D`Achille Paolo
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D`Achille Paolo
Cresti, E. (a cura di) Prospettive nello studio del lessico italiano, Atti SILFI 2006. Firenze, FUP: Vol II, pp. 473-481 I nomi femminili in -o Paolo D’Achille*, Anna M. Thornton** *Università Roma Tre, **Università dell’Aquila Abstract In italiano le classi di flessione nominale più ricche di membri sono costituite da nomi maschili in -o con plurale in -i e da nomi femminili in -a con plurale in -e. Ma sono anche attestati sia nomi maschili in -a, con plurale in -i o invariabili, studiati da Migliorini, sia nomi femminili in -o. Questi ultimi sono oggetto del lavoro, che ne offre una panoramica, raccogliendo sia le attestazioni in italiano antico, sia le ben più consistenti presenze nella lingua contemporanea. Lo studio affronta infine, sempre nella duplice prospettiva diacronica e sincronica, il problema dell’invariabilità che caratterizza i femminili in -o, rilevando, a tale riguardo, come oggi questi nomi risultino meno “anomali” nella flessione nominale, in cui la classe degli invariabili è in continua espansione. 1. L’“anomalia” dei femminili in -o In questa comunicazione riprendiamo un tema che abbiamo individuato studiando la flessione del nome dall’italiano antico all’italiano contemporaneo (D’Achille, Thornton, 2003) e cioè l’esistenza di femminili in -o (come mano/mani, inserito nella classe 1; biro, foto, dinamo, inseriti nella classe 6 degli invariabili). Questi nomi, al pari dei maschili in -a (come papa/papi, della classe 4; panda, mitra, della 6), già magistralmente studiati da Migliorini (1957 [19341]), costituiscono delle “anomalie” rispetto alle classi nominali proprie dell’italiano di base fiorentino/toscana, che normalmente prevede l’associazione tra terminazione in -a e genere femminile e terminazione in -o e genere maschile. Lo stesso Migliorini rileva che in presenza di anomalie di questo tipo la lingua mette in atto diverse “terapie”: a) “conguaglio del genere grammaticale alla desinenza”, come è avvenuto talvolta per qualche nome proprio di santo (santa Mama, santa Saba) e più spesso per alcuni nomi comuni, in latino maschili (spesso grecismi) o neutri plurali in -a, diventati femminili (calma, tiara, foglia); b) mantenimento del genere e cambiamento della forma, cioè, per i maschili, sostituzione di -a con -o (come in aurigo, romito, pirato, profeto, sodomito, gesuito, piloto, idioto, ipocrito: si noti però che nessuna di queste forme è entrata nello standard). Vanno inoltre segnalati i casi di conguaglio di genere e forma a quelli delle classi dominanti per nomi designanti umani derivati da nomi astratti o inanimati, esemplificata da voci ormai comuni, citate anche da Migliorini (1957: 56), come figuro, modella, tipa, e da voci ancora substandard, come membra e capa, di cui diamo due attestazioni1: (1) La signora Angelica Balabanoff è ancora «membra» della Direzione del Partito Socialista Ufficiale Italiano (B. Mussolini, Duplice colpo!, 1917; da DiaCORIS). (2) Là si formavano le squadre e si nominavano le cape (www.liberta.it/asp/Dettaglio.asp?). 1 Precisiamo che per le citazioni letterarie (tratte da OVI, LIZ e DiaCORIS) non riportiamo gli estremi bibliografici e che le datazioni delle voci, inserite laddove è parso utile, sono tratte dal GRADIT, quando non diversamente indicato. Un caso ancora diverso è costituito dalla derivazione di nomi designanti esseri umani o animati di un certo sesso a partire dal nome che designa un essere della stessa specie o funzione ma del sesso opposto, attraverso la mozione, che si può effettuare con vari procedimenti, tra cui il cambio di classe di flessione e conseguentemente di desinenza (Thornton, 2004). Ne sono esempi maschili nati in seguito a mutamenti del costume, come l’ormai acclimatato mammo (1987; Quarantotto, 1987) e il più recente nuoro ‘compagno del figlio omosessuale’ (1996; Thornton, 2004: 220), e femminili “politicamente corretti”, quali notaia, deputata, o scherzosi, quali menagrama (v. infra § 3), cacasenna, capotrena. Le “terapie” a) e b) sono entrambe documentate già in italiano antico per i femminili in -o allora esistenti, molti dei quali derivati da nomi dalla quarta declinazione latina, uscenti in -ŬS al nominativo e in -ŬM all’accusativo. Abbiamo così da un lato casi di conguaglio del genere alla terminazione (Rohlfs, 1968 §354): (3) ago s.m. (< ACŬM s.f.); duomo s.m. (< DŎMŬM s.f.); fico s.m. (< FĪCŬM s.f.); si aggiungeranno poi nomi documentati anche o solo al maschile, come dazio, eco (maschile almeno al plurale), passio, prefazio e sinodo (ma v. infra § 2.1.1). Dall’altro lato abbiamo esempi di mantenimento del genere e cambiamento della forma (condizionati dal sesso del referente): (4) nuora (< *NŎRAM; lat. class. suoro < SŎROR s.f.). NURŬS s.f.); suora (< Questa seconda possibilità è anticamente documentata anche per l’unico nome che è riuscito a resistere a ogni terapia, costituendo il solo femminile della classe 1, cioè mano, di cui abbiamo nell’OVI qualche attestazione del cambiamento della forma, sia al singolare, sia al plurale (il primo esempio di mani è nel Breve di Montieri del 1219): (5) Ed ella sì mi prese per la mana e menomi inn una sala molto bella (Tristano Riccardiano, sec. XIII ex.); Messer Dolcibene fa in forma di medico nel contado di Ferrara tornare una mana a una fanciulla, che era sconcia e svolta, nel suo luogo (Franco Sacchetti, Trecentonovelle, a. 1400); Et humiliati a·dDio, e guarda a le mane sue (Andrea da Grosseto, Trattati morali di Albertano da Brescia volg., 1268); Paolo D’Achille, Anna M. Thornton Et uno phylozofo disse a uno pigro scioperato: aresti tu p(er) male se altri volesse ch(e) tu avessi le mane (et) li piedi se(n)sa poterne far pro’? (Trattati di Albertano volg., a. 1287-88). Tuttavia, come risulta ancora dai dati dell’OVI, in italiano antico o, per meglio dire, nei testi antichi di area toscana (il fenomeno è molto più esteso in altre aree dialettali, specie meridionali: Rohlfs, 1968: § 367) abbiamo, oltre a mano, altri esempi di femminili in -o che conservano sia il genere sia la forma originaria, quali domo ‘casa’, nuro ‘nuora’ (entrambi peraltro con una sola attestazione, rispettivamente nel fiorentino Guido Orlandi e in Dante) e soprattutto soro/suoro ‘sorella’ o ‘suora’ (con numerose attestazioni, specie in testi senesi): (6) la gente nostra uccisero, la città disfecero, nostra soro Ansionam ne menaro (Novellino, sec. XIII); Ène lassata Teccinella, che con ella [non] vule piue pasare, e tene la soro di Ma(r)ducia i(n) quello scha[n]bio (Lettera lucchese, 1315); et ancho disse: dì ala sapientia: tu sè mia suoro; (et) la prude(n)tia chiamò sua amica (Trattati di Albertano volg., a. 1287-88); Anco, che ciascuno frate, familiare e converso, e ciascuna donna, suoro, conversa e familiare e femina del detto Spedale … (Statuti senesi, 1305). Rileviamo infine che, in alternativa alla mozione, nell’italiano contemporaneo è possibile anche una soluzione diversa, che prevede il mantenimento della forma e il cambio di genere in base al sesso del referente, come negli esempi in (7): (7) il capotreno > la capotreno; il soprano > la soprano (la soprana è per lo più scherzoso); il contralto > la contralto (peraltro raro); il ministro > la ministro (accanto alla forma con mozione la ministra). Tra i nuovi femminili in -o e le rare occorrenze antiche prima citate sembra che si abbia soluzione di continuità (Durante, 1981: 268). In realtà la categoria dei femminili in -o si è andata alimentando nel corso dei secoli grazie a varie immissioni. È opportuno pertanto passare in rassegna i tipi in cui può essere suddivisa. 2. Documentazione e classificazione Precisiamo subito che è difficile, se non impossibile, individuare un principio di classificazione unico, semantico o etimologico. I raggruppamenti che abbiamo operato si intersecano e sovrappongono. I dati provengono per lo più da uno spoglio del GRADIT e di altri dizionari, integrato con ricerche mirate in Internet. 2.1. Prestiti 2.1.1. Prestiti dalle lingue classiche Un primo gruppo è costituito da prestiti dalle lingue classiche. Dal greco abbiamo i sostantivi in (8), che presentiamo ordinati per data di prima attestazione secondo il GRADIT e accompagnati da una glossa, dalla data e dalla categorizzazione grammaticale del GRADIT (che a volte li registra anche o solo come maschili): (8) sinodo ‘assemblea vescovile’ (av. 1342) s.m., pl. sinodi; pentecontoro ‘nave da guerra’ (av. 1494) s.m. e f., pl. pentecontori; parodo ‘prima entrata del coro nella tragedia’ (1575), s.m. e f., pl. masch. parodi, pl. femm. parodoi; lecito ‘vaso per unguenti’ (1834) s.f. inv. (adattamento di lekythos, 1957, s.f. inv.2); epiparodo ‘seconda entrata del coro’ (sec. XX), s.m. e f., pl. epiparodi3. Benché non sia registrato nel GRADIT, sinodo come femminile (anche al plurale sinodi) è nell’uso letterario (DISC), come risulta da alcuni esempi reperiti nella LIZ: (9) era stato chiamato a celebrar la sacrosanta sinodo (Ramusio, Viaggio in Etiopia di F. Alvarez, 1540); … con la sola approbazione de’ padri della sinodo (Sarpi, Istoria del Concilio tridentino, 1619); … dai casi che avenivano nelle loro sinodi (Garzoni, La piazza universale, 1585); lo Spirito Santo, che assiste alle sinodi nelle cose della fede … (Sarpi, Istoria del Concilio tridentino). Da base greca derivano anche alcuni deonimici: eco, e alcune denominazioni di animali, quali saffo ‘uccello’ (1875), erato ‘mollusco’ (1956), io ‘mollusco’ (1957), io ‘farfalla’ (nella loc. vanessa io, sec. XX). Va segnalato inoltre lo pseudogrecismo eranto ‘erantide, pianta erbacea a fioritura molto precoce’ (1968, GDLI). Si hanno poi numerosi prestiti dal latino. Si tratta di prestiti dotti basati sulla forma del nominativo di nomi della terza declinazione in -DO, -GO, -TIŌ, del latino sia classico che medievale, sia ecclesiastico che scientifico. Alcuni costituiscono voci letterarie, entrate precocemente in italiano, spesso come allotropi di voci tratte dall’accusativo (basti pensare alla coppia imago/ immagine), altri sono voci di linguaggi tecnico-scientifici (ma anche giuridiche, ecclesiastiche, ecc.), a volte mediate da lingue straniere. Per il GRADIT si tratta sempre (o quasi sempre) di invariabili. Li presentiamo in (10a-c), ordinati come in (8), segnalando, ove esistenti, gli allotropi in -ine; per i nomi in -TIŌ l’elenco, alfabetico, è solo esemplificativo (il GRADIT, che non li data, ne lemmatizza 262)4: (10a) grando (1313-19; grandine 1282); beatitudo (a. 1321, OVI: Dante, Paradiso, XVIII, 112; beatitudine ca. 1274); testudo ‘testuggine’ (sec. XV; raro il pl. testudini, pl. anche di testudine, sec. XV); albedo ‘parte interna della buccia di agrumi’ (1892; albedine ‘riflesso biancastro’ av. 1537), con la formazione analogica flavedo ‘parte esterna della buccia di agrumi’ (1973; flavedine sec. XX); arundo ‘pianta palustre’ (1892; arundine ‘asta rituale’ 1913); 2 L’amico Gaetano Messineo testimonia però che gli archeologi usano normalmente il plurale le lekythoi. 3 Si noti il diverso trattamento riservato dal GRADIT ai plurali di parodo e di epiparodo. 4 Inseriamo tra gli ultimi par condicio, mentre tralasciamo altri nomi in -IŌ come communis opinio. I nomi femminili in -o libido ‘energia psichica alla base delle pulsioni sessuali’ (1910; libidine ‘desiderio sessuale’ av. 1332), con il derivato iperlubido ‘eccesso di libidine’ (1967) e lo pseudolatinismo analogico destrudo ‘istinto distruttivo’ (sec. XX); magnitudo ‘misura dell’intensità di un sisma’ (1935; magnitudine ‘grandezza’ ca. 1300; ‘misura di luminosità di un corpo celeste’ 1836); livedo ‘colorazione bluastra’ (1975, GDLI); lippitudo ‘cisposità’ (sec. XX; lippitudine sec. XIV); (10b) virgo (av. 1294; vergine 1304-08); caligo (s.d.5; caligine av. 1321); im(m)ago (1313-19; immagine 1291 nella forma maggine); virago (av. 1566; viragine stessa data); vorago (av. 1566; voragine 1673); gallinago ‘uccello’ (1875); tussilago ‘pianta’ (1927; tussilagine 1866); prurigo ‘affezione della pelle’ (1967; prurigine 1552); plumbago ‘pianta’ (1983; piombaggine av. 1498); serpigo ‘eruzione cutanea’ (s.d.6; serpigine av. 1320); (10c) captatio (benevolentiae), conditio (sine qua non) / (par) condicio, consecutio (temporum), constructio ad sensum, conventio ad excludendum, damnatio memoriae, editio (maior, princeps, ecc.), (extrema) ratio, fellatio, inventio, laudatio, lectio (brevis, magistralis, ecc.), prorogatio, (vexata) quaestio, ratio, reductio (ad unum, ecc.), scriptio, variatio, … 2.1.2. Prestiti da altre lingue Tra i prestiti da lingue moderne si annoverano le voci tedesche dinamo (1899), con amplidinamo (1955), metadinamo (1940) e turbodinamo (1987, DISC), e kasko ‘polizza assicurativa’ (1985; anche adattato graficamente casco). Dall’inglese si hanno alcuni accorciamenti, quali demo (1995, DISC; da demo(nstration); per il GRADIT s.m.), macro (1985, DISC; da macro(instruction)), promo (1989; da promotion; per il GRADIT s.m. ed effettivamente documentato anche al maschile), e alcuni nomi di generi musicali, formati per riduzione al primo membro (a sua volta spesso un accorciamento) di composti: disco ‘discomusic’ (1987, DISC), ethno (1994; da ethno-music), techno (1994; da techno-music), dove il genere femminile è dovuto al femminile del traducente italiano della testa del composto, musica. Infine, sono prestiti femminili in -o anche alcune denominazioni di tipi di automobili: gli accorciamenti cabrio (1994, GDLI; dal francese cabrio(let)) e limo (dall’inglese limo(usine), a sua volta dal francese limousine), e torpedo (1918; dall’inglese americano, a sua volta dallo spagnolo torpedo ‘torpedine’). 2.2. Accorciamenti Un secondo gruppo di femminili in -o è costituito da accorciamenti (Migliorini, 1963a [19351]; Thornton, 1996) di sostantivi femminili (11a), o di aggettivi sostantivati riferiti a persone di sesso femminile (11b): (11a) auto, chemio, ciano, cobalto, crono ‘cronotappa’, dattilo, diapo, ero, flebo, foto (con i composti laserfoto, pornofoto, radiofoto e telefoto), fotolito, info, lino ‘linotype’, macro ‘macrofotografia, macroeconomia, macroistruzione’, metro, moto (con i composti maximoto, minimoto, supermoto e turbomoto), neuro, polio, radio (1918), con il composto autoradio, steno, stenodattilo, stereo ‘stereofonia’, stilo, turbo, …; Smemo ‘Smemoranda, nome commerciale’ (Thornton 1996: 87), video ‘videocassetta’ (Antonelli, 1995: 278; DISC)7; (11b) omo, etero, arterio (da arteriosclerotico/a; voce del linguaggio giovanile con il senso di ‘adulto/a, genitore/trice’), rinco (da rincoglionito/a). 2.3. Composti Molti femminili in -o sono costituiti da composti con secondo membro terminante in -o. Nel caso di composti endocentrici, il genere femminile è il genere della testa del composto, come ad esempio in composti con palla come pallacanestro, pallamaglio, pallamano, pallamuro, pallanuoto, pallasfratto, pallavolo. Nel caso di composti esocentrici, si pone invece il problema di spiegare perché il genere sia femminile. Nelle voci che abbiamo qui raccolto il genere è assegnato tramite criteri di natura semantica: sono femminili i composti esocentrici che designano persone di sesso femminile (12a) e quelli che designano navi (12b), macchine o apparecchiature (12c). La maggior parte dei composti esocentrici recensiti è costituita da composti verbo-nome, ma si hanno anche alcuni composti verboavverbio e preposizione-nome: (12a) arruffapopolo, cacacazzo/cagacazzo, cacasenno, facidanno, ficcanaso, gabbamondo, giramondo, guardaparco, lavavetro, leccaculo, menagramo, mondariso, perdigiorno, perditempo, picchiapetto, rompicazzo, scassacazzo, scavezzacollo, sputaveleno, vendifumo, …; cacasotto, posapiano, …; fuoricorso, senzadio, senzalavoro, senzamarito, senzapartito, senzatetto, …; (12b) rompighiaccio, …; (12c) lucidatutto, pressaforaggio, cavafango, … A riprova dell’uso femminile di questo tipo di composti citiamo in (13) qualche esempio di occorrenze femminili di menagramo reperite in Internet tramite il motore di ricerca Google: (13) non vorrei sembrare una menagramo, ma come dice Paco la congiuntivite nei micini è molto pericolosa, ... (www.micimiao.com/forums/); Si presenta il riluttante Torquato (S. Orlando), ma i parenti cercano di scoraggiarlo: e se fosse una menagramo? (www.capital.it/trovacinema/ scheda_film.jsp). 5 Nell’OVI caligo risulta documentato sempre al maschile, prima nel volgarizzamento veneto della Navigatio Sancti Brendani (sec. XIII), poi in testi toscani. Il primo esempio femminile riportato nella LIZ è di G. Bruno (1585). 6 Nel TLIO serpigo, accanto a impetigo, risulta attestato al femminile nel volgarizzamento padovano del Serapion (p. 1390). 7 A queste voci ben attestate nello standard possono aggiungersi numerose voci di uso substandard o limitato a singoli parlanti o a piccole cerchie, quali biblio1 ‘bibliografia’, biblio2 ‘biblioteca’, eco ‘ecografia’, ragio ‘ragioneria’, retro ‘retromarcia’, ecc. Paolo D’Achille, Anna M. Thornton Un altro folto gruppo di composti femminili in -o è costituito dai composti con primo membro capo e secondo membro terminante in -o, quando sono usati con riferimento a persone di sesso femminile (14): (14) capogruppo, capogabinetto, capolaboratorio, capomovimento, capopartito, capopopolo, caporeparto, caposcalo, caposervizio, capotreno, capoturno, … Infine, si hanno composti di vario tipo, femminili se riferiti a persone di sesso femminile (cuorcontento, mangiaaufo, parigrado) o perché hanno una testa di genere femminile (mostramercato, rimalmezzo). 2.4. Ellissi di teste femminili Un gruppo semanticamente molto eterogeneo è composto da sostantivi che costituivano originariamente il modificatore (o parte del modificatore, costituito da un sintagma preposizionale) in polirematiche con testa femminile, e che sono venuti ad acquisire il significato dell’intera locuzione per ellissi della testa, della quale hanno ereditato il genere. Ne diamo un elenco in (15): (15) sdraio (1927, DELI ) < sedia a sdraio squillo (1962) < ragazza squillo, calco sull’ingl. call girl polo (1965) ‘maglietta con colletto e due o tre bottoni’ < ingl. polo shirt lampo (1968, DELI) < chiusura lampo superotto (1968) < pellicola superotto girocollo (1970 come agg.) < maglietta o collana a girocollo infradito (1983) < scarpe o ciabatte infradito intramuscolo (sec. XX) < iniezione intramuscolo cronometro (s.d.) < gara ciclistica a cronometro capigruppo < conferenza dei capigruppo. caporetto ‘disfatta’ (1920, DiaCORIS; dalla località della sconfitta italiana durante la I guerra mondiale); polo (nome commerciale) ‘caramella bianca di menta, bucata al centro, rinfrescante, diffusa dal 1980ca.’ (la spiegheremmo a partire da polo nord, dove fa particolarmente freddo e paesaggio e animali sono bianchi). 2.6. Sostantivi designanti persone di sesso femminile Una categoria piuttosto consistente, e destinata forse ad arricchirsi in relazione a dinamiche di carattere sociolinguistico, è quella costituita da sostantivi in -o usati per designare persone di sesso femminile. Un primo sottogruppo è costituito da nomi di cariche, professioni e attività svolte da donne: architetto, capo (e vari composti: v. supra § 2.3), contralto, magistrato, ministro, mezzosoprano, soprano, ecc. (v. infra § 4.2.2); un secondo gruppo comprende i nomi dei segni zodiacali Toro, Cancro, Sagittario, Capricorno, Acquario quando sono usati con riferimento a persone di sesso femminile; un terzo gruppo comprende sostantivi etnici provenienti da lingue esotiche, quali arapaho, navajo, oromo, winnebago, ecc., che sono per lo più invariabili e sono usati al femminile se riferiti a donne. Un contrasto interessante si ha tra due casi di etnici esotici in -o di cui abbiamo reperito rare occorrenze femminili: mentre abbiamo un’attestazione (18) per canaca, non ne abbiamo per *navaja: navajo resta invariabile e in -o anche quando designa donne, come negli esempi in (19): (18) Come può comparire uno spirito a una canaca? (P. Gaugin, Genesi di un quadro [Manaö Tupapaü], traduzione di M. Stein). (16) … 100 euro per una girocollo a manica corta con scritto Ferrari (www.quattroruote.it/auto); il prezzo del pendente comprende una girocollo in argento a 4 fili di lunghezza cm. 40. (www.bottegadeimonili.com/tuareg). (19) Poche ore prima, la mia amica Ophelia, una navajo di ventisette anni, mi aveva. spiegato che il governo manda negli ospedali dei Nativi …; Perché sposato con una Navajo, perché sta sempre dalla parte dei pellerossa e vive con loro, perché non sopporta il razzismo verso gli afroamericani, ...; Una pellerossa di razza pura. E poi una mestiza. Una criolla. E poi ancora: una yaqui, una navajo, una apache... (esempi reperiti in Internet tramite Google). Può essere inserito in questa categoria anche antipolio, dove il genere femminile si spiega meglio come ereditato da una testa come vaccinazione o iniezione che come ereditato da poliomielite, dato che l’accorciamento polio non costituisce la testa semantica del prefissato. Come si vede dall’ultimo esempio in (19), gli etnici prestiti dallo spagnolo hanno il femminile in -a (e in spagnolo è attestato anche navaja). Probabilmente in italiano la voce navajo è entrata dall’inglese, ed è dunque rimasta invariabile come altri anglismi. 2.5. 2.7. In (16) diamo esempi di girocollo usato al femminile in entrambi i significati: Metafore e metonimie Una piccola ma piuttosto eterogenea categoria è costituita da voci in -o (per lo più nomi propri o quasi, come polo) utilizzati metaforicamente o metonimicamente per designare entità il cui iperonimo più immediato è di genere femminile (17): (17) biro ‘penna a sfera’ (1948; dal nome dell’inventore, l’ungherese L. Biró); Nomi propri L’ultima categoria di femminili in -o che abbiamo identificato è costituita da gruppi di nomi propri che si riferiscono a donne o altri esseri animati di sesso femminile, o a entità il cui iperonimo più immediato è un sostantivo femminile. Presentiamo qui di seguito schematicamente le diverse sottocategorie identificate. I nomi femminili in -o 2.7.1. Nomi propri di donne I nomi propri di donna (o di altri esseri di sesso femminile) in -o, lasciando ovviamente da parte i cognomi (a cui può essere premesso l’articolo: la Mangano, la Moffo, la Melato, la Russo Jervolino, ecc.), si possono sottocategorizzare in nomi in uso, per lo più di origine spagnola (20a)8, nomi mitologici e storici di origine greca (20b) e accorciamenti (20c): (20a) Clio, Consuelo, Fiordaliso, Milagro, Otero, …; (20b) Aletto, Atropo, Calipso, Clio, Cloto, Eco, Erato, Ero, Io, Ino, Melanto, Saffo, Teofano, …; (20c) Anto(-nella o -nietta), Ludo(-vica), Nico(-letta), Simo(-na, -netta), … Rientra in questo tipo anche Lollo, accorciamento del cognome Lollobrigida9. 2.7.2. Nomi propri di macchine Bravo, Cinquecento (1958), Clio, Duetto, Millecento (1956), Mondeo, Polo, Punto, Ritmo, Seicento (1955), Tipo, Topolino, Twingo, Uno, Volvo, … 2.7.3. Nomi propri di ditte e associazioni Ferrero, Piaggio, Vestro, …; Gestapo, Confartigianato, Confcommercio, Federcalcio, Federpro, Fitarco, …; ADMO, AIDO, CARIPLO, FAO, NATO, Unesco, … 2.7.4. Nomi propri di città Bergamo, Como, Milano, Palermo, Salerno, Taranto, Torino, …; Berlino, San Francisco, Toledo, … 2.7.5. Nomi di squadre Dinamo, Fortitudo, Lazio, …10. 2.7.6. Nomi di gare la Milano-Sanremo, … 2.7.7. Nomi di strade la Brennero (l’autostrada del Brennero), la NapoliSalerno e altri nomi di autostrade (la A1, la A24, …); la Colombo (via Cristoforo Colombo, a Roma). 3. Qualche intervento terapeutico Nell’italiano di oggi, i femminili in -o – ai quali le grammatiche hanno dedicato scarsissima attenzione – sono accolti con larghezza perché si inseriscono in un quadro di morfologia nominale profondamente diverso da quello tradizionale. Tuttavia, le due “terapie” che la lingua può mettere in atto per disfarsi di questo tipo anomalo, in contrasto con il nucleo centrale del sistema della morfologia nominale, individuate da Migliorini (1957) per i maschili in -a, sono talvolta adottate tuttora anche nei confronti dei femminili in -o. 8 Tralasciamo i numerosi nomi di donna giapponesi in -ko. Da rilevare che le lollo, per metonimia, ha assunto il valore di ‘mammelle’ (Migliorini, 1963b); la voce ha avuto vita effimera in italiano, ma si è diffusa in altre lingue. 10 Sono però maschili i nomi di squadre in -o coincidenti con nomi di città: il Torino, il Palermo, ecc. Sul genere dei nomi delle squadre di calcio si veda Caffarelli (2000). 9 Un cambio di genere con mantenimento della forma è documentato in fase contemporanea per due voci quali plumbago (21) e Unesco (22), acronimo di United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization, che sarebbe femminile a causa del genere femminile di organizzazione, traducente della testa della denominazione completa: (21) Così il plumbago, facile da curare, ha insidiato in città il primato dei gerani; il plumbago è pianta antica; il plumbago con quel suo specialissimo punto di azzurro (R. Sleiter, Il Venerdì, 15/2/2002). (22) l’Unesco, impegnato nel promuovere la cultura scientifica femminile…; l’Unesco […] si è impegnato a raggiungere entro il 2005…(D. Condorelli, la Repubblica delle Donne, 12/3/2002). Anche la terapia complementare, con mantenimento del genere e cambio della desinenza, si è avuta nel caso di sdraia (1940), da sdraio (1927), a sua volta dalla locuzione sedia a sdraio, dove sdraio è un deverbale da sdraiare; da sedia a sdraio si ha per ellissi sdraio, femminile perché prende il genere della testa sedia, e di qui mantenendo il genere si è rifatta poi la forma sdraia. Infine, ben attestato in registri scherzosi e colloquiali è anche il cambio di vocale finale, da -o ad -a, in accorciamenti e composti che nella norma tradizionale non dovrebbero subire mozione, con la creazione, per riferirsi a donne, di forme come i giovanili foca (< foco(melico/a)) e monga (< mongo(loide)), o come cacasenna, capotrena e menagrama, tutte documentate in Internet; dell’ultima diamo un esempio d’autore: (23) È una gran menagrama (C.E. Gadda, Racconto italiano d’ignoto del Novecento, 1925, da DiaCORIS). 4. Il problema del plurale Il principale problema che i femminili in -o pongono al sistema della lingua italiana è quello della formazione del plurale. In questo paragrafo passeremo in rassegna e commenteremo le soluzioni adottate nel corso del tempo. Il problema è analogo a quello presentato dai maschili in -a, per i quali già Migliorini osservava: … la «grammaire des fautes» ci dice senza alcun dubbio che nella lingua letteraria degli strati popolari questa forma [plurale invariato, identico al singolare] è abbastanza largamente usata. Come spiegarla? Ancora con l’antinomia insita nei nostri nomi: il significato maschile vuole -i, la forma quasi-femminile vuole -e, e si finisce col non farne nulla, col mantenere cioè la forma del singolare. […] Questo tanto più trattandosi di parole sentite come letterarie, relativamente rare. (Migliorini, 1957: 106) 4.1. La documentazione storica L’invariabilità dei femminili in -o sarebbe etimologica per i derivati da nomi della quarta declinazione latina e in effetti nei testi toscani antichi non mancano esempi di invariabilità. Per esempio, cercando nell’OVI la stringa le mano, abbiamo trovato attestazioni non solo in testi di Paolo D’Achille, Anna M. Thornton area romanesca, umbro-marchigiana (dove tuttora questo plurale è molto vitale) o siciliana, ma anche in testi toscani, letterari e documentari. Ecco alcune occorrenze: (24) Sentendome ’l marchese da lo sconto, / emmantenente sì se fe’ lontano, / dubitando venir meco a le mano: / onde in onore e grandezza sormonto (Ser Cione Baglione, Sonetto, sec. XIII/XIV); E che lo dicto camarlingho abbia termine dì XV tanto, dal dì del diposto officio, a restituire a l’arte quello che a le mano le fie venuto (Statuti pisani, 1334); i Trojani dalle mura lievano le grida alle stelle; e la speranza adiunta suscita e isveglia l’ire; co le mano lanciando verso i nemici (Ciampolo di Meo Ugurgieri, Eneide di Virgilio volg., a. 1340). Abbiamo poi varie occorrenze di soro/suoro, documentato ancora come plurale nel Cinquecento; ma si noti, nell’ultimo passo riportato sotto (25), un suore plurale di suoro: (25) lo tutore per lo pupillo e pupilla, et li fratelli per le soro (Statuti lucchesi, 1362); Et se lite o vero questione o vero richiamo fusse enfra padre et filliuolo mancepato, o vero enfra fratelli carnali, o vero enfra suoro carnali, o vero enfra fratello et suoro carnali, … (Statuti senesi, 1298); Queste sònno le Costituzioni, o vero Ordinamenti, secondo le quali debbono vivare li frati e le suoro et tutte l’altre persone del Spedale de Madonna santa Maria Vergine de Siena (Statuti senesi, 1305); stava a fronte del pari. Vedendo questo, le suoro vennero in grandissime dispute (P. Fortini, Le giornate delle novelle dei novizi, sec. XVI; da LIZ); sia tenuto el detto Rettore e lo consèllio del Capitolo del detto Spedale quel cotal frate o ver frati, suoro o ver suore, li quali o ver le quali fossero colpevoli ne le predette cose, a cessare e remuòvare da cotal frode e detrazione o ver enganno, dando e porgendo o ver raportando a la persona colpevole o vero a le colpevoli (Statuti senesi, 1305). Anche per un latinismo come imago abbiamo un esempio dantesco in cui il nome è da interpretare come plurale, come conferma il commento di Francesco da Buti: (26) Vedi le triste che lasciaron l’ago, / la spuola e ’l fuso, e fecersi ’ndivine; / fecer malie con erbe e con imago (Dante, Inferno, XX, 123); Fecer malie; queste femine, con erbe e con imago; cioè con imagini di cera e di terra (Francesco da Buti, Commento, 1385-1395). Però, sia in italiano antico (OVI), sia nella lingua letteraria dei secoli seguenti (LIZ, GDLI), im(m)ago e le altre voci dotte femminili in -o come grando, virgo, vorago, ecc. sono attestate solo al singolare11; per il plurale sembrerebbero ricorrere agli allotropi grandine, 11 Segnaliamo un esempio novecentesco di imago plurale: “l’opposizione tra imago paterne e imago materne” (L. Baldacci, Libretti d’opera e altri saggi. Firenze: Vallecchi, 1974: 262). im(m)agine, vergine, voragine, ecc.12. Anche il Bembo, l’unico grammatico cinquecentesco che segnala alcune di queste voci, non accenna ai plurali (D’Achille, 2001: 324). Invece, il modello di mano/mani sembra aver avuto un certo effetto sui grecismi raccolti in (8), per i quali, come si è visto, è prescritto o comunque documentato, anche come femminile, il plurale in -i. 4.2. La situazione contemporanea Come si è visto, quando il GRADIT registra nomi femminili in -o ne segnala pressoché sistematicamente l’invariabilità. Del resto, la classe degli invariabili, in passato marginale, è divenuta ormai piuttosto ampia e anzi pare in espansione nell’italiano contemporaneo (D’Achille, Thornton, 2003; D’Achille, 2006). Ci sono, però, almeno due sottocategorie di femminili in -o che presentano particolari criticità nel plurale e che pertanto vale la pena di esaminare: i prestiti latini in -TIŌ e i nomi designanti donne, questi ultimi problematici anche per l’attribuzione del genere grammaticale. 4.2.1. Il plurale dei prestiti in -TIŌ: dati sull’uso Per i prestiti dal latino in -TIŌ, non adattati graficamente (ma adattati fonologicamente, con la sillaba finale pronunciata /tsjo/), sarebbe possibile adottare il plurale etimologico. In effetti, in una minoranza di casi ciò accade, ma il plurale invariato prevale largamente, anche in testi prodotti da istituzioni (Parlamento, Atenei: si vedano gli esempi (27)-(29)) che si suppone abbiano accesso alle conoscenze necessarie per risalire alla corretta forma di plurale latino. Presentiamo qui di seguito qualche esempio (reperito in Internet tramite Google) di occorrenze al plurale di alcune voci ben attestate nell’uso: (27) Queste costituiscono a mio parere le condicio sine qua non, senza le quali non ritengo possa effettuarsi la gara di concessione dell’opera. (Resoconto stenografico di una seduta della commissione Lavori Pubblici del Senato). (28) Le laudatio, che hanno tracciato il profilo dei candidati e presentato i risultati professionali raggiunti, sono state tenute per Tina Anselmi da Pierangelo ... (www.unitn.it/unitn/numero62/honoris_causa.htm). (29) Enrico Predazzi, Preside della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, presenterà i Professori laureati honoris causa; le laudatio saranno ...(www.rettorato.unito.it/ufficiostampa/comunicati/lau ree_hon_causa.htm). (30) fatta salva qualche rada eccezione, le condiciones sine quibus non per pubblicare: l’‘amicizia clientelare’ (normalmente fondata sul do ut des) (versione elettronica di Nuove Lettere, rivista internazionale di poesia e letteratura dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli). (31) Le Lectiones Magistrales, che si stanno svolgendo a Rende, ormai hanno acquisito un carattere squisitamente periodico, grazie all’atmosfera conviviale ... (www.university.it/notizie/). 12 L’amico Michele Loporcaro ci ha fatto notare l’analogia formale con il tipo barba/barbane (Rohlfs, 1968: §§ 357 e 371). I nomi femminili in -o Nella Tab. 1 si confrontano i dati sulle occorrenze reperite dei due tipi di plurale per alcune voci selezionate. le conditio sine qua non 79 le conditiones sine qua non 4 le condicio 5 le condiciones 3 le captatio benevolentiae 6 le captationes benevolentiae 2 le laudatio 8 le laudationes 6 le lectio magistralis 37 le lectiones magistrales 18 Tabella 1: Occorrenze dei due tipi di plurale per alcuni nomi in -TIŌ. Esaminate le prescrizioni della norma, tradizionale o recente, passiamo ora a verificare gli usi effettivi. Per soprano, risulta ben attestato il plurale invariato femminile; anzi, questo ha prodotto anche un plurale invariato maschile: accanto a i soprani e le soprano, è documentato anche i soprano, sempre riferito a donne: in Internet ne abbiamo trovato varie occorrenze (due esempi in (32)); da rilevare però anche una singola occorrenza (sul sito www.donnefuturo.com) di le soprane, titolo della recensione a un romanzo di A. Warner il cui titolo nella traduzione italiana è Le soprano (Parma: Guanda, 2000). Come si vede, il plurale invariato prevale sempre. Unico lessema che si sottrae a questa tendenza è editio, per il quale Google ha permesso di reperire solo 3 occorrenze di le editio, a fronte di 7 occorrenze di le editiones; la controtendenza si spiega probabilmente con il fatto che questo termine è davvero ristretto nell’uso a una comunità di esperti, a differenza degli altri investigati, che accedono anche all’uso comune e giornalistico. (32) Tempi duri per gli irriducibili melomani aggrappati alle “arie” dei bei tempi andati, alle rivalità tra i soprano, ai do di petto e alle accese discussioni (www.noortechnology.com/parole/melomani4248123.html); Chi saranno i violinisti, i pianisti, i tenori, i soprano di domani? Bisognerà attendere il Concerto dei Vincitori che si svolgerà sabato alle 21 (musicaclassica.biblionet.com/artman/publish/news1410.shtml). 4.2.2. I nomi in -o che indicano donne Prenderemo in esame tre categorie: i lessemi di attestazione più antica, soprano e virago, i composti con primo membro capo-, e i recenti casi di usi al femminile di nomi di professioni e cariche in -o, quali ministro, sindaco, avvocato. Per le due voci tradizionali, la norma vorrebbe per soprano femminile un plurale invariato, che si opporrebbe a un plurale in -i (soprani) se la voce è usata al maschile, e per virago un plurale etimologico viragini (che però potrebbe sempre essere interpretato come plurale dell’allotropo viragine: v. supra §§ 2.1.1 e 4.1) o di nuovo un plurale invariabile. Per i composti con primo membro capo-, la norma prescrive la pluralizzazione in -i del primo membro se il composto è maschile, l’invariabilità se è femminile: i capigruppo/le capogruppo. Infine, per forme quali la ministro, la norma tace, probabilmente perché è il tipo stesso ad essere estraneo alla norma, e tacciono anche le Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana (in Sabatini A., 1987: 99-123), probabilmente perché questo tipo, peraltro non documentato nell’ampio corpus di testi a stampa raccolto nello stesso volume, è proscritto (così come il mantenimento del maschile, tuttora diffuso) a favore della mozione (tipo la ministra); F. Sabatini (1987: 16) registra però già nel 1987 il tipo la notaio nell’uso orale, osservando che esso, rispetto a il notaio riferito a una donna, “vuole salvare almeno un segnale di femminilità, ma […] apre una vera falla nel sistema morfologico della lingua”. Successivamente, è stata esplicitamente rilevata anche la difficoltà di pluralizzazione di questo tipo: Virago ha scarsa frequenza; il plurale in uso contemporaneo sembra esclusivamente le virago: la ricerca in Internet tramite Google identifica una sola occorrenza di le viraghe, in un contesto nel quale questa forma è fortemente stigmatizzata: per i sostantivi maschili ricategorizzati come epiceni, al cui determinante / modificatore è assegnata la funzione di marcare il genere (es.: il ministro / la ministro; l’assessore più impegnato / l’assessore più impegnata), non è possibile costruire il plurale: cfr. *le ministri / ??le ministro dei paesi della CEE; *ministri impegnate. Questo contrasto tra singolare e plurale mette in discussione la natura epicena anche del nome al singolare. (Cardinaletti e Giusti, 1991: 181) (33) Allora, per rispettare la tradizione, mettiamoci tutti a dire anche ‘le mote, le radie, le aute, le fote’ e ‘le diname, le viraghe’ - e perché non ‘i cinemi’? Così parleremmo tutti un ottimo italiano (Intervento di Marco1971 del 24/07/2003 sul forum del sito dell’Accademia della Crusca). Per quanto riguarda i composti con capo-, l’invariabilità prevale, ma la saldezza di quest’uso è messa a repentaglio da contesti quali i/le capigruppo (36 occorrenze in Google), dove l’articolo femminile si presenta adiacente a una forma di plurale con primo membro in -i, tradizionalmente limitata agli usi maschili13. Infine, per il tipo la ministro, il plurale sembra evitato: Villani (2006) non ne ha reperito attestazioni in un corpus di resoconti stenografici dell’Assemblea del Senato della XIV legislatura (30/6/2001-27/4/2006), e anche la ricerca in Internet tramite Google non ha permesso di individuare esempi del tipo, se si eccettuano le 2 occorrenze di le sindaco in (34), la seconda delle quali presenta in aggiunta donna, che di solito figura con forme al maschile: (34) le Sindaco di Borgo e Breguzzo (documentazione in rete della Provincia Autonoma di Trento); saranno presenti come gradite ospiti le sindaco donna di Edimburgo e di Glasgow (documentazione in rete dell’Ufficio Stampa del Comune di Firenze). 13 Qui dunque si viene a creare una sequenza le capigruppo ‘donne che svolgono il ruolo di capogruppo’, omonima a le capigruppo plurale invariato di la capigruppo ‘conferenza dei capigruppo’ (cfr. supra § 2.4). Paolo D’Achille, Anna M. Thornton Osserviamo anche che il tipo le ministre può essere usato come plurale non solo della forma con mozione la ministra, ma anche di la ministro, con cui cooccorre in quest’esempio reperito in Internet tramite Google: (35) … la ministro Giovanna Melandri chiaramente sulla difensiva … Ho ascoltato diverse voci dissonanti con l’impostazione CONI-centrica (il rettore dello IUSM; le ministre Bellillo e Turco; lo stesso ministro De Mauro, …) (http://www.uon.it/Firenze/confporro.htm). 5. Conclusioni Dopo aver passato in rassegna i dati disponibili sulla presenza e sull’uso dei nomi femminili in -o in italiano, cerchiamo di trarre qualche conclusione. Per quanto riguarda la fase antica, sembra indubbio che il sistema della morfologia nominale di base fiorentino/toscana abbia estromesso i pochi nomi femminili in -o di diretta trafila latina, invariabili: ha resistito solo mano, che però si è adeguato, per il plurale, ai maschili in -o. Successivamente, in seguito alla progressiva immissione nel lessico di latinismi, grecismi e composti, i femminili in -o sono “rientrati” ed è riemersa la loro originaria tendenza all’invariabilità, rafforzata, nelle fasi più prossime all’oggi, dallo sviluppo di fenomeni di riduzione (accorciamenti, ma anche ellissi). Per quanto riguarda la situazione contemporanea, la documentazione presentata sembra offrire un quadro in movimento, in cui si scontrano tendenze tra loro contraddittorie. Le tradizionali “terapie” contro le anomalie morfologiche sono infatti tuttora documentate nei confronti dei femminili in -o, ma appaiono ormai marginali, mentre la tendenza all’invariabilità, come è già accaduto per i maschili in -a, appare rafforzata. Quanto al tipo la ministro, diffuso in epoca relativamente recente, esso pone effettivamente problemi di pluralizzazione, per ora risolti per lo più mettendo in atto una strategia di evitamento. Sembra però possibile che anche in casi come questo sia destinata a prevalere l’adozione di un plurale invariato rispetto al singolare, che già predomina di gran lunga nella voce da più tempo attestata e di più largo uso, soprano. Anzi, come si è visto proprio a proposito di questa voce, cominciano a farsi strada anche plurali maschili invariati come i soprano (riferito sempre, si badi, a donne e non a uomini che cantano con voce sopranile). Si direbbe insomma che i nomi femminili in -o concorrano a rafforzare la tendenza, già da tempo in atto, all’aumento dei nomi invariabili (D’Achille, Thornton, 2003). Il fatto che attualmente i femminili in -o e i maschili in -a siano invariabili, nonostante la possibilità, in teoria, di fletterli secondo i modelli tradizionali di mano/mani e di papa/papi, indebolisce la percezione delle terminazioni -a e -o come desinenze flessive, e ha ripercussioni anche sui più comuni maschili in -o e perfino sui femminili in -a. Si cominciano a registrare, infatti, usi che lasciano invariati anche nomi di questo tipo: citiamo innanzitutto i sabato tra i maschili e le autobomba tra i femminili (per una più ampia documentazione cfr. Fanfani, 2001; Gomez Gane, 2003; D’Achille, 2006). D’altra parte, un nome invariabile in -o nel sistema dell’italiano è ancora prototipicamente femminile, dato anche il peso di accorciamenti comunissimi quali auto, radio, foto, moto. Questo fa sì che l’originariamente maschile e irregolarmente invariabile euro (divenuto tale per “forza bruta”: Gomez Gane, 2003) sia ora soggetto a un incipiente uso al femminile, almeno in contesti quali a sole diciannove euro (Thornton, 2006). 6. Riferimenti Antonelli, G. (1995). Sui prefissoidi dell’italiano contemporaneo. Studi di lessicografia italiana, 13, pp. 253-293. Caffarelli, E. (2000). Sul genere dei nomi delle squadre di calcio in Italia. Rivista italiana di onomastica, 6, pp. 113-138. Cardinaletti, A. e Giusti, G. (1991). 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