Beta vulgaris L. - CREA-CIN

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Beta vulgaris L. - CREA-CIN
Agroindustria
RIVISTA QUADRIMESTRALE
agosto 2002 volume 1, numero 2
SOMMARIO - CONTENTS
Direttore responsabile: Paolo Ranalli
82
La barbabietola da zucchero: una sfida da vincere
P. Ranalli
83
Relazioni “source-sink” in barbabietola da zucchero
Source-sink relations in sugar-beet: a review
P. Perata
87
Meccanismi fisiologici di controllo della prefioritura in barbabietola da
zucchero
Physiological mechanisms of floral stem elongation (bolting) control in sugar beet
(Beta vulgaris ssp. vulgaris L.)
C. Sorce, P. Stevanato, E. Biancardi, R. Lorenzi
92
Disponibilità azotata per la barbabietola da zucchero in suoli diversi della
pianura padano-veneta
Nitrogen available to sugar beet in different soils of the Eastern Po Valley
R. Marchetti, E. Biancardi, P. Stevanato
98
L’aggiustamento osmotico nella risposta della barbabietola da zucchero (Beta
vulgaris L.) alla carenza idrica
Osmotic adjustment reactions in drought-stressed sugar beet (Beta vulgaris L.)
P. Bagnaresi, M. Bagatta, G. Mandolino, P. Ranalli
104
Caratterizzazione delle componenti di resistenza a Cercospora beticola Sacc.
in linee parentali di barbabietola da zucchero
Resistance components to Cercospora beticola Sacc. in sugar beet parental lines
V. Rossi, P. Battilani
110
Determinazione di parametri colturali della barbabietola da zucchero a
semina autunnale in ambiente a sussidio idrico limitato
Crop parametrisation of autumnal sugar beet in a water-limited environment
M. Rinaldi
115
Aspetti anatomici della resistenza a Cercospora beticola Sacc. in barbabietola
da zucchero
Anatomical aspects of resistance to Cercospora beticola Sacc. in sugar beet
G. Bolli, P. Battilani, V. Rossi
121
Un metodo semplificato per caratterizzare genotipi di barbabietola da
zucchero in base alle componenti di resistenza a Cercospora beticola Sacc.
A simplified method for evaluating sugar beet genotypes on the basis of resistance
components to Cercospora beticola Sacc.
P. Battilani, V. Rossi
127
Utilizzo di cultivar resistenti e isolati di Trichoderma spp. nella difesa
integrata dalla cercosporiosi della barbabietola da zucchero
Disease resistance and selected Trichoderma isolates for controlling Cercospora leaf
spot of sugar beet
C. Cerato, S. Galletti, P. L. Burzi, R. Ghedini
132
Effetti della cercosporiosi sulla qualità estrattiva della barbabietola da
zucchero
Effects of cercospora leaf spot on processing quality of sugar beet
P. Stevanato, E. Biancardi, M. De Biaggi, R. Telloli, M. Colombo
139
Stima della qualità in barbabietola di zucchero (Beta vulgaris L. var.
saccharifera): prime esperienze con l’uso del modello CropSyst
Estimating sugar beet quality: first approach with the CropSyst model
S. Poggiolini, M. Donatelli, L. Barbanti, U. Peruch, C. Ribeyre,, G. Bellocchi
146
Assorbimento di NO3- in radici di barbabietola da zucchero (Beta vulgaris L.
var. saccharifera): prima caratterizzazione
NO3- uptake in sugar beet (Beta vulgaris L. var. saccharifera) roots: a preliminary
characterization
S. Cesco, A. Chiani, R. Pinton, Z. Varanini
Redattore: Domenico Rongai
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Agroindustria / Agosto 2002 81
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- Articolo pubblicato su di una rivista scientifica: Martin C., Smith A.M., 1995. Starch
biosynthesis. The Plant Cell 7, 971-985.
- Articolo contenuto in un libro o in un’opera che ha un Coordinatore: Ziegler P. 1995.
Carbohydrate degradation during
germination. In: Kigel J., Galili G.(eds).
Seed Development and Germination.
Marcel Dekker, New York, pp. 447-474.
- Libro con Autore: Eames A.J., 1961.
Morphology of Angiosperms. McGraw
Hill, New York.
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La barbabietola da zucchero: una sfida da vincere
Nel panorama europeo la bieticoltura italiana è relegata agli ultimi posti, con rese
inferiori a quelle dei Paesi del Centro-Nord
Europa, tradizionalmente più vocati (per
esempio, Francia e Germania), che superano ormai le 11 tonnellate di saccarosio per
ettaro. Anche taluni paesi mediterranei, come
la Spagna, hanno sviluppato una bieticoltura
più avanzata della nostra.
Com’è noto, i motivi di inferiorità della
nostra bieticoltura sono diversi: clima (le
estati calde e siccitose sono pregiudizievoli
per la coltura), terreno (i terreni prevalentemente argillosi e le conseguenti difficoltà di
drenaggio impongono estirpamenti anticipati, spesso prima che la coltura raggiunga la
massima produzione unitaria di saccarosio),
fitopatie (la cercosporiosi e la rizomania sono
più temibili rispetto agli altri paesi europei),
organizzazione del comparto (trasferimento
delle innovazioni più lento).
Un contributo alla riduzione dei punti critici della filiera bieticolo-saccarifera ed
all’innalzamento delle produzioni sarà fornito dal progetto nazionale di ricerca, finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole
e Forestali e coordinato dall’Istituto Sperimentale per le Colture Industriali. Il progetto (“Miglioramento della barbabietola da
zucchero per l’ambiente mediterraneo”), già
in essere, si avvale della collaborazione dei
gruppi di ricerca più avanzati esistenti in Italia e si propone di migliorare l’adattabilità
della barbabietola da zucchero nel nostro
Paese e di elevarne le rese, in particolare al
Sud. Tale obiettivo è perseguito attraverso i
seguenti interventi: 1) miglioramento della
resistenza a stress biotici (cercosporiosi e
rizomania) ed a stress abiotici (prefioritura,
alte e basse temperature, insufficiente dotazione idrica del suolo); 2) comprensione dei
meccanismi “chiave” che controllano la produzione dei fotosintati, la loro ripartizione
fra i vari organi della pianta e l’accumulo
nella radice (le conoscenze ottenute servono a identificare i criteri di selezione per
migliorare l’efficienza fisiologica della pianta); 3) sviluppo di metodi di breeding più
efficaci e predittivi (selezione assistita con
marcatori molecolari e tecniche di screening
in vitro); 4) modellizzazione di accrescimento e sviluppo della barbabietola (per simulare gli effetti sulla produzione dei possibili
nuovi scenari colturali); 5) identificazione
di metodi di coltivazione a basso impatto
ambientale, basati sull’uso più razionale
dell’azoto (ampliamento delle conoscenze
sulla distribuzione e dinamica dell’azoto lungo il profilo del terreno, sullo sviluppo dell’apparato radicale e sulle relazioni tra azoto
minerale nel terreno e produttività quantiqualitativa della pianta); 6) studio dei fattori
della retrogradazione zuccherina (con
evidenziazione delle cause che regolano il
rapporto sink/source fra radice e foglie e, di
conseguenza, il flusso degli assimilati che, a
causa di stress della pianta, può assumere la
direzione fittone-foglie, opposta a quella
82 Agroindustria / Agosto 2002
convenzionale, con abbattimento del grado
polarimetrico).
I risultati ottenuti fino adesso dal progetto (al 2°anno di attività) sono riportati in
questo numero speciale di “Agroindustria”.
Tali lavori descrivono lo stato di avanzamento delle ricerche nelle varie tematiche affrontate dai gruppi di ricerca. La proiezione mediterranea del progetto pone in primo piano
lo studio dei meccanismi che la pianta può
porre in atto per far fronte agli stress di varia
natura (fisiologici, biotici, abiotici) ai quali
si trova esposta in aree colturali marginali,
quali si devono ritenere molte di quelle del
Sud-Italia.
Approssimando, si può ritenere che la barbabietola da zucchero trovi nel nostro Paese
condizioni relativamente buone a Nord e difficili (o molto critiche) al Centro ed al Sud.
Queste ultime aree, in cui si pratica circa un
terzo della nostra bieticoltura, in futuro potranno risultare ancora meno idonee ad una
coltura di alto reddito, qualora i temuti cambiamenti climatici porteranno ad accentuare i
connotati di clima mediterraneo che già le
caratterizzano. La peculiarità della nostra
bieticoltura, peraltro, rende in molti casi non
importabili i risultati e le innovazioni ottenuti all’estero, ove la ricerca è più avanzata. Le
prospettive di questa pianta sono perciò legate alla nostra capacità di sviluppare cultivar
attrezzate a vivere ed a produrre anche in condizioni difficili.
Va detto, inoltre, che nei bacini meridionali l’ulteriore contrazione delle superfici a
barbabietola provocherebbe lo spostamento
degli investimenti verso colture (cereali e
orticoli) già interessate da problemi di mercato o che mal si prestano a recuperare la
fertilità di suoli depauperata da
avvicendamenti colturali molto stretti
(monosuccessione di frumento). Quale conseguenza diretta si avrebbe anche la chiusura degli ultimi quattro stabilimenti (ubicati a
Celano, Termoli, Foggia-Incoronata e Cagliari-Villasor), essendo impensabile un approvvigionamento di materia prima da lunghe distanze. Peraltro, nelle aree in questione (a
basso tasso di sviluppo economico) gli zuccherifici sono tra le poche realtà
agroindustriali esistenti e forniscono un supporto produttivo socialmente importante.
Per invertire tale tendenza occorre prima
di tutto selezionare e mettere a punto ibridi
adatti agli ambienti pedoclimatici meridionali; tali risultati devono inoltre essere integrati da interventi di portata più generale: i)
ampliare la disponibilità delle risorse idriche
(più efficienti sistemi di captazione di acqua
e di reti di adduzione alle aziende); ii) migliorare le strutture irrigue in dotazione alle
aziende bieticole, iii) identificare itinerari di
coltivazione in grado di ridurre l’effetto sulle piante di fattori ambientali avversi (la corretta gestione delle risorse idriche abbinata
alla ricerca di un allungamento del ciclo
colturale della barbabietola sono le leve utilizzate da Paesi, come la Spagna, per aumen-
tare e stabilizzare le produzioni unitarie); iv)
potenziare l’assistenza agronomica.
Si tratta, come si vede, di azioni che valorizzano i risultati della ricerca e della
sperimentazione e che escono dai confini
aziendali per assumere i connotati di scelte
progettate ed attuate a livello di
comprensorio e bacino di produzione. Alla
loro promozione e gestione coordinata devono concorrere le Associazioni dei produttori, le Industrie saccarifere e le Regioni interessate in una unitarietà di intenti e in una
ottica di piena collaborazione.
Tali attese, unitamente al momento di
grande travaglio per la barbabietola da zucchero, in cui si decide su riassetti industriali
e societari, impongono di riconsiderare seriamente la costituzione della Società Unica
di Ricerca. I vari Soggetti dell’interprofessione
sono tutti forniti di strutture tecnicoagronomiche impegnate in attività sperimentali e di campagna. Le direttive tecniche che
promanano da tali attività riflettono, talvolta, gli interessi di parte (per esempio, nella
raccomandazione delle varietà). Il risultato è
che, spesso, l’agricoltore è alla mercé di interessi che passano sopra la sua testa, in nome
dei quali la sua autonomia di scelte è molto
limitata.
Tale Società non è mai decollata anche per
i veti incrociati di una interprofessione in cui
ognuno è arroccato nella convinzione che sia
più conveniente fare da solo. Tale posizione
va superata, poiché la rilevanza dei problemi che la filiera bieticolo-saccarifera deve
affrontare richiede il contributo coordinato
dei centri di ricerca e di tutti i Soggetti impegnati nel comparto, ognuno nel ruolo che
gli compete. Peraltro, la concreta possibilità
di investire risorse accantonate per azioni di
interesse del settore bieticolo dovrebbe accelerare tale progetto.
Dal punto di vista politico, l’operazione
deve essere indirizzata e gestita dal MiPAF
per il ruolo istituzionale di coordinamento
degli interventi nel settore agricolo a livello
nazionale che esso svolge. Peraltro, il MIPAF
ha, tra gli istituti di ricerca della rete IRSA,
anche un Centro (la Sezione di Rovigo dell’Istituto Sperimentale per le Colture Industriali) che opera con elevata professionalità
nel settore. Tale Centro, fondato come è noto
da Munerati, è dedicato unicamente allo studio, ricerca e sperimentazione della barbabietola da zucchero ed ha dato al settore significativi contributi. Infine, fatto non trascurabile, la natura pubblica della struttura
e del personale che vi opera rappresenta una
sicura garanzia per la tutela degli interessi
contrapposti espressi dalle varie Figure della filiera bieticolo-saccarifera che dovrebbero
far parte e sostenere la Società.
Paolo Ranalli
Coordinatore del Progetto finalizzato
MiPAF “Miglioramento genetico della
barbabietola da zucchero per l’ambiente
mediterraneo”
Relazioni “source-sink” in barbabietola da zucchero
Pierdomenico Perata
Dipartimento di Scienze Agrarie, Università di Modena e Reggio Emilia, Via Kennedy 17, Reggio Emilia
RIASSUNTO
La pianta di barbabietola da zucchero ha la peculiare caratteristica di accumulare saccarosio nell’apparato
radicale. La fisiologia dei carboidrati è quindi particolarmente interessante in questa pianta di rilevante
interesse economico. Per l’agricoltore, il flusso di saccarosio dovrebbe idealmente essere unidirezionale,
dalle foglie all’apparato radicale. Tale unidirezionalità non è però garantita a priori dalla fisiologia delle
relazioni “source-sink”, che prevedono l’eventualità di una inversione di ruoli tra tessuti della pianta. E’
quindi possibile che, in particolari condizioni climatico-colturali il flusso del saccarosio si inverta, con
trasporto del saccarosio dalla radice verso l’apparato fogliare, generando un calo nel contenuto in
saccarosio nella radice. Tale fenomeno, noto come “retrogradazione” ha conseguenze negative per la
bieticoltura italiana. Nel presente articolo vengono descritti alcuni possibili scenari relativi ai processi
fisiologici verosimilmente connessi al processo di retrogradazione.
Parole chiave: source-sink, barbabietola da zucchero.
ABSTRACT
Source-sink relations in sugar-beet: a review
The sugar-beet plant accumulates sucrose in the root. This plant is of special interest for plant physiologists
studying the physiology and biochemistry of plant carbohydrates. Sucrose is a disaccharide synthesized
in plant tissues to allow transport of carbon units to other tissues through the phloem. In some plant
species, sucrose is also the long-term storage carbohydrate, while the majority of plant species store
starch. Sucrose is usually synthesized in source tissues such as leaves, loaded into the phloem, and
unloaded to feed sink tissues. A number of enzymes are involved in the biochemical pathway leading to
sucrose synthesis and sucrose degradation (sucrose-P synthase, sucrose-P phosphatase, sucrose synthase,
invertases). Furthermore, sucrose transport proteins play a crucial role in the processes related to sucrose
transport. The regulation of genes encoding enzymes and transporters is likely to play an important role
in the regulation of source-sink relations in plants. Sugar-beets should ideally display a flux of sucrose
from the leaf system (source tissue) to the root (sink tissue). This is not always what is observed, and
under particular growing conditions some sucrose stored in the root can be lost due to a backflow from
the root to the leaves. The physiological basis of this phenomenon is poorly understood. A reasonable
hypothesis relates the sucrose-backflow to the production of new leaves after stressing conditions
experienced during the summer season. Stressing conditions may include abiotic stresses (water and
heat stress) as well as biotic stress such as leaves damage from diseases induced by Cercospora. Production
of new leaves in plants that may have lost most of their photosynthetically-active leaves may require the
translocation of sucrose (as an energy source) from the root, resulting in decreased sucrose content in the
root itself. Furthermore, an excessive availability of nitrogen may enhance the production of new leaves,
thus leading to elevated losses of sucrose from the root system. This phenomenon has negative economical
consequences for the sugar-beet grower. In this review the physiology of source-sink relations in sugarbeet is described. Possible experimental approaches to the study of the sucrose backflow are proposed,
and include experiments using molecular probes and enzymatic tests as markers of the source-sink status
of the plant tissues.
Key-words: Beta vulgaris, source-sink relations, sucrose, sugar-beet.
INTRODUZIONE
La maggior parte delle piante accumulano composti di riserva in organi sotterranei
(radici, tuberi, rizomi) o in frutti e semi. Tali
riserve nutritive sono usualmente costituite
da composti polimerici, quali proteine di riserva, amidi e/o trigliceridi. Raramente le
piante accumulano composti più semplici,
ma ovviamente esistono eccezioni a questa
regola. Le piante di barbabietola da zucchero (Beta vulgaris L.) hanno la peculiare caAutore corrispondente: Pierdomenico Perata Dipartimento di Scienze Agrarie Università di Modena e
Reggio Emilia, Via Kennedy 17, Reggio Emilia Tel: 0522-383232- Fax: 0522-301482
E-mail: [email protected]
Lavoro svolto nell’ambito del Progetto Finalizzato
“Miglioramento della barbabietola da zucchero per
l’ambiente mediterraneo”, finanziato dal MiPAF.
ratteristica di accumulare notevoli quantità
di saccarosio nella radice. Il saccarosio è un
disaccaride molto comune nei tessuti vegetali composto da glucosio e fruttosio legati
da legame 1→2. Anche se gli zuccheri prodotti attraverso l’attività fotosintetica sono
carboidrati composti da 3 o 6 atomi di
carbonio, tali forme non sono usualmente
trasportabili a lunga distanza. La sintesi di
saccarosio è quindi un evento comune nei
tessuti fotosinteticamente attivi (le foglie) e
precede il caricamento del saccarosio stesso
nel tessuto conduttore deputato al trasporto
della linfa elaborata, il floema. Il floema trasporta il saccarosio sino ai tessuti ove tale
zucchero verrà accumulato come tale (barbabietola da zucchero) o degradato nei suoi
costituenti (glucosio, fruttosio) per consen-
tire la sintesi di amido. Saccarosio e amido
vengono quindi accumulati nel vacuolo e negli amiloplasti rispettivamente, nei tessuti di
accumulo (radici, semi, tuberi ecc.).
LE RELAZIONI “SOURCE-SINK”
I tessuti in grado di rappresentare una sorgente di carboidrati vengono definiti “tessuti
source”, mentre i tessuti che, non avendo la
capacità di produrre zuccheri li richiamano
da altre parti della pianta (tessuti “source”)
sono definiti “tessuti sink”. Le relazioni tra
tessuti “source” e tessuti “sink” sono complesse, e buona parte di tale complessità deriva dalla possibilità che tessuti “source” divengano tessuti “sink” e viceversa anche più
volte nel corso della vita della pianta.
Un classico esempio di tessuto “source”
è rappresentato dalle foglie: tali organi
espansi hanno caratteristiche anatomiche
e fisiologiche ottimali per lo svolgimento
dell’attività fotosintetica che, come noto,
consente alla pianta di convertire l’anidride
carbonica presente nell’atmosfera in
carboidrati. La produzione di carboidrati
per mezzo della fotosintesi è molto superiore alle esigenze della foglia stessa: i
carboidrati eccedenti possono essere traslocati verso altre parti della pianta che,
non svolgendo fotosintesi, o svolgendo
un’attività fotosintetica scarsamente efficiente necessitano di carboidrati per la propria crescita e mantenimento dell’attività
metabolica. Le foglie sono quindi organi
“source”,
a
patto
che
siano
fotosinteticamente efficienti al punto di
produrre più carboidrati di quelli a loro
stesse necessari. Organi “sink” sono invece tessuti come la radice che, non essendo
in grado di svolgere attività di
organicazione del carbonio sono dipendenti
dai tessuti “source” per il proprio sostentamento. Le relazioni “source-sink” non
sono però quasi mai unidirezionali per tutta
la vita della pianta (ad esempio, Foglia →
Radice, o Foglia→Tubero), ma tale flusso
può invertirsi. Infatti le foglie rappresentano certamente un organo “source” per le
piante di patata, e i tuberi delle stesse sono
tipici organi “sink”, ma tale denominazione si inverte quando i tuberi germogliano
per dare origine ad una nuova pianta: i
tuberi degradano l’amido in essi contenuto e lo inviano (sotto forma di saccarosio)
verso i germogli in sviluppo. Solo quando
i germogli avranno raggiunto pieno sviluppo morfologico e funzionale la
relazione Foglia→Tubero si instaurerà
nuovamente.
Agroindustria / Vol. 1 / Num. 2 2002 83
RELAZIONI “SOURCE-SINK” IN
BETA SPP
In piante di barbabietola la foglia rappresenta l’organo “source” e la radice l’organo
“sink”. Tale unidirezionalità Foglia→Radice
dovrebbe garantire la massima efficienza
nell’accumulo di saccarosio. In realtà non
in tutte le barbabietole ciò avviene. La barbabietola bienne (Beta maritima) mantiene
il flusso di saccarosio Foglia→Radice durante il primo anno di crescita, ma la direzione si inverte per divenire Radice → Foglia nella seconda stagione di crescita: gli
zuccheri accumulati nella radice vengono
mobilizzati e trasportati verso l’apparato
fogliare per garantire un efficace rifornimento di saccarosio (e quindi di energia) allo
scapo fiorale in accrescimento (Taiz e Zeiger,
2002). Tale inversione Foglia→Radice/Radice → Foglia non avviene normalmente
nelle varietà coltivate di Beta vulgaris: l’accumulo di saccarosio aumenta nella radice
con costanza, e la transizione alla fase di fioritura non comporta variazioni di rilievo. Le
foglie infatti mantengono il loro ruolo
“source” sia nei confronti della radice che
nei confronti dello scapo fiorale in accrescimento, che viene a rappresentare un nuovo
organo “sink”. In realtà anche nelle varietà
di bietole coltivate i flussi di saccarosio
possono non essere unidirezionali
Foglia→Radice per tutto il ciclo vitale della
pianta, come discusso nel paragrafo seguente.
IL FENOMENO DELLA
“RETROGRADAZIONE”
La produzione di saccarosio nelle barbabietole rappresenta un importante processo
fisiologico che, nell’interesse dell’agricoltore, dovrebbe perdurare sino al momento della
raccolta. Quale seconda opzione, qualora
non sia possibile incrementare la quantità di
saccarosio presente nella radice, è
auspicabile che non si registrino cali nel contenuto in saccarosio della radice. In realtà
cali di contenuto zuccherino sono osservati,
soprattutto nel periodo successivo alla fine
di agosto. Tale fenomeno è noto con il nome
di “retrogradazione”.
Il fenomeno della “retrogradazione” nelle
barbabietole da zucchero è noto da tempo.
Ottavio Munerati ne fa una dotta trattazione
in una sua memoria pubblicata dalla Accademia dei Lincei nel 1920. Elencheremo di
seguito alcune delle considerazioni proposte dal Munerati (1920).
Retrogradazione reale o apparente? La
retrogradazione è da considerarsi reale quando a diminuire è il contenuto assoluto di saccarosio nella radice, mentre la
retrogradazione apparente altro non è se non
una diluizione del saccarosio causata da entrata di acqua nella radice. Pur consapevoli
che anche la semplice diluizione (abbassamento del titolo) può essere negativa dal
punto di vista tecnologico, è ovvio che sul
84 Agroindustria / Agosto 2002
Figura 1 - Rapporti “Source-Sink” in barbabietola da zucchero: In condizioni ottimali di sviluppo
(a sinistra in figura) le foglie “SOURCE” (adulte) sono presenti in maggiore quantità ed assicurano
un flusso netto di saccarosio foglia → radice. In condizioni sub-ottimali (a destra in figura) le foglie
“SINK” (giovani) sono presenti in maggiore quantità ed causano un flusso netto radice → foglia.
Figure 1 - Source-sink relations in sugar-beet plants: under optimal growing conditions (left) source
leaves (fully expanded leaves) are present and ensure sucrose synthesis and export to the root. Under
sub-optimal growing conditions, fully expanded leaves may be missing due to biotic or abiotic stresses.
New leaves are then produced (right), representing new sinks subtracting sucrose from the root.
piano fisiologico i due fenomeni vadano considerati separatamente. La retrogradazione
apparente è verosimilmente causata da repentine piogge alla fine del periodo estivo
che portano ad un rapido assorbimento di
acqua da parte della radice, presumibilmente
reduce da un periodo di relativa carenza di
acqua, con conseguente diluizione del contenuto in saccarosio.
Più complesso è il caso di retrogradazione
reale o effettiva. In questo caso la radice riduce il suo contenuto in zucchero e tale fenomeno può essere spiegato per mezzo di
una delle due ipotesi seguenti:
1) degradazione del saccarosio in composti più semplici, destinati a supportare la respirazione della radice stessa;
2) mobilizzazione del saccarosio, che viene caricato nel floema e trasportato verso
l’apparato fogliare (inversione dei rapporti
“source-sink”).
Entrambe le ipotesi sono degne di considerazione.
La possibilità che la radice consumi il saccarosio in essa contenuta è possibile qualora l’apparato fogliare interrompa o riduca
l’export di saccarosio verso la radice. Occorre infatti ricordare che il livello di saccarosio
che ritroviamo nella radice è la risultante del
flusso Foglia→Radice, ma anche del flusso
di saccarosio che nella radice supporta la respirazione delle cellule radicali. Qualora i due
flussi si eguaglino non si osserverà più accumulo netto di saccarosio nella radice nonostante le foglie continuino ad inviare sacca-
rosio alla radice. Se invece il flusso di saccarosio Foglia→Radice è molto ridotto l’impiego di saccarosio per la respirazione delle
cellule radicali porterà ad una diminuzione
netta del contenuto di saccarosio nella radice.
Nel secondo caso prospettato la diminuzione di contenuto di saccarosio  dovuto
alla inversione del flusso Foglia→Radice che
diviene quindi Radice→Foglia. Tale eventualità è verosimile, soprattutto qualora le
piante abbiano un apparato fogliare ridotto
o danneggiato da eventi climatici (siccità) o
patologici (cercosporiosi). La presenza di un
apparato fogliare danneggiato pregiudica
l’efficienza fotosintetica e pertanto il flusso
di saccarosio Foglia→Radice diminuisce. Al
contempo, il danneggiamento dell’apparato
fogliare, in concomitanza con condizioni
climatiche post-estive (temperature più miti,
maggiore disponibilità di acqua) favorisce
la produzione di nuove foglie, che vengono
a rappresentare un nuovo “sink”. Il flusso di
saccarosio Foglia→Radice è quindi minimo,
e contemporaneamente si crea una forte richiesta di saccarosio da parte delle giovani
foglie in accrescimento: la radice da tessuto
“sink” diviene tessuto “source” e il flusso di
saccarosio diviene Radice→Foglia. Non
potendo la radice fare affidamento sul saccarosio proveniente dalle foglie anche l’attività respiratoria che si svolge nella radice
sarà a carico del saccarosio accumulato nella radice.
Una considerazione ovvia è quindi che la
rivegetazione causi retrogradazione effettiva
a causa dell’instaurarsi di una relazione
“source-sink” del tipo Radice→ Giovani
Foglie, concomitantemente con l’interruzione del flusso Foglia→Radice (a causa dell’apparato fogliare maturo assente o danneggiato) ed attività respiratoria nella radice
sempre a carico del saccarosio di accumulo
(Fig. 1).
Non è inverosimile immaginare che
retrogradazione effettiva ed apparente avvengano contemporaneamente, siccome la
retrogradazione effettiva, se causata da
rivegetazione è dipendente dalla disponibilità di acqua, che se abbondante può anche
generare retrogradazione apparente.
FISIOLOGIA DELLA SINTESI E
DEGRADAZIONE DEL
SACCAROSIO
Il saccarosio viene sintetizzato nel
citoplasma cellulare secondo le seguenti reazioni enzimatiche:
sintesi di saccarosio operata da saccarosio fosfato sintasi. Questo enzima catalizza
la reazione irreversibile sotto riportata:
UDP-glucosio + fruttosio-6-fosfato →
saccarosio-6-fosfato + UDP, cui fa seguito
la reazione:
saccarosio-6-fosfato + H2O → saccarosio
+ fosfato inorganico.
Un altro enzima in grado di catalizzare la
sintesi di saccarosio è la saccarosio sintasi,
enzima che possiede però anche la capacità
di degradare il saccarosio, quest’ultima considerata comunemente la vera attività
enzimatica in vivo:
UDP-glucosio + fruttosio ↔ saccarosio
+ UDP.
Infine occorre ricordare le invertasi, gruppo di enzimi a localizzazione diversificata
(citoplasmatica, vacuolare, apoplastica), in
grado di degradare il saccarosio secondo la
reazione:
saccarosio→glucosio + fruttosio.
Mentre la saccarosio-P-sintasi ha un ovvio ruolo di sintesi del saccarosio, il ruolo
della saccarosio sintasi è meno chiaro (sintesi o degradazione). Le invertasi sono unicamente coinvolte nei processi di degradazione del saccarosio. E’ verosimile immaginare che la saccarosio-P-sintasi sia soprattutto espressa (come gene e quindi presenza
di mRNA, ma anche come proteina
enzimaticamente attiva) nei tessuti “source”,
mentre le invertasi dovrebbero essere localizzate soprattutto in tessuti “sink”, essendo
la degradazione del saccarosio frequentemente osservata come evento enzimatico che
influenza le capacità di “sink” di un determinato tessuto vegetale.
La fisiologia e la biochimica della sintesi
del saccarosio non si limitano però alle reazioni sopra elencate (Taiz e Zeiger, 2002).
La sintesi biochimica del saccarosio è infatti solo il primo passo per l’instaurarsi di una
vera e propria relazione “source-sink”. L’accumulo di saccarosio nelle cellule deputate
alla sintesi di questo disaccaride (cellule
“source” quali quelle fogliari) crea il presupposto per la generazione di una disparità di
concentrazioni di saccarosio tra parti della
pianta. L’aumentata concentrazione di saccarosio nelle cellule che lo sintetizzano genera un “segnale” dato dal saccarosio stesso
(Loreti et al., 2001) che può modulare la trascrizione dei geni codificanti per trasportatori del saccarosio in grado di trasferire il
saccarosio negli elementi conduttori (floema)
(Matsukura et al., 2000). La necessità di specifici trasportatori dipende dalla necessità di
inviare saccarosio nel floema contro
gradiente di concentrazione: per quanto elevata possa essere la concentrazione del saccarosio nelle cellule “source”, la sua concentrazione è certamente maggiore nel
floema, che riceve saccarosio da tutte le cellule “source” circostanti. Il trasporto contro
gradiente richiede ovviamente energia, derivante dall’attività respiratoria. Il saccarosio nel floema viene trasportato grazie al
generarsi di un flusso idrico al suo interno:
l’acqua entra nel floema concomitantemente
alla entrata del saccarosio in quanto l’aumentata concentrazione di quest’ultimo richiama acqua per osmosi nel floema stesso. L’acqua uscirà poi dal floema ( e questo genera
il flusso di acqua nel floema) quando anche
il saccarosio uscirà dagli elementi cribrosi
(floema), evento che si verifica negli organi
incapaci di sintetizzare saccarosio e quindi
in grado di richiamare questo zucchero. Il
saccarosio che fuoriesce dal floema può indirizzarsi nelle cellule ove verrà accumulato (nei vacuoli) come tale, oppure può essere degradato in glucosio+fruttosio
nell’apoplasto immediatamente all’esterno del floema. La degradazione del saccarosio in glucosio + fruttosio all’atto dell’uscita dal floema può rendere più efficiente il
processo di scaricamento del floema stesso.
In questo caso è ovviamente necessaria una
nuova sintesi di saccarosio in quei tessuti
Organo
Source/sink Processo fisiologico
foglia
foglia
foglia
picciolo
radice
radice
source
source
source
sink
sink
sink
venga effettivamente nella radice, anche se la
marcata espressione nella radice del gene codificante per la saccarosio-P-sintasi rende
questa ipotesi verosimile (Hesse et al. 1995).
Prospettive sperimentali per lo studio della
retrogradazione in barbabietola da zucchero
La trattazione delle relazioni “sourcesink” in barbabietola da zucchero e le logiche correlazioni con il fenomeno
“retrogradazione” inducono a tracciare alcuni punti sintetici che riassumano la
problematica e portino ad alcune proposte
sperimentali.
Problematica: il titolo in saccarosio diminuisce sensibilmente in barbabietole da
zucchero nel periodo post-estivo.
Cause scatenanti: maggiore retrogradazione
osservata in colture soggette ad attacco da
Cercospora ed in colture su terreni ad elevato contenuto azotato.
Ipotesi fisiologica: la retrogradazione è
causata dalla produzione di nuova vegetazione in piante di barbabietola il cui apparato fogliare è stato danneggiato dalla
Cercospora. Lo sviluppo di nuovo apparato
fogliare è avvantaggiato da ampie disponibilità di azoto.
Si possono quindi proporre i seguenti approcci sperimentali per la ricerca di una soluzione al problema “retrogradazione”:
Influenza produzione nuova vegetazione. Prova di campo con defogliazione
controllata da fine agosto: computo nuove foglie prodotte in rapporto al livello
di defogliazione ed impatto sulla
retrogradazione. Eventuale asportazione
manuale nuove foglie e verifica impatto
su retrogradazione. Analisi enzimatiche e
molecolari su foglie “source” e foglie
“sink”.
Influenza produzione nuova vegetazione: effetto concimazione azotata. Prova di
campo con defogliazione controllata su parcelle con differente livello di concimazione:
computo nuove foglie prodotte in rapporto
al livello di defogliazione ed impatto sulla
retrogradazione. Eventuale asportazione
sintesi di saccarosio
caricamento del saccarosio nel floema
trasporto del saccarosio nel floema
trasporto del saccarosio nel floema
scaricamento del floema
degradazione del saccarosio in glucosio+saccarosio per favorire
lo scaricamento del floema
radice
sink
nuova sintesi di saccarosio nelle cellule radicali
radice
sink
entrata del saccarosio nelle cellule della radice e quindi nel
vacuolo
manuale nuove foglie e verifica impatto su
“sink” che accumulano tale zucchero, come
retrogradazione.
nel caso della barbabietola da zucchero. Il
Influenza produzione nuova vegetaziotutto può essere riassunto come segue:
ne-cercospora. Prova di campo con comNon necessariamente tutti i passaggi avputo nuove foglie prodotte in rapporto al livengono anche in barbabietola da zucchero.
vello di defogliazione derivante da
Ad esempio non è noto se il passaggio deCercospora ed impatto sulla retrogradazione.
gradazione-nuova sintesi del saccarosio avAgroindustria / Agosto 2002 85
Eventuale asportazione manuale nuove foglie e verifica impatto su retrogradazione.
Influenza produzione nuova vegetazione ed impiego antigermoglianti. Prova di
campo con defogliazione controllata: computo nuove foglie in rapporto al livello di
defogliazione e con differenti trattamenti con
antigermoglianti. Verifica impatto sulla
retrogradazione. Ricerca sostanze chimiche con
azione antagonistica nella determinazione di
“sink” a livello della nuova vegetazione.
CONCLUSIONI
La retrogradazione rappresenta un problema per la moderna bieticoltura. E’ verosimile che buone pratiche colturali, soprattutto
86 Agroindustria / Agosto 2002
riguardo a fertilizzazione, irrigazione e difesa dalla Cercospora possano limitare il fenomeno. Purtroppo le nozioni disponibili non
consentono di tracciare linee guida per l’agricoltore tali da garantire l’assenza del verificarsi di retrogradazione. E’ auspicabile che
l’intervento congiunto di agronomi, patologi
vegetali e fisiologi vegetali possa consentire
di determinare in tempi ragionevolmente brevi
protocolli colturali tali da rendere la
retrogradazione un fenomeno sporadico e di
scarsa incidenza economica per la bieticoltura
italiana.
BIBLIOGRAFIA
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phosphate synthase from sugar-beet (Beta
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Matsukura C., Saitoh T., Hirose T., Ohsugi R.,
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Munerati O., 1920. Osservazioni sulla
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dei Lincei, vol XIII, fascicolo V.
Taiz L., Zeiger E. Fisiologia Vegetale, 2002
PICCIN editore.
Meccanismi fisiologici di controllo della prefioritura in barbabietola da zucchero
Carlo Sorce, Piergiorgio Stevanato1, Enrico Biancardi1, Roberto Lorenzi2
Dipartimento Biologia Piante Agrarie - Sezione Fisiologia Vegetale, Università di Pisa, via Mariscoglio, 34, 56124 Pisa
1
Istituto Sperimentale per le Colture Industriali, viale Amendola, 82, 45100 Rovigo
2
Dipartimento Scienze Botaniche, Università di Pisa, via Ghini, 5, 56126 Pisa
RIASSUNTO
La prefioritura rappresenta un problema per la coltura della barbabietola da zucchero, essendo causa di decurtazioni quali-quantitative delle rese. Le gibberelline
sono ormoni endogeni che in diverse specie vegetali sono in grado di indurre la fioritura, per cui è stato condotto uno studio sulla barbabietola per identificare
e quantificare le gibberelline presenti in questa specie ed evidenziare eventuali correlazioni con la fioritura. Le analisi di apici e giovani foglie di una linea ad
habitus annuale, campionata prima dell’allungamento dello stelo fiorale (bolting) e all’inizio di tale processo, hanno permesso di identificare GA20, GA5, GA1
e GA8, da cui risulta che la principale via biosintetica di questi ormoni è quella in cui si verifica la precoce idrossilazione in posizione 13 delle molecole. La GA1
è nota per gli effetti di stimolo sull’allungamento degli steli e i dati ottenuti mostrano una correlazione fra concentrazione di GA1 e bolting, poiché i livelli
dell’ormone sono più elevati negli apici prima che il bolting abbia inizio. Anche i livelli di GA20, precursore della GA1, sono più alti negli apici pre-bolting,
mentre nelle foglie sono maggiori dopo l’inizio del bolting. La GA8 non manifesta attività biologica, ma è uno dei principali cataboliti della GA1 ed è stata
riscontrata solo negli apici in cui il bolting è già iniziato. Pur non essendo mai stata dimostrata un’azione della GA5 sull’allungamento dello stelo, fra quelle
rilevate essa è la gibberellina più abbondante negli apici, particolarmente prima del bolting, mentre nelle foglie non è rilevabile a bolting iniziato. Trattamenti
con GA3 alla linea ad habitus annuale ed a piante di una cv biennale, vernalizzate e non, hanno avuto il solo effetto di accelerare il bolting nelle piante biennali
vernalizzate senza produrre effetti significativi nelle altre due tesi. I risultati incoraggiano ulteriori ricerche per il raggiungimento della piena comprensione dei
meccanismi di controllo della prefioritura, con l’obiettivo di isolare i geni che controllano questo fondamentale passaggio dello sviluppo.
Parole chiave: barbabietola, GC-MS, gibberelline, prefioritura, trattamento.
ABSTRACT
Physiological mechanisms of floral stem elongation (bolting) control in sugar beet (Beta vulgaris ssp. vulgaris L.)
The development of the floral stem (bolting) in sugar beet (Beta vulgaris L. subsp. vulgaris, Sugar Beet Group) is a problem that mainly affects cultivations in southern
European countries, where sowing is anticipated to early spring or autumn to allow plants to partly escape summer drought. One of the consequences of early sowing
may be the exposure of the crop to low temperatures, resulting in plant vernalization and bolting induction. This phenomenon is detrimental to crop yield because
it lowers the sucrose reserves of the root and also enhances its fiber content, thus hampering processing quality. The physiology of bolting is regulated by several
factors, both exogenous and endogenous. Among the latter, plant hormones and mainly gibberellins play a pivotal role, as has been demonstrated for several species
(Bernier et al., 1993; Blazquez et al., 1998; Gilmour et al., 1986; Zeevaart e Gage, 1993). An investigation on gibberellins in sugar beet was therefore carried out, in
order to identify and quantify the main gibberellin molecules characteristic of this species. The aim was to assess the putative correlation between the levels of
endogenous, bioactive gibberellins and bolting induction. Analytical methods included HPLC purifications and hormone identification and quantification by GCMS with the aid of deuterated internal standards. The effect of GA3 on bolting induction and time course was also evaluated by treating plants from annual and biennial
lines of sugar beet. All plants were grown outdoors at a site in Northern Italy. For hormone analyses, apices and leaflets (30-60 mm length) from plants of an annual
line (CMS 7500) of sugar beet were sampled before (30 days after sowing) and at the beginning of bolting (45 days after sowing). The most abundant gibberellins were
GA20, GA5, GA1 and GA8 in both kind of samples, thus demonstrating that the predominant branch of the biosynthetic pathway in sugar beet is the one involving early
13-hydroxylation of the precursor molecules. GA1, which is known to enhance stem elongation, is more abundant in apices and leaflets before bolting. A positive
correlation therefore exists between the levels of this active gibberellin and the induction of floral stem elongation. Also GA20 concentration is higher before bolting
in apices, whereas in leaflets it accumulates afterwards. It is possible that this gibberellin, being a precursor of GA1, is synthesized and metabolized more slowly once
bolting has started and thus its levels increased in those tissues, such as leaves, which are not directly involved in stem development but might be a source of precursors
for the apex. Current literature states that GA5 does not enhance stem elongation, however it is the most abundant gibberellin in apices, both before and after bolting
has begun. Several authors ascribe GA5 with a central role in floral induction, at least in some species: our data agree with such conclusions, because GA5 levels in apices
are considerably high before bolting and drop thereafter. In leaves, although it follows the same time course as in apices, the GA5 concentration is much lower and it
is no longer detectable once bolting has started. Despite its lack of biological activity, GA8 is a very important molecule because it is the main catabolite of GA1. GA8
has been detected only in bolted apices; in such tissues the stimulating signal borne by GA1 must be gradually attenuated, therefore this latter hormone is metabolized
at a higher rate and the concentration of GA8 rises to detectable levels. Treatments with GA3 were carried out on the CMS 7500 line and on plants of a biennial, cultivated
line (cv Monodoro), some of which were previously vernalized by growing them outdoors during winter. The results show that GA3 can only accelerate the development
of the floral stem in Monodoro vernalized plants, which anyhow are committed to bolt even in the absence of the hormone treatment. In the other two experiments
this hormone did not affect either the induction, or the time course of bolting. However, this evidence does not allow us to draw any conclusion, because it must be borne
in mind that GA3 has never proved to be an endogenous gibberellin of sugar beet and for this reason it might not be a suitable molecule for such treatments. Unfortunately,
pure standards of other gibberellins, and particularly of GA1, are too expensive to allow field treatment to be carried out. The present results add more to our knowledge
on the control of bolting in sugar beet and represent the starting point for further physiological investigations and for achieving the control of this developmental
phase by genetic manipulation of plants.
Key words: bolting, GC-MS, gibberellins, sugar beet, treatment.
INTRODUZIONE
La barbabietola da zucchero (Beta
vulgaris L. subsp. vulgaris) è una specie
Autore corrispondente: Sorce C. - Dipartimento Biologia
Piante Agrarie - Sezione Fisiologia Vegetale, Università
di Pisa, via Mariscoglio, 34, 56124 Pisa - Tel. 050 945551Fax 050 945532 - E-mail: [email protected]
Lavoro svolto nell’ambito del Progetto Finalizzato
“Miglioramento della barbabietola da zucchero per
l’ambiente mediterraneo”, finanziato dal MiPAF.
biennale, che durante la prima stagione di
crescita produce radici fittonanti di grosse
dimensioni e nell’annata successiva sviluppa lo stelo fiorale. Il passaggio dalla fase
vegetativa a quella riproduttiva ha luogo se
vengono soddisfatte due esigenze fondamentali: un periodo di vernalizzazione (normalmente di 10-14 settimane a 4°-8°C) e, di seguito, un regime di fotoperiodo lungo (14-16
ore) Abe et al. (1997). La durata e le
temperature del periodo di vernalizzazione,
la lunghezza del giorno, il genotipo e l’età
della pianta rappresentano altri fattori che
influenzano il passaggio di fase (Lexander,
1980). Frequentemente, però, le piante
possono fiorire già durante la prima stagione
di crescita e questo costituisce un grave
problema per le coltivazioni saccarifere. La
fioritura anticipata può causare anche il
dimezzamento delle rese, in termini di peso
Agroindustria / Vol. 1 / Num. 2 2002 87
di radici prodotte; inoltre, le radici hanno un
minor contenuto di zuccheri e risultano più
fibrose, per cui i processi di estrazione del
saccarosio sono resi più difficoltosi con un
conseguente aumento dei costi di produzione
(Bürcky, 1986; Nelson e Deming, 1952). La
raccolta meccanica è ostacolata dalla presenza degli steli fiorali e la disseminazione
spontanea in campo crea problemi di
infestazione per le colture successive
(Sadeghian e Johansson, 1993). La
comprensione dei meccanismi fisiologici che
determinano l’habitus (biennale o annuale)
della barbabietola da zucchero diventa quindi
di fondamentale importanza ai fini di una
maggior redditività della coltura. Alcuni
eventi biochimici, che coinvolgono sia fattori
ormonali, sia nutrizionali, sono stati chiamati
in causa per spiegare il fenomeno della
fioritura anticipata, ma la letteratura
scientifica sull’argomento è particolarmente
scarsa e indicazioni di un certo rilievo si
possono trarre quasi esclusivamente da
pubblicazioni riguardanti altre specie vegetali. Per quanto concerne la regolazione
ormonale è stato accertato che l’applicazione di gibberelline esogene a specie
rosettiformi (quindi simili per tipo di sviluppo alla barbabietola), poste in condizioni che
sfavoriscono la fioritura, sono in grado di
indurre il passaggio alla fase riproduttiva
(Bernier et al., 1993). Nello spinacio le condizioni di fotoperiodo lungo (14-16 ore), che
inducono la fioritura, determinano un
cambiamento nel metabolismo delle
gibberelline, tale da portare all’aumento della
concentrazione delle forme biologicamente
più attive dell’ormone nelle foglie più giovani
(Gilmour et al., 1986). Sempre nello spinacio è stato dimostrato, in condizioni di
fotoperiodo lungo, un aumento della
conversione del geranilgeranil pirofosfato a
ent-kaurene, reazione che costituisce il primo
passaggio della via biosintetica delle
gibberelline (Zeevaart e Gage, 1993). Anche
in Arabidopsis thaliana, un’altra specie
rosettiforme, è stato dimostrato il ruolo determinante delle gibberelline nell’induzione
della fioritura (Blazquez et al., 1998;
Blazquez e Weigel, 2000; Wilson et al.,
1992). Gli studi riguardanti la barbabietola
da zucchero, invece, si sono focalizzati recentemente sui meccanismi genetici di controllo della fioritura (Abe et al., 1997;
Boudry et al., 1994), ma niente di nuovo è
emerso sotto l’aspetto fisiologico e biochimico. Pocock e Lenton (1980) hanno però
evidenziato, in apici di piante di barbabietola al termine del periodo di vernalizzazione,
quindi subito prima della fioritura, un aumento seguito da una diminuzione della concentrazione di gibberelline (forse di GA1):
queste variazioni invece non si verificavano
nelle piante che non fiorivano, cioè in linee
resistenti al fenomeno della fioritura anticipata. A parte questi risultati, tuttavia, si deve
88 Agroindustria / Agosto 2002
sottolineare la mancanza di dati sulla presenza qualitativa e quantitativa delle
gibberelline nella barbabietola, sia nella fase
vegetativa, sia nel passaggio da questa alla
fase riproduttiva. La necessità di approfondire le conoscenze sul ruolo degli ormoni
nella fioritura nella barbabietola riveste quindi una particolare importanza e per questo
motivo abbiamo effettuato uno studio comprendente la determinazione qualitativa delle
gibberelline presenti in questa specie e l’analisi della variazione delle concentrazioni
delle gibberelline tipiche della barbabietola
nel passaggio dalla fase vegetativa a quella
riproduttiva. A parziale conferma dei risultati ottenuti con le indagini suddette sono
stati studiati gli effetti dell’applicazione di
gibberelline esogene.
MATERIALI E METODI
Materiale vegetale. Tutto il materiale vegetale è stato coltivato presso l’Istituto Sperimentale per le Colture Industriali (ISCI),
Sezione di Rovigo. I campioni erano prelevati da piante di una linea ad habitus annuale (CMS 7500) seminata in due differenti
date: il 16/05/2001 (piante in cui si verificava il bolting) e il 30/05/2001 (piante campionate prima del bolting). I campioni erano
così prelevati alla stessa data (il 30/06/2001),
con le piante allo stadio di 6 foglie ma in
fasi dello sviluppo ben diverse (piante
bolting, seminate il 16/05; piante pre-bolting,
seminate il 30/05). Da una parcella di 135
m2, comprendente 1350 piante, venivano
raccolti separatamente gli apici con le annesse foglioline (di lunghezza massima inferiore a 30 mm) e le circostanti foglioline
con dimensioni fra 30 e 60 mm. Il bolting si
considerava iniziato quando l’abbozzo di
stelo fiorale era visibile, cioè lungo almeno
10 mm. Questo materiale veniva sigillato in
buste di plastica e congelato mediante immersione in etanolo a –40 °C e successivamente conservato per pochi giorni a –20 °C
fino al momento delle analisi, che venivano
effettuate presso il Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie dell’Università di
Pisa.
I trattamenti con GA3 erano eseguiti sia
su una linea annuale (CMS 7500) seminata
in data 08/03/2002, sia su una linea biennale
(cv Monodoro) in parte seminata il 16/11/
2001 (e quindi già vernalizzata all’epoca del
trattamento) e in parte seminata il 08/03/2002
(non vernalizzata). Le parcelle trattate, anch’esse situate presso l’ISCI di Rovigo, avevano ciascuna una superficie di 30 m2 e comprendevano 262 piante ciascuna.
Determinazione quali-quantitativa delle gibberelline. Circa 25 g peso fresco di
tessuto venivano polverizzati in mortaio sotto azoto liquido ed omogeneizzati in 10 mM
ditiotreitolo (Sigma-Aldrich, Milano, Italia)
in metanolo 80% (rapporto peso campione/
volume solvente = 1:5). All’omogeneizzato
venivano aggiunti 200 ng di ciascuno dei seguenti standard interni: D2-GA1, D2-GA5 e
D 2-GA20 (acquistati dal professor L.N.
Mander, Research School of Chemistry,
Australian National University, Canberra,
Australia). Il campione veniva sottoposto a
4 estrazioni, la prima delle quali durava 20
ore e le successive 4 ore ciascuna. Le singole estrazioni erano intervallate da una
centrifugazione a 1800 xg di 15 min. Al termine gli estratti venivano riuniti e ridotti a
fase acquosa mediante evaporazione a bassa
pressione e centrifugati a 13000 xg per 30
min a 4 °C. Aggiustato il pH a 2.8, ogni campione era sottoposto a 4 partizioni con
acetato di etile saturo di acqua. Al termine
le fasi organiche erano poste in congelatore
per qualche ora in modo da congelare e decantare i residui di acqua. I campioni venivano essiccati sotto bassa pressione, ridissolti
in 1 mL di metanolo 50 % e purificati mediante colonne Bakerbond SPE C18 (Baker,
Phillipsburg, New Jersey, USA), precedentemente condizionate con 1 mL di metanolo
50 %. Dopo aver caricato il campione le colonne venivano lavate con 1 mL di metanolo
50 % ed eluite con 3x 1 mL metanolo 80 %.
I campioni erano essiccati sotto bassa pressione, rieluiti con 1 mL metanolo 50 % e la
suddetta procedura di purificazione veniva
ripetuta con nuove colonne. Al termine i
campioni erano essiccati sotto bassa pressione, rieluiti con acetonitrile 5 % in acqua
a pH = 8 (aggiustato aggiungendo 300 µL L-1
di NH4OH al 28-30 %) e purificati mediante
HPLC preparativa. Questa era effettuata
mediante uno strumento LDC (LDC
Analytical, Riviera Beach, Florida, USA)
munito di un detector operante ad una lunghezza d’onda di 214 nm e di una colonna
Prepsil ODS 8 µ 150 x 10 mm ID (Jones
Chromatography, Lakewood, Colorado,
USA), eluita ad un flusso di 4 mL min-1 nel
modo seguente: acetonitrile 5 % in acqua a
pH = 8 per 8 min, seguito da un gradiente
lineare dal 5 % al 20 % di acetonitrile in 20
min, 20 % acetonitrile per 2 min, poi secondo gradiente lineare dal 20 % al 100 %
acetonitrile in 10 min. In queste condizioni
gli standard puri di gibberelline (GA1, GA5,
GA8 e GA20) mostravano volumi di eluizione
fra 4 e 28 mL, per cui durante la purificazione
dei campioni si raccoglievano frazioni il cui
volume di eluizione era compreso fra 0 e 36
mL. Queste venivano essiccate sotto bassa
pressione, rieluite con metanolo allo 0.1 %
(v/v) di acido acetico e purificate mediante
HPLC con uno strumento Waters 501
(Waters, Milford, Massachusetts, USA)
munito di un detector operante ad una lunghezza d’onda di 214 nm e di una colonna
Nucleosil 100-5 N(CH3)2 5 µ 250 x 4.6 mm
ID (Macherey-Nagel, Düren, Germania),
eluita ad un flusso di 1 mL min-1 in isocratica
con metanolo allo 0.1 % di acido acetico. In
queste condizioni gli standard puri delle
Concentrazione ng⋅g-1
160
140
$
120
100
pre-bolting
bolting
80
60
40
20
0
%
50
40
30
20
10
0
GA1
GA5
GA20
Figura 1 - Concentrazioni delle principali gibberelline negli apici (A) e nelle foglioline di dimensioni
fra 30 e 60 mm (B) di piante di barbabietola annuale (CMS 7500). I campioni erano prelevati 30 (prebolting) e 45 (bolting) giorni dopo la semina. Ogni dato rappresenta la media di 6 valori ± ES.
Figure 1 - Concentrations of the main gibberellins in apices (A) and leaflets 30-60 mm long (B) of
annual sugar beet (CMS 7500). Samples were collected 30 (pre-bolting) and 45 (bolting) days after
sowing. Each datum represents the mean of 6 values ± SE.
gibberelline suddette mostravano volumi di
eluizione compresi fra 28 e 48 mL, per cui
durante l’HPLC dei campioni venivano raccolte frazioni il cui volume di eluizione era
compreso fra 26 e 52 mL. Queste venivano
essiccate sotto bassa pressione, rieluite con
metanolo, trasferite in capillari di vetro,
essiccate e ridissolte in 20 µL di bis-silil
trifluoroacetammide + 1 % trimetilclorosilano (Pierce, Rockford, Illinois, USA) e
riscaldate a 70 °C per 1 ora. L’analisi qualiquantitativa finale era effettuata mediante GCMS, con uno spettrometro di massa VG Trio
2000 (Micromass, Altrincham, Inghilterra) accoppiato ad un gascromatografo HP 5890
Series II (Hewlett-Packard, Palo Alto,
California, USA), il quale era munito di una
colonna capillare MEGA 5 MS (MEGA,
Legnano, Italia) 25 m x 0,32 mm ID rivestita
internamente di una fase stazionaria costituita da un film cross-linked, spesso 0.45 µm, di
poli (5%-difenil-95%-dimetilsilossano). Il gas
di trasporto era elio, essiccato e deossigenato,
che fluiva in colonna ad una velocità lineare
di 0.5 m sec-1. Gli spettri di massa erano
prodotti per impatto elettronico, ad un potenziale di 70 eV ed erano acquisiti in full
scan fra 50 e 700 u, ad una velocità di
scansione di 600 u sec-1. Il limite di sensibilità dello strumento per le gibberelline analizzate era inferiore ai 500 pg. La quantificazione
di GA1, GA5 e GA20 era effettuata per confronto diretto con i rispettivi standard interni, mentre per la GA8 si utilizzava un valore
di recupero medio calcolato per ciascun cam-
pione sulla base della percentuale di recupero
degli standard interni deuterati. Ogni campione era suddiviso in due sottocampioni
all’inizio dell’analisi e ciascuno di questi era
analizzato per tre volte alla GC-MS, per cui
ogni dato rappresenta la media di 6 valori ±
errore standard (ES).
Trattamenti con gibberelline esogene.
Le piante in campo erano irrorate con una
soluzione acquosa di GA3 10-5 M (SigmaAldrich, Milano, Italia) distribuita con un
irroratore a spalla. I volumi distribuiti erano
tali che ogni pianta riceveva approssimativamente 6 mL di soluzione, così da bagnare
uniformemente l’apparato fogliare
minimizzando lo sgocciolamento. Il trattamento veniva effettuato il 22/04/2002 con
piante allo stadio di 4 foglie sulla CMS 7500
e sulla cv Monodoro non vernalizzata e di
10 foglie sulla cv Monodoro vernalizzata e
veniva ripetuto quotidianamente nei giorni
successivi per un totale di 10 applicazioni
per tesi. Gli effetti dei trattamenti erano rilevati visivamente e il bolting si considerava
iniziato quando si verificavano le condizioni già descritte per le piante sottoposte ad
analisi ormonale. Il confronto fra i dati delle
piante trattate ed i relativi controlli era effettuato mediante il test di Fisher sui rilevamenti effettuati 1 e 2 settimane dopo l’ultimo trattamento con GA3.
RISULTATI
Analisi delle gibberelline. Il procedimento per la determinazione quali-quantitativa
delle gibberelline endogene ha richiesto una
fase di messa a punto a causa dell’elevato
livello di impurezze presenti negli apici e
nelle foglie. A tale scopo sono state usate
piccole quantità del materiale campionato.
L’efficienza media assicurata dal protocollo
utilizzato è stata del 45 %, valutata in base
al recupero degli standard interni deuterati
di GA1, GA5 e GA20. Le analisi dei nostri
campioni hanno permesso di identificare
quattro gibberelline: GA20, GA5, GA1 e GA8.
Data la loro presenza a livelli relativamente
elevati in tutti i campioni analizzati (con
qualche eccezione solo per GA5 e GA8) e
poiché altri tipi di gibberelline non erano
presenti in concentrazioni rilevabili, appare
chiaro che la principale via biosintetica nella barbabietola da zucchero è quella in cui si
verifica l’idrossilazione dei precursori in
posizione 13 sulla molecola. Per quanto riguarda le singole gibberelline il quadro è
piuttosto vario, ma i dati forniscono indicazioni degne di rilievo. La GA1 è una delle
gibberelline a più elevata attività biologica
nei confronti dell’allungamento degli steli
ed è presente in concentrazioni maggiori
negli apici pre-bolting, per diminuire quando il bolting ha inizio (Fig. 1A). Lo stesso
tipo di andamento, con valori molto simili,
viene rilevato anche nelle foglioline di 3060 mm di lunghezza (Fig. 1B), in cui la GA1
è la gibberellina più abbondante fra quelle
rilevate. Anche la GA20, precursore di GA1 e
GA5, negli apici è più abbondante prima del
bolting, mentre nelle foglioline la situazione è invertita. La GA8, pur non possedendo
attività biologica, è una molecola molto importante dal punto di vista fisiologico, perché rappresenta il principale catabolita di
GA1. La presenza di GA8 a livelli analizzabili
è stata riscontrata solo negli apici dopo l’inizio del bolting. I dati della GA5 sono piuttosto sorprendenti. Essa è risultata la
gibberellina più abbondante negli apici, sia
prima sia dopo l’inizio del bolting, anche se
la sua concentrazione subisce un forte calo
quando lo stelo fiorale inizia a svilupparsi.
Nelle foglioline i suoi livelli sono molto più
bassi e con l’inizio del bolting essi scendono a valori inferiori ai limiti di sensibilità
del metodo analitico.
Trattamenti con GA3. I trattamenti sono
stati eseguiti sia su piante indotte al bolting
costituzionalmente (linea annuale CMS
7500), sia mediante esposizione al freddo
invernale (cv biennale Monodoro
vernalizzata), così come su piante non indotte (cv Monodoro non vernalizzata). Lo
scopo era di verificare se questi trattamenti
fossero in grado di causare il bolting in assenza di altri segnali endogeni ed esogeni
(come nel caso della cv Monodoro non
vernalizzata) oppure se potessero accelerarlo integrando l’azione dei fattori che in precedenza l’avevano indotto. Nel caso delle
piante biennali vernalizzate la GA3 ha accelerato il bolting: una settimana e due settimaAgroindustria / Agosto 2002 89
Tabella 1 - Effetto dei trattamenti con GA3 10-5 M su barbabietole biennali vernalizzate (cv Monodoro).
I dati, espressi come numero di piante prefiorite o meno, sono stati rilevati 1 e 2 settimane dopo l’ultimo
di una serie di 10 trattamenti. Il confronto fra trattamento e controllo è stato effettuato mediante il test di
Fisher. In ciascuna colonna, lettere diverse indicano valori significativamente differenti (P < 0.01).
Table 1 - Effect of GA3 treatments on field-grown, vernalized biennial sugarbeet (cv Monodoro). Plants
were sprayed daily with a 10-5 M GA3 aqueous solution for 10 days and bolting was assessed 1 and 2
weeks after the last treatment. Results are expressed as number of bolted and unbolted plants. Data
from treated and control plants were compared by Fisher’s exact test. For each column, different letters
indicate that differences between values are statistically significant (P < 0.01).
1 settimana dopo i trattamenti
2 settimane dopo i trattamenti
bolting
no bolting
bolting
no bolting
Trattato
163 A
99 A
204 A
58 A
Controllo
108 B
154 B
163 B
99 B
ne dopo l’ultimo trattamento il numero di
piante che hanno subito il bolting è significativamente più alto nel trattato rispetto al
controllo (Tab. 1). Non si riscontravano invece differenze fra il trattato e il controllo
né nelle piante annuali, né nella cv biennale
non vernalizzata (dati non riportati).
DISCUSSIONE DEI RISULTATI E
CONCLUSIONI
I dati ottenuti con questo lavoro hanno
permesso innanzitutto di identificare le principali gibberelline della barbabietola e di
conseguenza di individuare quale diramazione della via biosintetica è maggiormente attiva in questa specie. Inoltre è possibile avanzare delle fondate ipotesi sul controllo dello
sviluppo dello stelo fiorale. Abbiamo visto
come la GA1, che ha un forte effetto positivo sull’allungamento degli steli (Lange,
1998), sia presente in concentrazioni più elevate prima che il bolting abbia inizio, sia
negli apici, sia nelle foglie. Possiamo quindi concludere che uno dei principali fattori
di controllo del bolting è la concentrazione
di GA1 nell’apice: concentrazioni superiori
a circa 40 ng g-1 inducono l’allungamento
dello stelo. L’andamento della concentrazione di GA20 negli apici sembra rafforzare questa ipotesi. La diminuzione dei livelli di questo precursore potrebbe infatti derivare da
un rallentamento della sua produzione, dal
momento che non è più necessario alimentare la biosintesi dei suoi derivati (soprattutto GA1 e GA5). Nelle foglioline la GA20 mostra invece un leggero aumento dopo l’inizio del bolting. Le foglie formano una massa di tessuto molto abbondante rispetto ai
tessuti dell’apice e potrebbero costituire una
sorgente di gibberelline per l’apice stesso.
In tal modo quando lo stelo inizia ad allungarsi e la richiesta di GA1 da parte dell’apice diminuisce, il rifornimento del precursore GA20 dalle foglioline verso l’apice diminuisce a sua volta e questa gibberellina inizia ad accumularsi nelle foglie. L’accumulo
può anche essere dovuto al suo rallentato
90 Agroindustria / Agosto 2002
metabolismo, perché anche nelle foglie la sintesi dei principali derivati della GA20 (cioè
GA1 e GA5) diminuisce dopo l’inizio del
bolting. La presenza della GA8 è stata riscontrata soltanto negli apici dopo l’inizio del
bolting, ma ciò è plausibile se pensiamo che
essa è il principale prodotto di disattivazione
della GA 1. I livelli di quest’ultima
gibberellina nell’apice devono essere riportati su livelli fisiologicamente più normali
dopo che essa ha svolto la sua funzione di
stimolo sullo sviluppo dello stelo. La diminuzione della concentrazione di GA1 che
abbiamo riscontrato negli apici in questa fase
può quindi essere imputabile anche ad una
più intensa disattivazione attraverso la sua
conversione a GA8. Abbiamo visto che la
GA5 è la gibberellina più abbondante negli
apici e che subisce un forte calo dopo l’inizio del bolting. Essa non è un precursore di
GA1, né possiede attività biologica propria
(Evans et al., 1994), tuttavia si può ipotizzare che svolga un importante ruolo nel processo di sviluppo dello stelo fiorale, in analogia con quanto è stato dimostrato in Lolium
temulentum. Ricerche compiute in questa
specie hanno dimostrato che la concentrazione di GA5 negli apici è molto elevata nella fase di induzione a fiore, mentre diminuisce nelle successive fasi di differenziazione
e accrescimento dell’infiorescenza, quando
invece aumentano i livelli di GA1 e GA4. Ciò
ha portato a concludere che la GA5 è determinante nell’indurre a fiore l’apice, mentre
i principali fattori di controllo delle fasi successive della fioritura sarebbero la GA1 e la
GA4 (King et al., 2001). I nostri risultati non
permettono di accertare se anche nella barbabietola si verifica questa sorta di successione fra GA5 e GA1, perché sarebbe stato
necessario effettuare un gran numero di
campionamenti intermedi, in tempi molto
ravvicinati. Tuttavia, possiamo ipotizzare che
anche nella barbabietola le due principali
gibberelline, cioè GA1 e GA5, abbiano le stesse funzioni che in Lolium temulentum. Le
analisi effettuate confermano quanto era sta-
to visto da Pocock e Lenton (1980) in barbabietola: essi avevano dimostrato che la GA1
negli apici di barbabietola aumenta dopo un
trattamento vernalizzante, ma non avevano
rilevato la presenza della GA5. Il nostro lavoro quindi aggiunge un importante tassello alla conoscenza del controllo della fioritura in barbabietola e può rappresentare la
base per ulteriori indagini biochimiche, ad
esempio per determinare le variazioni nel
tempo delle concentrazioni di GA1 e GA5
durante i passaggi di fase (fase vegetativa induzione fiorale - differenziazione fiorale),
facendo anche un confronto fra linee con
differenti habitus (annuali e biennali,
vernalizzate e non).
Come si è visto, i trattamenti con GA3
hanno avuto il solo effetto di accelerare la
comparsa del bolting nelle barbabietole biennali precedentemente vernalizzate, mentre
nessun esito hanno avuto sulle biennali non
vernalizzate, né sulle annuali. La GA3 dunque manifesta solo un aspecifico e parziale
effetto di stimolo sull’allungamento dello
stelo nelle piante che sono già indotte alla
fioritura. Il risultato non è sorprendente, perché non è mai stata rilevata la presenza della
GA3 in barbabietola. È ovvio che sarebbe
stato più interessante verificare gli effetti di
trattamenti con GA1 e GA5, ma il costo di
questi standard è talmente elevato da scoraggiare una sperimentazione di dimensioni
sufficienti, che deve necessariamente essere
condotta in campo.
I dati ottenuti indicano chiaramente quali
siano le gibberelline fisiologicamente più
rilevanti nella barbabietola e quale via
biosintetica, fra quelle conosciute, sia più
attiva in questa specie. Le gibberelline sono
una classe di ormoni il cui ruolo nel controllo della fioritura è sempre più evidente, come
dimostrato dalle pubblicazioni più recenti,
anche se gli effetti appaiono contrastanti a
seconda della specie considerata (Boss e
Thomas, 2002). Partendo dai risultati illustrati si può studiare in modo più approfondito il ruolo delle gibberelline nella fioritura
per arrivare, in prospettiva, al controllo di
questa fondamentale fase fisiologica. Un
futuro programma di lavoro potrebbe comprendere l’isolamento dei geni che controllano la biosintesi di questi ormoni. Si tratta
di diversi geni, che controllano più passaggi
biochimici attraverso i quali la via
biosintetica è sottoposta a regolazione. Per
ciascun passaggio possono esistere più
enzimi, codificati da geni differenti, ognuno
dei quali risponde a diversi fattori. È necessario anche superare il problema della
regolazione endogena della concentrazione
di questi ormoni, le cui fluttuazioni nei tessuti sono sempre mantenute sotto un rigido
controllo metabolico. Qualsiasi tipo di manipolazione genetica della biosintesi può
essere realizzato solo disponendo di promotori molto forti, in grado di vincere i mecca-
nismi di regolazione endogeni della pianta.
Tali promotori, però, devono anche essere
tessuto-specifici, perché un’inibizione della
biosintesi delle gibberelline estesa a tutta la
pianta avrebbe conseguenze negative forse
letali per l’intero organismo. Quindi, sia nel
caso in cui si cerchi di inibire la biosintesi,
sia nel caso in cui si cerchi di aumentare la
disattivazione catabolica delle gibberelline
(Hedden e Phillips, 2000) sono molte le difficoltà da superare, ma le prospettive sono
decisamente interessanti.
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Agroindustria / Agosto 2002 91
Disponibilità azotata per la barbabietola da zucchero in suoli diversi della pianura
padano-veneta
Rosa Marchetti, Enrico Biancardi1, Piergiorgio Stevanato1
Istituto Sperimentale Agronomico, Sezione di Modena, Viale Caduti in Guerra 134, I-41100, Modena.
1
Istituto Sperimentale per le Colture Industriali, Sezione di Rovigo, Viale Amendola 82, I-45100 Rovigo.
RIASSUNTO
La definizione della dose di N più appropriata per la fertilizzazione della barbabietola è complicata dalla
necessità di stimare la quantità di N già disponibile nel terreno. Poiché è stato accertato che le radici
di barbabietola possono spingersi fino a 3 m di profondità, obiettivo di questo lavoro è stato di
determinare la distribuzione di N disponibile nel profilo fino alle profondità raggiungibili dagli apparati
radicali, in siti diversi dell’areale padano-veneto di produzione di questa coltura, per suoli diversi,
spesso caratterizzati da presenza di falda nel profilo.
I campioni di terreno sono stati raccolti in 22 aziende, in appezzamenti coltivati a barbabietola, nel maggio
2000 e nel giugno 2001. Carote di terreno sono state prelevate mediante trivella manuale, fino a 3 metri di
profondità, per strati di 0.25 m, e analizzate per contenuto di N minerale e totale. Sono stati inoltre determinati
l’umidità e il contenuto di C organico, P assimilabile, K scambiabile, calcare totale, capacità di scambio
cationico, pH e granulometria.
Per l’intero set di dati (n = 256) il contenuto mediano di N organico era uguale a 0.78 g kg-1; di C organico,
4.7 g kg-1; e di P assimilabile, 2.7 mg kg-1. Nel primo metro di profilo l’83% dei suoli esaminati ha
presentato quantità di questi nutrienti superiori al valore mediano di tutti i campioni analizzati. Il
49% ha presentato quantità di nutrienti superiori al valore mediano anche in profondità, a partire da
2.25 m. La percentuale di profili con valori di N nitroso e nitrico superiori a quello mediano
(rispettivamente uguale a 0.121 e 5.47 mg kg-1), si è ridotta quasi linearmente all’aumentare della
profondità; per contro, la maggior percentuale di profili con contenuto di N ammoniacale superiore
al valore mediano (0.421 mg kg -1) è stata riscontrata al di sotto dei 2.25 m di profondità. Si è
ipotizzato che l’N minerale rinvenuto in profondità sia derivato da mineralizzazione della sostanza
organica, la cui presenza, a queste profondità, sarebbe spiegabile su base pedogenetica. Si conclude che
notevoli quantità di N possono essere potenzialmente disponibili, negli strati profondi del terreno,
per l’assorbimento da parte delle radici di barbabietola. Per la definizione della dose di fertilizzante più
appropriata è opportuno tener conto che la disponibilità di N può variare anche dipendentemente
dalle caratteristiche intrinseche del suolo.
Parole chiave: barbabietola da zucchero, azoto, suolo.
ABSTRACT
Nitrogen available to sugar beet in different soils of the Eastern Po Valley
The definition of the most suitable N rate for sugar beet fertilization is hampered by the need to define the
amount of N already available in the soil. Since it has been demonstrated that sugar beet roots can deepen
in soil to a depth of 3 m, the aim of this work was to evaluate the amount of N available in the soil profile,
which can potentially be explored by the sugar beet roots.
Soil samples were collected in sugar beet fields during active crop growth, in years 2000 (May) and 2001
(June), in 22 farms distributed in the Eastern Po Valley, Italy. The soil profiles of this region are usually
affected by water table fluctuations. Soil samples were taken to a depth of 3 m, with increments of 0.25 m,
and analyzed for their content of inorganic and total N. Organic C, Olsen P, exchangeable K, and carbonate
content, as well as cation-exchange capacity, pH, texture and moisture, were also determined.
Within the whole dataset, the organic N median value was equal to 0.78 mg kg-1; that of organic C,
4.7 g kg-1; Olsen P, 2.7 mg kg-1. Eighty-three percent of soils had a higher amount of nutrients than
the median value, in the top soil layer (to 1-m depth); 47% of soils had a higher nutrient content than
the median value also in the 2.25–3-m soil layer.
The percentage of soils having higher NO2– and NO3–N content than the median value (0.121 and 5.47 mg
kg-1, respectively) decreased almost linearly with depth. On the contrary, the majority of soils having more
than the median NH4–N amount (equal to 0.421 mg kg-1) was located in the 2.25–3 m soil layer. It
was hypothesized that the inorganic N found in the deep soil was derived from organic matter
mineralization. High organic matter levels in the deepest layers of the considered soil profile may be
explained on a pedogenetic basis. It was concluded that important amounts of soil N could be
potentially available to sugar beet roots, also at a depth of 3 m. This, soil type-dependent, N
availability should be taken into consideration when estimating the most suitable N fertilizer rate for
sugar beet growth needs.
Key words: sugar beet, nitrogen, soils
Autore corrispondente: Rosa Marchetti - Istituto
Sperimentale Agronomico, Sezione di Modena, Viale
Caduti in Guerra 134, I-41100, Modena. Tel.: 059 230454
- Fax: 059 214957 - E-mail: [email protected]
Lavoro svolto nell’ambito del Progetto Finalizzato
“Miglioramento della barbabietola da zucchero per
l’ambiente mediterraneo”, finanziato dal MiPAF.
92 Agroindustria / Vol. 1 / Num. 2 2002
INTRODUZIONE
La barbabietola da zucchero (Beta
vulgaris L., subsp. vulgaris) richiede un’accurata valutazione della quantità di N da
apportare con la fertilizzazione. Infatti, se da
un lato l’elemento è indispensabile per la
crescita della pianta, dall’altro influisce negativamente sulla produzione di saccarosio
e sulla qualità tecnologica delle radici
(Roberts et al., 1981; Machet e Hebert,
1983). Gli effetti di un eccessivo apporto di
N sono negativi anche sotto il profilo economico ed ambientale (Shepard, 1992).
La definizione della dose di N più appropriata da somministrare alla barbabietola
(Boon e Vanstallen, 1983; Lindén e Nouno,
1983; Neeteson, 1989; Houba, 1995;
Geypens et al., 1998) è complicata dalla necessità di includere nella valutazione la stima dell’N già disponibile nel terreno al momento dell’assorbimento da parte della coltura. La quantità di N disponibile può variare in relazione a numerosi fattori, quali la
precessione colturale (Martin Olmedo et al.,
1999; Christenson e Butt, 2000; Shock et
al., 2000), l’epoca di distribuzione (Draycott
et al., 1983), l’andamento meteorologico e
la disponibilità idrica, questi ultimi influenti sulla mineralizzazione della sostanza organica del terreno.
Peterson et al. (1977), in Nebraska, hanno verificato la capacità da parte di barbabietola irrigata di assorbire nitrati fino a 2.4
m. Poiché, nei nostri ambienti, le radici di
barbabietola hanno mostrato di potersi approfondire fino a 3 m (Biancardi et al., 1997;
Morselli e Biancardi, 1997), un ulteriore elemento d’incertezza nella definizione della
dose più adeguata di fertilizzante è dato dall’eventuale disponibilità di N nel profilo a
queste profondità, potenzialmente esplorabili
dalle radici e usualmente non considerate.
Obiettivo di questo lavoro è stato di determinare la distribuzione di N assimilabile
nel profilo fino alle profondità raggiungibili
dagli apparati radicali della barbabietola.
Questa distribuzione è stata considerata per
un numero elevato di suoli diversi, situati
nell’areale padano-veneto di produzione di
questa coltura.
MATERIALI E METODI
Campionamento. I campioni di terreno
sono stati raccolti, in appezzamenti coltivati
a barbabietola, nella tarda primavera del
2000 (9-12 maggio) e del 2001 (28 maggio4 giugno). In 23 siti delle 22 aziende interessate dal campionamento sono state prelevate carote di terreno mediante trivella manuale, generalmente fino a 3 metri di profondità, per strati di 0.25 m. In qualche caso,
per i campioni a prevalenza di sabbia, non è
stato possibile campionare gli strati più pro-
3HUFHQWXDOHGLSURILOL
0
25
50
75
100
3URIRQGLWjP
0.0
N organico
C organico
P assimilabile
-0.5
-1.0
-1.5
-2.0
-2.5
-3.0
Figura 1 - Distribuzione di nutrienti nei 23 profili campionati nelle aziende del comprensorio bieticolo
della pianura padano-veneta, nel 2000 e nel 2001. Valori mediani sull’intero set di dati (n = 256): N
organico (N organico = N totale – N–NH4), 0.78 g kg-1; C organico, 4.7 g kg-1; P assimilabile, 2.7
mg kg-1, con n = 256.
Figure 1 - Nutrient distribution in the 23 soil profiles sampled at different depths from sugar beet fields
in the Eastern Po Valley, in May 2000 and in June 2001. Median values of the whole dataset were:
organic N (organic N = total N – NH4–N), 0.78 g kg-1; organic C, 4.7 g kg-1; Olsen P, 2.7 mg kg-1, for n
= 256.
fondi, per la tendenza del campione a disgregarsi durante l’estrazione. I suoli campionati
derivano da depositi alluvionali del
Quaternario e sono rappresentativi dei tipi
più diffusi nella regione. In molti dei suoli
esaminati è presente la falda freatica
ipodermica, più profonda, nel periodo estivo, e più superficiale, in inverno. I campioni sono stati congelati per l’analisi dell’N
minerale.
Analisi dei terreni. I terreni, essiccati al-
l’aria, sono stati analizzati secondo i metodi
ufficiali di analisi (MiRAAF, 1994). In particolare, la granulometria è stata determinata per setacciatura a umido e sedimentazione,
previa distruzione della sostanza organica
con H2O2 in caso di contenuto di C organico
> 2%. Il C organico è stato determinato col
metodo Walkley e Black; l’N totale col metodo Kjeldahl; il P assimilabile col metodo
Olsen; il complesso di scambio (C.S.C.)
usando ammonio acetato.
3HUFHQWXDOHGLSURILOL
0
25
50
75
100
3URIRQGLWjP
0.0
-0.5
N-NO3
N-NO2
-1.0
N-NH4
-1.5
-2.0
-2.5
-3.0
Figura 2 - Distribuzione dell’N nitrico, nitroso e ammoniacale nei 23 profili campionati nel 2000 e nel
2001 nelle aziende del comprensorio bieticolo della pianura padano-veneta. Valori mediani sull’intero
set di dati (n = 256): N–NO3, 5.47 mg kg-1; N–NO2, 0.121 mg kg-1; N–NH4, 0.421 mg kg-1.
Figure 2 - Nitrate, nitrite and ammonium distribution values in the 23 soil profiles sampled at different
depths from sugar beet fields in the Eastern Po Valley, in May 2000 and in June 2001. Median values of
the whole dataset were: NO3–N, 5.47 mg kg-1; NO2–N, 0.121 mg kg-1; NH4–N, 0.421 mg kg-1, for n=256.
L’azoto minerale (assimilabile) è stato
estratto con KCl 2 mol L-1 (rapporto terreno/estraente, 1:5) dopo scongelamento dei
campioni a temperatura ambiente. I nitrati
sono stati ridotti a nitriti mediante passaggio su colonna di cadmio; i nitriti e l’ammonio sono stati determinati colorimetricamente
(rispettivamente con sulfanilide e acido
dicloroisocianurico) mediante Autoanalyzer
Technicon III. L’umidità è stata determinata
per gravimetria.
Analisi dei dati.
Per le analisi di statistica descrittiva e di
correlazione è stato utilizzato il pacchetto
SAS (SAS Institute, 1987). Sulla base dei
valori di skewness e di kurtosis la distribuzione dei valori dei parametri esaminati è
risultata non normale, il che ha potuto in
parte essere attribuito alla presenza di
outliers, associati a campioni di suolo
assimilabile a suolo organico, negli strati più
profondi del profilo di qualche sito. Per descrivere la distribuzione quantitativa delle
proprietà esaminate sono stati quindi usati,
anziché la media e l’errore standard, la mediana e i valori misurati massimi e minimi
(Tab. 1). Per l’analisi di correlazione tra le
proprietà di tabella 1 i valori dei parametri
sono stati trasformati in logaritmi naturali.
Sulla base dell’ispezione visiva dei grafici di
coppie di variabili statisticamente correlate
con un apparentemente elevato grado di probabilità (P < 0.001), sono state considerate
effettivamente correlate solo le coppie di variabili con coefficiente di correlazione r |>|
0.65.
RISULTATI
Caratterizzazione dei suoli. Alcuni suoli hanno una composizione granulometrica
complessivamente uniforme nel profilo
(Fusignano, Minerbio, Mirabello, Rovigo,
Sant’Antonio in Medicina), con netta prevalenza delle frazioni fini; altri presentano
strati più sabbiosi negli strati intermedi o in
profondità (Albettone, Castagnaro,
Ceregnano, Monselice, San Pietro in
Casale); in altri infine le frazioni fini aumentano all’aumentare della profondità
(Cadriano, Montagnana) (Tab. 2).
Dotazione di nutrienti nel profilo. La
maggior parte dei suoli esaminati (l’83% dei
profili, in media) ha presentato una quantità
di C organico, N totale e P assimilabile superiore al valore mediano dell’intero set di
dati (n = 256) negli orizzonti/strati superiori, prevalentemente esplorati dalle radici delle colture (fino a 1 m di profondità). Una
percentuale discreta di profili (49%, in media) ha presentato quantità di questi nutrienti
superiori al valore mediano dell’intero set
di dati anche in profondità, sotto i 2.25 m
(Fig. 1). In pochi profili (21%) si sono rinvenuti contenuti di nutrienti superiori al valore mediano, nello strato intermedio (1-2.25
m). In due siti sono stati rilevati strati caratAgroindustria / Agosto 2002 93
Tabella 1 - Valori caratteristici di alcune proprietà per i profili di suolo campionati nel 2000 e nel
2001 in 23 siti a barbabietola della pianura padano-veneta, con riferimento all’intero set di dati
(23 profili 6-12 strati; n = 256).
Table 1 - Selected soil properties values in the 23 profiles sampled to 3 m depth from sugar beet
fields of the Eastern Po Valley at 6 to 12 depth levels (n = 256), in years 2000 and 2001.
Parametro e unità di misura
Mediana
Valore minimo
Valore massimo
Sabbia, %
14
1
94
Limo, %
47
5
76
Argilla, %
30
1
71
4.7
0.5
135
0.8
0.1
10.6
P assimilabile, mg kg-1
2.7
0.1
53.4
-1
K scambiabile, mg kg
84
0
536
Calcare totale, g kg-1
C organico, g kg-1
-1
N totale, g kg
160
3
626
-1
C.S.C., cmol(+) kg
15
0
55
pH in H2O a 20° C
8.3
6.2
8.9
Umidità, % su peso terreno secco
29.7
14.3
257
N-NO3, mg kg-1
5.5
0.0
59.0
N-NO2, mg kg
0.12
0.03
1.25
N-NH4, mg kg-1
0.4
0.0
76.4
-1
terizzati da contenuto di sostanza organica
molto elevato (Corg > 11%) in profondità
(Tab. 2).
Distribuzione dell’N minerale nel profilo. La percentuale di profili esaminati con
valori di N nitrico superiori a quello mediano si è ridotta quasi linearmente all’aumentare della profondità.
Un contenuto di N nitroso superiore a
quello mediano era più frequente nello strato
da 0.25 a 0.50 m, e in quello da 1.5 a 2 m di
profondità. Per contro, la maggiore percentuale di profili con contenuto di N
0
30
60
90 120 150
ammoniacale superiore al valore mediano è
stata riscontrata sotto i 2.25 m di profondità
(Fig. 2).
Correlazione tra dotazione di N
assimilabile e proprietà chimiche dei suoli. Il contenuto di N totale è risultato significativamente correlato a quello di C organico
e di K scambiabile e alla C.S.C., a sua volta
correlata al tenore in argilla (Tab. 3). Con la
procedura di analisi dei dati adottata non è
stata trovata nessuna correlazione significativa tra N minerale e proprietà del suolo esaminate.
0
3
6
9
12
0
15
DISCUSSIONE DEI RISULTATI E
CONCLUSIONI
I campionamenti svolti nelle due annate di
prova hanno consentito di avere una prima
stima della distribuzione dell’N nel profilo
del terreno coltivato a barbabietola, fino a 3
m di profondità. La distribuzione rilevata in
maggio–giugno è il risultato di quanto successo a monte del prelievo, per influenza di
fattori climatici (precipitazioni, evaporazione), colturali (assorbimento idrico e di nutrienti da parte delle radici) e agrotecnici (fertilizzazione, irrigazioni). Tenuto conto
della variabilità indotta da questi fattori (con
tutta probabilità efficaci prevalentemente
nello strato lavorato) sui parametri misurati,
dai risultati ottenuti è tuttavia possibile ricavare alcune considerazioni.
Quantità elevate di C e N organico e di P
assimilabile in profondità sono associabili
con la presenza, in alcuni suoli, di strati ricchi in materiale organico. Anche se la percentuale di C organico riscontrata non è sufficiente a consentire di classificarli come
organici (in base alla definizione data per gli
orizzonti organici dalla Soil Taxonomy, Soil
Survey Staff, 1999), è tuttavia indubbio che
alcuni orizzonti/strati hanno un contenuto di
C e di N organico prossimo al limite inferiore per l’inclusione in questa categoria. Gli
strati organici d’altra parte sono una caratteristica frequente dei suoli situati nelle depressioni morfologiche della pianura alluvionale, e la loro presenza è da ricondursi a
quella di antiche paludi coperte da successive deposizioni di sedimenti fluviali (Filippi
e Sbarbati, 1994). A prescindere da questi
casi particolari, discrete quantità di N
ammoniacale sono state misurate con frequenza a 3 m di profondità.
L’N ammoniacale e il P assimilabile non
possono essere arrivati in profondità per
migrazione dalla superficie poiché, notoriamente, queste due specie chimiche sono poco
20 40 60 80 100
0
0.0
0.0
0.0
0.0
-0.5
-0.5
-0.5
-0.5
-1.0
-1.0
-1.0
-1.5
-1.5
-1.5
-2.0
-2.0
-2.0
-2.5
-2.5
-2.5
P
j-1.0
LW
GQ-1.5
RI
RU -2.0
3
-2.5
-3.0
-3.0
-3.0
&RUJDQLFRJNJ 1WRWDOHJNJ 20
40
60 80 100
-3.0
1DVVLPLODELOHPJNJ $UJLOOD
Figura 3 - Distribuzione nel profilo dei valori di alcune proprietà del suolo per il sito di Fusignano (RA), nel campionamento 2001. N assimilabile = N-NO3 +
N-NO2 + N-NH4.
Figure 3 - Distribution pattern for selected properties, across the soil profile, at Fusignano (Ravenna), in the 2001 soil sampling campaign.
94 Agroindustria / Agosto 2002
Tabella 2 - Classi granulometriche di appartenenza dei campioni di terreno prelevati a diverse profondità, nel 2000 e nel 2001, nei 23 siti a barbabietola
della pianura padano-veneta. C, argilla; L, franco; S, sabbia; Si, limo (schema di classificazione USDA).
Table 2 - Textural classes of the 23 soil profiles sampled at different depths, from sugar beet fields in the Eastern Po Valley, in May 2000 and in June 2001.
C, clay; L, loam; S, sand; Si, silt (USDA classification).
Sito
Profondità di prelievo dei campioni di terreno (m)
0-0.25
0.25-0.5 0.5-0.75
0.75-1
1-1.25
1.25-1.5 1.5-1.75
1.75-2
2-2.25
2.25-2.5 2.5–2.75
2.75–3
Albettone (VI)
SiCL
SiCL
SiCL
CL
C
SL
LC
S
S
S
Az. Agr. Cà Bosco (RA)
SiCL
SiCL
SiCL
SiC
SiCL
SiCL
SiCL
SiCL
SiCL
SiCL
SiC
SiC
L
L
CL
CL
CL
CL
SiCL
SiCL
L
SiCL
SiC
SiCL
Castagnaro (VR)
SiC
SiC
CL
L
LS
S
S
S
Ceregnano (RO)
L
L
L
L
L
L
S
LS
LS
SL
CL
L
SiL
SiL
SiL
SiL
SiCL
SiCL
SiCL
SiC
SiC
SiC
SiC
SiC
Fossa di Concordia (MO)
SiCL
SiC
SiC
C
C
SiC
C
C
C
SiCL
SiCL
SiC
Fusignano (RA)
SiC
SiC
C
C
C
C
C
C
C1
C1
C
C
Godo (RA)
CL
CL
CL
SL
L
L
L
L
SL
SL
Imola (BO)
SiCL
SiC
SiCL
SiCL
SiCL
SiC
SiC
SiCL
L
SiL
SiCL
SiCL
Lavezzola (RA)
SiC
SiC
C
SiC
SiC
SiC
SiC
SiCL
SiL
SiL
L
SiL
Minerbio (BO)
SiC
SiC
SiC
C
C
C
C
C
C
C
C
C
Mirabello (FE)
SiCL
SiCL
SiCL
SiCL
SiCL
SiL
SiL
SiL
SiL
SiCL
SiCL
SiC
Monselice-Cà Oddo (PD)
CL
L
SL
SL
SL
LS
LS
SL
S
Montagnana (PD)
SiC
C
SiCL
SiCL
SiCL
SiL
SiL
SiL
SiCL
SiC
SiC
SiC
Ostellato (FE)
SiL
SiL
SiCL
SiCL
SiL
SiL
SiL
SiL
SiCL
SiL
L
SiL
Rovigo, I
SiL
SiCL
SiL
SiCL
SiCL
SiL
SiL
SiCL
SiCL
SiL
SiL
SiCL
Rovigo, II
L
L
SiL
SiL
SiL
SiL
SiL
SiL
L
SiL
SiL
SiL
San Pietro in Casale (BO)
L
L
LS
S
S
S
S.Antonio Medicina (BO)
CL
CL
SiCL
L
SiL
SiL
SiL
SiL
SiL
SiL
SiL
SiL
San Martino (FE)
SiL
SiL
SiCL
SiL
L
L
L
L
SiL
SiL
SiL
SiL
Trecenta (RO)
SiCL
SiCL
SiCL
SiC
SiC
SiCL
SiC
SiC
C
C1
C
SiC
Villadose (RO)
SiC
SiC
CL
SiCL
SiC
SiCL
SiL
SiL
LS
Cadriano (BO)
Filetto (RA)
2
1
2
Strato contenente più dell’11% di C organico (percentuale corrispondente al 99° percentile, per n=256)
Campioni prelevati in due appezzamenti (I e II) e anni diversi (2000 e 2001) nell’azienda dell’Istituto Sperimentale per le Colture Industriali, Sezione di Rovigo.
mobili. Si deve quindi supporre che si siano
formate “in loco” da mineralizzazione della
sostanza organica. L'analisi dei dati trasformati, pur avendo evidenziato correlazioni significative, peraltro prevedibili, tra dotazione organica, contenuto di argilla e C.S.C., non
ha tuttavia consentito di mettere in luce una
relazione significativa tra N ammoniacale e
dotazione di N organico nel profilo. I nitrati,
a differenza dell’ammonio e del P, sono molto mobili. Poiché, nel periodo di
campionamento, non se n’è rilevata la presenza in profondità, è presumibile che quelli
formatisi sotto la coltura precedente e in eccesso rispetto ai fabbisogni colturali, o siano
già lisciviati al di sotto del profilo esaminato,
o siano andati incontro a denitrificazione per
opera dei microrganismi dell’insaturo. I nitriti, che in genere rappresentano una forma
intermedia della riduzione dei nitrati ad N2,
sono stati più frequentemente abbondanti in
due zone del profilo: nello strato lavorato
sub–superficiale e in profondità. Poiché la
riduzione dei nitrati avviene in condizioni di
difetto d’ossigeno, ed i microrganismi
denitrificanti hanno bisogno di C organico
come fonte di energia, la distribuzione dei
nitriti riflette la presenza di condizioni favorevoli alla denitrificazione (alla suola d’aratura
e nella zona di frangia capillare sopra il livello di falda). Numerosi gruppi microbici, inclusi microrganismi chemio–eterotrofi (re-
sponsabili della mineralizzazione della sostanza organica) e denitrificanti, sono stati
rilevati negli habitat sub–superficiali. Inoltre
è stato osservato che la carica microbica nel
profilo del terreno aumenta considerevolmente proprio in corrispondenza col livello di
falda e appena al di sopra di esso, nella zona
della frangia capillare (Madsen, 1995). Le
fluttuazioni del livello di falda, modificando
lo stato di umidità e il potenziale ossido–
riduttivo del suolo, potrebbero influenzare
periodicamente l’attività microbica sub–superficiale.
Se si considera il caso del profilo di
Fusignano (Fig. 3) come critico, poiché caratterizzato sia da ricchezza di nitrati in suAgroindustria / Agosto 2002 95
Tabella 3 - Coefficienti di correlazione tra proprietà dei suoli, risultati altamente significativi (P < 0.001, n = 256, dati
trasformati in logaritmi naturali).
Table 3 - Highly significant values of the correlation coefficients between soil properties (n = 256, log-transformed data).
Parametro
N totale
C organico
0.92
K scambiabile
0.71
0.65
C.S.C.
0.77
0.72
pH
Argilla
C organico
K scambiabile
C.S.C.
Sabbia
0.70
–0.65
0.74
0.65
Sabbia
perficie, sia da abbondante sostanza organica in profondità; e nell’ipotesi che i livelli di
N minerale monitorati in superficie nel mese
di giugno includano già gli apporti (50–120
kg N ha-1, come intervallo di valori più probabile in questa zona di produzione) si può
supporre che l’N disponibile nel profilo ecceda largamente la quantità di N asportabile
dalla barbabietola nei nostri areali (indicativamente, 100–200 kg N ha-1, in relazione alla
produzione di biomassa). Un’altra considerazione è che le radici di barbabietola possano arrivare alle profondità di maggiore disponibilità azotata proprio in prossimità della
raccolta, il che potrebbe costituire una delle
cause del fenomeno di retrogradazione
(Biancardi et al., 2001).
All’accertata disponibilità di N assimilabile
a profondità elevate si contrappone la questione se la barbabietola sia in grado di utilizzarlo, e se questa disponibilità possa avere
riflessi sulle rese e sulla qualità tecnologica
delle radici. Se è vero che l’N ammoniacale
può essere utilizzato dalle colture con facilità uguale o superiore a quella del nitrato, secondo alcuni Autori tuttavia la barbabietola,
pur in grado di utilizzare l’N a profondità
maggiori, concentrerebbe l’assorbimento nello strato di terreno più superficiale (primi
0.3 m, Zinati et al., 2001).
Si conclude che notevoli quantità di N
possono essere potenzialmente disponibili,
negli strati profondi del terreno, per l’assorbimento da parte delle radici di barbabietola. La correlazione tra sostanza organica e
disponibilità di N minerale negli strati profondi, nonché la possibilità per la coltura di
usare questo N, devono essere verificate con
ulteriori indagini, attualmente in corso. Qualora siano confermate, per la definizione
della dose di fertilizzante più appropriata può
96 Agroindustria / Agosto 2002
0.69
0.77
-0.81
–0.65
essere opportuno tenere conto che la disponibilità di N può variare anche a seconda delle caratteristiche intrinseche del suolo, dovute alla sua pedogenesi.
RINGRAZIAMENTI
Si ringraziano le signore Anna Orsi e Lidia
Sghedoni per la collaborazione tecnica di
laboratorio.
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Agroindustria / Agosto 2002 97
L’aggiustamento osmotico nella risposta della barbabietola da zucchero
(Beta vulgaris L.) alla carenza idrica
Paolo Bagnaresi, Manuela Bagatta, Giuseppe Mandolino, Paolo Ranalli
Istituto Sperimentale per le Colture Industriali, Via di Corticella 133 - 40128 Bologna
RIASSUNTO
La barbabietola da zucchero, Beta vulgaris ssp. vulgaris, fa parte della stessa sezione (Beta) della specie
selvatica Beta vulgaris ssp. maritima, con la quale è pienamente interfeconda. Sono state esaminate
alcune accessioni di Beta per evidenziare alcuni meccanismi di tolleranza quali l’aggiustamento
osmotico (OA), mediante misura su dischetti fogliari dell’Injury Index e dell’andamento del Relative
Water Content (RWC) in seguito a sospensione dell’apporto idrico in piante di Beta allevate in
condizioni controllate. Risultati preliminari non hanno evidenziato variabilità per questi parametri
nel germoplasma esaminato finora. Sono stati riscontrati significativi aumenti di peso secco nelle
piante stressate rispetto ai controlli, in accordo con l’insorgenza, in seguito a sospensione
dell’apporto irriguo, di meccanismi di OA che portano ad accumulo di composti inorganici o
organici. E’ stato sviluppato un saggio veloce di misura della conduttività in seguito a rilascio di
elettroliti da dischetti fogliari, i cui risultati suggeriscono che la maggior parte dell’OA rilevato sia
attribuibile a ioni inorganici, in accordo con la natura alofita di Beta vulgaris ssp. maritima.
Parole chiave: bietola da zucchero; siccità; disidratazione; aggiustamento osmotico.
ABSTRACT
Osmotic adjustment reactions in drought-stressed sugar beet (Beta vulgaris L.)
In this manuscript we review recent advances in plant drought stress research with special emphasis on
Beta ssp. We also report preliminary data on the development of quick and reliable assays for largescale screening of Beta germplasm for drought resistance traits.
We first tested some Beta accessions from the germplasm bank for dehydration tolerance mechanisms
by measuring the Injury Index (I%). In these tests, leaf discs from well-hydrated plants are exposed to
Polyethylenglycol (PEG; 30%, stressed) or water (control) and the resulting differential electrolyte
leakage is used to estimate tissue/protoplasmic resistance to quick dehydration. Due to the fast
dehydration (4 h) and the fact that discs are detached from plants before the onset of stress, no inducible
adjustment mechanisms are likely to occur; I% can therefore be regarded as a measure of constitutive,
phylogenetically fixed protoplasm resistance to dehydration. Despite the fact that significantly
different values were observed in distant taxa (in good agreement with their reputed drought tolerance)
no relevant intraspecific I% variations were detectable among Beta ssp.
We thus resorted to devise experiments aimed at revealing inducible resistance mechanisms (as opposed
to constitutive resistance mechanisms). We therefore first defined conditions and irrigation parameters
for optimal growth of different Beta accessions in a controlled environment and subsequently started
monitoring relative water content (RWC) and related parameters of various wild beet accessions.
Special attention was paid to parameters suggesting osmotic adjustment. Osmotic adjustment (OA) is
the capability of a plant to increase net endocellular solute concentration by active mechanisms. A
lowered osmotic potential (Ψo ) enhances water absorption and counteracts turgor loss and stomatal
closure. OA can result from accumulation of organic compounds (e.g. polyols, quaternary ammonium
compounds, amino acids) and/or inorganic compounds as K+ or the toxic Na+ and other ions. Organic
compounds can also exert their beneficial effect at low concentrations (with no relevance to lowering
in Ψo) by acting as ROS (Reactive Oxygen Species) scavengers or by stabilization of lipoproteic complexes
at discrete subcellular locations. Inorganic compounds such as Na + can also play a part in OA by
significantly lowering the Ψo provided that detoxification mechanisms such as vacuolar sequestration
are present. A strong inorganic OA appears to be a promising drought tolerance trait to screen in Beta
germplasm. Our preliminary experiments focusing on several wild beet accessions revealed similar
RWC patterns after suspension of irrigation. Significant increases of dry weight in stressed plants
versus control were also detected, consistent with the onset of a strong OA mechanism leading to
accumulation of inorganic and/or organic compounds. A quick assay based on measurement of
conductivity after release of total electrolytes from leaf discs was developed. The assay suggests that
a major part of the detected OA is attributable to inorganic ion accumulation. This would be in agreement
with the halophytic nature of wild beet as well as with the established presence in some beets of the
machinery of salt vacuolar compartmentalization/detoxification.
Recent transgenesis experiments have succeeded in dramatically enhancing drought/salinity tolerance
in various species by overexpression of single genes involved in salt accumulation/detoxification. It
thus appears possible that inorganic OA is linked to a few or single traits whose introgression in droughtsensitive crops appears a feasible and promising approach. Further examination and comparison of
wild beet germplasm as well as commercial sugar beets will soon reveal whether the inorganic OA trait
presents significant intraspecific variations in Beta spp.
Key words: sugar beet; drought; dehydration; osmotic adjustment.
Autore corrispondente: Mandolino G. - Istituto
Sperimentale per le Colture Industriali, Via di Corticella
133 - 40129 Bologna - Tel.: 051 6316832
Fax: 051374857 - E-mail: [email protected]
Lavoro svolto nell’ambito del Progetto Finalizzato
“Miglioramento della barbabietola da zucchero per
l’ambiente mediterraneo”, finanziato dal MiPAF.
98 Agroindustria / Agosto
Vol. 1 / 2002
Num. 2 2002
INTRODUZIONE
Fra gli stress quello da carenza idrica sta
diventando sempre più importante soprattutto nell’ottica di un’espansione verso le latitudini più meridionali della barbabietola da
zucchero. In effetti, la siccità ricorrente è
diventato un problema che riguarda da vicino la maggior parte delle regioni produttive
dal punto di vista agricolo. Lo stress idrico è
la maggiore limitazione alla produttività su
scala mondiale (Boyer, 1982). Lo sviluppo
di conoscenze che possano portare a reperire
caratteri che correlino positivamente con la
tolleranza alla carenza idrica sembra una delle prospettive più promettenti, specialmente
se portata avanti di pari passo con la conoscenza dei meccanismi fisiologicomolecolari che hanno luogo nella pianta, e
con l’analisi di germoplasma “esotico”, ancora poco sfruttato dai breeders e
sessualmente compatibile con quello coltivato.
Si desidera sottolineare alcuni concetti
sullo stress idrico, con particolare risalto ad
aspetti legati ai soluti compatibili e all’aggiustamento osmotico.
I meccanismi più diffusi sviluppati dalle
piante per contrastare i danni ossidativi da
stress idrico comprendono l’induzione di
proteine plastidiali con un ruolo di
preservazione strutturale e la sintesi di enzimi
antiossidanti come superossido dismutasi,
catalasi, glutatione riduttasi ed ascorbato
perossidasi (Rey et al., 2000; Vishnevetsky
et al., 1999). In alcune piante, varietà più
efficienti in tali risposte enzimatiche si sono
dimostrate maggiormente resistenti alla siccità (Iturbe-Ormaetxe et al., 1998; Martinez
et al., 2001). All’azione di questi sistemi
enzimatici si aggiunge l’effetto di molecole
antiossidanti/scavenger come ascorbato,
glutatione ridotto (GSH), tioredossine e
carotenoidi. I soluti compatibili sono un’ampia categoria di composti tra cui figurano
amminoacidi (come prolina), composti dell’ammonio quaternario (come glicinabetaina), polioli (come mannitolo, ononitolo,
sorbitolo, pinitolo) e zuccheri (come saccarosio, trealosio e fruttani). I soluti compatibili sono così denominati per la prerogativa
di potersi accumulare nel citosol senza esplicare azioni nocive, quali risultano, ad esempio, dall’accumulo di Na+ che può denaturare
le proteine. La natura del meccanismo di protezione consisterebbe, nei casi di forte accumulo, in un abbassamento del potenziale
osmotico (Ψo) e nell’esclusione preferenziale
dalla sfera di idratazione delle
macromolecole (nei primi stadi di
disidratazione) con relativa protezione della
configurazione polipeptidica nativa
(Hoekstra et al., 2001). Per alcuni soluti dimostratisi protettivi a concentrazioni assai
modeste (come la betaina, che in piante
ingegnerizzate non supera le 0.05-5 µmol g
FW-1 rispetto alle 4-40 µmol g FW-1 degli
accumulatori naturali) si propone invece un
ruolo stabilizzatore sui complessi
lipoproteici plastidiali (Sakamoto et al.,
2000). La prolina sarebbe un potente
“scavenger”, come recentemente indicato dai
ridotti livelli di malondialdeide (sostanza
citotossica indicatrice del grado di
perossidazione
lipidica)
ottenuti
ingegnerizzando piante di tabacco tramite
abolizione dell’inibizione a feedback
dell’enzima biosintetico chiave (Nanjo et al.,
1999; Hong et al., 2000). Infine, alcuni ricercatori individuano il ruolo benefico di vari
soluti compatibili nell’attivazione di vie
anaboliche e/o cataboliche specifiche: ad
esempio, il consumo di NAD(P)H potrebbe
ripristinare uno stato redox cellulare ottimale
e/o consentire la rigenerazione di cofattori
ossidati (Shen et al., 1997).
Per quanto riguarda l’aggiustamento
osmotico, all’abbassarsi del potenziale idrico
(Ψw) del suolo, sia esso causato da una diminuzione dell’umidità (abbassamento del
potenziale di matrice) o da un aumento della
salinità (diminuzione del Ψo) la pianta tollerante può rispondere con un parallelo aggiustamento del suo Ψw onde mantenere il
gradiente di potenziale idrico per l’assorbimento d’acqua e conservazione del turgore,
necessario alla fotosintesi ed alla crescita.
L’aggiustamento osmotico (OA) propriamente detto non risulta dalla mera concentrazione dei soluti causata dalla
disidratazione ma bensì consiste in un accumulo attivo di composti in concentrazione
tale da contribuire apprezzabilmente alla diminuzione del Ψo. L’OA può essere messo
in atto dalla pianta utilizzando ioni tossici
ma relativamente abbondanti nei suoli come
il Na+. Per quanto nelle glicofite (piante poco
tolleranti la salinità) come Arabidopsis siano stati identificati raffinati sistemi d’esclusione apolastica del Na+ (Zhu , 2001), tutte
o quasi le piante sembrano in grado di attivare strategie di compartimentazione
vacuolare dello ione. Tali strategie di
detossificazione sono ben sviluppate, soprattutto nelle alofite (piante tolleranti la salinità)
e consistono nel mantenere il sale nel
simplasto (e quindi profittare dell’abbassamento del Ψo per assorbire/trattenere H2O)
tramite traslocazione nel vacuolo via specifici antiporti Na+/H+. Talora, concentrazioni
vacuolari di Na+ dell’ordine di 400-500 mM
sono state registrate e, in casi estremi, si possono raggiungere accumuli prossimi a 1 M,
laddove concentrazioni citosoliche di 100
mM risultano già tossiche (Apse et al., 2002).
La reazione endoergonica di accumulo
vacuolare è energizzata, tramite un gradiente
elettrochimico protonico (∆µH + ) del
tonoplasto, da H+-ATPasi e H+-pirofosfatasi
tonoplastiche, spesso inducibili da stress
salino e idrico (Blumwald et al., 1987;
Drozdowicz e Rea, 2001; Kirsch et al., 1996;
Dietz et al., 2001).
Per quanto l’energizzazione del tonoplasto
comporti un indubbio dispendio energetico,
l’abbassamento del Ψo attraverso l’OA inorganico può rappresentare un’alternativa economica alle spese di ATP e potere riducente
sovente necessarie per la sintesi di osmoliti
organici (Zhu, 2001). Di fatto, in
Arabidopsis, la sovraespressione dell’H+pirofosfatasi AVP1 ha reso le piante notevolmente resistenti a stress idrico e salino
(fino a 250 mM di NaCl; Gaxiola et al.,
2001). Tale sovraespressione determina un
forte aumento di Na+ e K+ nei tessuti, probabilmente in seguito alla stimolazione
dell’antiporto Na+/H+ che a sua volta è alimentato dal ∆µH+ tonoplastico. Risultati altrettanto soddisfacenti sono stati ottenuti
sovraesprimendo l’antiporto Na + -H +
(AtNHX1) di Arabidopsis in Arabidopsis
stessa (Apse et al., 1999), in Brassica napus
(Zhang et al., 2001) ed in pomodoro (Zhang
e Blumwald, 2001).
È degno di nota che le prime caratterizzazioni fisiologiche dei componenti del sistema di compartimentazione del sodio (vale
a dire, H + -ATPasi, H + -pirofosfatasi e
antiporto Na+/H+ tonoplastici) sono state riportate per membri del genere Beta
(Blumwald e Poole, 1987; Blumwald e
Poole, 1985). Tali pompe e antiporti sono
inoltre indotti da stress (Kirsch et al., 1996
Ghoulam et al., 2002; Dietz et al., 2001).
Il meccanismo dell’uptake del sodio sembrerebbe consistere in parte nell’assunzione
aspecifica da parte di canali per il K+ voltaggio-dipendenti a bassa ed alta affinità, ma
non si esclude un ruolo di canali specifici
per il Na+ (Blumwald et al., 2000).
La barbabietola da zucchero deriva con
tutta probabilità dalla sottospecie Beta
vulgaris ssp. maritima, una pianta annuale
e spontanea, che cresce in molte zone costiere anche della nostra penisola. Al “ricordo” di questo habitat originario viene da vari
autori attribuita la capacità della bietola di
adattarsi più e meglio di altre colture importanti, alle condizioni di salinità e di sopravvivenza in condizioni di potenziale idrico
sfavorevole (Dunham, 1993). Tale capacità
non sembra peraltro interamente conservata
nel pool coltivato, se è vero che attualmente
solo l’8% della superficie mondiale coltivata a bietola da zucchero ha sede nell’area del
Mediterraneo, centro di maggior diffusione
della bietola marittima selvatica (Ranalli,
1999).
Alcune informazione sui parametri di base
in grado di descrivere lo stato idrico della
pianta sono state raccolte in esperimenti riguardanti la barbabietola, sia in prove di campo che in condizioni controllate. L’abbassamento del potenziale idrico del suolo provoca un decremento proporzionale della traspirazione, ma l’entità di tale decremento è
anche funzione dell’umidità dell’aria, almeno entro certi limiti. Al calare del potenziale
idrico del suolo, i livelli di traspirazione calano a valori di circa il 15% di quelli iniziali
passando a potenziali da 0 a - 4 bar; negli
ultimi anni peraltro si è avuta la possibilità
di misurare in loco lo sviluppo radicale della bietola, ed è stato riscontrato che la pianta
è in grado di spingere le sue radici fino a
profondità di circa 3 metri, dato questo che
fornisce una prima spiegazione della buona
capacità di adattamento della bietola alla carenza di acqua. La profondità dell’apparato
radicale è quindi certamente uno dei sistemi
costitutivi di resistenza allo stress idrico,
anche se non sembra che per questo specifico tratto esista una significativa variabilità
fra cv diverse (Biancardi et al., 1997).
Come già discusso, uno dei meccanismi
fondamentali coinvolti nella tolleranza allo
stress idrico è l’aggiustamento osmotico.
Alcuni dati fanno ritenere che la bietola sia
una pianta con un buon grado di aggiustamento osmotico: durante i periodi di deficit
idrico, la diminuzione del potenziale
osmotico dovuta all’accumulo netto di soluti
consente il mantenimento del turgore e
l’apertura stomatica, permettendo così la
continuazione della fotosintesi. L’aggiustamento osmotico presenta peraltro anche un
possibile svantaggio per la coltura, in quanto la capacità di accumulare soluti e continuare a fotosintetizzare peggiora nettamente la qualità della radice, pur incidendo positivamente sulla resa in radici e in zucchero
totale. Va tuttavia rilevato che, in bietola,
l’OA risulta in un accumulo preferenziale di
ioni nelle foglie rispetto alle radici (Ghoulam
et al., 2002). Inoltre, in esperimenti di
transgenesi, l’accumulo di Na+ interessa solo
marginalmente le radici e in certi casi si registra una diminuzione del K+ radicale
(Zhang et al., 2001; Zhang e Blumwald,
2001).
Negli ultimi anni si è iniziato un sistematico screening del germoplasma conservato
come seme presso le banche europee, americane o giapponesi. Una delle priorità individuate a livello europeo è stata l’analisi di
tale germoplasma, allo scopo di reperire
eventuali fonti di resistenza ad alcuni importanti stress biotici, ed allo stress idrico, ritenuto particolarmente importante come principale stress abiotico limitante la produttività in Europa. Tale screening ha individuato
alcune accessioni putativamente maggiormente tolleranti la carenza idrica di altre,
almeno a giudicare da una crescita meno ritardata rispetto ai controlli in condizioni
controllate. Su alcuni di tali genotipi, appartenenti sia alla specie B. vulgaris (ssp.
vulgaris o maritima) che ad altre specie (B.
webbiana) sono stati effettuati esperimenti
preliminari per descrivere il comportamento di queste piante in condizioni di carenza
idrica indotta in camere di crescita, allo scopo di individuare eventuale variabilità per
tali parametri e metterli in relazione con una
Agroindustria / Agosto 2002 99
maggiore tolleranza la carenza idrica.
La bietola avrebbe ampie potenzialità per
difendersi efficacemente da stress idrici e/o
salini tramite l’OA inorganico. In questo lavoro preliminare presentiamo, assieme alla
valutazione di parametri tipici della risposta
allo stress idrico quali L’RWC o il danno
tissutale misurato come rilascio di elettroliti
(Injury Index; I% ), la messa a punto di test
di monitoraggio rapidi e sensibili per stimare
la variabilità intraspecifica per l’ OA in bietola. In particolare, è stata osservata una correlazione tra parametri indicatori di OA come
il peso secco e il rilascio di elettroliti. Il
raffinamento e la standardizzazione di tali
metodi potrà verosimilmente consentire
screening su vasta scala del germoplasma di
bietola, permettendo di evidenziare - ove
sussista - variabilità intraspecifica per L’OA
come premessa per approcci di breeding.
MATERIALI E METODI
Germoplasma. Il seme delle accessioni
di Beta utilizzato proviene dalla banca di
germoplasma dell’Institut für Pflanzengenetik und Kulturpflanzenforschung (IPK)
di Gatersleben, Germania. Le accessioni citate in questo lavoro (280: Beta vulgaris ssp
maritima, sito di origine Almirita, Creta;
326: Beta vulgaris ssp maritima sito di origine Monastiraki, Creta; 157 “6309”: Beta
vulgaris ssp vulgaris leaf beet sito di origine Sepino Campobasso) sono elencate, con
le loro caratteristiche, al sito www.genres.de/
beta/. Il seme della cv commerciale Bianca
è stato ottenuto dalla Sezione Operativa Periferica di Rovigo dell’Istituto Sperimentale
per le Colture Industriali.
Determinazione del Relative Water
Content (RWC). Le accessioni o varietà da
esaminare sono state seminate in vasi di 10 x
10 x 17 cm contenenti 1 parte di sabbia e 2 di
torba (900 g per vaso), e la cui capacità di
campo è stata determinata con esperimenti
preliminari. Le piante di controllo sono state mantenute durante tutti gli esperimenti al
65% della capacità di campo, pesando prima di ogni apporto idrico ciascun vaso. A
tale valore era stato infatti verificato, mediante esperimenti preliminari, il RWC dei controlli rimaneva costante durante tutta la durata dell’esperimento. Le piante di ogni
genotipo, sia di controllo che sottoposte a
stress (almeno 12 piante per trattamento)
sono state allevate in un fitotrone Sanyo
Gallenkamp modello SGC097 alla temperatura di 23°C (giorno) o 19°C (notte), con un
fotoperiodo di 16 ore di luce e ad umidità
relativa mantenuta costante al 60%. Tutte le
piante sono state mantenute al 65% della
capacità di campo fino allo stadio di 5a-6a
foglia (circa 40-45 giorni dopo la semina),
quando ad un gruppo di 16 piante per
genotipo è stato sospeso il trattamento
irriguo, mentre alle 16 piante di controllo si è
continuata la somministrazione di acqua.
100 Agroindustria / Agosto 2002
Dallo stadio di 3a-4a foglia in avanti, ogni 7
giorni il valore di RWC è stato misurato su
tutte le piante nel modo seguente: un dischetto
del diametro di 7 mm è stato escisso dalla
lamina della terzultima foglia, subito inserito
all’interno di un tubo Eppendorf da 0,2 ml
prepesato allo scopo di limitare al massimo
la perdita d’acqua, e ne è stato determinato il
peso fresco (FW) con una bilancia Sartorius
4503 Micro. Ogni dischetto è stato poi lasciato galleggiare in acqua distillata per 24
ore a 4°C e pesato per determinarne il peso
turgido (TW); infine, i dischetti sono stati
essiccati a 80°C per 16 ore e pesati ancora
per la determinazione del peso secco (DW).
Il Relative Water Content è stato calcolato
come:
RWC = (FW - DW) / (TW - DW) x 100.
Injury Index. Sulla base della procedura
descritta da Vasquez-Tello et al., (1990) quattordici dischetti (diametro 9 mm) per replica sono stati prelevati da foglie giovani completamente sviluppate di piante ben irrigate.
Gli elettroliti derivanti dalla lacerazione meccanica del tessuto sono stati eliminati con
abbondanti lavaggi (4 x 20 min) con acqua
deionizzata (µSiemens cm-1 <1). Successivamente, 7 dischetti sono stati incubati in
10 ml di H2O deionizzata (controllo) e altri
7 dischetti in 10 ml PEG 6000 30 % (w/v)
per il trattamento disidratante (4 h a 25 °C
con mescolamenti occasionali). I dischetti di
controllo e trattati sono poi stati lavati rapidamente con acqua deionizzata (3 x 5 sec) e
sono stati aggiunti a 15 ml di H 2O
deionizzata per la misura del rilascio di
elettroliti. La conduttività dell’ acqua di rilascio dei dischetti di controllo (Cc) e dei
dischetti stressati (Cs) è stata misurata dopo
18 h di incubazione al buio (25 °C). Senza
sostituire la soluzione di rilascio, i tubi con i
dischetti di controllo e trattato sono stati poi
incubati in un bagno termostatato a 83 °C
per 1 h. Dopo raffreddamento a 25° C è stata misurata la conduttività totale (Ct). Tutte
le misure di conduttività sono state effettuate con un conduttimetro DeltaOhm HD
9213.
L’Injury Index (I%) è stato così calcolato:
[1-(Ct - Cs)/(Ct - Cc)] x100.
Misura elettroliti totali. Tre dischetti
(diametro 11 mm) sono stati prelevati dalla
terza-quarta foglia completamente sviluppata
per ogni pianta (minimo 4 piante per misurazione) e lasciati galleggiare in 15 ml di acqua deionizzata (µSiemens cm-1 < 1). La
conduttività è stata misurata come sopra descritto dopo incubazione a 83 °C per 1h e
raffreddamento a 25 °C (Vasquez-Tello et al.,
1990).
RISULTATI E DISCUSSIONE
Injury Index. L’injury index (I%) è un
parametro legato alla resistenza tissutale alla
disidratazione, e, causa la rapidità dello stress
imposto, si ritiene misuri caratteri di resi-
stenza allo stress costitutivi e quindi in certa
misura filogeneticamente fissati. Si determina tramite il rilascio di elettroliti da dischi
fogliari sottoposti a Ψw dell’ordine di -1,4
MPa (PEG 30%; Steuter et al., 1981). Poiché piante di assodata resistenza allo stress
idrico sovente esibiscono un I% inferiore a
piante suscettibili, il test è considerato
predittivo di resistenza (Vasquez-Tello et al.,
1990; Costa Franca et al., 2000). Nella figura
1 è mostrato un esperimento tipico di Injury
Index effettuato in parallelo su specie
tassonomicamente distanti dalla bietola
(Triticum ssp, Smilax ssp) oppure in
accessioni del gruppo Beta (vedi legenda).
Nonostante l’I% esibito da Smilax ssp. sia
significativamente basso, specialmente se
rapportato all’I% di Triticum ssp., la variazione intraspecifica nel gruppo Beta si assesta sul 6-7%, suggerendo scarsa variabilità
per questo carattere.
RWC e aggiustamento osmotico. La percentuale della capacità di campo che permettesse un’insorgenza della carenza idrica in
tempi relativamente brevi e compatibili con
lo sviluppo che la pianta può raggiungere
all’interno della camera di crescita è stata
determinata con esperimenti preliminari sulla
cv Bianca (Beta vulgaris ssp. vulgaris). Piante di questa cv sono state mantenute al 65,
80 o 100% della capacità di campo (CC), e i
valori di RWC sono stati registrati nell’arco
di un periodo di 35 giorni; a partire dal 42°
giorno dalla semina (DAS; stadio di 5a-6a
foglia) l’acqua non è più stata somministrata. Poiché a tutte e tre le percentuali di capacità di campo i valori di RWC sono risultati
costanti (85-90%), è stato determinato che
il 65% della capacità di campo è sufficiente
a mantenere la pianta in uno stato idrico vicino all’ottimale. Tali condizioni di crescita
e umidità del substrato (65% di CC) sono
state perciò correntemente utilizzate per
monitorare l’andamento dell’RWC ed altri
parametri in condizioni di stress (sospensione dell’irrigazione) oppure controllo (CC
mantenuta a 65%) di accessioni selvatiche.
Particolare attenzione è rivolta all’analisi delle variazioni del peso secco; è stato altrove osservato che l’accumulo di soluti conseguente all’aggiustamento osmotico si traduce in una diminuzione del rapporto TW/
DW attribuibile all’aumento del peso secco
(Turner et al., 1987). Infatti, il rapporto TW/
DW è considerato da vari autori una stima
veloce ed efficace dell’entità dell’OA, e si
ipotizza possa essere conseguenza di un
ispessimento delle pareti e soprattutto di accumulo di osmoliti (Liu e Stutzel, 2002).
A titolo esemplificativo della sperimentazione in corso, riportiamo l’andamento
dell’ RWC di alcune accessioni di Beta
vulgaris ssp. maritima (“280” e “326”; Fig.
2A). Come visibile nella figura 2B, in cui si
analizza il dettaglio dell’andamento del peso
secco, con il progredire dello stress si
5 LOD V F LR ( OH W WU R OLWL
14
12
10
[
H
G
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L
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U
X
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6 P LOD[ VSS
7ULWLFXP VSS
8
6
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L
4
2
0
$ F F HV V LRQ L
Figura 1 - Injury Index (I%) misurato su specie tassonomicamente distanti dalla bietola (Triticum spp.,
Smilax spp.) e in accessioni del gruppo Beta (B. vulgaris “157”; B. maritima “326”; B. maritima “280”; B.
vulgaris cv “Bianca”). Dischetti prelevati da piante ben idratate sono stati sottoposti a rapida disidratazione
tramite incubazione in PEG 30% per 4 h ed il rilascio di elettroliti rispetto a dischetti di controllo (trattati con
acqua deionizzata) è stato misurato con un conduttimetro. L’I% rappresenta la percentuale degli elettroliti
rilasciati dopo trattamento con PEG rispetto agli elettroliti totali (confrontato con i controlli) ed è calcolato
in dettaglio come descritto nei materiali e metodi. È mostrato un esperimento tipico, risultati simili
sono stati ottenuti in tre esperimenti indipendenti
Figure 1 - Injury Index (I%) was measured in species taxonomically distant from beet (Triticum spp, Smilax
spp) and in accessions belonging to Beta group (B. vulgaris “157”; B. maritima “326”; B. maritima
“280”; B. vulgaris cv “Bianca”). Leaf discs collected from well-hydrated plants were subjected to quick
dehydration by treatment with PEG 30% (4 h) and electrolyte leakage as compared to discs treated with
water (control) was measured with a conductimeter. I% indicates the percent of electrolytes released
following PEG treatment in relation to total electrolytes as compared to controls and is calculated as
detailed in materials and methods. A typical experiment representative of three is shown.
evidenzia una relazione di proporzionalità
inversa tra RWC e peso secco cm-2, suggerendo l’insorgenza di un OA teso a contrastare la disidratazione. Tale incremento di
peso secco è stato verificato in varie altre
accessioni selvatiche (dati non presentati).
Per meglio comprendere la natura di tale
fenomeno, parallelamente ai rilievi di RWC
è stato stimato il contenuto totale di elettroliti
per unità di superficie fogliare. Come mostrato nella figura 2C, dopo rilascio degli
elettroliti totali si rileva un progressivo aumento di conduttività per cm2 nelle foglie di
piante stressate, indicativo di un accumulo
di elettroliti. Tale aumento di conduttività
correla con l’incremento di peso secco nelle
piante stressate, e sarebbe perciò consistente con l’insorgere di un OA di tipo inorganico. È interessante notare quindi che la misurazione degli elettroliti totali sembrerebbe
prestarsi a stime rapide ed accurate sulla capacità di OA inorganico.
Qualora la capacità di OA di bietole coltivate risultasse meno pronunziata di quanto
rilevato per il germoplasma selvatico, approcci di breeding tesi all’introgressione del
carattere OA parrebbero di notevole interes-
se agronomico. Screening in tal senso di
cultivar sono in corso al fine di chiarire questa importante questione.
CONCLUSIONI
Nella sua classica review del 1982 sulla
produttività delle piante di interesse agrario
in rapporto alle problematiche ambientali che
la limitano, Boyer conclude che sono possibili notevoli miglioramenti della produttività, e che una strada per conseguirli è lo studio dei meccanismi di risposta della pianta
agli stress, studio dal quale spesso si apprende che le piante hanno evoluto metodi per
cambiare i processi coinvolti ed arrivare all’adattamento, e che inoltre tali tratti di valore adattativo sono ereditabili. Boyer conclude che dal momento che gli “input” agricoli stanno diventando costosi e scarsi, le
piante che avessero “adattamenti genetici che
migliorino la loro performance in condizioni ambientali avverse” sarebbero rapidamente accettate per la loro convenienza economica e necessità ambientale.
È interessante notare come Boyer scrivesse alla vigilia di quella che molti oggi chiamano “la seconda rivoluzione verde”, quel-
la portata dalle biotecnologie vegetali. Nonostante nel 1982 gli straordinari progressi
della genetica molecolare vegetale e le sue
applicazioni biotecnologiche fossero appena agli inizi, resta valida ancora nel 2002 la
necessità di ulteriori investimenti nella ricerca sugli stress abiotici per chiarire i complessi meccanismi che ne sono alla base. Inoltre,
negli ultimi anni la comunità scientifica è diventata sempre più consapevole della necessità di valorizzare le risorse genetiche vegetali, sia quelle provenienti da banche di
germoplasma sia quelle conservate o moltiplicate in situ. Tali risorse sono ancora poco
conosciute e sfruttate, ed è prevedibile che
il loro studio ed utilizzo anche per il miglioramento per gli stress abiotici sia potenzialmente in grado di produrre una terza rivoluzione verde.
Il presente lavoro pone le basi per uno studio sistematico della possibile variabilità
genetica presente nel germoplasma di Beta
relativamente ad alcuni indicatori fisiologici di stress idrico e di tratti inducibili quali
la capacità di OA. I risultati preliminari mostrano un buon OA nelle accessioni selvatiche (B. vulgaris ssp. maritima); occorrerà
nel prosieguo del lavoro comparare sistematicamente tali indicatori nel germoplasma selvatico e in quello coltivato (B. vulgaris ssp.
vulgaris), allo scopo di fornire strumenti statisticamente significativi al selezionatore
interessato a sviluppare materiali più tolleranti lo stress idrico.
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Agroindustria / Agosto 2002 101
5:&
90
85
80
75
&70
65
:
560
55
50
45
40
$
326 contr.
326 stress
280 contr.
280 stress
0
7
14
28
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7
%
%
326 contr.
326 stress
280 contr.
280 stress
6
21
5
P
F 4
J
P
3
2
1
0
7
14
*LRUQLGLVWUHVV
21
28
(OHWWUROLWLWRWDOL
130
120
110
P
F
100
90
P
FV 80
QH 70
P
LH6 60
— 50
40
30
326 contr.
326 stress
280 contr.
280 stress
0
7
&
14
*LRUQLGLVWUHVV
21
Figura 2 - Risposta allo stress idrico in B. maritima “326” e “280”
A) Il contenuto Idrico Relativo (RWC) è stato misurato a 0, 7, 14 e 21 giorni dalla sospensione dell’irrigazione
in piante stressate rispetto ai controlli. I valori riportati sono la media (± SD) di almeno 12-18 repliche.
Ciascuna replica rappresenta una pianta distinta.
B) Pesi secchi dei dischetti di 7 mm di diametro ottenuti da piante stressate e controlli a 0, 7, 14 e 21 giorni.
Valori e barre di errore come descritto nella sezione A.
C) Conduttività per cm2 di superficie fogliare dopo rilascio degli elettroliti totali. Tre dischetti per replica
(diametro 11 mm) sono stati incubati in 15 ml di acqua deionizzata per 1 h a 83°C . Dopo raffreddamento,
la conduttività (elettroliti totali) della soluzione è stata misurata ed espressa in µSiemens cm-1 per unità di
superfice fogliare (cm2). I dischetti sono stati prelevati a 0, 7 e 14 giorni dalla sospensione dell’irrigazione.
Sono riportate le medie (± SD) di almeno 4 repliche, ove ciascuna replica rappresenta una pianta distinta.
Figure 2 - Drought stress response in B. maritima “326” e “280”
A) The Relative Water Content (RWC) was measured at 0, 7, 14 and 21 days starting from irrigation
suspension in stressed plants. Means (± SD) of at least 12-18 replicates.
B) Dry weights of 7 mm diameter leaf discs collected from stressed and control plants at 0, 7, 14 and 21
days after suspension of irrigation. Values and error bars are as described in section A.
C) Conductivity cm-2 of leaf surface following total electrolyte release. Three discs per replicate (11 mm
diameter) were incubated in 15 ml of deionized water for 1 h at 83°C. Upon cooling to room temperature,
conductivity (total electrolytes) of the bathing solution was measured and reported in µSiemens
cm-1 cm-2). Leaf discs were harvested at 0, 7 and 14 days after water withholding. Data represent
means of at least four replicates (± SD), and each replicate represents a distinct plant.
102 Agroindustria / Agosto 2002
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Agroindustria / Agosto 2002 103
Caratterizzazione delle componenti di resistenza a Cercospora beticola Sacc. in linee
parentali di barbabietola da zucchero
Vittorio Rossi, Paola Battilani,
Istituto di Entomologia e Patologia vegetale, Università Cattolica del Sacro Cuore
RIASSUNTO
Sei linee parentali di barbabietola da zucchero (tre maschio sterili e tre impollinanti), impiegate in
programmi di miglioramento genetico per la resistenza a Cercospora beticola da due società
sementiere, sono state caratterizzate per il livello di resistenza e per le varie componenti di resistenza (RC). In particolare, mediante esperimenti condotti in condizioni controllate con inoculazioni
artificiali, sono state determinate le seguenti RC: efficienza d’infezione dei conidi (INF), durata del
periodo d’incubazione (IP), dimensione delle macchie necrotiche (LS), produzione di spore sulle
macchie necrotiche (SY). Il livello di resistenza delle sei linee è risultato assai variabile; tanto fra
gli impollinanti che fra i maschio sterili sono state reperite linee con buona resistenza. Alcune linee
sono risultate portatrici di caratteri che riducono fortemente INF e che allungano IP; altre sono
risultate caratterizzate da una minore LS. Al contrario, il livello di SY delle diverse linee è stato
dello stesso ordine di grandezza. La variabilità fenotipica fra linee è risultata elevata per INF,
molto modesta per IP e SY; la variabilità fra piante entro linea è risultata generalmente ampia e non
sempre distribuita in modo uniforme, sia perché alcuni fenotipi sono risultati più rappresentati
rispetto a quanto atteso, sia per la presenza di piante con caratteristiche estreme.
Parole chiave: Cercospora beticola, componenti di resistenza, infezioni artificiali, variabilità fenotipica.
ABSTRACT
Resistance components to Cercospora beticola Sacc. in sugar beet parental lines
Six sugar beet parental lines (three male sterile lines and three pollinators) used by two seed companies
(Agra, hereinafter AG, and Produttori Sementi, hereinafter PS) in their breeding programs aimed at
improving resistance to Cercospora beticola were characterized for both the resistance level and the
resistance components (RC). Two male sterile lines were supplied by AG, one for autumn seed
(AG_Ms1) and one for spring seed (AG_Ms2), and one pollinator (AG_Im1). The pollinator was
obtained with massal selection, followed by half-sib selection, with plants cloned and auto-pollinated.
PS provided a male sterile (PS_Ms1) and two pollinators (PS_Im1, PS_Im2); PS_Ms1 is a population
and no selection was operated on it, while the pollinators are the result of a massal selection. By
environment-controlled monocyclic infection experiments the following RC were measured: infection
efficiency of conidia (INF), length of incubation period (IP), size of necrotic lesions (LS), spore yield
on necrotic spots (SY). The resistance level of the six lines ranged between susceptible and very
resistant; highly resistant lines were found in both male sterile and pollinators. Some lines were
characterized by low INF and long IP, while other lines by a low LS. On the contrary, SY showed
lower variability. The phenotypic variability between lines was high for INF and very low for IP and
SY. Variability within lines was generally high and frequently not normally distributed; some phenotypes
were more frequent than expected according to a normal distribution, and outliers were frequently
present. The variability of RC between plants, within lines, was highly influenced by the genetic
structure of the line. AG_Im1, for example, obtained with massal selection followed by half-sib
selection, with plants cloned and auto-pollinated, showed low variability. On the contrary, PS_Im1
and especially PS_Im2, obtained using only massal selection, showed high variability within lines,
with several phenotypes represented. The results obtained in this study were in general agreement
with the resistance level attributed by seed companies following empiric evaluations of the six parental
lines in field. Regarding AG, AG_Ms1 was considered susceptible to C. beticola, as was AG_Ms2,
even if with a lower level of susceptibility; on the contrary, AG_Im1 was classified as highly resistant.
Regarding PS, PS_Im2 was considered as the most resistant line, followed by PS_Im1 and by PS_Ms1.
In field observations, PS_Im1 was better evaluated than in this study. The behaviour of PS_Im1 was
highly influenced by INF, the RC that showed a high variability between plants and several outliers
with severe INF. The genetic heterogeneity of plants probably influenced the visual assessment and
the role of outlier was considered differently during the visual assessment in field, where dominant
behaviour was most considered. The picture of resistance characters obtained in this work represents
an interesting basis for future research where RC will be evaluated in F1, F2 and back-cross.
Keywords: Cercospora beticola, resistance components, artificial infection, phenotypic variability.
Autore corrispondente: Rossi V. Istituto di Entomologia e
Patologia vegetale, Università Cattolica del Sacro Cuore,
via E. Parmense, 84 29100 Piacenza, Italia
Tel 0523 599253 - Fax 0523 599256
E-mail: [email protected]
Lavoro svolto nell’ambito del Progetto Finalizzato
“Miglioramento della barbabietola da zucchero per
l’ambiente mediterraneo”, finanziato dal MiPAF.
104 Agroindustria / Vol. 1 / Num. 2 2002
INTRODUZIONE
La resistenza a Cercospora beticola Sacc.
in barbabietola da zucchero si manifesta con
una rallentamento della progressione temporale delle epidemie, così che, in ogni momento dell’epidemia, la gravità della malat-
tia sulle varietà resistenti è inferiore rispetto
a quella delle varietà suscettibili (Rossi e
Battilani, 1990; Rossi, 1995; Rossi, 1999).
Questo tipo di resistenza è stato definito
come “quantitativa”, “parziale”, “durevole”
o “rate-reducing” (CAB, 1973; Nelson, 1978;
Johnson et al., 1993); si tratta di una forma
di resistenza nella quale la pianta riduce il
tasso di sviluppo del patogeno (Jeger et al.,
1983). In termini generali, questo tipo di resistenza si esplica attraverso una serie di
componenti di resistenza (RC, resistance
components), quali: i) una riduzione della
capacità di ogni propagulo di causare nuove
infezioni, ii) un allungamento dei periodi
d’incubazione e di latenza, iii) una diminuzione della velocità di espansione delle aree
infette sulla pianta; iv) una minore capacità
di produrre nuovi propaguli sulle aree infette; v) una riduzione del periodo di fertilità
del patogeno (periodo infezioso) (Parlevliet,
1979). Studi condotti da Rossi et al. (1999a,
2000) hanno dimostrato che le RC che intervengono nella resistenza a C. beticola in
barbabietola da zucchero sono: l’efficienza
d’infezione dei conidi, la durata del periodo
d’incubazione, la dimensione delle macchie
necrotiche e la produzione di spore sulle
macchie necrotiche. Tutte le suddette RC
concorrono a determinare la resistenza, ma
con pesi differenti da genotipo a genotipo; è
stato infatti osservato che, mentre in certi
genotipi l’efficienza d’infezione ha un ruolo primario nel determinare il livello di resistenza, in altri genotipi prevalgono altre RC
(Rossi, 2000).
Le resistenze di questo tipo sono generalmente controllate da più geni: è noto che, in
barbabietola da zucchero, ne sono coinvolti
quattro o cinque (Saito, 1966; Smith e Gaskill,
1970; Smith e Ruppel, 1974; Koch, 1997;
Koch, 2000; Skaracis e Biancardi, 2000), ma,
al momento, non si conoscono le relazioni
intercorrenti fra geni e RC (Rossi, 2000).
Nell’ambito del progetto “Miglioramento
genetico della barbabietola da zucchero per
l’ambiente mediterraneo” è stata impostata
una ricerca finalizzata ad acquisire conoscenze sul controllo genetico delle diverse RC.
Sono stati quindi programmati incroci F1,
F2 e back-cross fra linee parentali con diversi livelli di resistenza. In questo lavoro
preliminare, vengono illustrate le caratteristiche di resistenza delle sei linee parentali
impiegate nella ricerca.
MATERIALI E METODI
Linee di barbabietola. Sono state impie-
Tabella 1 - Valori medi, intervalli di variazione (range) e varianze per quattro componenti di resistenza a C. beticola, in sei linee di barbabietola da zucchero:
efficienza d’infezione dei conidi (INF), durata dell’incubazione (IP), area delle macchie necrotiche (LS), produzione di spore (SY).
Table 1 - Mean values, range of variation and variance of four resistance components to C. beticola, in six sugar beet parental lines: infection efficiency of
conidia (INF), length of incubation period (IP), size of necrotic spots (LS), spore yield (SY).
Componenti di resistenza
INF
-2
n cm
IP
°C
LS
SY
2
3
mm
INF
-2
-2
n10 cm
$*B0V
n cm
IP
LS
°C
SY
2
mm
n103cm-2
36B0V
Media
0.30
285
8.5
41.2
0.47
221
5.0
36.6
Range
0.98
288
15.8
137.0
1.35
263
9.9
102.1
Varianza
0.064
5009.7
0.21
711.59
0.144
5073.3
0.06
478.65
$*B0V
36B,P
Media
0.14
329
12.4
37.0
0.66
217
5.5
34.5
Range
0.83
372
27.0
190.3
2.27
205
21.2
84.2
Varianza
0.038
10080.6
0.34
1502.02
0.373
2849.1
0.17
469.54
$*B,P
36B,P
Media
0.08
278
15.5
28.1
0.35
225
5.4
31.9
Range
0.50
356
28.2
73.3
1.60
324
20.6
120.3
Varianza
0.011
9065.0
0.52
354.83
0.141
3654.2
0.18
623.27
nuovi conidi e le infezioni secondarie. Le piante sono state allevate in queste condizioni
per 4 settimane, fino alla completa comparsa dei sintomi di malattia. In totale, sono
state inoculate 300 piante, suddivise in 5
esperimenti.
Rilievo delle RC. Sempre seguendo il
metodo di Rossi et al. (1999a, 2000), sono
state rilevate le seguenti RC su 4 foglie per
ogni pianta: efficienza d’infezione dei conidi
(INF, espressa come numero di macchie
necrotiche per cm2 di superficie fogliare al
termine del periodo di osservazione); durata
del periodo d’incubazione (IP, come
3,5
Area fogliare ammlata (%)
gate sei linee di barbabietola da zucchero (Beta
vulgaris L. var. saccharifera) utilizzate in
programmi di miglioramento genetico per la
resistenza a C. beticola da due società
sementiere, Agra di Massalombarda (da qui
in avanti siglata AG) e Produttori Sementi di
Bologna (PS). AG ha messo a disposizione
due linee maschiosterili, una a semina
autunnale (siglata AG_Ms1) ed una primaverile (AG_Ms2), ed un impollinante
(AG_Im1). L’impollinante è il risultato di
una selezione massale per resistenza, seguita da una selezione half-sib, i cui individui
sono stati clonati e riprodotti per
autofecondazione. PS ha fornito un
maschiosterile (PS_Ms1) e due impollinanti
(PS_Im1, PS_Im2); PS_Ms1 è una popolazione sulla quale non è stata operata alcuna
selezione, mentre i due impollinanti sono il
risultato di selezioni massali.
Allevamento delle piante ed infezione.
Le piante sono state seminate ed allevate in
vasi di plastica contenenti torba, in serra
termocondizionata, sotto luce artificiale.
Secondo quanto descritto da Rossi et al.
(1999a), alla fase di 4-6 foglie vere, le piante sono state disposte entro appositi box e
sottoposte ad inoculazione artificiale,
nebulizzando in modo uniforme una sospensione di conidi (3x105 per ml) prodotti in
vitro da tre ceppi di C. beticola. Le piante
inoculate sono poi state mantenute in condizioni termo-igrometriche tali da favorire,
prima, la germinazione dei conidi e l’infezione, e da evitare, poi, la produzione di
3
2,5
2
1,5
1
0,5
0
AG_Ms1
AG_Im1
PS_Im1
AG_Ms2
PS_Ms1
PS_Im2
Figura 1 - Gravità media delle infezioni di C. beticola (espresse come % di area fogliare ammalata) in
sei linee parentali di barbabietola da zucchero, al termine di un ciclo d’infezione artificiale in condizioni
ambientali controllate. Le sigle AG e PS indicano la provenienza (Agra e Produttori Sementi,
rispettivamente); Ms sta per maschiosterile, Im per impollinante.
Figure 1 - Disease severity of C. beticola infections (as % of affected leaf area) in six sugar beet
parental lines, at the end of an infection cycle developed under environment-controlled conditions. AG
and PS indicate the origin (Agra and Produttori Sementi, respectively); Ms indicates a sterile male line,
Im a pollinant.
Agroindustria / Agosto 2002 105
Area fogliare ammalata (%)
100
80
AG_Ms1
(22.4)
60
AG_Ms2
(10.0)
40
20
AG_Im1
(4.2)
Area fogliare ammalata (%)
0
100
80
PS_Ms1
(29.0)
PS_Im1
(29.5)
60
40
PS_Im2
(15.5)
20
0
1
16
31
46
61
76
Giorni dell’epidemia
Figura 2 - Andamento delle epidemie di C. beticola (espresso come valore giornaliero della % di area
fogliare ammalata) in sei linee parentali di barbabietola da zucchero, simulato sulla base delle componenti
di resistenza misurate, per ciascuna linea, mediante infezioni artificiali in ambiente controllato. I valori
fra parentesi indicano l’AUDPC (Area Under Disease Progress Curve).
Figure 2 - Progress of C. beticola epidemics (as daily value of % affected leaf area) in six sugar beet
parental lines, calculated on the basis of the resistance components measured in environment-controlled
experiments. Values between parentheses indicate AUDPC (Area Under Disease Progress Curve).
Tabella 2 - Percentuale di piante portatrici di caratteri favorevoli per la resistenza a C. beticola, in sei
linee di barbabietola da zucchero, per le quattro componenti di resistenza: efficienza d’infezione dei
conidi (INF), durata dell’incubazione (IP), area delle macchie necrotiche (LS), produzione di spore (SY).
Table 2 - Percentage of plants showing resistance to C. beticola, in six sugar beet parental lines, related
to four resistance components: infection efficiency of conidia (INF), length of incubation period (IP),
size of necrotic spots (LS), spore yield (SY).
Componenti di resistenza
Genotipi
INF
IP
LS
SY
AG_Ms1
27.6
25.0
79.3
36.7
AG_Ms2
76.9
46.9
50.0
64.0
AG_Im1
87.5
34.4
31.3
70.0
PS_Ms1
57.5
25.0
67.6
50.0
PS_Im1
47.5
33.3
65.8
59.5
PS_Im2
65.0
37.5
73.7
71.1
106 Agroindustria / Agosto 2002
sommatoria termica giornaliera, con base 5°C,
calcolata fra l’inoculazione e la comparsa dei
sintomi sul 50% delle foglie sintomatiche a
fine ciclo); area delle macchie necrotiche (LS,
come superficie media di ogni macchia, in
mm2, a fine ciclo); produzione di conidi (SY,
come numero medio di conidi prodotti per
unità di area necrotica dopo 48 ore di incubazione in aria satura, a 20°C). È stata inoltre
determinata, foglia per foglia, la gravità dei
sintomi di malattia al termine del ciclo d’infezione, espressa come percentuale di area
fogliare ammalata: la superficie totale delle
foglie e quella coperta da macchie necrotiche
sono state misurate mediante Area Meter
LI-COR 2000.
Elaborazione dei dati. I dati relativi alle
RC ed alla gravità di malattia sono stati
espressi come media per pianta (4 foglie per
pianta). Sono stati quindi calcolati i valori
medi per le sei linee e, per valutare la loro
variabilità entro, i relativi indici di dispersione. Per avere indicazioni circa la variabilità di ogni RC fra le sei linee, è stato calcolato il coefficiente di variazione (CV), come
rapporto percentuale fra deviazione standard
e media.
Per determinare l’effetto delle RC misurate in un unico ciclo d’infezione sulla progressione della malattia in campo, ove si
susseguono numerosi cicli infettivi nel corso della stagione, è stato utilizzato un programma di simulazione delle epidemie di C.
beticola, precedentemente elaborato e
validato (Rossi et al., 1994, 1999b). Impiegando un insieme rappresentativo di dati
meteorologici, rilevati a Diamantina (FE) nel
2001, è stato così calcolato, giorno per giorno fra il 20 Giugno ed il 3 Settembre, il valore di gravità della malattia per le sei linee,
come pure l’AUDPC (Area Under Disease
Progress Curve) al termine delle epidemie
(Zadoks e Schein, 1979).
Per confrontare fra loro le RC delle sei
linee si è proceduto nel modo seguente. I
dati, originariamente espressi in differenti
unità di misura, sono stati dapprima standardizzati: (xi – xm)/ds, dove xi è la media
per pianta, xm e ds sono rispettivamente la
media e la deviazione standard per prova.
In questo modo, sono stati ottenuti valori
espressi nella medesima scala di misura,
nell’intervallo ± ∞: valori inferiori alla
media hanno così assunto valori negativi,
quelli superiori valori positivi, mentre
quelli coincidenti con il valore medio sono
risultati uguali a zero. Successivamente,
sono state calcolate le distribuzioni di frequenza dei valori standardizzati per varie
classi di ampiezza. Tali distribuzioni di
frequenza sono state confrontate, mediante test X2, con la distribuzione normale,
allo scopo di verificare l’ipotesi di uguaglianza fra le due distribuzioni (Snedecor
e Cochran, 1973). Le linee sono state quindi caratterizzate in base alla frequenza di
0.4
AG_Ms1
X2 = 6,1 P = 0.013
media = 0.63
ds = 1.182
0.2
0
0.6
AG_Ms2
X2 = 23.7 P < 0.001
Frequenza
0.4
media = -0.14
ds = 0.885
0.2
0
0.8
AG_Im1
X2 = 20.4 P < 0.001
0.6
0.4
media = -0.42
ds = 0.568
0.2
0
-2
-1
0
1
2
3
4
INF (valori standardizzati)
Figura 3 - Distribuzione di frequenza dei valori standardizzati dell’efficienza d’infezione dei conidi di
C. beticola (INF) in piante di tre linee parentali di barbabietola da zucchero. Gli istogrammi indicano le
distribuzioni osservate, le linee le distribuzioni attese secondo distribuzioni normali aventi media e
deviazione standard (ds) indicate; X2 e P indicano i valori della statistica chi-quadrato e delle corrispondenti
probabilità, per l’ipotesi di uguaglianza fra distribuzioni osservate ed attese.
Figure 3 - Frequency distribution of plants of three sugar beet parental lines according to the infection
efficiency of C. beticola conidia (INF, as standardized values) inoculated on their leaves. Histograms
indicate the observed distributions, lines are the distributions expected according to normal distributions
with mean and standard deviations (ds) indicated; X2 and P indicate the values of chi-square statistic
and the related probability, respectively, under the hypothesis of equality between observed and expected
distributions.
piante con valori standardizzati inferiori
alla media (ossia con segno negativo) e
superiori (segno positivo), per ognuna delle RC.
RISULTATI
Differenze fra genotipi. Le sei linee hanno mostrato valori differenti di gravità delle
infezioni di C. beticola (Fig. 1). La linea
AG_Im1 ha fatto registrare i valori più bassi
di area fogliare ammalata al termine del ciclo d’infezione artificiale, seguita da
AG_Ms2 e PS_Im2. La variabilità entro
genotipi è risultata relativamente omogenea,
con errori standard delle medie compresi fra
0,223 (AG_Im1) e 0,434 (AG_Ms2).
L’analisi delle RC ha però evidenziato
variazioni più rilevanti fra ed entro linee (Tab.
1). INF è variato da un minimo di 0,08 macchie necrotiche per cm2 di foglia (AG_Im1)
ad un massimo di 0,66 (PS_Im1); il CV per
questa RC è stato del 75%. Le linee di AG
hanno assunto valori inferiori rispetto a quelle
di PS, con una minore variabilità entro: le
varianze delle prime hanno assunto valori
inferiori di circa 10 volte rispetto a quelle
delle seconde, e gli intervalli di variazione
sono risultati circa la metà. La linea PS_Im1
è risultata caratterizzata, oltre che dal valore
medio più elevato, da una variabilità entro
molto più alta rispetto alle altre linee: l’intervallo di variazione è stato di 2,27 macchie
necrotiche per cm2 di foglia, e la varianza di
0,373.
IP è risultato meno variabile rispetto a INF,
con un CV del 17%. IP è variato da un minimo di 217°C (PS_Im1) ed un massimo di
329°C (AG_Ms2). Anche in questo caso, le
linee di AG hanno avuto valori più favorevoli, ossia incubazioni di maggiore durata,
rispetto a quelle di PS; la loro varianza entro è risultata però più accentuata.
LS ha avuto un CV del 46%. In questo
caso, le linee di AG hanno avuto valori costantemente più alti e con maggiore variabilità rispetto a quelle di PS. Le macchie
necrotiche di maggiore dimensione sono state osservate in AG_Im1 e AG_Ms2 (15,5 e
12,4 mm2, rispettivamente).
SY è variato poco da un genotipo all’altro (CV pari a 14%); i valori più bassi sono
stati rilevati sui tre impollinanti, con un minimo di 28,1 conidi(x103)/cm2 per AG_Im1.
L’inserimento delle RC nel modello di simulazione ha originato epidemie ben differenziate per le sei linee (Fig. 2), con CV pari
a 48%. Le epidemie più gravi sono state quelle di PS_Im1 e PS_Ms1, con AUDPC di 29,5
e 29,0, rispettivamente. La quasi perfetta
corrispondenza di queste due epidemie è
dovuta all’effetto contrastante di INF e SY:
PS_Ms1 ha infatti fatto registrare valori di
INF più bassi di PS_Im1, ma valori di SY
più alti; IP e LS sono risultati, al contrario,
del tutto simili per le due linee. Seguono,
per valori di AUDPC decrescenti, AG_Ms1
e PS_Im2, con 22,4 e 15,5, rispettivamente.
Nell’ultima linea, tutte le RC sono risultate
più basse rispetto alle due precedenti, ad
eccezione di IP che è stato dello stesso ordine di grandezza. Per AG_Ms1 la situazione
è risultata più articolata: INF è risultato più
basso, mentre IP, LS e SY più elevati. Per
AG_Ms2 il basso valore di AUDPC (10,0)
è dovuto principalmente alla bassa INF,
mentre per AG_Im1 (4,2) anche al basso
valore di SY.
Variabilità delle RC entro linea. La variabilità fenotipica fra pianta e pianta entro
ciascuna linea è risultata generalmente elevata, come indicano le varianze e gli intervalli di variazione di tabella 1. Per le linee di
AG, la standardizzazione dei dati ed il conAgroindustria / Agosto 2002 107
0.4
X2 =
PS_Ms1
2.0 P = 0.510
media = -0.06
ds = 0.702
0.2
0
0.4
Frequenza
PS_Im1
X2 = 6.3 P = 0.042
media = 0.35
ds = 1.294
0.2
0
0.4
PS_Im2
X2 = 4.4 P = 0.110
0.2
media = -0.29
ds = 0.783
0
-2
-1
0
1
2
3
4
5
INF (valori standardizzati)
Figura 4 - Distribuzione di frequenza dei valori standardizzati dell’efficienza d’infezione dei conidi di
C. beticola (INF) in piante di tre linee parentali di barbabietola da zucchero. Vedi figura 3 per la legenda.
Figure 4 - Frequency distribution of plants of three sugar beet parental lines according to the infection
efficiency of C. beticola conidia (INF, as standardised values) inoculated on their leaves. See figure 3
for the legend.
fronto delle distribuzioni standardizzate con
la distribuzione normale ha quasi sempre
portato a calcolare valori di X2 significativi;
pertanto, nella maggior parte dei casi, le piante entro linea non sono risultate distribuite
in modo normale. Gli scostamenti più rilevanti rispetto alla normalità sono stati originati dalla presenza di classi con frequenza
molto più elevata rispetto a quella attesa,
specie lungo l’asse negativo della scala e di
qualche valore estremo lungo l’asse positivo della scala (Fig. 3). Rispetto ad una distribuzione normale, quindi, queste linee
hanno mostrato una distribuzione meno dispersa intorno al valore medio, spesso con
asimmetria negativa, e con alcuni soggetti
abbastanza lontani rispetto alla media. Per
le linee di PS, la distribuzione dei dati standardizzati è spesso risultata distribuita in
modo normale. Nel caso di INF, per esempio (Fig. 4), la distribuzione dei valori delle
singole piante delle linee PS_Ms1 e PS_Im2
non si è discostata in modo significativo da
una normale, mentre PS_Im1 ha mostrato
una distribuzione molto più dispersa, appiattita rispetto a quella normale, con alcuni individui caratterizzati da valori di INF molto
108 Agroindustria / Agosto 2002
alti (oltre 4 volte la ds). Ciò conferma l’ampia variabilità fra piante mostrata da questa
linea.
In considerazione del fatto che le piante
entro linea hanno spesso mostrato distribuzioni non normali, le linee sono state caratterizzate anche per la frequenza di individui
portatori di caratteri fenotipici di resistenza,
ossia con valori standardizzati inferiori alla
media per INF, LS e SY, e superiori per IP
(Tab. 2). Tale valutazione è risultata sostanzialmente in linea con quella esposta in precedenza. Ad esempio, AG_Im1 e AG_Ms2
hanno avuto alte frequenze di individui portatori di caratteri favorevoli per INF, così
come PS_Im2 e AG_Im1 per SY.
DISCUSSIONE DEI RISULTATI E
CONCLUSIONI
I risultati di questo lavoro hanno in gran
parte confermato le valutazioni sul livello di
resistenza attribuito, in modo empirico, dalle società sementiere alle sei linee parentali.
Per quanto concerne AG, AG_Ms1 era stata
valutata come sensibile a C. beticola, così
come AG_Ms2, seppure ad un livello minore di sensibilità; al contrario, AG_Im1 era
stata considerata altamente resistente. Nel
caso di PS, PS_Im2 era stata considerata la
linea più resistente, seguita da PS_Im1 e da
PS_Ms1. In realtà, le osservazioni di campo
avevano portato a valutazioni più positive
del livello di resistenza di PS_Im1 rispetto a
quanto osservato in questo lavoro. Il comportamento di PS_Im1 è risultato influenzato sopratutto dall’alto valore di INF, pari a
0,66 macchie necrotiche per cm2 di foglia.
Questa RC è risultata però molto variabile
fra una pianta e l’altra, con una certa frequenza di individui con comportamento
estremo (vedi Tab. 1 e Fig. 4): alcune piante
sono arrivate a più di 2 macchie necrotiche
per cm2. Tale eterogeneità fenotipica è originata verosimilmente da un’ampia variabilità genetica all’interno della linea, che è stata
ottenuta per semplice selezione massale. In
presenza di una così ampia variabilità, è possibile che nel campione impiegato per la
valutazione delle RC (50 piante) non fosse
rappresentata l’intera struttura genetica della linea. Un’altra spiegazione della divergenza riscontrata per PS_Im1 fra i risultati di
questo lavoro e quelli di campo può derivare dalle diversità metodologiche: le valutazioni di campo sono state eseguite su piccole parcelle, attraverso una stima visiva della
gravità di malattia sull’insieme delle piante.
Anche in questo caso, l’eterogeneità genetica del materiale vegetale può aver influenzato il risultato della stima, dato che lo
stimatore tende a valutare il comportamento
prevalente delle piante, escludendo i soggetti
con comportamento anomalo che, nel caso
specifico, sono caratterizzati da una maggiore suscettibilità alla malattia.
La valutazione delle RC ha consentito una
precisa caratterizzazione delle linee. È così
emerso che i materiali vegetali si differenziano per alcune importanti caratteristiche.
Alcune linee sono risultate portatrici di caratteri che riducono fortemente l’efficienza
d’infezione dei conidi di C. beticola e che
allungano il periodo d’incubazione; altre linee hanno mostrato una minore dimensione
delle macchie necrotiche. Al contrario, il livello di produzione delle spore sulle macchie necrotiche delle diverse linee è risultato dello stesso ordine di grandezza. Nel complesso, la variabilità fenotipica osservata fra
le diverse linee è risultata assai elevata per
INF, molto modesta per IP e SY.
La variabilità delle RC fra pianta e pianta
entro ciascuna linea ha fortemente risentito
della struttura genetica della linea stessa. Ad
esempio, l’impollinante AG_Im1, derivante
da un lavoro di selezione massale, half-sib,
clonaggio degli individui ed autofecondazione
degli stessi, ha mostrato la minore variabilità
entro, con più del 60% degli individui concentrati in un unico fenotipo (vedi Tab. 1 e
Fig. 3). Al contrario, gli impollinanti PS_Im1
e sopratutto PS_Im2, ottenuti per sola selezione massale, hanno mostrato una variabili-
tà entro assai superiore, con molti fenotipi
rappresentati (vedi Tab. 1 e Fig. 4).
Il quadro delle caratteristiche di resistenza
che emerge da questo lavoro apre prospettive interessanti per la prosecuzione della ricerca. Sarà infatti possibile valutare le RC
nelle F1, nelle F2 e nei back-cross derivanti
dall’incrocio fra un impollinante molto resistente a C. beticola, con valori molto bassi
di INF e di SY (AG_Im1), con due
maschiosterili, uno con resistenza molto
scarsa, ma con macchie necrotiche relativamente piccole (AG_Ms1), ed uno con buona resistenza, anch’esso con bassi valori di
INF (AG_Ms2). Sarà inoltre possibile valutare le RC nelle discendenze degli incroci
fra due impollinanti, con resistenza buona
(PS_Im2) e molto scarsa (PS_Im1), ed un
maschiosterile con resistenza molto scarsa
(PS_Ms1). Un ulteriore motivo di interesse
deriva dal fatto che le linee parentali fornite
da AG e PS hanno origine genetica diversa
e caratteristiche fenotipiche differenti per
quanto concerne le RC.
RINGRAZIAMENTI
Lavoro svolto nell’ambito del progetto
“Miglioramento genetico della barbabietola
da zucchero per l’ambiente mediterraneo”,
finanziato dal MiPAF (coordinatore P.
Ranalli). Si ringraziano: la Dott.ssa Maria
Fattori della Società Agra S.p.A. ed il Dott.
Enzo DeAmbrogio della Società Produttori
Sementi S.p.A., per aver fornito il seme delle sei linee di barbabietola da zucchero e
preziose informazioni; il Dott. Paolo Fermi
per la collaborazione nella realizzazione delle prove.
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Agroindustria / Agosto 2002 109
Determinazione di parametri colturali della barbabietola da zucchero a semina
autunnale in ambiente a sussidio idrico limitato
Michele Rinaldi
Istituto Sperimentale Agronomico, Bari
RIASSUNTO
Sono riportati i primi risultati di uno studio sulla barbabietola da zucchero a semina autunnale
coltivata nel Sud Italia e sottoposta a due regimi irrigui: ottimale, intervenendo al 100 %
dell’evapotraspirazione reale (ETc) e ridotta, al 60 %. Sulla coltura è stata condotta l’analisi di
accrescimento con il metodo distruttivo e la misurazione dell’ETc con lisimetri a pesata. Durante
il ciclo colturale sono stati somministrati 360 e 248 mm di acqua irrigua, rispettivamente per la tesi
“ottimale” e “ridotta”, mentre il consumo irriguo stagionale è stato di 738 e 625 mm. Dai risultati
ottenuti si evidenzia come, ad un risparmio di circa il 30% del volume stagionale irriguo nella tesi
“ridotta” ha fatto seguito una riduzione del 32% della produzione di saccarosio per ettaro. L’apparato fogliare è stato più ampio nella tesi meglio irrigata, mentre non significativamente diversa è
risultata la sostanza secca dei fittoni. Tra i diversi parametri fisiologici calcolati, non sono apparse
differenze significative per quanto riguarda l’area fogliare specifica (in media 13.2 m2 kg-1),
l’efficienza d’uso dell’acqua in sostanza secca (in media 3.2 kg ha-1 mm-1), mentre una leggera
superiorità per l’efficienza d’uso della radiazione nella tesi “ottimale” (2.5 vs. 2.1 µg J-1). I
coefficienti colturali (Kc) calcolati giornalmente in base alla misura dell’ETc sono risultati leggermente inferiori a quelli proposti dalla FAO. Vengono mostrati i coefficienti di ripartizione della
sostanza secca nelle diverse parti della pianta. Tutti i parametri colturali potranno essere utili per
la calibrazione di modelli di simulazione della barbabietola autunnale.
Parole chiave: Beta vulgaris L., evapotraspirazione, produzione, modelli di simulazione, irrigazione
ABSTRACT
Crop parametrisation of autumnal sugar beet in a water-limited environment
Sugar beet (Beta vulgaris L. var. saccharifera) is an important crop in Europe for sugar production.
Simulation of beet crop growth is difficult for the lacking of a specific model and for peculiar
aspects related to evapotranspiration components and leaf growth dynamic. For a better use of a
generic crop growth simulation model, the measurement of the main crop parameters need to be
carried out in several environmental conditions. In Southern Italy, where sugar beet is usually an
irrigated crop, the effects of water availability on crop characteristics need to be studied and
analysed. The first results of an experimental activity carried out in Southern Italy (Capitanata
Plain) are reported. The crop was sown in autumn and submitted to two irrigation regimes:
"optimal" (100 % of real evapotranspiration) and "reduced" (60 %). Growth analysis during crop
cycle with a destructive method and real evapotranspiration measurement with weighing lysimeters,
were carried out.
During the crop cycle 360 and 248 mm of irrigation water were applied to "optimal" and "reduced"
treatments, while the seasonal water use was 738 and 625 mm, respectively. A saving of 30 % of
seasonal irrigation water produced a reduction of 32 % of saccharose yield, but only 14 % of root
yield (not significant). Leaf development was higher in the well-watered thesis, while no difference
has been found in the storage organs dry matter. As far as the physiological parameters, the
radiation use efficiency resulted higher in the "optimal" (2.5 vs. 2.1 µg J -1 of intercepted
photosynthetically active radiation) for a more developed green leaf area and a higher dry matter
yield in the "optimal" treatment. Similar values of water use efficiency (in average 3.2 kg ha-1
mm-1) and specific leaf area (in average 13.2 m2 kg-1) have been found. The crop coefficients
(Kc), calculated daily measuring real evapotranspiration, resulted lightly lower than the proposed
FAO paper 56 ones. The initial phase resulted longer and the development phase, shorter than the
FAO suggestion. Partitioning coefficients of dry matter in the different plant organs are shown.
All the measured crop parameters will be useful in the calibration of the simulation models of
autumnal sugar beet.
Key words: Beta vulgaris L., evapotranspiration, yield, simulation models, irrigation
INTRODUZIONE
La barbabietola da zucchero rappresenta
Autore corrispondente: Michele Rinaldi, Istituto
Sperimentale Agronomico, v. C. Ulpiani, 5 - 70125 Bari.
Tel.: 080 5475016 - Fax: 080 5475023
E-mail: [email protected]
Lavoro svolto nell’ambito del Progetto Finalizzato
“Miglioramento della barbabietola da zucchero per
l’ambiente mediterraneo”, finanziato dal MiPAF.
110 Agroindustria / Vol. 1 / Num. 2 2002
in Italia un importante fonte di reddito per
molti operatori agricoli, sia al Nord sia al
Centro-Sud. Specie nelle zone più meridionali, a causa del clima meno favorevole rispetto alle regioni del Nord dell’Europa, gli
operatori sono costretti ad intervenire con
l’irrigazione, anche dove si adotta la semina
autunnale, per ottenere produzioni più stabili ed elevate, con il conseguente aumento
dei costi di produzione (Rizzo et al., 1983;
D’Amato e Giordano, 1985; Caliandro et al.,
1996).
Per contribuire efficacemente ad una maggiore redditività della coltura, nel rispetto
delle risorse idriche disponibili è utile
razionalizzare la pratica irrigua e della gestione dell’acqua, specie nei comprensori
meridionali. Ciò è percorribile stimando accuratamente i fabbisogni irrigui con una verifica dei coefficienti colturali (Kc) proposti
dalla FAO (Doorenbos e Pruitt, 1977; Allen
et al., 1998) e adottando strategie irrigue a
maggior risparmio idrico che migliorano l’efficienza dell’uso dell’acqua (Brown et al.,
1987).
I modelli di simulazione svolgono a tale
proposito un ruolo importante, in quanto
consentono di simulare vari scenari di tecnica agronomica (per es. irrigazione, fertilizzazione ed epoca di semina), di fare previsioni di produzione in diversi ambienti
pedoclimatici, nonché di valutare effetti tipicamente a lungo termine.
Il limitato numero di modelli specifici per
la barbabietola da zucchero, ha spinto i ricercatori ad utilizzare modelli matematici
con submodelli colturali generici, i quali
vengono opportunamente modificati e/o
calibrati con parametri colturali caratteristici, così da adattarli alla coltura in esame. In
letteratura si trovano sulla barbabietola solo
risultati ottenuti in ambienti nord europei
dove l’acqua non è certo il fattore limitante
le rese, mentre scarse sono le informazioni
sulla modellizzazione della barbabietola in
ambienti
a
clima
mediterraneo
(Vandendriessche e van Ittersum, 1995).
Gli obiettivi della ricerca, in questo primo
anno di attività, sono stati i seguenti:
- studiare l’effetto della riduzione dell’acqua irrigua sulla produttività della barbabietola da zucchero a semina autunnale;
- calcolare i coefficienti colturali usando
lisimetri a pesata;
- determinare parametri colturali e raccogliere dati sperimentali per la calibrazione e la
validazione di alcuni modelli di simulazione.
MATERIALI E METODI
La ricerca è stata condotta nell’azienda
sperimentale dell’Istituto Sperimentale
Agronomico a Foggia, comprensorio
bieticolo della Capitanata (lat. 41° 27" N;
long. 15° 35" E; alt. 90 m slm).
Il terreno è un vertisuolo di origine alluvionale limo-argilloso (typic chromoxerert,
secondo la Soil Taxonomy, USDA), dotato
di discreta fertilità agronomica: N tot.
Tabella 1 - Sintesi dell’agrotecnica adottata su barbabietola da zucchero in semina autunnale.
Table 1 - Crop management of the autumnal sugar beet experiment.
Operazione
Ottimale
Data di semina e marca
Ridotto
18/10 - Suprema
17/10
Concimazione di fondo
138 kg ha-1 di P2O5
100 kg ha-1 di K20
6/12 - 46 kg ha-1 di N
25/1 - 50 kg ha-1 di N
Concimazione di copertura
Irrigazioni (n. e volumi)
7 - 80+280 mm
7 - 80+168 mm
21/11
Phenmediphan + Desmediphan + Etofumesate +
Haloxifop-Etossietile + Cloridazon
Trattamenti diserbanti
Trattamenti antiparassitari
23/4 - Azinphos metile
Data di raccolta
27/7
10
/1
8
11 / 01
/1
7
12 / 01
/1
7/
1/ 01
16
/
2/ 02
15
/
3/ 02
17
/
4/ 02
16
/
5/ 02
16
/
6/ 02
15
/0
7/ 2
15
/0
2
ƒ&
40
35
30
25
20
15
10
5
0
'DWD
Tmin
Tmax
LT Tmin
LT Tmax
PP
500
400
300
10
/1
11 8/0
/1 1
12 7/0
/1 1
7
1/ / 01
16
2/ /02
15
3/ /02
17
4/ /02
16
5/ /02
16
6/ /02
15
7/ /02
15
/0
2
200
100
0
'DWD
LT Pioggia
Pioggia
OTT
RID
Figura 1 - Confronto tra temperature massime e minime registrate a Foggia e corrispondenti
valori medi poliennali (1952-2000) (a) e confronto tra valori cumulati di precipitazioni dell’annata
e valori medi poliennali e tra le irrigazioni cumulate nelle due tesi irrigue (b).
Figure 1 - Comparison between long term correspondent values (1952-2000) of maximum and minimum
temperatures (a) and cumulated rainfall and water supply in the two irrigation regimes (b).
(Kjeldahl) = 0.122 %; P2O5 ass. (Olsen) = 41
ppm; K2O scamb. (Schollemberger) = 1598
ppm; pH (acqua) = 8.33; s. o. (Walkley e
Black) = 2.07 %; C/N = 10; capacità idrica di
campo a -0.003 MPa = 0.396 m3 m-3; punto di
appassimento a -1.50 MPa = 0.195 m3 m-3,
determinati con piastre di Richards su terreno disturbato.
Il clima è “termomediterraneo accentuato” (carte Unesco-FAO), con temperature che
possono scendere sotto lo 0 °C in inverno e
superare i 40 °C in estate. La pioggia è irregolarmente distribuita nel corso dell’anno
(piovosità media di 550 mm), essendo concentrata prevalentemente tra novembre e febbraio. I livelli evapotraspirativi sono elevati,
con valori giornalieri anche superiori a 10
mm d-1 (da evaporimetro di classe A). La
figura 1 riporta alcune variabili climatiche rilevate tra ottobre 2000 e luglio 2001 (epoca
delle prove), confrontate con dati medi di
lungo periodo.
L’agrotecnica adottata è sinteticamente
descritta nella tabella 1.
La coltura di barbabietola è stata sottoposta a due regimi irrigui, definiti come
“ottimale” con un soddisfacimento prossimo al 100% dell’Etc e “ridotto” con un ripristino del 60% dell’Etc.
Il calcolo dei fabbisogni irrigui è stato effettuato misurando l’Etc direttamente con i
due lisimetri a pesata (2x2x1.5 m di profondità), posti al centro di un appezzamento di
1 ha coltivato a barbabietola. Ciascun
lisimetro è dotato di un impianto di pesatura
da 20 t, con pre-tara di 7 t, collegato con un
sistema di leveraggi per scaricare solo una
parte del peso sulla cella di carico (modello
HBM). Questa converte il segnale da analogico in digitale, che viene acquisito da un data
logger CR7 (Campbell Ltd.) ogni 30" e mediato in uscita ogni 30'. La risoluzione dello
strumento è di 0.2 kg, pari a 0.05 mm di
consumo idrico. La precisione nominale della misura, calcolata dalla precisione, dalla non
linearità e dal range di funzionamento della
cella di carico, dall'area del lisimetro e dalle
caratteristiche meccaniche della bilancia
(Marek et al., 1988) è dello 0.0015% del valore massimo di pesatura meccanica (2 t),
ovvero di 0.075 mm. La precisione reale dello strumento, da noi valutata nel range 0 100 kg, con una taratura reiterata nel tempo,
fornisce un valore di ± 0.15 mm di contenuto
idrico del suolo. Si è intervenuto con l’irrigazione al raggiungimento di una Etc cumulata,
al netto delle piogge, di 60 mm con un volume di adacquamento di 60 mm nella tesi
“ottimale” e di 36 mm in quella “ridotta”. I
primi due interventi irrigui, uno alla semina e
l’altro dopo circa 7-10 giorni, sono stati uguali nelle due tesi per favorire l’emergenza della coltura. Un riepilogo dei principali elementi del bilancio idrico e delle variabili
irrigue è riportato nella tabella 2.
Dal rapporto tra ETc giornaliera, misuraAgroindustria / Agosto 2002 111
Tabella 2 - Componenti del bilancio idrico e trattamenti irrigui nell’esperimento su barbabietola da
zucchero.
Table 2 - Water balance and irrigation regime components in the sugar beet experiment.
Ottimale
Ridotto
7
7
Volume stagionale
360
248
Pioggia (*)
342
342
Variazione del contenuto idrico (**)
36
35
ET reale
738
625
ET potenziale (Penman-Monteith)
1062
1062
Numero di interventi irrigui
(*) Tutte le precipitazioni dalla semina alla raccolta
(**) Nello strato 0-60 cm
%DUEDELHWRODDXWXQQDOH
3(62)2*/,(9(5',JP
350
300
250
200
OTT
150
RID
100
50
0
20/11/00
9/1/01
28/2/01
19/4/01
8/6/01
28/7/01
16/9/01
%DUEDLHWRODDXWXQQDOH
/($)$5($,1'(;PP
ta direttamente utilizzando i lisimetri a pesata ed ET potenziale, calcolata con la formula di Penman-Monteith in una stazione
meteorologica con prato di riferimento, sono
stati ricavati i coefficienti colturali giornalieri (Kc) relativi alla barbabietola autunnale.
L’analisi di accrescimento è stata condotta prelevando ogni tre settimane, 4 campioni da 1 m2 ciascuno di piante per ogni tesi.
Le piante sono state suddivise in fittoni,
piccioli, foglie verdi e secche; le varie parti
sono state pesate e seccate in stufa per la
determinazione della sostanza secca. Delle
foglie verdi è stata determinata la superficie
con un misuratore Delta T-Device.
Lo Specific Leaf Area (m2 kg-1) è stato
calcolato, per ogni rilievo, rapportando la
superficie alla sostanza secca delle foglie
verdi.
Il WUE (water use efficiency, in kg ha-1
mm-1) è stato determinato come rapporto tra
la sostanza secca totale alla raccolta e l’Etc
stagionale.
Il valore del coefficiente di efficienza di
utilizzazione della radiazione solare (RUE,
in µg J-1) è pari al rapporto tra sostanza secca (in µg cm-2) e la radiazione intercettata
fotosinteticamente attiva (IPAR, in J cm-2)
(Charles-Edwards, 1982). L’IPAR è stata stimata in funzione della radiazione globale
(MJ m2 d-1), del coefficiente di estinzione
della luce (k), pari per la barbabietola a 0.62
e dell’indice di area fogliare.
Dati meteorologici giornalieri – temperatura, umidità, pioggia, velocità del vento e
radiazione solare – sono stati registrati nella
stazione meteorologica presente in azienda.
5
4
3
OTT
RID
2
1
0
20/11/00
9/1/01
28/2/01
19/4/01
8/6/01
28/7/01
16/9/01
%DUEDELHWRODDXWXQQDOH
3(626(&&25$',&,JP
2000
1600
1200
OTT
800
RID
400
0
20/11/00
9/1/01
28/2/01
19/4/01
8/6/01
28/7/01
16/9/01
Figura 2 - Andamenti della sostanza secca delle foglie verdi, dell’indice di area fogliare (LAI) e della
sostanza secca dei fittoni in funzione delle due tesi irrigue su barbabietola da zucchero. Le barre
rappresentano gli errori standard (n=4).
Figure 2 - Trends of green leaf dry matter, leaf area index and storage organs dry matter in the two
irrigation regimes applied to sugar beet. Vertical bars are standard errors (n=4).
112 Agroindustria / Agosto 2002
RISULTATI E DISCUSSIONE
Da un punto di vista climatico (Fig. 1) si
evidenzia come il mese di marzo sia stato
costantemente più caldo, sia per la temperatura massima sia minima, rispetto alla media
pluriennale, mentre le precipitazioni sono
state di circa 90 mm inferiori alla media.
Dal confronto tra i due regimi irrigui è
emerso come, ad una diminuzione del 30 %
del volume irriguo stagionale (circa 110 mm
in meno), è corrisposta una riduzione del 15
% della resa in radici e del 32 % del saccarosio per ettaro, a causa del più basso titolo
zuccherino fatto registrare dalla tesi a regime irriguo “ridotto”. Significativamente diverso è risultato, infatti, sia il contenuto percentuale che la resa in saccarosio per ettaro,
a favore della tesi “ottimale” (Tabella 3).
Questo risultato conferma l’importanza che
un pieno soddisfacimento idrico ha nella produzione di saccarosio per ettaro da parte della
barbabietola a semina autunnale (Caliandro
et al., 1996).
L’analisi di accrescimento ha evidenziato
differenze significative tra le due tesi dopo il
mese di marzo a seguito della differenziazione
delle irrigazioni (Fig. 1). Sia la superficie
Tabella 3 - Principali parametri produttivi nell’esperimento su barbabietola da zucchero. Lettere diverse
in ciascuna colonna, indicano medie differenti per P > 0,05 (“t” test).
Table 3 - Main yield results of sugar beet. Mean values followed by different letters in each column are
different at P > 0.05 (“t” test).
Regime irriguo
Peso fresco
radici
-1
(t ha )
Sostanza secca
totale
-1
(t ha )
Contenuto in
saccarosio
(%)
Produzione di
saccarosio
-1
(t ha )
70.0
60.0
23.1
21.1
16.3 b
12.9 a
113.8 b
77.4 a
Ottimale
Ridotto
Tabella 4 - Principali parametri colturali ottenuti nell’esperimento su barbabietola da zucchero.
Table 4 - Main crop parameters obtained in the sugar beet experiment.
Parametro
Ottimale
Ridotto
Media
Semina – emergenza
185
185
185
Semina – massimo LAI
2290
2110
2200
Semina – raccolta
3300
3300
3300
3.9
3.3
3.6
13.3
13.0
13.2
2.5
2.1
2.3
3.3
3.1
3.2
Growth Degree Days (T base = +2 °C)
Valore di massimo LAI
2
-1
Valore medio di Specific Leaf Area (m kg )
-1
Efficienza d’uso della radiazione (µ g J )
-1
-1
Efficienza d’uso dell’acqua (kg ha mm )
&RHIILFLHQWLFROWXUDOLJLRUQDOLHUL
,UULJD]LRQHRWWLPDOH
2.0
FAO
1.5
1.0
0.5
0.0
0
50
100
150
200
250
300
250
300
JLRUQLGDOODVHPLQD
&RHIILFLHQWLFROWXUDOLJLRUQDOLHUL
,UULJD]LRQHULGRWWD
2.0
1.5
1.0
0.5
0.0
0
50
100
15 0
200
JLRUQLGDOODVHPLQD
Figura 3 - Valori giornalieri dei coefficienti colturali (Kc) di barbabietola da zucchero a semina autunnale
confrontati con quelli proposti dalla FAO. La freccia indica la copertura completa del terreno da parte
della coltura.
Figure 3 - Daily values of crop coefficients (Kc) of autumnal sowing sugar beet, compared with FAO
proposal ones. The arrow indicates the complete soil cover with plant canopy.
fogliare sia la sostanza secca sono state, in
diversi rilievi, superiori nella tesi meglio irrigata (Fig. 2). Si segnala, inoltre, un valore
massimo di LAI superiore nella tesi “ottimale”
(4.0 vs. 3.3) ed un raggiungimento di questo
valore circa 7 giorni prima della tesi “ridotta” (Tab. 4). Non sono emerse, invece, differenze per quanto riguarda l’accumulo di sostanza secca nei fittoni nel corso del ciclo
colturale, risultato peraltro confermato dalle
produzioni di radici alla raccolta.
Alcuni dei parametri colturali rilevati per
l’utilizzazione come input in vari modelli di
simulazione della barbabietola, sono riportati nella tabella 4. Leggermente superiore è
risultata l’efficienza di utilizzazione della
radiazione (RUE) della tesi “ottimale” rispetto a quella “ridotta” in virtù di un apparato
fogliare più sviluppato (maggiore intercettazione della radiazione) e di una maggiore
produttività di sostanza secca totale.
L’efficienza d’uso dell’acqua è stata sostanzialmente identica, con una minore
evapotraspirazione reale e una minore produzione di sostanza secca della tesi “ridotta” e un conseguente valore di WUE non
dissimile da quello della tesi “ottimale”.
L’area fogliare specifica (SLA) è stata nel
corso del ciclo colturale mediamente pari a
13.2 m2 kg-1, con minimi scarti tra le due tesi
e un andamento costante nel corso del ciclo
colturale (Rinaldi, 2002).
I coefficienti colturali (Kc) determinati
giornalmente grazie alla misura diretta, con
i due lisimetri a pesata, dell’evapotraspirazione reale, sono riportati in figura 3. Rispetto ai valori proposti dalla FAO (Allen et
al., 1998) si evidenzia un maggior valore (0.5
vs. 0.35) nella fase iniziale, che risulta anche di maggiore durata. Il Kc della fase intermedia appare adottabile intorno all’80% della
copertura del terreno e con un valore prossimo all’unità. Nella parte finale del ciclo i Kc
appaiono così bassi a causa della sospensione dell’irrigazione e quindi della riduzione
dell’evapotraspirazione.
La ripartizione della sostanza secca prodotta nelle diverse parti di pianta riveste una
certa importanza nei modelli del tipo
SUCROS, in cui occorre inserire in una apposita “tavola” i coefficienti di ripartizione
in funzione dello stadio di sviluppo (DVS,
development stage). In figura 4 sono riportati graficamente questi coefficienti per le
due tesi irrigue nel corso del ciclo colturale.
Non emergono grosse differenze tra le due
tesi, tranne una maggiore persistenza delle
foglie verdi e dei piccioli nell’ultimo rilievo
per la tesi “ottimale”.
L’uso dei modelli di simulazione a diverso
grado di complessità, potrà avvantaggiarsi
delle informazioni scaturite da questo primo
anno di prova. I parametri colturali relativi
alla dinamica di sviluppo fogliare, di accumulo di sostanza secca, di ripartizione nelle
varie parti della pianta e l'efficienza con cui
Agroindustria / Agosto 2002 113
spensabili per un’adeguata calibrazione dei
modelli di simulazione.
Questa attività, che si prevede di proseguire nel secondo anno di attività, potrà essere meglio condotta utilizzando i parametri
colturali e i data set raccolti nell’attività sperimentale.
5LSDUWL]LRQHGHOODVRVWDQ]D
,UULJD]LRQHRWWLPDOH
1.0
0.8
0.6
0.4
BIBLIOGRAFIA
0.2
0.0
15/12/00 19/1/01 20/2/01 21/3/01 24/4/01 22/5/01 21/6/01 23/7/01
GDWD
Foglie verdi Foglie secche Piccioli
Fittoni
5LSDUWL]LRQHGHOODVRVWDQ]DVHFFD
,UULJD]LRQHULGRWWD
1.0
0.8
0.6
0.4
0.2
0.0
15/12/00 19/1/01 20/2/01 21/3/01 24/4/01 22/5/01 21/6/01 23/7/01
GDWD
Foglie verdi
Foglie secche
Piccioli
Fittoni
Figura 4 - Ripartizione percentuale della sostanza secca nelle diverse parti di pianta, nel corso del ciclo
colturale, per le due tesi irrigue su barbabietola da zucchero.
Figure 4 - Percentage partitioning of dry matter in the different plant components, during the crop
cycle, at two irrigation regimes applied to sugar beet.
la pianta utilizza le varie risorse (acqua, radiazione, nutrienti) sono fondamentali nella
fase di calibrazione di un modello. Questa
attività è prevista in una fase successiva della ricerca, utilizzando modelli sia regressivi
(modello sviluppato presso l'IACR di
Broom's Barn, UK) che determistici
(SUCROS e CropSyst).
CONCLUSIONI
Da questo primo anno di attività sperimentale sulla risposta all’irrigazione della barbabietola a semina autunnale, è emerso come
114 Agroindustria / Agosto 2002
la disponibilità idrica sia il fattore determinante la produzione, specie di saccarosio.
Una riduzione del volume irriguo stagionale
intorno al 30 % ha portato ad un’equivalente
riduzione della resa in saccarosio per ettaro.
Ciò evidenzia la necessità di garantire un
buon rifornimento idrico per la coltura, specie nei periodi di massimo sviluppo fogliare
(maggio-giugno). Utili informazioni sono scaturite, inoltre, per quanto riguarda la stima di
parametri colturali, non sempre disponibili
in letteratura per la barbabietola a semina
autunnale. Questi parametri risultano indi-
Allen, R.G., Pereira, S., Raes, M., Smith, M.,
1998. Crop evapotranspiration. Guidelines
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management of the sugar beet crop. Eur. J.
Agron. 3, 269-279.
Aspetti anatomici della resistenza a Cercospora beticola Sacc. in barbabietola da
zucchero
G. Bolli, P. Battilani, V. Rossi
Istituto di Entomologia e Patologia vegetale, Università Cattolica del Sacro Cuore, Via E. Parmense, 84 – 29100 Piacenza, Italia.
RIASSUNTO
Sono state condotte osservazioni microscopiche sul processo infettivo di Cercospora beticola in
quattro varietà commerciali di barbabietola da zucchero caratterizzate da livelli crescenti di resistenza, da suscettibile (‘Univers’) a molto resistente (‘Break’). Da piante sottoposte ad inoculazioni
artificiali in condizioni ambientali controllate, sono stati prelevati dischetti fogliari, a tempi diversi
da 8 ore fino a 16 giorni dall’inoculazione, sui quali sono state condotte indagini microscopiche,
mediante calchi di celloidina ed osservazione diretta di tessuti fogliari decolorati. Sono state condotte le seguenti osservazioni: conidi germinati, lunghezza del tubetto germinativo basale, numero
dei tubetti germinativi laterali, penetrazioni attraverso gli stomi, sviluppo di ife intercellulari, presenza di reazioni istologiche dell’ospite. I risultati hanno evidenziato comportamenti differenti
delle varietà, in linea con il loro livello di resistenza. Tutte le fasi epifitiche del ciclo infettivo, dalla
germinazione dei conidi alla penetrazione attraverso gli stomi, sono state coinvolte nella resistenza. E’ stato osservato che, mentre le caratteristiche degli stomi risultano simili nelle diverse
varietà, la germinazione dei conidi procede più lentamente su ‘Break’, e coinvolge un minor
numero di conidi, i tubetti germinativi ed il promicelio invadono più lentamente il filloplano, ed
anche il numero di penetrazioni risulta inferiore del 54% rispetto a ‘Univers’. Durante lo sviluppo
endofitico delle ife sono stati rilevati due aspetti: i) l’accrescimento ifale è inferiore in ‘Break’
rispetto a ‘Univers’, ed il danno cellulare, che si manifesta con il collasso delle cellule, è più
limitato; ii) la formazione di strati di cellule vegetali che isolano i tessuti invasi dal patogeno, e che
impediscono ogni ulteriore invasione, è più rapida ed intensa in ‘Break’ che in ‘Univers’. I risultati
delle osservazioni microscopiche sono stati discussi in relazione alle diverse componenti coinvolte
nella resistenza a C. beticola delle varietà considerate.
Parole chiave: barbabietola da zucchero, Cercospora beticola, resistenza genetica, processo infettivo, microscopia.
ABSTRACT
Anatomical aspects of resistance to Cercospora beticola Sacc. in sugar beet
Microscopic observations were carried out on the infection process of Cercospora beticola on four
sugar beet varieties showing different resistance levels, from susceptible (‘Univers’) to highly
resistant (‘Break’). Leaf discs were cut from plants artificially inoculated with a conidial suspension,
at different times from 8 hours to 16 days after incubation under environment-controlled conditions.
Microscopic observations were carried out on celloidin prints taken from the leaf surface and
directly on discoloured leaf tissue. The following features were observed: conidial germination,
length of germ tube grown from the conidium basal cell, number of germ tubes per conidium,
penetration throughout the stomata, growth of intercellular hyphae, presence of histological host
reactions. Results showed differences between sugar beet varieties, in agreement with their resistance
level. All phases of the infection process developing on the leaf surface were involved in the resistance,
from spore germination to penetration. Characters of stomata were similar in the different varieties,
while fewer conidia germinated, at a reduced rate, on ‘Break’ than on ‘Univers’; growth of both
germ tubes and hyphae was also reduced. The number of penetrations was lower in the former
variety by 54%. During the endophytic phases of the infection process, the mycelium growth was
lower on ‘Break’ than on ‘Univers’, and damage of the host cells was also less manifest. Production
of host cell layers was faster and thicker for ‘Break’ than for ‘Univers’; these cell layers were able
to isolate the host tissue invaded by the pathogen and to prevent any further hyphal spread. Results
from microscopic observations were discussed in relation to the different resistant components that
are involved in the resistance of the sugar beet varieties considered.
Key words: sugar beet, Cercospora beticola, genetic resistance, infection process, microscopy.
INTRODUZIONE
Il miglioramento genetico della barbabieAutore corrispondente: Battilani P. - Istituto di
Entomologia e Patologia vegetale, Università Cattolica del
Sacro Cuore, Via E. Parmense, 84 - 29100 Piacenza
Tel. 0523 599254 - Fax. 0523 599256
E-mail: [email protected]
Lavoro svolto nell’ambito del Progetto Finalizzato
“Miglioramento della barbabietola da zucchero per
l’ambiente mediterraneo”, finanziato dal MiPAF.
tola da zucchero per resistenza a
Cercospora beticola Sacc. riveste notevole
importanza nella gestione integrata della
coltura (Battilani et al., 1991 e 1992;
Canova et al., 1996; Rossi, 1999). La resistenza a C. beticola si manifesta con un rallentamento della progressione delle epidemie, così che, in ogni momento, la gravità
della malattia sulle varietà resistenti è infe-
riore rispetto a quella delle varietà suscettibili (Rossi e Battilani, 1990; Rossi, 1995
e 1999).
Vari studi hanno cercato di comprendere,
a livello istopatologico, le differenze fra
genotipi di bietola sensibili e resistenti. Sono
state così indagate le caratteristiche
morfologiche delle foglie (Pool e McKay,
1916; Burenin e Pilipenko, 1987; Ruppel,
1972), come pure il comportamento del
patogeno sul filloplano ed all’interno dei
tessuti dell’ospite (Kovacs, 1955; Solel and
Minz, 1971; Rathaiah, 1977; Feindt et al.,
1981; Whitney and Mann, 1981), con risultati spesso contrastanti.
Allo stesso modo, sono state condotte ricerche sui possibili meccanismi di resistenza, sia a livello cito-istologico sia biochimico. Sono così state osservate
modificazioni delle pareti delle cellule vegetali nei tessuti infetti (Feindt et al., 1981;
Steinkamp et al., 1981; Srobarova e
Brillova, 1982) e reazioni istologiche
(Cunningham, 1928; Lieber, 1982), variazioni del metabolismo dei composti fenolici
(Gardner et al., 1967; Harrison et al., 1967;
Maag et al., 1967; Rautela e Payne, 1970;
Brillova e Sladka, 1976; Srobarova e
Brillova, 1982) e vari composti chimici ad
attività antifungina, quali flavonoidi
(Geiger et al., 1973; Johnson et al., 1976 ;
Martin, 1977, 1990), chitinasi e
‘pathogenesis-related proteins’ (PR) (Dixon
and Harrison, 1990; Mikkelsen et al., 1992;
Nielsen et al., 1993, 1994a, 1994b;
Berglund et al., 1995; Nielsen et al., 1996;
Nielsen et al., 1997), ed amminoacidi
(Hecker et al., 1975).
Nonostante i numerosi studi condotti
sull’argomento, non è ancora disponibile
un quadro completo del fenomeno, con risultati univoci. Ciò perché i diversi Autori hanno utilizzato condizioni sperimentali differenti, per quanto concerne gli isolati fungini, i genotipi di bietola e le
metodologie d’indagine. Per questo motivo, nell’ambito del progetto “Miglioramento genetico della barbabietola da zucchero per l’ambiente mediterraneo”, si è
ritenuto opportuno riprendere ed ampliare gli studi istopatologici, compiendo osservazioni microscopiche sull’intero processo infettivo di C. beticola, dalla
germinazione dei conidi sulle foglie di bietola fino alla comparsa dei sintomi di malattia, impiegando varietà note per le loro
caratteristiche di resistenza (Rossi et al.,
1999 e 2000).
Agroindustria / Vol. 1 / Num. 2 2002
115
10
Conidi germinati
3
8
Univers
Break
2
6
4
1
2
0
0
0
3
6
9
12
15
18
Giorni d’incubazione
Univers Break
Tubetto germinativo (µ)
Figura 1 - Numero (per cm2) di conidi di Cercospora beticola germinati sulla superficie delle foglie di
due varietà di barbabietola da zucchero, dopo vari giorni dall’inoculazione () ed in totale (❐).
Figure 1 - Number (per cm2) of Cercospora beticola conidia germinated on the leaf surface of two
sugar beet varieties, on different days after inoculation () and in the aggregate (❐).
1
Univers
Break
0.8
0.6
0.4
0.2
0
0
10
20
30
40
Ore d’incubazione
50
Figura 2 - Lunghezza del tubetto germinativo emesso dalla cellula basale dei conidi di Cercospora
beticola germinati sulla superficie delle foglie di due varietà di barbabietola da zucchero, dopo varie ore
dall’inoculazione.
Figure 2 - Length of the germ tubes grown from the basal cell of Cercospora beticola conidia germinated
on the leaf surface of two sugar beet varieties, at different times after inoculation.
Tubetti laterali
2.5
Univers
Break
2
1.5
1
0.5
0
0
10
20
30
40
50
Ore d’incubazione
Figura 3 - Numero di tubetti germinativi emessi, oltre a quello basale, dai conidi di Cercospora beticola
germinati sulla superficie delle foglie di due varietà di barbabietola da zucchero, dopo varie ore
dall’inoculazione.
Figure 3 - Number of germ tubes grown from cells, other than the basal one, of Cercospora beticola
conidia germinated on the leaf surface of two sugar beet varieties, at different times after inoculation.
116 Agroindustria / Agosto 2002
MATERIALI E METODI
Sono state considerate quattro varietà
commerciali di barbabietola da zucchero
caratterizzate da livelli crescenti di resistenza a C. beticola, da suscettibile a molto resistente: ‘Univers’, ‘Bushel’, ‘Monodoro’ e
‘Break’, le quali erano state in precedenza
caratterizzate per le loro componenti di resistenza (Rossi et al., 1999 e 2000).
Allevamento delle piante ed infezione. Le
piante, in numero di trenta per varietà, sono
state seminate ed allevate in vasi di plastica,
in serra termocondizionata, sotto luce artificiale. Secondo quanto descritto da Rossi et
al. (1999), alla fase di 4-6 foglie vere, le piante sono state disposte entro appositi box e
sottoposte ad inoculazione artificiale,
nebulizzando in modo uniforme una sospensione di conidi (3 x 106 conidi per ml) prodotti in vitro da tre ceppi di C. beticola. Le
piante inoculate sono poi state mantenute in
condizioni termo-igrometriche tali da favorire la germinazione dei conidi e l’infezione
(temperature fra 16 e 28 °C; umidità relativa
fra 100 e 40%).
Osservazioni microscopiche. Sono state
impiegate due tecniche di microscopia, il
calco di celloidina e l’osservazione diretta
di tessuti fogliari decolorati, adatte ad osservare le fasi epifitiche ed endofitiche del
processo infettivo, rispettivamente. L’osservazione delle foglie è iniziata 8 ore dopo
l’inoculazione ed è terminata 18 giorni dopo,
seguendo intervalli variabili da 16 ore a 3-4
giorni.
Il metodo dei calchi di celloidina è stato
applicato dopo 8, 24, 48, 72 e 96 ore
dall’inoculazione. Tasselli di foglia (12 mm
di diametro) sono stati prelevati da 9 foglie
per ciascuna cultivar e, utilizzando la
celloidina, è stato ottenuto un calco della
superficie fogliare. I calchi sono stati posti
su vetrino da microscopia ed osservati utilizzando microscopio ottico (312 X). Sono
state condotte le seguenti determinazioni:
conidi germinati (ossia con un tubetto
germinativo sviluppato dalla cellula basale
del conidio), lunghezza del tubetto
germinativo cresciuto dalla cellula basale del
conidio, numero di tubetti germinativi laterali, penetrazioni attraverso gli stomi.
L’osservazione diretta dei tessuti fogliari
è stata eseguita ad intervalli di 3-4 giorni a
partire dall’inoculazione, su due gruppi di
piante coltivate in periodi differenti (settembre - novembre 1999 e febbraio- aprile
2000). I tasselli sono stati fatti bollire a temperatura non troppo elevata, in modo da non
provocare turbolenze nel liquido, in alcol
etilico al 70% per 30 minuti, al fine di ottenere la decolorazione del tessuto fogliare
(Whitney e Mann, 1981). Successivamente,
sono stati tenuti sotto vuoto per 5 minuti, al
fine di eliminare i liquidi presenti negli spazi intercellulari, e quindi colorati in una soluzione alcolica di cotton blu in lattofenolo
RISULTATI
I risultati delle varie prove sono stati concordi fra loro, ed anche le osservazioni condotte con le due tecniche microscopiche hanno fornito indicazioni simili, anche se quella basata sull’impiego della celloidina ha
permesso di rilevare solo il comportamento
epifitico del fungo. Le varietà di barbabietola da zucchero hanno avuto comportamenti
differenti; i vari aspetti del processo infettivo hanno mostrato una gradualità in linea
con il livello di resistenza a C. beticola
espresso dalle quattro varietà. Pertanto, in
questo lavoro, sono stati descritti solo i risultati relativi ai due comportamenti estremi, quello di ‘Univers’, suscettibile, e quello di ‘Break’, altamente resistente.
Densità degli stomi. Il numero di stomi
per unità di superficie fogliare è risultato simile nelle due varietà, con 35 stomi per mm2
in ‘Univers’ e 31 in ‘Break’; le osservazioni
effettuate hanno portato a concludere che
anche le dimensioni degli stomi delle due
varietà non sono sostanzialmente diverse fra
loro.
Germinazione dei conidi. La germinazione
dei conidi ha avuto un andamento simile in
ambedue le varietà. Dopo 8 ore
dall’inoculazione, il 13% dei conidi ha emesso un tubetto germinativo dalla cellula basale; il processo germinativo è poi proseguito
rapidamente, ed ha raggiunto il massimo,
pari mediamente al 66% dei conidi, dopo 4
giorni. Dopo tale periodo la germinazione è
proseguita più lentamente, per annullarsi in
corrispondenza del 16° giorno (Fig. 1). Il
numero di conidi germinati per unità di superficie fogliare è però risultata differente fra
le due varietà: maggiore in ‘Univers’ e minore in ‘Break’. Sulle foglie della prima varietà sono stati osservati in totale 9.4 conidi
germinati per cm2, mentre sulla seconda ne
sono stati osservati 6.7; la riduzione media
del tasso di germinazione è stata quindi del
A
B
Figura 4 - Sviluppo del promicelio prodotto da
conidi di Cercospora beticola sulla superficie
delle foglie di due varietà di barbabietola da
zucchero, ‘Univers’ (A) e ‘Break’ (B), dopo 11
giorni dall’inoculazione (625 X).
Figure 4 - Growth of the hyphae produced by
Cercospora beticola conidia on the leaf surface
of two sugar beet varieties, ‘Univers’ (A) and
‘Break’ (B), 11 days after inoculation (625 X).
(Shipton e Brown, 1962) per 48 ore. I tasselli sono stati lavati in soluzione alcolica
(alcol etilico 70%), per eliminare il colorante in eccesso, e montati su vetrini da
microscopia per l’osservazione al microscopio ottico, a vari ingrandimenti. Sono state
condotte le seguenti osservazioni: presenza
di penetrazioni; presenza di ife intercellulari,
loro sviluppo; presenza, spessore e caratteristiche delle zone di delimitazione delle aree
di tessuto fogliare invase dal patogeno. È
stato inoltre rilevato il numero medio di
stomi per unità di area fogliare e la loro dimensione.
A
3
1
Univers
0.8
Penetrazioni
29% (Fig. 1). Anche la velocità di accrescimento del tubetto germinativo emesso dalla
cellula basale del conidio è risultata minore
per ‘Break’ che per ‘Univers’ (Fig. 2): dopo
48 ore d’incubazione, i tubetti germinativi
sono risultati lunghi 0.93 e 0.61 m, rispettivamente. Al contrario, le germinazioni laterali, prodotte dalle altre cellule dei conidi
delle due varietà, non sono risultate sostanzialmente diverse (Fig. 3); pur non disponendo di misurazioni precise, la lunghezza
delle germinazioni laterali è comunque apparsa inferiore per ‘Break’. Nel complesso,
il promicelio prodotto dai conidi di ‘Break’
è risultato decisamente e costantemente
meno sviluppato rispetto a quello di
‘Univers’ (Fig. 4).
Penetrazione. Le modalità di penetrazione
non sono apparse influenzate dalla varietà,
e non si sono sostanzialmente discostate da
quanto descritto da Canova (1959); non sempre sono state osservate le tipiche ife di
penetrazione, né la differenziazione di un
vero e proprio appressorio (Fig. 5). Le prime penetrazioni sono state osservate dopo 4
giorni dall’inoculazione, sia su ‘Univers’ che
su ‘Break’. L’andamento delle penetrazioni
nelle due varietà è risultato però alquanto
diverso (Fig. 6). In ‘Univers’, il numero delle
penetrazioni per unità di superficie fogliare
è progressivamente aumentato fino al 12°
giorno dall’inoculazione, momento in cui
Break
0.6
2
0.4
1
0.2
0
B
0
0
3
6
9
12
15
18
Univers Break
Giorni d’incubazione
Figura 6 - Numero (per cm2) di penetrazioni da parte di Cercospora beticola su foglie di due
varietà di barbabietola da zucchero, dopo vari giorni dall’inoculazione () ed in totale (❐).
Figure 6 - Number (per cm2) of penetrations by Cercospora beticola on leaves of two sugar beet
varieties, on different days after inoculation () and in the aggregate (❐).
Figura 5 - Penetrazione attraverso gli stomi
mediante appressori (A) e corte ife di penetrazione
(B), in ‘Univers’, 8 giorni dopo l’inoculazione
(625 X).
Figure 5 - Penetration throughout stomata by
means of appressoria (A) and short penetration
hyphae (B), on ‘Univers’ leaves, 8 days after
inoculation (625 X).
Agroindustria / Agosto 2002 117
A
B
meristematiche (Fig. 8E). Dopo 16 giorni, le
aree di tessuto fogliare colonizzate dal fungo
risultavano delimitate da vari strati di cellule
(Fig. 9); al centro di queste aree era possibile osservare solo residui di cellule collassate
e la formazione di abbondanti ammassi
stromatici. Lo strato di cellule più interno
appariva come una linea scura, spesso
discontinua, con apposizioni sulla parete
cellulare e materiale elettro-denso negli spazi
intercellulari; all’esterno, erano presenti vari
strati sovrapposti di cellule isodiametriche,
privi di spazi intercellulari, con qualche cellula meristematica. Questi strati di cellule
delimitavano l’area invasa dal patogeno, dato
che al loro esterno non sono mai state osservate ife fungine.
A
Figura 7 - Sviluppo delle ife di Cercospora
beticola nel mesofillo di foglie di barbabietola
da zucchero ‘Univers’ (A), dopo 8 giorni
dall’inoculazione, e collasso delle cellule vegetali
nelle aree invase (B) (625 X).
Figure 7 - Growth of Cercospora beticola hyphae
within the leaf cells of sugar beet leaves of
‘Univers’ (A), 8 days after inoculation, and
damaged host cells (B) (625 X).
sono state osservate, in media, 0.8
penetrazioni per cm 2. In ‘Break’, le
penetrazioni sono progressivamente calate,
seppure molto lievemente, dopo l’8° giorno, quando ne sono state rilevate 0.3 per cm2.
In totale, sono state rilevate 2.4 penetrazioni
per ‘Univers’ e 1.1 per ‘Break’; pertanto, il
tasso di penetrazione per la varietà resistente è stato il 45.8% di quella suscettibile.
Invasione del mesofillo. Dopo 8 giorni
dall’inoculazione è stato possibile osservare lo sviluppo di ife all’interno del mesofillo
fogliare di ‘Univers’. A questa data non erano ancora visibili macchie necrotiche sulle
foglie e pertanto le ife osservate erano responsabili di infezioni latenti; nonostante
l’assenza di sintomi necrotici, le cellule vegetali in prossimità delle ife apparivano
collassate (Fig. 7). Dopo 11 giorni, erano
visibili le caratteristiche macchie necrotiche
(Fig. 8A): le cellule nella parte interna della
macchia apparivano collassate ed il tessuto
era disorganizzato (Fig. 8B), con abbondante
sviluppo ifale e formazione iniziale di stromi
(Fig. 8C). Le aree invase risultavano delimitate da cellule scure (Fig. 8D), talvolta
accompagnate da poche cellule
118 Agroindustria / Agosto 2002
In ‘Break’, lo sviluppo di ife nel tessuto
fogliare era visibile solo dopo 11 giorni d’incubazione; a differenza di quanto rilevato in
‘Univers’, erano presenti solo poche ife, con
sviluppo ridotto; solo raramente erano presenti cellule vegetali collassate. Dopo 16
giorni l’ampiezza dell’area invasa, lo sviluppo ifale, la formazione di stromi ed il collasso delle cellule era decisamente inferiore rispetto a quello rilevato sulla varietà suscettibile (Fig. 9B). L’area invasa era comunque
delimitata da strati di cellule, spesso più larghi e compatti di quelli di ‘Univers’ (Fig.
10); in questi strati apparivano frequenti cellule meristematiche, di piccole dimensioni
ed appiattite, prive di spazi intercellulari.
A
B
C
D
E
39X
125 X
625 X
156 X
312 X
B
C
D
E
Figura 8 - Aspetto di una macchia necrotica (A) prodotta da Cercospora beticola su foglia di barbabietola
da zucchero ‘Univers’, dopo 11 giorni dall’inoculazione, con diffuso collasso delle cellule (B), abbondante
sviluppo di ife, con produzione iniziale di stromi (C), formazione di strati di cellule vegetali a delimitare
il tessuto invaso (D), nei quali appaiono alcune cellule meristematiche (E).
Figure 8 - A necrotic spot (A) produced by Cercospora beticola on a leaf of sugar beet ‘Univers’, 11
days after inoculation, with severe damage of host cells (B), strong growth of hyphae with initial
production of stromata (C), host cell layers isolating the invaded leaf tissue (D), and some meristematic
cells (E).
A
B
Figura 9 - Macchie necrotiche prodotte da
Cercospora beticola sulle foglie di due varietà di
barbabietola da zucchero, ‘Univers’ (A) e ‘Break’
(B), dopo 16 giorni dall’inoculazione (39 X).
Figure 9 - Necrotic spots produced by
Cercospora beticola on leaves of two sugar beet
varieties, ‘Univers’ (A) and ‘Break’ (B), 16 days
after inoculation (39 X).
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Nel presente lavoro sono stati illustrati i
risultati di una serie di osservazioni microscopiche relative al processo infettivo di C.
beticola sulle foglie di bietola. A differenza
di lavori già pubblicati sullo stesso argomento, sono state studiate, con il medesimo approccio metodologico, tutte le fasi dell’infezione, dalla germinazione dei conidi fino
alla comparsa delle macchie necrotiche. Inoltre, le osservazioni sono state compiute, contemporaneamente, su varietà con caratteristiche note di resistenza, e ben caratterizzate per la varie componenti della resistenza.
Ciò ha consentito di delineare un quadro
sufficientemente chiaro dei fenomeni biologici legati alle diverse componenti di resistenza.
Tutte le fasi del ciclo infettivo che si svolgono sulla superficie della pianta ospite,
dalla germinazione dei conidi fino alla
penetrazione attraverso gli stomi, sono state
coinvolte nella resistenza. Sulla varietà altamente resistente, la germinazione procede
più lentamente e coinvolge un minor numero di conidi, i tubetti germinativi ed il
promicelio invadono più lentamente il
filloplano; anche il numero di penetrazioni
risulta inferiore. Questi risultati sono in sostanziale accordo con quelli ottenuti da altri
autori (Kovacs, 1955; Whitney e Mann,
1981, Feindt et al., 1981). Nella varietà resistente ‘Break’, il tasso di riduzione di questi
processi rispetto a quanto avviene sulle foglie della varietà suscettibile ‘Univers’ varia
dal 30% al 54%. L’insieme di questi fattori si
dovrebbe tradurre in una riduzione dell’effi-
cienza d’infezione dei conidi, intesa come
capacità di arginare con successo l’infezione. Questa componente, infatti, è significativamente coinvolta nella resistenza a C.
beticola (Rossi et al., 1999): l’efficienza d’infezione in ‘Break’ è infatti inferiore del 74%
rispetto ad ‘Univers’ (Rossi, 2000). Il confronto fra questi dati sembra evidenziare il
fatto che i meccanismi di resistenza che agiscono nella fase epifita del processo infettivo svolgono un ruolo importante nel diminuire l’efficienza d’infezione dei conidi, ma
che non ne sono i soli responsabili. Sembrano quindi confermate le osservazioni di Solel
e Minz (1971), relative alla presenza di ife
che si sviluppano nel mesofillo fogliare senza riuscire a dare origine a sintomi necrotici.
Le differenze rilevate fra quanto avviene
sulla superficie delle foglie di ‘Univers’ e di
‘Break’ non paiono imputabili al numero ed
alla dimensione degli stomi, che sono risultate simili nelle due varietà. Ciò non concorda con le osservazioni di alcuni autori
(Pool e MacKay, 1916; Burenin e Pilipenko,
1987), che peraltro erano già state confutate
(Kovacs, 1955; Solel e Minz, 1971; Ruppel,
1972). È probabile che la germinazione possa
essere inibita dai composti chimici presenti
sul filloplano (Kovacs, 1955), e che la
penetrazione possa essere ridotta da una alterazione degli stimoli idrotropici esercitati
dagli stomi (Solel e Minz, 1971).
Durante lo sviluppo endofitico delle ife,
dopo la penetrazione, risultano coinvolti due
differenti aspetti. In primo luogo, l’accrescimento delle ife è rallentato e ridotto nella
varietà resistente rispetto alla varietà sensibile, ed il danno cellulare, che si manifesta
visivamente con il collasso delle cellule, è
decisamente più limitato. Pertanto, a parità
di tempo intercorso rispetto all’inoculazione,
un minore numero di penetrazioni si evolve
nella comparsa di necrosi, e quando le necrosi
si manifestano, queste hanno una minor
estensione. Osservazioni parziali di questi
fenomeni erano state fornite da Whitney e
Mann (1981) e da Solel e Minz (1971). Lo
studio delle cause che portano alla riduzione
dello sviluppo ifale nella fase endofitica dell’infezione non era oggetto di questa ricerca.
Numerosi dei fenomeni citologici e biochimici, sia pre che post-infezionali, citati in
letteratura, possono concorrere a fornire una
spiegazione (vedi la rassegna di Rossi, 2000).
Un secondo aspetto è la comparsa di strati di cellule vegetali che isolano i tessuti invasi dal patogeno, e che impediscono ogni
ulteriore invasione; tale reazione risulta più
rapida ed intensa in ‘Break’ che in ‘Univers’.
Reazioni istologiche simili a quelle osservate in questo lavoro sono già state descritte
(Cunningham, 1928; Lieber, 1982), ma non
erano stati effettuati confronti fra quanto
avviene in varietà di bietola con diverso grado di resistenza.
In riferimento alle componenti di resistenza, i fenomeni che avvengono nella fase
endofitica dovrebbero trovare riscontro in
una minore efficienza d’infezione dei conidi,
per il minor tasso con cui le infezioni evolvono in necrosi, ed in una ridotta dimensione delle lesioni necrotiche. Tale riduzione
pare imputabile ad ambedue gli aspetti descritti in precedenza: una pronta reazione
istologica, infatti, viene a delimitare una
porzione limitata di tessuto fogliare, dato che
l’invasione è proseguita a tasso ridotto. Anche la dimensione delle macchie necrotiche,
così come l’efficienza d’infezione, è un’importante componente della resistenza di ‘Break’ (Rossi et al., 1999), sulla quale le macchie di C. beticola hanno mediamente
un’area pari alla metà di quelle di ‘Univers’
(Rossi, 2000).
Un’altra componente della resistenza, l’allungamento del periodo d’incubazione (Rossi et al., 1999), trova riscontro con le osservazioni microscopiche. Il rallentamento dello
sviluppo del patogeno, tanto nella fase
epifitica che in quella endofitica, porta indubbiamente ad un allungamento del periodo di tempo che intercorre fra l’inoculazione
e la comparsa delle macchie necrotiche.
BIBLIOGRAFIA
Figura 10 - Macchia necrotica prodotta da
Cercospora beticola su foglia di barbabietola da
zucchero ‘Break’, dopo 16 giorni
dall’inoculazione (125 X), con abbondante
produzione di strati di cellule vegetali a delimitare
il tessuto invaso e collassato.
Figure 10 - A necrotic spot (A) produced by
Cercospora beticola on a leaf of sugar beet
‘Break’, 16 days after inoculation, with a thick
host cell layer isolating the invaded and damaged
leaf tissue (125 X).
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Un metodo semplificato per caratterizzare genotipi di barbabietola da zucchero in
base alle componenti di resistenza a Cercospora beticola Sacc.
Paola Battilani, Vittorio Rossi
Istituto di Entomologia e Patologia vegetale, Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza
RIASSUNTO
Partendo da un protocollo per la caratterizzazione delle componenti di resistenza (RC) a Cercospora
beticola in barbabietola da zucchero, è stato messo a punto un metodo che consente una semplificazione metodologica, pur mantenendo l’informazione relativa alle diverse RC. Il metodo prevede:
allevamento delle piante in condizioni controllate; inoculazione artificiale di conidi di C. beticola
sulle foglie; prelievo di tasselli fogliari in posizioni predeterminate del lembo fogliare, dopo 20
giorni dall’inoculazione; incubazione dei tasselli in condizioni ottimali per la sporulazione; conteggio del numero di conidi prodotti dopo 48 ore per cm2 di superficie fogliare (indice di resistenza). Per verificare il metodo sono state considerate 36 piante di barbabietola, caratterizzate da
un’ampia variabilità fenotipica per la resistenza al patogeno. Per ciascuna pianta sono state determinate: le singole componenti di resistenza (efficienza d’infezione dei conidi INF, durata del periodo d’incubazione IP, dimensione delle macchie necrotiche LS, produzione di spore sulle macchie
necrotiche SY); l’Area Under Disease Progress Curve (AUDPC) mediante un programma che integra le RC in un algoritmo di simulazione delle epidemie; la gravità di malattia (espressa come
percentuale di area fogliare ammalata); l’indice di resistenza. Il confronto fra i dati rilevati ha
permesso di verificare che l’indice di resistenza garantisce una migliore caratterizzazione del comportamento dei genotipi di barbabietola da zucchero resistenti a C. beticola rispetto alla gravità
della malattia, largamente impiegata a questo scopo. L’indice mantiene un’ampia variabilità fra le
piante e quindi permette di discriminare differenze anche piccole fra i genotipi. L’indice tiene conto
di tutte le principali componenti di resistenza (INF, IP, LS e SY), mentre la gravità della malattia
non considera SY. Infine, mentre la gravità di malattia è più precisa per valutare livelli medi e bassi
di resistenza, l’indice è più adatto per i livelli estremi, alta e bassa resistenza.
Parole chiave: barbabietola da zucchero, C. beticola, componenti di resistenza, indice di resistenza
ABSTRACT
A simplified method for evaluating sugar beet genotypes on the basis of resistance components
to Cercospora beticola Sacc.
Starting from a protocol for measuring resistance components (RC) to Cercospora beticola in
sugar beet, a simplified method was drawn up, able to maintain sufficient information regarding
RC. The method consists of: plant growth under environment-controlled conditions; artificial
inoculation of C. beticola conidia on leaves; collection of leaf tassels in pre-defined positions of
the leaf, 20 days after inoculation; incubation of the leaf tassels under optimal conditions for
sporulation; counting of conidia yielded per unit of leaf area, 48 hours later (resistance index). In
order to evaluate this method, 36 sugar beet plants showing a wide phenotypic variability for disease
resistance were used. The following parameters were determined on each plant: RC (infection
efficiency of conidia, INF; length of incubation period, IP; size of necrotic spots, LS; spore yield on
necrotic spots, SY); AUDPC (Area Under Disease Progress Curve), by integrating RC in an algorithm
for epidemic simulation; disease severity, as percentage of affected leaf area; resistance index. The
resistance index produces a better picture of the resistance level of the sugar beet plants than the
disease severity, a parameter which is widely used for this purpose. The disease index maintains a
wide variability between plants and consequently makes it possible to discriminate small differences
between plants. The index takes into account all the main RC (INF, LS, SY), while disease severity
does not consider SY. Finally, the disease index is more efficient in evaluating extreme resistance
levels, high and low levels, while disease severity is more precise for the intermediate ones.
Key words: sugar beet, C. beticola, resistance components, resistance index.
INTRODUZIONE
La Cercospora beticola Sacc., patogeno
della barbabietola da zucchero presente in
tutte le aree di diffusione della coltura, riveAutore corrispondente: Battilani P.- Istituto di Entomologia
e Patologia vegetale, Università Cattolica del Sacro Cuore,
via E. Parmense, 84 - 29100 Piacenza - Tel. 0523 599254
Fax. 0523 599256 - E-mail: [email protected]
Lavoro svolto nell’ambito del Progetto Finalizzato
“Miglioramento della barbabietola da zucchero per
l’ambiente mediterraneo”, finanziato dal MiPAF.
ste notevole importanza in Italia, soprattutto nelle aree bieticole centrosettentrionali
(Battilani et al., 1996). Dagli anni ‘80 si sono
progressivamente diffuse varietà resistenti a
questo fungo, che hanno significativamente
influenzato la bieticoltura, consentendo un
buon livello produttivo anche con un numero ridotto di interventi fungicidi (Battilani et
al., 1992, Canova et al., 1996; Rossi, 1999).
Tra le varietà attualmente consigliate in Italia, quelle resistenti sono prevalenti (Zocca ,
1994; Tugnoli et al., 1996; Meriggi e Cerrato,
2001).
È noto che la resistenza a questa malattia
riduce il tasso di sviluppo delle epidemie in
campo (Rossi e Battilani, 1987). In termini
epidemiologici, la resistenza riduce il tasso
di infezione apparente (Nelson, 1978); ciò
può essere dovuto a ridotta efficacia di ciascun propagulo nel causare nuove infezioni,
a minore produzione di propaguli per lesione per unità di tempo, a più breve periodo di
latenza (fase che intercorre tra l’arrivo di un
propagulo su una pianta e la formazione della
generazione successiva di propaguli) o a più
lungo periodo infettivo (fase di produzione
di spore per unità di area infetta). Quindi, le
componenti di resistenza (RC) che riducono il tasso di sviluppo delle epidemie sono:
frequenza di infezione, periodo di latenza,
dimensione delle macchie, produzione di
spore e periodo infettivo (Parlevliet, 1979).
Studi svolti sulla barbabietola da zucchero hanno evidenziato che le componenti
coinvolte nella resistenza sono: efficienza
d’infezione dei conidi (INF), durata del periodo d’incubazione (IP), dimensione delle
macchie necrotiche (LS), produzione di
spore sulle macchie necrotiche (SY) (Rossi
et al., 1999a e 2000). Queste RC possono
essere misurate mediante infezioni artificiali condotte in condizioni ambientali controllate, in un unico ciclo d’infezione. I valori
delle RC risultanti da queste prove
monocicliche possono poi essere inseriti in
un modello che simula il loro effetto sullo
sviluppo delle epidemie, dovuto alla successione dei cicli infettivi (Rossi et al., 1994;
1999b). Nel modello di simulazione la curva simulata della gravità di malattia può essere espressa mediante un unico valore,
l’Area Under Disease Progress Curve
(AUDPC) (Zadoks e Schein, 1979). Prove
condotte su linee e varietà commerciali hanno dimostrato che il valore di AUDPC calcolato a partire dalla caratterizzazione delle
RC è strettamente correlato con il comportamento in campo del materiale vegetale
(Battilani, non pubblicato).
La caratterizzazione delle RC può fornire
un valido supporto alle attività di miglioramento genetico della barbabietola da zucchero per la resistenza a C. beticola (Rossi,
2000). Rispetto alle valutazioni classiche,
eseguite mediante prove di campo ripetute
in più località, con valutazioni visive della
gravità delle infezioni su piccole parcelle,
essa presenta numerosi vantaggi: i) permette di valutare nel dettaglio il comportamento
Agroindustria / Vol. 1 / Num. 2 2002 121
Tabella 1 - Valori medi, varianze, coefficienti di variazione (CV), valori minimi e massimi di quattro componenti di resistenza a C. beticola, dell’Area
Under Disease Progress Curve (AUDPC), della gravità di malattia e dell’indice di resistenza in 36 piante di barbabietola da zucchero (INF: efficienza
d’infezione dei conidi; IP: durata dell’incubazione; LS: area delle macchie necrotiche; SY: produzione di spore).
Table 1 - Mean values, variance, coefficients of variation (CV), minimum and maximum values of four resistance components to C. beticola, Area Under
Disease Progress Curve (AUDPC), disease severity and resistance index, in 36 sugar beet plants (INF: infection efficiency of conidia; IP: length of incubation;
LS: size of necrotic spots; SY: spore yield)
IP
°C
LS
2
mm
SY
3
-2
Nx10 cm
AUDPC
Gravità di
malattia
%
Indice di
resistenza
nx103cm-2
0.13
0.017
101
0.01
0.67
239.6
4165.83
27
150.1
393.1
12.2
50.49
58
2.0
36.7
33.2
796.25
85
3.2
137.0
15.35
287.344
110
0.22
54.12
1.5
1.82
89
0.0
5.6
2.1
6.44
121
0.0
9.1
dei genotipi, in condizioni controllate e quindi ripetibili; ii) consente di abbreviare notevolmente i tempi (le valutazioni possono
essere compiute nel periodo autunno-vernino
anziché nell’estate successiva); iii) elimina
gli inconvenienti dovuti alla soggettività delle stime visive in campo; iv) annulla l’effetto
‘inter-plot’ dovuto alla presenza di altri
genotipi nel campo sperimentale; v) riduce i
costi.
Il rilievo delle RC risulta comunque impegnativo, e ciò rappresenta un limite qualora debbano essere valutate molte linee in
selezione. Pertanto, è stata studiata la possibilità di semplificare questo metodo di caratterizzazione del livello di resistenza a C.
beticola in genotipi di barbabietola da zucchero.
MATERIALI E METODI
La ricerca è stata condotta in una serra
termocondizionata, seguendo il metodo messo a punto da Rossi et al. (1999a e 2000).
Materiali vegetali. Sono state utilizzate
piante ottenute da seme, appartenenti a 6 linee di barbabietola da zucchero scelte per il
diverso livello di resistenza a C. beticola, da
buono a molto scarso; sono state considerate in totale 36 piante. Le piante sono state
allevate in vasi a sezione quadrata (20x20
cm) contenenti torba, posti in un cassone di
legno (cm 140x220x80), contenente 2.5 m3
di terreno e chiudibile con appositi pannelli.
Le piante sono state allevate per 70 giorni,
fino alla fase fenologica di 4-5 foglie vere,
fase in cui sono state inoculate artificialmente. Sono state scelte 4 foglie per ciascuna
pianta, le quali sono state numerate progressivamente.
Preparazione
dell’inoculo
ed
inoculazione delle piante. Per la preparazione dell’inoculo sono stati utilizzati tre
ceppi di C. beticola isolati in altrettante zone:
Piacenza (MPVP 058), Boara (RO) (MPVP
056) e Foggia (MPVP 062). I ceppi sono
conservati presso la collezione dell’Istituto
122 Agroindustria / Agosto 2002
di Entomologia e Patologia Vegetale dell’Università Cattolica S. Cuore di Piacenza. I funghi presenti in collezione sono stati trasferiti
su agar acqua ed incubati per 15 giorni a 25°C.
Le colonie sono state trasferite in piastre Petri
(∅ 5.5 cm) contenenti Czapek-V8 ed
incubate per 7 giorni con alternanza di luce e
buio (lampade UV, 12 ore/12 ore). Al termine del periodo di incubazione le piastre sono
state lavate con 5 ml di acqua sterile; con
l’ausilio di una spatola, è stata raccolta tutta
la massa fungina cresciuta. La sospensione
ottenuta è stata filtrata con 3 strati di garza,
al fine di eliminare tutte le ife del fungo. La
sospensione conidica così ottenuta è stata
utilizzata per inoculare piastre Petri (∅ 9
cm) contenenti Czapek-V8, successivamente incubate per 5 giorni nelle condizioni precedentemente descritte. Al termine del periodo d’incubazione le piastre sono state lava-
te come descritto in precedenza, ma con 7 ml
di acqua distillata sterile. La sospensione
conidica, ottenuta per filtrazione con garza a
3 strati, è stata osservata al microscopio
ottico con camera Burker al fine di determinarne la concentrazione; questa è stata aggiustata alla concentrazione di 3 x 105 conidi/
ml. Quindici piastre Petri hanno consentito
la preparazione di 50 ml di sospensione
conidica, utilizzata per inoculare le 36 piante della prova.
L’inoculo è stato nebulizzato in modo
uniforme sulla pagina superiore delle foglie,
utilizzando una spruzzetta a pressione. Prima dell’inoculazione, il terreno contenuto
nel cassone è stato bagnato abbondantemente; dopo l’inoculazione, il cassone contenente le piante è stato chiuso con gli appositi
pannelli. Questi interventi hanno garantito
il mantenimento dell’umidità relativa al di
100
Area fogliare ammalata (%)
media
varianza
CV
min
Max
INF
-2
n cm
80
60
40
20
0
1
11
21
31
41
51
61
Giorni dell’epidemia
71
Figura 1 - Andamento della gravità di malattia in alcune piante di barbabietola da zucchero con differenti
livelli di resistenza a C. beticola. I valori giornalieri di gravità, espressi come percentuale di area fogliare
ammalata, sono stati calcolati mediante un programma che integra le componenti di resistenza in un
algoritmo di simulazione delle epidemie.
Figure 1 - Disease severity progress in some sugar beet plants showing different levels of resistance to
C. beticola. Daily values of disease severity, expressed as percentage of affected leaf area, were calculated
by integrating resistance components in an algorithm for epidemic simulation.
sopra del 90% nell’ambiente circostante le
piante, condizione necessaria per la
germinazione dei conidi. Dopo 24 ore, i pannelli sono stati leggermente aperti, al fine di
abbassare l’umidità e mantenerla nell’intervallo 60-90%, condizione necessaria per la
penetrazione del promicelio attraverso gli
stomi. Dopo 48 ore i pannelli sono stati tolti
per creare un ambiente sfavorevole allo sviluppo di infezioni secondarie (umidità relativa inferiore al 60%).
Osservazione delle piante e rilievo dei
dati. Dal terzo giorno dopo l’inoculazione,
le piante sono state controllate quotidianamente per verificare la prima comparsa di
macchie sulle singole foglie. Il controllo è
proseguito fino a 28 giorni dall’inoculazione;
per tutto il periodo, le condizioni termoigrometriche della serra sono state rilevate
con sensori elettronici. Al termine delle osservazioni sono state raccolte tutte le foglie
numerate e ne è stata misurata l’area totale
(in cm2), mediante Area Meter LI-COR
2000. È stato contato il numero totale di
macchie necrotiche per foglia ed è stata misurata la loro area totale (in cm2). È stata
quindi determinata la gravità della malattia,
come rapporto percentuale fra l’area totale
delle macchie e l’area delle foglie. Successivamente, sono stati prelevati dischetti di
lembo fogliare (area 1.1 cm2) ed è stata misurata l’area delle macchie necrotiche presenti. I dischetti sono stati posti in beckers
chiusi con garza e lavati con acqua corrente
per 10 min. Dopo asciugatura su carta bibula,
i dischetti fogliari sono stati posti, con la
pagina superiore rivolta verso l’alto, in camera umida (piastre Petri, ∅ 5.5 cm, con
carta bibula sul fondo inumidita con 0.8 ml
di acqua distillata) a 20±2°C, per 48 ore, con
fotoperiodo di 12 ore di luce e 12 di buio.
Al termine di tale periodo, i dischetti fogliari
sono stati posti in provette, con aggiunta di
0.3 ml di acqua distillata e 2 palline di vetro,
e sono stati agitati con agitatore da provette
per 30 secondi; quindi, sono state prelevate
3 gocce (0.01 ml) di sospensione, poste
separatamente su vetrino da microscopia.
Sono stati osservati 10 campi a caso per ciascuna goccia, ad un ingrandimento di 125x,
annotando il numero di conidi presenti. Attraverso le opportune conversioni, è stato
quindi calcolato il numero di conidi prodotto da ciascun dischetto fogliare.
Nell’ambito della medesima prova, 20
giorni dopo l’inoculazione, circa a metà del
periodo di comparsa delle macchie
necrotiche, sono stati prelevati 4 dischetti
fogliari per foglia, del diametro di 2.1 cm. I
prelievi stati effettuati in posizione definita
a priori, al centro dei 4 settori della foglia
ottenuti suddividendola idealmente seguendo la nervatura principale e la sua perpendicolare passante per il centro. Per ciascun
dischetto fogliare è stata misurata l’area delle
macchie necrotiche e, con il metodo precedentemente descritto, è stato contato il numero di conidi prodotto.
Calcolo delle componenti della resistenza. Sulla base dei dati rilevati sono state calcolate le seguenti RC: durata del periodo
d’incubazione, efficienza d’infezione dei
conidi, dimensione delle macchie necrotiche,
produzione di spore sulle macchie
necrotiche.
Il periodo di incubazione (IP), periodo che
intercorre tra l’inoculazione e la comparsa
dei sintomi, è stato determinato come
sommatoria delle temperature medie giornaliere utili (>5°C) al momento in cui il 50%
delle foglie ammalate ha presentato almeno
una macchia necrotica. L’efficienza d’infezione dei conidi (INF) è stata calcolata come
numero medio di macchie necrotiche per cm2
di superficie fogliare a fine esperimento. La
dimensione delle macchie necrotiche (LS) è
stata calcolata in mm2, dividendo l’area totale delle macchie necrotiche per il loro numero. La produzione di spore sulle macchie
necrotiche (SY), espressa in numero di
conidi per unità (cm2) di area necrotica, è
stata ottenuta dividendo il numero di conidi
prodotti per la superficie del dischetto coperta dalle macchie necrotiche.
Calcolo dell’indice semplificato di resistenza. Un indice semplificato di resistenza
è stato calcolato come numero di conidi prodotti per unità (cm2) di superficie fogliare
dopo 20 giorni dall’inoculazione.
Elaborazione dei dati. I dati relativi alle
RC ed alla gravità di malattia sono stati
espressi come media per pianta (4 foglie per
pianta); sono stati quindi calcolati i valori
medi per le 36 piante ed i relativi indici di
dispersione. Per confrontare la variabilità
all’interno di ciascuna delle variabili considerate, che sono espresse in differenti scale
di misura, è stato calcolato il coefficiente di
variazione (CV), come rapporto percentuale fra deviazione standard e media.
Per determinare l’effetto delle RC misurate in un unico ciclo d’infezione sulla progressione della malattia in campo, ove si
susseguono numerosi cicli infettivi nel corso della stagione, è stato utilizzato un programma di simulazione delle epidemie di C.
beticola, precedentemente elaborato e
validato (Rossi et al., 1994; 1999b). Impiegando un insieme rappresentativo di dati
meteorologici, rilevati a Diamantina (FE) nel
2001, è stato così calcolato, giorno per giorno fra il 20 giugno ed il 3 settembre, il valore di gravità della malattia per le 36 piante,
come pure l’AUDPC al termine delle epidemie.
Per studiare il grado di associazione fra
RC, gravità della malattia, AUDPC ed indice di resistenza è stato calcolato il
coefficiente di correlazione di Pearson
Tabella 2 - Coefficienti di correlazione di Pearson fra quattro componenti di resistenza a C. beticola, l’Area Under Disease Progress Curve (AUDPC),
la gravità di malattia e l’indice di resistenza in 36 piante di barbabietola da zucchero (INF: efficienza d’infezione dei conidi; IP: durata dell’incubazione;
LS: area delle macchie necrotiche; SY: produzione di spore).
Table 2 - Pearson’s correlation coefficients between four resistance components to C. beticola, Area Under Disease Progress Curve (AUDPC), disease
severity and resistance index, in 36 sugar beet plants (INF: infection efficiency of conidia; IP: length of incubation; LS: size of necrotic spots; SY: spore yield)
AUDPC
Gravità di malattia
Indice di resistenza
INF
0.46 (**)
0.79 (**)
0.40 (*)
IP
-0.04 (ns)
0.01 (ns)
0.00 (ns)
LS
0.65 (**)
0.53 (**)
0.44 (**)
SY
0.55 (**)
0.15 (ns)
0.51 (**)
AUDPC
-
0.75 (**)
0.77 (**)
-
0.58 (**)
Gravità di malattia
(ns) non significativo; (*) significativo con P≤0.05; (**) significativo con P≤0.01
QVQRWVLJQLILFDQWVLJQLILFDQWDW3≤VLJQLILFDQWDW3≤
Agroindustria / Agosto 2002 123
18
Frequenza
16
14
12
10
8
6
4
2
>46
41-45
31-35
21-25
11-15
<5
0
AUDPC
Figura 2 - Distribuzione di frequenza di 36 piante di barbabietola da zucchero con differenti livelli di
resistenza a C. beticola, in funzione dei valori di Area Under Disease Progress Curve (AUDPC)
calcolati in base all’andamento della gravità della malattia (vedi Fig. 1).
Figure 2 - Frequency distribution of 36 sugar beet plants showing different levels of resistance to C.
beticola, based on the Area Under Disease Progress Curve (AUDPC) values calculated on the basis of
disease severity progress (see Fig. 1).
RISULTATI
Le RC misurate sulle 36 piante hanno
mostrato un ampio intervallo di variazione
(Tab. 1); questo risultato era atteso, dato che
le piante erano state scelte proprio in modo
da rappresentare un’ampia casistica. INF ha
avuto il CV più elevato, pari al 101%, ed
una ampio intervallo di variazione: alcune
piante hanno mostrato solo sporadici sintomi di malattia (0.01 macchie necrotiche per
cm2 di area fogliare), altre valori medi pari a
0.67 macchie. SY è risultato pure assai variabile, con un CV di 85% ed una produzione massima di spore pari a 137000 conidi
per cm2 di area necrotica. LS e soprattutto
IP hanno mostrato una minore variabilità,
con CV pari a 58% e 27% rispettivamente.
Alcune piante hanno mostrato macchie
necrotiche molto piccole (media di 2 mm2),
altre macchie di notevoli dimensioni (fino
ad una massimo di 37 mm2). IP ha avuto una
durata minima pari a 150°C e massima pari
a 393°C; ciò significa che, ad una temperatura costante di 20°C, l’incubazione ha avuto una durata compresa fra 10 e 26 giorni.
La gravità della malattia, che esprime la
percentuale di tessuto fogliare coperto dalle
macchie necrotiche, è variata da valori minimi assai prossimi allo zero fino ad un massimo di circa il 6%, con un CV di 89%. La
gravità è risultata correlata in modo significativo sia ad INF sia a LS (Tab. 2).
L’AUDPC, che esprime l’andamento delle epidemie come risultato dell’interazione
124 Agroindustria / Agosto 2002
fra le varie RC, è variata da un minimo di
0.22 ad un massimo di 54.12 (Fig. 1); la variabilità fra piante è aumentata notevolmente rispetto alla gravità, con un CV del 110%.
È stato possibile riscontrare la presenza di
tre gruppi abbastanza omogenei di piante,
un primo gruppo con valori di AUDPC inferiori a 15 (24 piante), un secondo con valori compresi fra 21 e 35 (10 piante) ed un
terzo con valori superiori a 41 (4 piante) (Fig.
2). L’AUDPC è risultata correlata in modo
significativo (per P<0.01), a INF, LS e SY
(Tab. 2), oltre che alla gravità della malattia
al termine di un unico ciclo d’infezione. La
Gravità di malattia
(Snedecor e Cochran, 1973), e sono state
calcolate le regressioni lineari fra le coppie
di variabili più significative, usando il pacchetto statistico SPSS (1999).
retta di regressione fra AUDPC e gravità,
pur essendo significativa con P<0.01, ha
mostrato una certa dispersione dei dati (Fig.
3); tale dispersione è risultata più marcata
per i valori più bassi di AUDPC (49% del
totale degli scarti dei valori osservati da quelli stimati con la regressione), rispetto a quelli
intermedi (26%) e ed alti (25%).
L’indice di resistenza è variato fra zero
(nessuna spora prodotta per unità di area
fogliare, a causa dell’assenza di macchie
necrotiche nei tasselli prelevati nelle posizioni predefinite del lembo fogliare) fino a
91000 spore per cm2 di area fogliare. La variabilità fra piante è risultata la più alta di
quelle osservate, con CV pari a 121%. Anche l’indice di resistenza è risultato significativamente correlato (con P<0.05 o 0.01) a
INF, LS e SY; esso inoltre è risultato
correlato alla gravità di malattia e, soprattutto, all’AUDPC (Tab. 2). La retta di
regressione fra AUDPC e l’indice di resistenza è risultata significativa (con P<0.01),
con una dispersione dei dati paragonabile
alla retta fra AUDPC e gravità (Fig. 4). In
questo caso, la dispersione è risultata minore per valori bassi ed alti di AUDPC (23% e
13% del totale degli scarti, rispettivamente)
e molto superiore per i valori intermedi
(64%).
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
In questo lavoro sono stati considerati due
metodi per la caratterizzazione del livello di
resistenza in piante di barbabietola da zucchero; la gravità della malattia sulle foglie,
espressa come percentuale di area fogliare
coperta da macchie necrotiche, e l’indice di
resistenza, espresso come numero di conidi
prodotti per unità di superficie fogliare.
Il primo metodo è largamente impiegato
6
y = 0.060x + 0.602
R2 = 0.57
4
2
0
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
50
55
AUDPC
Figura 3 - Relazione intercorrente fra l’Area Under Disease Progress Curve (AUDPC) e la gravità
di malattia in 36 piante di barbabietola da zucchero con differenti livelli di resistenza a C. beticola.
La linea tratteggiata indica l’andamento della retta di regressione fra le due variabili; R2 è l’indice
di determinazione della regressione.
Figure 3 - Relationship between Area Under Disease Progress Curve (AUDPC) and disease severity, in
36 sugar beet plants showing different levels of resistance to C. beticola. Dotted line indicates the
regression line between the two variables; R2 is the index of determination for the regression.
10
y = 0.116x + 0.327
8
Indice di resistenza
per determinare il livello di resistenza a C.
beticola in linee e varietà commerciali
(Beltrami et al., 1994; Pfleiderer and
Schaufele, 2000). Nella presente ricerca, la
gravità della malattia è stata misurata sulle
singole foglie, e quindi mediata per ciascuna pianta, mentre nella pratica comune la
gravità viene stimata sull’intera pianta, facendo riferimento ad apposite scale di stima
(Rossi e Battilani, 1989a e 1989b; Battilani
et al., 1991). Pertanto, la gravità di malattia
è stata determinata in modo più accurato, e
con maggiore capacità di risoluzione, rispetto
a quanto avviene normalmente, dove la qualità delle stime è influenzata da vari fattori,
fra i quali l’abilità dell’estimatore, il portamento vegetativo delle piante, la presenza
di porzioni di lembo disseccate per la vicinanza di varie macchie necrotiche.
Il secondo metodo è stato sviluppato appositamente; esso valuta la quantità di spore
prodotte su tasselli di lembo fogliare prelevati sulle foglie ammalate in posizioni
predeterminate. I due metodi sono stati valutati per la capacità di caratterizzare il comportamento delle piante in rapporto alle loro
RC, considerate singolarmente e combinate
nell’AUDPC; quest’ultima variabile è stata
considerata come il miglior modo di valutare il comportamento delle varietà, dato che,
in prove precedenti, è sempre stata trovata
una relazione molto stretta fra AUDPC e
comportamento di campo (Battilani, non
pubblicato). Sono stati considerati due aspetti, la capacità di risoluzione ed il grado di
associazione con le singole RC e con
l’AUDPC. La capacità di risoluzione è stata
valutata in base alla possibilità di distinguere differenze fenotipiche anche piccole fra
le piante, ed è stata espressa come intervallo
di variazione e CV dei dati misurati: tanto
più ampie sono risultate queste statistiche,
tanto maggiore è stato il grado di differenza
fra le piante. Il livello di associazione fra le
variabili è stato valutato per mezzo del
coefficiente di correlazione di Pearson: tanto maggiore è risultato il valore del
coefficiente, tanto più le variazioni di una
variabile sono risultate associate a quelle
dell’altra. Le 36 piante utilizzate hanno mostrato un’ampia variabilità per le diverse RC.
In linea con quanto osservato in altri lavori
(Rossi et al., 1999a e 2000), l’intervallo di
variazione è risultato più ampio per INF e
SY, e limitato per IP. Il calcolo dell’AUDPC
ha consentito di avere una valutazione sintetica del livello di resistenza delle piante in
base all’effetto combinato delle varie RC;
l’AUDPC ha mantenuto un elevato livello
di variabilità fra le piante. La gravità di malattia ha mostrato un intervallo di variazione più contenuto rispetto all’AUDPC ed
anche ad INF. L’indice di resistenza, al contrario, ha incrementato la variabilità fra le
piante rispetto a tutte le RC, ed anche
all’AUDPC. Questo risultato può essere spie-
R2 = 0.60
6
4
2
0
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
50
55
AUDPC
Figura 4 - Relazione intercorrente fra l’Area Under Disease Progress Curve (AUDPC) e l’indice di
resistenza in 36 piante di barbabietola da zucchero con differenti livelli di resistenza a C. beticola. La
linea tratteggiata indica l’andamento della retta di regressione fra le due variabili; R2 è l’indice di
determinazione della regressione.
Figure 4 - Relationship between Area Under Disease Progress Curve (AUDPC) and the disease index,
in 36 sugar beet plants showing different levels of resistance to C. beticola. Dotted line indicates the
regression line between the two variables; R2 is the index of determination for the regression.
gato con il fatto che, mentre la gravità delle
malattia dipende solo dal numero di macchie
necrotiche e dalla loro dimensione, l’indice
di resistenza è legato a tutte le RC. Infatti, il
numero di spore prodotte per unità di superficie fogliare dopo un periodo di tempo
pari alla metà del periodo totale di comparsa
delle macchie necrotiche sulle foglie dipende
dalla produzione di spore per unità di area
necrotica (ossia SY) e dalla superficie occupata dalle macchie necrotiche sporulanti;
quest’ultima dipende, a sua volta, dall’efficienza d’infezione dei conidi (INF), dalla dimensione di ogni macchia (LS) e dalla durata
del periodo d’incubazione (IP), dato che tanto maggiore è IP tanto minore è il numero di
macchie comparse dopo 20 giorni. L’indice
di resistenza ha dimostrato quindi una maggiore capacità di discriminare le differenze
fra le piante rispetto alla gravità di malattia.
Le variazioni della gravità di malattia sono
risultate significativamente associate alle
variazioni di INF e LS; quelle dell’indice di
resistenza sono risultate correlate anche con
SY. Tale risultato concorda con quanto
evidenziato in precedenza, e mette ulteriormente in evidenza il fatto che la gravità di
malattia non ha alcuna relazione con la quantità di spore prodotte sulle macchie
necrotiche. Nessuno dei due indici è risultato correlato con IP, verosimilmente come
conseguenza del fatto che le 36 piante sono
risultate abbastanza omogenee per questa
RC.
Il fatto che la gravità di malattia non prenda in considerazione la riduzione della produzione di nuove spore sulle macchie
necrotiche ha notevole importanza pratica.
Durante un’epidemia in pieno campo, il numero di nuove infezioni dipende, a parità di
condizioni ambientali, dal numero di spore
deposte sulla superficie delle foglie e dalla
capacità di ciascuna di queste di portare a
compimento con successo il processo infettivo. La riduzione del numero di nuove infezioni in un genotipo resistente può quindi
essere conseguita riducendo sia la produzione di spore sia la loro efficienza d’infezione. Pertanto, non considerare SY nella valutazione di un genotipo porta a sottovalutarne le caratteristiche di resistenza. Questo
aspetto incide ancor più negativamente qualora, come normalmente accade, le stime di
gravità di malattia vengano eseguite su piccole parcelle, in campi sperimentali in cui
sono contemporaneamente presenti genotipi
con differenti livelli di resistenza. In questo
caso, infatti, le spore prodotte sulle piante
meno resistenti si diffondono nell’aria e si
depositano numerose sulle foglie delle piante
più resistenti.
Sia la gravità di malattia che l’indice di
resistenza sono risultati correlati in modo
significativo all’AUDPC, con valori di R2
dello stesso ordine di grandezza. L’analisi
delle differenze fra i valori osservati delle
due variabili ed i valori attesi sulla base della relazione con l’AUDPC (Figg. 3 e 4) ha
messo in evidenza che, mentre la gravità di
malattia fornisce le stime più precise
dell’AUDPC in corrispondenza dei valori
medi ed alti della scala di variazione
dell’AUDPC stesso, l’indice di malattia è
decisamente più preciso per i valori più bassi dell’AUDPC, corrispondenti ai livelli più
elevati di resistenza a C. beticola. Pertanto,
l’indice di resistenza si è dimostrato migliore della gravità di malattia nel valutare le
piante più resistenti.
In conclusione, l’indice di resistenza messo a punto in questo lavoro permette una
migliore caratterizzazione del comportamenAgroindustria / Agosto 2002 125
to dei genotipi di barbabietola da zucchero
resistenti a C. beticola rispetto alla gravità
della malattia, largamente impiegata a questo scopo. In particolare, l’indice permette
di discriminare differenze anche piccole fra
i genotipi, tiene conto di tutte le principali
componenti di resistenza ed è particolarmente idoneo ad individuare genotipi molto resistenti. Il fatto che l’indice di resistenza
venga valutato in condizioni ambientali controllate, e quindi altamente ripetibili, ed in
tempi più brevi rispetto alle usuali valutazioni di campo, costituisce un ulteriore vantaggio. L’indice di resistenza è di più semplice e rapida determinazione delle singole
componenti di resistenza; esso, pertanto,
potrebbe essere impiegato per un primo
screening del materiale in selezione, per riservare poi una caratterizzazione più approfondita solo alle linee di maggiore interesse.
RINGRAZIAMENTI
Lavoro svolto nell’ambito del progetto
“Miglioramento genetico della barbabietola
da zucchero per l’ambiente mediterraneo”,
finanziato dal MiPAF (coordinatore P.
Ranalli). Si ringrazia la Dott.ssa Maria Fattori della Società Agra S.p.A. per aver fornito i genotipi di barbabietola da zucchero.
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Utilizzo di cultivar resistenti e isolati di Trichoderma spp. nella difesa integrata dalla
cercosporiosi della barbabietola da zucchero
Claudio Cerato, Stefania Galletti, Pier Luigi Burzi e Roberta Ghedini
Istituto Sperimentale per le Colture Industriali, Bologna
RIASSUNTO
La difesa della barbabietola da zucchero dalla cercosporiosi, provocata dal micete Cercospora
beticola Sacc., viene attuata con la semina di cultivar dotate di parziale resistenza e con l’esecuzione di 1-3 trattamenti fungicidi nel corso della coltivazione.
Finora non vi sono stati tentativi di controllare la malattia con antagonisti biologici, contrariamente
a quanto è avvenuto per altri sistemi pianta-patogeno. In questo lavoro si riportano i primi risultati
sulla caratterizzazione di isolati di Trichoderma con attività specifica di antagonismo nei riguardi
di C. beticola, si ipotizzano le modalità di intervento, si esaminano i possibili vantaggi e le reali
difficoltà che ancora si frappongono all’affermazione del controllo biologico.
Parole chiave: antagonisti, Cercospora beticola, controllo biologico, Trichoderma spp.
SUMMARY
Disease resistance and selected Trichoderma isolates for controlling Cercospora leaf spot of
sugar beet
Cercospora leaf spot, caused by Cercospora beticola Sacc., is one of the most common and
destructive diseases of sugar beet in southern Europe. Disease control is generally achieved through
the use of partially resistant genotypes and 1-3 fungicide applications.
In recent years there has been a steady increase in the interest of finding alternatives to the use of
fungicides, but nothing has been done regarding Cercospora leaf spot. In this study, the introduction
of some isolates of Trichoderma spp. as possible biocontrol agents towards Cercospora leaf spot
was investigated. Thirty-five Trichoderma isolates of various origins, mostly from sugar beet soil,
were tested for antagonism towards C. beticola, measured as colony growth inhibition on Potato
Dextrose Agar (PDA) amended with 25% (v/v) culture filtrate from each Trichoderma isolate.
They were also tested for in vivo spore survival on sugar beet phylloplane. Eight isolates with the
best values of inhibition and spore survival were selected for a preliminary field trial in 2001, under
natural C. beticola inoculum. Sugar beets (cv Dorotea) were treated with Trichoderma spore
suspensions in water at a concentration of 1 x 106 spores ml-1 every 20 days for five times, starting
from the beginning of June until August 24th. The controls were water alone and ALTO BS (3%
Cyproconazole and 9% Fentin acetate), sprayed on June 21st and July 10th at 2 Kg ha-1.
Six out of the 35 Trichoderma isolates significantly differed from the control in inhibiting C. beticola
in vitro growth and some also showed good survival on sugar beet leaves. In the field, three isolates
were found to significantly reduce C. beticola sporulation per unit of necrotic area, compared to the
untreated control, but they did not affect the disease incidence, which instead was well controlled
by the fungicide.
Based on these results, suggestions are made on some approaches to screening Trichoderma isolates,
with special reference to some components of rate-reducing resistance in sugar beet.
Key words: antagonists, Cercospora beticola, biological control, Trichoderma spp.
INTRODUZIONE
La cercosporiosi, causata dal fungo
Cercospora beticola Sacc., è una delle più
comuni e distruttive malattie dell’apparato
fogliare della barbabietola da zucchero nel
Sud Europa e può causare gravi perdite produttive se non vengono messi in atto adeguati interventi di controllo (Rossi et al.,
2000b).
Attualmente i programmi di protezione prevedono l’utilizzo di cultivar dotate di una
Autore corrispondente: Cerato C. - Istituto Sperimentale
per le Colture Industriali, Via di Corticella 133 - 40129
Bologna. Tel. 051 6316838 - Fax 051 6316856
E-mail: [email protected]
Lavoro svolto nell’ambito del Progetto Finalizzato
“Miglioramento della barbabietola da zucchero per
l’ambiente mediterraneo”, finanziato dal MiPAF.
parziale resistenza al patogeno (Canova et al.,
1996) e di 1-3 trattamenti con fungicidi
sistemici o più spesso con miscele tra loro e
in combinazione con sali di stagno, in modo
da evitare il rischio della comparsa di ceppi
resistenti (Georgopoulos, 1982; Ioannidis e
Karaoglanidis, 2000). Le modalità e i tempi
di intervento, in particolare per l’avvio dei
trattamenti, si basano su scelte fatte a calendario o, più frequentemente, su indicazioni
guidate da modelli previsionali (Battilani et
al.,1990; Meriggi et al., 2000). Il comparto
bieticolo dispone di un supporto tecnico adeguato, sia a livello pubblico regionale che
associativo e industriale, tanto che i produttori che si attengono alle indicazioni tempestivamente divulgate sono in grado di proteggere efficacemente le loro coltivazioni.
Negli ultimi trent’anni la bieticoltura ha
fatto progressi notevoli nell’agrotecnica e nel
miglioramento genetico, ma poco è cambiato nella difesa dalla cercosporiosi e nulla è
stato tentato nella prevenzione e controllo
della malattia con antagonisti biologici, contrariamente a quanto è avvenuto per altri sistemi pianta-patogeno. Tuttavia, sulla base
delle indicazioni ottenute per altre patologie
provocate da funghi epifiti necrotrofici (Köhl
and Fokkema, 1998), sembra ragionevole
pensare che anche per C. beticola sia possibile integrare trattamenti biologici e chimici, con l’obiettivo di limitare la protezione
chimica ad un solo intervento e di contenere
la malattia, entro soglie compatibili con buoni livelli produttivi, attraverso il controllo
biologico.
Tra gli antagonisti fungini, il genere
Trichoderma è risultato essere tra i più interessanti mezzi di biocontrollo, specialmente
nei riguardi di diversi patogeni del terreno, ma
anche dell’apparato aereo come dimostrano
le applicazioni contro Botrytis sp. (Elad et al.,
1993; Bélanger et al., 1995). I meccanismi
d’azione consistono nella competizione per
sostanze nutritive, antibiosi (produzione di
metaboliti tossici) e micoparassitismo nei
riguardi del patogeno (Tronsmo e Hjeljord,
1998), nonché promozione della crescita e
induzione di resistenza nella pianta. Oltre
all’attività diretta di antagonismo, la capacità di colonizzare la rizosfera o la fillosfera della
pianta ospite è un altro carattere estremamente importante. L’insediamento dell’antagonista nel sito di infezione, o nelle sue immediate vicinanze, è un requisito preliminare
all’esplicazione dell’attività di protezione
(Tronsmo e Hjeljord, 1998; Ahmad e Baker,
1986). Ai fini applicativi, inoltre, risulta fondamentale una corretta formulazione del prodotto finale (nutrienti, adesivanti, ecc.), che
deve favorire l’insediamento e lo sviluppo
dell’antagonista, a scapito del patogeno, tenendo conto delle possibili interazioni con
altri fattori biotici o abiotici (Tronsmo e
Hjeljord, 1998). Spesso, infatti, isolati particolarmente attivi in vitro non hanno mostrato efficacia in vivo e viceversa, a causa della
sottovalutazione di tali interazioni o della
sopravvalutazione della potenziale attività
osservata in laboratorio (Knudsen et al.,
1997).
Con riferimento a C. beticola, non disponendo a tutt’oggi di dati sperimentali, è opportuno focalizzare l’attenzione sulle caratteristiche del patogeno e sulle proprietà dell’antagonista, in modo da evidenziare le fasi
Agroindustria / Vol. 1 / Num. 2 2002 127
Figura 1 - Isolamento di Trichoderma da terreno su substrato selettivo TSM. Le frecce indicano le
colonie del fungo che singolarmente sono state trasferite ancora su TSM (a destra) e successivamente su
PDA.
Figure 1 - Isolation of Trichoderma from soil on TSM. Colonies indicated by arrows were transferred
again on TSM (on the right) and then on PDA.
del processo infettivo che potrebbero essere
più vulnerabili all’attacco da parte dell’agente di biocontrollo. Le strategie di intervento
potranno mirare a prevenire l’infezione, a
rallentare il processo di invasione e
colonizzazione dell’ospite, a ridurre la
sporulazione e la disseminazione del
patogeno.
Il ciclo infettivo di C. beticola può essere
suddiviso in quattro fasi:
1) fase epifitica infettiva: i conidi arrivati
sulla foglia, in presenza di un velo d’acqua, emettono una o più ife germinative
che penetrano nei tessuti della foglia attraverso le aperture stomatiche;
2) fase endofitica di latenza: le ife si accrescono tra le cellule del parenchima fogliare
ed interagiscono con l’ospite;
3) fase endofitica necrotica: i tessuti invasi
dal fungo necrotizzano, formando le caratteristiche lesioni; si liberano nutrienti
che il fungo utilizza per la crescita e per
l’organizzazione delle strutture atte a pro-
durre i conidi;
4) fase epifitica diffusiva: dalle lesioni
necrotiche emergono i conidi che daranno origine ad un nuovo ciclo infettivo.
La scelta e l’utilizzazione di antagonisti
biologici dovrà tener conto della vulnerabilità del patogeno e dell’efficienza dell’antagonista nelle diverse fasi della malattia.
Nella fase epifitica potrebbero essere efficaci quegli isolati di Trichoderma che producono antibiotici. In considerazione della
breve durata del processo infettivo sono da
escludersi il micoparassitismo e l’attività di
enzimi che degradano le pareti cellulari del
patogeno, come le chitinasi e ß-glucanasi, tipici enzimi di funghi iperparassiti (Elad et
al., 1982), in quanto richiedono tempi relativamente lunghi. Così pure non sembra
ipotizzabile una competizione per nutrienti
da parte dell’antagonista. Infatti, i conidi di
C. beticola germinano prontamente in acqua
distillata e supportano un discreto accresci-
mento dell’ifa in assenza di nutrienti. La presenza di antibiotici sulla superficie delle foglie potrà, invece, agire sul micelio di C.
beticola e in poche ore determinare la
disorganizzazione del citoplasma e la morte
delle cellule fungine, analogamente a quanto
osservato nell’interazione tra T. harzianum
e Botrytis cinerea (Bèlanger, 1995).
Nella fase endofitica il micelio di C.
beticola si trova all’interno dei tessuti e sfugge all’azione diretta del Trichoderma. In
questo caso potrebbe essere efficace solo la
resistenza della pianta indotta da metaboliti
liberati dall’antagonista. La resistenza indotta da microrganismi, in particolare da batteri della rizosfera e da endofiti, è ben documentata. È sorprendente invece che sia stata
riservata meno attenzione ai microrganismi
della fillosfera (Schönbeck e Dehne, 1986;
Elad et al., 1994a,b). Il biocontrollo attraverso la resistenza indotta potrebbe avere il
vantaggio di non richiedere, una volta ottenuta l’inibizione, ripetuti interventi con l’antagonista, come si rende necessario quando
l’antagonista ha poca competenza per la
fillosfera e il patogeno svolge più cicli infettivi.
Nella successiva fase del ciclo vitale del
patogeno, una possibilità di intervento è
ravvisabile quando sono presenti le lesioni
cercosporiche. Rispetto alla superficie
fogliare integra, poco ospitale per un fungo
tipicamente tellurico come il Trichoderma,
i tessuti necrotici delle lesioni sono sicuramente un substrato con nutrienti idonei a stimolarne la crescita. L’antagonismo nei riguardi di C. beticola si avrebbe prevalentemente come micoparassitismo (e sequestro
di nutrienti?), con l’effetto di rallentare il
processo di sporificazione e di ridurre gli
elementi di inoculo per i successivi cicli di
Tabella 1- Isolati di Tricoderma spp. utilizzati nella prova in campo, inibizione in vitro del micelio di C. beticola e sopravvivenza sulle foglie dei propagoli
di Trichoderma spp.
Table 1 - Trichoderma spp. isolates selected for the field experiment, inhibition of C. beticola growth on amended PDA, measured as colony diameter, and
survival of Trichoderma spp. spores, measured as Colony Forming Units (CFU) per mg of sugar beet leaf.
Isolati di 7ULFKRGHUPD spp.
Diametro delle colonie di &EHWLFROD
Recupero propagoli di 7ULFKRGHUPD spp.
(% del controllo)
(CFU mg di foglia)
-1
LT 2/99
78.8
g
10.0
a
LT 1/99
80.3
fg
1.9
cd
BA 12/86
82.6
efg
10.0
a
3 B 24
83.3
defg
2.2
cd
LT 5/99
83.3
defg
4.3
abcd
OR 6/99
85.6
cdefg
3.0
bcd
3B8
89.4
abcdefg
3.4
abcd
ISCI 86/6
90.2
abcdef
10.0
a
100.0
ab
0.0
d
Control
Valori seguiti dalle stesse lettere non sono statisticamente diversi (l.s.d. test, P ≤ 0.05).
128 Agroindustria / Agosto 2002
infezione. Benchè siano molti i patogeni che
sporificano su lesioni, sono state poco indagate le interazioni tra microrganismi che avvengono sulle lesioni necrotiche e mancano
del tutto per C. beticola (Biles e Hill, 1988;
Elad et al. 1994a,b).
Sulla base di queste considerazioni sono
state avviate ricerche allo scopo di individuare isolati di Trichoderma attivi in due
delle fasi critiche della malattia, precisamente nella fase epifitica di germinazione dei
conidi fino alla penetrazione attraverso gli
stomi e sulle lesioni cercosporiche.
MATERIALI E METODI
Isolamento di Trichoderma spp. Gli isolati di Trichoderma sono stati ottenuti da
diversi terreni agrari, da rizosfera e fillosfera
di piante erbacee coltivate e spontanee. Per
tutti gli isolamenti è stato utilizzato il
substrato selettivo TSM (Trichodermaselective medium) (Elad et al., 1981), con
l’unica variante del propamocarb in sostituzione di p-dimethylaminobenzenediazo
sodium sulfonate. I campioni di terreno sono
stati essiccati all’aria e risospesi in acqua
distillata (1:102 w/v); aliquote di 0.5 ml sono
state distribuite su TSM in piastre Petri da
90 mm. Le matrici vegetali (radici e foglie)
sono state immerse in beute con acqua distillata (1-2 g/50 ml), mantenute in agitazione per 20 min e piastrate su TSM (0.5 ml)
tal quali e alla diluizione di 1:20 e 1:40. Le
piastre sono state incubate a 25-28 °C alla
luce naturale per 4-6 giorni. Le singole colonie di Trichoderma sono state trasferite
prima su TSM, poi su Potato Dextrose Agar
(PDA) + streptomicina (100 µg ml-1) e infine
su PDA in piastre Petri da 45 mm. Partendo
da queste piastre ogni isolato è stato trasferito in tubo su PDA per la conservazione a
5°C e la liofilizzazione (in 10% di latte
scremato + 5% inositolo).
Una parte di isolati erano già presenti in
collezione, come sospensione di conidi in
azoto liquido, tutti provenienti da terreni
coltivati a barbabietola da zucchero, e caratterizzati per antagonismo verso Sclerotium
rolfsii (Cerato et al., 1990; 1991).
Sopravvivenza di Trichoderma spp. sulla fillosfera di barbabietola da zucchero.
Sospensioni di spore di 8 isolati di
Trichoderma in 0.1% Tween 40 alla concentrazione di 1x106 spore ml-1 sono state spruzzate su piantine di bietola di 6-8 foglie (10
ml per pianta) mantenute in serra con luce
naturale a 24-28 °C. Dopo due settimane,
campioni di 1g di foglie, ciascuno costituito
da frammenti di più foglie di due piante, sono
stati immersi in 50 ml di acqua distillata e
agitati a 150 rpm per due ore. Aliquote di
0.5 ml sono state distribuite su TSM e
incubate a temperatura ambiente per due
giorni. Per ciascun isolato è stato determinato il CFU mg-1 di foglia.
Inibizione di C. beticola in vitro.
Figura 2 - Inibizione di crescita del micelio di Cercospora beticola (a sinistra), un micete a lenta crescita,
e di Sclerotium rolfsii (a destra), a rapida crescita, da parte di filtrati colturali di alcuni isolati di
Trichoderma attualmente in valutazione. Le due immagini sono state riprese rispettivamente dopo 15 e
5 giorni dalla deposizione del tondello centrale di agar-micelio.
Figure 2 - Cercospora beticola (on the left), a slow growing fungus, and Sclerotium rolfsii (on the
right) on PDA amended with culture filtrates of a number of Trichoderma isolates. The photos were
taken respectively 15 and 5 days from the beginning of the test.
Trentacinque isolati di Trichoderma di varia
origine, prevalentemente da terreno coltivato a barbabietola da zucchero, sono stati valutati per la capacità di inibizione della
crescita del micelio di C. beticola su PDA
ammendato con il 25% (v/v) di filtrato
colturale di ciascun isolato. I filtrati sono stati
preparati trasferendo due tondelli (ø 5 mm)
di agar micelio in beute contenenti 50 ml di
Potato Dextrose Broth (PDB) ed incubate a
28 °C al buio per una settimana. Le colture
liquide sono state filtrate su garza sterile e
centrifugate a 3000 rpm per 20 min. Il
surnatante è stato poi trattato termicamente
a 60 °C per 30 min per inattivare eventuali
spore e frammenti di micelio e aggiunto al
PDA in piastre Petri. Un tondello di agar
micelio (ø 5 mm) di C. beticola è stato posto
al centro delle piastre; dopo 15 giorni a 28
°C è stato misurato il diametro massimo delle colonie. La prova è stata impostata con tre
ripetizioni e un controllo con acqua in sostituzione del filtrato.
Inibizione della sporificazione di C.
beticola in campo. Nel 2001, 8 isolati di
Trichoderma dei 35 testati in vitro, sono stati
utilizzati per una prova preliminare su barbabietola da zucchero (cv Dorotea) in campo a Rovigo, in condizioni di pressione
medio-alta di infezione naturale di C.
beticola. Parcelle di 9 m2, con due repliche,
sono state trattate, ogni 20 giorni (dal 1 giugno al 24 agosto), con sospensioni di spore
di Trichoderma in acqua alla concentrazione di 1x106 spore ml-1 (1l /parcella). I controlli sono consistiti in un pari numero di
trattamenti con solo acqua e in due trattamenti con l’anticercosporico Alto BS (3%
cyproconazolo e 9% fentin acetato) alla dose
di 2 Kg ha-1, in data 21 giugno e 10 luglio.
Per ogni tesi, il 4 settembre sono state raccolte dal campo 10 foglie (5 x 2 parcelle),
da ognuna delle quali sono stati prelevati 10
dischetti con una singola lesione
cercosporica che sono stati vortexati in 0.3
ml di acqua per 2 min. I conidi passati in
sospensione
sono
stati
contati
nell’emocitometro di Bürker. I dischetti sono
poi stati letti allo scanner ed è stata calcolata
l’area necrotica con l’ausilio del software
ImageJ 1.23 (http://rsb.info.nih.gov/ij/).
L’entità della sporulazione è stata espressa
come numero di conidi per mm2 di area
necrotica.
RISULTATI
Isolamento di Trichoderma. Il substrato
selettivo TSM e la metodologia seguita si
sono dimostrati adeguati per isolare l’antagonista sia da terreno sia da matrici vegetali
(Fig. 1). È risultato importante operare con
campioni sufficientemente diluiti, sia per
disperdere i componenti chimici e biotici che
potevano inibire lo sviluppo di colonie di
Trichoderma, sia per poter recuperare più
agevolmente l’antagonista.
Inibizione di C. beticola in vitro. Nelle
prove in vitro di inibizione della crescita del
micelio di C. beticola, 6 dei 35 isolati si sono
statisticamente differenziati dal controllo
(Tab. 1). Tali isolati provengono tutti da terreno coltivato a barbabietola da zucchero del
Centro Sud Italia, ad eccezione di uno (OR
6/99) che proviene da un fragoleto della Sardegna; in prove precedenti alcuni di questi
isolati si erano dimostrati attivi anche nei
riguardi di S. rolfsii. In figura 2 sono
visualizzate le inibizioni dei filtrati colturali
di alcuni isolati attualmente in prova, rispettivamente su C. beticola e su S. rolfsii, un
micete a più rapida crescita.
Sopravvivenza di Trichoderma sulla
fillosfera di barbabietola da zucchero.
A due settimane dal trattamento in serra
delle piante di barbabietola da zucchero con
le sospensioni di spore, sono stati recuperati
propagoli di Trichoderma in concentrazioni variabili tra 1.9 e 10 CFU mg-1 di foglia
(Tab. 1). Si deduce che in questo intervallo
di tempo vi è stata sopravvivenza dell’antagonista sulla fillosfera della barbabietola.
Queste osservazioni sono state ripetute in
pieno campo dove le variazioni di temperaAgroindustria / Agosto 2002 129
2000
bc
3B8
bc
LT 2/99
c
bc
3 B 24
c
c
LT 5/99
c
LT 1/99
800
BA 12/86
1200
ALTO BS
0
OR 6/99
400
ISCI 86/6
Numero di spore mm-2
1600
ab
CONTROL
a
ab
Figura 3 - Sporulazione di C. beticola in campo rilevata il 4 settembre, dopo 5
trattamenti con Trichoderma e due con Alto BS.
Figure 3 - C. beticola sporulation from necrotic spots of sugar beet leaves in the field
after 5 Trichoderma applications and 2 fungicide treatments.
tura e umidità sono più forti e le condizioni
sono meno favorevoli all’antagonista.
Inibizione della sporificazione di C.
beticola in campo. La prova parcellare di
campo doveva fornire indicazioni preliminari su:
-sopravvivenza in campo di Trichoderma
su piante trattate con una formulazione minima, priva di adiuvanti e nutrienti (sospensione di spore in acqua);
-incidenza della malattia;
-interazioni tra C. beticola e Trichoderma
sulle lesioni cercosporiche.
Complessivamente sono stati eseguiti 5
trattamenti con Trichoderma, ad intervalli
di 20 giorni e 2 trattamenti con
l’anticercosporico. Dopo il primo trattamento, sulle foglie campionate subito prima dei
successivi trattamenti, erano ancora presenti propagoli vitali di Trichoderma, a conferma dei risultati delle prove di serra. Agli inizi
di settembre tre isolati, BA 12/86, LT 1/99
ed ISCI 86/6, avevano ridotto di circa il 50%
il numero di conidi di C. beticola per unità
di area necrotica, rispetto al controllo non
trattato (Fig. 3). È interessante notare che
anche il fungicida, a distanza di oltre 50 giorni dall’ultimo trattamento, aveva agito sulla sporificazione di C. beticola al pari dei
tre isolati.
Per quanto riguarda l’incidenza della malattia, stimata il 24 agosto (scala 0-9 KWS),
gli effetti di inibizione osservati non si sono
tradotti in maniera evidente sulla gravità
della malattia, infatti, non c’è stata
differenziazione tra le tesi trattate con
Trichoderma e il testimone non trattato (media di 7.3 contro 6.5), mentre il fungicida
ha sufficientemente protetto le piante (media 3.5).
DISCUSSIONE
Nelle ricerche svolte sono stati rilevati
130 Agroindustria / Agosto 2002
effetti di inibizione di crescita del micelio di
C. beticola (in vitro) e di riduzione della
sporificazione (in vivo), che hanno interferito con il ciclo biologico del patogeno, ma che
non sono stati sufficienti a incidere sullo sviluppo della malattia in campo. Valutando un
numero più elevato di isolati e modificando
le condizioni operative si potrà incrementare l’entità di questi effetti. Tuttavia il primo
grosso ostacolo è rappresentato dalla capacità di adattamento del Trichoderma alle difficili condizioni ambientali della superficie
fogliare che, rispetto al terreno o alla
rizosfera, presenta repentini cambiamenti di
temperatura, umidità e di nutrienti. È fondamentale che gli isolati dotati di specifici caratteri di antagonismo siano valutati per capacità di adattamento alle condizioni di stress
della superficie fogliare. I dati di sopravvivenza che sono stati misurati in campo dimostrano che c’è variabilità per questo carattere.
Un’altra osservazione, che in parte emerge dalle ricerche, riguarda le modalità di trattamento: difficilmente l’impiego dell’antagonista da solo potrà avere successo sul
patogeno, in particolare nel caso di malattie
fogliari con ripetuti cicli infettivi. L’impiego dell’antagonista dovrà essere integrato
con gli altri mezzi di lotta oggi disponibili: i
fungicidi, la resistenza genetica e la tecnica
agronomica.
Si potrebbero selezionare isolati di
Trichoderma (o altri antagonisti) in grado di
integrare la resistenza delle cultivar di barbabietola da zucchero. Come noto la resistenza
a C. beticola in barbabietola è di natura
poligenica e parziale. Sono state messe in
evidenza componenti che agiscono sull’efficienza dell’infezione, la durata del periodo
di latenza, le dimensioni delle lesioni e la
sporificazione (Rossi et al., 1999; 2000a). È
evidente il parallelismo con le tipologie di
azione del Trichoderma. Si potrebbe, perciò, operare in maniera mirata attraverso la
selezione di antagonisti con elevata attività
specifica verso una fase del processo infettivo corrispondente ad una componente di resistenza che si considera più efficace. Il trattamento con questi isolati potrebbe incrementare la capacità complessiva di difesa della
pianta. L’abbinamento di cultivar resistenti,
caratterizzate per componente di resistenza, e trattamenti con Trichoderma dotati di
attività specifiche, potrebbe inserirsi nei programmi di difesa dalla cercosporiosi in sostituzione totale dei trattamenti fungicidi nei
comprensori bieticoli a bassa pressione di
malattia e, in sostituzione parziale, nei
comprensori ad alta pressione. In questi ultimi l’obiettivo sarebbe quello di eseguire un
solo intervento chimico preventivo per abbattere la carica di inoculo e diradare i primi
cicli infettivi, in modo da garantire un’azione
efficace dell’antagonista.
Le perplessità non sono poche, e in parte
sono le stesse che riguardano il controllo
biologico in generale. È indubbio che ci sono
stati risultati importanti in questi ultimi anni,
ma rimangono ancora molte difficoltà alla
sua affermazione, principalmente dovute alla
variabilità e all’inaffidabilità del metodo. Se
poi le alternative chimiche sono efficaci e
affidabili, il produttore mostra ritrosia ad
abbandonare un sistema che lo garantisce.
Tuttavia, vi è una ragione per sperare che
nel futuro il controllo biologico trovi meno
difficoltà ad affermarsi: la sua variabilità e
inaffidabilità dipendono da scarsa conoscenza dei meccanismi che regolano i rapporti
tra comunità di microrganismi, le piante e i
fattori esogeni. Il progredire delle conoscenze in questo campo ridurrà sicuramente l’area
di incertezza, aumentando l’efficacia del
controllo, e l’accettabilità del metodo.
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Agroindustria / Agosto 2002 131
Effetti della cercosporiosi sulla qualità estrattiva della barbabietola da zucchero
Piergiorgio Stevanato, Enrico Biancardi, Marco De Biaggi, Rodolfo Telloli1 e Mauro Colombo
Istituto Sperimentale per le Colture Industriali-Sezione di Rovigo, viale Amendola 82, 45100 Rovigo.
1
Associazione Bieticoltori Italiani, via Hirsch 19, 44100 Ferrara.
RIASSUNTO
I danni causati dalla cercospora alla produzione di saccarosio e alla qualità tecnologica sono stati
studiati con prove triennali svolte in due località. Per ottenere diverse situazioni d’intensità di
malattia, sono state impiegate sei varietà a diversa resistenza genetica alla cercospora e tre livelli di
protezione con fungicidi: T1, come nella pratica corrente, ossia trattamento ogni 20 giorni con
inizio alla prima comparsa delle macchie; T2, come T1 ma con trattamenti ogni 10 giorni. Era
presente il testimone non trattato (T0). I dati produttivi e qualitativi sono stati valutati in tre
epoche di raccolta. Le normali misure di lotta integrata, ossia l’impiego del programma T1 e di
varietà resistenti, hanno ridotto di circa l’80% i danni totali causati dalla malattia. Le stesse misure
hanno invece evitato completamente le riduzioni a carico della qualità tecnologica. Tra gli elementi melassigeni considerati, il sodio e l’alfa-amminoazoto hanno dimostrato i maggiori incrementi associabili con la malattia.
Parole chiave: barbabietola da zucchero, cercospora, lotta integrata, qualità tecnologica.
ABSTRACT
Effects of cercospora leaf spot on processing quality of sugar beet
The impact of cercospora leaf spot on yield and processing quality was determined in trials carried
out for three years in two localities of Northern Italy, under conditions of severe and uniform
infection. To obtain different disease intensities, six commercial varieties endowed with different
rates of cercospora l. s. resistance (susceptible, moderately resistant, resistant) were sprayed at two
levels of fungicide protection: T1, as in normal farm practice, i. e. every 20 days from the beginning
to the first appearance of the spots on the leaves; and T2, the same as T1, but the treatments were
repeated every 10 days. T0 represented the untreated control. Production and processing quality
were determined at three harvesting times. The use of fungicides applied as in normal practice (T1)
indicated a 1.6 t ha-1 increase in sugar yield. The same treatment and the use of the more resistant
varieties was able to reduce the total damage in sugar yield caused by the disease by about 80%.
The juice purity calculated according to Carruthers and Oldfield increased by about 1.8 and 1.7 due
to the T1 treatments and the use of the resistant varieties respectively. A reduction of the processing
quality was completely avoided by the resistant varieties protected by normal fungicide treatments
(T1). Therefore, as far as purity is concerned, the current levels of integrated disease control are
very close to optimum. Among the main nonsucrose components, sodium and α-amino nitrogen
showed the most significant increases associated with the degree of infection. The rating of cercospora
l. s. severity based upon the diseased leaf area is positively correlated with the decrease of processing
quality.
Key words: sugar beet, cercospora leaf spot, integrated disease control, processing quality.
INTRODUZIONE
La cercosporiosi è tra le maggiori avversità della barbabietola da zucchero (Beta
vulgaris L. subsp. vulgaris, Sugar Beet
Group). Si manifesta sul lembo fogliare con
caratteristiche macchie necrotiche che, nei
casi d’infezione grave, si espandono fino a
causarne la morte. La malattia, prodotta dal
fungo Cercospora beticola Sacc., è diffusa
con intensità variabili in tutte le zone a clima temperato; ne sono esenti solo alcuni
paesi situati a nord o a sud dell’areale di coltivazione (Holtschulte, 2000). I danni sulla
Autore corrispondente: Biancardi E. - Istituto Sperimentale
per le Colture Industriali-Sezione di Rovigo, viale
Amendola, 82 - 45100 Rovigo. Tel. 0425 360113
Fax 0425 34681 - E-mail: [email protected]
Lavoro svolto nell’ambito del Progetto Finalizzato
“Miglioramento della barbabietola da zucchero per
l’ambiente mediterraneo”, finanziato dal MiPAF.
132 Agroindustria / Vol. 1 / Num. 2 2002
produzione sono segnalati in aumento in diversi paesi centroeuropei prima interessati
in modo marginale (Schäufele e Wewers,
1996; Jakubowska e Gasiorowska, 2000). In
Italia, la fitopatia trova condizioni di sviluppo favorevoli su circa 80% della superficie
coltivata a bietola, ma gli attacchi più gravi
sono segnalati nei comprensori a nord del
fiume Po (Rossi et al., 1995). L’infezione si
manifesta ogni anno con intensità dipendente
soprattutto dall’andamento climatico; ma al
danno produttivo finale contribuiscono altre variabili: i) la varietà usata; ii) la precocità
dell’infezione; iii) la tempestività e l’efficacia dei programmi di difesa; iv) le eventuali
pratiche irrigue; v) l’epoca di raccolta; vi) la
presenza di stress abiotici o di altre fitopatie
ecc. (Biancardi, 1998).
Il controllo della malattia si basa sulle seguenti misure: i) utilizzo di varietà resisten-
ti; ii) distribuzione di fungicidi ripetuta più
volte; iii) rotazioni lunghe per ridurre l’inoculo presente nel terreno (Shane e Teng,
1992); iv) estirpamenti precoci per evitare il
periodo di maggiore infezione. Con la difesa integrata, nelle normali condizioni operative, è possibile annullare circa due terzi
dei danni potenziali (Biancardi, 1998).
Le perdite di produzione dipendono soprattutto dalla diminuita funzione
fotosintetica causata dalla riduzione della
superficie assimilante. In un secondo momento, se l’attacco sull’apparato fogliare
primario è grave, ha inizio un’accentuata
emissione di nuove foglie indicata col termine “rivegetazione” (Shane e Teng, 1992;
Rossi et al., 2000; Stevanato et al., 2001).
Poiché il danno complessivo è superiore alla
somma delle azioni dei due fattori elencati,
alcuni autori hanno ipotizzato un effetto deprimente sulla fisiologia della pianta da parte di tossine emesse dall’agente patogeno
(Rossi et al., 1990). In quest’ultimo caso,
come per la rivegetazione, le interferenze sul
processo produttivo non sono state
quantificate (Rossi et al., 2000). Oltre ai danni
sopra descritti, Smith e Ruppel, 1971, hanno verificato una maggiore sensibilità ai
marciumi in fase di stoccaggio di bietole prima colpite da cercospora. Ciò sembra dipendere dal calo del grado polarimetrico (contenuto di saccarosio nella radice espresso in
percento in peso), che è tra i primi effetti
della malattia (Smith e Ruppel, 1973). La
cercosporiosi causa inoltre la riduzione nel
peso delle radici e, di conseguenza, della produzione di saccarosio (Smith e Ruppel, 1973).
Kelber, 1977, ha calcolato una perdita in saccarosio del 0.3% per ogni incremento di 1%
della superficie fogliare colpita. Altri stimano le stesse perdite variabili dallo 0.5 all’1%
(Shane e Teng, 1992).
L’infezione induce l’aumento della concentrazione di numerosi elementi
melassigeni presenti nella radice, tra questi
il potassio (K), il sodio (Na) e l’alfaamminoazoto (αN) sono i più importanti
(Mantovani, 1977; Oltmann et al., 1984). Si
ha quindi un abbassamento della qualità tecnologica e del rendimento nei processi industriali d’estrazione, perché aliquote di saccarosio proporzionali al contenuto di elementi melassigeni nella radice non sono in
grado di cristallizzare (Mantovani, 1977). Ne
deriva un sensibile danno economico, anche
se d’ordine di grandezza inferiore a quello
provocato dalla malattia sui parametri
agronomici (Shane e Teng, 1992). L’aumento
75HV
DK
W R
FL UR
HW
RL VR
UD FF
D6
75HV
soprattutto nelle raccolte tardive. Smith e
Martin, 1978, hanno messo in evidenza sia
la correlazione positiva tra grado d’infezione e contenuto di sodio (Na), di alfaamminoazoto (αN) e di altri composti
azotati, sia il maggiore effetto protettivo dei
trattamenti fungicidi rispetto alla resistenza
genetica; non si hanno reazioni significative
per il potassio (K) e per altri melassigeni
(betaina, cloruri ecc.). Secondo Yoshimura et
al., 1992, l’infezione crescente aumenta il
contenuto di alfa-amminoazoto (αN), mentre il sodio (Na) ed il potassio (K) hanno
reazioni meno nette. Borrelli et al., 1990,
hanno rilevato un effetto positivo sulla qualità estrattiva subito dopo il primo trattamento con fungicidi. Secondo gli stessi autori, l’alfa-amminoazoto (αN) è la sostanza
melassigena che più si differenzia nelle tesi a
diverso livello di protezione chimica. Il potassio (K) aumenta in misura minore, mentre
sul sodio (Na) l’azione della malattia è meno
chiara a causa dell’elevata variabilità che caratterizza normalmente l’elemento. Schäufele
e Wewers, 1996, hanno osservato un aumento del sodio (Na) su tesi non trattate con
fungicidi e quindi con superiori livelli d’infezione. Adams e Schäufele, 1996, hanno rilevato incrementi di alfa-amminoazoto per infezioni crescenti specialmente su varietà sensibili. Effetti significativi sia della resistenza
sia dei trattamenti sono stati rilevati da Ros-
75HV
76HQV
76HQV
5
DSU
P DJ
JLX
5
DJR
OXJ
5
VHWW
Figura 1 - Andamento della produzione in saccarosio teorico (Zt) di varietà a diversa resistenza (vedi
testo) sottoposte ai trattamenti T0, T1 e T2. Le differenze tra le curve sono significative (per P ≤ 0.05)
dalla prima raccolta (R1) in poi.
Figure 1 - Dynamics of sugar yield in varieties with different rates of cercospora l.s. resistance under
T0, T1 and T2 fungicide programs. The differences are significant (for P ≤ 0.05) starting from the first
harvest time (R1).
di tali sostanze, verificabile anche a livelli
bassi d’infezione, dipende da cause non ancora accertate (Finkner e Farus, 1968; Borrelli
et al., 1990). Secondo Shane e Teng, 1992, il
fenomeno può essere parzialmente associato al rallentato accrescimento radicale piuttosto che ad un’aumentata sintesi di
melassigeni indotta della malattia.
Finkner e Farus, 1968, hanno verificato
l’azione del fungicida Maneb su varietà sensibili e resistenti alla cercospora. I trattamenti
hanno provocato peggioramenti qualitativi
nella radice, causati da un lieve aumento del
sodio (Na) e la riduzione del glucosio (altro
importante fattore melassigeno); la resistenza genetica ha migliorato diversi parametri,
Tabella 1 - Schema riassuntivo dell’analisi della varianza.
Table 1 - Outline of the analysis of variance.
G .L.
Fonte di variazione
Zt
K
(t ha -1 )
Na
αN
RK
(millim oli 100 g -1 )
Anni
Località
Raccolte (R)
Trattam enti (T)
Varietà (V)
2
1
2
2
5
**
ns
**
**
**
**
**
**
**
**
**
ns
**
**
**
**
*
**
**
**
*
*
**
**
**
R
R
T
R
4
10
10
20
**
**
ns
*
*
*
ns
ns
**
**
ns
ns
**
ns
**
ns
**
**
*
ns
xT
xV
xV
xTxV
* P ≤ 0.05
** P ≤ 0.01
ns = Non significativo;
amm inoazoto; RK = Coefficiente di purezza
G.L. = Gradi di libertà;
Zt = Saccarosio teorico; K = Potassio; Na = Sodio; α N = Alfa-
5DFFROWH
20 Agosto
10 Settembre
30 Settembre
9.92 c
10.41 b
10.84 a
4.27 a
4.07 b
3.98 b
1.98 a
1.78 b
1.97 a
3.38 a
3.28 a
2.83 b
90.35 a
90.41 a
90.00 b
9.01 c
10.67 b
11.50 a
4.04 b
4.04 b
4.25 a
2.32 a
1.75 b
1.66 c
3.33 a
3.07 b
3.10 b
89.04 b
90.82 a
90.90 a
9.86 c
10.49 b
10.83 a
3.92 c
4.41 a
3.99 b
2.36 a
1.95 b
1.43 c
3.24 a
3.27 a
2.99 b
89.57 c
89.89 b
91.30 a
7UDWWDPHQWL
T0
T1
T2
9DULHWj
Sensibili
M ed. Resistenti
Resistenti
Lettere diverse indicano differenze significative fra le medie secondo il Test di Duncan (P ≤ 0.05)
Agroindustria / Agosto 2002 133
si et al., 2000, soprattutto sulla riduzione
del contenuto di sodio (Na) e di alfaamminoazoto (αN). Rispetto ai trattamenti,
la resistenza ha maggiore effetto sul
coefficiente di purezza.
Lo scopo di questo lavoro è stato quello
di: i) stabilire l’efficacia della lotta integrata
sui più importanti parametri tecnologici; ii)
quantificare l’efficacia, rispetto ai livelli teorici, degli attuali sistemi di lotta integrata;
iii) verificare i dati non univoci sull’argomento reperibili in bibliografia.
.
5
D]
]H
UX
S
LG
H
WQ
HL
FLI
IH
R
&
75HVa75HV
75HV
76HQV
76HQV
5
DSU
PDJ
JLX
OXJ
5
DJR
5
VHWW
Figura 2 - Andamento del coefficiente di purezza (RK) delle varietà a diversa resistenza (vedi testo)
sottoposte ai trattamenti T0, T1 e T2. Le differenze tra le curve sono significative (per P ≤ 0.05) dalla
seconda raccolta (R2) in poi.
Figure 2 - Dynamics of processing qualiy (RK) in varieties with different rates of cercospora l.s. resistance
under T0, T1 and T2 fungicide programs. The differences are significant (for P ≤ 0.05) starting from the
first harvest time (R1).
J
OL
R P
OLL
P
1
D
1
.
α
.
α1
5.
1D
5
5
.5
D]
]H
UX
SL
G
WHQ
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LI
IH
R
&
5
5DFFROWH
Figura 3 - Andamento dei tre principali elementi melassigeni (K, Na, αN) e del coefficiente di purezza
(RK) alle tre date di raccolta (R1 ≈ 20 agosto; R2 ≈ 10 settembre; R3 ≈ 30 settembre).
Figure 3 - Dynamics of the main nonsugars (K, Na, αN) and processing quality (RK) at three dates
of harvest.
α
J
L
OR P
OLOL
P
1
D
1
.
5.
.
α1
1D
7
7
.
5
D]
]H
UX
SL
G
WHQ
HL
FLI
IH
R
&
7
7UDWWDPHQWL
Figura 4 - Andamento dei tre principali elementi melassigeni (K, Na, αN) e del coefficiente di purezza
(RK) a tre livelli di difesa T0, T1 e T2 (vedi testo).
Figure 4 -Dynamics of the main nonsugars (K, Na, αN) and processing quality (RK) under three
fungicide programs.
134 Agroindustria / Agosto 2002
MATERIALI E METODI
Le prove si sono svolte negli anni 1998, 1999
e 2000 in due località, Rovigo e Ambrogio
(Ferrara), nelle quali la cercospora ha diffusione endemica ed è mediamente di forte intensità. I terreni interessati dalle prove sono
d’origine alluvionale con elevata percentuale
d’argilla. Con parziali adattamenti agli esperimenti parcellari, le operazioni colturali hanno seguito le tecniche usuali nelle rispettive
zone. La semina di precisione è avvenuta su
file distanti 0.45 m. Sono state impiegate 6
varietà commerciali dotate di diversa resistenza alla cercospora: Gabriela e Contact
sensibili (Sens); Rizor e Adige intermedie
(Med); Dorotea e Monodoro resistenti
(Res). Le varietà sono state scelte anche per
le caratteristiche produttive simili e per la
loro buona resistenza alla rizomania. L’ultimo accorgimento doveva limitare le interferenze sui dati produttivi in caso d’infezioni
di scarsa intensità o irregolarmente distribuite e quindi non rilevabili all’ELISA. Con
campionamenti ed analisi prima della semina, i campi di prova sono risultati indenni
anche da Heterodera schachtii Schm. Nei tre
anni, si è fatto uso degli stessi lotti di seme
per evitare ogni altro fattore di variazione.
Allo stadio di almeno 2 paia di foglie vere, le
piantine sono state diradate a mano per ottenere una densità regolare di 10 bietole al metro quadrato. Per uniformare le condizioni
d’inoculo della cercospora, le prove sono
state infettate artificialmente con una sospensione di conidi preparata e distribuita come
descritto da Adams et al., 1995; Adams e
Märländer, 1996.
Per ottenere sulle prove diversi livelli d’infezione, sono stati adottati 3 programmi di
difesa con fungicidi: T0 = non trattato; T1 =
protezione normale, ossia ogni venti giorni
con inizio dalla prima comparsa delle macchie; T2 = protezione doppia, ogni dieci giorni ad iniziare dalla stessa data e con le modalità di T1. Il livello T2 doveva simulare o
almeno avvicinare le condizioni di assenza
della malattia, da un lato per differenziare al
massimo i livelli d’infezione, dall’altro per
quantificare i danni inevitabili anche con i
più efficaci mezzi di lotta oggi a disposizione. Con il programma T2, che ha richiesto
fino a 9 trattamenti, sono stati rilevati danni
fogliari ridotti, ma non trascurabili, special-
J
OL
R
P
LO
L
P
1
D
1
.
α
mente nell’ultima parte della campagna. È
sottinteso che a questo programma di difesa
manca ogni requisito per essere adottato nella
pratica coltivazione.
Nel triennio di prova, le prime macchie
sono comparse dal 18 al 20 giugno a Rovigo
e 5-8 giorni più tardi a Mirabello. Alle stesse date sono iniziati i trattamenti. È stato
impiegato il fungicida Alto BS, alla dose di
2 kg ha-1, distribuito in soluzione con 550 l
ha-1 d’acqua per mezzo di normali barre
irroratrici ad ugelli conici. Per la valutazione dell’intensità dei sintomi fogliari è stato
fatto uso di una scala che attribuisce un punteggio proporzionale all’area fogliare interessata dalle macchie (Ghedini, 2000). La
scala impiegata è accompagnata da disegni
che riproducono infezioni a crescenti livelli
(1, 5, 10, 20, 30 → 90% dell’apparato
fogliare primario). In accordo con Shane e
Teng, 1992, questo sistema di valutazione è
risultato più correlato con i dati produttivi
rispetto ad altre scale usate nel miglioramento genetico, meno precisamente definite specialmente alle basse intensità della malattia
(Miller et al., 1994). Delle tre osservazioni
svolte ad intervalli bisettimanali e concluse
il 15 settembre, è stata considerata quella di
fine agosto, solitamente la più precisa (Graf
e Biancardi, 1984). Le infezioni o
infestazioni di altri parassiti potenzialmente
dannosi (elateridi, altica, oidio, afidi,
mamestra ecc.) sono state evitate con appropriati mezzi chimici.
Nelle singole prove, le tesi ed i trattamenti sono stati ordinati a parcella suddivisa con
quattro ripetizioni. Le parcelle intere erano
destinate ai tre trattamenti fungicidi (T0, T1
e T2), le subparcelle alle sei varietà e le subsubparcelle alle tre epoche di raccolta (R1,
R2 e R3). La parcella elementare era di almeno 6.3 m2, in modo da permettere la raccolta di un numero di radici sufficiente per
le analisi produttive e tecnologiche
(Amaducci et al., 1982). Le raccolte si sono
svolte attorno al 20 agosto, 10 e 30 settembre, ossia nella parte centrale delle campagne saccarifere nelle zone considerate. La
lavorazione dei campioni e la determinazione dei dati produttivi sulle radici è stata eseguita presso il laboratorio dell’ISCI di
Rovigo. I dati elementari sono stati trasformati negli usuali parametri produttivi e tecnologici, facendo uso della formula di
Carruthers e Oldfield, 1961, per il calcolo
del coefficiente di purezza (RK). Come è
noto, la buona qualità tecnologica è associata ad alti valori di RK, che a loro volta
corrispondono a bassi contenuti di elementi
melassigeni nelle radici.
I dati del triennio, ordinati in uno schema
fattoriale, sono stati sottoposti ad ANOVA
per mezzo del programma Plabstat (Utz,
1991). Per ogni carattere e prima dell’elaborazione cumulativa, è stata verificata
l’omogeneità delle varianze dell’errore delle
5.
.
α1
1D
6HQV
0HG
.5
D]
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G
HW
QH
LF
LI
IH
R
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5HV
5HVLVWHQ]DJHQHWLFD
Figura 5 - Andamento dei tre principali elementi melassigeni (K, Na, αN) e del coefficiente di purezza
(RK) nei gruppi di varietà a diversa resistenza alla cercospora (vedi testo).
Figure 5 - Dynamics of the main nonsugars (K, Na, αN) and processing quality (RK) of the groups of
varieties endowed with different rates of cercospora l. s. resistance.
J
LO
R P
OLOL P
LRG R6 7
7
7
5
5
5
5DFFROWH
Figura 6 - Effetti sul sodio (Na) dell’interazione raccolte x trattamenti. L’interazione è significativa per
P ≤ 0.01.
Figure 6 - Significant interactions of harvest dates x treatments for sodium (Na) content.
J
LO
R
P
OLL P
RW
R]
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P
P
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$
7
7
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5
5
5
5DFFROWH
Figura 7 - Effetti sull’ alfa-amminoazoto (αN) dell’interazione raccolte x trattamenti. L’interazione
è significativa per P ≤ 0.01.
Figure 7 - Significant interaction of harvest dates x groups of varieties for α-amminonitrogen (αN)
content.
Agroindustria / Agosto 2002 135
.
5
D ]]
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WQ
HL
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IH R&
7
7
7
5
5
5
5DFFROWH
Figura 8 - Effetti sul coefficiente di purezza (RK) dell’interazione raccolte x trattamenti. L’interazione
è significativa per P ≤ 0.01.
Figure 8 - Significant interaction of harvest dates x treatments for processing quality (RK).
J
OL
R
LP
OL
P
RL
GR
6
6HQV
0HG
5HV
5
5
5
5DFFROWH
Figura 9 - Effetti sul sodio (Na) dell’interazione raccolte x varietà. L’interazione è significativa per
P ≤ 0.01.
Figure 9 - Significant interaction of harvest date x groups of varieties for sodium (Na) content.
.
5
D] ]H
UX
SL
GH WQ
HL
FLI IH
R&
5HV
0HG
6HQV
5
5
5DFFROWH
5
Figura 10 - Effetti sul coefficiente di purezza (RK) dell’interazione varietà x epoche di raccolta.
L’interazione è significativa per P ≤ 0.01.
Figure 10 - Significant interactions of harvest dates x groups of varieties for processing quality (RK).
136 Agroindustria / Agosto 2002
singole annate. Nelle figure che rappresentano gli effetti delle interazioni (da figura 6 a
figura 11), le barre verticali rappresentano
l’errore standard (SE). Le differenze tra le
medie ± SE sono significative al t-test.
RISULTATI E DISCUSSIONE
La figura 1 mostra l’evoluzione del saccarosio teorico in funzione dei livelli T0, T1
e T2 di trattamento con fungicidi, e dei gradi massimo e minimo di resistenza genetica
delle varietà (Res e Sens). La parte delle
curve a sinistra della prima raccolta (R1) è
stata disegnata in base a precedenti prove
svolte con campionamenti settimanali iniziati
il 15 maggio (Borrelli et al., 1990), dalle
quali è tra l’altro emerso che gli effetti della
resistenza genetica e dei trattamenti iniziano ad evidenziarsi dalla fine di giugno, ossia subito dopo il primo trattamento. Per
semplificare la grafica, la curva T2-Sens ed
il grado medio di resistenza (Med) sono stati omessi.
La malattia, se non controllata né con la
resistenza né con i trattamenti (curva T0Sens), è in grado di provocare, già dalla metà
d’agosto, una sensibile riduzione del saccarosio prodotto dalla coltura e contenuto nelle radici. Con i trattamenti ordinari (T1Sens), la riduzione dei danni causati dalla
malattia (rappresentati nella figura 1 dalla
differenza fra le ordinate della curva più alta
e quelle della più bassa) è di circa il 40% in
tutto il periodo considerato. La percentuale
raddoppia con l’utilizzo di varietà resistenti
(T1-Res). Secondo valutazioni che saranno
esposte in un successivo lavoro, la curva
della massima produzione teorica (assenza
o controllo completo della malattia) è molto
vicina alla curva T2-Res, anche se i danni
fogliari rilevati a fine campagna su queste
parcelle non sono stati trascurabili. Si può
osservare che la differenza tra la massima
produzione raggiungibile con il controllo
ordinario della malattia (T1-Res) e la curva
della produzione massima teorica, vicina
come si è detto alla curva T2-Res, si aggira
ancora attorno al 20% circa. Questo valore
può essere considerato una stima discretamente precisa della percentuale di saccarosio non recuperabile, e quindi perso, con gli
attuali sistemi di lotta integrata al massimo
della loro efficacia.
La figura 2 illustra l’andamento del
coefficiente di purezza (RK) nelle diverse
combinazioni di lotta integrata utilizzate
nelle prove. I tratti di curva antecedenti la
prima raccolta (R1) sono stati tracciati come
nella figura 1. L’effetto protettivo del trattamento T1 e della resistenza si equivalgono.
Contrariamente alla produzione di saccarosio (Fig. 1), l’effetto dei trattamenti normali
e della resistenza (T1-Res) sulla qualità
estrattiva è molto vicino a quello del trattamento T2-Res. Data la vicinanza della protezione ordinaria (T1-Res) con il massimo
J
LO R
LP
OL P
R
WR ]D
RQ
L P
P
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$
6HQV
0HG
5HV
7
7
7UDWWDPHQWL
7
Figura 11 - Effetti sull’alfa-amminoazoto (αN) dell’interazione trattamenti x varietà. L’interazione
è significativa per P ≤ 0.01.
Figure 11 - Significant interactions of treatments x groups of varieties for alpha amino nitrogen
(αN) content.
teorico, è quindi probabile che l’eventuale
impiego di trattamenti fungicidi più efficaci
(per frequenza, dose o principio attivo) non
avrebbe sostanziali benefici sulla qualità raggiungibile con i mezzi attuali. Appare infine
evidente, anche nel caso della qualità
estrattiva, l’utilità delle misure di lotta integrata alla cercospora che, nella loro efficacia operativa, determinano incrementi di oltre due punti sul coefficiente di purezza
(RK).
La tabella 1 riporta una sintesi dell’analisi della varianza complessiva e gli effetti sui
parametri qualitativi delle fonti di variazione e delle loro interazioni. I dati di produzione saranno considerati in un prossimo
lavoro. Per brevità, si omette il commento
dei fattori di variazione anno e località, in
buona parte altamente significativi. L’assenza di differenze significative sulla produzione di saccarosio conferma l’omogeneità delle
reazioni della coltura ai fattori di variazione
presenti nelle località, come rilevato da Smith
e Martin, 1978 e da Smith, 1985. Le risposte
dei parametri quanti-qualitativi alle epoche
di raccolta (R), ai trattamenti (T) e ai gruppi
di varietà (V) sono tutte altamente significative.
Considerando le epoche di raccolta (R),
accanto ad un incremento notevole della produzione di saccarosio in funzione del tempo, si notano piccole variazioni dei tre principali elementi melassigeni (K, Na e αN),
che causano nella loro azione complessiva
un lieve peggioramento di RK (Fig. 3).
Il minor grado d’infezione causato dai trattamenti (Fig. 4) aumenta di circa 0.2 millimoli
(mmol) la concentrazione di potassio (K),
mentre l’alfa-amminoazoto (αN) e soprattutto il sodio (Na) diminuiscono, come segnalato in altri lavori (Schäufele e Wewers,
1996; Adams e Schäufele, 1996). Il
coefficiente di purezza (RK) aumenta di quasi due punti con il trattamento T1, confer-
.
5
D]
]H
UX
SL
GH
WQ
HL
FIL
IH
R&
U
d
3 $UHDIRJOLDUHFROSLWD
Figura 12 - Correlazione tra le valutazioni dell’area fogliare ammalata e la qualità tecnologica espressa
come coefficiente di purezza (RK). Il coefficiente di correlazione r è significativo per
P ≤ 0.01.
Figure 12 - Correlation between the evaluations of diseased leaf area and processing quality (RK). The
correlation coefficient r is significant for P ≤ 0.01.
mando l’importanza di un’attenta difesa
anticercosporica anche per il contenimento
dei danni sulla qualità tecnologica. L’efficacia di T1 si dimostra molto vicina a quella di
T2 e quindi al massimo teorico.
La risposta delle varietà provviste di diversi livelli di resistenza è illustrata nella figura 5. È evidente l’effetto migliorativo del
crescente grado di resistenza sul sodio (Na)
e sull’alfa-amminoazoto (αN). L’incremento di quest’ultimo parametro, rilevato da diversi autori (Smith e Martin, 1978; Adams e
Schäufele, 1996), potrebbe dipendere dalla
maggiore sintesi di glutammina indotta dalla malattia a livello fogliare (Burba, 1983).
Si ricorda che i tre livelli considerati sono
composti da due varietà ciascuno; è quindi
probabile che le rese produttive e qualitative
siano influenzate anche da fattori genetici
diversi dalla resistenza alla cercospora. Per
il potassio (K), si osserva un aumento significativo di concentrazione per le varietà a
resistenza intermedia, probabilmente originata dalle altre caratteristiche appena ricordate. Il calo di due elementi melassigeni su
tre causa un discreto incremento del
coefficiente di purezza (RK), proporzionale
al grado di resistenza alla cercospora posseduto dalle coppie di varietà.
Nella tabella 1 sono riportate le interazioni
tra le variabili considerate. Di seguito sono
commentate le interazioni tra i parametri
qualitativi risultate significative per P ≤ 0.01.
L’interazione trattamenti (T) x raccolte (R)
causa una lieve diminuzione del sodio (Na)
alla seconda raccolta ed un aumento nella
terza, ossia nel periodo di maggiore intensità della malattia (Fig. 6). T0 si differenzia
statisticamente rispetto a T1 e T2, molto simili tra loro. L’alfa-amminoazoto (αN) cala
con la data di raccolta (Fig. 7). Anche in
questo caso, T1 e T2 non si differenziano. Il
coefficiente di purezza (RK) migliora nettamente con l’intensità dei trattamenti e tende
a rimanere stabile nel corso delle raccolte, a
differenza di T0 (Fig. 8).
Per quanto riguarda l’interazione gruppi
di varietà (V) x epoche di raccolta (R), i diversi gradi di resistenza si differenziano nettamente per il sodio (Na), ma presentano limitate variazioni nel corso delle raccolte
(Fig. 9). Il coefficiente di purezza (RK) cambia di poco in funzione del tempo (Fig. 10).
Le varietà resistenti superano sempre di oltre un punto sia le sensibili sia le intermedie.
I tre gruppi di varietà ed i tre livelli di trattamento (Fig. 11) hanno interazioni significative per l’alfa-amminoazoto (αN). Le varietà resistenti (Res) hanno sempre un comportamento migliore delle altre due categorie. Il trattamento T2 non provoca incrementi
sensibili sul coefficiente di purezza (figura
non riportata), suggerendo che, per l’aspetto qualitativo, i trattamenti ordinari sono
sufficienti per un controllo pressoché totale
Agroindustria / Agosto 2002 137
dei danni causati dalla cercospora.
L’evoluzione dell’infezione sulle foglie è
stata seguita con ripetuti rilievi. Il sistema
adottato si è dimostrato altamente correlato
con i cali di produzione e di qualità estrattiva
che la cercosporiosi è in grado di provocare.
Nella figura 12 è tracciata la retta di
regressione riferita alla correlazione tra la
qualità estrattiva e le valutazioni visive dell’attacco.
CONCLUSIONI
I mezzi di lotta integrata oggi disponibili,
se usati correttamente e tempestivamente,
permettono il recupero di circa l’80% delle
perdite sulla produzione di saccarosio causate dalla cercospora. Questa percentuale è
stata stimata con trattamenti chimici, eseguiti
con frequenza doppia rispetto alla norma, che
riducono quasi del tutto i sintomi della malattia. Con lo stesso sistema, si è accertato
che l’impiego della normale difesa chimica
sulle varietà resistenti oggi sul mercato riduce in maniera pressoché totale il danno
sulla qualità estrattiva. Impiegando al meglio gli odierni sistemi di lotta, si riducono
le concentrazioni di sodio e di alfaamminoazoto e s’innalza di quasi due punti
il coefficiente di purezza. Per limitare al
massimo i danni produttivi e qualitativi della cercospora, si conferma la necessità di
applicare rigidamente le varie misure operative di lotta integrata. Infine, occorre attenuare l’attuale impatto ambientale della difesa anticercosporica con azioni volte non
solo ad aumentare il livello di resistenza genetica delle varietà, ma anche ad affinare al
massimo le tecniche di ed i calendari di trattamento.
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Stima della qualità in barbabietola da zucchero (Beta vulgaris L. var. saccharifera):
prime esperienze con l’uso del modello CropSyst
Stefania Poggiolini, Marcello Donatelli1, Lorenzo Barbanti, Ugo Peruch2, C. Ribeyre, Gianni Bellocchi1
Agronomica S.r.l. Consortile, via del Lavoro 17, 44100 Ferrara; Centro Sperimentale, via S. Alberto 325, 48100 Ravenna
1
Istituto Sperimentale per le Colture Industriali, via di Corticella 133, 40128 Bologna
2
Eridania S.p.a., via del Lavoro 17, 44100 Ferrara
RIASSUNTO
Una prova sperimentale su barbabietola da zucchero è stata condotta a Ca’ Bosco (Ravenna) nell’anno 2000 allo scopo di studiare la risposta quantiqualitativa della coltura a clima e agrotecnica. L’ambiente di prova è stato caratterizzato mediante il rilievo di variabili climatiche e pedologiche. La
coltura è stata seminata a febbraio e condotta sia in regime asciutto sia irriguo e applicando tre livelli di concimazione azotata: 0, 90, 180 kg ha-1. Sulla
coltura sono stati eseguiti rilievi produttivi in due epoche di estirpamento (22 agosto e 18 settembre). Per ciascuna epoca sono stati rilevati: resa radici,
polarizzazione, melassigeni (N alfa-amminico, Na, K), purezza del sugo denso (PSD). In particolare, sono state individuate relazioni empiriche tra due
parametri della qualità (N alfa-amminico e PSD) e l’indice medio di stress per la nutrizione azotata della coltura (NSI) prodotto dal modello di
simulazione CropSyst. Le due relazioni (esponenziale e logaritmica rispettivamente) hanno dato valori di r2 superiore a 0.70. Il set di dati pedologici,
climatici e colturali raccolti nel corso della prova ha permesso di calibrare il modello, che è stato utilizzato per simulare su un arco temporale esteso (50
anni) i due parametri qualitativi della barbabietola, inserita in avvicendamento biennale con il frumento tenero. L’obiettivo è stato quello di valutare la
precisione di stima dei parametri qualitativi in rapporto alla variabilità climatica. I risultati non hanno messo in evidenza differenze tra le tesi asciutte
e quelle irrigue mentre sensibili differenze sono state registrate tra i diversi livelli del fattore azoto (per es., nel 50% dei casi generati α-N è pari a circa
8.5 mmol %°S in assenza di fertilizzazione azotata, a circa 13.5 mmol %°S con il livello intermedio di azoto, a circa 18.5 mmol %°S con il livello più
elevato). Da questo studio sono emerse le potenzialità di impiego del modello di simulazione per sistemi colturali CropSyst come strumento
previsionale di parametri produttivi di tipo qualitativo.
Parole chiave: CropSyst, modellazione, qualità, barbabietola da zucchero
ABSTRACT
Estimating sugar beet quality: first approach with the CropSyst model
The CropSyst model was evaluated for its ability to simulate outputs associated with yield quality in sugar beet in response to different levels of water
supply (rainfed and irrigated conditions) and nitrogen fertilisation (0, 90, 180 kg ha-1 N) at Ca’ Bosco (Ravenna), Northern Italy. This area is a critical
environment, since weather variability may affect both crop yield and quality, via water and nitrogen availability.
Experimental data collected during the 2000 growing season were used for this study. Soil features were analysed prior to crop sowing. A complete data
set of daily weather data was recorded. Crop sampling regarded biomass components every week and yield data at two harvest dates (August 22 and
September 18). With reference to yield samplings, the following were determined at both times: root yield, polarisation, non-sucrose components
(alpha-amino-nitrogen, sodium, potassium), thick juice purity (PSD). The whole data set provided inputs for the Cropsyst model and made it possible
to calibrate growth parameters.
Close relationships (goodness-of-fit higher than 0.70) were identified between two parameters of sugar beet quality (i.e, alpha-amino-nitrogen and
PSD) and the average nitrogen stress index (NSI), the latter estimated by means of the simulation model CropSyst. The greater the NSI, the smaller the
amount of alpha-ammino-nitrogen in the sugar beet and the larger the juice purity. Fifty years of synthetic daily weather data, produced by the weather
generator ClimGen, allowed CropSyst to simulate a long-term rotation sugar beet-winter wheat, in order to evaluate the impact of weather variability on
quality parameter estimation. The variability of both alpha-amino-nitrogen and PSD was evaluated by means of probability of exceedence. No consistent
difference emerged between rainfed and irrigated crops. On the contrary, the difference between fertilisation treatments was considerable. Taking for
instance the probability of 50% for alpha-ammino-nitrogen, it occurred at about 8.5 mmol %°S when no nitrogen was applied, at about 13.5 mmol %°S
when an intermediate level of nitrogen was applied, and at about 18.5 mmol %°S when the crops were well-supplied.
Even if improvements in the model are required to simulate growth based on variable source-sink relationships, these preliminary simulation results are
encouraging. A better knowledge of the relationship between nitrogen availability for the crop and sugar beet quality would make it possible to develop
a modelling tool for quality prediction and farmer assistance.
Key words: CropSyst, modelling, quality, sugar beet
INTRODUZIONE
L’areale di coltivazione della barbabietola da zucchero nel Nord Italia è inserito in
un ambiente di transizione tra la situazione
tipicamente mediterranea, a semina
Autore corrispondente: Donatelli M., Istituto Sperimentale
per le Colture Industriali, via di Corticella 133, 40128
Bologna. Tel.: 051 6316843 - Fax: 051 374857
E-mail: [email protected]
Ricerca finanziata da Eridania S.p.a (prova sperimentale)
e con il contributo del programma finalizzato del Ministero
delle Politiche Agricole e Forestali su “Miglioramento
della barbabietola da zucchero per l’ambiente
mediterraneo.
autunnale e con significativo supporto
irriguo, e quella d’oltralpe, fino al limite nord
del 60°-63° parallelo, dove la barbabietola
viene seminata in primavera e la disponibilità idrica naturale è generalmente sufficiente
per le esigenze della coltura (Cavazza et al.,
1983). La produzione areica potenziale di
saccarosio che emerge da una serie di riscontri oggettivi è elevata. Nella pratica si riscontra, invece, una differenza di produzione
areica media con i Paesi dell’areale più vocato,
che testimonia la difficoltà di conseguire il
potenziale produttivo (Casarini et al., 1999).
Ne deriva un ristagno produttivo particolarmente pericoloso, perché allontana l’Italia
dal resto dell’Unione Europea alla vigilia della liberalizzazione del commercio dello zucchero. La variabilità climatica che è tipica di
questa zona è la principale responsabile delle altalenanti performance colturali (Peruch
et al., 2000) e della difficoltà di tenere il passo con i Paesi a più spiccata vocazione
bieticola: infatti, in queste condizioni si accentuano gli effetti negativi sulla produzione
di una serie di fattori quali elementi patogeni,
in particolare cercospora, nematodi e
Agroindustria / Vol. 1 / Num. 2 2002 139
Tabella 1 - Caratteristiche della prova sperimentale.
Table 1 - Experimental layout.
)DWWRUH: Acqua (2 livelli)
Fattori studiati
1.Asciutto
2.Irriguo (restituzione 100% ETo)
)DWWRUH: Azoto (3 livelli)
–1
1.N = 0 kg ha
–1
2.N = 90 kg ha
–1
3.N = 180 kg ha
-1
-1
(90 kg ha alla semina + 90 kg ha in copertura)
Schema sperimentale
Blocco randomizzato con 4 ripetizioni
Superficie parcellare
18.9 m
Semina
22/02/2000
Raccolta
1° estirpamento (22/08/00)
2° estirpamento (18/09/00)
Precessione:
Frutteto
Cultivar
Dorotea (tipologia EN)
Tolleranze genetiche
Media (Cercopsora)
Buona (Rizomania)
2
rizomania, dei problemi dell’epoca di raccolta e dello stoccaggio in cumulo delle barbabietole. A questi si aggiungono una spesso
errata nutrizione azotata e l’incostante disponibilità idrica, che sono causa non marginale della variabilità produttiva (Draycott e
Martindale, 2000; Gnudi, 2000; Barbanti et
al., 2002). L’assorbimento di azoto, il suo
impiego da parte della pianta e la sua
allocazione nei diversi organi dipendono dall’umidità del terreno, il cui andamento nel
corso del ciclo non sempre corrisponde alle
esigenze della pianta. In particolare, la fase
più critica nel corso della campagna
saccarifera è quella finale, che si identifica
con il cosiddetto “terzo modulo di raccolta”
(orientativamente dal 20 settembre in poi).
In questa fase, in corrispondenza di una ripresa delle precipitazioni caratteristica della
fine estate, avviene sovente una caduta del
titolo polarimetrico non sufficientemente
compensata da un aumento proporzionale
di resa in radici, che si traduce quindi in un
calo della produzione lorda vendibile (PLV)
e in un peggioramento qualitativo. I livelli
produttivi non elevati e il basso titolo zuccherino mettono a rischio sia il reddito del
coltivatore sia l’industria saccarifera. Il fenomeno delle basse produzioni possiede una
serie di sfaccettature che sfuggono al con-
Figura 1 - Andamento delle principali variabili climatiche (precipitazioni, temperature massime e minime)
durante il ciclo colturale 1999/2000.
Figure 1 - Time course of the main weather variables (rainfall, maximum and minimum temperature)
during the crop cycle 1999/2000.
140 Agroindustria / Agosto 2002
trollo dei mezzi tecnici in tutte le epoche di
raccolta, come emerge anche dalla
sperimentazione condotta finora. L’assistenza agli agricoltori richiede una chiara comprensione del sistema suolo-coltura in rapporto all’interazione acqua-azoto, condizionata dall’agrotecnica e dalle precedenti colture. I modelli di simulazione, supportati
dalla sperimentazione in campo, possono
migliorare la comprensione del sistema, permettendo lo sviluppo di strumenti per l’assistenza tecnica e per la stima della qualità
del prodotto.
Gli obiettivi di questo lavoro sono quindi:
- studiare la risposta della coltura a clima e
agrotecnica;
- utilizzare un modello di simulazione per
coltura/sistema colturale al fine di valutare l’effetto dell’agrotecnica sui parametri
qualitativi.
MATERIALI E METODI
Prova agronomica. La sperimentazione
è stata realizzata nell’anno 2000 presso la
stazione di ricerca di Agronomica S.r.l. di
Cà Bosco (Ravenna) (lat.: 44° 28’ Nord,
long.: 12° 10’ Est, alt. 3 m slm). La prova è
stata effettuata in assenza di fattori limitanti
per condizioni agronomiche generali, di parassiti, malattie e infestanti. Le caratteristiche della prova nonché le variabili rilevate
nel corso del ciclo colturale sono riportate
nelle tabelle 1 e 2 rispettivamente.
Il modello CropSyst. Le simulazioni sono
state effettuate con il modello per la simulazione di sistemi colturali CropSyst (Stöckle
et al., 2002). Il modello CropSyst consente
la simulazione di sviluppo e crescita delle
colture anche in risposta alla concentrazione di CO2 nell’aria, del bilancio idrico e
dell’azoto nel suolo, dell’erosione e della
salinizzazione del suolo, e dell’agrotecnica
(irrigazioni, lavorazioni e concimazioni). Il
modello CropSyst è stato sviluppato con
l’obiettivo di rendere disponibile uno strumento che consentisse lo studio dei sistemi
colturali in rapporto a clima, suolo e
agrotecnica. Il modello ha un passo di integrazione giornaliero e rende disponibili in
output valori giornalieri e annuali di variabili
relative al ciclo della coltura. Per le simulazioni è stata utilizzata la versione 3.17 della
suite di programmi CropSyst.
Le simulazioni. Le simulazioni effettuate
hanno avuto due scopi: 1) calibrare il modello sulla prova sperimentale e sviluppare
relazioni empiriche tra nutrizione azotata e
qualità del prodotto; 2) simulare scenari stimando la qualità del prodotto ottenibile in
un avvicendamento barbabietola-frumento
tenero per 6 trattamenti derivanti da 3 livelli
di concimazione azotata e 2 livelli di disponibilità idrica (Tab. 1).
Gli input giornalieri di precipitazione e
temperatura (massima e minima) sono stati
Tabella 2 - Variabili rilevate.
Table 2 - Sampled variables.
Variabile
Periodicità
Raccolta dati meteorologici: precipitazioni, temperature massime e minime,
evaporato
Giornaliera
Disponibilità idrica nel suolo negli strati 0.00-0.30, 0.30-0.60, 0.60-0.90 e 0.90-1.20
m di profondità
Settimanale
(primo rilievo: 4 maggio)
Caratteristiche chimico – fisiche del suolo negli strati 0.00-0.30, 0.30-0.60, 0.60-0.90
e 0.90-1.20 m di profondità: tessitura, pH, CSC, calcare tot. e att., sostanza organica,
C/N, salinità, N tot. (Kjeldahl), N ass. (CaCl2 0.01 M), P ass. (Olsen), K sc., Fe ass.,
Mn ass., Zn ass., Cu ass., B ass.
inizio ciclo
Partizione della biomassa vegetale: peso fresco e sostanza secca di radici, colletti,
2
piccioli e lamine (sup. 2.25 m )
Settimanale
Indice di area fogliare (LAI) (campioni di 5 piante)
Settimanale
Azoto totale (Kjeldahl) assimilato nei diversi organi (radici, colletti, piccioli e lamine)
Azoto assimilabile (CaCl2 0.01 M) del suolo negli strati 0.00-0.30, 0.30-0.60, 0.600.90 e 0.90-1.20 m di profondità
Settimanale
2
Parametri quanti–qualitativi della produzione in due epoche di raccolta (sup. 6.3 m )
Figura 2 - Anomalie delle temperature massime e minime mensili registrate nel 1999/2000 a Ravenna
rispetto alla media 1978/1979 – 1998/1999 dell’areale di sperimentazione.
Figure 2 - Monthly maximum and minimum air temperature anomalies recorded at Ravenna during the
crop cycle 1999/2000, compared to long-term average values (1978/1979 - 1998/1999) recorded in the
experimental area.
Figura 3 - Anomalie delle precipitazioni mensili registrate nel 1999/2000 a Ravenna rispetto alla media
1978/1979 - 1998/1999 dell’areale di sperimentazione.
Figure 3 - Monthly rainfall anomalies recorded at Ravenna during the crop cycle 1999/2000, compared
to long-term average values (1978/1979 - 1998/1999) recorded in the experimental area.
Settimanale
1° estirpamento (22/08/00)
2° estirpamento (18/09/00)
rilevati mediante una stazione agro-meteorologica ubicata in prossimità del sito sperimentale. I dati giornalieri di radiazione solare
sono stati stimati con il modello CampbellDonatelli (Donatelli e Campbell, 1998) implementato nel software RadEst (Donatelli
et al., 2002).
I valori dei parametri colturali sono stati
estratti prevalentemente dal manuale di
CropSyst. Alcuni parametri sono stati
calibrati utilizzando i dati sperimentali. In
particolare, il valore del coefficiente
biomassa-traspirazione (K BT=9) è stato
calibrato sui dati di crescita della biomassa
aerea. Alcuni parametri idrologici del suolo
(es. massa volumica apparente) sono stati
stimati utilizzando funzioni di pedotransfer
implementate nel software SOILPAR
(Acutis e Donatelli, 2002).
Relazioni empiriche sono state individuate
tra l’indice di stress azotato (NSI) prodotto
da CropSyst e i due parametri qualitativi
azoto alfa-amminico (α-N, mmol % °S) e
purezza del sugo denso (PSD, %). La qualità della barbabietola è associata a bassi valori di α-N e ad alti valori di PSD.
Da una serie di 10 anni di dati meteorologici giornalieri rilevati in prossimità del sito
sperimentale (anche se pochi in relazione alla
variabilità attesa delle precipitazioni in una
località) sono stati ricavati i parametri utilizzati per generare 50 anni di dati sintetici attraverso il generatore di clima ClimGen
(Stöckle et al., 2001). I dati climatici sintetici
sono stati impiegati per simulare scenari di
lungo periodo per un avvicendamento biennale barbabietola-frumento tenero mediante
CropSyst. I parametri colturali per il frumento tenero sono stati ricavati da simula-
Agroindustria / Agosto 2002 141
$6&,8772
,55,*82
P
P
P
P
ro potenziale di azoto
i = giorno del ciclo della coltura
n = numero totale di giorni dall’emergenza
della coltura alla raccolta.
I valori di NSI sono adimensionali e variano da 0 (assenza di stress) a 1 (assenza di
crescita).
Le relazioni empiriche che legano NSI a
α-N e PSD hanno permesso di stimare la
variabilità dei due parametri di qualità in
rapporto ai sei trattamenti risultanti dalla
combinazione di tre livelli di azoto per due
livelli di disponibilità idrica. Per le variabili
di output NSI, α-N e PSD sono stati presentati i grafici delle probabilità cumulate dell’eccedenza, ovvero la probabilità di ottenere dati eguali o superiori a un dato valore.
Per ciascuna variabile, dopo aver ordinato
tutti i valori dal più grande al più piccolo, la
probabilità dell’eccedenza (Pe, %) è calcolata come (Weibull, 1961):
JLRUQLGHOO
DQQR
JLRUQLGHOO
DQQR
.
Figura 4 - Andamento della riserva idrica facilmente utilizzabile.
Figure 4 - Available soil water content during the crop cycle.
zioni precedenti (Donatelli e Bellocchi, comunicazione personale). La conduzione
agronomica del frumento è stata implementata in conformità con l’agrotecnica tradizionale della zona, con applicazione di 150 kg
ha-1 N (40 kg ha-1 alla semina, 110 kg ha-1 in
copertura). L’irrigazione è stata applicata alla
barbabietola usando l’opzione automatica di
CropSyst, impostata in modo da approssimare un normale ciclo di irrigazione. I residui
di entrambe le colture sono stati interrati 30
giorni dopo la raccolta. Ciascun trattamento
è stato simulato senza reinizializzare le variabili di stato ogni anno, in modo da consi-
derare l’evoluzione dello stato del suolo nel
tempo.
L’output di riferimento delle simulazioni
di lungo periodo è stato l’indice medio di
stress per la nutrizione azotata della coltura
(NSI). Questo indice viene calcolato come:
n
NSI = 1 − ∑
i =1
Pe =
m
⋅ 100
n +1
dove:
m = numero d’ordine dei valori nella scala decrescente (m=1 corrisponde al valore
più elevato)
n = numero totale dei valori
AEN i
/i
APN i
dove:
AEN = stima dell’assorbimento giornaliero effettivo di azoto
APN = stima dell’assorbimento giornalie-
RISULTATI E DISCUSSIONE
Andamento climatico. L’andamento climatico che ha caratterizzato l’annata è ripor-
Tabella 3 - Parametri quanti-qualitativi della produzione.
Table 3 - Quanti-qualitative yield parameters.
1° Estirpamento 22/08/00
Resa radici
-1
(t ha )
Fattore 1. irrigazione
ASCIUTTO
85.6
IRRIGUO
100.4
Fattore 2. Azoto
-1
83.1
N = 0 kg ha
-1
93.4
N = 90 kg ha
-1
102.4
N = 180 kg ha
MEDIA
85.6
CV%
5.9
2° Estirpamento 18/09/00
TESI
Fattore 1. irrigazione
ASCIUTTO
91.8
IRRIGUO
113.0
Fattore 2. azoto
-1
95.1
N = 0 kg ha
-1
105.2
N = 90 kg ha
-1
106.8
N = 180 kg ha
MEDIA
102.4
CV%
5.0
Sacc.
teorico
-1
(t ha )
Pol.
(%)
K
mmol
(% °S)
B 17.4
A 17.2
ns 14.8
ns 17.2
B
A
C 18.2
B 17.7
A 16.0
17.39
1.7
A
B
C
15.2
16.5
16.4
14.82
6.6
B 18.3
A 17.0
A
B
B 18.3
A 18.0
A 16.8
17.69
2.7
A
A
B
29.2
32.5
Na
mmol
(% °S)
AK
PSD
(%)
PLV
-1
( ha )
B 16.1
A 17.6
ns 2.23 ns 92.2
ns 2.48 ns 91.0
A 4467 B
B 5165 A
b 26.8 C 3.6
a 29.4 B 4.7
ab 36.3 A 11.6
29.23
4.69
6.2
30.0
B 11.6
B 14.8
A 24.2
16.13
17.5
C
B
A
2.69 a
2.34 ab
2.03 b
2.22
20.2
93.4
92.4
89.1
92.22
0.6
A 4648 ns
B 5030 ns
C 4777 ns
4471
6.9
16.8
19.2
B
A
B 18.3
A 21.5
b
a
1.47 b
1.64 a
93.0
91.5
A 5165 B
B 5753 A
17.4
18.9
17.8
18.03
6.8
ns 21.1 C 3.2
ns 23.0 B 4.1
ns 28.8 A 9.8
24.28
5.72
4.7
24.0
B 14.3
B 18.4
A 27.0
19.88
13.2
C
B
A
1.71 a
1.53 ab
1.43 b
1.56
11.8
93.9
92.9
90.0
92.24
0.8
A 5345 ns
B 5753 ns
C 5278 ns
5459
7.8
22.2
26.4
B 4.7
A 8.6
α-N
mmol
(% °S)
B 4.0
A 7.4
Lettere diverse indicano differenze significative per P≤0.05 (lettere minuscole) e P≤0.01 (lettere maiuscole), ns indica differenze non significative
(test di Student-Newman-Keuls di separazione delle medie).
142 Agroindustria / Agosto 2002
Figura 5 - Valori della polarizzazione in funzione dell’azoto, dell’irrigazione e dell’epoca di raccolta.
Figure 5 - Sugar content in sugar beet (polarization) as affected by nitrogen supplied, irrigation water
supplied and harvest date.
35
N180 Irr
D1PPRO
30
D 1
25
H[S16,
U N180 Asc
20
N0 Asc
N90 Irr
15
N90 Asc
10
N0 Irr
5
0
0.00
0.05
0.10
0.15
0.20
0.25
16,
95
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94
N0 Irr N0 A s c
N90 Irr
93
92
91
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6
3 90
N1 8 0 Asc
36 ' OQ16 , U 89
88
N180 Irr
87
0.0 0
0.0 5
0 .1 0
0 .1 5
0.20
0.2 5
16 ,
Figura 6 - Relazioni tra due parametri qualitativi della barbabietola (α-N e PSD) rilevati durante il ciclo
colturale 1999-2000 e l’indice medio di stress azotato (NSI) simulato con il modello CropSyst.
Figure 6 - Relationships between two quality parameters in sugar beet (α-N and PSD) detected during
the crop cycle 1999-2000, and the CropSyst-simulated average nitrogen stress index (NSI).
tato nella figura 1.
Prendendo come riferimento i dati di temperatura e di precipitazione storici di una
stazione meteo rappresentativa dell’areale di
prova, si evidenziano gli aspetti che hanno
caratterizzato l’andamento climatico nel
1999/2000 (Figg. 2 e 3). Le temperature
massime indicano un momento di sensibile
scostamento in diminuzione dai valori medi
dell’ultimo ventennio nel mese di luglio, con
valori inferiori fino a 6 °C. Le temperature
minime indicano due momenti di
scostamento dai valori medi della serie storica: aprile con variazioni di 2-3 °C in aumento e luglio con valori da 1 a 2.5 °C in
diminuzione. Per quanto riguarda l’andamento delle precipitazioni, si rilevano condizioni di elevata piovosità nel periodo ottobre–dicembre 1999 (Fig. 1), con forte incremento rispetto alla media storica considerata (+182 mm) (Fig. 3). Nell’arco di questi 3 mesi si è accumulato il 57% delle piogge dell’annata. Nei periodi successivi, infatti, le precipitazioni registrate sono risultate
inferiori (-75 mm a gennaio-marzo; -32 mm
ad aprile-giugno; -51 mm a luglio-settembre 2000) rispetto alla media storica.
Umidità del suolo. In corrispondenza delle parcelle non irrigue, l’acqua disponibile
si è esaurita nello strato 0.00-0.30 m a 80
giorni dalla semina (12 maggio), nello strato 0.30-0.60 m a 93 giorni dalla semina (25
maggio) e nello strato 0.60-1.20 m a 170
giorni (10 agosto) (Fig. 4). Gli apporti idrici
dovuti alle precipitazioni hanno consentito
un lieve recupero dell’umidità solamente in
corrispondenza del 181° e del 236° giorno
dell’anno (30 giugno e 24 agosto rispettivamente).
In base al bilancio idrico calcolato su base
evaporimetrica, dalla fase fenologica di 6
coppie di foglie vere (18 maggio) fino all’epoca del 1° estirpamento (24 agosto), è
risultato un deficit idrico pari a 380 mm.
Nelle parcelle irrigue un volume utile di
190 mm suddiviso in 5 adacquamenti di 35–
40 mm (5, 12, 19, 26 giugno, 10 luglio), ha
sopperito alle esigenze idriche della coltura
nella fase di maggior accumulo della
biomassa, contrastando il progressivo
disseccamento del suolo sia negli strati più
superficiali (0.00-0.60 m), sia in quelli più
profondi (0.60-1.20 m) (Fig. 4). Il deficit
idrico cumulato dall’inizio del computo (18
maggio) alla fine della stagione irrigua (10
luglio) è stato di 221 mm. L’irrigazione ha
pertanto compensato l’86% di tale deficit,
poiché il primo intervento, programmato per
il 2 maggio, è stato posticipato per stimolare
l’approfondimento delle radici. La falda
freatica superficiale si è mantenuta costantemente al di sotto di 2 metri dalla superficie del suolo, quindi difficilmente
emungibile da parte della pianta.
Caratteristiche del suolo. La tessitura è
risultata limo-argillosa nello strato 0.00-0.30
Agroindustria / Agosto 2002 143
100
80
D
]Q
HG 60
HF
FH
OO
HG 40
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20
0
0.0
0.1
0.0
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0.4
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30.0
40.0
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100
80
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100
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HG 60
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0
75
80
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95
100
36'
1 $ VF
1 $ VF
1 $ V F
1 ,U U
1 ,UU
1 ,UU
Figura 7 - Simulazioni con il modello CropSyst dell’avvicendamento barbabietola da zucchero-frumento
tenero su 50 anni: probabilità cumulate dell’eccedenza dei valori di NSI, α-N e PSD su barbabietola.
Figure 7 - Exceedence probability distributions of NSI, α-N e PSD in sugar beet for 50 years CropSyst
simulations of the sugar beet-winter wheat rotation.
m e argillosa nei due strati più profondi. Lungo il profilo considerato si verifica una progressiva sostituzione delle diverse componenti granulometriche, con una diminuzione
del contenuto di sabbia che passa dal 28
all’8%, un incremento del limo da 48 a 60%,
e un aumento dell’argilla da 24 a 32%.
In base alle analisi chimiche, risulta un
144 Agroindustria / Agosto 2002
suolo a reazione alcalina (pH=8.4), sensibilmente calcareo (28% di calcare totale e 11%
di calcare attivo), con una buona dotazione
di sostanza organica, decrescente lungo il
profilo da 2.88 a 1.32%. Anche il contenuto
di azoto totale decresce lungo il profilo analizzato da 1.30 a 0.73%. Il rapporto C/N
indica una tendenza all’immobilizzazione
dell’azoto per processi di organicazione, più
marcata nello strato 0.00-0.30 m (C/N=13.3)
rispetto ai due successivi (C/N=11).
Il contenuto di fosforo assimilabile è buono nello strato più superficiale (17 mg kg-1,
metodo Olsen), mentre è molto scarso in
quelli più profondi (1 mg kg-1). In termini di
azoto disponibile (N-CaCl2, somma delle
frazioni estratte), a inizio prova è emersa una
dotazione sufficiente (19 mg kg-1). Dalle
analisi non risultano, infine, carenze di
microelementi.
Parametri quanti–qualitativi della produzione. I risultati produttivi nei due
estirpamenti (resa radici, polarizzazione, saccarosio, potassio, sodio, azoto alfaamminico, coefficiente di alcalinità dei sughi, purezza del sugo denso) sono riportati
nella Tab. 3.
Tra i due estirpamenti la resa in radici è
incrementata come atteso, ma senza apprezzabili flessioni polarimetriche. La qualità interna del prodotto, espressa come PSD, migliora leggermente in virtù di un abbassamento
del potassio. Il prolungamento della vegetazione si è quindi tradotto in un beneficio di
reddito sia agricolo sia industriale, in contrasto con l’andamento tipico per la coltura.
All’interno dei singoli estirpamenti, l’efficienza dei due fattori studiati, acqua e azoto,
è risultata variabile: entrambi determinano
aumenti di resa in radici dell’ordine del 1520%, ma la polarizzazione flette vistosamente per effetto dell’azoto, assai meno per effetto dell’irrigazione. Anche dal punto di
vista qualitativo, l’azoto induce un calo di
PSD di circa 3.5 punti percentuali in entrambe le epoche, laddove la diminuzione legata
all’irrigazione è di poco più di un punto.
In pratica, entrambi i fattori tecnici si confermano determinanti ai fini produttivi, ma
il loro impiego richiede un’attenta
calibrazione per far fronte ai relativi costi
(soprattutto l’irrigazione) ed alle
controindicazioni tecniche (soprattutto
l’azoto).
L’aspetto della polarizzazione, che è attualmente motivo di particolare attenzione
sia da parte agricola sia industriale, merita
un esame più approfondito. L’interazione
irrigazione x azoto x epoche di raccolta (Fig.
5) evidenzia una sostanziale tenuta del dato
in assenza di azoto, a prescindere dal regime irriguo e dall’epoca di raccolta. Viceversa, con la dose più alta di azoto (180 kg ha-1),
la polarizzazione regge apprezzabilmente
rispetto al non concimato solo in asciutto
nell’estirpamento tardivo, mentre decresce
nelle altre tre combinazioni (irriguo in entrambe le epoche e asciutto-precoce).
Complessivamente, il contenuto calo della polarizzazione tra prima e seconda raccolta contrasta con i timori di fondo della
bieticoltura legati alla “retrogradazione” del
titolo nel corso della campagna, ma rispecchia
fedelmente le caratteristiche dell’annata, ca-
ratterizzata anche a livello macroareico da
un simile comportamento. Invece, il calo di
polarizzazione indotto dall’azoto, ben noto
in letteratura (Draycott, 1993), risulta più
accentuato in irriguo che in asciutto. Questo
in conseguenza del fatto che la disponibilità
effettiva di azoto per la coltura è correlata
positivamente alla disponibilità idrica nel
suolo nel corso del ciclo colturale (vedi in
tabella 3 i valori di α-N).
Relazioni empiriche tra indice di stress
azotato e parametri qualitativi. I dati prodotti nel corso della prova hanno permesso
di individuare relazioni tra i due parametri
della qualità della barbabietola α-N, PSD e
l’indice medio di stress azotato (Fig. 6). Le
relazioni trovate appaiono consistenti
(r2>0.70) e in entrambi i casi è chiara la tendenza da parte della coltura a esprimere parametri di qualità migliori in presenza di livelli alti di stress da azoto simulati con il
modello CropSyst.
Simulazioni di lungo periodo. Le simulazioni condotte con il modello CropSyst su
50 anni hanno permesso di valutare la variabilità temporale dei valori di NSI e, di conseguenza, dei valori di α-N e PSD, in quanto correlati ai livelli di stress azotato. I risultati, nella forma di grafici della probabilità
cumulata di eccedere un dato valore, sono
riportati in figura 7. In generale non si osservano apprezzabili variazioni tra le tesi
irrigue e quelle asciutte, sebbene una certa
differenza si registri in presenza dei livelli
più alti di fertilizzazione. Le probabilità di
maggiori livelli di stress che si verificano in
assenza di fertilizzazione azotata (50% di
probabilità per le seguenti combinazioni:
NSI~0.32 con N 0, NSI~0.23 con N 90,
NSI~0.15 con N 180) si trasferiscono a entrambi i parametri qualitativi. Per α-N il 50%
di probabilità si ottiene a circa 8.5 mmol %°S
con N 0, 13.5 mmol %°S con N 90, 18.5
mmol %°S con N 180. Per PSD il 50% di
probabilità si verifica approssimativamente
intorno al 96% con N 0, 94% con N 90, 92%
con N 180. In regime irriguo e per elevate
dosi di azoto (N 180), la probabilità di avere
valori molto bassi di NSI (<0.1) è alta
(>80%), mentre gli stessi valori non si regi-
strano nelle altre tesi. Di conseguenza, per le
tesi molto concimate, risultano elevate sia la
probabilità (>80%) di avere alti livelli di αN (>15 mmol %°S) sia la probabilità (>90%)
di avere bassi valori di PSD (<90%).
CONCLUSIONI
La ricerca condotta, ancora in corso, ha
consentito di quantificare la risposta produttiva della barbabietola da zucchero ai fattori
acqua e azoto e di definire un data set di
valori per i parametri del modello per sistemi colturali CropSyst. È stata valutata la
possibilità di impiegare un modello per sistemi colturali nello studio di alcuni aspetti
qualitativi della barbabietola da zucchero. I
risultati presentati sono i primi del genere
realizzati nelle aree bieticole della Pianura
Padana. La calibrazione del modello appare
critica in relazione ai parametri legati alle
trasformazioni azotate, al fine di stimare correttamente l’assorbimento azotato da parte
della coltura. Anche le relazioni tra i due
parametri di qualità considerati e l’indice
dello stress azotato soffrono dell’empirismo
legato alla limitatezza dei dati disponibili ma
la loro robustezza (tra anni e suoli diversi)
potrà essere incrementata con nuovi dati.
In questo studio il modello CropSyst ha
fornito risultati soddisfacenti, nella prospettiva di essere utilizzato come strumento
previsionale della qualità delle produzioni
bieticole. I dati sperimentali hanno permesso di evidenziare aree del modello che possono essere migliorate in rapporto a un suo
uso per la coltura di barbabietola da zucchero. In particolare, si avverte la necessità di
sviluppare un approccio concettuale per la
simulazione della crescita colturale basata su
relazioni source-sink variabili durante il ciclo della coltura. L’approccio seguito in questo studio può orientare i futuri sviluppi del
modello CropSyst nella prospettiva di un
adattamento del modulo colturale alla stima
degli aspetti qualitativi delle produzioni.
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Agroindustria / Agosto 2002 145
Assorbimento di NO3- in radici di barbabietola da zucchero (Beta vulgaris L. var.
saccharifera): prima caratterizzazione
Stefano Cesco, Alessio Chiani, Roberto Pinton e Zeno Varanini
Dipartimento di Produzione Vegetale e Tecnologie Agrarie, Università degli Studi di Udine
RIASSUNTO
Sono stati caratterizzati i meccanismi di assorbimento del NO3- in piante di barbabietola da zucchero
(Beta vulgaris L. var. saccharifera) con particolare riguardo agli effetti esercitati da alcuni fattori
quali la concentrazione di NO3- e il tempo di contatto fra apparati radicali ed elemento nutritivo. A
questo scopo sono state utilizzate piante di barbabietola di 57 giorni di età, cresciute in soluzione
nutritiva e, 4 giorni prima dell’esperimento, deprivate di NO3- (de-indotte). Il successivo contatto
delle radici per 3 ore con soluzioni contenenti l’anione a concentrazioni che sono variate da 0.2 a 2
mM, ha determinato un significativo aumento della velocità di assorbimento netto dell’elemento
nutritivo (misurata come scomparsa del NO3- dalla soluzione di assorbimento) con incrementi che,
nel caso delle piante trattate con 1 mM NO3-, sono stati di circa 7 volte (Induzione). Il trattamento
delle piante con una soluzione contenente NO3- 0.5 mM o 2.0 mM per tempi crescenti, ha determinato lo sviluppo di una maggiore velocità di assorbimento dell’anione che è aumentato fino a 1.5 ore,
nel trattamento a 2.0 mM NO3-, e fino a 3 ore nelle piante poste a contatto con 0.5 mM NO3-.
Successivamente, la velocità di assorbimento del NO3- è diminuita gradualmente in entrambe i trattamenti. La caratterizzazione del sistema di trasporto del NO3- in funzione della concentrazione
dell’elemento nutritivo nella soluzione di assorbimento (da 0.048 a 0.33 mM NO3-), eseguita utilizzando piante indotte per 3 ore alla concentrazione di 0.5 mM NO3- ovvero per 1.5 ore a 2 mM di
NO3-, ha evidenziato che in entrambe i trattamenti l’andamento manifesta caratteristiche di complessità, suggerendo la possibilità che più di un sistema di trasporto sia operante. I valori di Km sono
stati molto simili tra i trattamenti e paragonabili a quelli calcolati da altri autori in altre specie
coltivate. Diversamente, la Vmax è risultata significativamente più bassa nelle piante trattate per 1.5
ore con 2 mM di NO3- suggerendo l’instaurarsi, in queste condizioni, di fenomeni di inibizione del
trasporto da retroregolazione. I risultati ottenuti in questo lavoro indicano che le radici di barbabietola da zucchero sono dotate di sistemi di assorbimento del NO3- che permettono a questa pianta di
adattarsi prontamente alle variazioni di disponibilità dell’elemento nutritivo nella soluzione del
terreno. D’altra parte, per meglio caratterizzare in questa specie vegetale i sistemi di trasporto del
NO3- in condizioni più simili a quelle che si riscontrano nei terreni coltivati, sarà necessario estendere
questo tipo di approccio anche per intervalli di concentrazione dell’anione più ampi.
Parole chiave: Beta vulgaris L., induzione, NO3-, assorbimento di nitrato, regolazione, barbabietola da
zucchero.
ABSTRACT
NO 3- uptake in sugar beet (Beta vulgaris L. var. saccharifera) roots: a preliminary
characterization
Some characteristics of NO3- transport systems by roots of sugar beet were studied. Plants were
grown in nutrient solution (NS) containing NO3- and then transferred for 4 days to a NO3- -free NS
(de-induced). The measurement of net NO3-uptake (as depletion of the anion from the uptake medium)
by roots exposed for 3 hours to NO3- at concentrations ranging from 0.2 to 2.0 mM showed that
treated plants possessed an increased capacity to absorb the nutrient, thus indicating that induction
of NO3- transport systems took place; the highest values (ca. 7 times higher than the control) were
recorded in plants treated with 1.0 mM NO3-. Time course experiments run with plants treated with
0.5 or 2.0 mM NO3- showed that the net uptake rate increased up to 3 (0.5 mM) or 1.5 (2.0 mM)
hours of contact with the nutrient; thereafter a decline of the transport rate was observed. The
uptake kinetics were studied for a concentration range between 0.048 and 0.33 mM NO3- using
plants pre-treated with 2.0 mM NO3- (1.5 hours of contact) or with 0.5 mM NO3- (3 hours contact).
In both conditions a biphasic pattern was shown, possibly indicating the operation of more than one
transport system. The values of Km were not significantly different between the two treatments and
presented values similar to those already recorded for other crop species. Vmax was lower in roots
exposed to 2.0 mM NO3-, thus suggesting that this treatment can determine the down-regulation of
NO3- influx. Results indicate that NO3- transport systems of sugar beet roots can rapidly adjust to
changes in the NO3- concentration of soil solutions; however, in order to gain information on the
functioning of sugar beet NO3- transport systems in conditions closer to those found in agricultural
soils, further investigations considering a wider range of NO3- concentration are necessary.
Key words: Beta vulgaris L., induction, NO3-, nitrate uptake, regulation, sugar beet.
Autore corrispondente: Z. Varanini - Dipartimento di
Produzione Vegetale e Tecnologie Agrarie, Università
degli Studi di Udine, via delle Scienze 208, I-33100 Udine.
Tel. (0432) 558642 - Fax (0432) 558603
E-mail: [email protected]
Lavoro svolto con finanziamento MiPAF nell’ambito del
Progetto “Miglioramento della barbabietola
da zucchero per l’ambiente mediterraneo”.
146 Agroindustria / Vol. 1 / Num. 2 2002
INTRODUZIONE
È ben noto che per la barbabietola da zucchero una eccessiva fertilizzazione azotata
può ridurre il quantitativo di saccarosio
estraibile dal fittone a causa dell’aumento di
composti azotati solubili (prevalentemente
amminoadi e betaine). D’altra parte, per sostenere la produzione da un punto di vista
quantitativo, sono necessari apporti di azoto
poiché è stato osservato che la dimensione
del fittone è strettamente dipendente dalla
disponibilità di questo elemento nutritivo.
Questi problemi sono a tutt’oggi affrontati
con logica empirica (approccio dose-effetto)
anche per la mancanza, almeno per quanto
riguarda la specie in questione, di conoscenze specifiche sulla fisiologia e biochimica dell’assorbimento e assimilazione dell’azoto. Le
radici dei vegetali possiedono meccanismi di
trasporto in grado di assorbire dal terreno sia
NH4+ che NO3- (Forde e Clarkson, 1999). In
generale, le specie di interesse agrario mostrano una crescita ottimale in presenza di
ambedue gli ioni (Marschner, 1995). Tuttavia, probabilmente come risultato dell’adattamento alle forme azotate predominanti nei
diversi ambienti pedoclimatici, sono state
dimostrate notevoli differenze nella preferenza delle specie vegetali rispetto alla forma cationica o anionica dell’azoto inorganico con importanti implicazioni ecologiche e
pratiche (Kronzucker et al., 1997). È stato
anche evidenziato che la crescita delle piante, la loro morfologia e il loro metabolismo
possono essere notevolmente modificati in
funzione del rifornimento preferenziale di
NH4+ o NO3- (Walch-Liu et al., 2000). Generalmente, nella soluzione del terreno di suoli
agrari areati, la forma nitrica dell’azoto risulta predominante su quella ammoniacale con
un rapporto che può variare da 1/10 a 1/
1000 (Marschner, 1995). Anche se per questi motivi l’azoto nitrico è stato considerato
come la maggiore fonte di azoto minerale per
la nutrizione è possibile affermare che l’importanza dell’NH4+ per la crescita delle colture sia stata sottostimata. Infatti è da considerare che la concentrazione di NH4+ nella
soluzione rappresenta, mediamente, solo il
10% dell’NH4+ trattenuto dal complesso di
scambio e che, in condizioni di assorbimento, questa riserva di NH4+ può essere rilasciata per mantenere costante la concentrazione dell’elemento nutritivo in soluzione.
Per quanto riguarda il NO3- un altro aspetto
da considerare è quello legato all’ampia variabilità di concentrazione riscontrata nei diversi ambienti pedoclimatici e durante i diversi periodi dell’anno. Le concentrazioni di
questo elemento nutritivo più frequentemente riscontrate nelle soluzioni del suolo sono
comprese fra 0.5 e 10 mM (Barber, 1995)
con frequenti e ampie oscillazioni - che possono raggiungere anche tre ordini di grandezza - causate da fattori biotici (assorbimento
da parte di apparati radicali, nitrificazione e
denitrificazione microbica) abiotici
(dilavamento a opera di acque percolanti) e
nei terreni agrari, anche antropici
(concimazioni). Data l’importanza del NO3sia come elemento nutritivo, sia come segnale per la crescita della pianta - costituisce
infatti un fattore di regolazione del metabolismo del carbonio e dell’azoto e dei livelli di
fitormoni - le piante hanno dovuto evolvere
dei sistemi di assorbimento flessibili e dalla
sofisticata regolazione per controllarne l’influsso.
I recenti progressi compiuti dalla fisiologia
e della biologia molecolare hanno permesso di
definire, attraverso l’uso di piante modello
(prevalentemente cereali), alcune delle caratteristiche strutturali e di regolazione dei meccanismi preposti all’assorbimento del NO3-.
È stato dimostrato che il trasporto di questo
elemento nutritivo è caratterizzato da una
complessa rete regolativa che coinvolge: a)
l’induzione di una elevata capacità di assorbimento, determinata dal contatto fra apparati
radicali e l’anione, cui seguono b) le fasi di
modulazione legate alle variazioni di concentrazione di NO3- intracellulare, o di un suo
metabolita a valle, c) lo sviluppo di una componente di efflusso. L’insieme di questi processi, in presenza di un rifornimento
dell’anione protratta nel tempo, porta dopo
un periodo più o meno lungo, in funzione
della concentrazione, al decadimento della attività di assorbimento netto. È interessante
osservare che l’entità relativa di ciascuno dei
tre processi sopra descritti è funzione della
specie, della porzione di radice considerata e
delle condizioni di nutrizione nitrica. Risulta
così cruciale per comprendere il comportamento di un vegetale nei confronti della nutrizione azotata l’analisi di questi processi.
La cinetica di assorbimento del NO3- mostra un andamento strettamente dipendente
dalla concentrazione dell’anione nella soluzione esterna alla radice (Siddiqi et al., 1990).
A concentrazioni superiori a 0.25-0.5 mM, la
cinetica di assorbimento risulta non saturabile
anche a concentrazioni esterne estremamente
elevate (50 mM). L’assorbimento in questo
caso è mediato da un sistema di trasporto
costitutivo, a bassa affinità per il substrato,
definito LATS (low-affinity transport system).
Nonostante la cinetica lineare, valutazioni
Figura 1 - Velocità di assorbimento netto di NO3- in piante di barbabietola di 57 giorni di età de-indotte
oppure indotte per 3 ore con diverse concentrazioni di NO3-. Il saggio è stato condotto ponendo le radici
a contatto con una soluzione di KNO3 0.2 mM per 10 minuti. I dati sono Media ± E.S. di tre esperimenti
indipendenti condotti in triplo.
Figure 1 - Net NO3- uptake rates of de-induced 57-d-old sugar beet plants put in contact for 3 hours
with solutions containing different concentration of NO3-. The assay was run by immersing roots of
intact sugar beet plants in KNO3 0.2 mM for 10 min. Data are means ± S.E. of three independent
experiments run in triplicate.
termodinamiche dimostrano che si tratta di
un processo di trasporto attivo (Glass et al.,
1992; Glass e Siddiqi, 1995) il cui meccanismo deve ancora essere chiarito.
A concentrazioni di NO3- inferiori a 0.250.5 mM, si osserva un andamento tipicamente bifasico, con cinetiche saturabili, mediate
da sistemi di trasporto sia costitutivi, sia
substrato-inducibili. Questi mostrano un’alta
affinità nei confronti del NO3- e vengono
classificati come HATS (high-affinity
transport systems).
Il trasportatore costitutivo ad alta affinità
(CHATS - constitutive high-affinity transport
system) è caratterizzato da una bassa capacità di trasporto, ed una saturazione a basse
concentrazioni di substrato. Esso comunque
riveste una fondamentale importanza fisio-
Tabella 1 - Valori dei parametri cinetici (Vmax e Km) ottenuti dai dati riportati in Figura 3, A e B.
Table 1 - Values of Km and Vmax calculated from the data reported in Figure 3, A and B.
-
NO3 nella soluz. di
induzione
Tempo di induzione
Vmax
P0
2UH
QPROLJ SIPLQ 0012 0.5
3.0
400 ± 20
0.120 ± 0.019
2.0
1.5
323 ± 16
0.129 ± 0.020
Km
logica, poiché media un flusso di NO3- all’interno della cellula che permetterà l’induzione di un sistema di trasporto ad alta affinità
(IHATS - inducible high-affinity transport
system) e capacità di trasporto.
L’induzione da substrato risulta essere una
caratteristica peculiare dell’assorbimento del
NO3-, differenziandosi quindi nettamente dal
trasporto ad alta affinità di altri nutrienti fondamentali alla vita delle piante: il trasporto
di questi ultimi infatti è di regola indotto dalla
loro deprivazione (Clarkson e Lüttge, 1991).
La piena capacità di trasporto può essere raggiunta solo dopo alcune ore o giorni di contatto tra l’apparato radicale e lo ione: il periodo di tempo necessario dipende dalla specie o dalla cultivar considerata, come pure
l’entità della risposta. Si è osservato in piante
di orzo (varietà Klondike) poste a contatto
per 18 ore con una soluzione contenente
NO3- un assorbimento 30 volte superiore rispetto a piante non indotte (Siddiqi et al.,
1990). D’altra parte è stata anche osservata
una notevole variabilità su base genetica: in
altre varietà di orzo ed in Arabidopsis l’incremento di influsso osservato era infatti relativamente scarso. Anche il sistema
costitutivo ad alta affinità per il NO3- mostra
segni di upregulation da substrato, con un
aumento di attività di circa tre volte dopo il
contatto con l’anione.
Agroindustria / Agosto 2002 147
Figura 2 - Velocità di assorbimento netto di NO3- in piante di barbabietola di 57 giorni di età (de-indotte)
trattate per tempi crescenti con NO3- 0.5 o 2 mM. Condizioni sperimentali per la determinazione della
velocità di assorbimento netto di NO3- ed elaborazioni statistiche come descritto in figura 1.
Figure 2 - Net NO3- uptake rates in de-induced 57-d-old sugar beet plants during the period of
contact with NO3- 0.5 or 2 mM. Net NO3- uptake assay and statistics as in figure 1.
Se il vegetale è continuativamente rifornito di NO3- il sistema di trasporto IHATS
può mediare l’ingresso all’interno della cellula di un quantitativo di elemento nutritivo
superiore alle esigenze della pianta, e la sua
attività viene quindi rapidamente repressa.
Studi fisiologici e molecolari (Wang e
Crawford, 1996) indicano che tale tipo di
regolazione avviene a livello di trascrizione
genica, con fenomeni di retroinibizione determinati da elevate concentrazioni interne
di NO3- o di composti azotati ridotti tra i
quali, con tutta probabilità, la glutammina
svolge un ruolo predominante (Crawford e
Glass, 1998). È stato inoltre osservato un
effetto inibitorio in presenza di ione NH4+
nella soluzione esterna alla radice, ma è ancora una questione controversa se esso influisca sull’influsso o l’efflusso del NO3-. È
stato dimostrato da diversi autori (Aslam et
al., 1996 ) che le radici presentano componenti di efflusso del NO3- che in alcune situazioni (es. alta concentrazione di NO3- esterno, condizioni di stress, presenza di NH4+)
possono assumere un significato rilevante.
L’esatto significato fisiologico di questo processo dissipativo non è conosciuto; recentemente è stato messo in evidenza che è anch’esso un fenomeno indotto dal contatto
delle radici con l’anione e che è necessaria
una sintesi proteica per supportarlo; le caratteristiche di regolazione sono tuttavia
completamente diverse da quelle manifestate nei fenomeni di influsso indicando che le
strutture molecolari preposte all’efflusso a
148 Agroindustria / Agosto 2002
livello della membrana plasmatica delle cellule non sono le stesse dell’influsso.
Come già osservato le conoscenze relative ai fenomeni sopra descritti sono totalmente assenti per la bietola da zucchero. Con
questo lavoro si riferisce di una preliminare
caratterizzazione dei meccanismi di assorbimento del NO3- esaminati avendo riguardo in particolare agli effetti esercitati da alcuni fattori quali il tempo di contatto fra apparati radicali ed elemento nutritivo e la concentrazione di NO3- disponibile.
MATERIALI E METODI
Allevamento delle piante. Glomeruli di
barbabietola da zucchero (Beta vulgaris L.,
var. saccharifera, semente fornita dall’Istituto per le Colture Industriali di Bologna,
sez. di Rovigo) sono stati fatti germinare al
buio e alla temperatura di 25°C in vasche di
vermiculite precondizionata con CaSO 4
0.5mM. Dopo 4 giorni, le vasche sono state
poste per 3 settimane alla luce (200µE/m2,
fotoperiodo: 16/8 h di luce/buio) a 20/25 °C
e 60%-70% UR. Dopo questo periodo, dieci mazzette di 4-5 plantule ciascuna sono
state trasferite in vasi di 2.5 L contenenti una
soluzione nutritiva (Jungk e Barber, 1974)
dalla seguente composizione: (mM) KCl 1.5;
Ca(NO3) 2 2.0, MgSO4 1.5, KH2PO4 1.0,
(NH4) 2SO 4 0.25; (µM) NaFe-EDTA 75,
H3BO3 46, MnCl2 9, ZnSO4 0.8, CuSO4 0.3,
(NH4)6MoO7 0.5. Nelle prime fasi di allevamento, per evitare fenomeni di stress alle
plantule, la soluzione nutritiva è stata utilizzata in forma diluita (10x).
Dopo 4 settimane di allevamento in soluzione idroponica, le piante di barbabietola
sono state deprivate della fonte azotata ponendole per 4 giorni in CaSO4 0.5mM in
assenza di NO3-. Al termine di questo periodo, per indurre un’elevata capacità di assorbire il NO3-, alcune piante sono state trasferite in una nuova soluzione di CaSO4 0.5mM
contenente Ca(NO3)2 a concentrazioni variabili tra 0.1 mM e 1mM, pari ad un intervallo
di concentrazione dell’anione tra 0.2 e 2 mM,
mentre altre sono state trasferite ad una nuova soluzione contenente CaSO4 0.5mM, ma
priva di NO3-.
Assorbimento del NO3-. Dopo trattamento con le diverse soluzioni di induzione, gli
apparati radicali interi di 4-5 piante di barbabietola, lavati per 2 minuti con CaSO4
1mM, sono stati immersi in 40mL di una
soluzione di KNO3 0.2mM e CaSO4 0.5mM
(soluzione di assorbimento). La scomparsa
del NO3- dalla soluzione è stata misurata in
un intervallo di 10 minuti prelevando aliquote di 0.2mL di soluzione ogni 2 minuti. Il
saggio è stato condotto alla temperatura di
25 °C. La concentrazione di NO3- è stata
determinata per via spettrofotometrica seguendo il metodo proposto da Cataldo et al.
(1976) e cioè dosando la luce assorbita a
410nm dall’acido nitrosalicilico formatosi in
ambiente acido a partire dal NO3- e dall’acido salicilico.
RISULTATI E DISCUSSIONE
In figura 1 sono riportati i valori di assorbimento netto di NO3- misurato in radici di piante
di barbabietola di 53 giorni di età, deprivate
per 4 giorni di NO3- (deindotte) e successivamente poste a contatto per 3 ore con soluzioni
contenenti l’anione (indotte), a concentrazioni che variavano da 0.2 a 2 mM. Le piante di
barbabietola deindotte mostravano una capacità di assorbimento netto dell’anione pari a
35 nmoli NO3- g-1 p.f. min-1 che rappresenta la
capacità “costitutiva” di assorbimento del NO3della pianta. Il contatto delle radici per 3 ore
con soluzioni contenenti l’anione determinava un significativo aumento dell’attività di trasporto (induzione) con incrementi che si manifestavano fino al valore di 1 mM, concentrazione per la quale la velocità di trasporto
era pari a circa 7 volte quella delle piante
deindotte. Alla concentrazione di 2mM, pur
sviluppandosi una velocità di assorbimento
netto dell’anione più elevata rispetto a quella
delle piante deindotte, i livelli di assorbimento risultavano decisamente inferiori rispetto a
quelli registrati in piante trattate a concentrazioni di NO3- inferiori (0.2, 0.3, 0.4 o 1 mM).
Questo comportamento suggerisce che la componente substrato-inducibile della capacità
radicale di assorbire il NO3- sia influenzata
dalla concentrazione dell’anione stesso nella
soluzione che bagna le radici. La minor rispo-
Figura 3 - A: Velocità di assorbimento netto di NO3- in funzione delle concentrazioni esterne dell’anione. Piante di barbabietola di 57 giorni di età (de-indotte)
sono state pre-trattate (indotte) per 3 ore con NO3- 0.5 mM ovvero per 1.5 ore con 2 mM di NO3-. L’esperimento di assorbimento è stato eseguito ponendo le
radici a contatto con una soluzione contenente diverse concentrazioni di KNO3. I dati sono Media ± E.S. di tre esperimenti indipendenti condotti in triplo. B:
Determinazione dei parametri cinetici dei sistemi di assorbimento netto di NO3- di piante di barbabietola applicando la trasformazione di Lineweaver-Burk.
Figure 3 - A: Net NO3- uptake rates as a function of anion concentration in the root external medium. Roots of de-induced 57-d-old sugar beet plants were pretreated (induced) with 0.5 mM NO3- for 3 hours or with 2.0 mM NO3- for 1.5 hours. The assay was run by immersing roots of intact sugar beet plants in a
solution containing different KNO3 concentrations. Data are means ± S.E. of three independent experiments run in triplicate. B: Determination of kinetic
parameters of NO3- transport in sugar beet using the Lineweaver-Burk transformation.
sta in termini di assorbimento netto misurato
trattando le radici con una concentrazione di
NO3- 2 mM può essere attribuita al manifestarsi di fenomeni di retro-regolazione dell’assorbimento, conseguenti ad un rifornimento
dell’anione eccedente le necessità metaboliche delle piante.
In figura 2 sono riportati gli andamenti dell’assorbimento netto di NO3- in radici di piante deindotte oppure indotte per tempi crescenti alle concentrazioni dell’anione di 0.5 o 2
mM. La figura mostra che le piante trattate
con ambedue le concentrazioni di NO3- sviluppano una maggiore capacità di assorbire
l’elemento nutritivo; tuttavia la velocità di
assorbimento è massima dopo 1.5 ore nelle
piante trattate con NO3- 2 mM e dopo 3 ore
per quelle trattate alla concentrazione di 0.5
mM NO3-. Prolungando il periodo di contatto tra anione e apparati radicali, la velocità di
assorbimento netto del NO3- diminuisce gradualmente in ambedue i trattamenti senza
tuttavia riportarsi al livello delle piante
deindotte. Questi risultati mostrano che nella barbabietola da zucchero sono sufficienti
tempi molto brevi di precontatto delle radici
con NO3- per determinare l’induzione dei sistemi di trasporto dell’anione. Il processo di
induzione appare dipendente dalla concentrazione, il livello massimo di velocità di assorbimento netto del NO3- non risulta significativamente influenzato dalla concentrazione di NO3- impiegata nei trattamenti e non
supera le 220-230 nmoli NO3- g-1 p.f. min-1.
Per una prima caratterizzazione del sistema di trasporto del NO3- si è proceduto alla
misura della velocità di assorbimento netto
dell’anione in funzione della sua concentrazione nella soluzione di assorbimento. A
questo scopo sono state utilizzate radici di
piante poste a contatto con il NO3- per un
periodo tale da garantire l’instaurarsi dell’induzione dei sistemi di trasporto. In particolare, sulla base dei risultati mostrati precedentemente si è scelto di utilizzare piante
indotte per 3 ore alla concentrazione di 0.5
mM NO3- ovvero per 1.5 ore a 2 mM di NO3. Tali piante sono state quindi poste in soluzioni di assorbimento contenenti il NO3- a
concentrazioni comprese tra 0.048 e 0.33
mM, intervallo nel quale operano i sistemi
di trasporto ad alta affinità. La figura 3 (A)
mostra che l’andamento della velocità di trasporto del NO3- in funzione della concentrazione si presenta simile per le due condizioni di pretrattamento e manifesta caratteristiche di complessità, possibili indici
dell’operatività di più di un sistema di trasporto. Tuttavia, allo scopo di ottenere un
dato indicativo dell’affinità del sistema di
trasporto, in considerazione della tendenza
alla saturazione rilevata alle concentrazioni
di saggio più elevate si è ugualmente proceduto ad applicare la trasformazione di
Lineweaver-Burk (figura 3,B). Sono stati
così determinati i parametri cinetici Km e
Vmax dell’assorbimento netto di NO3- nelle
due diverse condizioni di induzione delle
piante. La tabella 1 mostra che i valori di
Km ottenuti trattando le radici delle piante
con 0.5 mM o 2 mM di NO3- erano molto
simili tra loro suggerendo che i sistemi di
trasporto operanti nelle radici trattate nelle
due diverse condizioni siano gli stessi. Diversamente, la Vmax risultava significativamente maggiore quando l’induzione avveniva con 0.5 mM di NO3-. Questo comportamento potrebbe essere attribuito a condizioni di disponibilità di NO3- eccedenti le necessità metaboliche della pianta che si verificherebbero trattando le radici di piante di
barbabietola anche per sole 1.5 ore con 2
mM di NO3- e che conseguentemente causerebbero una caduta del valore della Vmax
per fenomeni di inibizione del trasporto da
retroregolazione.
CONCLUSIONI
I risultati di questo lavoro hanno
evidenziato che, nella barbabietola da zucchero, l’assorbimento di NO3- è regolato da
meccanismi fisiologici simili a quelli già riscontrati in altre specie vegetali (Aslam et
al, 1992; Aslam et al, 1996). Infatti, anche
se l’analisi si è limitata a considerare la funzionalità dei sistemi di trasporto del NO3- che
operano a basse concentrazioni (inferiori a
0.3 mM), sono osservabili anche in questa
specie le tipiche dinamiche regolative dell’assorbimento dell’anione quali lo sviluppo di più elevate capacità di assorbire l’elemento nutritivo in seguito al suo contatto
con gli apparati radicali (induzione) e la retro-regolazione (regolazione a feedback). Rispetto ad altre specie vegetali, nella barbabietola da zucchero sono osservabili alcune
caratteristiche peculiari. Ad esempio, un breve periodo di pre-contatto con il NO3- (1.5 o
Agroindustria / Agosto 2002 149
3 ore in presenza rispettivamente di 2 o 0.5
mM NO3-) si dimostrava sufficiente a determinare la massima induzione dei sistemi di
trasporto nelle radici. È da rilevare che in
altre specie vegetali allevate in condizioni
simili, quali ad esempio il mais, per ottenere
lo sviluppo della massima capacità di assorbimento del NO3- sono necessarie da 8 a 12
ore (Locci, 1999). D’altra parte è stato anche dimostrato che linee pure di mais, individuate sulla base della diversa efficienza
della nutrizione azotata, differiscono notevolmente nei tempi di risposta alla
somministrazione dell’anione (Locci et al.,
2001). Questi dati suggeriscono che anche
in barbabietola da zucchero possa essere presente variabilità su base genetica per questi
aspetti, indicando la necessità di verificare i
parametri da noi analizzati anche in marche
diverse.
I valori ottenuti per la Km e la Vmax, pur
essendo da considerarsi solamente indicativi essendo stati ottenuti da dati che solo approssimativamente obbediscono alla legge
di Michaelis-Menten, sono paragonabili a
quelli osservati in orzo (Hasegawa, 1992) e
cotone (Aslam et al., 1997).
Nel loro complesso, questi risultati indicano che in barbabietola da zucchero è presente un sistema di assorbimento del NO3che permette a questa pianta di adattarsi in
tempi brevi alle variazioni di concentrazione dell’elemento nutritivo nella soluzione del
terreno. In questo lavoro la maggior parte
degli esperimenti sono stati condotti con concentrazioni di NO3- attorno allo 0.2 mM.
D’altra parte, considerando che nei terreni
agrari il NO3- può essere spesso presente
anche a concentrazioni superiori, sarà necessario estendere questo tipo di approccio anche a tali situazioni. In prospettiva, i dati
150 Agroindustria / Agosto 2002
che emergeranno potranno essere un valido
aiuto per lo sviluppo di più precisi modelli
predittivi (Malagoli et al., 2001) suscettibili
di notevoli ricadute nella pratica agronomica.
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- Alcuni esempi di citazione sono riportati di
seguito:
- Articolo pubblicato su di una rivista scientifica: Martin C., Smith A.M., 1995. Starch
biosynthesis. The Plant Cell 7, 971-985.
- Articolo contenuto in un libro o in un’opera che ha un Coordinatore: Ziegler P. 1995.
Carbohydrate degradation during
germination. In: Kigel J., Galili G.(eds).
Seed Development and Germination.
Marcel Dekker, New York, pp. 447-474.
- Libro con Autore: Eames A.J., 1961.
Morphology of Angiosperms. McGraw
Hill, New York.
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unità di misura debbono essere chiaramente
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testo su fogli singoli, saranno solo in bianco e
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da essere riprodotte senza essere ridisegnate,
tenendo conto che la base delle figure stampate potrà essere di 5.8 (1 colonna), 12.2 (2 colonne), 18.5 cm (tutta la pagina).
3. TERMINOLOGIA
- Le unità di misura e relativi simboli devono
essere quelle del sistema internazionale (S.I.).
Il simbolo, senza punto, deve seguire il valore
numerico da cui sarà spaziato da uno spazio.
Nel riportare brevi formule matematiche nel
testo, si deve fare uso dell’esponente negativo invece del segno di frazione (g m-2 d-1 invece di g/m2 d). Le espressioni latine, i nomi
delle entità sistematiche, le parole straniere,
limitate a quelle per le quali non esiste il corrispondente termine italiano, saranno sottolineati perché siano stampati in corsivo o
riportati direttamente in corsivo (es.: in situ;
Cannabis sativa). Il nome italiano delle specie deve essere scritto con l’iniziale minuscola (es.: barbabietola). Il nome delle cultivar o
di un ibrido va scritto con la prima lettera
maiuscola, senza virgolette. L’abbreviazione
della cultivar è cv senza punto.
4. REVISIONE DEL MANOSCRITTO
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