elementi di gestualita¡ popolare: il teatro di santa maria del monte

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elementi di gestualita¡ popolare: il teatro di santa maria del monte
cultura
e storia
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ELEMENTI DI GESTUALITA
POPOLARE: IL TEATRO
DI SANTA MARIA
DEL MONTE
i fronte alle statue delle cappelle del
Sacro Monte di Varese l'occhio dell'osservatore eÁ attratto in particolare dalla
presenza di statue caratterizzate da gozzi abnormi, deformitaÁ ossee, gesti osceni. Le figurazioni
nel loro apparire hanno il potere di evocare
``quelle ridicole mostruositaÁ, quelle difformi
formositaÁ e formose difformitaÁ'', contro le quali, quasi cinquecento anni prima, si scagliava la
penna censoria di Bernardo di Clairvaux, nella
nota polemica contro Cluny e il lusso imperante
nella grande abbazia che, mostrando statue e
arredi sempre piuÁ elaborati e lussuosi, distoglieva a suo dire l'attenzione dei monaci dalla preghiera 1.
Al Sacro Monte di Varese l'immagine dell'uomo si manifesta con simboli dal forte impatto visivo, capaci di spaventare e disgustare, ammonire e redimere le folle di pellegrini, che nel
loro `pellegrinaggio domestico', surrogato di un
impossibile viaggio in Terrasanta, ricercavano la
purificazione nella messa in scena del peccato.
Bibbia di poveri e di viandanti, la sacra rappresentazione di Varese tocca il culmine nella scena, ricchissima di pathos, della VIII Cappella
della Coronazione di spine e raggiunge l'apice
nel gesto blasfemo dell'uomo che, alzando la
mano sull'uomo Cristo, lo colpisce nella sua
umanitaÁ.
Il gesto irriverente e derisorio dell'uomo che
pone la corona di spine sul capo del Cristo eÁ
preceduto ed esaltato dalla presenza di una serie di particolari significativi che possono essere
letti in chiave nuova per ottenere informazioni
sulla societaÁ che ha prodotto l'opera monumentale del Sacro Monte. La sacralitaÁ del luogo
appare improvvisamente infranta dall'irrompere sulla scena di personaggi deformi e dai gesti
scomposti che, aggredendo il Cristo, danno luogo a una sorta di controcanto osceno, rispetto
all'atmosfera angelica che si respira nelle cappelle dei Misteri gaudiosi 2. Domina su tutta la
scena un'impressione di deformitaÁ e scompostezza, assente nelle cappelle precedenti e in
quelle successive. Mostrando gli effetti devastanti del Male sull'uomo, eÁ come se gli artisti
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Autentiche espressioni di teatro sacro
popolare destinato a colpire visivamente
ed emotivamente pellegrini e devoti
che percorrevano la sacra via dei Misteri,
alcune cappelle del Sacro Monte
di Varese ospitano un certo numero
di personaggi deformi e sgradevoli in cui
s'incarnano le categorie del `grottesco'
e del `mostruoso' e prende forma una
gestualitaÁ della quale si rintracciano qui
origini, significati e diffusione.
Battista Saiu
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A pagina 57:
Particolare della X Cappella, Crocifissione.
A fronte e in questa pagina:
Particolari della VIII Cappella, Coronazione di spine.
delle statue volessero ammonire il fedele delle
conseguenze nefaste dell'opposizione a Dio attraverso il peccato 3.
Se arti disarmonici, sproporzionati e abnormi
rappresentano da sempre, nell'immaginario collettivo, un indizio quasi sicuro di `deformitaÁ'
interiore, con il conseguente allontanamento
dalla comunitaÁ, in questo caso il tratto grottesco assume un chiaro scopo educativo. Fin dall'antichitaÁ la ricerca del bello, sopratutto nella
statuaria, coincideva con la ricerca della proporzione, che corrispondeva a una sorta di rappresentazione della grazia divina. La rottura
della perfezione eÁ rottura dell'armonia tra
Alessandro Barbero - Chiara Frugoni, Medioevo. Storia
di voci, racconto di immagini, Roma 1999, p. 163: ``Nei
chiostri, sotto agli occhi dei monaci, intenti alla meditazione, cosa significano quelle ridicole mostruositaÁ, quelle
deformi formositaÁ e formose difformitaÁ? Quelle sordide
scimmie? Quei feroci leoni, quei mostruosi centauri.
Quegli esseri semiumani, quelle tigri maculate, quei
guerrieri in lotta, quei cacciatori che soffiano il corno?
Puoi vedere molti corpi in una sola testa e molte teste
in un solo corpo, quadrupedi con la coda di serpente e
pesci con la testa di quadrupede, e qui un animale che
davanti pare un cavallo e dietro un caprone, e laÁ un
equino con le corna. C'eÁ una tale infinita varietaÁ di forme
diverse e strabilianti che ormai eÁ piuÁ piacevole per il
monaco leggere i marmi che non i manoscritti, e passare
l'intero giorno ad ammirare le opere dell'uomo anzicheÂ
meditare sulle leggi di Dio. Dio mio! Se non vi vergognate
per queste sciocchezze, perche non vi vergognate almeno per lo sperpero di denaro?''. Questo gusto degli elementi fantastici pare che, in qualche modo, perduri attraverso i secoli, ritornando, quasi immutato, in un contesto
diverso all'interno dei Sacri Monti. Se a Cluny le immagini fantastiche distraggono i monaci, in Santa Maria del
Monte hanno invece il ruolo specifico di ammonire contro
gli effetti del peccato. In entrambi i casi, la costante eÁ la
potente forza simbolica delle immagini, che danno corpo
all'immaginario confuso di mostruositaÁ e inquietudini che
cercano di definire l'inafferrabile volto del Male.
2
Silvano Colombo, In giro per Varese, Varese 1981, p.
129: ``Il progetto tra i piuÁ nobili e grandiosi dei Sacri Monti
lombardo-piemontesi, fu steso da Giuseppe Bernasconi,
detto il Mancino, architetto varesino giaÁ piuÁ volte menzionato per sue opere nel borgo. I lavori ebbero inizio nel
1604 predisponendo gli spiazzi sui quali erigere le Cappelle ed allestendo lo stradone da usarsi per trasportare
il materiale edilizio al sito richiesto''. Il complesso monumentale di Santa Maria del Monte comprende quindici
cappelle che illustrano le quindici stazioni dei Misteri del
Rosario: Gaudiosi, Dolorosi e Gloriosi. Ogni gruppo di
cinque eÁ scandito da un arco o porta (Porta del Rosario,
Arco di San Carlo e Arco di Sant'Ambrogio il terzo), che
introduce via via ai Misteri successivi, riproducendo la
scansione delle poste del Rosario. Una comoda strada
ascende verso la cima, collegando tutte le cappelle e
consentendo una salita agevole alle processioni degli
oranti verso il santuario che conclude con l'Incoronazione della Vergine il quindicesimo Mistero.
3
Luigi Zanzi, Fonti nuove per la storia della politica monumentale di Federico Borromeo al Sacro Monte sopra
Varese, in Il Sacro Monte sopra Varese, Milano 1981, pp.
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uomo e divinitaÁ, da cui scaturisce il concetto di
brutto 4.
Quale arma migliore, infatti, per allontanare
il pericolo di una `fascinazione', se non quella
di rappresentare il Male in corpi deformi? La
presenza di gozzi, bitorzoli, escrescenze, nasi
pronunciati e adunchi, dita ritorte in forma di
artigli, muscoli ipertrofici e nodosi, occhi vitrei
accecati e orbati, bocche aperte e lingue mostrate in segno di scherno, ci coinvolge in un'at-
257 e sgg.; Silvano Colombo, in Carissima Varese..., Varese 1998, p. 120 riporta: ``Quando s'avraÁ da fare una
Cappella, si formi il dissegno, et non si ponghi mano
all'opera se prima non saraÁ riconosciuto il dissegno dalli
Deputati, et sottoscritto Prefetto generale delle fabbriche
[...] S'osservi, che sempre le pitture sopra il muro habbiano corrispondenza et alcuna proporzione di grandezza et
significato con le figure di rilievo [cioeÁ le statue]. Le figure
di rilievo siano di grandezza d'un terzo piuÁ del naturale, di
buon dissegno, ben cotte et giudiciosamente colorite [...]
Avanti che si facciano le figure, si stabilisca il dissegno
dal Prefetto delle fabbriche, il quale haueraÁ cura di farli
vedere aÁ noi, oÁ successori nostri Arcivescovi, accioÁ piacendo, lo possi formare, e poi se ne facciano li modelli
piccoli, perche non si faccia errore nell'eseguire''. Come
osserva lo studioso: ``Conferma di un grosso controllo dal
centro, a cura cioeÁ del medesimo arcivescovo e degli
uffici di Curia''. Gli artisti, percioÁ, vero prolungamento
del braccio della Curia milanese, eseguivano le loro opere su specifica richiesta dei committenti.
4
Gli eroi sono sempre belli e buoni perche partecipano
della natura divina: sovente sono frutto dell'unione di un
dio o di una dea con un uomo o una donna. La stessa
figura del re deve essere bella e certamente fisicamente
intatta. Afferma Germana Gandino, Il vocabolario politico
e sociale di Liutprando di Cremona, Roma 1995, p. 180,
nota 37: ``F. Tommasi, La decalvazione dei tiranni, `Studi
medievali', s. 3, 21, 1980, pp. 797-814, ``A Bisanzio il
taglio del naso (rhinokopia) e della lingua (glossotomia),
era ritenuto deterrente assai utile e definitivo per guarire
la `malattia della porpora', poiche l'integritaÁ fisica del corpo era un requisito essenziale per gli aspiranti al trono''.
Nicola Abbagnano, Dizionario di Filosofia, Torino 1993, p.
99: ``Si possono distinguere cinque concetti fondamentali
del Bello, difesi e illustrati sia dentro che fuori l'estetica: 1ë
il B. come manifestazione del bene; 2ë il B. come manife-
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A fronte:
Particolari della VII Cappella, Flagellazione.
In questa pagina:
Particolari della IX Cappella, Andata al Calvario
e della X Cappella, Crocifissione.
Alle pagine seguenti:
Particolari della V Cappella, Disputa con i dottori.
mosfera angosciosa e cupa, quasi a riflettere lo
stato d'animo del fedele attratto dalle tentazioni
del peccato 5.
Fra le statue del Sacro Monte di Varese, inveisce contro il Cristo un personaggio estremamente curioso che ostende il pugno con il pollice frapposto tra l'indice e il medio, nel gesto
ingiurioso della fica 6. Si tratta di un'espressione
gestuale dispregiativa 7, attestata giaÁ nell'antica
Roma e ampiamente nota nel sagace mondo
toscano, in particolare a Pistoia, dove i cittadini
avevano eretto ``nella loro rocca di Carmignano,
presa nel 1228 dai fiorentini, e disfatta, una
torre alta 70 braccia e ivi su due braccia di
marmo che faceva con le loro mani due fiche
a Firenze'', secondo quanto ci narra Giovanni
Villani nelle Cronache (VI, 5), riportato da Tommaso Casini nel commento alla Divina Commedia di Dante. Il gesto spavaldo, volgare e osceno 8 di fare le fiche contro qualcuno veniva sanzionato nello statuto di Prato con la condanna
di dover pagare ``dieci lire per volta; se no frustato'' 9. Anche in Sardegna eÁ attestato l'uso di
far le fiche. Nel Codice di Sorres del XV secolo si
parla di un prete che faceva le fiche all'indirizzo
stazione del vero; 3ë il B. come simmetria; 4ë il B. come
perfezione sensibile; 5ë il B. come perfezione espressiva''.
5
Francesca Ricardi, Appunti per un'analisi iconografica
ed iconologica dei gruppi scultorei del Sacro Monte di
Varese, in Luciano Vaccaro - Francesca Ricardi (a cura
di), Sacri Monti. Devozione, arte e cultura della Controriforma, Milano 1992, p. 302: ``Gli esiti iconografici ed
iconologici delle raffigurazioni scultoree dei Sacri Monti
sono inoltre da studiarsi a prescindere dalle singole dedicazioni, seguendo alcuni filoni di ricerca prioritari per la
definizione del genere `Sacro Monte'. Essi a mio avviso
possono essere: 1. il rapporto con il teatro; 2. l'impiego
delle gestualitaÁ; 3. la proliferazione dei personaggi e la
presenza di personaggi accessori; 4. il riutilizzo di iconografie tardo-medioevali tradizionali e l'impiego di elementi folklorici; 5. la presenza di elementi iconografici caratterizzanti con funzione antisemitica e anti-islamica''.
6
Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, XXV, 13: ``Al fine delle sue parole il ladro / le mani alzoÁ con
ambedue le fiche, / gridando: Togli, Dio, ch'a te le squadro''. NiccoloÁ TommaseÂo, Novissimo vocabolario della
lingua italiana, Milano 1891, p. 393: ``Fica, quell'atto
che colle mani si fa in dispregio altrui, messo il dito grosso tra l'indice e il medio''. Giorgio De Rienzo, (commento
a) La Divina Commedia, in ``Famiglia Cristiana'', 1990, p.
219: ``Per `fiche' si intende un atto oltraggioso e villano: le
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braccia protese in alto, i pugni chiusi ed il pollice sporgente tra l'indice e il medio''.
7
Nel mondo orientale, in India, ancora oggi vengono
comunemente usati come amuleti piccoli avambracci in
avorio, corallo o argento, terminanti con la mano nel gesto della fica. In Algeria le fiche sono dette el zeb el
hacion, in Tunisia el zeb el zabour e el zeb el taboun,
in Marocco. Anche Umbero Eco nel suo recente romanzo Baudolino (Milano 2000, p. 481), parla di fiche: ``facendo ai romei dei gesti osceni, come mostrare le fiche o
battere la mano sinistra sul braccio destro''.
8
Tommaso Casini, (commento a) La Divina Commedia,
Firenze 1892, p. 186, nota 1: ``Vanni Fucci, per dare piuÁ
compiuto sfogo a quella passione rabbiosa che gli aveva
posto in bocca la predizione rivolta a Dante con iraconde
parole (Inferno, XXIV, 133-151), fa seguire al suo discorso un atto empio di irriverenza verso Dio, che lo aveva
colpito con severa giustizia. `Le mani alzoÁ con ambedue
le fiche', levoÁ le mani al cielo facendo con esse le fiche,
che eÁ atto derisorio [...] e volger cosõÁ la mano verso
alcuno''.
9
Natalino Sapegno (a cura di), in La Divina Commedia,
Firenze 1955, p. 280, nota 2: ``Le fiche: gesto osceno di
scherno, che si faceva tendendo il pugno chiuso, col
pollice fra l'indice e il medio. `Ficas fecerit [...] versus
caelum vel versus figuram Dei' ''.
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di un certo Gayni 10. Ma l'uso doveva essere
molto diffuso, tanto che il ``Sinodo di Ampurias
del 1695, condanna l'uso dei brevi, chiamati
pungas. CosõÁ ne parla M. Azara contro il malocchio. [Le madri] assicurano tra le fasce al neonato una punga. PerlopiuÁ si tratta di una manina d'argento o d'osso che fa le fiche'' 11.
Al Sacro Monte la presenza della gestualitaÁ
delle dita, che si impone su tutta la scena, ritorna prepotentemente nella rappresentazione del
confronto tra GesuÁ e i dottori nel tempio. Anche
in questo caso, l'enumerazione degli argomenti
esposti assume una possanza straordinaria grazie alla molteplicitaÁ di sfumature che il gesto
puoÁ offrirci: contestazione, nella figura ostile
del vecchio dottore del tempio che, con la bocca spalancata ed enumerando con le dita, urla al
Cristo gli errori che gli vengono attribuiti; neutralitaÁ, nel gesto di resa dell'uomo che allontanando da se e posando per terra il libro ai suoi
10
Max Leopold Wagner, Dizionario etimologico sardo,
Cagliari 1989, p. 518: ``Fica (gesto di dispregio), per lo
piuÁ al pl.: fagher (fai) sas (is) fikas `far le fiche' [...]. GiaÁ
nel Codice di Sorres (sec. XV), ed. Sanna, p. 30, cap. 80:
adsora su dictu preidi ad ffactu sas fichas ad su suprascriptu Gayni = ital. A Villanova Monteleone chiamano
figas i barbigli delle capre [...] probm. Secondo la forma
degli amuleti della fica''. Giovanni Spano, Dizionario Sardo-Italiano e Italiano-Sardo, Cagliari, 1851, p. 212: ``Fica,
f. Dial. Com. fica. Gesto vergognoso. Fagher sas ficas,
far le castre, le fiche, le castaÁgne. Lat. Medium unguem
ostendere''.
11
Vicenzo Bo, La religione sommersa, Milano 1986, p.
157. Le pungas, o brevi, erano una sorta di scapolari da
portare a diretto contatto con il corpo in funzione apotropaica; all'interno erano inserite anche piccole manine
nell'atto di far le fiche.
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A fronte:
Particolare della VII Cappella, Flagellazione.
In questa pagina:
Particolare della III Cappella, NativitaÁ.
piedi, innalza le palme aperte delle mani al cielo; partigianeria, nei due giovani che indicano il
Cristo, riferendosi alle sue argomentazioni; desiderio di comprensione e oggettivitaÁ, infine, da
parte dell'anziano dottore della legge che, appoggiato sul libro, fonte della sua autorevolezza, avvicina al volto un inaspettato monocolo.
Inoltre la presenza di un nano sostituisce
quella dell'angelo che ci aspetteremmo di vedere nella X Cappella della Crocifissione, come a
dare corpo alle recondite paure dell'uomo che,
nella deformazione del proprio corpo, laddove
eÁ in atto la dissacrazione, riconosce la conseguenza devastante del peccato. In questa stessa
cappella, il cattivo ladrone eÁ colto nell'atto di
sputare all'indirizzo di Cristo giaÁ innalzato sulla
croce. Sulla croce che di lõÁ a poco accoglieraÁ lui
eÁ posata ad attenderlo e a simboleggiarlo una
scimitarra: arma anacronistica e fuori luogo,
nella cui presenza parrebbe di cogliere la volontaÁ sottile di istituire un legame tra il Moro e
il Male, affiancando e assimilando i Mori agli
Ebrei, nella schiera dei cattivi.
A sottolineare ancor piuÁ la drammaticitaÁ dell'insieme, nella VII Cappella della Flagellazione
spicca la presenza di un banditore munito di
corno, che sembra rinviare all'istituto folclorico
dello charivari 12: le gote rigonfiate per lo sforzo
e i muscoli tesi a sottolineare il gesto, mentre
lancia verso il cielo il suo suono dissacratorio,
annunciano la punizione all'uomo GesuÁ, nella
sua pretesa di essere il Figlio di Dio. La musco-
Sullo charivari o ciabra, mattinata o scampanata, ecc.,
a seconda dei luoghi dove il rito viene svolto, si veda Piercarlo Grimaldi: Dal disordine all'ordine. Controllo e modelli
religiosi in due ciabre di un paese di Langa, in Tempi
grassi, tempi magri, Torino 1996. E inoltre: Carlo Ginzburg, Charivari, associazioni giovanili, caccia selvaggia,
in ``Quaderni storici'', XVII, 1, 1982, 49, pp. 164-177; Jac-
ques Le Goff - Jean-Claude Schmitt (a cura di), Le Charivari, Paris 1981 e, ivi, Nicole Belmont, Le symbolisme
charivarique. Rapport introductif, pp. 381-382; Pasqua
Angela Dettori, Pozzomaggiore e la sua baronia, ``Sussurravano le truveddas, costituite da corvi di campagna'', a
cura di Battista Saiu Pinna, Biella 2001, p. 145.
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no che accompagnano il Cristo durante la passione'' 13. EÁ il suono del corno che annuncia la
sanzione comunitaria cui eÁ sottoposto il Cristo
flagellato. Parimenti, eÁ possibile vedere nello
strumento imboccato dal giovane deforme nello sforzo sanzionatorio il corno del Giubileo
con cui venivano comunemente individuati i
Giudei 14.
In contrapposizione al rumore del corno,
nella III Cappella della NativitaÁ l'armonia dei
corpi traspare nelle schiere di angeli e di pastori
che suonano all'unisono arpe, flauti, cornamuse
e zampogne. La loro melodia pare preannunciare al pellegrino penitente la felicitaÁ e il piacere
del regno dei cieli.
latura contratta, la statura fortemente tarchiata,
lo sforzo in cui si tende il corpo, a tutto fanno
pensare, fuorche a una figura angelica che suona la tromba. ``Si tratta di un nano, raffigurato
con il corpo inclinato all'indietro e le gote gonfie nello sforzo di suonare un corno. Questa
figura si ricollega ad una precisa tradizione iconografica particolarmente significante dal punto di vista iconologico. Suonatori di tromba o
di corno compaiono molto frequentemente nelle rappresentazioni tardo medioevali della Passione in area nordica. Sono infatti presenti nella serie di episodi compresi tra l'Arresto di Cristo e la Crocifissione ove sia particolarmente
necessario simboleggiare la derisione e lo scher-
Francesca Ricardi, Appunti per un'analisi iconografica
ed iconologica dei gruppi scultorei del Sacro Monte di Varese, in Vaccaro - Ricardi (a cura di), Sacri Monti, cit., p.
306: ``A Varese peroÁ compare un altro personaggio, assente a Varallo e ad Ossuccio e piuttosto raro nella raffigurazione pittorica della Flagellazione''.
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Padre Massimo Giustetti, Anno Giubilare, Anno Santo, in Battista Saiu Pinna (a cura di), Su Rosariu Cantadu. Cantigos et Pregadorias, Biella 2000, p. 5: ``La
parola `Giubileo' presso l'antico popolo ebraico, indicava
una tromba, chiamata ``iobel (yobhel), fatta con corno di
ariete''.
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