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7
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E vietata ogni riproduzione
ISBN 978-88-8497-006-0
Editing
Anna Maria Cafiero Cosenza
Grafica
Costanzo Marciano
in copertina
Madonna delle Grazie,
Strada dell'Anticaglia
(foto di Elena Manzo)
Prefazione Alfonso Gambardella
10
Le edicole sacre a Napoli. Architettura e simboli
nella cultura del Mediterraneo Elena Manzo
16
Effigi private e devozione urbana: le edicole votive
nell’area vesuviana Ornella Cirillo
27
Itinerari mediali quotidiani.
La comunicazione che allunga la vita Anna Luigia De Simone
39
Pizzofalcone, Quartieri Spagnoli
e Pignasecca Giuseppe Pignatelli
59
Porto Ilaria Girfatti
79
San Lorenzo ovest Paola Marchese
103
San Lorenzo est Iolanda Guida
125
Vergini Salvatore Farina
142
Bibliografia generale a cura di Iolanda Guida
Prefazione
6
7
Alfonso Gambardella
gli inizi del secondo cinquantennio del secolo scorso, appena
diciottenne, lasciai Salerno - dove avevo vissuto dalla fine del
secondo conflitto mondiale gli anni spensierati della
gioventù - per trasferirmi a Napoli, città in cui avrei successivamente trascorso tutta la
mia vita, prima come studente della Facoltà di Architettura, poi come professionista,
percorrendo anche una lunga carriera universitaria.
Da giovane immigrato scontai un lungo periodo di ambientamento in un contesto
urbano, da tutti esaltato per le straordinarie bellezze ambientali e paesaggistiche, che
ormai aveva superato il tragico periodo dei bombardamenti con la ricostruzione della
maggior parte dei palazzi distrutti dalle bombe e dai lanciarazzi.
Era, quello, un periodo emozionante per chi viveva nella città, poiché non si era ancora
consolidata la distruttiva pratica della speculazione edilizia ed era appena iniziato
l’assalto alle colline, così come i tanto deprecati interventi di trasformazione promossi da
Achille Lauro, sindaco monarchico della città.
Le mie prime esperienze di conoscenza di Napoli si consolidarono in due quartieri che, a
prescindere dalla loro particolare bellezza urbanistica e ambientale, si distinguevano
anche per le trasformazioni seguite all’adozione dei piani particolareggiati, promossi a
partire dal 1926. Per un’operazione tanto delicata il Governo aveva invitato il
commissario Gustavo Giovannoni, Accademico d’Italia, professore di Storia
dell’architettura dell’Università di Roma La Sapienza, i cui progetti di ristrutturazione
urbana si andavano completando proprio agli inizi degli anni Cinquanta, con la
sistemazione del nuovo rione Carità e dei Guantai Nuovi.
Ambedue i quartieri, in cui ho abitato, avevano identiche caratteristiche: confinavano
con alcuni luoghi storici tra i più significativi: l’uno i Quartieri Spagnoli, l’altro il
Pallonetto di Santa Lucia.
Erano, quelli, gli anni in cui si dibattevano gli esiti del processo a Curzio Malaparte,
autore de La Pelle, il libro che tanto aveva indignato la borghesia cittadina, che allora
A
Anticaglia
(da R. D’AMBRA, Napoli
Antica, Cardone, Napoli 1889,
tav. LX).
8
era per lo più politicamente orientata a destra. Non capii a pieno il risentimento verso
questo particolare personaggio della letteratura italiana, proprietario di una delle più
straordinarie opere di architettura moderna, la Villa che a Capri affaccia sui Faraglioni e
sulla punta della Campanella. Eccellente opera di Adalberto Libera e dello stesso
scrittore, come sostiene la storiografia architettonica.
Nei periodi in cui abitavo a Santa Maria Apparente, o al Vomero, da dove scendevo verso
i Quartieri Spagnoli percorrendo i gradoni del Petraio, immortalati da Roberto Pane con
stupende fotografie, che già nel lontano 1946 illustrarono quel capolavoro di moderna
editoria, pubblicato per i tipi di Einaudi, Napoli Imprevista, maturai un diverso giudizio
sull’opera del famoso giornalista. Infatti, durante l’attraversamento dei vicoli dei
Quartieri Spagnoli per raggiungere via Toledo, spesso notai avvenimenti che idealmente
mi ricongiungevano agli episodi raccontati da Malaparte con tanto realismo da
indignare i cittadini napoletani. Ho avuto modo di assistere in una splendida mattina di
primavera, guardando all’interno di un “basso”, abitazione posta a piano terra, a stretto
contatto con i vicoli, al “Parto del Femminiello”, e alla “Partenza delle Vajasse”, popolane
vestite con abiti sfarzosi e vaporosi, che a bordo di una grande auto cabriolet,
addobbata di ghirlande, protette da un “femminiello”, nella tradizione popolare una sorta
di eunuco, salutate da una folla festante, si recavano a omaggiare la Madonna nera,
simbolo dell’abbazia di Montevergine in provincia di Avellino. Che dire poi della “riffa”,
una lotteria popolare o del negozio della “Rammara”, la venditrice di casalinghi di rame.
Una napoletanità tanto criticata da pseudo intellettuali, che trasferiva ai fruitori quella
tradizione venuta da molto lontano, dal mondo greco-romano, da quei popoli insediatisi
in città sin dalle origini.
Quello che più mi impressionò, tuttavia, in questi percorsi urbani successivamente
estesi a tutto il centro storico e alle periferie, fu la grandissima quantità di icone
religiose, ubicate nei vicoli più caratteristici, agli angoli di palazzi semplici o sfarzosi,
configurate spesso alla maniera di piccoli templi classici. E una antica tradizione
religiosa, ascrivibile ai primi anni del Cristianesimo, ai tempi della Stefania e di Santa
Restituta, nella quale si coniugheranno, insieme il mondo orientale e quello occidentale,
la tradizione basiliana e quella agostiniana, artefici, fino al mondo barocco, dell’antitesi
tra classicismo e anticlassicismo, connotazione del mondo cristiano dell’Italia
meridionale.
Sarà nel XVII secolo, con la paura delle grandi eruzioni del Vesuvio e con gli appelli a
San Gennaro, per chiedere la protezione dalle grandi epidemie come la peste o per
salvaguardare la vita dei marinai durante i procellosi ritorni dalle giornate o dalle notti di
tempesta, che la tradizione delle icone votive si consoliderà. Basti pensare alla Chiesa
del Carmine al Mercato nella cui sagrestia, a partire dal Seicento, vennero esposti
numerosissimi esempi di icone, simbolo di un costume ormai radicato nel luogo.
Nei secoli successivi, questa tradizione popolare si è rinnovata continuamente e il
numero di edicole votive ha raggiunto valori impensati. Eppure bisogna riflettere su
questa caratteristica, che non è solo napoletana ma si estende a molte città del
Mezzogiorno d’Italia, forse senza quella intensità di episodi che connotano la nostra
città, ma con la stessa voglia popolare di essere protetti dalle divinità locali.
Oggi, nel momento in cui una apparente laicità sembra assumere un valore di
modernità, questa tradizione, squisitamente popolare, non è stata abbandonata.
Chi ripercorre la nuova estesissima città di Napoli, la città delle periferie che occupano
una superficie pari all’ottanta per cento dell’estensione urbana, si imbatte in un numero
ampio di edicole sorte sui muri della nuova edilizia. In questi quartieri, alcuni di
particolare qualità architettonica - basti pensare a quelli progettati da Michele
Capobianco a Miano, o quello ideato da Franco Purini a Mariglianella - le edicole non
mancano, anche se in questi luoghi, purtroppo, è inutile nasconderlo, governa l’antistato
- le scritte e le minacce alle Forze dell’Ordine ne sono testimonianza - ed è la volontà
della camorra a perpetuare questa tradizione.
Quando una delle mie allieve, studiosa profonda e multiforme, mi esternò il suo desiderio
di dare corso a uno studio sul tema delle icone votive, naturalmente la incoraggiai.
Per sviluppare una ricerca tanto estesa Elena Manzo, professore di Storia
dell’architettura della SUN, costituì un gruppo di lavoro cui hanno aderito Ornella Cirillo,
ricercatrice della SUN, esperta di Medioevo, con un saggio introduttivo che segue nel
volume quello della coordinatrice e precede il contributo di Anna Luigia De Simone,
dottore di ricerca, che nel suo lavoro analizza le ragioni critiche a giustificazione di
un’operazione nello stesso tempo suggestiva, ma problematica.
Un gruppo di dottori e dottorandi di ricerca del settore disciplinare della Storia
dell’architettura, formatisi presso la Facoltà di Architettura “Luigi Vanvitelli” di Aversa,
illustra l’ampio fenomeno, attraverso immagini e schede, che documentano un
fondamentale bagaglio di conoscenze.
Rivolgo quindi un particolare apprezzamento a questo studio, che vede la luce nel
contesto culturale di una giovane Facoltà di Architettura, impegnata a fornire contributi
di ricerca di considerevole valore, anche sociale.
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10
Le edicole sacre a Napoli. Architettura
e simboli nella cultura del Mediterraneo
Elena Manzo
ella seconda metà del Settecento, il nucleo vitale della città di
Napoli, quel regolare dedalo di vicoli, che intrecciano gli assi
portanti dello sviluppo urbano di antica fondazione,
era ancora immerso nelle più profonde tenebre e le guardie - scrive Ludovico de La Ville surYllon - che giravano per le strade con le lanterne e le molte torce accese, portate dai servi, che
accompagnavano i loro padroni a piedi e nelle vetture, non bastavano a garantire la sicurezza
pubblica 1. A nulla valsero le imposizioni regie di illuminare palazzi ed edifici pubblici con fanali
ad olio, poiché presto vennero distrutti da atti vandalici.
In quegli stessi anni, trasformando la figurazione iconica del sacro, recuperando il valore
simbolico del pagano e avvalendosi del potere viatico delle architetture effimere, padre Rocco,
l’epico e bizzarro missionario vissuto durante i regni di Carlo e Ferdinando IV di Borbone,
riqualificò l’ubiquità popolare del tabernacolo votivo, per organizzare una fitta rete di punti
luminosi all’interno dell’ordito viario, che partiva da Spaccanapoli. Al tempo stesso, realizzò
così un inedito sistema di arredo urbano. Trecento copie di un quadro dedicato a Santa Maria
Scala Coeli e cento grosse croci di legno colla figura di Cristo dipintavi sopra furono
posizionate in altrettanti luoghi strategici della scacchiera stradale, nei crocevia, nella
scantonatura diagonale degli angoli dei palazzi, nelle lunghe arterie urbane2.
L’aedicula sacra - dal latino aedes, cioè “casa”, “tempio” e simulacro della divinità - non era
estranea alla cultura napoletana, ma, lontana dalle raffinate e pregevoli realizzazioni della Roma
postridentina, aveva conservato il suo carattere di intima espressività empatica con il
trascendente, rinnovando il perenne dualismo tra paganesimo e cristianità, che ancora oggi
continua a perpetuarsi nello spirito della collettività popolare partenopea.
Da altare degli dei a reliquiario e cappella dei propri avi, l’impiego dell’edicola di origine
ellenica si è radicata nella tradizione mediterranea e, durante il VII secolo, a Napoli, si è fusa
con il movimento iconoclasta dell’Oriente cristiano, che da Bisanzio aveva importato la fiducia
nei miracoli pregati presso il tabernacolo del santo protettore3.
Segno materico di un idioma, nel cui etimo risiede il comune denominatore della sua diffusa
N
matrice greca, l’edicola votiva, dunque, sin dall’antichità
ha coinvolto gli spazi del sociale con un rito
intrinsecamente privato e ha instaurato forti connessioni
etiche con i luoghi urbani. Nel tempo, pur vivendo
evoluzioni e metamorfosi, ha conservato caratteri di
permanenza, nonostante le diverse specificità dei tópoi.
In molte regioni rurali della Grecia, per esempio, il lascito
dell’eredità storica e della civiltà classica ancora si
rinnova in una gestualità quotidiana importata dal mondo
romano e ricostruisce la consuetudine cerimoniale dei
lares compilates a protezione delle proprie case e degli
incroci stradali; è quanto accade oggi nelle impervie aree
interne di Creta, dove è frequente l’incontro con tempietti
e nicchie, giustapposti a sacralizzare la memoria degli avi
e la hestía, il focolare domestico.
Altrove le sue declinazioni si sono contaminate con
frammenti culturali diversi, che coesistono ed evocano la
tradizione locale. Scevra da superfetazioni ideologiche,
quasi come un simbolo alchemico, l’edicola, così,
coinvolge gli spazi delle città, trasforma la dimensione
privata in rappresentazione della collettività, unisce il
sacro al pagano e l’effimero alla struttura stabile, pone a
confronto maestranze qualificate, affermati artisti e
creatività estemporanea del quartiere.
A Napoli, in particolare, la valenza evocativa popolare
dell’edicola sacra, se solo verso la metà del Settecento,
grazie all’iniziativa di padre Rocco, è stata recuperata con
genialità per organizzare un’inedita rete infrastrutturale di
illuminazione, già nel XVI secolo si era diffusa come parte
integrante della scena urbana e, in piena epoca barocca,
si era intrecciata con le mutevoli geografie degli apparati
effimeri per gli allestimenti festivi, collocandosi in una più
complessa dimensione critica4.
E infatti nel Seicento che, nella conflittualità storica, alla
11
Imbrecciata San Francesco,
a Porta Capuana
(da R. D’AMBRA, Napoli Antica,
Cardone, Napoli 1889, tav. LX).
Napoli, edicola votiva a Cappella
Pontano in una foto degli anni
Settanta.
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Concorso dell’Associazione fra i
cultori di architettura in Napoli
per un Tabernacolo (1926).
I progetti di Galloppi, Grillo,
Basciano e Pane
(da Architettura e Arti Decorative,
1926-’27, vol. VI, p.87).
quale non si è sottratta la capitale partenopea del
viceregno, si consacra la magnificenza della festa come
strumento di propaganda tra ansia di legittimazione
politica e di assolutismo spirituale5. Nella sua pratica si
consuma la Retorica del secolo e, la festa, organizzata scrive Michele Rak - come una visualizzazione del corpus
sociale nelle sue componenti, nei suoi rapporti di forza,
nei suoi conflitti o alleanze storiche o momentanee, era
anche un gioco di simulazione del sociale. L’identità e
l’azione possibile del singolo gruppo sociale (…) erano
rigidamente predeterminate da un programma che non
prevedeva deroghe. Nessuno avrebbe dovuto violare lo
spazio assegnatogli 6. Un esplicito progetto comunicativo,
dunque, i cui schemi organizzativi avevano un diretto
riscontro sulla struttura della città e nelle sue precise
connessioni: da un lato, c’era la Napoli della
magnificenza, quella delle sontuose feste vicereali, dove
l’anima del Barocco trovava la sua più completa
realizzazione. Era il luogo dove il potere laico e quello
ecclesiastico celebravano una demagogica unione con il
popolo e, al tempo stesso, ne affermavano il controllo.
L’area prescelta si concentrava su un sistema di rigide ed
esplicite interrelazioni di percorsi rappresentativi che,
attraverso importanti arterie di collegamento, mettevano
in relazione i nuclei urbani di antica stratificazione con le
aree residenziali e di espansione, la città vicereale con
quella borghese. Possessi e Trionfi, Carnevali e
Quarantore, nel loro attraversamento gioiosamente
solenne, confluivano con moto processionale nelle
principali piazze laiche e religiose, coinvolgendo l’intera
collettività in una intensa giostra di temi simbolici ed
esplicite allegorie. Questo palcoscenico, composto da
un’articolata sequenza di spazi, aveva nell’asse urbano
costituito dal Mercatello, via Toledo e Largo di Palazzo il
suo nodo strategico e conclusivo. Qui, al pari di Roma, di
Versailles e di Parigi, con la festa si celebrava la
“sovranità della liturgia” e si stemperavano i controversi
legami tra Stato e Chiesa7.
Altrove, in una oscillante alternanza di sacro e profano, la
dimensione commemorativa religiosa, di contro, trovava il
suo spazio cerimoniale tra le segrete alcove dei vicoli e
consumava il rapporto tra il popolo e il suo santo
protettore nell’ortogonale tracciato greco-romano,
nell’intricato dedalo di stratificazioni storiche e negli
sfumati confini tra privato e pubblico8. Tra la complessità
sociale di questi brani urbani, fede cattolica e riti pagani
si mescolavano con intimità nella corale devozione
collettiva e il culto della traslazione del sangue di
San Gennaro, commemorato nella copiosa festa degli
“Inghirlandati”, che rievocava il mito della fecondità, ne
rappresentava l’esempio più significativo, così come
sottolineano le singolari connotazioni che gli allestimenti
andavano ad assumere nei confronti delle altre
celebrazioni sacre9. Se, infatti, le tre più importanti
manifestazioni in onore del patrono della città erano
enfatizzate da apparati effimeri progettati sempre da
prestigiosi architetti - basti solo ricordare quelli
commissionati a Muzio e Giovan Battista Nauclerio,
Ferdinando Sanfelice, Filippo Schor, Mario Gioffredo - per
la maggior parte delle feste devozionali popolari non
sempre si ricorreva all’opera di artefici così rinomati10.
Gli allestimenti, tuttavia, grazie all’altissimo numero di
chiese, cappelle, oratori, ospedali, concentrati nella fitta
trama del tessuto stradale antico, risultavano supportati
da quinte urbane assolutamente singolari, caratterizzate
da facciate che costituivano un sorprendente fondale
scenico, in perfetta aderenza con lo spirito partenopeo.
Una sorta di spazio cerimoniale, dunque, le cui
13
Napoli, Chiesa delle Anime del
Purgatorio.
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Santa Maria della Lettera (?)
vico Gradini San Matteo
DATA DI REALIZZAZIONE: XVIII secolo
COMMITTENZA: congrega di Santa Maria della Lettera (?)
SISTEMA ARCHITETTONICO: sospesa
ISCRIZIONI: in basso, su una piccola tabella marmorea: “FONDATA NEL 1884. RINNOVATA NEL GENNAIO 1923”.
Questa bellissima edicola votiva, una fra le rare strutture databili ai primi decenni del
Settecento e giunta praticamente integra sino ai giorni nostri senza alcuna superfetazione
successiva, è posta sulla facciata di un anonimo palazzo tardocinquecentesco in vico Gradini
San Matteo a Toledo, nell’area dei vichi in ogn’intorno nominati di San Matteo, toponimo col
quale nella Mappa Topografica di Napoli, pubblicata nel 1775, era indicata questa zona nel
cuore dei Quartieri Spagnoli. Il piccolo edificio sorge alle spalle della cappella di Santa Maria
della Lettera (anche nota con la dedicazione a San Carlo), uno dei due oratori di pertinenza
della Chiesa dei Santi Francesco e Matteo, edificata alla fine degli anni Ottanta del XVI
secolo.
E probabile quindi che i committenti della edicola votiva siano stati gli stessi arciconfratelli
proprietari dell’intera insula, nonostante una semplice targa marmorea in basso indichi invece
la sua fondazione in occasione dell’epidemia di colera che colpì la città nel 1884, e un
successivo rinnovo agli inizi del secolo scorso: Fondata nel 1884. Rinnovata nel gennaio 1923.
La semplice cornice marmorea dell’edicola, che in origine doveva ospitare l’immagine
dedicatoria di Santa Maria della Lettera o di San Carlo, è sorretta da una grande mensola
(non pertinente) e sovrastata da una trabeazione con intarsi policromi, caratterizzata da un
timpano curvilineo spezzato, ed arricchito da motivi floreali; due eleganti volute, anch’esse in
marmo arricchite da piccoli e delicati intarsi policromi, incorniciano tutta la struttura,
recentemente riordinata nell’ambito del recupero della facciata sulla quale è posta.
Nonostante la scomparsa dell’affresco, lo stato di conservazione è nel complesso molto
buono, se non si considerano una serie di piccole mancanze nei rivestimenti marmorei e la
rottura di un angolo della mensola.
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Santissima Trinità delle Monache (?)
vico Santissima Trinità delle Monache
DATA DI REALIZZAZIONE: XVIII secolo
COMMITTENZA: Monastero della SS. Trinità delle Monache (?)
SISTEMA ARCHITETTONICO: sospesa
L’edicola è posta sull’alto muro di cinta che costeggia parte dei giardini della vasta area
conventuale della Santissima Trinità delle Monache a valle del corso Vittorio Emanuele, lungo
la strada che nella settecentesca Mappa Topografica del Duca di Noja era indicata come via
per la quale si ascende al Monte, per trasferirsi al Castel S. Erasmo, ed alla Certosa di
S. Martino, che si dice le salite de’ sette dolori.
Questa elegante e poco nota edicola, databile all’ultimo quarto del Settecento, fu
verosimilmente commissionata dalle stesse religiose del grande complesso monastico, sorto
agli inizi del XVII secolo immediatamente a ridosso della murazione vicereale che si
inerpicava lungo le pendici della collina di San Martino, confondendosi progressivamente con
il possente banco tufaceo del forte di Sant’Elmo.
Il suo magnifico belvedere, ornato di fontane e sculture, occupava infatti la sommità del
massiccio bastione sovrastante la Porta di Medina, ed era ricordato dai contemporanei fra i
più belli della città.
Realizzata in pietra arenaria grigia sorrentina, finemente lavorata ad elementi floreali e
sormontata da un timpano triangolare, questa ricercata edicola si presenta oggi in uno stato
di profondo abbandono, parzialmente nascosta da una moderna ed antiestetica cancellata,
ma ancora perfettamente leggibile nelle sue eleganti forme settecentesche.
Oltre alla perdita di alcuni elementi strutturali e decorativi, risulta purtroppo scomparsa anche
l’immagine dedicatoria (raffigurante con ogni probabilità proprio la Santissima Trinità), mentre
leggere tracce della originaria pigmentazione policroma emergono in più punti dalla
superficie lapidea.
Il piccolo cancello a doppio battente posto a protezione dell’immagine centrale non è coevo,
ma frutto di un restauro eseguito probabilmente alla fine dell’Ottocento, quando il monastero
fu trasformato in Ospedale militare.
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51
1. Crocefisso
Vico S. Nicola da
Tolentino
1836
3. Madonna
dell’Assunta
Rampe Brancaccio
metà XIX secolo
5. San Giuseppe
Vico S. Caterina da Siena
XIX secolo
7. Sant’Anna con
Bambino
9. Madonna di
Lourdes
11. Madonna con
Bambino
13. Madonna con
Bambino
Via S. Caterina da Siena
1884 (?)
Vico S. Teresella degli
Spagnoli
XX secolo
Vico S. Spirito
XX secolo
Vico del Grottone
fine XIX secolo
15. Madonna del
Carmine e
dell’Assunta
Vico Supportico d’Astuti
1884
2. San Gerardo
Maiello
4. Madonna del
Rosario
6. Madonna
dell’Assunta
8. Madonna
dell’Assunta
10. Madonna con
Bambino
12. Madonna della
Libera
14. Sant’Anna con
Bambino
16. Madonna
dell’Assunta
Vico S. Maria Apparente
1947
Via Nicotera
Fine del XVIII, inizi del
XIX secolo
Vico Mondragone
1904
Vico S. Teresella degli
Spagnoli
XX secolo
Via Serra
fine XIX secolo
Vico S. Spirito
1884 (?)
Via Egiziaca a
Pizzofalcone
1894
Via Parisi
1895
52
53
17. Madonna con
Bambino
19. Sant’Anna con
Bambino
Via Egiziaca a
Pizzofalcone
XX secolo
Via Pallonetto a S. Lucia
XX secolo
18. Madonna con
Bambino
20. Immacolata
Concezione
Via Pallonetto a S. Lucia
1914
Piazzetta Rosario di
Palazzo
1836
21. Sant’Anna
Vico Tiratoio - Vico
S. Mattia
XX secolo
22. Sant’Anna
Vico Conte di Mola
1884 (?)
23. Madonna con
Bambino
25. Madonna con
Bambino
Salita Trinità degli
Spagnoli
1922
Piazzetta Trinità degli
Spagnoli
fine XVIII secolo
24. Madonna
dell’Assunta
26. San Gennaro
Largo Conte di Mola
1926
Vico Concordia
XX secolo
27. Crocefisso
Vico della Croce a Cariati
1836
28. Madonna
dell’Assunta
Vico Caricatoio
1836 (?)
29. Santa Maria
della Lettera (?)
31. Madonna con
Bambino
Vico Gradini S. Matteo
inizi XVIII secolo
Via Concordia
inizi XIX secolo
30. Sant’Anna
32. (senza dedicazione)
Vico Concordia
XX secolo
Vico S. Sepolcro
XX secolo