lo spiti, cuore gentile del tibet indiano
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lo spiti, cuore gentile del tibet indiano
PosterTRENTINO 43 1.2002 eravamo tagliati fuori dal mondo. Solo allora abbiamo appreso cos’era successo quattro giorni prima: l’attentato alle torri gemelle del World Trade Center. Russo: è difficile spiegare che cosa quei luoghi ti lascino dentro. Forse lo si può fare solo con qualche immagine. Pensa a una strada attraversata da pastori e greggi, all’aria pungente del mattino, che smuove le bandierine di preghiera sui tetti delle case. In un’ansa del fiume, addolcita dal verde dei campi, un contadino lavora il suo piccolo appezzamento, e cantando incita i suoi yak: avanti miei yak non preoccupatevi, ogni sera accendo un incenso per la vostra salute e vi dono ottimo cibo, voi mi date la vita ed io la ricambio a voi, e allora avanti miei yak e non preoccupatevi. Fosco Maraini nel suo Tibet segret,o scriveva che a queste latitudini la felicità di un popolo si misura anche attraverso la voglia di cantare. Ecco, nello Spiti il canto è ancora udibile. Segno che la fiducia non è scomparsa dal Dna della gente, malgrado la povertà di mezzi, il clima invivibile, le incognite di una società planetaria in continuo cambiamento. ❏❏❏ LO SPITI, CUORE GENTILE DEL TIBET INDIANO di Agrippino Russo e non fosse per le frane, le pesanti nevicate, e il freddo intenso, arrivare nella valle dello Spiti non presenterebbe particolari difficoltà. Niente a che vedere con la scenografia surreale delle valli nepalesi a ridosso dell’Everest dove il business delle scalate mordi e fuggi, il via vai di turisti lungo i sentieri predisposti al trekking e i rifiuti abbandonati nei campi base, le rendono ormai indesiderabili per chi nell’incontro con le montagne cerca altre relazioni e contatti. Con la regione del Kinnaur alle spalle, e superato l’ultimo check-point dell’esercito indiano per il controllo di visti e permessi, lo Spiti si materializza come un terso deserto d’alta quota spazzato dal vento, dove il colore rosso dei costoni montagnosi si mescola al rarissimo verde dei campi d’orzo che i contadini strappano all’aridità del terreno. Verso il villaggio di Langhzam la cupola bianca dello Shilla, si staglia al di sopra delle valli ondulate e secche del plateau. Il nome di questa montagna significa “Porta del Cielo”: si tratta di un luogo sacro, identificata dalla tradizione buddista come un varco, una soglia di accesso tra la Terra e il Cielo, tra la nostra realtà ordinaria e quella straordinaria. Scalarla equivarrebbe a violarla. “In questi luoghi gli umani non sono desiderati e solo gli Dei possono sceglierli per dimora” scriveva Kipling nel suo Kim. La popolazione qui è di origine bothia (tibetana) e i ritmi di vita sono ancora essenzialmente quelli di centinaia di anni fa quando la valle, che collegava il Tibet all’India, era conosciuta come una via S 44 PosterTRENTINO 1.2002 collaterale della famosa Via della Seta. Fu strada carovaniera e terra di conquista, e vide passare le avanguardie di Alessandro il Grande, i mongoli di Gengis Khan e le scorrerie dei predoni ladakhi, prima di diventare, nel X secolo, una provincia occidentale del Tibet. Nel 1847 l’impero inglese la strappò al regno tibetano del Gugè annettendola all’India; erano i tempi delle lotte più o meno palesi che l’Inghilterra sosteneva nei confronti dell’espansionismo russo e cinese in Asia centrale. Oggi lo Spiti è un remoto distretto dello stato indiano dell’Himachal Pradesh e dal punto di vista amministrativo la valle è eufemisticamente indicata come “tribal area” di etnia e cultura tibetana. Nella realtà è una zona lasciata a se stessa che unicamente per la vicinanza al confine cinese il governo indiano ha dotato di infrastrutture più ad uso militare che civile. Il segno di questo interesse è la continua ristrutturazione della Hindustan-Tibet Road, che frana un anno si e uno no. La valle è famosa anche per gli splendidi, antichissimi monasteri buddisti: Ky Gompa, Dankar, Tangyud, ma soprattutto quello di Tabo, costruito nel Priorità a scuola, sanità e problemi ambientali Crescono i rapporti fra Trentino e Tibet, all’insegna della solidarietà Prosegue l’amicizia fra Trentino e Tibet, cementata dalla visita del Dalai Lama dello scorso giugno. A novembre una delegazione della Provincia autonoma guidata dal vicepresidente Roberto Pinter ha nuovamente incontrato la guida del popolo tibetano, premio Nobel per la pace nel 1989, nel centro buddista di Pomaia, vicino Pisa. Il colloquio (nella foto) – unico impegno “mondano” di una visita legata questa volta ad impegni di natura strettamente religiosa – ha consentito di mettere a fuoco una serie di progetti di cooperazione allo sviluppo che prenderanno il via nel 2002. Tutte le iniziative saranno realizzati con il coinvolgimento del mondo dell’associazionismo trentino, e riguardano i settori educativo, socio-sanitario e ambientale. Un primo progetto si propone di sostenere una scuola nel nord dell’India, nella città di Shimla, dove vivono molti tibetani, dando seguito al gemellaggio già attivato con la scuola elementare di Bieno. Il secondo ha come teatro lo stato indiano dell’Arumachal Pradesh: si tratta di un progetto integrato che comporta la costruzio- PosterTRENTINO 45 1.2002 996 D.C. e quarto tra i più famosi del Tibet. Nel 1823, in questo luoghi comparve un personaggio eccentrico, Alexander Csoma de Koros, studioso ungherese e padre della moderna tibetologia. Partito da Budapest per uno studio sulle origini della razza Magiara, viaggiò errando in Asia Centrale e in India, per più di vent’anni, dimentico del progetto originale, ma sempre più affascinato dalla ricchezza culturale dei popoli. Nel 1933, arrivò invece nello Spiti il tibetologo italiano Giuseppe Tucci. Nei suoi resoconti si legge dell’abbandono e del degrado in cui erano caduti molti monasteri. Oggi, per uno strano scherzo del destino, dopo l’invasione cinese del Tibet e la fuga in India di migliaia di tibetani, questi monasteri che il tempo e le irrisorie possibilità economiche della valle stavano distruggendo, sono rinati a nuova vita, grazie all’interessamento del Dalai Lama e del governo tibetano in esilio e hanno il non facile compito di preservare ne di un ambulatorio di base, di un ospizio per anziani (ma frequentato anche dai bambini, soprattutto orfani), e anche qui di una scuola. Infine verrà avviato, una cultura stretta tra l’egemonia cultural-economica della Cina e i messaggi globalizzanti dei network indiani e della CNN, captati dalle rare antenne paraboliche. Ma la gente dello Spiti non sembra ancora così accecata dagli stili di vita proposti dai media e la televisione dove c’è, spesso è usata più come oggetto sui cui porre vasetti di fiori e fotografie del Dalai Lama che per essere vista e ascoltata. Anche perché i black-out di corrente elettrica sono frequenti, e la pazienza ha un limite anche lassù. La valle è poverissima. Si regge sull’allevamento del bestiame e su un’agricoltura molto basilare a causa dell’altitudine e della scarsità di terra coltivabile. Lo yak è un elemento indispensabile per la vita del contadino spitiano: animale da traino e da soma, produttore di latte, la sua carne seccata diventa riserva alimentare, con il suo pelo si filano coperte e tappeti e persino il letame viene seccato in pani rotondi e usato come combustibile. Si allevano anche un po’ di pecore e capre himalayane, con la cui lana si confezionano scialli, maglioni e coperte. Cavalli, muli ed asini servono ancora da mezzi di trasporto, anche se nei dintorni di Ka- in stretta collaborazione con il Tibet Bureau di Ginevra, un progetto nel campo del monitoraggio e ripristino ambientale, che si propone fra le altre cose di valutare gli effetti delle politiche di gestione del territorio poste in essere dal governo cinese nel Tibet, le quali hanno prodotto un impatto ecologico spesso devastante. “Se, come ci auguriamo, Pechino riavvierà le trattative con noi – ha detto a questo proposito il Dalai Lama – i vostri studi un domani potrebbero essere fatti propri anche dal governo cinese”. La delegazione trentina ha infine confermato al Dalai Lama la disponibilità delle istituzioni, ma anche dell’Università degli studi di Trento, dell’Università della pace e del nostro volontariato, a mettere a punto – assieme al governo tibetano in esilio - anche nuove iniziative nel campo della formazione professionale, dell’alta formazione e della diplomazia popolare. 46 PosterTRENTINO 1.2002 za, la piccola cittadina capoluogo del distretto, circolano già parecchi veicoli e alcuni autobus. Grazie all’isolamento, qui vivono ancora orsi, lupi, il raro leopardo delle nevi, l’ibex, molti rapaci, e branchi di asini e cavallini allo stato brado. Sarà la lontananza dal mondo esterno, le altitudini medie di 4000 metri che cambiano il metabolismo del corpo, o la spiritualità che impregna la vita degli abitanti, ma attraversare questi luoghi regala ancora al viandante un senso di pace e di appagamento ormai quasi scomparso nella nostra massificata società occidentale. Si riscopre la lentezza del movimento, l’importanza dei piccoli gesti, la consapevolezza degli sprechi, del voluttuario, e di ciò che veramente conta; Il cervello sembra sintonizzarsi su canali prima sconosciuti o forse solo sopiti, coperti da montagne di sovrastrutture, da modelli abnormi di consumo, da sicurezze acquisite. Ci si scopre a pensare al cambiamento, alla mutevolezza di ciò che chiamiamo mondo, a quanto è prezioso essere vivi e partecipi di questo sogno vacuo che denominiamo realtà. Da pochi anni le autorità indiane hanno aperto la valle ai turisti. Per fortuna, quelli che fino ad oggi sono entrati lo hanno fatto in modo rispettoso, quasi in punta di piedi. Il turismo porta con sé nuove possibilità economiche, ma nasconde anche molte insidie. Troppi luoghi di incredibile bellezza e interesse, presi d’assalto da folle invadenti e irrispettose, sono diventati Disneyland consumistiche, snaturandosi irrimediabilmente. Questo è il rischio che corrono le valli dello Spiti e del Lahaul. Tuttavia il futuro è questo. Starà ai locali usare la saggezza per salvaguardare la loro tradizione, e sarà nostro compito aiutarli a mediare questa difficile transizione che li aspetta. AGRIPPINO RUSSO Insegnante presso la scuola elementare di Tenna, Agrippino Russo studia da anni gli aspetti etnografici e storici dei popoli dell’area tibeto-himalayana e indiana. Ha viaggiato più volte in Tibet, Nepal, Sikkim, Himachal Pradesh e Kashmir. Da due anni lavora a una ricerca sulle leggende della tradizione pastorale himalyana, mettendola a confronto con quella trentina. GIORGIO SALOMON A maggio del 2002 compirà sessanta anni e tutto quel che ha passato per poterci mostrare attraverso la macchina fotografica, la cinepresa e la telecamera quel po’ po’ di avvenimenti in 40 e più anni di lavoro, giustificherebbe PosterTRENTINO 47 1.2002 persino un fisico affaticato. Invece Giorgio Salomon dimostra una decina di anni in meno e non soltanto nel fisico, ancora asciutto e scattante, ma anche nello sguardo. Rimasto quello di sempre: incantato, sereno, curioso. Giorgio Salomon comincia a lavorare con la Fotocine di Guido Bonvicini già a quindici anni, passa poi all’Alto Adige per una sostituzione temporanea. Transita al Gazzettino, redazione di Trento, per essere poi assunto definitivamente all’Alto Adige. Ha una capacità innata: fiuta i limiti e ha il conseguente coraggio (e la forza), semmai, di dire no. Se è ancora vivo, lo deve a questa intelligenza e allo spirito di sacrificio. La sua personale avventura di fotoreporter inizia in tempi cruciali della cronaca e della storia trentina e nazionale dell’ultima metà del secolo scorso: fotografa il terrorismo altoatesino, Longarone, l’alluvione, il Sessantotto e altro ancora. Ma ha anche il “fisico”. È capacissimo di mantenere la calma nei momenti tragici e sa sopportare botte da orbi come ad Innsbruck ai funerali di un terrorista. Lui così minuto, poi, ha forza e resistenza da sherpa. Entra alla Rai di Trento, dopo alcuni anni di collaborazione esterna, nel 1977 presentando il film girato sulle Ande nella tragica spedizione “Città di Trento”. Dieci anni dopo, ormai assodate le sue capacità, la Rai di Roma lo spedisce nei luoghi più infuocati del globo. Dall’Afghanistan all’epoca dell’invasione russa (avrà un encomio solenne), alla Guerra del Golfo. In Uganda viene fatto prigioniero per un mese, prima dai guerriglieri e poi dalle forze governative: e là Giorgio Salomon vede un paio di volte la morte in faccia. Ancora: sale sul K2, gira pellicole indimenticabili in Australia e in Vietnam. Con una slitta cerca di raggiungere il Polo Nord, si ferma solo per insuperabili difficoltà. Mette a segno uno scoop mondiale filmando un padre che tutti gli anni saliva su un monte delle Ande a deporre un mazzo di fiori nell’anniversario della morte della figlia e del genero nel disastro aereo che impressionò tutti per la resistenza (inutile) di alcuni superstiti. È sposato con Fiorella (“ha sempre subìto l’egoismo con cui volevo realizzarmi professionalmente”) che le ha dato una figlia: Giorgia, laureata, trent’anni. Giorgio Salomon ha scelto due anni fa la pensione. Ma non sa staccarsi da macchina fotografica, telecamera e cinepresa. SUL PASSO. Il cineoperatore Giorgio Salomon con il giornalista inviato speciale del TG1, Daniele Valentini e l’insegnante Agrippino Russo in una foto ricordo sul passo di Kum Zum La (m 4500).