di dermato-polimiosite (15);
- la presenza di autoanticorpi anti-centromero (ACA) o anti-topoisomerasi (anti-Scl-70) rappresenta criterio
per la classificazione dei sottotipi di sclerosi sistemica, diffusa (dSSc) o limitata (lSSc) (16);
- un titolo elevato di anticorpi anti-RNP costituisce il principale criterio diagnostico per la connettivite mista
(17).
Raccomandazioni per anticorpi anti-nucleo (ANA)
Le MAIS presentano un'incidenza e una prevalenza non elevate nella popolazione; con l'eccezione dell'artrite
reumatoide, affezione che colpisce circa l’1% degli individui adulti, le altre malattie reumatiche interessano
complessivamente non più dello 0,5% della popolazione (18,19).
La maggior parte dei soggetti affetti presenta inizialmente segni clinici modesti e non specifici, date le tipiche
modalità di esordio delle MAIS, in genere con andamento subdolo e graduale: tra questi è da annoverare
l’evenienza di un riscontro casuale di alterazioni degli esami di laboratorio in soggetti asintomatici. La presenza di autoanticorpi senza significato clinico, a basso titolo, in soggetti sani o con patologie diverse dalle
malattie reumatiche è un'evenienza relativamente frequente nella popolazione, con possibilità che mediamente
1 individuo su 4 mostri positività alla ricerca di autoanticorpi con i comuni test di laboratorio e che tale reperto
non indichi l'esistenza di una malattia autoimmune sistemica (20,21); per queste ragioni,
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Noi raccomandiamo che test per la rilevazione di autoanticorpi siano richiesti ed eseguiti solo in presenza
di un consistente sospetto clinico per MAIS. La ricerca degli anticorpi anti-nucleo non dovrebbe essere
impiegata per lo screening di soggetti senza segni clinici, in quanto una bassa reattività ANA può essere
rilevata in molti pazienti non reumatici e anche in soggetti sani.
Nelle malattie reumatiche il reperto di laboratorio fondamentale è la presenza di autoanticorpi anti-nucleo, che
rappresenta un criterio centrale per la diagnosi delle principali malattie reumatiche (LES, SS, SSc, DM/PM,
MMTC) (22), anche se la positività della determinazione di ANA ha un diverso peso diagnostico per le differenti MAIS (7,20,23). Dal momento che la maggior parte degli ANA appartiene all’isotipo IgG e che la rilevazione di anticorpi di classe IgM o IgA non aumenta di molto la sensibilità ma, al contrario, può ridurre notevolmente la specificità (24-26), la determinazione dei soli ANA IgG è ritenuta sufficiente nella ricerca di questi autoanticorpi. L'immunofluorescenza indiretta (IFI) è la tecnica più comunemente usata per la determinazione degli anticorpi anti-nucleo per le sue caratteristiche di sensibilità, facilità di esecuzione e basso costo
(27).
Nella tecnica IFI come substrato si possono utilizzare sezioni tissutali di fegato e rene murino o linee cellulari
epiteliali ottenute da carcinoma laringeo umano; queste ultime presentano numerosi vantaggi rispetto ai tessuti
murini: buona visualizzazione di tutte le strutture cellulari, presenza di una popolazione cellulare omogenea in
monostrato, capacità di esprimere antigeni presenti in tutte le fasi del ciclo cellulare, possibilità di identificazione di anticorpi ristretti per antigeni nucleari della specie umana (25,28,29).
L'impiego di substrati cellulari sempre più ottimizzati ha consentito alla tecnica di incrementare la sua sensibilità e di mantenere un’elevata specificità nella rilevazione di un ampio spettro di autoanticorpi diretti contro
antigeni intracellulari (26,28,30).
Tuttavia esistono alcune eccezioni: anticorpi anti-Ro/SSA e anti-Jo1 non vengono sempre rilevati a causa della
scarsità degli antigeni-bersaglio nelle cellule HEp-2 o per perdita o denaturazione degli antigeni durante la
procedura di fissazione (25,31); a questo scopo è preferibile l’impiego di substrati fissati con acetone (7). Per
questi motivi,
Noi riteniamo che la sola determinazione degli autoanticorpi anti-nucleo di classe IgG con il metodo di
immunofluorescenza indiretta (IFI), sia sufficiente quale prima indagine nella diagnostica delle MAIS.
Nell'esecuzione del metodo IFI, noi raccomandiamo l'impiego di cellule epiteliali da carcinoma laringeo
umano (HEp-2, American Type Culture Collection CCL 23), in cui siano garantite l'espressione e l'integrità degli antigeni clinicamente significativi.
Il tipo di quadro osservabile in IFI su cellule HEp-2 in interfase è correlato alla specificità anticorpale, ovvero
alla struttura antigenica bersaglio, nucleare, mitotica o citoplasmatica.
Sono noti numerosi quadri fluoroscopici per i quali è dimostrata un'associazione con patologie autoimmuni e
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non: al momento attuale dei circa 40 tipi di quadri fluoroscopici identificati, solo 19 sono ragionevolmente associati a quadri clinici; inoltre per molti autoanticorpi è stato identificato con certezza l'autoantigene bersaglio.
Come è noto, tra i quadri nucleari patologia-associati i più frequenti sono costituiti dalla fluorescenza omogenea (DNA, DNP, istoni), periferica (DNA, DNP, istoni) e granulare (RNP, Sm, Ro/SS-A, La/SS-B); tra i relativamente frequenti si annoverano il quadro centromerico (CENP-A,B,C), il nucleolare (PM/Scl, nucleolina,
fibrillarina, RNA polimerasi I, hUBF), il granulare-nucleolare (topoisomerasi I o Scl-70), mentre tra i più rari
si annoverano il quadro pleomorfo o PCNA (ciclina), il quadro puntiforme o 'nuclear dots' (coilina, Sp-100), il
quadro di membrana (laminine A, B, C, gp 210).
I quadri citoplasmatici patologia-associati sono di riscontro relativamente poco frequente e sono costituiti dalla
fluorescenza granulare (tRNA sintetasi), dalla fluorescenza mitocondriale (proteine del complesso piruvatodeidrogenasi), dalla fluorescenza ribosomiale (ribonucleoproteine ribosomiali), dalla fluorescenza dei filamenti del citoscheletro (actina, vimentina, etc), dalla fluorescenza dell'apparato di Golgi e dei lisosomi.
Per quanto riguarda i rari quadri fluoroscopici mitotici patologia-associati, sono da annoverare la fluorescenza
del fuso (tubulina), dei centrioli (enolasi), dei poli o NuMA (proteine della matrice nucleare), del corpo intermedio o midbody e della proteina cromosomiale CENP-F, la cui presenza è tuttavia associata con le neoplasie e le epatiti B e C (32). Per queste ragioni,
Noi consigliamo la specificazione dei seguenti quadri fluoroscopici, accompagnata da un commento interpretativo sul rispettivo significato: quadri nucleari: omogeneo, periferico, granulare (speckled), centromerico, nucleolare, pleomorfo (PCNA), puntiforme (nuclear dots), della membrana; quadri citoplasmatici: granulare (speckled), mitocondriale, ribosomiale, dell'apparato di Golgi, lisosomiale, dei filamenti citoscheletrici (actina, vimentina, citocheratina); quadri mitotici: del fuso (o MSA-3), dei centrioli,
dei poli (NUMA o MSA-1), del corpo intermedio (midbody o MSA-2), CENP-F.
L'intensità di fluorescenza osservata in IFI viene espressa in modi diversi nei laboratori clinici.
L’espressione con una scala qualitativa ordinale di valori crescenti da + a ++++ presenta il vantaggio della rapidità e del basso costo, per il ricorso ad una sola diluizione del siero, ma non sempre l’intensità di fluorescenza alla diluizione base è proporzionale alla concentrazione anticorpale. Ciò è vero in particolare per i pattern
centromerico e nucleolare in cui la ridotta quantità di antigene rende molto soggettiva e perciò poco accurata
la definizione dell’intensità di fluorescenza.
Più frequentemente la concentrazione anticorpale è espressa con una scala quantitativa di valori in titolo (reciproco dell'ultima diluizione ancora reattiva); questo metodo differenzia più accuratamente i titoli bassi da
quelli alti e consente di stabilire livelli decisionali diversi, ciascuno con le proprie caratteristiche di sensibilità
e specificità; tuttavia, è anch’esso legato alla soggettiva definizione dell’end-point e perciò poco riproducibile,
come evidenziato dalla gran dispersione dei titoli ottenuti in numerosi studi collaborativi (33-35).
L'imprecisione e l'inaccuratezza analitica connessa con l'uso delle diluizioni fanno preferire l'impiego di calibratori, tarati sul materiale standard di riferimento (WHO-IRP 66/233, pattern omogeneo) e l’espressione della
concentrazione in Unità Internazionali (UI/mL) (24,36).
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Dal 1982, ad opera di organismi preposti alla standardizzazione, sono stati prodotti e resi disponibili un certo
numero di sieri di riferimento per la standardizzazione e la verifica della qualità dei diversi preparati commerciali di cellule HEp-2 (37,38) e per i diversi tipi di fluorescenza nucleare nel test ANA (35,39). Esistono perciò standard primari preparati dalla IUIS, standard secondari calibrati sugli standard primari, da utilizzare in
ambito nazionale o regionale, e standard terziari che ciascun Laboratorio dovrebbe allestire calibrandoli sugli
standard secondari. Di conseguenza,
Nella determinazione degli anticorpi anti-nucleo, noi raccomandiamo l'espressione quantitativa in titolo
(reciproco dell’ultima diluizione ancora reattiva). Se è disponibile una preparazione di riferimento, è preferibile l’espressione quantitativa in concentrazione (Unità Internazionali - UI/mL, WHO-IRP 66/233).
Nel caso di espressione in titolo, la diluizione iniziale del campione raccomandata è 1:40 (corrispondente a
circa 5 UI/mL) (40) e un titolo uguale o superiore a 1:160 (20 UI/mL) è da considerare positivo (33).
Anticorpi antinucleo a basso titolo (1:40 - 1:80) possono essere presenti nei soggetti sani, in particolare nelle
gravide, nelle donne sopra i 40 anni e negli anziani e, come epifenomeno senza significato clinico, in diverse
patologie (infezioni virali, sindromi neurologiche paraneoplastiche, epatopatie, sindrome da stanchezza cronica, neoplasie, ecc.) (41). Si tratta nella maggior parte dei casi di autoanticorpi naturali, a bassa avidità, reattivi
verso numerosi antigeni microbici e apteni chimici ambientali, con un repertorio antigenico simile a quello
degli autoanticorpi presenti nelle malattie autoimmuni sistemiche (42).
Gli autoanticorpi presenti nel siero dei pazienti affetti da malattie reumatiche sono probabilmente una miscela
di autoanticorpi naturali polireattivi di isotipo IgM e di autoanticorpi patogenetici ad alta avidità di isotipo IgG
e IgA (43); i metodi di laboratorio abitualmente impiegati nei laboratori clinici non sono in grado di distinguere questi due tipi di autoanticorpi, per cui la diagnosi differenziale deve essere condotta necessariamente in
base alla storia clinica del paziente, alla sintomatologia clinica ed ai livelli di autoanticorpi presenti nel siero.
Bassi titoli di autoanticorpi (1:40) sono raramente presenti in soggetti malati, ma in circa il 32% dei soggetti
sani (33); questa soglia presenta alta sensibilità e bassa specificità. Tuttavia essa può presentare valore diagnostico, nel caso in cui si vogliano classificare come ANA positivi virtualmente tutti i pazienti affetti da LES,
sclerodermia e sindrome di Sjögren.
Elevati titoli di autoanticorpi (>1:160) sono presenti in molti soggetti malati, ma solo nel 5% dei soggetti sani:
questa soglia presenta bassa sensibilità ed alta specificità. Tuttavia, a titoli inferiori a 1:160 i test secondari
(anti-dsDNA, anti-ENA, ecc) possono risultare positivi in circa il 5% dei casi (40,44).
I titoli intermedi possono essere presenti in circa il 20% della popolazione sana e in una discreta percentuale
di soggetti affetti. Per questi motivi,
I titoli di 1:40 e di 1:160 (o le concentrazioni di 5 e 20 UI/mL) vanno considerati come livelli decisionali,
che impongono differenti comportamenti operativi:
a. titoli inferiori a 1:40 vanno considerati negativi;
b. titoli superiori a 1:40 e inferiori ad 1:160 vanno considerati bassi positivi; in assenza di sintomi specifi-
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ci, il paziente non deve essere sottoposto ad approfondimento diagnostico, quanto invece a monitoraggio
nel tempo;
c. titoli uguali o superiori a 1:160 sono da considerare positivi e i pazienti vanno sottoposti ad approfondimento diagnostico, dato che è probabile che siano affetti da una patologia autoimmune.
Raccomandiamo inoltre che ogni laboratorio verifichi la consistenza di questi livelli decisionali in base
alle caratteristiche della propria casistica/popolazione e fornisca indicazioni sulla percentuale di soggetti
sani o affetti da altre patologie che sono positivi ai titoli indicati.
La variazione del titolo degli ANA in IFI non è assolutamente correlata con l'andamento della malattia, anche
a causa dell'elevata imprecisione analitica connessa con l'uso delle diluizioni, con la sola eccezione degli anticorpi anti-PCNA o anti-cromatina (pattern nucleare omogeneo), per i quali una diminuzione o la scomparsa
del titolo si associa all'efficacia terapeutica (45); quindi:
Salvo rare eccezioni, noi non consigliamo l'utilizzo di variazioni della concentrazione degli ANA in IFI
nel monitoraggio del decorso e della terapia delle MAIS.
Nonostante recenti progressi nella standardizzazione del metodo di immunofluorescenza indiretta (automazione della procedura analitica e riconoscimento del quadro fluoroscopico mediante sistemi esperti), la tecnica
presenta ancora alcune limitazioni metodologiche ed interpretative.
La negatività di un test per la ricerca di ANA in IFI può riscontrarsi nelle patologie del connettivo sia per l'effettiva assenza di autoanticorpi anti-nucleo (46), sia a causa dell'estrema solubilità di alcuni antigeni (come
Ro/SS-A), sia per la presenza di autoanticorpi diretti contro antigeni non propriamente nucleari (come Jo-1).
Con l'obiettivo di rendere più semplice e standardizzato il metodo per la ricerca degli ANA, negli ultimi anni
alcune aziende dell'industria biomedica hanno investito risorse nella produzione di metodi immunoenzimatici
in fase solida (ELISA), per proporre il test ANA-EIA come test di screening da impiegare nella prima fase
diagnostica delle malattie autoimmuni sistemiche in sostituzione dell’IFI.
Contemporaneamente sono apparsi nella letteratura scientifica internazionale numerosi contributi sperimentali
relativi alla comparazione dell'affidabilità diagnostica dei metodi IFI ed ELISA per la ricerca degli ANA; i test
ELISA sono in grado di rilevare la presenza di autoanticorpi rivolti verso i principali autoantigeni, ma non
presentano una sensibilità clinica del 100% e non sono sempre correlati con il metodo IFI (47-52): infatti falliscono nella rilevazione di autoanticorpi responsabili di pattern classici rari o atipici (43).
Tuttavia vi sono significative differenze tra i vari reagenti dei test EIA (53,54): alcuni contengono una miscela
di antigeni intracellulari comuni, altri estratti cellulari (HEp-2 o altre), altri ancora estratti cellulari addizionati
di antigeni rari. Inoltre alcuni produttori impiegano coniugati di isotipo IgG, altri coniugati diretti contro
l’intera molecola di immunoglobulina, altri ancora coniugati rivolti verso tutte le classi di immunoglobuline.
Di conseguenza per la validazione di ciascun metodo/kit, è necessario analizzare un’adeguata casistica, costituita da pazienti clinicamente definiti e da pazienti con positività al metodo IFI con tutti i vari tipi di pattern
conosciuti e proveniente dalla popolazione aperta, prima di procedere alla sostituzione dell’IFI con il metodo
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EIA.
In caso di risultato negativo al test EIA, dovrebbe essere chiarito verso quali antigeni la ricerca è stata condotta
ed esplicitato che la negatività al test EIA non equivale alla negatività verso tutti gli antigeni nucleari.
I risultati positivi al test EIA dovrebbero essere confermati con il metodo IFI, riportandone concentrazione e
pattern (51). Per queste considerazioni,
Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche e delle tecnologie biomediche, noi non consigliamo la determinazione di ANA con metodo immunoenzimatico, a meno che non siano soddisfatte le seguenti condizioni:
a. il metodo impiegato deve presentare sensibilità clinica e concordanza con metodo IFI non inferiore a
90% ed essere in grado di riconoscere autoanticorpi importanti dal punto di vista prognostico, come quelli
diretti verso i nucleoli o la membrana nucleare;
b. i risultati positivi devono essere successivamente confermati con il metodo IFI, con specificazione del
pattern e del titolo;
c. i risultati discordanti (positivi in EIA, negativi in IFI) devono essere considerati falsi-positivi a meno
che non vengano rilevati anticorpi anti-SSA e Jo-1; se il sospetto clinico di MAIS è forte, i pazienti EIApositivi vanno monitorati nel tempo;
d. i risultati negativi devono essere specificati per il tipo di autoanticorpi indagati e devono essere successivamente valutati nel tempo, nel caso di pazienti con quadro clinico sospetto per MAIS.
Raccomandazioni per autoanticorpi anti-dsDNA
L’esistenza di autoanticorpi anti-DNA in pazienti con LES è nota fin dagli anni cinquanta: ben presto è risultato evidente che la molecola di DNA presentava numerosi epitopi e di conseguenza gli anticorpi anti-DNA
comprendevano un gruppo eterogeneo di immunoglobuline con differenti specificità.
Gli anticorpi identificati più comunemente sono quelli diretti verso il DNA a singola elica (ssDNA), i cui determinanti antigenici sembrano essere localizzati nelle sequenze basiche puriniche e pirimidiniche e in particolare in zone ricche di G-C e A-T; gli anticorpi rivolti verso il DNA nativo a doppia elica (dsDNA), invece,
riconoscono epitopi localizzati lungo lo scheletro deossiribosio-fosfato (55).
A fronte di una notevole aspecificità degli anticorpi anti-ssDNA, gli anticorpi anti-dsDNA sono risultati altamente specifici per il LES e presenti nei soggetti affetti con prevalenza variabile tra 40 e 80%, così da costituire il 10° tra i criteri diagnostici del LES, come definiti dall’ACR.
Peraltro, la presenza di anticorpi anti-dsDNA in un paziente asintomatico è fortemente suggestiva di un LES
subclinico, essendo negativa la ricerca di tali anticorpi nel LES indotto da farmaci ed essendo positiva in meno del 2% dei casi in altre patologie autoimmuni (56).
Gli autoanticorpi anti-dsDNA sono i principali responsabili del quadro fluoroscopico nucleare (omogeneo e
periferico) in IFI, ma possono essere presenti anche con un quadro nucleare granulare o citoplasmatico, proba-
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bilmente per cross-reattività con anticorpi anti-RNA; pertanto i pazienti affetti da LES e da altre patologie autoimmuni possono essere riconosciuti inizialmente mediante questo test, che costituisce l'11° criterio diagnostico ARA per il LES; quindi,
La determinazione degli autoanticorpi anti-dsDNA è raccomandata in ogni caso in presenza di sintomi
riferibili a LES, ovvero in caso di positività degli ANA ad un titolo uguale o superiore a 1:160, in particolar modo quando sia presente un quadro di fluorescenza nucleare.
L’utilità diagnostica e prognostica del dosaggio degli autoanticorpi anti-dsDNA ha portato allo sviluppo di
numerose tecniche per la loro quantificazione: tra queste le più comunemente usate sono le tecniche di radiobinding (tra cui la tecnica originale di Farr) (57), l'IFI su Crithidia luciliae (58) e l'ELISA (59).
La tecnica di Farr rileva prevalentemente autoanticorpi anti-dsDNA ad alta avidità, presenta maggiore specificità nella diagnostica del LES e maggiore utilità nel monitoraggio del decorso clinico: infatti dosaggi ripetuti
(ogni 4-6 settimane), possono fornire utili informazioni circa lo stato di attività della malattia, in particolare
della nefrite; tuttavia la necessità di disporre di isotopi radioattivi limita l'applicazione di questo metodo a molti laboratori clinici.
L'IFI è una metodica altamente specifica, ha una buona sensibilità, una relativa accuratezza, evidenzia anticorpi ad avidità alta e intermedia, permette l'individuazione delle varie classi anticorpali e la loro capacità di fissare il complemento (60), ma non consente una determinazione quantitativa accurata.
Le tecniche ELISA sono automatizzabili, evidenziano diverse classi immunoglobuliniche, sono quantitative e
sensibili; possono però rilevare anticorpi a bassa avidità di incerto valore clinico (61).
Un'alternativa è rappresentata dall'impiego in fase iniziale delle tecniche ELISA, dotate di simile sensibilità,
con successiva conferma dei risultati mediante la più specifica tecnica IFI, utilizzando un coniugato anti-IgG;
per questi motivi,
In fase diagnostica, noi consigliamo per la ricerca degli anticorpi anti-dsDNA il metodo radioimmunologico (tecnica di Farr) o il metodo IFI su Crithidia luciliae, alla diluizione iniziale del siero di 1:10 per la
loro elevata specificità; è consentita la determinazione con metodo immunoenzimatico (ELISA) purchè i
risultati positivi vengano successivamente confermati con il metodo IFI.
La quantificazione degli autoanticorpi anti-dsDNA è molto utile nel management clinico dei pazienti con
LES. Numerosi studi hanno documentato una stretta relazione tra titolo anticorpale e attività della malattia, in
modo particolare della nefrite lupica (62): un incremento nella concentrazione anticorpale può precedere di
alcune settimane le riacutizzazioni della malattia (63,64). In generale, i pazienti con malattia in fase di attività
possono essere monitorati con un dosaggio degli autoanticorpi anti-dsDNA ogni 6-12 settimane, mentre in
quelli con bassa attività di malattia, il dosaggio può essere effettuato ogni 6-12 mesi (7). Quindi,
Nella fase di monitoraggio del decorso e della terapia del LES, noi raccomandiamo la determinazione
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quantitativa degli anticorpi anti-dsDNA, utilizzando il metodo RIA o, in alternativa, il metodo ELISA, in
cui i risultati siano espressi in UI/mL (WHO/ISP Wo/80).
Raccomandazioni per autoanticorpi anti-antigeni nucleari specifici (ENA)
In fase diagnostica iniziale, in pazienti con sintomi clinici sospetti per MAIS, il test di ingresso è rappresentato
dalla rilevazione degli anticorpi anti-nucleo in IFI; il pattern di fluorescenza nucleare o citoplasmatico determina la scelta successiva, rappresentata dalla ricerca di autoanticorpi diretti verso uno o più specifici autoantigeni intracellulari (44).
In alcuni pazienti affetti da malattie reumatiche (in particolare SS, DM/PM, SSc), il test ANA-IFI può risultare negativo (65): in pazienti con sospetto clinico di queste malattie, dovrebbe essere condotta comunque un'indagine di approfondimento per autoanticorpi anti-ENA (44,66); per questi motivi,
Noi non consigliamo la determinazione di autoanticorpi anti-ENA come prima indagine nella diagnosi
delle MAIS; è raccomandata la determinazione di anti-ENA, solo in caso di positività della determinazione di ANA o, in caso di negatività ovvero di positività con quadro citoplasmatico, il dosaggio di questi autoanticorpi dovrebbe essere effettuato solo in presenza di segni clinici di malattia autoimmune sistemica
(specialmente SS e DM/PM).
La varietà di autoantigeni bersaglio degli autoanticorpi anti-nucleo è estremamente ampia: nell'ottica di un corretto rapporto costo-beneficio, non è ragionevole tentare l'individuazione dell'autoanticorpo specifico in tutti i
casi di pazienti con quadro fluoroscopico noto; è ragionevole limitare la ricerca almeno ai 9 autoanticorpi per i
quali è stata assegnata importanza nella diagnosi clinica, come criteri di classificazione: attualmente gli autoanticorpi con queste caratteristiche sono anti-SSA/Ro, anti-La/SS-B, anti-Sm, anti-RNP o U1RNP, anti-Scl70, anti-Jo-1, anti-CENP-B, anti-rRNP, anti-nucleosomi; quindi:
In fase di approfondimento diagnostico, noi consigliamo la rilevazione di autoanticorpi anti-ENA estesa
almeno ai seguenti autoantigeni:
a. Ro/SS-A
b. La/SS-B
c. Sm
d. RNP o U1RNP
e. Topoisomerasi I (Scl-70)
f. Istidil-tRNA sintetasi (Jo-1)
g. Proteina B centromerica (CENP-B)
h. Ribonucleoproteine ribosomiali (rRNP);
i. Nucleosomi (cromatina).
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Gli anticorpi anti-ENA nel siero possono essere messi in evidenza con diverse tecniche correntemente utilizzate in laboratorio: immunodiffusione doppia (IDD), contro-immunoelettroforesi (CIE), immunoenzimatica
(ELISA), immunoblot (IB), immunodot (DB), Westernblot (WB).
La strategia della scelta delle tecniche e della sequenza di utilizzo dipendono da situazioni cliniche, dal costo
dei reagenti, dai tempi di risposta, dall'organizzazione e dall'esperienza del laboratorio.
Il metodo ideale dovrebbe rispondere a criteri di sensibilità e specificità clinica, precisione ed accuratezza, facilità di esecuzione, limitato impiego di tecnologia, facile reperibilità e costo contenuto: allo stato attuale non
esiste metodo in grado da solo di rispondere a tutti questi requisiti.
Infatti IDD e CIE non risultano adeguate ad applicazioni routinarie estese, risentono in modo sensibile delle
modalità di preparazione e di esecuzione, hanno una sensibilità soddisfacente solo nei confronti di alcuni ENA
(anti-Ro/SS-A) (67,68) e sono metodi qualitativi.
ELISA od altri metodi immunometrici evidenziano un'ottima sensibilità, sono metodi quantitativi, ma non
danno adeguata risposta all'intero pattern ENA: se non si usano metodi di screening per anti-ENA, è necessario eseguire un test per ciascun antigene (69).
WB è un metodo qualitativo, fornisce informazioni limitate agli antigeni selezionati, dà indicazioni circa la
composizione ed il peso molecolare dei differenti sistemi antigenici (70), ma le proteine utilizzate come antigeni risultano modificate nella loro conformazione dall'SDS-PAGE (71).
L’IB lineare è un metodo qualitativo, fornisce un pattern completo degli ENA, ma presenta le stesse limitazioni tecniche del WB.
DB, di recente commercializzazione, è un metodo qualitativo, che utilizza proteine native e risulta di facile
esecuzione ed interpretazione: tuttavia presenta il limite di offrire un pannello ENA limitato.
In conclusione, un corretto iter diagnostico per la ricerca degli anticorpi anti-ENA non può che avvalersi di
più approcci metodologici.
Quindi:
In fase diagnostica, noi consigliamo la determinazione di autoanticorpi anti-ENA con metodi di controimmunoelettroforesi (CIE), immunoenzimatico (ELISA), immunoblot (IB), immunodot (ID).
Il metodo WB consente l'identificazione di un completo spettro autoanticorpale anti-ENA ed in particolare degli autoanticorpi rivolti verso antigeni rari (cioè di non frequente riscontro), offre la possibilità di evidenziare
diversi epitopi di uno stesso antigene e consente la conservazione delle strisce per una revisione e una rivalutazione successiva.
Per queste considerazioni:
Noi consigliamo l'impiego del metodo di Western blot (WB) nell'approfondimento diagnostico delle malattie reumatiche, cioè nella conferma delle specificità anticorpali identificate e nell'eventuale identificazione di autoanticorpi che riconoscono autoantigeni diversi da quelli precedentemente indicati.
10
Recenti esperienze di verifica esterna di qualità hanno evidenziato una significativa variabilità tra i metodi comunemente impiegati nei laboratori clinici (34, 72-78); nessuno di questi è risultato essere completamente affidabile. Di conseguenza:
Considerata l'attuale affidabilità analitica dei metodi, noi riteniamo che per l'identificazione di autoanticorpi anti-ENA sia sufficiente un metodo tra quelli sopracitati; tuttavia, in presenza di basse concentrazioni anticorpali o di un risultato negativo in un paziente con forte sospetto clinico di MAIS, è raccomandato l’uso di due metodi tra quelli sopracitati.
In tutte le malattie reumatiche la rilevazione della concentrazione degli autoanticorpi anti-ENA non fornisce
informazioni aggiuntive per lo studio del decorso e della prognosi della malattia e dell'efficacia della terapia,
con l'unica eccezione della malattia mista del tessuto connettivo (MMTC), nella quale la determinazione del
titolo degli autoanticorpi anti-RNP rappresenta il principale criterio diagnostico; quindi:
Noi consigliamo l'espressione quantitativa del risultato in titolo o in concentrazione (UI/mL), solo in caso
di positività isolata per RNP/U1snRNP, in quanto criterio diagnostico per la malattia mista del tessuto
connettivo (MCTD).
Conclusioni
Anche l'attuale configurazione di queste raccomandazioni è provvisoria e suscettibile di ulteriori modifiche e
integrazioni, alla luce di nuove acquisizioni scientifiche; esse vengono nuovamente poste all'attenzione di tutti
coloro che operano nella disciplina sia dal versante clinico, sia dal versante del laboratorio, come strumento di
lavoro e di approfondimento e non vogliono rappresentare documenti definitivi, ma tappe provvisorie di un
processo continuo di aggiornamento e formazione.
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