Indice - CLEAN edizioni
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Indice Copyright © 2007 CLEAN via Diodato Lioy 19, 80134 Napoli telefax 0815524419-5514309 www.cleanedizioni.it [email protected] 7 Tutti i diritti riservati E vietata ogni riproduzione ISBN 978-88-8497-006-0 Editing Anna Maria Cafiero Cosenza Grafica Costanzo Marciano in copertina Madonna delle Grazie, Strada dell'Anticaglia (foto di Elena Manzo) Prefazione Alfonso Gambardella 10 Le edicole sacre a Napoli. Architettura e simboli nella cultura del Mediterraneo Elena Manzo 16 Effigi private e devozione urbana: le edicole votive nell’area vesuviana Ornella Cirillo 27 Itinerari mediali quotidiani. La comunicazione che allunga la vita Anna Luigia De Simone 39 Pizzofalcone, Quartieri Spagnoli e Pignasecca Giuseppe Pignatelli 59 Porto Ilaria Girfatti 79 San Lorenzo ovest Paola Marchese 103 San Lorenzo est Iolanda Guida 125 Vergini Salvatore Farina 142 Bibliografia generale a cura di Iolanda Guida Prefazione 6 7 Alfonso Gambardella gli inizi del secondo cinquantennio del secolo scorso, appena diciottenne, lasciai Salerno - dove avevo vissuto dalla fine del secondo conflitto mondiale gli anni spensierati della gioventù - per trasferirmi a Napoli, città in cui avrei successivamente trascorso tutta la mia vita, prima come studente della Facoltà di Architettura, poi come professionista, percorrendo anche una lunga carriera universitaria. Da giovane immigrato scontai un lungo periodo di ambientamento in un contesto urbano, da tutti esaltato per le straordinarie bellezze ambientali e paesaggistiche, che ormai aveva superato il tragico periodo dei bombardamenti con la ricostruzione della maggior parte dei palazzi distrutti dalle bombe e dai lanciarazzi. Era, quello, un periodo emozionante per chi viveva nella città, poiché non si era ancora consolidata la distruttiva pratica della speculazione edilizia ed era appena iniziato l’assalto alle colline, così come i tanto deprecati interventi di trasformazione promossi da Achille Lauro, sindaco monarchico della città. Le mie prime esperienze di conoscenza di Napoli si consolidarono in due quartieri che, a prescindere dalla loro particolare bellezza urbanistica e ambientale, si distinguevano anche per le trasformazioni seguite all’adozione dei piani particolareggiati, promossi a partire dal 1926. Per un’operazione tanto delicata il Governo aveva invitato il commissario Gustavo Giovannoni, Accademico d’Italia, professore di Storia dell’architettura dell’Università di Roma La Sapienza, i cui progetti di ristrutturazione urbana si andavano completando proprio agli inizi degli anni Cinquanta, con la sistemazione del nuovo rione Carità e dei Guantai Nuovi. Ambedue i quartieri, in cui ho abitato, avevano identiche caratteristiche: confinavano con alcuni luoghi storici tra i più significativi: l’uno i Quartieri Spagnoli, l’altro il Pallonetto di Santa Lucia. Erano, quelli, gli anni in cui si dibattevano gli esiti del processo a Curzio Malaparte, autore de La Pelle, il libro che tanto aveva indignato la borghesia cittadina, che allora A Anticaglia (da R. D’AMBRA, Napoli Antica, Cardone, Napoli 1889, tav. LX). 8 era per lo più politicamente orientata a destra. Non capii a pieno il risentimento verso questo particolare personaggio della letteratura italiana, proprietario di una delle più straordinarie opere di architettura moderna, la Villa che a Capri affaccia sui Faraglioni e sulla punta della Campanella. Eccellente opera di Adalberto Libera e dello stesso scrittore, come sostiene la storiografia architettonica. Nei periodi in cui abitavo a Santa Maria Apparente, o al Vomero, da dove scendevo verso i Quartieri Spagnoli percorrendo i gradoni del Petraio, immortalati da Roberto Pane con stupende fotografie, che già nel lontano 1946 illustrarono quel capolavoro di moderna editoria, pubblicato per i tipi di Einaudi, Napoli Imprevista, maturai un diverso giudizio sull’opera del famoso giornalista. Infatti, durante l’attraversamento dei vicoli dei Quartieri Spagnoli per raggiungere via Toledo, spesso notai avvenimenti che idealmente mi ricongiungevano agli episodi raccontati da Malaparte con tanto realismo da indignare i cittadini napoletani. Ho avuto modo di assistere in una splendida mattina di primavera, guardando all’interno di un “basso”, abitazione posta a piano terra, a stretto contatto con i vicoli, al “Parto del Femminiello”, e alla “Partenza delle Vajasse”, popolane vestite con abiti sfarzosi e vaporosi, che a bordo di una grande auto cabriolet, addobbata di ghirlande, protette da un “femminiello”, nella tradizione popolare una sorta di eunuco, salutate da una folla festante, si recavano a omaggiare la Madonna nera, simbolo dell’abbazia di Montevergine in provincia di Avellino. Che dire poi della “riffa”, una lotteria popolare o del negozio della “Rammara”, la venditrice di casalinghi di rame. Una napoletanità tanto criticata da pseudo intellettuali, che trasferiva ai fruitori quella tradizione venuta da molto lontano, dal mondo greco-romano, da quei popoli insediatisi in città sin dalle origini. Quello che più mi impressionò, tuttavia, in questi percorsi urbani successivamente estesi a tutto il centro storico e alle periferie, fu la grandissima quantità di icone religiose, ubicate nei vicoli più caratteristici, agli angoli di palazzi semplici o sfarzosi, configurate spesso alla maniera di piccoli templi classici. E una antica tradizione religiosa, ascrivibile ai primi anni del Cristianesimo, ai tempi della Stefania e di Santa Restituta, nella quale si coniugheranno, insieme il mondo orientale e quello occidentale, la tradizione basiliana e quella agostiniana, artefici, fino al mondo barocco, dell’antitesi tra classicismo e anticlassicismo, connotazione del mondo cristiano dell’Italia meridionale. Sarà nel XVII secolo, con la paura delle grandi eruzioni del Vesuvio e con gli appelli a San Gennaro, per chiedere la protezione dalle grandi epidemie come la peste o per salvaguardare la vita dei marinai durante i procellosi ritorni dalle giornate o dalle notti di tempesta, che la tradizione delle icone votive si consoliderà. Basti pensare alla Chiesa del Carmine al Mercato nella cui sagrestia, a partire dal Seicento, vennero esposti numerosissimi esempi di icone, simbolo di un costume ormai radicato nel luogo. Nei secoli successivi, questa tradizione popolare si è rinnovata continuamente e il numero di edicole votive ha raggiunto valori impensati. Eppure bisogna riflettere su questa caratteristica, che non è solo napoletana ma si estende a molte città del Mezzogiorno d’Italia, forse senza quella intensità di episodi che connotano la nostra città, ma con la stessa voglia popolare di essere protetti dalle divinità locali. Oggi, nel momento in cui una apparente laicità sembra assumere un valore di modernità, questa tradizione, squisitamente popolare, non è stata abbandonata. Chi ripercorre la nuova estesissima città di Napoli, la città delle periferie che occupano una superficie pari all’ottanta per cento dell’estensione urbana, si imbatte in un numero ampio di edicole sorte sui muri della nuova edilizia. In questi quartieri, alcuni di particolare qualità architettonica - basti pensare a quelli progettati da Michele Capobianco a Miano, o quello ideato da Franco Purini a Mariglianella - le edicole non mancano, anche se in questi luoghi, purtroppo, è inutile nasconderlo, governa l’antistato - le scritte e le minacce alle Forze dell’Ordine ne sono testimonianza - ed è la volontà della camorra a perpetuare questa tradizione. Quando una delle mie allieve, studiosa profonda e multiforme, mi esternò il suo desiderio di dare corso a uno studio sul tema delle icone votive, naturalmente la incoraggiai. Per sviluppare una ricerca tanto estesa Elena Manzo, professore di Storia dell’architettura della SUN, costituì un gruppo di lavoro cui hanno aderito Ornella Cirillo, ricercatrice della SUN, esperta di Medioevo, con un saggio introduttivo che segue nel volume quello della coordinatrice e precede il contributo di Anna Luigia De Simone, dottore di ricerca, che nel suo lavoro analizza le ragioni critiche a giustificazione di un’operazione nello stesso tempo suggestiva, ma problematica. Un gruppo di dottori e dottorandi di ricerca del settore disciplinare della Storia dell’architettura, formatisi presso la Facoltà di Architettura “Luigi Vanvitelli” di Aversa, illustra l’ampio fenomeno, attraverso immagini e schede, che documentano un fondamentale bagaglio di conoscenze. Rivolgo quindi un particolare apprezzamento a questo studio, che vede la luce nel contesto culturale di una giovane Facoltà di Architettura, impegnata a fornire contributi di ricerca di considerevole valore, anche sociale. 9 10 Le edicole sacre a Napoli. Architettura e simboli nella cultura del Mediterraneo Elena Manzo ella seconda metà del Settecento, il nucleo vitale della città di Napoli, quel regolare dedalo di vicoli, che intrecciano gli assi portanti dello sviluppo urbano di antica fondazione, era ancora immerso nelle più profonde tenebre e le guardie - scrive Ludovico de La Ville surYllon - che giravano per le strade con le lanterne e le molte torce accese, portate dai servi, che accompagnavano i loro padroni a piedi e nelle vetture, non bastavano a garantire la sicurezza pubblica 1. A nulla valsero le imposizioni regie di illuminare palazzi ed edifici pubblici con fanali ad olio, poiché presto vennero distrutti da atti vandalici. In quegli stessi anni, trasformando la figurazione iconica del sacro, recuperando il valore simbolico del pagano e avvalendosi del potere viatico delle architetture effimere, padre Rocco, l’epico e bizzarro missionario vissuto durante i regni di Carlo e Ferdinando IV di Borbone, riqualificò l’ubiquità popolare del tabernacolo votivo, per organizzare una fitta rete di punti luminosi all’interno dell’ordito viario, che partiva da Spaccanapoli. Al tempo stesso, realizzò così un inedito sistema di arredo urbano. Trecento copie di un quadro dedicato a Santa Maria Scala Coeli e cento grosse croci di legno colla figura di Cristo dipintavi sopra furono posizionate in altrettanti luoghi strategici della scacchiera stradale, nei crocevia, nella scantonatura diagonale degli angoli dei palazzi, nelle lunghe arterie urbane2. L’aedicula sacra - dal latino aedes, cioè “casa”, “tempio” e simulacro della divinità - non era estranea alla cultura napoletana, ma, lontana dalle raffinate e pregevoli realizzazioni della Roma postridentina, aveva conservato il suo carattere di intima espressività empatica con il trascendente, rinnovando il perenne dualismo tra paganesimo e cristianità, che ancora oggi continua a perpetuarsi nello spirito della collettività popolare partenopea. Da altare degli dei a reliquiario e cappella dei propri avi, l’impiego dell’edicola di origine ellenica si è radicata nella tradizione mediterranea e, durante il VII secolo, a Napoli, si è fusa con il movimento iconoclasta dell’Oriente cristiano, che da Bisanzio aveva importato la fiducia nei miracoli pregati presso il tabernacolo del santo protettore3. Segno materico di un idioma, nel cui etimo risiede il comune denominatore della sua diffusa N matrice greca, l’edicola votiva, dunque, sin dall’antichità ha coinvolto gli spazi del sociale con un rito intrinsecamente privato e ha instaurato forti connessioni etiche con i luoghi urbani. Nel tempo, pur vivendo evoluzioni e metamorfosi, ha conservato caratteri di permanenza, nonostante le diverse specificità dei tópoi. In molte regioni rurali della Grecia, per esempio, il lascito dell’eredità storica e della civiltà classica ancora si rinnova in una gestualità quotidiana importata dal mondo romano e ricostruisce la consuetudine cerimoniale dei lares compilates a protezione delle proprie case e degli incroci stradali; è quanto accade oggi nelle impervie aree interne di Creta, dove è frequente l’incontro con tempietti e nicchie, giustapposti a sacralizzare la memoria degli avi e la hestía, il focolare domestico. Altrove le sue declinazioni si sono contaminate con frammenti culturali diversi, che coesistono ed evocano la tradizione locale. Scevra da superfetazioni ideologiche, quasi come un simbolo alchemico, l’edicola, così, coinvolge gli spazi delle città, trasforma la dimensione privata in rappresentazione della collettività, unisce il sacro al pagano e l’effimero alla struttura stabile, pone a confronto maestranze qualificate, affermati artisti e creatività estemporanea del quartiere. A Napoli, in particolare, la valenza evocativa popolare dell’edicola sacra, se solo verso la metà del Settecento, grazie all’iniziativa di padre Rocco, è stata recuperata con genialità per organizzare un’inedita rete infrastrutturale di illuminazione, già nel XVI secolo si era diffusa come parte integrante della scena urbana e, in piena epoca barocca, si era intrecciata con le mutevoli geografie degli apparati effimeri per gli allestimenti festivi, collocandosi in una più complessa dimensione critica4. E infatti nel Seicento che, nella conflittualità storica, alla 11 Imbrecciata San Francesco, a Porta Capuana (da R. D’AMBRA, Napoli Antica, Cardone, Napoli 1889, tav. LX). Napoli, edicola votiva a Cappella Pontano in una foto degli anni Settanta. 12 Concorso dell’Associazione fra i cultori di architettura in Napoli per un Tabernacolo (1926). I progetti di Galloppi, Grillo, Basciano e Pane (da Architettura e Arti Decorative, 1926-’27, vol. VI, p.87). quale non si è sottratta la capitale partenopea del viceregno, si consacra la magnificenza della festa come strumento di propaganda tra ansia di legittimazione politica e di assolutismo spirituale5. Nella sua pratica si consuma la Retorica del secolo e, la festa, organizzata scrive Michele Rak - come una visualizzazione del corpus sociale nelle sue componenti, nei suoi rapporti di forza, nei suoi conflitti o alleanze storiche o momentanee, era anche un gioco di simulazione del sociale. L’identità e l’azione possibile del singolo gruppo sociale (…) erano rigidamente predeterminate da un programma che non prevedeva deroghe. Nessuno avrebbe dovuto violare lo spazio assegnatogli 6. Un esplicito progetto comunicativo, dunque, i cui schemi organizzativi avevano un diretto riscontro sulla struttura della città e nelle sue precise connessioni: da un lato, c’era la Napoli della magnificenza, quella delle sontuose feste vicereali, dove l’anima del Barocco trovava la sua più completa realizzazione. Era il luogo dove il potere laico e quello ecclesiastico celebravano una demagogica unione con il popolo e, al tempo stesso, ne affermavano il controllo. L’area prescelta si concentrava su un sistema di rigide ed esplicite interrelazioni di percorsi rappresentativi che, attraverso importanti arterie di collegamento, mettevano in relazione i nuclei urbani di antica stratificazione con le aree residenziali e di espansione, la città vicereale con quella borghese. Possessi e Trionfi, Carnevali e Quarantore, nel loro attraversamento gioiosamente solenne, confluivano con moto processionale nelle principali piazze laiche e religiose, coinvolgendo l’intera collettività in una intensa giostra di temi simbolici ed esplicite allegorie. Questo palcoscenico, composto da un’articolata sequenza di spazi, aveva nell’asse urbano costituito dal Mercatello, via Toledo e Largo di Palazzo il suo nodo strategico e conclusivo. Qui, al pari di Roma, di Versailles e di Parigi, con la festa si celebrava la “sovranità della liturgia” e si stemperavano i controversi legami tra Stato e Chiesa7. Altrove, in una oscillante alternanza di sacro e profano, la dimensione commemorativa religiosa, di contro, trovava il suo spazio cerimoniale tra le segrete alcove dei vicoli e consumava il rapporto tra il popolo e il suo santo protettore nell’ortogonale tracciato greco-romano, nell’intricato dedalo di stratificazioni storiche e negli sfumati confini tra privato e pubblico8. Tra la complessità sociale di questi brani urbani, fede cattolica e riti pagani si mescolavano con intimità nella corale devozione collettiva e il culto della traslazione del sangue di San Gennaro, commemorato nella copiosa festa degli “Inghirlandati”, che rievocava il mito della fecondità, ne rappresentava l’esempio più significativo, così come sottolineano le singolari connotazioni che gli allestimenti andavano ad assumere nei confronti delle altre celebrazioni sacre9. Se, infatti, le tre più importanti manifestazioni in onore del patrono della città erano enfatizzate da apparati effimeri progettati sempre da prestigiosi architetti - basti solo ricordare quelli commissionati a Muzio e Giovan Battista Nauclerio, Ferdinando Sanfelice, Filippo Schor, Mario Gioffredo - per la maggior parte delle feste devozionali popolari non sempre si ricorreva all’opera di artefici così rinomati10. Gli allestimenti, tuttavia, grazie all’altissimo numero di chiese, cappelle, oratori, ospedali, concentrati nella fitta trama del tessuto stradale antico, risultavano supportati da quinte urbane assolutamente singolari, caratterizzate da facciate che costituivano un sorprendente fondale scenico, in perfetta aderenza con lo spirito partenopeo. Una sorta di spazio cerimoniale, dunque, le cui 13 Napoli, Chiesa delle Anime del Purgatorio. 46 Santa Maria della Lettera (?) vico Gradini San Matteo DATA DI REALIZZAZIONE: XVIII secolo COMMITTENZA: congrega di Santa Maria della Lettera (?) SISTEMA ARCHITETTONICO: sospesa ISCRIZIONI: in basso, su una piccola tabella marmorea: “FONDATA NEL 1884. RINNOVATA NEL GENNAIO 1923”. Questa bellissima edicola votiva, una fra le rare strutture databili ai primi decenni del Settecento e giunta praticamente integra sino ai giorni nostri senza alcuna superfetazione successiva, è posta sulla facciata di un anonimo palazzo tardocinquecentesco in vico Gradini San Matteo a Toledo, nell’area dei vichi in ogn’intorno nominati di San Matteo, toponimo col quale nella Mappa Topografica di Napoli, pubblicata nel 1775, era indicata questa zona nel cuore dei Quartieri Spagnoli. Il piccolo edificio sorge alle spalle della cappella di Santa Maria della Lettera (anche nota con la dedicazione a San Carlo), uno dei due oratori di pertinenza della Chiesa dei Santi Francesco e Matteo, edificata alla fine degli anni Ottanta del XVI secolo. E probabile quindi che i committenti della edicola votiva siano stati gli stessi arciconfratelli proprietari dell’intera insula, nonostante una semplice targa marmorea in basso indichi invece la sua fondazione in occasione dell’epidemia di colera che colpì la città nel 1884, e un successivo rinnovo agli inizi del secolo scorso: Fondata nel 1884. Rinnovata nel gennaio 1923. La semplice cornice marmorea dell’edicola, che in origine doveva ospitare l’immagine dedicatoria di Santa Maria della Lettera o di San Carlo, è sorretta da una grande mensola (non pertinente) e sovrastata da una trabeazione con intarsi policromi, caratterizzata da un timpano curvilineo spezzato, ed arricchito da motivi floreali; due eleganti volute, anch’esse in marmo arricchite da piccoli e delicati intarsi policromi, incorniciano tutta la struttura, recentemente riordinata nell’ambito del recupero della facciata sulla quale è posta. Nonostante la scomparsa dell’affresco, lo stato di conservazione è nel complesso molto buono, se non si considerano una serie di piccole mancanze nei rivestimenti marmorei e la rottura di un angolo della mensola. 47 48 Santissima Trinità delle Monache (?) vico Santissima Trinità delle Monache DATA DI REALIZZAZIONE: XVIII secolo COMMITTENZA: Monastero della SS. Trinità delle Monache (?) SISTEMA ARCHITETTONICO: sospesa L’edicola è posta sull’alto muro di cinta che costeggia parte dei giardini della vasta area conventuale della Santissima Trinità delle Monache a valle del corso Vittorio Emanuele, lungo la strada che nella settecentesca Mappa Topografica del Duca di Noja era indicata come via per la quale si ascende al Monte, per trasferirsi al Castel S. Erasmo, ed alla Certosa di S. Martino, che si dice le salite de’ sette dolori. Questa elegante e poco nota edicola, databile all’ultimo quarto del Settecento, fu verosimilmente commissionata dalle stesse religiose del grande complesso monastico, sorto agli inizi del XVII secolo immediatamente a ridosso della murazione vicereale che si inerpicava lungo le pendici della collina di San Martino, confondendosi progressivamente con il possente banco tufaceo del forte di Sant’Elmo. Il suo magnifico belvedere, ornato di fontane e sculture, occupava infatti la sommità del massiccio bastione sovrastante la Porta di Medina, ed era ricordato dai contemporanei fra i più belli della città. Realizzata in pietra arenaria grigia sorrentina, finemente lavorata ad elementi floreali e sormontata da un timpano triangolare, questa ricercata edicola si presenta oggi in uno stato di profondo abbandono, parzialmente nascosta da una moderna ed antiestetica cancellata, ma ancora perfettamente leggibile nelle sue eleganti forme settecentesche. Oltre alla perdita di alcuni elementi strutturali e decorativi, risulta purtroppo scomparsa anche l’immagine dedicatoria (raffigurante con ogni probabilità proprio la Santissima Trinità), mentre leggere tracce della originaria pigmentazione policroma emergono in più punti dalla superficie lapidea. Il piccolo cancello a doppio battente posto a protezione dell’immagine centrale non è coevo, ma frutto di un restauro eseguito probabilmente alla fine dell’Ottocento, quando il monastero fu trasformato in Ospedale militare. 49 50 51 1. Crocefisso Vico S. Nicola da Tolentino 1836 3. Madonna dell’Assunta Rampe Brancaccio metà XIX secolo 5. San Giuseppe Vico S. Caterina da Siena XIX secolo 7. Sant’Anna con Bambino 9. Madonna di Lourdes 11. Madonna con Bambino 13. Madonna con Bambino Via S. Caterina da Siena 1884 (?) Vico S. Teresella degli Spagnoli XX secolo Vico S. Spirito XX secolo Vico del Grottone fine XIX secolo 15. Madonna del Carmine e dell’Assunta Vico Supportico d’Astuti 1884 2. San Gerardo Maiello 4. Madonna del Rosario 6. Madonna dell’Assunta 8. Madonna dell’Assunta 10. Madonna con Bambino 12. Madonna della Libera 14. Sant’Anna con Bambino 16. Madonna dell’Assunta Vico S. Maria Apparente 1947 Via Nicotera Fine del XVIII, inizi del XIX secolo Vico Mondragone 1904 Vico S. Teresella degli Spagnoli XX secolo Via Serra fine XIX secolo Vico S. Spirito 1884 (?) Via Egiziaca a Pizzofalcone 1894 Via Parisi 1895 52 53 17. Madonna con Bambino 19. Sant’Anna con Bambino Via Egiziaca a Pizzofalcone XX secolo Via Pallonetto a S. Lucia XX secolo 18. Madonna con Bambino 20. Immacolata Concezione Via Pallonetto a S. Lucia 1914 Piazzetta Rosario di Palazzo 1836 21. Sant’Anna Vico Tiratoio - Vico S. Mattia XX secolo 22. Sant’Anna Vico Conte di Mola 1884 (?) 23. Madonna con Bambino 25. Madonna con Bambino Salita Trinità degli Spagnoli 1922 Piazzetta Trinità degli Spagnoli fine XVIII secolo 24. Madonna dell’Assunta 26. San Gennaro Largo Conte di Mola 1926 Vico Concordia XX secolo 27. Crocefisso Vico della Croce a Cariati 1836 28. Madonna dell’Assunta Vico Caricatoio 1836 (?) 29. Santa Maria della Lettera (?) 31. Madonna con Bambino Vico Gradini S. Matteo inizi XVIII secolo Via Concordia inizi XIX secolo 30. Sant’Anna 32. (senza dedicazione) Vico Concordia XX secolo Vico S. Sepolcro XX secolo