Miracolo d`amore
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Miracolo d`amore
Miracolo d’amore In ricordo di Matteo e Roberta a cura di Giorgio Salvadori Associazione Movimento Shalom San Miniato (Pi) Trimestrale del Cesvot - Centro Servizi Volontariato Toscana n. 35, gennaio 2013 Reg. Tribunale di Firenze n. 5355 del 21/07/2004 Direttore responsabile Cristiana Guccinelli Redazione Cristina Galasso Prodotto realizzato nell'ambito di un sistema di gestione certificato alle norme Iso 9001:2008 da Rina Services Spa con certificato n. 23912/04 è il nome che abbiamo dato alle pubblicazioni dedicate agli atti dei corsi di formazione. I volumi nascono da percorsi formativi svolti per conto del Cesvot dalle associazioni di volontariato della Toscana i cui atti sono stati da loro stesse redatti e curati. Un modo per lasciare memoria delle migliori esperienze e per contribuire alla divulgazione delle tematiche di maggiore interesse e attualità. 2 Prefazione Prefazione di Mons. Andrea Pio Cristiani Sono così profondamente coinvolto dalla storia di Gabriele e della sua famiglia che ogni qual volta il mio pensiero si rivolge a loro mi commuovo, ma non per la drammaticità dei fatti che si è abbattuta sulla loro casa, ma per una sensazione di dolcezza e ammirazione che mi pervade. Le pagine di questo libro che fa crescere la letteratura dell’amore umano nelle sue manifestazioni più alte, è attraversata da una sorprendente luce rasserenante. È la sapiente consapevolezza che in Dio non c’è la morte e in Lui tutto vive. Il suo essere amore fa da coesione alla nostra vita in modo che nessuno è più unito a noi di coloro che già vivono in Lui, vengono abbattuti i vincoli dello spazio e del tempo e siamo con loro “un cuore solo”. Questa straordinaria originalità del nostro essere, fa sì che l’avventura umana sia diversa per ognuno in ogni dimensione, anche nella durata degli anni. “Insegnerai a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” (Salmo 89,2): è da questa consapevolezza che deriva l’orientamento della nostra vita che vale non tanto per la sua lunghezza, ma per il senso di cui si riveste. Gesù non ci ha forse detto che “il figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate”, ed il suo invito non è stato quello di essere sempre “pronti con la cintura ai fianchi e le lucerne accese”? (Lc 12-35) Come si può definire sciagura o disgrazia l’incontro con Colui che ci ha amati da sempre? Non ha Egli definito “beati coloro che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli”? Ma essere svegli che cosa significa se non vivere la Sua parola, vivere nella bontà, vivere con fiducia in Lui? Matteo e Roberta sono stati viandanti saggi che non hanno lasciato la loro lampada senza olio. Ora siedono alla mensa del Signore ed Egli stesso passerà a servirli nutrendoli di vita e di felicità (Lc 12, 37) Ora davanti a lui “un giorno solo è come mille anni e mille anni come un giorno solo” (2Pt. 3,8). È certa la parola accogliente con la quale il Giudice giusto ha spalancato a loro le porte del regno. “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” (Mt 25, 34-36). La fede in Colui che è la risurrezione e la vita non elimina del tutto il dolore a motivo della separazione fisica, l’abitudine al contatto corporeo rende difficile la comunione incorporea, ci vuole tempo e forti motivi interiori per apprendere il linguaggio del dialogo fra le anime. Sofferenza e lacrime. Recita il Salmo 22: “se dovessi camminare in una valle 3 oscura non temerei alcun male perché tu sei con me, il tuo bastone ed il tuo vincastro mi danno sicurezza”. La testimonianza raccolta in questo libro apre un orizzonte di vita che ci strappa all’angoscia della mortalità. Il credente non ignora il peso del distacco, ma sa con realismo che ogni ora, ogni istante della vita ci avvicina a coloro che amiamo. È il tempo dell’attesa che ci riempie non di rimpianti ma di nostalgia di un nuovo e definitivo incontro. La grande virtù collegata alla morte cristiana è la carità, le opere dell’amore sono più forti della morte, capaci quindi di sopravvivere al mostro vorace della fine dei giorni e delle cose. Chi ha l’amore autentico è come se avesse una scintilla di eterno. Chi ha praticato l’amore verso il fratello vede schiudersi il Regno dove tutto è amore. L’amore ci rende commensali di Dio e quindi, ci introduce nella sua stessa immensità. Lo Shalom con le sue opere ci fa assaporare l’eternità. Non ha detto il Signore che gli operatori di pace e di giustizia saranno benedetti? Roberta e Gabriele con Matteo e Margherita sono indivisibili e per sempre una cosa sola. 4 5 Targa affissa all'ingresso della scuola a Dori La morte non è niente… Asciugate le vostre lacrime e non piangete, se mi amate il vostro sorriso è la mia pace. A Matteo e Roberta 6 Prefazione La mia mamma La mia mamma si chiama Roberta Tomasi; è nata il 4 dicembre 1964 perciò ha 37 anni; è nata a Trento, non è tanto alta, ma nemmeno un nano: si può dire che la sua statura è media; i suoi capelli sono castani, gli occhi, invece, sono di un forte verde. Non fa nessun lavoro, in compenso lavora a casa: fa le faccende, rigoverna, pulisce; il suo lavoro è fare la casalinga anche se a volte, per esempio, per apparecchiare, sparecchiare, dare l’aspirapolvere, chiede aiuto a me e alla mia sorellina. Il suo carattere non è dei migliori per un solo motivo: prende subito fuoco se qualcosa le va storto; comunque resta una persona solare. Con le sue amiche, però, non si arrabbia mai, mantiene sempre la calma ed è per questo che ha tante amiche. In realtà è come se la mia vita dipendesse da lei perché le uniche gioie si ricevono dalla mamma e dal babbo. Penso proprio che lei sia ottima. Nei momenti più difficili è lei che mi è stata più vicina; infatti, quando avevo l’ernia, ha sopportato il sacrificio di starmi vicino all’ospedale. Perciò, dopo tutto questo, ho riposto piena fiducia in lei. Il suo modo di fare, con me e mia sorella, è abbastanza severo; certe volte, per esempio quando è stanca ed io e la mia sorella litighiamo, lei ci lascia stare però, quando sta bene, prima arrivano gli urli e se non capiamo arrivano le botte… Però, in fondo in fondo, lo fa per il nostro bene. Con il babbo, cioè suo marito, a volte scherza e gioca, altre volte ci litiga ma questo succede raramente. Non ha un hobby preciso, ma le piace molto chiacchierare e questo succede sempre; infatti, quando ai compleanni gioco a pallone, lei dice: "Matteo! Vieni, andiamo a casa”, ma io so già che prima di una mezz’oretta non vado via. Di lei mi piace una cosa in particolare: cerca di far tutto per farci star bene ed in questo la ammiro. Però di una cosa non sono affatto contento, infatti la maggior parte delle volte non è puntuale: quando arriva un’ora prima, quando arriva un’ora dopo e per questo atteggiamento mi ha fatto saltare un compleanno. Beh, in questo mondo ci sono molte mamme, a me è toccata una delle migliori perché le uniche gioie della vita sono la mia mamma ed il mio babbo. Saranno solo due ma valgono più del mondo intero. Matteo Gronchi, classe V elementare 7 Un ragazzo speciale Quel tempo guaritore, così declamato e così bramato, forse da chi dolore vero non ne ha mai provato; per chi si trova come noi, in questa triste realtà, non dà buoni frutti. È solo una mera illusione, direi piuttosto il contrario; più tempo passa e più il ricordo si fa struggente e più il dolore ci annienta. È come un fallimento di tutta una vita. Manca tutto di Matteo, mancano i suoi sorrisi, mancano i suoi silenzi, mancano i suoi sguardi. Una delle immagini più belle che ho di Matteo è lui seduto al tavolino, ormai grande, con il suo notebook (il suo ultimo regalo) concentrato nel suo gioco preferito. Questa immagine mi rimbalza sempre in testa perché quel giorno, senza dirlo a lui, pensai fra di me: “Come è bello il mio Matteo”. Il mio Matteo era cresciuto, era un uomo. Per me mamma sempre il mio bimbo. Matteo non era solo bello, era anche molto intelligente, con ottimi risultati scolastici ed era sempre stato il primo della classe. Dio gli aveva dato veramente tutto, ma non bastano queste due cose per far di un ragazzo, un ragazzo speciale. Aveva anche un bel carattere, accomodante, obbediente, sensibile ma, soprattutto, era un buono. Sarà una teoria, saranno fantasie ma coloro che ci lasciano, sono sempre i migliori. E questa cosa mi fa arrabbiare moltissimo. Ho sempre sostenuto che Matteo fosse il figlio ideale ancor prima che succedesse quel tragico evento che ha cambiato radicalmente la nostra vita. È difficile per la gente comune accettare la morte a sedici anni, ancor più difficile per gli amici accettare la morte di un amico, è inaccettabile per una madre ed un padre accettare la morte del proprio figlio, tanto più se era un ragazzo speciale. Matteo mi manchi. Mamma 8 Introduzione Introduzione di Giorgio Salvadori Quando Gabriele mi chiese di aiutarlo, nella stesura della pubblicazione riguardante il Progetto “7 Gennaio”, perché niente di tutto ciò che era avvenuto andasse perduto, d’impeto accettai. Come dimenticare quel giorno di Novembre del 2009 quando lasciai nella cassetta della posta della sua ditta una lettera con una richiesta di contributo per la pubblicazione di un mio libro di filastrocche da destinare ad un progetto del Movimento Shalom. Fu allora una scelta del tutto casuale non sapendo nulla di quanto era accaduto a lui e alla sua famiglia. La mia richiesta rimase, involontariamente, ferma per alcuni mesi fra la corrispondenza ma Gabriele non si era dimenticato e fece in modo di conoscermi. Ci incontrammo nel febbraio del 2010 dopo l’inaugurazione della scuola femminile a Dorì, relativa al Progetto “7 Gennaio”. “Sapevi nulla di quanto mi è accaduto tre anni fa?” mi chiese subito Gabriele. “No!” risposi. “…Ho perso mio figlio Matteo, appena diciassettenne, in un grave incidente stradale il 7 gennaio del 2007…” Ripenso, ora, con stupore, a quel nostro primo incontro, a quel breve, intenso dialogo e a quelle parole che saranno il filo conduttore di questa commovente storia d’amore o meglio di un “miracolo d’amore” che andremo a raccontare. Ci unisce un percorso di viaggiatori del mondo e di pellegrini verso la Casa di Dio Padre, attraverso una fede operosa. Ho voluto incominciare da qui, dal mio primo colloquio con Gabriele perché sono certo che non ci incontriamo per caso. “Chi combina le combinazioni?” diceva Padre Pio. Ci sono vie misteriose, a noi sconosciute, che ci permettono durante la vita di incontrare persone con le quali condividere i nostri ideali e una progettualità caritatevole che ci coinvolge,ci appassiona e ci sprona per renderci migliori. 9 Parte I PARTE PRIMA 11 Il Progetto “7 gennaio” e la sua storia Seduti intorno al tavolo della cucina, ci ritroviamo per scrivere tutto ciò che sarà utile per non dimenticare e per mantenere vivo il ricordo di Matteo, di Roberta e di quanto è accaduto in questi anni. Molte persone fanno parte di questa storia e ciascuno di loro ci comunicherà i propri ricordi e i propri sentimenti riguardo agli avvenimenti del passato che hanno spinto Gabriele e Roberta a far nascere la vita dalla morte. Per alcuni istanti un silenzio, carico di commozione, è calato sui presenti fino a che Silvio ha estratto dalla tasca della giacca un foglio dattiloscritto, dal titolo: Riflessioni sulla storia del Progetto "7 gennaio" che ci ha letto… In occasione della stesura di questo testo, mi ero riproposto di scrivere una riflessione insieme a mia moglie come nostro contributo ma quando per una ragione, quando per un’altra, non riuscivo mai a trovarla disponibile. Temo che il motivo di questo continuo diniego sia dovuto al suo voler ostinatamente evitare di ripercorrere quei momenti che la notte fra il 6 ed il 7 gennaio 2007 ci portarono fino al Pronto Soccorso di Empoli e constatare il decesso di Matteo o forse anche il solo rinnovare col pensiero le tappe della malattia di Roberta fino alla sua recente scomparsa, la facevano desistere da quel proposito. Sono quindi costretto a procedere da solo nel tentativo di spiegare cosa c’è dietro a questa importante realizzazione in Africa. Sicuramente le riflessioni qui raccolte e lo stesso titolo del libro, scelto dall’autore e dalle persone che hanno collaborato con lui, ci sveleranno come la realizzazione della scuola primaria per bambine nella Diocesi di Dorì, in Burkina Faso, sia veramente un qualcosa di soprannaturale... Dare la possibilità di studiare a delle giovani donne, che abitando ai margini del deserto del Sahel, altro non avrebbero avuto dalla vita che un matrimonio combinato dalle loro famiglie magari con un pastore di venti anni più vecchio, è di per di sé un miracolo, sì: un “Miracolo d’amore”. La scelta di far vivere altre persone, con l’espianto degli organi di Matteo, è un enorme “Miracolo d’amore”. Il solo pensare di sostituire le corone di fiori, al funerale di Matteo, con una raccolta di fondi per dotare uno sperduto villaggio africano di un pozzo d’acqua, 12 Parte I è un “Miracolo d’amore”. Anche l’accoglienza ricevuta, dalla famiglia Gronchi e da chi li accompagnava, in occasione della inaugurazione della scuola, fra due ali di bambine festanti che cantavano “Bienvenu” e il discorso del Vescovo Giovacchino, che invitava Gabriele, Roberta e Margherita a sentirsi con loro una grande famiglia, è un vero e proprio “Miracolo d’amore”. Il risveglio dal coma del giovane Andrea Commellini conseguente al grave incidente stradale occorsogli e la visione di Matteo che lo esortava a risvegliarsi e tornare alla vita, è un immenso “Miracolo d’amore”. Per non parlare, poi, di tutte le persone che abbiamo incontrato in questo cammino, a volte faticoso ma incredibilmente entusiasmante, per la raccolta dei fondi da destinare alla realizzazione della struttura che si sono sentite immediatamente coinvolte e parte integrante di questo grande sogno; tutto questo, a mio modo di vedere, è un grande “Miracolo d’ amore”. Le manifestazioni organizzate da volontari in diverse realtà paesane e cittadine che, senza il coinvolgimento delle istituzioni ma derivante esclusivamente da donazioni personali, hanno permesso, euro su euro, di raggiungere cifre sorprendenti da destinare al progetto, sono un meraviglioso “Miracolo d’amore”. La condivisione, magari non immediata di Roberta al progetto, che Gabriele e Margherita avevano fortemente voluto in memoria di Matteo, e la passione con la quale lei si era dedicata poi alla gestione della scuola stessa, è un “Miracolo d’amore”. Il coraggio e la dignità di Roberta nell’affrontare la sua malattia e la determinazione di continuare anche senza di lei, l’opera ormai iniziata, da parte di Gabriele e Margherita, è, lo stesso, un “Miracolo d’amore”. Sì, ma quanto dolore, quante lacrime, quante notti insonni a pensare e ripensare ai tristi momenti di quella notte d’inverno sull’asfalto della Tosco Romagnola. A quale prezzo queste bambine hanno ora la possibilità di guardare al proprio futuro con speranza! E poi, di nuovo, il calvario di Roberta da un ospedale all’altro fra un ciclo di chemio 13 ed uno di radio sempre assistita, con amore e dedizione, da Gabriele con il sostegno di Margherita. Certo che la Fede ha giocato un ruolo fondamentale nella costruzione della scuola perché senza di Essa sarebbe venuto meno l’impegno ostinato di molti di coloro che si sono spesi per la realizzazione del progetto. Ma guardate, in fondo cosa ci spinge, ancora, dopo tutte queste traversie e dispiaceri a lavorare per il futuro di queste ragazze, lontane da noi seimila chilometri e che molti di noi non conosceranno mai? È lo stesso spirito che muoveva il buon samaritano, nella parabola evangelica, nei confronti di un suo simile malmenato, in difficoltà e per giunta di un’altra stirpe. È questo, in estrema sintesi, il grande ed autentico “Miracolo d’amore” del progetto 7 gennaio. Silvio, come se avesse bisogno di una pausa, si è fermato e per alcuni attimi si è fatto taciturno; pur comprendendo il suo stato d’animo l’ho invitato a ricordare Matteo e quanto era accaduto. Lui, quindi, con voce sommessa ed uno sguardo carico di tristezza, è tornato a parlare iniziando dal 6 gennaio 2007. …Quella sera io, mia moglie, Roberta e Gabriele giungemmo a Bagno Vignoni, nota località termale del senese, prendendo alloggio nell’albergo centrale del paese. Dopo cena, mentre facevamo una passeggiata sulla piazza, giunse a Gabriele una telefonata. Era il fratello Stefano, che lo avvertiva dell’incidente stradale accaduto a Matteo e che lo invitava a raggiungerlo al più presto all’ospedale di Empoli dove era stato ricoverato il figlio.… Guardai Gabriele e lo vidi come smarrito, quasi pietrificato. Con la morte nel cuore comunicammo la notizia a Roberta e a mia moglie Cristina che volle guidare l’auto durante il ritorno. “Vai!... Vai!” le gridò varie volte Gabriele in quel viaggio che per tutti noi fu una sorta di Via Crucis. Le preghiere, i silenzi, i pianti sommessi e le telefonate si alternarono per tutto il tragitto mentre la macchina sfrecciava a tutta velocità su quelle strade che parevano non finire mai. Quando giungemmo al pronto soccorso dell’ospedale di Empoli erano 14 Parte I già passate le 23. Capimmo subito che la situazione era gravissima. I medici ci dissero che avrebbero fatto a Matteo un encefalogramma e che in base ai risultati avrebbero deciso come procedere. In quei momenti di angosciosa attesa mi passarono davanti i diciassette anni di vita condivisa con Gabriele, Roberta, Matteo e la piccola Margherita. La nostra amicizia nacque con la nascita dei nostri figli. Quanta emozione e quante lacrime di gioia per l’arrivo di Matteo, che con i suoi begli occhi azzurri assomigliava molto al babbo, e pochi giorni dopo arrivò Saverio, mio figlio. Quindi i biberon, il cambio dei pannolini, lo stupore delle prime parole, i primi passi, l’asilo, la scuola, la prima comunione, la scuola media, il calcio che era un’autentica passione per Matteo, le scuole superiori, le prime cotte, le gioie, le delusioni… Durante questi veloci ricordi piansi, sperai, pregai, invocai, implorai ma tutto crollò, quando i dottori ci informarono che per Matteo non c’era più nulla da fare. Rimasi completamente spiazzato quando Roberta, in un estremo atto d’amore, acconsentì immediatamente, con l’assenso di Gabriele, all’espianto degli organi del loro figlio... L’intensità emotiva del ricordo blocca Silvio per alcuni istanti mentre sul suo volto come su quello di Gabriele, di Giacomo e di Simone torna un velo di sofferenza e la commozione rende più lucidi gli occhi. Provo ad immaginare in quale smarrimento può essere precipitata la vita di Roberta e di Gabriele in quei giorni ma credo che sia difficile comprendere fino a quale grado possa essere giunto il loro dolore. Ciascuno di noi era come raccolto nei propri pensieri quando Silvio ha rotto, di nuovo, il silenzio dicendo: Più passa il tempo e più mi convinco che in quella fredda sera del 6 Gennaio anche una parte di me sia rimasta sull’asfalto della Tosco Romagnola assieme al corpo senza vita di Matteo. Tutto è avvenuto con una tale intensità che di fatto ha impedito che mi accorgessi di quanto quella triste esperienza mi avesse invecchiato precocemente. Come posso dimenticare lunedì 8 Gennaio quando ci fu il funerale nella chiesa di Capanne. Le navate erano stracolme di gente che voleva 15 far sentire la sua vicinanza a Gabriele e Roberta. Loro erano rimasti chiusi in un silenzio disperato, quasi impenetrabile. Mi colpì la loro caparbia volontà di raccogliere fondi per la realizzazione di un pozzo in Burkina Faso. A questo proposito Roberta con coraggio, nonostante l’angoscia sfigurasse il suo volto, andò all’ambone pronunciando queste parole: Caro Matteo, in questo momento la vita e la morte ci hanno separato fino a quando Dio lo vorrà. 3000 soli non basteranno ad asciugare le mie lacrime e quelle di chi ti ha amato. Chi ti ha conosciuto sa che cosa ha perso: la dolcezza del tuo sorriso, la tua vivacità, la tua sensibilità, la tua voglia di vivere, il tuo equilibrio, il tuo grande senso di responsabilità e la tua immensa generosità. Una parte di me si spegne con te, l’altra rimane per fare luce al tuo babbo che ti ha amato tantissimo e alla tua sorella Margherita, amica e nemica, ma allo stesso tempo tanto preziosa ai tuoi occhi. Le parole che non ci hai mai detto, le dicevano il tuo sguardo. Quel T.V.B. duro da uscire... Di una sola cosa gioisco, in questo momento, che tu abbia conosciuto, anche se per poco, le varie sfaccettature dell’amore, non solo quello materno ma quello che ti ha fatto battere il cuore. Grazie alla scienza il tuo cuore batterà ancora ed i tuoi occhi continueranno a vedere. Matteo sei e sarai con noi per sempre. La scelta di non volere fiori non è casuale: assolutamente no! Ogni fiore che ti avremmo voluto dare si trasformerà in gocce d’acqua ed andrà a dissetare, tramite un pozzo in Burkina Faso, migliaia di bocche assetate che potranno sorridere ancora. Quel pozzo lo chiameremo “Occhi cinguettanti” e chi ti ha conosciuto capirà. Addio mio piccolo amore. La tua mamma. Al termine della lettura l’emozione ci ha preso tutti e per alcuni istanti un silenzio irreale è calato nella stanza. È l’amore che ha trasformato le lacrime cadute dagli occhi e dal cuore di Roberta in un’ immediata generosità verso i sofferenti vicini e lontani. 16 Parte I Credo che non esista solo il tempo che passa meccanicamente ma c’è anche il tempo dell’anima che ci permette di gustare velocemente i momenti gioiosi e quelli dolorosi in maniera lunghissima, quasi senza fine. Questo vale per tutti ma soprattutto per chi è colpito profondamente dal dolore. Con questi pensieri nella mente per alcuni istanti ho guardato Gabriele che, poco dopo, con gli occhi lucidi e alcuni colpi di tosse, ha iniziato a parlare: …La vita non sai cosa ti riserva; a volte può essere benevola, a volte terribile; con noi è stata terribile. Non ci sono parole per esprimere il dolore che provi nel momento in cui ti viene a mancare un figlio, strappato alla vita in giovane età, in modo tragico e fulmineo. È stato così per il nostro amato Matteo. Con lui avevo un forte legame; ci univano, particolarmente, il pallone e le corse in moto. Era cresciuto bene, studiava con profitto, aveva già lavorato in fabbrica ed io me lo sentivo accanto come un piccolo grande uomo. Era buono e con un carattere che si adattava senza far fatica. I primi giorni, dopo la sua morte, non ho realizzato appieno la sua mancanza che ho sentito profondamente dopo un paio di anni. Succede, in alcuni casi, qualcosa di indefinibile, eccezionale, come un disegno già scritto. Dalla morte ecco nascere la vita; dalla condivisione e dalla solidarietà la forza di continuare il cammino terreno. Parlare, ora, di tutto questo mi fa venire un groppo alla gola… In quel preciso istante il filo dei suoi ricordi si è come bruscamente interrotto e sono affiorate alcune riflessioni personali. Cosa possiamo fare di fronte a tanto dolore e desolazione? Molti perché affollano la mente e le risposte sono varie come: il silenzio, la vicinanza, le lacrime, l’accettazione, la rassegnazione, la fede e la speranza. Per un cristiano la speranza non è un’illusione o falsa consolazione, ma è Verità assoluta perché Gesù ne è il garante. Nel rileggere la toccante lettera di Roberta e dopo aver ascoltato i pensieri di Gabriele ho ripreso le parole del fondatore di Shalom, mons. Andrea Pio Cristiani, sulla fecondità del dolore: Nel progetto di Dio, il dolore accolto e donato per amore, diventa la via maestra per un rapporto umano e profondo, nuovo ed intenso. Si svela, così, l’unione con il Signore ma, 17 allo stesso tempo, possiamo conoscere anche noi stessi, la nostra umanità. Quando l’amore non trova cittadinanza nel nostro universo interiore, la vita perde ogni senso e, quando sopraggiunge la sofferenza, essa diventa causa di frustrazione e di malessere. La nostra speranza scaturisce dall’incontro del Crocifisso Risorto e l’avvicinarsi a Lui nel viaggio della vita ci consente non solo di accettare le tribolazioni, ma anche di abbracciarle con letizia. Sono miracoli interiori che solo lo Spirito può generare e sostenere. Prove durissime della vita sono rese sopportabili nella dedizione agli altri, nelle opere di giustizia, nella solidarietà verso i poveri. Famiglie ed amici, affranti dal dolore per la perdita di un loro congiunto, hanno trovato sollievo e motivo di vivere nella dedizione agli altri. Direi che Shalom, come tante altre comunità che vivono l’amore verso i poveri, è testimone delle grandi opere di Dio e come Egli da “un chicco di grano gettato nella terra produca molto frutto” (Gv 12, 24). Queste parole mi rimandano a quanto il Papa Benedetto XVI afferma in una lettera sulla carità indirizzata a tutta la Chiesa: La carità è una forza straordinaria che ha la sua origine in Dio e che ciascun cristiano nella carità realizza se stesso aderendo al progetto che Dio ha su di lui. Anche san Giacomo ci viene in aiuto ammonendoci: Che giova fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti di cibo quotidiano e uno di voi dice loro: ”Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non dà loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta a se stessa. Pure San Pio da Pietrelcina amava ripetere che tutti dobbiamo avere: “Una fede operosa”. P. Pio aveva gratitudine, ammirazione, affetto e stima per tutti coloro che, 18 Parte I a prescindere dalla loro professione di fede, lavoravano sodo in una qualsiasi attività per il bene dell’umanità, per sovvenire a necessità e ad alleviare le pene dei bisognosi. Sono certo che preghiere e opere di bene vadano di pari passo perché una è strettamente legata all’altra. Il Signore accetta la preghiera solitaria e collettiva perché l’invocazione rafforza lo Spirito del singolo, della Comunità e della Chiesa tutta nelle sue tre dimensioni: peregrinante, purgante e trionfante. Credo che la mancanza di preghiera non sia ben accetta da Dio perché compiamo un atto di superbia se pensiamo di poter agire senza la forza dello Spirito Santo che è parte integrante e sostanziale della Trinità. 19 Il pozzo Quando vediamo scorrere l’acqua dal rubinetto delle nostre case ci sembra tutto normale, semplice, direi ovvio avere a disposizione questo bene naturale, ma così non è per tutti i popoli della Terra. Spesso l’acqua è una risorsa misteriosa, preziosa, difficile da trovare, da ottenere ed usufruire soprattutto in molti Paesi poveri dell’Africa, dell’Asia e dell’America latina. Questo pensiero mi riporta al primo progetto di solidarietà di Roberta e di Gabriele relativo alla costruzione di un pozzo in Burkina Faso con i soldi raccolti durante il funerale di Matteo. In una pausa della nostra conversazione Gabriele prende la rivista trimestrale di Shalom, la sfoglia e si ferma su una bella foto che lo ritrae assieme a sua moglie Roberta, alla figlia Margherita, ai capi villaggi e alla popolazione locale durante l’inaugurazione del pozzo stesso avvenuta lunedì 19 Febbraio 2007. Quindi Gabriele estrae, da una robusta e capiente scatola bianca, un resoconto dettagliato di quella giornata scritto da Roberta stessa. Oggi, di tutte le giornate trascorse in Burkina Faso, è stata senz’altro la più intensa sia per emozioni che per fatica. Infatti, abbiamo finalmente realizzato il progetto che ci eravamo prefissati: “il pozzo”, quel pozzo nato nella nostra tragedia, le lacrime di chi ha voluto bene al nostro Matteo trasformate in acqua di vita. Le prime impressioni che questa terra mi ha trasmesso sono state, sì, di miseria, tuttavia non la miseria nera che tutti ci immaginiamo, dove la gente muore di sete, di fame e conduce una vita di stenti. Ho visto anche gente che conduce, seppure in povertà, una vita decorosa; credevo quindi che questa popolazione fosse povera ma non misera. Da oggi mi devo ricredere perché ho visto l’altra faccia dell’Africa, dove veramente si muore di fame. Il villaggio dove abbiamo trivellato il pozzo si chiama Pikioko, distante dalla capitale circa 60 km, poca cosa se si pensa alle nostre strade, ma quando si parla di carrettiere in Africa la cosa cambia. Due o tre ore di jeep su una strada sconnessa, trafficata da capre, asini, pedoni e ciclisti. L’accoglienza al nostro arrivo è stata molto calorosa; ad aspettarci c’erano l’intero villaggio al completo con i villaggi vicini, donne, bambini e, poco distanti, gli uomini vicino alla trivella. Vigono delle regole ben precise in questa terra “dimenticata” da Dio, ossia un ordine gerarchico dove partendo 20 Parte I dal gradino più basso per salire al gradino più alto vi sono: bambini, che valgono meno di nulla, donne che, pur valendo poco, sono a loro modo importanti perché lavorano e mandano avanti la famiglia, uomini che, tutto sommato, non se la passano male ed infine gli anziani, quei pochi rimasti, visto che la vita media oscilla intorno ai 40 anni o poco più. All’arrivo avevamo in dosso le magliette con il volto di Matteo, bello come il sole; i burkinabè ci hanno accolto danzando e cantando per noi. Nel frattempo la trivella perforava quel terreno granitico. Con noi vi era Jonas, responsabile Shalom in Burkina Faso ed anche nostro accompagnatore e traduttore ufficiale, che ci ha presentati al capo villaggio, il quale ci ha voluto ringraziare personalmente. Di lì a poco la trivella ha cominciato a sbuffare spruzzi d’acqua che toccavano il cielo; c’è stato un applauso generale, ma per noi era qualcosa di più di un semplice applauso, era il nostro ”Matteo” che in qualche modo era presente; il nostro dolore si è mischiato alla gioia di tanti altri. Credo che queste immagini rimarranno impresse nel mio cuore e nella mia mente per il resto dei miei giorni. Impossibile dimenticare! Ritengo importante riportare alcuni dati tecnici riguardanti il pozzo realizzato: profondità: 85 metri; portata: 5mc ora; bacino interessato: 3500 persone; costo dell’opera: seimila euro. Il Presidente del Movimento Shalom, Silvio Della Maggiore, ha ringraziato noi genitori del dono fatto ed ha parlato agli abitanti del villaggio sull’importanza della famiglia, dei figli e del percorso ciclico della vita di ognuno di noi, fra gioia e dolori. Interessante è stato anche il breve discorso del capo delle cooperative di Pikioko che ha preso ad esempio la parabola del buon samaritano che disseta un mendicante di altra religione, non a caso, visto che il pozzo disseterà soprattutto animisti e musulmani. Il sole era caldo e alto, ma l’emozione aveva offuscato ogni necessità ed ogni bisogno fisico. Si era avvicinata l’ora del commiato e gli abitanti del villaggio, per ringraziarci, ci hanno fatto dono di ben 7 polli vivi. Ora anche sul cielo di Pikioko c’è una finestra dove ogni tanto si affaccia un timido ragazzo dagli “occhi cinguettanti”: Matteo. 21 Le toccanti parole scritte da Roberta mi invogliano nel chiedere ai presenti se hanno ulteriori ricordi di quella intensa ed emozionante giornata. Silvio, assecondando prontamente la mia richiesta, interviene: Come potrei dimenticare quei getti d’acqua che parevano toccare il cielo, le parole di ringraziamento rivolteci dai responsabili locali che avrebbero beneficiato della preziosa acqua che, finalmente, avrebbe alleviato le sofferenze di migliaia di persone e lo stupore e la gioia in tutti i presenti. La sorpresa più grande fu, per me, quando a Roberta e Gabriele fu rivolto un accorato appello dai capi villaggi che chiesero loro di realizzare, in quella zona, una scuola per i numerosi bambini che non avrebbero potuto, altrimenti, istruirsi perché era notevole la distanza che li separava dalla scuola più vicina. Roberta e Gabriele dichiararono subito la loro generosa disponibilità, ma difficoltà relative alla mancanza di vie di comunicazione efficienti non permisero, nell’immediato, di dar corso al progetto. Quell’appello, però, non cadde nel vuoto. Un giovane vescovo, Mons. Joachim Quedraogo, responsabile di una sterminata quanto povera diocesi, situata al confine del deserto del Sahel, si rivolse al nostro Movimento perché si attivasse per la costruzione di una scuola secondaria per ragazze. La condizione femminile in Africa è, ancora, molto difficile e spesso è ridotta ad un ruolo subalterno, quasi invisibile a causa di una società che offre minori diritti alla donna rispetto all’uomo, specialmente a riguardo dell’alfabetizzazione e della formazione. Le bambine provenienti da famiglie povere hanno poche, per non dire nessuna, possibilità di istruirsi e quindi di evitare una vita di miseria e di soprusi. Gabriele e Roberta conobbero presto l’energico vescovo e si fecero conquistare dal progetto per la realizzazione della scuola femminile nella sua diocesi di Dorì… 22 Perforazione del pozzo a Pikioko 23 Metamorfosi di Germana Campani Angolo di terra, dimenticato da Dio, dove l’acqua è vita. Zolle di sabbia indurite, labbra di bimbo assetate, occhi impastati di sale ammiccano increduli… Sei fuggito da noi, occhi lucenti, da un mondo senza cuore e senza fede, figura evanescente sospesa, per un attimo, tra la terra e il cielo, per prorompere, poi, da quel getto viscerale d’acqua e sciogliersi in cascatelle di benefica pioggia. Ogni filo d’erba avrà il tuo volto, ogni bimbo salvato il tuo sorriso. Noi, così, Ti vogliamo ricordare. 24 Targa affissa presso il pozzo di Pikioko 25 Il Progetto “7 gennaio” in memoria di Matteo La fortezza, oltre ad essere una speciale virtù è una qualità della fermezza, ed è necessaria nell’esercizio di ogni virtù ed in particolar modo nella carità. La fortezza si trasforma in virtù specifica, quando l’uomo deve affrontare e superare le prove della vita. Ce lo dice San Tommaso d’Aquino: “C’è una fortezza speciale, specifica, che sta nell’affrontare i pericoli, nel sopportare le fatiche e nel sostenere la volontà di fronte ai mali corporali, il più grande dei quali è la morte.” La natura può dotare l’uomo di un carattere più o meno coraggioso, ma la fortezza infusa, che può e deve essere sostenuta dalle qualità naturali, non va confusa con queste, perché essa proviene da Dio. Questa premessa è utile per capire l’impegno profuso da Gabriele nel Progetto “7 gennaio” e le sue parole sono qui a ricordarcelo: Pur consapevoli delle difficoltà che avremmo incontrato aderimmo, subito, alla richiesta del Vescovo Joachim. Con la costruzione del collegio femminile a Dorì volevamo aiutare delle ragazze nel loro cammino scolastico offrendo loro l’opportunità di un riscatto sociale dato che a pochi, e non alle donne, è data la possibilità di risollevarsi dalla loro povertà materiale e culturale. Ero certo che avremmo raggiunto l’obiettivo perché eravamo sospinti da una forza e da una motivazione che oso dire Superiore. Noi crediamo che il nostro Matteo ci abbia guidato in tutto quello che, all’inizio, sembrava solo un sogno: far rivivere nostro figlio garantendo l’istruzione a centinaia di bambine così lontane da noi. In quella scuola, costruita in sua memoria, avrebbero potuto formarsi i nuovi insegnanti, gli amministratori, gli educatori con il compito di cambiare il volto del proprio Paese. Per questo motivo, ci siamo tuffati a capofitto nella progettazione tecnica dei vari edifici occorrenti e nel pianificare una serie di incontri di sensibilizzazione nelle scuole e nelle parrocchie. 26 27 Primo prospetto strutturale della scuola Subito la comunità di Capanne e molte altre persone, che colgo l’occasione di ringraziare, hanno lavorato con impegno e dedizione per concretizzare il nostro sogno. Abbiamo distribuito salvadanai, magliette e gadget, coordinato coreografie in alcuni stadi, e qui ricordo con particolare emozione quello di Firenze, raccogliendo generose offerte. Abbiamo richiesto contributi alle istituzioni e alle aziende, organizzato cene di autofinanziamento, lotterie, fiere di beneficienza, feste della carità e tornei di calcetto. Non posso dimenticare il prezioso apporto e la sinergia con i volontari di tante sezioni del Movimento Shalom sparse in tutta Italia che ci hanno permesso di raggiungere lo scopo che ci eravamo prefissati. Le raccolte di fondi e le piccole donazioni, ottenute da un impressionante numero di persone, hanno fatto sì che queste, come piccoli ruscelli d’acqua, abbiano potuto ingrossare il fiume della solidarietà. Decine e decine di migliaia di euro si sono presto trasformati in ferri da armatura e cemento, mattoni e calce, vernici e suppellettili in una struttura,che era stata realizzata su un terreno di 5 ettari, e che si componeva, ed è attualmente costituita di: 1 edificio ad uso scuola con 4 aule e servizi; 1 edificio ad uso segreteria, composto da uffici, segreteria, aula professori, palestra, magazzino, biblioteca e servizi; 1 edificio ad uso alloggio delle suore dell’ordine dell’Immacolata Concezione, coordinatrici del centro e parte del corpo docente della scuola; 1 edificio ad uso mensa, composto da cucina, magazzino, sala da pranzo e servizi. Costo totale del progetto: 260.000 euro (del totale fa parte il costo stimato della mensa di 45.000 euro). I lavori, per la costruzione dei vari edifici, hanno avuto inizio il 15 ottobre 2008 e l’inaugurazione della struttura scolastica è avvenuta l’11 febbraio 2010. Attualmente la scuola è funzionante e nel 2012 gli alunni hanno raggiunto il numero massimo di 200. È in fase di realizzazione l’alloggio delle suore e siamo in attesa di valutare i preventivi di spesa per la realizzazione della scuola superiore… 28 Alcune locandine e fotografie delle iniziative organizzate a favore del progetto “7 Gennaio” Coreografia per la partita Fiorentina – Siena allo stadio “A. Franchi di Firenze” 29 30 31 Dopo alcuni attimi di pausa, Gabriele ha proseguito nel far rivivere i propri ricordi. Il progetto 7 gennaio, in soli tre anni era diventato, ormai, “Ecole 7 gennaio”. Tutto era pronto per inaugurare la scuola del nostro amato Matteo. Io, Roberta e Margherita siamo partiti con un gruppo di persone che con noi hanno contribuito fattivamente alla realizzazione del progetto e che hanno voluto essere presenti per condividere, insieme a noi, quel momento di grande partecipazione. Dopo un viaggio faticoso siamo giunti a Dorì con un carico di stanchezza, tensione e speranza. Due file di bambine, vestite di tutto punto, cantando e battendo le mani, hanno fatto ala al nostro passaggio; mentre vi passavamo in mezzo le ho osservate e mi hanno colpito i loro sorrisi gioiosi e sinceri. Quando sono stato invitato a parlare ho provato momenti di forte commozione che ho frenato a stento. Mi ritornano in mente, nitide e precise, le parole che ho detto quel giorno al vescovo Joachim, alle autorità e a coloro che erano presenti: Con la morte di Matteo abbiamo voluto dare un senso al nostro grande dolore cercando di trarne un bene realizzando questa scuola; vogliamo donarvi la struttura frutto di fatica e di impegno da parte nostra e di tantissimi amici e conoscenti. Alcuni di loro sono, oggi, qui presenti e vorremmo lasciare, comunque, in tutti voi un segno indelebile di come la forza dell’amore possa far raggiungere obiettivi importanti che sembrerebbero solo orizzonti irraggiungibili. E’ bello poter vedere, oggi, nei vostri occhi la soddisfazione per l’aiuto che stiamo dando a tanti bambini più sfortunati dei nostri. Devo dire che alle mani protese di quelle bambine io e Roberta ci siamo aggrappati come ad un’ancora di salvezza; ci siamo uniti a loro mettendo insieme le nostre sofferenze per dare un senso alle nostre vite. Per noi la realizzazione del collegio femminile è stata una grande gioia. La ricono- 32 Parte I scenza e l’amore di quelle bambine, alle quali davamo l’opportunità di cambiare in meglio la loro vita, ha trasformato il nostro dolore e la nostra sofferenza per la perdita di Matteo in strumento per assistere i più bisognosi. Sono rimaste scolpite nei nostri cuori le parole che il vescovo di Dorì ci ha rivolto quel giorno, durante l’inaugurazione, e che ora voglio farvi ascoltare: Cara Roberta se questo giorno è memorabile per noi lo è molto di più per voi e la vostra famiglia. Vostro figlio Matteo non è morto: vive e vivrà per sempre non soltanto nelle strutture che vediamo ma, soprattutto, nei nostri cuori, nei cuori di tutti i ragazzi, di generazione in generazione, che saranno educati qui in questa scuola. Caro Gabriele, carissima Roberta avete trasformato il dolore, il lutto in un amore generoso e vero che sarà per sempre. Siete,ormai, della nostra famiglia. Guardate questi ragazzi sono vostri figli… Non prenderanno, mai, il posto del vostro carissimo Matteo, che è unico nel vostro cuore, ma sono la testimonianza che “colui che ama ha l’umanità intera per famiglia”. Il popolo del Sahel vi sarà sempre riconoscente… Il Signore vi benedica. Molte volte abbiamo detto a noi stessi di aver perso un figlio ma di aver trovato tante figlie che oggi ci considerano loro genitori, chiamandoci mamma e papà, e che ci amano di un amore puro, grande, generoso. Voglio ringraziare il Signore, che ogni giorno riempie il vuoto lasciato da Matteo, di questo amore e di questa consolazione… 33 2008: lavori in corso… 34 2009: completamento degli edifici 35 Il ricordo attanaglia il cuore di Gabriele e gli impone di fermarsi per alcuni istanti; quindi mi porge la lettera, che sua moglie Roberta scrisse il 19 marzo 2010 a monsignor Joachim Quedraogo, chiedendomi di leggerla: Reverendissima Eccellenza, è con sommo piacere che Le scrivo, innanzitutto per congratularmi con Lei e ringraziarLa, dal più profondo del cuore, per le bellissime parole espresse nella cerimonia di inaugurazione del Progetto “7 gennaio” in memoria di Matteo Gronchi. Quelle parole rimbalzano nei miei pensieri, costantemente, e fanno sì che la mia vita non sia più improntata sul dolore per la perdita del mio caro Matteo ma, piuttosto, ispirata ad una rinascita soprattutto spirituale ma non solo. Ogni giorno penso alla gioia di quelle bambine, che frequentano la scuola, le quali sono diventate la mia gioia quotidiana. Come ha detto Lei: “Nessuno prenderà il posto di Matteo”, ma sicuramente sono una ragione in più per credere che Dio ha compiuto ancora una volta un miracolo, il miracolo della Vita, della Resurrezione e della Redenzione. È bello credere e pensare che Dio ci ama ma, soprattutto, è bello vedere quanta gioia, ancora, possiamo dare e ricevere. Con noi è stato così. Sua Eccellenza, spero presto di poterla incontrare per ringraziarla ed abbracciarla per la grande opportunità dataci ma, soprattutto, per le Sue Parole, di maestro di Vita e di Chiesa, che hanno scosso nel profondo la mia coscienza. Voglio credere che è successo un miracolo, un miracolo chiamato Gesù. Per ultima cosa vorrei chiederLe una preghiera per la mia famiglia, per Matteo e per tutte le bambine della scuola. Con stima ed affetto Roberta Tomasi Gronchi In certi momenti della vita bastano poche ma sentite parole che, arrivando diritte al cuore, hanno il potere di farci capire quello che la sola ragione non ci permette di vedere. Esse sono come fari che illuminano i nostri passi nel cammino della vita rendendoci consapevoli che non saremo mai lasciati soli. 36 Parte I Silvio, con la sua consueta foga bonaria, prende la parola per riportare alla memoria i momenti più importanti di quel giorno: …Facevo parte anch’io di quel nutrito gruppo di persone partite dall’Italia per partecipare all’inaugurazione. Proprio per non deludere le autorità africane presenti, il Movimento mi concesse l’onore di presenziare assieme ai capi villaggio, al Governatore della Regione e ad il Ministro della Pubblica Istruzione, conferendomi la carica di “Ambasciatore della Pace di Shalom”; dopo un faticoso viaggio, che tralascio di raccontare, scendemmo dai pulmini sullo spiazzo antistante la struttura. Fummo accolti da due ali di bambine, vestite con una sgargiante divisa color blu cielo, che cantando canzoni di benvenuto ci scortavano al centro della scena. Il vescovo Joachim ci venne incontro abbracciandoci tutti come se ci conoscesse da una vita. Alternando balli e canti popolari i relatori si susseguivano parlando da una sgangherata altana di legno. Quando fu il mio turno mi accompagnarono Gabriele e Roberta. Per l’occasione, per evitare che la commozione mi prendesse, avevo scritto il discorso. Con un groppo alla gola e la voce strozzata dall’emozione, riuscii a leggerlo, lentamente, per permettere al nostro Jonas di tradurre in francese e nel dialetto locale: Vostra Eccellenza Reverendissima Giovacchino, vescovo della Diocesi di Dorì, Egregio Signor Ministro della Pubblica istruzione del Burkina Faso, Signori rappresentati delle Istituzioni religiose, politiche e militari qui intervenuti, Popolo di questa importante Regione del Burkina Faso, Fratelli e Sorelle Africani, buon giorno a tutti voi e grazie per essere qui con noi; grazie per essere accorsi così numerosi a questo importante incontro. Sono Silvio Della Maggiore e sono stato chiamato a rappresentare il Movimento Shalom come Ambasciatore di Pace alla celebrazione inaugurale del Progetto “7 Gennaio”. Vi porgo, pertanto, i saluti del nostro padre fondatore Mons. Andrea Cristiani che molti di voi sicuramente conosceranno. Calorosi saluti anche dal nuovo 37 presidente della ns. Associazione il dottor Andrea Sansevero, dai ns. dirigenti e da parte di tutti gli associati del Movimento Shalom. Oggi ci troviamo insieme a celebrare un’autentica giornata di gioia. Ci apprestiamo, infatti, ad inaugurare una struttura che permetterà a molte persone di cambiare il loro futuro e di migliorare la propria condizione di vita. Sì amici… proprio così: siamo fermamente convinti che fra gli interventi più importanti che potremo fare insieme a Voi ci sia quello di consentire ai Vostri figli il diritto ad un’educazione scolastica. Shalom ha come imperativo categorico nei suoi progetti di cooperazione, subito dopo aver soddisfatto i bisogni primari quali fame e salute, quello della scolarizzazione. Sono i giovani, che usciranno da queste scuole, coloro che potranno aiutare il Vostro Paese ad innalzare gli standard di vita dei suoi abitanti. Oggi, quindi, possiamo vedere tutti insieme come il dolore provocato da un evento tragico, la morte in un incidente della strada di un giovane di diciassette anni, Matteo Gronchi, avvenuto tre anni fa a così grande distanza da Voi, amici africani, possa trasformarsi in un atto d’amore diventando uno strumento per migliorare la qualità della vita di centinaia di persone. Sì, questo avverrà, perché le bambine che da oggi potranno frequentare questa scuola, domani saranno in grado di offrire ai loro familiari, ai loro vicini e a tutto il Burkina Faso un futuro più luminoso. Il Progetto “7 Gennaio”, in memoria di Matteo, è un progetto ambizioso che ci vede impegnati per il completamento di questa struttura, tutti insieme: italiani e africani. Le risorse raccolte, fino ad ora, pur consistenti, non ci consentono ancora di ultimare i lavori ma confidiamo nel buon cuore di chi ci ha aiutato ed in coloro che hanno lavorato a questa importante realizzazione. Colgo, quindi, l’occasione di ringraziare il Vescovo Gioacchino che ci ha suggerito questo intervento, mettendoci a disposizione il terreno, Padre Bertrand, economo della Diocesi, che ci ha pazientemente supportato e sopportato, le suore che stanno lavorando in questa struttura con amore e dedizione accompagnando 38 Parte I la crescita delle giovani studentesse. Speriamo presto, con l’aiuto di Dio, di completare l’immobile con la casa per le suore, l’infermeria e la cappella. Ringrazio, inoltre, tutti coloro che si sono prodigati dall’Italia affinché questo sogno potesse realizzarsi. Qui con noi è presente una piccola parte di loro ma è quella più tenace, più convinta, più motivata. Senza il loro contributo certo sarebbe stato tutto più difficile. Davvero grazie di cuore. Il ringraziamento più grande e più sentito lo voglio rivolgere agli amici Gabriele e Roberta che, insieme alla loro figlia Margherita, sono i familiari di Matteo. Grazie per la sensibilità, il coraggio e la passione che avete messo in campo perché tutto ciò si avverasse. Sono davvero convinto che lui, Matteo, dall’alto ci vede, approva e condivide con noi la felicità che siamo riusciti a donare a questo meraviglioso popolo. Grazie di nuovo a tutti e… viva il Sahel… viva il Burkina Faso. Mi resi subito conto di non parlare ad una platea di persone bensì ad un solo individuo. Sì a lui, proprio a lui: a Matteo. Non per chiedere il suo apprezzamento su ciò che avevamo fatto, ma per consegnargli, in modo simbolico, le chiavi dell’opera: la sua scuola… Questa è la storia di quel grande miracolo d’amore. 39 Taglio del nastro all’inaugurazione da parte del Vescovo Joachim e del Governatore del Sahel 40 Parte I Gabriele Il Progetto “7 gennaio” è stata un’idea importante con l’obiettivo di ricordare Matteo in una delle sue più belle attitudini: lo studio. Lui era veramente un bravo studente, motivato, capace, naturalmente portato a sviluppare al massimo le proprie conoscenze che saranno certamente utili alle ragazze e ai ragazzi del Burkina Faso che, per affrancarsi dalla loro povertà, avranno il primario bisogno di accrescere, attraverso lo studio, la loro preparazione e cultura, elementi essenziali per la loro emancipazione e il futuro della loro terra. La macchina organizzativa, partita fin dal 2007, per realizzare il Progetto “7 gennaio”, ha avuto come protagonisti centinaia di persone che hanno dato vita a svariate e molteplici iniziative lavorando con impegno e dedizione a quello che sembrava solo un sogno. Tutto si è “messo in moto” con un motore principale, generoso ed instancabile: Gabriele, il padre di Matteo, al quale mi sono rivolto chiedendo la sua testimonianza sul passato, sul presente e sul futuro del Progetto “7 gennaio” e le sue personali riflessioni sulla Fede, sulla Speranza e sulla Carità nel faticoso e doloroso percorso che la vita gli ha presentato. …All’inizio, sicuramente, questa esperienza, è nata dalla volontà di dare un aiuto alle persone più in difficoltà, più bisognose con una spinta emotiva molto forte data la scomparsa di Matteo. La donazione degli organi e la costruzione del pozzo si sono concretizzate per la volontà di trarre qualcosa di positivo dalla dolorosa vicenda che si era abbattuta su di noi. Molte volte, in quel periodo, sono stato tentato di abbandonare non solo i progetti di vita prefissati, ma il lavoro ed i vari impegni personali; però il ricordo di Matteo e l’amore per lui, intenso e forte, hanno sempre avuto il sopravvento. Qualche volta mi sono rimproverato di non aver trascorso molto più tempo con lui, ma non avrei mai pensato di perderlo in maniera così repentina; quando senti una notizia tragica capitata ad altri ci pensi per alcuni attimi, ti dispiace ma, passato poco tempo, tutto riprende normalmente. Al contrario quando, purtroppo, il destino mi ha colpito in pieno ho deciso che dovevo fare qualcosa per lui e, in sua memoria, aiutare delle persone in maniera che ciò che veniva realizzato potesse rimanere nel tempo. In me c’era forte il desiderio di voler mantenere vivo il ricordo di Matteo nella nostra famiglia, innanzitutto, e negli 41 amici e conoscenti che ci stavano intorno. La risposta da parte di tutti ha confermato che quanto avevamo deciso di fare era giusto perché anche gli altri ne avevano bisogno. Certamente se non fossi partito io loro non si sarebbero cimentati in questa impresa ma, da me stimolati ed incoraggiati, mi hanno aiutato e sostenuto volentieri. Questo mi ha fatto piacere e mi ha rafforzato nella mia determinazione di portare avanti il progetto, perché vedere delle persone intorno a te che ti sostengono, ti aiutano, ti confortano, ti spronano è motivo di grande consolazione. In questo periodo di tempo ho conosciuto delle persone che, come me e Roberta, avevano perso un figlio o un caro familiare. Ognuno ha avuto le proprie reazioni di fronte ad una perdita così dolorosa e vedendo quanto stavamo facendo per il nostro caro Matteo ho pensato che fosse una cosa diversa, bella, importante non solo per noi ma per coloro che avrebbero usufruito della nostra operosità. Ho riflettuto, inoltre, sul mio percorso di vita e ho notato che forti cambiamenti personali sono avvenuti quando ho avuto dei lutti familiari o parentali; in particolare ricordo, a 23 anni, la morte di mia madre, evento questo che per me è stato uno spartiacque perché mi ha fatto passare da un’età spensierata ad un atteggiamento diverso nei confronti della vita, del lavoro, della famiglia, dei sentimenti. Negli anni mi sono impegnato con i miei fratelli nel mondo del lavoro e con sacrificio abbiamo realizzato progetti e sogni, come pure con la mia famiglia ero riuscito a ottenere delle soddisfazioni. Molte volte sul lavoro abbiamo rischiato, ma senza avere mai paura di affrontare le sfide che si presentavano. Questa filosofia operativa l’ho messa in atto anche nel portare avanti il “Progetto 7 Gennaio” senza pensare a come avremmo fatto, a chi ci avrebbe aiutato e alle difficoltà che avremmo incontrato, sostenuto da una forza interiore tale che mi dava la certezza di poter arrivare a realizzare quanto avevamo pensato. Tante volte ho creduto che quanto avevo fatto in ricordo di Matteo non era abbastanza; sapevo che altri per aiutare i più bisognosi aveva- 42 Parte I no abbandonato tutto: gli affetti, il lavoro, gli amici ed io, qualche volta, ho avuto il dubbio che fosse proprio questo quello che il Signore voleva da me. Ne parlai anche con Roberta e con un sacerdote chiedendogli quale compito Gesù voleva che io svolgessi per Lui. Mi domandavo se bastasse quanto stavo facendo o se volesse da me qualcosa di più. Dopo averci pensato e riflettuto molto, sono arrivato alla conclusione che le responsabilità familiari, gli obblighi lavorativi con i miei fratelli e verso chi lavora con noi, mi impedivano di abbandonare tutto. Ho sperato che il tempo potesse alleviare ed attenuare quel malessere che mi aveva preso nei primi tempi, dopo la scomparsa di mio figlio Matteo, e questo in parte è avvenuto fino a quando l’improvvisa malattia di Roberta ha riaperto ferite mai completamente sanate. Mentre era in corso l’elaborazione del lutto di Matteo, la malattia di Roberta faceva ritornare le stesse domande: “Perché, perché di nuovo a noi?”. Roberta nella malattia ha sofferto e, anche se con molti momenti di paura e terrore, ha affrontato tutto il percorso con grande speranza e relativa serenità. Adesso è diventato veramente difficile guardare al futuro. Un senso di tristezza e di malinconia mi accompagna spesso; l’unica gioia che mi rimane è Margherita. Mi auguro di vederla felice, sistemata, con una sua vita, una sua famiglia, un compagno, dei figli. Riflettendo sulla Provvidenza devo riconoscere che siamo stati aiutati da tantissime persone: alcune con molto, altre con poco ma tutte con uno slancio positivo perché vedevano in quanto veniva fatto, con la massima trasparenza e documentazione, qualcosa a cui dover partecipare. Sono sicuro che, in molte occasioni, Qualcuno ci ha pensato affinché l’iniziativa in atto in quel momento andasse a buon fine o che arrivasse quello che doveva arrivare anche quando non te l’aspettavi più e, come per miracolo, tutti i tasselli del mosaico andavano al loro posto. Questa è veramente la Provvidenza! Sono certo, inoltre, che ora Matteo e Roberta ci guardano da lassù e sono felici di quanto è stato fatto e che ci sono persone 43 che ringrazieranno per la struttura che abbiamo realizzato per loro e per quelli che verranno dopo di loro; quelle costruzioni non sono solo fatte di mattoni ma parlano di un’esperienza di vita, di persone che si sono sacrificate e che hanno trasformato il dolore e la morte in speranza per dare una vita migliore a chi non ne aveva la possibilità. Questo, alla fine, è quello che volevamo realizzare e quello che è diventato. Oggi la struttura ha un suo corpo, una sua dinamica e riesce ad alimentarsi per quanto riguarda il ciclo scolastico con un nostro contributo, tramite l’adozione a distanza di alcune bambine e per il mantenimento efficiente di tutta la costruzione. Posso dire che il Progetto “7 gennaio” non ha fine ma ci sono degli obiettivi da realizzare negli anni come: la casa delle suore che a oggi è praticamente terminata, campi da gioco, per migliorare l’esterno della struttura, e costruire altri locali utili al buon funzionamento della scuola. La suora, responsabile dell’istituto con la quale siamo in contatto, recentemente ci ha chiesto di poter realizzare un’altra struttura scolastica che accolga tre o quattro classi in modo da permettere la prosecuzione degli studi alle bambine e a coloro che volessero giungere fino al conseguimento di un diploma di scuola superiore a livello scientifico e tecnico. Mi è sembrato una proposta interessante e giusta perché così completeremmo due interi cicli di studi; ho solo detto alla suora che se faremo questo ampliamento non potremo dar corso, al momento, ad altri lavori. Ho chiesto però di aver pazienza perché tutto e subito non siamo in grado di farlo ma non poniamo limiti alla Provvidenza dato che sono sicuro che con il tempo esaudiremo le sue richieste tramite il Movimento Shalom che coordina tutti i lavori e mantiene i contatti con la diocesi di Dorì e con le autorità locali. Vorrei, infine, trasmettere un messaggio a coloro che leggeranno queste mie riflessioni: se riesci a fare qualcosa per gli altri ti senti meglio e non peggio, hai dentro di te qualcosa in più. Per me, in particolare, nella tristezza ti può dare gioia. Non ci si può chiudere in se stessi e al mondo, 44 Partecipanti al viaggio di inaugurazione nel 2010 45 perché isolarci non ci porta da nessuna parte se non alla solitudine e all’egoismo. Questa vita ci è stata data; noi non l’abbiamo comprata e secondo me va spesa dando una mano a chi non ha quello che noi, fortunatamente, abbiamo. Se tutti riuscissimo a fare qualcosa, potremmo realizzare molto perché tante piccole gocce fanno un mare di generosa solidarietà. Le esperienze vissute hanno cambiato la visione della vita e dei suoi valori fondamentali; mi hanno portato ad essere sempre me stesso, ho lavorato a fondo, pregato in silenzio ed ho fatto quello che mi sentivo in maniera sincera, dando il mio piccolo contributo di “goccia” nel mare della solidarietà. 46 Parte I Roberta Questo capitolo è dedicato interamente a Roberta. I suoi scritti, messi in rete, in un periodo certamente non facile della sua vita, sono riflessioni che ci fanno capire quanto amore Roberta aveva per Matteo, quante lacrime ha versato per lui e quanto dolore ha colpito la sua mente ed il suo corpo. Nonostante fosse stata lei a decidere quale mio lavoro far pubblicare, a favore del Progetto “7 gennaio”, non ho avuto l’opportunità di conoscerla, né di parlarci o di frequentarla; questi scritti hanno colmato, se pur in parte, questa reciproca ed incolpevole mancanza. Sant’Agostino, La morte non è niente. Sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto. Io sono sempre io e tu sei sempre tu. Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora. Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato. Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste. Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme. Prega, sorridi, pensami! Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza. La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza. Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista? Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo. Rassicurati, va tutto bene. Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata. Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace. 30/01/2007 Dieci, cento, mille vite salvate. La tua morte non è stata inutile, grazie a te tante persone potranno sorridere e piangere, amare e odiare, ma soprattutto potranno ancora vivere. La donazione dei tuoi organi porterà a diverse persone la gioia e la speranza, forse una vita migliore. In questo 47 momento non sono la persona più adatta per declamare la vita; vedo un futuro senza speranza, senza felicità; vivo il presente e basta perché i miei sogni ed i tuoi sono stati spazzati via in una sera d’inverno. Godo del passato, del mio e del tuo, delle piccole e grandi gioie quotidiane che mi hai dato nella tua breve vita. Potrei parlare di te all’infinito, per l’intensità dei tuoi 17 anni, vissuti come fossero 100 e che ci hai voluto lasciare. La tua vita è stata una corsa, forse contro il tempo? Avevi fretta di andartene e quindi dovevi fare tutto alla svelta; apprendevi in modo straordinario e qualunque strada da te intrapresa sbocciava tra le tue mani, fra le tue labbra e fra i tuoi piedi. Ora più che mai credo nel destino che ognuno di noi ha già scritto fin dalla nascita. Ritornando alle tante vite salvate e da salvare, il 15 febbraio prossimo partiremo io, tuo padre, tua sorella ed i nostri amici più cari per quella terra povera e aspra dove la sopravvivenza è terribile, tuttavia ricca di sentimenti com’è l’Africa. Quell’Africa che ti scuote nel tuo più profondo animo, quell’Africa che sa entrare nel cuore delle persone, anche quelle che sostengono di essere insensibili. Cercheremo di portare un sorriso e la nostra solidarietà, il nostro piccolo contributo, e di moltissime persone, nato dalla tua tragica scomparsa. Ogni lacrima versata, di chi ti ha voluto bene, si trasformerà in acqua, tramite un pozzo che inaugureremo a breve e che porterà il tuo soprannome “occhi cinguettanti” e altri progetti in via di definizione. Il sogno di tuo padre sarebbe di costruire una scuola: io credo che ci riuscirà! Sai quante volte mi sono opposta ai viaggi di tuo padre, che ne è rimasto affascinato e che mi voleva coinvolgere, non per disinteresse ma per la paura di soffrire nel vedere le cose che spesso i media ci propongono. Cosa mi aspetterà ora laggiù? Tornerò con il cuore gonfio o leggero? Lenirà o accentuerà questo mio dolore? Ho dovuto far violenza per prendere questa decisione e decidere di partire; spero di trarne beneficio ma, soprattutto, spero di migliorarmi come persona, di rendermi utile e poter alleviare la sofferenza altrui. Non voglio ergermi a benefattrice del 48 Parte I mondo o qualsivoglia altro titolo; rimango sempre me stessa con i miei difetti, tanti ed i miei pregi, pochi. Il prezzo pagato è stato tanto. Tua madre, con te sempre nel cuore e nella mente. Khalil Gibran, Si nasce freccia per diventare arco. E una donna che teneva un bambino al seno disse: “Parlaci dei figli”. Ed egli disse: “I vostri figli non sono vostri figli. Sono figli e figlie del desiderio ardente che la Vita ha per se stessa. Essi vengono per mezzo di voi, ma non da voi. E benché siano con voi, non vi appartengono. Potete dar loro il vostro amore ma non i vostri pensieri. Potete dare alloggio ai loro corpi, ma non alle loro anime, perché le anime dimorano nella casa del domani, che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni. Potete sforzarvi di essere come loro: non cercate, però, di renderli come voi. La vita, infatti, non torna indietro né indugia sul passato. Voi siete gli archi dai quali i vostri figli come frecce viventi sono lanciati. L’arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito e si piega con la sua potenza perché le sue frecce volino veloci e lontane. Lasciatevi piegare con gioia dalla mano dell’Arciere poiché come egli ama la freccia che vola così ama pure l’arco che è ben saldo. 19/05/2007 Mancavi solo tu… Oggi avresti 17 anni, è il tuo compleanno. Per me rimarrà una data importante. Continuerò a festeggiare il tuo compleanno, anche oggi l’abbiamo fatto. Siamo andati a Mirabilandia, lo avevi deciso tu con Giulia. Giulia ha mantenuto la promessa, ha organizzato tutto lei. È stata una giornata splendida sotto tutti i punti di vista, bellissima e ventilata, poca gente e soprattutto niente file, strade libere, niente inghippi. Per l’occasione abbiamo fatto, per tutti i tuoi compagni di classe, una polo blu; cosa importante il loro soprannome, impresso sul retro,con il quale tu li appellavi; 49 qualcuno, forse, non ha gradito l’appellativo, ma poco importa e con davanti la strofa della tua canzone preferita. Quante volte ho pensato: “mancavi solo tu”, fino a farmi male ma non era giusto rovinare una giornata così bella. Tua sorella e il tuo babbo erano felici tra tutti i tuoi amici, come non lo erano da quel maledetto giorno. Beh di me non parliamo, sai quanto poco sopporto la confusione ed i parchi giochi in generale, ma per te farei tutto; figurati che sono montata sulle montagne russe, da non credersi eh? Per il resto non ci sono novità; attendiamo impazienti notizie dall’Africa, per il progetto scuola; se son rose fioriranno… Un bacio al mio ragazzone dagli occhi cinguettanti. 8/6/2007 Sant’Agostino, Se mi ami non piangere! Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo, se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sento in questi orizzonti senza fine, e in questa luce che tutto investe e penetra, tu non piangeresti se mi ami. Qui si è ormai assorbiti dall’incanto di Dio, dalle Sue espressioni di infinita bontà e dai riflessi della Sua sconfinata bellezza. Le cose di un tempo sono così piccole e fuggevoli al confronto. Mi è rimasto l’affetto per te: una tenerezza che non ho mai conosciuto. Sono felice di averti incontrato nel tempo, anche se tutto era allora così fugace e limitato. Ora l’amore che mi stringe profondamente a te, è gioia pura e senza tramonto. Mentre io vivo nella serena ed esaltante attesa del tuo arrivo tra noi, tu pensami così. Nelle tue battaglie, nei tuoi momenti di sconforto e di solitudine, pensa a questa meravigliosa casa, dove non esiste la morte, dove ci disseteremo insieme, nel trasporto più intenso alla fonte inesauribile dell’amore e della felicità. Non piangere più, se veramente mi ami! 50 Parte I 07/07/2007 Oltre la vita Molte volte mi sono chiesta: cosa ne è della vita oltre la morte? Il tempo non era mai abbastanza per rifletterci seriamente e meditare. Non ho mai trovato risposte e credo che mai ne avrò. Ora più di prima mi faccio queste domande, con una sola differenza: la morte non mi fa più paura e spesso mi fermo a meditare. Mi hanno fatto pensare molto delle belle parole dette da mio marito che, lì per lì, di primo acchito, non ero nemmeno riuscita ad afferrarne il senso. Le parole dicevano esattamente: Lui – “Ora Matteo è diventato più grande di noi”. Io - “Ma cosa dici? Non ti capisco!” Lui – “Sì, Matteo è rinato ad altra vita e nella sua nuova vita è più grande di noi”. Il pensiero è, senza ombra di dubbio, espresso in maniera terrena e come marcatore è stato usato il tempo, il nostro tempo ma l’intensità dell’espressione scaturita è notevolmente spirituale perché solo chi possiede una grande fede arriva a determinati pensieri. Non vi dico lo stupore che tali parole hanno destato in me. Via, via mi fermo e penso, penso e penso. A volte pure scrivo, come in questo momento, perché nel mio piccolo credo che simili pensieri meritino attenzione ed in primis da parte mia. Il grave lutto, che ci ha colpito, ha dato una notevole spinta alla nostra fede, ora più salda che mai. Oggi sono sei mesi, amore mio, che manchi; il tempo non aiuta e non attenua nulla. Il dolore è diventato il nostro compagno di vita. Per noi sarai sempre il nostro Matteo, sempre nel cuore e nella mente. 51 Completamento dell’alloggio delle bambine 52 Completamento dell’alloggio delle suore e della cappella 53 20/07/2007 Dove prima Dove prima c’era il tuo sorriso, ora c’è tristezza. Dove prima c’era la tua voce, ora c’è silenzio. Dove prima c’eri tu, ora c’è il vuoto colmato dai ricordi dei giorni che furono. Non ci saranno più spazi infiniti dove perdersi nell’azzurro dei tuoi occhi. È un dolore vivo che fa male. Ore, giorni, mesi avvolti dal buio di questa strada impercorribile. 24/08/2007 Istanti Istanti sfuggiti all’obiettivo, istanti che non verranno mai più. Istanti stampati su carta o catturati in tanti megapixel. La vita, vissuta in tanti piccoli istanti. Compagna di gioie e di dolori. Un’eternità davanti a te, un mistero per me. Tutto in un istante. 28/9/2007 Il sapore delle lacrime Nella vita di tutti noi, senz’altro abbiamo assaggiato il sapore delle lacrime. Vi sono lacrime e lacrime; lacrime di gioia e lacrime di dolore; per essere ancora più specifici, le lacrime di dolore si suddividono in due categorie: dolore fisico e dolore morale. Le mie prime lacrime di dolore le ho versate alla morte di mio padre, allora avevo diciassette anni. 54 Parte I Nel mio cuore ho sempre portato il vuoto della sua precoce scomparsa, un vuoto colmato da mio marito. Quando penso a mio padre sorrido perché era il papà più buono del mondo e l’importanza di sentirsi amate e coccolate con infinita dolcezza. La sua severità (era molto all’antica) non mi spaventava più di tanto; io obbedivo e basta perché l’amore supera ogni ostacolo e sicuramente tutti i suoi divieti erano a fin di bene. Da genitore, oggi, posso dargli solo che ragione. Che mestiere difficile essere genitori oggi. Sì, proprio oggi, perché l’avvento delle varie tecnologie ha sradicato completamente i valori che un tempo erano il traino per un percorso di vita sano e costruttivo. Cominciamo pure col dire che il falso stile di vita che ci propinano i mass media delude ampiamente me e come me tanti altri che amano la semplicità ed il sapore delle cose vere. Ritorniamo alle nostre lacrime; dopo le mie prime lacrime di dolore, ho pure pianto di gioia; ebbene sì: alla nascita del mio Matteo; erano lacrime vere, la cosa più bella che mi sia capitata. Ma non solo per lui ho pianto di gioia, anche per la mia giovane anima ribelle di casa, (mia figlia), il mio bellissimo fiore. Diciamo pure che sono di lacrima facile e mi commuovo facilmente quando si tratta di gioie; per quanto riguarda il dolore, piango in silenzio, in primis nel mio cuore perché amo poco le esibizioni, specialmente pubbliche. Il dolore come pure le lacrime sono una cosa talmente intima che è come mettere a nudo l’anima ed il corpo. A volte mi ritrovo con le lacrime che solcano le mie guance; sono lacrime calde, lacrime vere, per un dolore mai sopito. Cerco di farlo nella solitudine anche se, a volte, al cuore non si comanda. Non so quanto sia producente piangere, senz’altro liberatorio; spesse volte vien detto che è umano piangere, io personalmente amo poco vedere piangere, è per me motivo di disagio e si rischia di essere banali anche solo nel pensare di dire qualcosa. Concludo, vorrei un mondo con solo lacrime di gioia. Sarà mai possibile? 55 In ricordo di Roberta Quando un familiare, una persona che ci è cara soffre, noi possiamo aiutarla con la nostra costante presenza e vicinanza fisica, morale e spirituale. Questo è quello che ha fatto Pierangela, moglie di Giacomo e cognata di Roberta, e che traspare da questo suo commovente scritto: Se dovessi raccontare di Roberta, a chi non l’ha conosciuta, userei un solo aggettivo: “generosa”, perché Roberta era così, generosa! Non solo perché spontaneamente ti dava ciò che possedeva ma, soprattutto, perché si dava generosamente alle persone. Era accogliente, disponibile, aperta a tutti, con un sorriso sincero che mostrava anche nei momenti più difficili. Pur con caratteri un po’ differenti, siamo sempre andate d’accordo; i nostri figli, quasi coetanei, sono cresciuti insieme e anche per i bisogni quotidiani sapevamo che potevamo contare l’una sull’altra. Famiglie normali, con bisogni e difficoltà normali, che vivevano abbastanza serenamente le loro vite, fino a quella sera del 6/1/2007 quando, all’improvviso, niente è stato più normale. Eravamo a cena quando Margherita mi chiamò in lacrime perché non aveva più notizie di Matteo. Non ci volle molto tempo per capire che qualcosa di grave era accaduto e presto ci ritrovammo all’ospedale dove lui lottava per vivere. Ho bene in mente tutti i fotogrammi di quella notte di disperazione per i miei cognati, la nostra impotenza di fronte a qualcosa di così tragico e poi la risolutezza con cui loro decisero per la donazione degli organi. Davanti all’obitorio, ricordo perfettamente, quando lei, ormai sfinita dal pianto, mi guardò e mi disse: “Speriamo che questa tragedia serva ad unire, ancora di più, le nostre famiglie.” E così è stato… Sono stati così generosi, lei e Gabriele, con noi da voler mostrare tutto il loro dolore, tutta la loro fragilità, tutto il loro bisogno di conforto, permettendoci di stargli vicino a volte per piangere insieme, a volte per stare in silenzio o anche solo per appoggiarsi l’uno all’altro. Non si sono mai chiusi nel loro dolore ma, fin da subito, hanno cercato di trovare un modo per trasformare la loro sofferenza in qualcosa che 56 Parte I potesse ridare speranza a qualcuno che, come loro, era stato duramente provato dalla vita. È nata così l’idea di fare un pozzo in una terra lontana dell’ Africa, in una terra a volte dimenticata da Dio. L’acqua, un bene prezioso, grazie al quale tante persone sono potute ritornare alla vita per la generosità di due genitori che hanno voluto, in questo modo, dare un senso alla perdita dell’amato figlio dagli “occhi cinguettanti”. Hanno affrontato quel viaggio, inconsapevoli di cosa li attendeva, con una morte nel cuore che traspariva dai loro sguardi a volte smarriti, a volte pieni di domande… ma quando, finalmente, hanno visto zampillare quell’acqua, sono sicura che il loro dolore, sempre tanto forte, è stato “supportato” dalla riconoscenza di quelle persone che lì, vicino a loro, erano in festa per aver ricevuto un dono così importante. Quando sono ritornati, stanchi nel fisico e nell’animo, ci hanno raccontato di un mondo molto diverso dal nostro, per alcuni versi quasi incomprensibile che però, non può non affascinarti proprio per quegli aspetti umani così veri, sinceri che stridono, un po’, con il vissuto di ogni giorno. I volti della gente, dei bambini che, seppur sporchi ed affamati, sono sempre pronti a regalarti un sorriso, uno sguardo, così profondo e sincero, che ti arriva fino dentro l’anima. È per questo che, subito, hanno accettato la richiesta di costruire una scuola, non solo un edificio, ma proprio un luogo dove poter fare aggregazione, dove le bambine, anello più debole e fragile di una società già tanto in crisi, potessero studiare, crescere ed emanciparsi proprio attraverso la istruzione. All’inizio è sembrato a tutti un progetto troppo grande per essere realizzato, troppo ambizioso e non nascondo che anche noi, in famiglia, siamo rimasti un po’ perplessi e preoccupati perché pensavamo che se quanto volevano costruire non si fosse potuto realizzare, sarebbe stata una delusione, non solo per quelle popolazioni, ma soprattutto per Gabriele e Roberta che potevano vivere quell’insuccesso come un altro dolore, un’altra sconfitta che la vita 57 gli riservava. Nonostante qualche remora, però, nessuno di noi si è tirato indietro e ben volentieri abbiamo fatto quanto potevamo per aiutarli e sostenerli in questo percorso anche quando la stanchezza, mille difficoltà e mille incertezze hanno minato questo lungo cammino. Sono nate diverse iniziative, in memoria di Matteo, che avevano come scopo principale proprio di non dimenticare quello che era accaduto e poi quello di raccogliere fondi per avverare quel sogno che non era più solo di Gabriele e di Roberta, ma di tutti coloro che si spendevano in un modo qualsiasi per realizzare il Progetto “7 Gennaio”. Ancora oggi, a distanza di anni, mi commuovo quando a luglio facciamo la cena “Ricordando Matteo”; tante persone, parenti, amici, paesani, e gente che viene da fuori, insistono per partecipare a questa serata, per dare il loro contributo, per abbracciare simbolicamente questi genitori… tante persone più di quante la struttura dell’Avis ne possa contenere. E finalmente, dopo “solo” un paio d’anni, arriva il giorno dell’inaugurazione. Ho visto e rivisto molte volte il filmato di quella splendida giornata: tanta gente emozionata di fronte a quell’edificio, nato nel nulla dall’amore di questa famiglia, la grande famiglia di Matteo, che all’improvviso si è fatta madre e padre per quelle belle bambine che in fila, ordinate e trepidanti, cantavano dolcemente una canzone di benvenuto agli amici italiani. Molto bene aveva parlato il Vescovo di Dorì al cuore dei miei cognati e dei presenti, dicendo che chi si dona con amore agli altri, ai fratelli che ha vicino, riceve una ricompensa più grande che si possa immaginare: l’umanità intera per famiglia! Al loro ritorno, abbracciandoci e piangendo insieme, ho sentito subito che qualcosa era cambiato, che un miracolo segreto si era compiuto nel loro cuore: quelle bambine erano diventate, davvero, delle figlie per loro, figlie che sentivano veramente tali. Niente e nessuno avrebbe potuto ridargli il loro amato Matteo, ma ora avevano questa nuova famiglia africana alla quale aggrapparsi, alla quale donare il loro infinito amore. La gioia e l’entusiasmo trasparivano perfettamente dai loro sguardi e dai loro racconti, 58 Parte I così tanto da far dimenticare la stanchezza e le sofferenze affrontate nel lungo viaggio. In seguito ci siamo tenuti in contatto con la suora della scuola tramite e-mail che, periodicamente, Roberta scriveva tenendoci costantemente aggiornati sui progressi che le bambine facevano in quell’oasi di salvezza, una salvezza che veniva dalla conoscenza, dall’istruzione e che avrebbe certamente riscattato la vita di quelle ragazze. C’erano tanti progetti da realizzare, dalle divise per le alunne che mia cognata voleva confezionare personalmente, ai futuri viaggi da fare, magari insieme, perché come diceva sempre: “Devi venire Pierangela… devi vedere cosa sono capaci di dare gli occhi, le mani di queste nostre figlie!” Sono sicura che gran parte di questi progetti col tempo si sarebbero realizzati… se solo le cose fossero andate diversamente. Purtroppo Roberta, negli ultimi mesi del 2010, cominciò a stare male; fu un malessere che arrivò all’improvviso, proprio quando sembrava aver raggiunto un momento, non dico di serenità, quella la perdi irrimediabilmente quando ti viene strappato un figlio in così giovane età, ma almeno di quiete apparente, dopo tanti anni di dolore. E fu proprio la sera del 7 gennaio2011 che Roberta seppe quale tremenda malattia l’avesse colpita. Di ritorno dall’ospedale, mi chiamò e mi disse subito ciò che aveva saputo; rimasi sconcertata, sconvolta, non riuscivo a credere che una tale tragedia si stesse abbattendo, ancora una volta, su questa famiglia. Farfugliai qualcosa mentre lei, comprensibilmente spaventata, mi disse risoluta: “Prenderemo anche questa!” Quella notte non chiusi occhio, pregai molto e tanto piansi per quella donna che io avevo visto tante volte fin troppo forte, ma che ora vedevo fragile, indifesa ed in pericolo di fronte ad un nemico così spietato. Fin da subito volle prendere coscienza, in prima persona, di ciò che le stava accadendo, del percorso doloroso che la attendeva e, dopo un primo momento di smarrimento, rispose in modo deciso ai medici, assicurando tutto il suo impegno per vincere la partita più importante della sua vita. 59 Anche quando le prime terapie non dettero il risultato sperato, lei seppur dispiaciuta non si arrese, intraprendendo, con decisione, il duro cammino, tutto in salita, che le si prospettava. È stato un anno e mezzo di grande dolore, di false speranze che davano a lei e anche a noi l’illusione che questo male, subdolo ed insidioso, si sarebbe potuto sconfiggere. Ci siamo sentite molte unite, sotto tanti punti di vista: sotto un profilo umano prima di tutto; ci vedevamo tutti i giorni, più volte al giorno; cercavo di aiutarla e di sostenerla in ogni modo; a volte mi bastava il solo guardarla per capire ciò che stava pensando o che voleva dirmi… anche sotto un profilo spirituale. In questo tempo ho pregato, abbiamo pregato come non mai; spesso ci ritrovavamo la sera per dire il rosario tutti insieme e a volte era lei a chiederlo… Sovente mi sono sentita impotente, inappropriata… talvolta avevo paura di non riuscire a farle sentire l’affetto e il coinvolgimento emotivo che provavo nei suoi riguardi: quanto è tremendo vedere una persona, a cui vuoi veramente bene, soffrire così tanto!! Ogni suo progresso, ogni suo successo, era un nostro successo ed ogni sua delusione o sconfitta, era una nostra delusione. Quando ha deciso di andare a Milano per continuare le cure, l’abbiamo appoggiata, credendo veramente che quello sarebbe stato il modo più giusto e definitivo per abbattere quel mostro che la stava dilaniando. Nessuno avrebbe mai creduto che le cose potessero andare in un modo diverso. Si è sempre dimostrata combattiva e decisa affrontando con coraggio e determinazione, non comuni, tutte le prove, tutti i patimenti che le si presentavano. Il primo trapianto l’aveva molto debilitata ma appena tornata a casa, fra le sue cose e vicino ai suoi affetti più cari, era rifiorita immediatamente e, con ancora maggiore risolutezza e volontà, aveva voluto affrontare l’ultimo trapianto, quello che le donava sua sorella Daniela e che avrebbe dovuto sconfiggere, una volta per tutte, il tumore e restituircela… forse un po’ indebolita, con meno vigore ma, comunque, guarita. Tutti i fine settimana siamo andati 60 Parte I a trovarla e, con mille accortezze e mille precauzioni, siamo riusciti a vederla e a starle fisicamente vicini. Le terapie che le praticavano erano molto pesanti e così aggressive che l’avevano costretta quasi completamente a letto. Nonostante questo, però, continuava a credere che i giorni migliori sarebbero presto arrivati e che i dolori e le sofferenze di quei momenti avrebbero lasciato il posto, alla fine, ad una nuova vita. Purtroppo più il tempo passava e più la situazione peggiorava; il suo fisico, già tanto provato, la stava lentamente abbandonando. Una delle ultime volte che l’ho vista, ormai sopraffatta dalla malattia, mi ha parlato con lo sguardo mentre io, cacciando indietro le lacrime e tutto il mio turbamento, le raccontavo di persone che da casa pregavano per lei e fiduciose la attendevano di ritorno a primavera. Ci siamo dette delle cose che rimarranno per sempre nella mia memoria e nel mio cuore… ho cercato di farle forza e di incoraggiarla; le ho detto che la aspettavo per tornare a fare insieme tutte quelle cose che facevamo di solito. Con la morte nel cuore l’ho salutata e le ho promesso che sarei presto tornata da lei. Ho passato una settimana di pura angoscia e paura, sempre in attesa di una buona notizia, ma mai avrei creduto che quel giorno lei, a modo suo, mi avesse salutato per sempre! Sette giorni dopo l’ho rivista ancora attaccata alla vita, a dispetto di quei valori che proprio non volevano salire… mi sono sentita quasi sollevata perché mi sembrava di vedere, in quel suo modo di reagire, la certezza che non l’avrebbe data vinta alla malattia. Le ho buttato un bacio e, inconsapevole che quella era l’ultima volta che l’avrei vista, me ne sono andata continuando a seguirla con lo sguardo. Pochi giorni dopo Roberta ci ha lasciati ed è tornata alla casa del Padre. Dire che lei mi manca, non spiega bene le sensazioni ed i sentimenti che provo… ci sono giorni in cui guardo il telefono e non riesco ad accettare che non squilli più, che al di là del filo non ci sia più lei che mi chiama e che mi dice: “Ehi cognatina, oggi non ti ho mai sentita, che fai scioperi?” Ma questo non lo dico a nes- 61 suno; soffro in silenzio perché non voglio affliggere, ancora di più, le persone che più di me hanno diritto di sentirsi soli e tristi (parlo di Gabriele e di Margherita). Lei ha lasciato un grande vuoto in ogni persona che l’ha conosciuta e che le ha voluto bene; è un vuoto che non potrà mai essere colmato ma che tentiamo di sentire, meno profondo, appoggiandosi l’uno all’altro cercando di ricordarla così come lei avrebbe voluto: solare, buona, gentile, determinata a vivere l’esistenza che ci è data nel modo migliore possibile, magari accorti ed accoglienti nei riguardi dei fratelli che ci sono accanto. Non voglio ricordare Roberta come una super donna perché in fondo lei era una madre, moglie, sorella, amica come tante, con le sue fragilità, le sue insicurezze, i suoi pregi, i suoi difetti come molte persone normali; la sua particolarità sta nel fatto di essere riuscita a trasformare un dolore immenso in una fonte inesauribile di amore per i fratelli più bisognosi, di essere riuscita con Gabriele ad offrire la sua sofferenza per ridare vita a chi, in un paese lontano, tendeva loro le mani in cerca di aiuto e di sostegno. Sono grata a Dio di avermi dato l’opportunità di condividere con lei una parte delle nostre vite, per aver vissuto insieme tanti momenti belli, di gioia, di felicità ma anche molti dolorosi che ci hanno fatto scoprire l’amore fraterno che ognuna nutriva per l’altra. Eravamo come sorelle e lo saremo per sempre! Quando la sua assenza si fa più forte e la malinconia e il dolore sono più violenti cerco di pensarla lassù, radiosa con il suo Matteo che, certamente, l’ha guidata in tutto quello che è riuscita a realizzare, indaffarata, come sempre, a ricamare chissà quale angolo di Paradiso e a vegliare su tutti i suoi cari. Un sentito e delicato ricordo di Roberta, insieme a delle poesie, dedicate a lei e a Matteo, ci è stato inviato dalla signora Germana Campani: Veniva tante volte a casa mia perché sapeva che la visita era sempre gradita. “È un’ora che suono!”, mi diceva sorridendo, “Non senti? Sei sorda? Mettiti l’apparecchio!”. Poi si beveva 62 Parte I insieme un caffè chiacchierando di tutto. Il nostro rapporto non era fra una persona giovane ed una adulta perché lei non mi vedeva come una mamma o una nonna, ma come un’amica, sua pari alla quale si può raccontare tutto. Per me era un punto di riferimento; seguivo i suoi consigli fidandomi del suo buon gusto sia per scegliere le cose o per risolvere un problema. La mia casa è segnata dalla presenza di tanti doni avuti da lei, fra gli ultimi le mazze per andare in bosco per funghi e una piantina di orchidea alla quale vanno tutte le mie cure perché mi ricorda una sera dell’agosto del 2011 quando abbiamo cenato insieme a casa mia. Poi c’è stato un lungo periodo di lontananza a causa della malattia; ci salutavamo da lontano anche per timore di un semplice raffreddore. Ci sentivamo per telefono; chiamava, soprattutto, lei perché io avevo paura di disturbarla. L’ultimo squillo me l’ha fatto mentre andava a Milano (io lo chiamavo viaggio della speranza); l’ultimo messaggio è arrivato dall’ospedale. Quando sembrava che nella malattia ci fosse un miglioramento, una notte mi sono svegliata e la immaginavo là, sola, in una stanza a vetri; allora mi sono affiorate tante cose che volevo dirle e ho scritto un pensiero per inviarglielo a puntate col telefonino ma sono riuscita a farle pervenire soltanto poche righe. Roberta per me sei, sicuramente, nella stanza accanto. A Roberta Ti vedo con gli occhi del cuore nella tua prigione di cristallo o mia piccola, grande regina. Io so del tuo dolore, delle tue speranze, delle tue paure. Vivi in un mare di tempesta che a tratti si placa e lascia intravedere la luce; è un raggio infuocato 63 d’amore che spezzerà le catene della tua prigione, per ridonarti a noi. Quel raggio infuocato d’amore era rivolto al cielo, o mia piccola, grande regina, e lassù, ora, riposi in pace. Per una mamma Lo cercherai nelle sue foto di bambino, negli angoli più impensati della casa. Lo cercherai nel suo letto, culla felice di sogni e di rosei progetti. Lo cercherai in un ciuffo di riccioli biondi che ti sfiorerà per strada. E non lo troverai. Cercalo nel tuo cuore, lo troverai sempre, per una carezza, per un conforto. Un tempo tu mamma, lui figlio, ora e sempre, proteggerà te. 64 Parte I Matteo cresce, Roberta l’ha raggiunto, siamo insieme con loro per sempre Questo è il brano di benvenuto cantato dalle ragazze del “College Notre Dame Du Sahel” Suudu Andal - Burkina Faso, durante l’ultima visita effettuata, a novembre, da Gabriele Gronchi e da un gruppo di visitatori. È un canto di ringraziamento per Matteo, per Roberta, per Gabriele, per Margherita e per tutti coloro che ieri, oggi e domani hanno realizzato e realizzeranno altri meravigliosi “miracoli d’amore”. Permetteteci di mormorarvi ciò che canta nei nostri cuori. Permetteteci di cantarvi ciò che grida dentro di noi. Ascoltate ciò che abita il fondo di tutti noi: questo misto di dolore e di riconoscimento, proprio questo misto di dolore e di riconoscimento, soprattutto di riconoscimento. Prima il riconoscimento a Dio per tante grazie visibili ed invisibili ma sicuramente attive nelle nostre vite poi un particolare riconoscimento a Matteo ed a Roberta che vivono qui con noi. Un grazie inestimabile a tutti voi, presenti qui o lontano da noi fisicamente, che avete tanto fatto per noi (il Progetto “7 gennaio”) possiamo nascere e crescere. Da noi Matteo continua la sua crescita nell’amore di mamma Roberta. Non abbiamo conosciuto Matteo, però, siamo tutti dei Matteo. Oh papà Gabriel, lei ha tante figlie! Margherita è ottimamente la nostra sorella Margherita, tu hai tante sorelle! Non andate, mai, a cercare Matteo in qualsiasi altro posto. Lui è qui, siamo noi. Guardate come cresce: di taglio, di numero, di intelligenza e di saggezza. L’amore è più forte di tutto mamma Roberta ne ha dato la testimonianza non ci ha amate fino alla morte? Lei ha amato teneramente Matteo, lei ci ha amate teneramente. 65 Lei ha raggiunto Matteo, lei ci ha raggiunte. Lei è qui, al Progetto “7 gennaio”. Lei è con noi per sempre. Noi, tanti Matteo, presenti davanti a tutti voi. Vogliamo ripetervi il nostro amore filiale. Se è possibile che un figlio dimentichi i suoi genitori, noi non ci dimenticheremo mai di voi, mai! Vi esprimiamo il nostro affetto adesso e per sempre. Siamo risolute a fare famiglia nella verità. Vogliamo costruire una famiglia sempre più grande e sempre più unita e solidale. Questa famiglia, la nostra famiglia, la vostra famiglia, vorrebbe condividere qualche preoccupazione con voi: alcune delle nostre sorelle concludono la scuola media quest’anno. Sono state la prima promozione del Progetto “7 gennaio”. Sono state dunque le prime sorelle spirituali di Matteo, le prime Matteo. Questo vuole dire che il Progetto “7 gennaio” è cresciuto. Delle grandi, numerose e belle cose sono state realizzate. La strada da percorrere rimane ancora lunga e tante cose restano ancora da fare: la scuola secondaria superiore, un refettorio, un’infermeria, un campo di diversi sport, una grande sala di incontri, un laboratorio per i corsi di fisica e di chimica. Contiamo certamente su di noi ma contiamo di contare su di voi, i nostri amici ed i nostri benefattori per fare del Progetto “7 gennaio” un solaio di amore e di saggezza per la nostra società e per il nostro mondo, un vero “tempio di sapere”. E adesso innalziamo mille tende: una per papà Gabriele, una per la nostra sorella Margherita, una per ognuno di tutti voi venuti dall’Italia, 66 Parte I una per ognuno di tutti noi. Matteo e mamma Roberta hanno già le loro tende, qui. E per finire, ascoltiamo mamma Roberta fiatarci: “La morte non è niente… Asciugate le vostre lacrime e non piangete, se mi amate il vostro sorriso è la mia pace.” Grazie Matteo, grazie mamma Roberta, grazie papà Gabriele, grazie Margherita, grazie ad ognuno! Il nostro Signore continui a riempire le vostre mani e i vostri cuori! Amen. 67 A lezione… Visita all’Auditorium di Dorì nel viaggio del 2012 68 Il ricordo di Matteo e Roberta all’interno delle classi 69 Parte II PARTE seconda 71 72 Parte II Testimonianze In questa seconda parte, oltre alle testimonianze raccolte a voce o riportate da altri documenti scritti, il lettore potrà attingere in abbondanza alla veridicità dei fatti, dato che quanto riportato è verità pura, semplice, fedele. Talvolta le parole, soltanto, possono essere male interpretate ma se le persone rendono delle testimonianze senza alterare la verità questo è certamente un dono bello che incentiva e propaga la Provvidenza. Alcuni attestati potrebbero sembrare simili, quasi ripetitivi; in realtà ciascuno di essi ha una sua personale sfumatura che delinea e completa un’immagine. Ogni testimone ha sempre evidenziato una ben precisa motivazione che l’ha spinto a partecipare al Progetto “7 Gennaio” e in ciascuno di essi ho colto una passione, un’intensità emotiva non comune ed una partecipazione sentita, profonda che ti entra dentro e vi rimane portando dei frutti. L’augurio è che questi semi di generosità e di altruismo non vadano persi e possano trovare terreno fertile in ciascuno di noi. Alcune persone molto vicine a Gabriele in questo percorso sono state, sicuramente, suo fratello Giacomo e la sua famiglia, le famiglie delle cognate Cristina e Daniela, la famiglia del fratello Stefano, che hanno scritto queste personali e toccanti riflessioni: Giacomo Quando Gabriele mi parlò del progetto, non fui subito entusiasta come lo era lui. In me c’era una sorta di paura, paura che quello che andavamo a costruire fosse solo qualcosa per colmare un vuoto e poi… perché in Africa, perché coinvolgere tante persone? Come sempre la Misericordia di Dio è grande. Cosa c’entrano Dio e la Sua Misericordia? Sì! Dall’alto del mio io pensavo di avere la ricetta, la risposta ma Dio “sconvolge le vie degli empi” e mi ha posto di fronte ad un miracolo che giorno dopo giorno sbocciava tra le mani e nei cuori e mi faceva capire quanto grande sia la Sua Misericordia, la Sua consolazione, la Sua Speranza. Sì, forse inizialmente, la spinta per questa avventura è stata quella di colmare quel grande, lacerante vuoto che Matteo aveva lasciato in ciascuno di noi, in particolare in Roberta, Gabriele e Margherita, ma con l’aiuto di Dio presto si è trasformato in qualcos’altro. È cambiato in consolazione, in gioia, in amore gratuito donato; quell’amore gratuito che dal sacrificio di Matteo si è mutato in vita per gli altri. Perché coinvolgere tante persone? Perché, come mi disse 73 Gabriele, volevano rendere partecipi, di questo progetto d’amore, tutti coloro che avevano conosciuto Matteo, che lo avevano amato e che con questa iniziativa potevano continuare a farlo. Perché, aggiungo io, Dio non ha voluto lasciare sola questa famiglia e l’ha voluta circondare di persone che hanno condiviso con loro questo dolore. Quando sei dentro il quotidiano, non riesci a percepire fino in fondo quello che ti accade ma, poi, quando ti fermi e guardi indietro, ti accorgi che nulla accade per caso e che solo Gesù è capace di trasformare il male in bene; ti accorgi di come quello che può essere accaduto prima servisse per l’oggi. Mi viene alla mente mia madre; quanta sofferenza per quel figlio che da ragazzo si dimostrava un po’ fuori dalle righe della nostra famiglia: amici lontani dalla chiesa, la domenica le “lotte” per spingerlo alla Messa… Quanti rosari sgranati per quel figlio! Sono convinto che quella sofferenza di madre, quelle preghiere siano giunte in cielo ed abbiano aiutato Gabriele ad essere capace di quello che è, di vivere nella fede di Gesù risorto i dolori che gli sono stati posti davanti. In questo leggo un disegno di Dio che non ci lascia mai soli qualsiasi cosa accada. Leggo la speranza nei sorrisi di quelle ragazze africane che questo miracolo d’amore ha reso vicine a noi, nostre figlie, nostre sorelle. Leggo un volto della Carità a me prima distante, quell’ amore donato gratuitamente ma che sempre ha bisogno di Gesù perché si trasformi in amore vero, disinteressato, completo. Quella Carità che, come dice il Santo Padre, ”ha bisogno di cristiani con le braccia rivolte verso Dio nel gesto della preghiera, mossi dalla consapevolezza che l’amore pieno di verità, da cui procede l’autentico sviluppo, non è da noi prodotto ma ci viene donato” (Caritas in veritate, n.79). Quanto è grande Signore la Tua Misericordia! Cristina Roberta era generosa, aperta con tutti, cercava sempre di aiutare chi ne aveva bisogno, con noi era legata da un affetto “speciale”. Per questo descrivere la sofferenza che provo 74 Parte II per la sua mancanza mi è difficile. Cerco di colmare la sua assenza venendo a trovare Gabriele e Margherita, con loro trovo quella parziale serenità di cui ho bisogno, e riesco a sentirla vicina. Questa è l’ultima lettera che Roberta mi ha scritto, lei coraggiosa e forte, ci lascia un esempio da seguire: “È difficile riuscire a regalare qualcosa a voi, vuoi sì per dignità, per orgoglio o qualsiasi altro sentimento. Il regalo più grande che voi possiate farmi è accettare questo regalo, perché “chi dona con amore ha l’umanità intera per famiglia”. Io sono doppiamente felice perché ho la mia famiglia ed ho voi, quando io stavo male voi eravate con me, nelle gioie eravate con me, ma soprattutto quando avevo i miei momentucci, voi mi avete sopportato con pazienza, come solo mia mamma potrebbe fare. Eri venuta da me quando sono nati Matteo e Margherita, nonostante tu avessi i tuoi problemi. In questi giorni avrai capito quanto sottile sia il confine tra vita e morte, quindi è meglio gioire giorno per giorno delle piccole gioie quotidiane, ringraziando Dio, senza mai perdere di vista chi siamo e dove andiamo. Quindi ora sorridi. Con affetto Gabriele, Margherita e Roberta.” Ora la penso lassù che ci protegge. Daniela Parlare di Roberta non è un compito facile e dopo che lo avranno fatto i suoi amici e amiche stimate sarà ancora più difficile. Ho sempre pensato che racchiudesse in sé diverse doti ma sicuramente la più spiccata era il buon gusto: rendeva impeccabile ogni cosa che toccava e altresì onerosa per Gabriele. Ma tornando agli avvenimenti recenti, ho avuto la fortuna di condividere con lei la stanza di ospedale per quattro giorni durante il secondo trapianto per la donazione del mio midollo, un mese prima che venisse a mancare, e non aveva smesso di sperare, ridere e pregare... Cose difficili da fare, sapendo il lungo percorso che dovevano affrontare lei e la sua famiglia, una “maratona”, così la avevano definita i medici. E nonostante tutto questo trovava la 75 forza per pensare al futuro, alle cose ancora da sistemare nella casa nuova, a Margherita. Un messaggio però mi ha lanciato nella stanza dell’ospedale: la famiglia viene prima di tutto, e sentirlo dire da lei che un tragico incidente aveva reso monca la sua, vedere l›enorme sacrificio che compiva ogni giorno per rendere normale la sua vita e quella dei suoi cari, mi ha fatto riflettere… È questo che lei ha voluto lasciare a me, e io a voi. Vorrei poi compiere una seconda riflessione: se ogni cosa che capita ha un significato, un messaggio che ci deve arrivare, mi interrogo sul significato delle morti di Matteo e Roberta: se da una parte è chiaro, la realizzazione dell›ambizioso Progetto “7 gennaio” non avrebbe avuto fondamenta senza la morte di Matteo, dall›altra la morte di Roberta è ancora un enigma. Allora un invito a tutti a riflettere: cosa vi ha portato la morte di Roberta? Ognuno deve cercare il proprio significato e allora la morte di Roberta non sarà stata vana. Per finire vorrei rendere pubblico un messaggio che ho scritto a Gabriele quando è partito per l›Africa: va dove ti porta il cuore ma ritorna… è quello che penso e pensano in tanti… Stefano e Carla, Francesco e Giulia, Martina e Patrizio Pensare al Progetto “7 gennaio” ci riempie di gioia, riflettere su come è nato ci rattrista: la morte prematura di Matteo ha fatto nascere e crescere questa splendida iniziativa. Poi il pensiero corre verso Roberta che solo dopo cinque anni ha raggiunto il suo adorato Matteo. Ed è a questo punto che sei in confusione… non sai cosa dire e pensare, anche la fede barcolla… Ti chiedi: “Perché?” Ci volgiamo indietro e pensiamo a tutto quello che volevamo fare a Matteo, a tutto ciò che volevamo aver detto a Roberta… ma non abbiamo avuto il tempo: questo tempo che sembra infinito, ma che solo quando si ferma ti fa riflettere, anche se ormai è troppo tardi! Cari Matteo e Roberta speriamo almeno possiate leggere dentro di noi per cogliere quell’amore che non abbiamo avuto modo e tempo di dimostrarvi, perché 76 Parte II l’Amore rimane, va oltre la morte, è eterno. Gabriele e Margherita sono rimasti soli in questa grande missione che è la vita terrena e stanno dando a tutti, con dignità e silenzio, testimonianza vera dell’Amore di Dio: sono riusciti a trasformare la morte e il dolore in vita e gioia per numerose bambine grazie al “Progetto 7 gennaio” e questo ci auguriamo riesca almeno a rendere sereni, ridando un po’ di quella gioia che in pochi anni è stata loro tolta così bruscamente. Trascriviamo un pensiero di sant’Agostino che ci ha colpiti e che speriamo possa aiutarli tutte le volte che si rattristano ricordando Matteo e Roberta: “Quelli che ci hanno lasciato non sono assenti, sono invisibili, tengono i loro occhi pieni di gloria nei nostri pieni di lacrime”. Pietro La notte in cui Matteo ha avuto l’incidente avevo undici anni e mi sono sentito crollare tutto il mio piccolo mondo addosso. Quando mio babbo me lo disse al telefono e lo riferii a mia mamma e a Margherita che erano a casa con me, loro scoppiarono a piangere, e solo di fronte al loro dolore capii ciò che veramente era successo. Nella mente mi passarono veloci le immagini del pomeriggio, che avevo trascorso proprio con Matteo. Noi non eravamo solo cugini, fra noi c’era un’amicizia speciale, e anche se stavamo attraversando due età molto diverse, io sempre bambino e lui ormai uomo, sapevamo rendere unici quei momenti che riuscivamo a passare insieme. È per questo che il “Progetto 7 Gennaio” è diventato per me molto importante, perché è grazie ad esso che il dolore si fa meno forte e riesco a sentirmi ancora vicino a Matteo. Quando, ad esempio, facciamo la cena estiva “Ricordando Matteo” e servo ai tavoli, cerco di mettere in quello che faccio la stessa solarità e generosità che Matteo mi ha sempre insegnato, lui che per me è sempre stato un esempio non da imitare, ma da seguire. Anche se egoisticamente lo vorrei ancora qui, so che ora è lassù, e sarà per sempre il mio angelo custode. 77 Benedetta Non è facile per me esprimere con poche parole i sentimenti che provo pensando alla perdita del mio cugino Matteo e della mia cara zia Roberta. Senza dubbio sento molto la loro mancanza, ma soprattutto vedo il dolore che la loro assenza ha lasciato nei cuori di Margherita e di zio Gabriele. Il “Progetto 7 Gennaio”, le adozioni delle bambine hanno contribuito a dare un senso a tutto ciò che è accaduto in questi ultimi sette anni, ed io da parte mia cerco come meglio posso di impegnarmi a sostegno di tali iniziative. Soprattutto spero, nel mio piccolo, di riuscire a far sentire loro l’affetto che ci unisce, nella convinzione che oltre alla nostra, loro siano parte di un’immensa famiglia che li ama di un amore smisurato. Una toccante lettera che ci è pervenuta è quella di Giulia Bandini, che ha scritto a Gabriele per farlo partecipe dei sentimenti che la legano al Progetto “7 Gennaio” e, in modo particolare, a Matteo. Caro Gabriele, è per me difficile esprimere i miei pensieri, i miei stati d’animo, i miei sentimenti per tutto ciò che ci unisce. Perché sono proprio questi elementi che uniscono e tengono solido il rapporto tra me e voi. La mia difficoltà può esser dovuta al fatto che, a distanza di anni, non sono riuscita a capire, a darmi spiegazioni, ad accettare il perché. Il perché di tutto ciò che è accaduto, il perché è accaduto a voi, il perché nella propria vita gioie, amori, felicità, possono essere spezzate così facilmente. Così velocemente. Così crudelmente. Non riesco a capire il motivo per il quale la vita ci crea, ci unisce… e improvvisamente ci divide, alcune volte troppo presto. È vero questo è il ciclo naturale, ma non per questo può essere giustificato il dolore che una persona, una famiglia, devono provare. E forse un perché a queste mie considerazioni non ci sarà mai… e forse è proprio per questo che non riesco ad andare avanti nel mio cammino di vita. Andare avanti come una comune ragazza di ventitré 78 Parte II anni dovrebbe… pervasa di felicità, gioia, spensieratezza… Ma purtroppo la vita mi ha insegnato, forse prematuramente, che la felicità fanno solo da cornice ad un quadro che contiene altro. Ad un quadro che contiene la vera difficoltà della nostra esistenza. Ma, più che a me, che sono solo una persona esterna alla vostra famiglia, penso a te, a Margherita, alla sua giovane età e alla sua vita che è già stata in qualche modo indirizzata in una strada senza che lei lo volesse. Senza che lei se ne accorgesse. La osservo e vedo una ragazza fantastica, matura e sorridente… Sorrisi che anche se non può, alle volte deve mostrare. Vedo una ragazza che sa che dovrà affrontare ancora tanti problemi ma intraprende ogni sua giornata con tanta grinta e tanta voglia di dimostrare. Una donna apparentemente forte ma in realtà molto fragile e bisognosa. Lei, a cui sono profondamente legata, lei che considero una sorella. Ma, allo stesso tempo, nutro un profondo rispetto, stima e benevolenza verso di te, Gabriele. Nonostante tutto quello che la vita ti ha tolto, sei riuscito a trasformare lo strazio, l’odio, la mancanza… in nuova esistenza, in nuovo amore, in nuovi sorrisi, in bambini che, a causa della natura, non potevano avere niente di tutto ciò. Avete insieme a Roberta generato nuova vita. Avete condiviso il vostro dolore con un’azione che dà virtù a questo mondo, la donazione, e questo vi fa veramente onore. A dimostrazione che in un mondo egoista, l’amore può vincere su tutto, persino sul dolore. Non smetterò mai di nutrire un grande sentimento verso di voi. Sentimento che è nato per ciò che provavo per Matteo. È difficile per me ripercorrere quei momenti, in cui lo vedevo, lo vivevo, lo sognavo. È difficile ma allo stesso tempo è bello perché riaffiorano dentro di me molti ricordi, tanti sorrisi. E alcune volte basta riassaporare per un attimo il profumo di quei tempi e come per magia tutto appare così chiaro, così pulito… e per pochi istanti sembra di essere tornati tra quei banchi di scuola. Tutto era bello, tutto stava diventando vero. Felicità, tanta. Ricordo però quell’orribile giorno, l’uso del motore era proibito. Io sarei 79 dovuta andare da lui, ma lui non voleva. Tanto avrebbe fatto di testa sua. Quel motore voleva prenderlo. Inutile dirgli “vengo io”. No. Magari avrei dovuto insistere di più. Prese il motore. Venne da me. Ancora sorrisi, mano nella mano, ancora felici. Inconsci che sarebbe stato il nostro ultimo incontro, il nostro ultimo abbraccio, il nostro ultimo bacio. Lo salutai, convinta di averlo sentito più tardi. Ma, nessuna chiamata, nessun avviso. Paura, silenzio, realtà. Potevi crederci, non crederci… purtroppo era semplicemente la realtà. E come tale dovevi accettarla. Niente avrebbe permesso di tornare indietro, niente. La moto c’era. Lui no. Ma forse è proprio qui che noi umani ci sbagliamo. La moto non c’era. Lui sì. Matteo c’è. Matteo ci vede. Matteo ci osserva. Matteo è tra noi. Matteo è il nostro angelo. Ed ogni tanto è giusto riprendere quel profumo, annusarlo, e assaporare ciò che di bello c’era. Ciò che di bello c’è. Forse quel perché rimarrà sempre un mistero, mistero di cui non abbiamo nessuna certezza… Ma, una certezza che nessuno potrà toglierci vive in noi… ed è quella dei ricordi. Ricordi preziosi. Ricordi che ci appartengono. Ricordi in cui il sorriso di Matteo è vivo. Potrò non essere stata importante per lui come lui lo è stato per me. Ma devo a lui molte cose. Prima di tutto l’avermi insegnato a camminare giorno per giorno, a darmi la forza, perché forse la vita, con circostanze che vogliamo o no, deve andare avanti, trasformando dolore e lacrime in qualcosa di positivo, di utile e di costruttivo. Quel qualcosa che anche voi tramite un progetto, siete riusciti a costruire. Quel qualcosa che si chiama speranza, parola che ci lega e ci tiene uniti. Sicuramente è molto più facile scrivere, molto meno agire. E sicuramente non riuscirò mai a capire il dolore che vi circonda… E penso che nessuna parola, lettera, gesto, possa farvi sperare e credere in un futuro sereno. Ma, alle volte, dobbiamo avvicinarci, abbracciarci, trasmetterci amore e rimanere uniti… per provare a sorridere con la speranza che chi ci guarda da lassù ci aiuti ad affrontare ogni giornata, ogni ostacolo che ancora possiamo trovare. Sento che i no- 80 Parte II stri due angeli vorrebbero vederci sorridere… e ricordarli in ogni loro attimo. È Matteo che mi ha permesso di entrare nella vostra famiglia. Ed è per lui che in ogni momento io sarò presente. Mi avete dato tanto in questi anni ed io finché lo vorrete, non smetterò mai di far parte della vostra famiglia. Do questa lettera nelle tue mani, consapevole che anche Roberta potrà leggerla. Roberta, amica, confidente, e un po’ mamma, persona con la quale avevo un intenso rapporto, persona che rimarrà sempre nel mio cuore. Con affetto. Giulia Una persona che conosce da sempre Gabriele e la sua famiglia è Simone Gronchi. Si sono frequentati in parrocchia fin da piccoli; negli anni dell’adolescenza la loro amicizia è cresciuta e quindi si è consolidata condividendo ideali e speranze. La sua vicinanza a Gabriele è quella di un amico vero. Di seguito riporto la sua intensa testimonianza: Quando è accaduta la disgrazia di Matteo non sono potuto essere presente perché avevo un appuntamento di lavoro importante negli Stati Uniti. Stavo finendo di fare la valigia quando, la mattina della partenza, ho sentito le campane suonare a morto e subito dopo sono stato avvertito da una nostra amica di quanto era avvenuto. Dallo sconforto mi sono gettato in terra, sconvolto dalla gravità dell’accaduto. Ho sentito un dolore profondo perché colpito in un affetto vicino come non mai. Senza indugiare sono corso in macchina e mi sono recato ad Empoli ma quando sono giunto nelle vicinanze, mia moglie mi avvertì di non presentarmi perché non avrei potuto vedere nessuno. Ritornato a Capanne sono andato a casa di Gabriele; l’ho trovato e senza dirci una parola ci siamo abbracciati; quindi gli ho spiegato che non sarei potuto essere presente alle esequie e con la morte nel cuore sono partito facendo violenza su me stesso. In quei giorni, in America, mi sono sentito nel posto e nel momento sbagliato con la sensazione che mancassi solo io vicino a Gabriele, Roberta e Margherita. Quando 81 sono tornato sono venuto qui da loro e mi sono messo a loro disposizione nel fare quanto era nelle mie possibilità. Ho iniziato un percorso che è stato, per me, una sorpresa continua non tanto per il primo obiettivo, che è stato la realizzazione del pozzo, ma in particolare per il Progetto “7 gennaio”. Mi ha molto sorpreso la vicinanza della nostra comunità di Capanne a Gabriele e alla sua famiglia; il nostro paese in quell’occasione ha riscoperto il valore della condivisione. Molte famiglie e persone credenti e non, che vivevano in parallelo la propria vita, si sono unite alla famiglia Gronchi, in un percorso comune, per realizzare un sogno. Voglio qui fare una mia piccola riflessione sulla fede; per molti ritengo sia importante averla sia nella speranza di raggiungere il regno dei cieli ma anche per poter vivere con maggiore serenità il vissuto quotidiano soprattutto in momenti di grande dolore e sofferenza. Se aggiungiamo alla fede l’operosità generosa e disinteressata, come in questo o altri progetti di solidarietà, faremo certamente quanto ci viene richiesto da Nostro Signore. Relativamente al “Progetto 7 gennaio”, all’inizio, non ho avuto nessun dubbio sul riversare il nostro impegno in quella zona dell’Africa; nel proseguo del tempo e vedendo i numeri necessari per realizzare l’intera opera, devo dire, sinceramente, che ho avuto dei momenti di perplessità. Quando, talvolta, sono giunto al limite dell’incredulità, la carica e la convinzione di Gabriele ha spazzato via i miei ragionevoli dubbi. Alla fine quello che mi appariva inarrivabile si è dipanato per strada non in maniera casuale ma con provvidenziali episodi, disponibilità ed occasioni mescolate ad una grande volontà da parte di tutti. La gente ha capito bene cosa facevamo e mi è parso che molti si siano aggrappati a questo sogno come ad un’ancora salvifica e per un riscatto personale. Quando siamo andati a Dorì, per l’inaugurazione della scuola femminile, abbiamo visto, concretamente, l’importanza di un’idea che dal niente ha creato qualcosa che resterà come segno indelebile di generosità ed una grande opportunità di riscatto sociale e culturale per molte bam- 82 Parte II bine oggi e domani. Non posso dimenticare l’accoglienza che ci hanno fatto le bambine che, cantando una canzone per Matteo, hanno fatto ala al nostro passaggio. Vedendo la struttura ho pensato che Matteo ha perso la vita ma ha donato un futuro a chi non ne aveva. Noi, ora, abbiamo il dovere di mantenere, se sarà possibile ampliare, continuare e non disperdere questo patrimonio che è stato realizzato. In me, come in molti altri, è rimasta l’idea che da una grande disgrazia può nascere una grande luce che aiuta il nostro vivere, che ci permette di guardare alle necessità, vicine e lontane, con generoso altruismo e che ci consente di essere di esempio positivo per chi ci circonda in un costante miracolo d’amore. Trovare un amico è trovare un tesoro perché l’amicizia è una perla preziosa perché è rara e non si può barattare con nessuna cosa al mondo. Un amico, infatti, è generoso, paziente, accogliente non invidioso, non egoista, non bugiardo ma vero perché animato da un bene profondo, duraturo, non effimero. Queste qualità erano in possesso di Matteo e dei suoi amici che, con le loro emozionanti testimonianze, lo vogliono qui ricordare: Saverio Della Maggiore Prima di venire qui a parlare di Matteo mi sono tornati alla mente moltissimi ricordi ed in particolare quelli relativi al periodo della nostra infanzia, prima ancora di andare alle scuole elementari. Mi sono rivisto con lui nel giardino di questa casa mentre facevamo a gara a salire su una magnolia e in un gioco che poteva finire in tragedia perché nel voler saltare più in alto mi sono gettato dal terrazzo del primo piano, fortunatamente senza gravi conseguenze. Ripenso ai pomeriggi trascorsi insieme a giocare al Super Nintendo, ai video giochi, a pallone in giardino e quando abbiamo giocato nella solita squadra a Staffoli. Durante il periodo delle scuole superiori ci eravamo un po’ separati perché lui era andato al liceo di San Miniato mentre io a quello di Fucecchio ma eravamo ugualmente legati come famiglie per l’amicizia di mia madre e di mio padre con 83 Roberta e Gabriele. Mi ha fatto piacere vedere la reazione che hanno avuto di fronte alla perdita di Matteo dato che non si sono chiusi nel loro dolore ma l’hanno trasformato in qualcosa di importante, come prima il pozzo e subito dopo il Progetto “7 gennaio”; non credo sia una cosa comune reagire così e darsi tanto da fare mentre si attraversa un momento così difficile della propria vita. Ho provato, per loro, ammirazione e credo che non avrei avuto la loro stessa forza quella che invece vedo ancora in Gabriele che porta avanti le adozioni e torna spesso in Burkina Faso per vedere la situazione generale del collegio femminile dedicato a Matteo. Quando penso a lui è una sofferenza continua ed una ferita che non si rimargina perché riaperta ed acuita con la scomparsa di Roberta; se riguardo le sue foto mi prende un nodo alla gola e uno stato d’animo straziante che non passa mai. Francesco Turini Con Matteo ci siamo conosciuti in parrocchia da ragazzini ed io, pur essendo più grande di due anni, ho stabilito con lui una bella amicizia anche perché avevamo un carattere abbastanza simile. Mi ricordo di quando tutte le estati, dopo cena, passavo di qui, lo chiamavo ed insieme andavamo a giocare e a chiacchierare ai giardini qui vicino. Mi torna in mente Roberta che mi apriva la porta e che chiamava Matteo. Lui scendeva dalle scale correndo e lei lo richiamava dicendogli: “Mi sciupi il parquet!”… Quando accadde l’incidente di Matteo mi chiamò prima Margherita per sapere dov’era suo fratello ed io le risposi di non saperlo; cominciai a telefonare per avere notizie e fui avvertito da un mio compagno che Matteo era stato ricoverato a Empoli. Con il mio amico Angelo mi misi subito in viaggio per andare all’ospedale ma in superstrada Gianni, un altro nostro amico, mi inviò un messaggio che non potrò mai dimenticare: “È grave!”. Io gli risposi: “Grave in che senso?” Lui, dopo alcuni istanti mi scrisse: “Non lo so, so solo che è grave.” In quel momento mi cadde il mondo addosso. Quando 84 Parte II giungemmo all’ospedale Gabriele ci vide, venne da noi, ci salutò con un cenno della mano facendoci capire che Matteo non ce l’aveva fatta e quindi ci abbracciò consolandoci. Credo che quella sera non potrò mai dimenticarla perché ha sconvolto la mia esistenza; ancora oggi mi porto dentro gli avvenimenti e le sensazioni che ho provato allora. Ho dato e darò il mio contributo alle iniziative e agli eventi che mantengono vivo in me e in tutti noi il ricordo di Matteo. Stefano Ammannati Ho conosciuto Matteo nel periodo delle scuole medie quando insieme abbiamo iniziato a giocare a calcio a Staffoli. Era un ragazzo tranquillo, spensierato, con la gioia nel cuore. In quegli anni la nostra conoscenza, fatta di allenamenti e di partite, si è trasformata in amicizia. Quando accadde la sua disgrazia fu, per me, il primo trauma da ragazzo perché non avevo avuto, ancora, dei lutti in famiglia. Non ero preparato a perdere una persona cara e in così giovane età. Quella sera Saverio ci raccontò l’accaduto e noi rimanemmo tutti senza parole; non sapevamo in chi trovare conforto per il dolore che ci aveva preso. Un ricordo di Matteo è quando per lui ho fatto la mia prima rissa in campo… Un avversario aveva fatto un brutto intervento su di lui ed era stato espulso ma questo ragazzo, nell’uscire dal campo, dette un calcio a Matteo che si trovava ancora a terra ed io, allora, non ci vidi più… Non posso dimenticare le sue finte con il pallone, i capelli lunghi e poi tagliati, le risate d’allegria e tante altre cose che tengo nel cuore come il suo ricordo che è indimenticabile. Quando, oggi, entro in campo prima di iniziare la partita il mio primo pensiero lo rivolgo a lui e così farò finché giocherò. Naturalmente parteciperò, come ho sempre fatto, alle varie iniziative ed agli avvenimenti in memoria di Matteo. Spartaco Rinaldi Anch’io, come Stefano, ho conosciuto e fatto amicizia con Matteo giocando a calcio a Staffoli. Era impossibile non es- 85 sere suo amico perché era un ragazzo d’oro; non mi pare, infatti, di aver mai avuto con lui alcun attrito o discussione. Quando accadde il fatto rimasi scioccato perché era accaduto a lui che era un ragazzo speciale. Della sua scomparsa, per molto tempo non me ne sono fatto una ragione poi, con il tempo, il dolore si è attenuato ma il suo ricordo è ben presente dentro di me… Durante le partite di calcio lui non era capace di fare del male ad una mosca; mentre gli altri lo tartassavano di falli, come pedate e tirate di capelli, lui non reagiva ma se ne stava zitto. Io, al contrario, essendo più fumantino lo andavo sempre a difendere… Spesso, mi appare la sua figura quando guido, gioco ed in qualsiasi luogo vada e tutto questo non è cambiato fin dal giorno della sua scomparsa. Credo che Matteo rimarrà sempre dentro di me. Andrea Commellini Vorrei precisare che io non facevo parte della squadra di calcio dello Staffoli ma la seguivo come tifoso. Lì ho visto Matteo e l’ho conosciuto di più andando a ballare tutti insieme con i suoi compagni di gioco. Dopo due settimane dalla disgrazia di Matteo ebbi anch’io un grave incidente che mi portò in uno stato di coma. Ad un tratto, non so come né perché, mi apparve il volto di Matteo e dopo pochi minuti mi svegliai. In seguito ho raccontato a Gabriele quanto mi era accaduto e da lì è cresciuto il mio impegno verso il Progetto “7 gennaio”. Sono stato anche in Africa e lì mi sono reso veramente conto di quanto noi siamo fortunati perché i bambini non hanno proprio nulla se non un sorriso e un abbraccio. Certamente continuerò a dare il mio contributo sia per quanto riguarda la scuola in memoria di Matteo che per altri progetti che verranno intrapresi da Gabriele e dal Movimento Shalom. Alessio Sabatini Ho conosciuto Matteo alle scuole elementari e siamo cresciuti, insieme, giocando tutti i giorni sulla piazza del no- 86 Parte II stro paese, facendo merenda e guardando la tv. Il nostro era un bel gruppo perché ridevamo e scherzavamo in allegria e serenità fino a quella notte che per me, come credo per tutti, fu interminabile… Il suo ricordo c’è sempre stato come pure la partecipazione agli eventi organizzati dalla sua famiglia. Sono certo che non dimenticherò Matteo. Angelo Coffaro Per molto tempo ed anche ora mi chiedo: “Perché è accaduto a Matteo?”. Non ho potuto e non riesco, ancora oggi, a darmi una risposta. Lui era il più buono, il migliore tra di noi ed è stato portato via. Non potrà assaporare la gioia dell’amore, di un figlio; non avrà la possibilità di avere vicino a sé suo padre, sua sorella, i suoi parenti, i suoi amici e tutti quelli che gli volevano bene. Questo pensiero non mi abbandona e non mi fa stare bene. Spero che lui possa vedere, da lassù, quanto di bello e di buono è stato realizzato in sua memoria“ Roberta Vaglini Nel febbraio 2010 ho vissuto un’esperienza che non avrei mai pensato di fare: un viaggio umanitario in Burkina Faso. A farmi prendere questa decisione, il ricordo vivo di Matteo, la voglia di vivere qualcosa di molto forte, qualcosa che va al di là di ogni aspettativa, la curiosità di vedere e conoscere da vicino un popolo, un paese di cui avevo sentito tanto parlare anche da Gabriele e da Roberta, di cui avevo visto foto e documentari ma che era troppo lontano. Catechista dall’età di 15 anni e docente di R.C. ho deciso di investire le mie risorse impegnandomi nel sociale sia con i bambini del catechismo sia con i ragazzi della scuola. Con loro ho cercato di condividere la gioia del Dono: c’è più gioia nel donare che nel ricevere. Sono fermamente convinta che si cresce quando si prende coscienza delle cose che ci circondano, si fa esperienza del mondo e della vita, accanto ai verbi “prendere e ricevere” si impara a coniugare il verbo “dare”. Per molti anni ho collaborato fattivamente 87 con associazioni ed enti in Italia e nel mondo. Il pozzo era stato perforato e il collegio di Dorì aveva posto le sua fondamenta quando Gabriele ha portato la sua testimonianza tra i banchi della scuola media di Castelfranco di Sotto e il Progetto “7 gennaio” ha coinvolto tutti: alunni, genitori, docenti. Non potevo, quindi, mancare all’inaugurazione della scuola secondaria del collegio di Dorì in memoria di Matteo. Sono partita con un bagaglio carico di amore, di doni e di… disinfettante. In Burkina ho trovato di più di ciò che pensavo di incontrare: la malattia, la sofferenza, la povertà. Ci sono e si vedono ma quello che ti colpisce e ti resta dentro è la disponibilità, l’accoglienza, la semplicità e soprattutto la voglia di vivere dignitosamente di coloro che incontri e che sempre ti donano un sorriso. Non puoi dimenticare gli occhi dei bambini, il loro modo di sorridere (che ti scalda), di giocare e divertirsi con poco o niente, di amare, di venirti incontro e abbracciarti per cercare un contatto e di guardarti con chissà quale pensiero. Gioia, festa, affetto, cordialità, saluti con canti, danze, inchini di grandi e piccini durante gli incontri avuti nei luoghi visitati ti fanno dimenticare i disagi degli spostamenti tra un posto e l’altro. Tristezza, tanta tristezza e rabbia (ciò che faccio mi sembra tanto ma è poco) sono i sentimenti che mi ha suscitato la visita agli orfanotrofi. Straordinario l’impegno e il servizio svolto dalle suore: vi assicuro che da qua non si può capire quanto sia importante il loro lavoro. Splendidi tutti i volontari che dedicano il proprio tempo a questi orfani e a tutti gli altri ragazzi bisognosi di aiuto. I bambini, che provengono dalle più svariate esperienze di vita, sono di ogni età e quando uno di loro, il meno timoroso, si avvicina e si stringe a te fino a venirti in braccio senti il cuore scoppiare di felicità. Quando poi ti devi allontanare ti assale la malinconia e ti senti impotente. Di quella mia esperienza in Africa preservo nel cuore forti e profonde emozioni che, talvolta, riappaiono e mi fanno riflettere: ho trovato persone speciali che davvero hanno bisogno di sostegno. Simonetta Rosselli 88 Parte II In Africa c’ero già stata, anni prima, ma come turista in un villaggio vacanze e certamente sapevo che non sarebbe stato come allora. Mi sono ritrovata molto bene con tutto il gruppo dei partecipanti nonostante non conoscessi nessuno di loro. Lì ho sentito immediato l’impatto tra la vita e la morte. La vista di molti bambini abbandonati mi ha fatto venire voglia non di portarli via con me, ma di rimanere io con loro. Dopo questo primo viaggio sono ritornata di nuovo in Burkina Faso per l’inaugurazione del collegio femminile; tutta la cerimonia è stata molto bella ed il solo ricordo mi fa venire da piangere. Mi ha colpito la loro umanità e la loro felicità nel vederci, pur sentendomi consapevole di aver fatto poco per le loro necessità. Come ringraziamento, la popolazione ci donò un caprone che, poi, noi abbiamo restituito tramite le suore. Come riflessione devo dire che il vedere personalmente la struttura completata mi ha confermato la serietà dell’iniziativa e di coloro che l’avevano promossa e sostenuta con grande impegno. La vita è strana, talvolta pesante, perché credi di essere il più disgraziato del mondo, ma quando ti guardi intorno e vedi persone malate o quelle popolazioni africane, quei bambini, ai quali manca tutto, allora ti rendi conto che di dolore e di sofferenza ce n’è per tutti. Un tenero ricordo di quei giorni è stato fare con un bastoncino un disegno sullo strato di polvere del piazzale antistante la scuola, cancellarlo con la mano e vedere i bambini che stavano intorno rifarlo con naturalezza, con una gioia che nei nostri piccoli non c’è più. A distanza di tempo mi è rimasta la voglia di ritornare là e di rimanerci per un buon periodo di tempo dando il mio contributo di lavoro perché, da laggiù, si torna rasserenati. Samuele Giachè Con Gabriele ci siamo conosciuti con il primo viaggio nel 2007 per l’inaugurazione del pozzo è lì è nata la nostra amicizia. Il gruppo di Capanne, secondo me,è stato straordinario nel portare avanti l’intero Progetto “7 gennaio”. Nel mio piccolo ho collaborato alle varie iniziative trascinato 89 dall’entusiasmo di Roberta e di Gabriele. Sono andato a Dorì per il gruppo Shalom alcuni mesi prima dell’inaugurazione, nel 2009, e sono rimasto stupito dalla struttura e da tutti gli arredi che, per il contesto, mi sono sembrati bellissimi. Sono tornato ancora nel 2011 e nel frattempo avevo adottato un bambino del Burkina Faso. Ogni volta che sono andato e poi tornato qui,ho sentito dentro di me un pezzo del mio cuore rimanere là nella convinzione, però, di ritornare per riprendere di nuovo quello che è rimasto e che resterà per sempre lì. Ora mi porto dietro il percorso che ho fatto, a piccoli passi, nel movimento sentendomi parte attiva e, grazie a Dio, una persona migliore rispetto al passato. Questo anche perché conosci delle persone che, con il loro esempio, ti migliorano dentro. Ripenso a quando, in Africa, incontri dei bambini, con un po’ di maglia di cotone intorno ad un buco, che saluti dicendo in francese: “Come va?”. Questi bambini ti danno la mano e sorridenti ti rispondono: “Va!” Quella risposta ti fa capire quanto siano inutili le nostre lamentele quotidiane e ti aprono il cuore dandoti sorsi di serenità. Vedendo quella povera gente, gli ultimi, ho ripensato alle parole del Vangelo quando Gesù dice: “…Ero assetato e mi hai dato da bere, avevo fame e mi hai dato da mangiare …”. Voglio concludere dicendo che, nei miei viaggi, ho capito che è più quello che ricevo di quello che do e mi auguro di poter continuare a dare il mio contributo per alleviare le sofferenze dei poveri. Paolo Parentini e Anna Vanni È stata un’esperienza indescrivibile, sia il primo viaggio in Burkina per la perforazione del pozzo che il secondo, per l’inaugurazione della scuola, perché abbiamo voluto toccare con mano quanto era stato realizzato con l’apporto concreto di centinaia di persone che qui avevano dato il loro contributo. Ci ha colpito molto la miseria di quella povera gente. Sentire che le donne dovevano fare venti chilometri per riempire una brocca d’acqua ci ha fatto ripensare a quante volte tutti noi ci lamentiamo per nulla. 90 Parte II Riteniamo che, spesso, buttiamo via i soldi in cose inutili mentre laggiù non hanno che poco o niente per vivere. È stata emozionante la visita agli orfanotrofi perché vorresti aiutare tutti quei bambini ma sai bene di poter dar solo una goccia d’amore per alleviare il loro dolore. Di tutto quello che abbiamo vissuto, oltre al bambino che abbiamo adottato, c’è rimasto nel cuore il loro modo di ringraziare, che definiamo: “la bontà della gente povera “che ti vuole offrire, subito, qualcosa in cambio di quella piccola offerta che tu hai donato loro. Nel nostro piccolo, siamo certi che continueremo ad aiutare i più bisognosi. Giancarlo Pieragnoli Il mio contributo alla realizzazione prima della perforazione del pozzo, e dopo della scuola per le bambine, è nato il giorno seguente la morte di Matteo parlandone con Gabriele e Don Cristiani. Mi sembrò, subito, un modo giusto per ricordare la memoria di questo ragazzo. Ho creduto necessario impegnarmi concretamente dando il mio piccolo contributo e il mio apporto. Allora ho portato locandine e salvadanai nei locali pubblici della provincia, ho partecipato a cene di solidarietà e ho dato una mano in tutte quelle iniziative utili per raccogliere fondi necessari allo scopo che ci eravamo prefissati. Devo dire che non abbiamo mai avuto un diniego e ho scoperto che la gente, quando lo scopo è nobile, serio, pulito, risponde con generosità. Non sono mai andato in Africa ma le foto, i filmati e le testimonianze delle persone che vi sono state mi hanno reso partecipe di quanto fosse stato realizzato con il Progetto “7 gennaio”. In questo periodo di tempo ho compreso che da una disgrazia può nascere la vita per altre persone e una maggiore vicinanza anche tra coloro che vivono nella nostra piccola comunità. Daniela Salvadori La mia adesione al Progetto “7 gennaio” è nata dalla mia amicizia, avvenuta in età matura, con Roberta che mi ha fatto partecipe del dolore per la scomparsa di suo figlio, e di 91 un modo diverso di approcciarsi alla sofferenza, cioè di trasformare il proprio dolore in aiuto verso gli altri e nel non vedere nella morte di una persona cara una fine, un buio, ma un proseguimento, una continuità. Per questo motivo ho aperto il mio cuore come lo ha fatto la nostra comunità di Capanne. C’era in me, come pure credo negli altri,il desiderio di donare senza pensare, partendo dal bisogno di essere generosi senza avere niente in cambio. Vedere, poi, in tempi molto brevi, la realizzazione della scuola-collegio mi ha fatto capire quanto sia bella ed importante la concreta generosità delle persone e quanto bene morale e spirituale possa generare in tutti coloro che vi hanno partecipato. Mi auguro e spero che tutto non finisca qui, ma vorrei veder crescere altre cose perché credo sia difficile fermare questa stupenda macchina fatta di generosità e di altruismo. Cristiano Savini Vorrei partire a ritroso, dal 2004 quando ho effettuato, per la prima volta, un viaggio in Burkina Faso. Per le vaccinazioni e i medicinali presi mi era passata la voglia di partire; mi sono persino augurato una febbre improvvisa ma quando sono giunto laggiù ho fatto una delle più belle esperienze della mia vita. Lì ho conosciuto meglio Gabriele, con il quale avevo fatto, nelle settimane precedenti, un paio di incontri per creare un amalgama nel gruppo dei partecipanti al viaggio. Con lui ho stabilito un bel rapporto che, poi, è proseguito tramite il Movimento Shalom e don Cristiani, al quale sono affezionato e che mi conosce, fin dalla nascita, avendomi battezzato. Durante quel primo viaggio la vicinanza di Gabriele mi ha sostenuto; in alcuni momenti mi sono anche divertito molto ridendo con il gruppo che avevamo costituito. A livello di conoscenza, il vedere che con 5 euro si poteva vivere lì un intero mese o che bastava una caramella per far sprizzare gli occhi di felicità di un bambino, ha cambiato il mio modo di vedere la vita. Tornando in Italia c’è voluto del tempo per riprendermi e quando vedevo le foto scattate in Burkina, le arrabbiature mi passavano. In seguito, la disgrazia di Matteo, che io non 92 Parte II ho conosciuto, è stata la spinta che mi ha portato a far parte del Progetto “7 gennaio”. Quando l’obiettivo è stato realizzato sono stato felice, ma ancora una volta mi sono chiesto: “Perché non facciamo di più per le popolazioni del Burkina o di altre nazioni bisognose?”. Credo che basti poco per aiutarli ed è scandaloso che, spesso, non muoviamo neppure un dito per andare incontro alle loro necessità primarie. Mi consola il fatto che, talvolta, un’idea, un progetto comune di cooperazione generosa e disinteressata riesce a portare sollievo ai più poveri dando loro la speranza per un domani migliore al quale anch’io voglio dare il mio concreto contributo. Stefano Arzilli La grande fede e la grande dignità di Gabriele, di Roberta e di Margherita non poteva che avere un esito così stupefacente, cioè quello di realizzare in pochi anni prima un pozzo, fonte essenziale di vita in Africa, fino ad arrivare alla costruzione di una scuola, fondamentale per l’istruzione di molte bambine in Burkina Faso. Quando Gabriele, dopo essere stato all’inaugurazione del pozzo, disse che quello era solo l’inizio del progetto, sicuramente più di una persona pensò che l’entusiasmo gli aveva preso la mano. Con tutta sincerità anche noi, che avevamo partecipato al primo progetto, rimanemmo un po’ perplessi ma proseguendo questa esperienza ci accorgevamo che il grande impegno da parte di tutti non faceva che portare, continuamente, delle iniziative con risultati eccezionali. Il Progetto “7 gennaio” è così diventato un punto di riferimento per tantissime persone. Ogni anno ci sono stati degli appuntamenti fissi:a Staffoli, dove Matteo giocava ed era molto conosciuto, a San Miniato, alla scuola che frequentava, e naturalmente alle Capanne dove viveva. Pensare, oggi, a quello che siamo riusciti a realizzare non può che rendermi positivamente orgoglioso e fiero. L’essere stato un amico di Matteo e padre come Gabriele mi ha dato una spinta in più nel partecipare attivamente alle varie iniziative. Questa esperienza mi ha fatto vedere con occhi diversi tutto quello che molte persone, ancora oggi, nemmeno vedono. 93 Francesca Nuti Da una disgrazia, come è stata la perdita prematura di Matteo, è venuto alla luce questo progetto di speranza e positività, grazie all’unione e all’impegno di molte persone che, toccate da quella tragedia, hanno trasformato il dolore in nascita. Questo progetto mi ha fatto conoscere una realtà molto diversa dalla nostra attraverso foto, filmati e racconti di coloro che sono stati là e che ci hanno portato la loro testimonianza. Ho appreso che in quei luoghi ci sono persone povere materialmente, ma ricche nello spirito, con una generosità unica ed una luce particolare negli occhi e sempre pronte a dispensare sorrisi a tutti. La cosa che mi ha colpito di più sono le testimonianze delle persone che hanno visitato il Burkina Faso; al ritorno dai loro viaggi si sono sentite cambiate, toccate nel profondo; si sono rese conto di quanto siamo fortunati ad avere tutto senza riuscire ad apprezzarlo, dando tutto per scontato. Nonostante l’estrema povertà e le pessime condizioni di vita, il popolo del Burkina riesce a sorridere e a trasmettere calore. Questo mi ha fatto pensare a quanto noi siamo così poco riconoscenti per quello che abbiamo e allo stesso tempo su quanto il benessere ci abbia allontanato dalla spiritualità. Un’ulteriore e bella testimonianza, scritta, ci è pervenuta dalla signora Gabriella Boldrini, insegnante di religione di Matteo nel biennio del Liceo Scientifico a San Miniato: Ho conosciuto Matteo, perché sono stata la sua insegnante di religione nel biennio del Liceo Scientifico e nei primi mesi della terza che ha frequentato. Era un ragazzo moderno, amante della vita, gioioso, curioso, buon amico, nel pieno dell’adolescenza. Poi il sette gennaio… la vita… la morte… e di nuovo la vita… Dopo aver avvicinato gli studenti alle domande profonde che l’uomo si pone, in seconda superiore affrontiamo nello specifico il tema del senso e del valore della vita umana, in prospettiva cristiana. Per queste finalità ho chiesto a Gabriele, il padre di Matteo, di parlare della sua esperienza, che ci raccontasse come, da una vita che 94 Parte II poteva sembrare non aver più senso, in conseguenza della morte di un figlio, fosse rinato il vigore nel fare qualcosa per gli altri. Innanzitutto abbiamo parlato del grande gesto della donazione degli organi, che ha salvato o migliorato la vita a tante persone ed abbiamo riflettuto sul valore della prudenza e sulle regole per la sicurezza stradale. Abbiamo poi conosciuto il Movimento Shalom, all’interno del quale molti giovani hanno ricevuto opportunità e risorse, come l’istruzione e tutto ciò che ruota intorno ad essa: acqua, alimentazione, scuola, collegio, materiali… Confrontare la giornata di un ragazzo africano con quelle dei miei studenti, lo stile di vita, le condizioni igienico-sanitarie, l’accesso alla cultura; capire che la vita ha sempre un senso, anche in situazioni più disperate, imparare a gioire delle piccole e buone cose della vita quotidiana, dare importanza alle relazioni umane, al dono della salute, dell’acqua, della famiglia, sono tutti obiettivi formativi, importantissimi per i ragazzi in crescita. La frase del vescovo di Dorì: “Chi dona con amore ha l’umanità intera per famiglia”, ha fatto riflettere molto gli studenti: ora Gabriele e la sua famiglia fanno parte di una famiglia più vasta, dove al centro sono presenti valori come la solidarietà e la cooperazione. Questo grande esempio di forza e di speranza oltre la disperazione, questo cristianesimo vissuto con dignità e coerenza, questa vita spesa bene, dove amare vuol dire volere il bene dell’altro a trecentosessanta gradi, tutto questo e molto altro, spero che resti nel cuore dei miei studenti. Continuo ad avere fiducia che, fra tanti, qualcuno di loro voglia seguire l’esempio della famiglia Gronchi. Durante il mese di ottobre 2012, un gruppo di persone - composto da Gabriele, Margherita, Andrea Pieragnoli, Gianni Limpido, Susanna Turini, Emiliano Marmeggi e Daniele Giuntoli - si è recato in Burkina Faso. Sono andati a Dorì per verificare lo stato di avanzamento dei lavori nei pressi del collegio femminile e la situazione generale della struttura. Si sono trattenuti per una settimana e al ritorno hanno rilasciato la loro significativa testimonianza. Mentre ascoltavo le loro parole anch’io vedevo quei bambini ed era come se, in quel momento, mi avessero portato i loro occhi e i loro sorrisi: 95 Andrea Pieragnoli Tutto è partito dall’idea che dal dolore e dalla sofferenza uscisse qualcosa di positivo per chi ha più bisogno. La reazione che ebbero Roberta e Gabriele, dopo la perdita di Matteo, è stata per me una grande spinta per guardare avanti. Avevo già pensato a questo viaggio per vedere quanto era stato fatto e per conoscere un mondo così diverso dal nostro. Non è stata la solita vacanza di piacere ma un’opportunità formativa che ho voluto cogliere anche perché sono un grande appassionato di geopolitica. Quello che ho visto è ben oltre quello che ci possiamo immaginare perché, effettivamente, gli abitanti hanno poco o niente per vivere. Mi ha colpito che loro, pur in assenza di tutto, rispetto al nostro mondo consumistico, sono fieri del loro essere; non a caso il Burkina è detta: “la terra degli uomini fieri”. Ho pensato che noi diamo eccessiva importanza a degli aspetti e a delle cose della quotidianità pensando che questo ci dia la vera felicità ma, spesso, ciò non accade. Credevo di trovare, in quel caos apparente, del disordine, inteso come insicurezza, ed invece, alla fine, mi sono sentito quasi protetto da quel marasma di persone che c’era in strada. Talvolta, trovandomi davanti a quei vasti spazi, ho avuto la costante sensazione di essere di fronte all’infinito. Del collegio femminile ho avuto l’impressione che il progetto,fino ad ora, abbia funzionato e che stia andando avanti bene. La scuola è diretta positivamente dal personale statale e da quello della diocesi; ho visto entusiasmo,voglia di fare e di andare avanti nell’interesse delle bambine e della comunità locale. L’esperienza che ho vissuto mi sarà di stimolo nel continuare a dare, ancora di più, il mio contributo nel portare avanti, con impegno e serietà questa e altre iniziative. Mi porterò nel cuore l’accoglienza che abbiamo avuto alla scuola da parte delle bambine; è stato veramente emozionante sentirle dire, come ringraziamento, che Matteo e Roberta sono lì e che noi eravamo a casa nostra. 96 Parte II Gianni Limpido Ho partecipato al viaggio perché Matteo era uno dei miei migliori amici, perché volevo vedere, di persona, quello che era stato realizzato in sua memoria e per conoscere, almeno un po’, quei luoghi così lontani e diversi dal nostro mondo. Credo che lui, ora, non sia qui ma si sia spostato in Burkina per fare del bene. La scuola mi è apparsa ottima, funzionale e dove tutti mi sono sembrati felici e soddisfatti di poter esserci. La cosa che mi ha colpito di più è il sorriso dei bambini nonostante il poco o niente che hanno; questo mi sprona a fare sempre di più per loro. Matteo l’ho visto lì durante l’accoglienza festosa che ci hanno regalato. Nonostante le non facili condizioni ambientali ho trascorso laggiù una bella esperienza, quasi una vacanza, che mi porterò nel cuore. Susanna Turini Sono partita con l’intenzione di visitare l’Africa e con la voglia di vedere quanto era stato fatto con il Progetto “7 gennaio”. Appena arrivati ho capito quanto noi siamo privilegiati avendo sempre cose come la luce e l’ acqua che noi diamo per scontate e che lì, invece, moltissimi ancora non hanno. Non posso dimenticare i sorrisi dei bambini ai quali brillano gli occhi quando li incontri. Mi è rimasto nel cuore e nella mente il desiderio di ritornare per fare del bene. Emiliano Marmeggi Ho deciso di partecipare a questo viaggio per la conoscenza, l’amicizia e qualcosa in più che mi lega alla famiglia Gronchi ed in particolare a Gabriele con il quale sono cresciuto insieme fin da bambino. Con lui sento di avere un rapporto speciale perché Matteo l’ho visto nascere, crescere e dato che frequentava la mia famiglia lo sentivo vicino più degli altri bambini che conoscevo. Il dolore che ha colpito la famiglia di Gabriele mi ha toccato profondamente. C’è stata, inoltre, una triste concomitanza dato che, dopo pochi mesi dalla disgrazia di Matteo, ho perso mia moglie per una grave malattia. Mi sono quindi sentito più coinvolto e spinto 97 a partecipare attivamente alla riuscita del Progetto “7 gennaio”. Questo viaggio mi ha fatto vedere una miseria così profonda che non credevo possibile; ho visto un popolo privo di cose basilari che noi, fortunatamente, abbiamo. Per quanto riguarda la scuola quando ho visto tutti quei bambini mi sono commosso e ho detto a me stesso che Matteo vive ancora perché le frasi che ci hanno detto non erano parole di circostanza doverosa, ma sentite, vere. Sono rimasto positivamente colpito dalla convivenza serena, pacifica tra la minoranza dei bambini cattolici e la maggioranza musulmani. Daniele Giuntoli Partecipando a questo viaggio, che è stato il più bello della mia vita, ho finalmente realizzato un sogno che cullavo da molto tempo. Sono rimasto impressionato da quanto il Movimento Shalom ed il Progetto “7 gennaio” hanno fatto in Burkina Faso. Ho visto che il contributo di moltissime persone è veramente arrivato lasciando segni indelebili per il presente e per il futuro. Ho visto che la popolazione vive in condizioni di estrema povertà, ma con un alone di serenità e di bontà che mi ha lasciato sconcertato. Vedere dei bambini che si dividono una mezza bottiglietta di acqua o che spezzano in parti uguali un piccolo biscotto donato loro, mi ha confermato quanto pensavo, cioè che sono affratellati da un cuore generoso che, da noi, spesso pare nascosto o inesistente. In alcuni momenti sono stato preso dalla rabbia e dallo sconforto perché avrei voluto fare molto di più per loro. Ne ho parlato con Gabriele che mi ha rassicurato dicendomi che, giustamente, non possiamo aiutare tutti ma che dobbiamo essere contenti per quello che abbiamo fatto e che faremo secondo le nostre possibilità. Le sue parole mi hanno rasserenato e mi hanno convinto che la nostra testimonianza ed il nostro impegno, nel sostenere e portare avanti questo o altri progetti, saranno importanti per invogliare altre persone ad una consapevole generosità verso i bisognosi. 98 Parte II Conclusione Sul mio tavolo da lavoro ho molte carte relative alla costruzione del pozzo, al Progetto “7 gennaio”, alcune foto, degli appunti, diverse testimonianze scritte e registrate che mi hanno fatto compagnia durante questo viaggio per ricordare e non dimenticare Matteo, Roberta e tutti coloro che hanno contribuito a realizzare questi autentici miracoli d’amore. Molto spesso i pensieri dei libri non diventano fatti concreti, ma non in questo caso perché la sofferenza, il dolore e la morte si sono trasformati, con amore, in speranza e in vita donata a chi è più bisognoso. Le vicende di Matteo e di Roberta vogliono essere un contributo ed una chiara indicazione per tutti, sia per chi ne era già a conoscenza e sia per chi leggerà questo libro. Desidero evidenziare, inoltre, che la scrittura di quanto è avvenuto è stata, per me, motivo di riflessione sul dolore, sulla morte, sulla capacità di accettare e di reagire alle avversità, sulla Fede, sulla Speranza, sulla Carità e sulla Provvidenza. Ho imparato che la generosità è contagiosa quando chi la propone, la guida e la gestisce è animato da solidi principi morali e da una Fede vera che apre il cuore anche degli scettici e degli increduli perché la Verità non teme la Luce ma la emana. Colui che ama ha l’umanità intera per famiglia 99 Indice INDICE Prefazione di Mons. Andrea Pio Cristiani........................................................................................ 3 La mia mamma di Matteo . ...................................................................................................................7 Un ragazzo speciale di Roberta...........................................................................................................8 Introduzione di Giorgio Salvadori.....................................................................................................9 Parte prima Il Progetto “7 gennaio” e la sua storia............................................................................................. 12 Il pozzo .......................................................................................................................................................20 Metamorfosi.............................................................................................................................................. 24 Il Progetto “7 gennaio” in memoria di Matteo............................................................................ 26 Gabriele........................................................................................................................................................ 41 Roberta.........................................................................................................................................................47 In ricordo di Roberta............................................................................................................................. 56 Matteo cresce, Roberta l’ha raggiunto, siamo insieme con loro per sempre................. 65 Parte seconda Testimonianze............................................................................................................................................73 Conclusioni.............................................................................................................................................. 99 103 Finito di stampare nel mese di Gennaio 2013 Grafica, Impaginazione e Stampa blucomunicazione.com