assaggio Gioielli Medici
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assaggio Gioielli Medici
Abbreviazioni a.s.f. = Archivio di Stato di Firenze b. = busta b.m.f. = Biblioteca Moreniana di Firenze cc. = carte a.s.mn. = Archivio di Stato di Mantova gdsu = Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi DM = Diplomatico mediceo GM = Guardaroba medicea MAP = Mediceo Avanti il Principato MdP = Mediceo del Principato MM = Miscellanea medicea Ministero per i Beni e le Attività Culturali Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fiorentino c. = carta ms. = manoscritto n. = numero I gioielli p. = pagina pp. = pagine s.c. = stile comune s.d. = senza data dei Medici dal vero e in ritratto a cura di Maria Sframeli © 2003 Ministero per i Beni e le Attività Culturali Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fiorentino Una realizzazione editoriale s i l l a b e s.r.l. Livorno http://www.sillabe.it Prima edizione digitale Ottobre 2014 ISBN 978-88-8347-774-4 Quest’opera è stata acquistata su www.sillabe.it Questa pubblicazione è protetta dalla Legge sul diritto d’autore e pertanto è vietata ogni duplicazione, commercializzazione e diffusione, anche parziale, non autorizzata Sillabe declina ogni responsabilità per ogni utilizzo dell’ebook non previsto dalla Legge direzione editoriale: Maddalena Paola Winspeare progetto grafico: Laura Belforte redazione: Barbara Galla layout e coding dell’ebook: Saimon Toncelli L’Editore è a disposizione degli aventi diritto per le fonti iconografiche non identificate sillabe I gioielli sono il genere artistico più vulnerabile, più deperibile. A decretarne il destino è la loro stessa natura di oggetti preziosi, il loro valore venale. Accade così che l’oro venga fuso per farne moneta, le pietre rimosse per essere vendute o rimontate altrove. Benvenuto Cellini è stato il più grande orafo e gioielliere di tutti i tempi, ha servito papi e cardinali, re e principi, i grandi d’Italia e d’Europa e le loro donne. Eppure della sua produzione storica oggi (dopo il furto della Saliera d’oro di Vienna, a mio giudizio la perdita più grave subita dal patrimonio artistico universale nell’ultimo mezzo secolo) non rimane più nulla. Per fortuna esiste la pittura che ci offre la testimonianza iconografica di gioielli che non ci sono più, ed esistono i documenti d’archivio che elencano con scrupolo minuzioso i tesori perduti. Sopravvivono naturalmente in piccola parte anche i gioielli. Rari o rarissimi quelli famosi e di grande costo, più numerosi gli altri, i prodotti artigianali nei quali la qualità della manifattura, la originalità della invenzione, prevalgono sul valore intrinseco dei materiali. La gioielleria medicea fra xvi e xviii secolo, testimoniata dai reperti sopravvissuti a vendite e dispersioni e documentata dai ritratti d’epoca è argomento della mostra che, allestita da Mauro Linari, apre dentro il Museo degli Argenti al settembre del 2003. Curatrice è Maria Sframeli da molti anni studiosa dell’argomento. Con lei ha collaborato un qualificato gruppo di specialisti; Costanza Contu (laureata con Giuseppe Cantelli, titolare della cattedra di Storia delle arti applicate e dell’oreficeria a Siena) e Lisa Goldenberg Stoppato: l’ una e l’ altra con ruoli ad evidenza decisivi. Fin qui la mostra che, inserita nel collaudato sistema di fruttuosa collaborazione che unisce da anni la nostra Soprintendenza alla concessionaria Firenze Musei, incontrerà – ne sono sicuro – la curiosità del pubblico e l’interesse degli studiosi. Dopo l’indimenticabile mostra sul gioiello del Novecento, dopo il recentissimo successo della esposizione all’Aja dei tesori della Corona, il Museo degli Argenti si conferma laboratorio di studi raffinati e vetrina di assoluta eccellenza. Il merito principale è di Marilena Mosco direttrice estrosa e creativa che ha saputo trasformare il suo museo in un luogo di piacere estetico e di avventura intellettuale con pochi confronti in Italia. Alla brava amica e collega va la mia sincera gratitudine. Antonio Paolucci Soprintendente per il Polo Museale Fiorentino 11 10 I gioielli nell’età di Lorenzo il Magnifico di Lorenzo il Magnifico del 1492. L’elaborata montatura è ricordata dall’artista fra i lavori degli anni 1428-1430 nel secondo dei suoi Commentari con ricchezza di dettagli, ma non riconoscendo nella scena la favola mitologica, interpretata piuttosto come allegoria delle tre età dell’uomo: “In detto tempo leghai in oro una cornuola di grandezza d’una noce colla scorza nella quale erano scolpite tre figure egregissimamente fatte per le mani d’uno eccellentissimo maestro antico: Feci per picciolo un drago coll’alie un poco aperte et colla testa bassa, alza nel mezo il collo l’alie facevano presa del sigillo; era il drago el serpente noi vogliamo dire, tra fogle d’edera; erano intagliate di mia mano intorno a dette figure antiche titolate in nome di Nerone, le quali feci con grande diligentia…”4. L’amore di Cosimo per la glittica classica si manifestò probabilmente dietro l’influenza delle avanguardie artistiche e letterarie fiorentine; primo fra tutti Niccolò Niccoli, aiutato nella ricerca di libri, marmi, cammei e ogni genere di anticaglie da Ambrogio Traversari e Leonardo Bruni, come pure da Poggio Bracciolini. Una gemma in particolare è ricordata con insistenza da Vespasiano da Bisticci e dal Ghiberti nei suoi Commentari5: è quella con Diomede e il Palladio6, comprata dal Niccoli per 5 fiorini e venduta a Luigi Scarampi per 200 ducati; divenuta proprietà di Paolo ii, entrò infine nelle raccolte medicee e servì da prototipo per uno dei medaglioni del cortile di Palazzo Medici. Fra gli oggetti antichi e preziosi che Cosimo cercava di procacciarsi è da ricordare anche un gioiello appartenuto a Giovanni xxiii in deposito presso lo Spedalingo di Santa Maria Nuova, acquistato da Cosimo e il cui provento andò a favore dell’Opera di San Giovanni7. Episodi, questi, che giustificano l’ammirazione dei contemporanei ammessi a visitare la raccolta già nei primi anni Trenta del Quattrocento. Quasi contemporaneamente lasciarono scritto il loro apprezzamento Flavio Biondo8, a Firenze nel 1433 al seguito di Eugenio iv, e Ciriaco d’Ancona9, che fu in città nel dicembre dello stesso anno: mentre il primo si limitava a elogiare Cosimo per le sue virtù – “prudentia, humanitas, liberalitas” –, Ciriaco d’Ancona aggiungeva interessanti annotazioni sulla biblioteca, le gemme incise e il contorno di artisti e umanisti, che vivevano a contatto con l’ambiente mediceo. Toccano indirettamente il tema della gioielleria le relazioni di amicizia che intercorrevano tra Lorenzo de’ Medici il Vecchio (1395-1440) e Ambrogio Traversari. Questi nel 1434 aveva ricevuto in dono da Stefano Porcari, il nobile romano che il 9 gennaio 1453 sarebbe salito sul patibolo a seguito della cospirazione ordita contro papa Niccolò v, un’onice antica raffigurante l’imperatore Adriano. Il Traversari inviò allora a Lorenzo la misura del dito pregandolo di far montare in anello la pietra10, lasciando intendere così come a tutti fosse palese che i Medici potevano disporre di abili gioiellieri Le iniziative avviate da Cosimo per creare un “tesoro” di antichità e gioie ebbero un decisivo impulso con il figlio Piero (1416-1469), vero organizzatore del ‘museo mediceo’, attento amatore e conoscitore pronto ad arricchire la raccolta in ogni momento. È l’immagine che emerge dalla lettura del Trattato del Filarete, dedicato a Piero, presentato come un competente collezionista, che sa apprezzare la qualità della lavorazione e che non bada al costo quando capita l’occasione di un pazzo raro: “Un altro dì guarda le sue gioie e pietre fini: meravigliosa quantità n’ha e di grande valuta e di varie ragioni intagliate, e di quelli che nò, sì che in questo piglia piacere e diletto assai a riguardare e ragionare delle virtù e stima d’esse. L’altro dì poi, di vasi d’oro e d’argento e di varie materie fatti, di degna e grande spesa, e in vari modi, e di diverse parti fatti venire, e di questi molto si diletta, lodando la dignità d’essi e del magistero de’ fabbricatori d’essi”11. Maria Sframeli Le prime notizie sui gioielli di Casa Medici risalgono al 1417, al tempo di Giovanni di Bicci (1368-1429). Sono contenute nell’inventario dei beni di famiglia della casa di via Larga, a poca distanza dal luogo dove sarebbe stato edificato il palazzo michelozziano: nelle varie stanze della casa, abitata da Giovanni e dai figli Cosimo e Lorenzo con le famiglie, sono elencati paternostri d’argento, corallo, ambra e avorio; agnusdei d’argento dorato; anelli con balasci, zaffiri e diamanti; catenuzze d’oro, bottoni d’argento e perle; cinture fornite di fibbia, puntale e spranghe d’argento bianco o dorato; “uno cappello di velluto rosso ricamato di perle” appartenuto a Cosimo; “una ghirlanda con smalti” di Ginevra Cavalcanti, moglie di Lorenzo. Alcuni oggetti, come “tre verghette d’oro parigine” e “una cintola d’ariento con fetta nera a la parigina di Cosimo” in camera sua e “uno collare d’oro ala paragina” in camera di Lorenzo suo fratello, unici pezzi con suggerimenti di stile di tutto l’inventario, denotano l’orientamento del gusto verso il gotico internazionale e l’oreficeria d’Oltralpe. Di alcune gioie in particolare, forse le più preziose, vengono date le valutazioni: cinque anelli due con balasci, due con zaffiri e uno con una perla stimati 260 fiorini, altri dieci anelli due con balasci, quattro con zaffiri, due con diamanti e uno con uno smeraldo stimati 300 fiorini; una catenuzza dorata con perle e una d’argento del valore di 20 fiorini; una perla sciolta di 4 fiorini1. Dalla lettura emerge l’immagine di una famiglia benestante, la cui ricchezza doveva essere senza dubbio superiore alla media; ma la consistenza dei tesori medicei di pochi decenni dopo non è ancora né intuibile né prevedibile. Fu Cosimo (1389-1464), che fin dai primi anni aveva riunito un numero considerevole di anticaglie e di oggetti preziosi, a dare ai propri beni l’impostazione della raccolta e a rivolgersi, anche per l’oreficeria, ai più valenti artisti del momento. Dovette peraltro essere Cosimo, e non come scrive il Vasari2 il figlio Giovanni allora troppo piccolo, ad affidare al Ghiberti la legatura della famosa corniola con Apollo e Marsia oggi nel Museo Nazionale di Napoli3, che figura negli inventari medicei fino a quello Benozzo Gozzoli, Il viaggio dei Magi, part., 1459. Firenze, Palazzo Medici Riccardi, Cappella Della sua collezione, gelosamente custodita in Palazzo Medici nello Scrittoio – uno studiolo decorato con pavimento in maiolica e sulla volta con i ‘tondi’ di Luca della Robbia – esistono tre successivi inventari che differiscono notevolmente. Il primo, del 1456, redatto otto anni prima della morte di Cosimo, elenca gli oggetti di esclusiva proprietà di Piero (“… tucte le cose che sono propie di me, Piero di Cosimo de’ Medici, le quali mi truovo questo dì xv di settembre”) e non rappresenta quindi l’insieme dei tesori di famiglia: vi sono elencati gli argenti da tavola – bacini, boccali, candelieri, posate, confettiere – e le “Gioie et simile cose”, in cui rientrano coppe o boccali in cristallo, pietre dure e porcellane montate in oro o argento. Particolarmente ricca e varia è la sezione dedicata ai gioielli: “uno chollare di perle, rubini e diamanti”, otto ‘brocchette’ da petto o da testa, un frenello di duecentoventiquattro perle, un solo anello con un balascio tagliato a tavola e due verghette, una con una pietra legata e l’altra con lettere niellate, tre anelli con cammei e diciassette fra sigilli, cammei e corniole fra antichi e moderni (compare anche “una testa del Duca di Melano leghato in ariento”), due fili di centocinquanta e centocinque perle, due paia di paternostri, più altri tre d’ambra, uno di coralli e 25 24 I gioielli nel tempo del Principato Maria Sframeli, Costanza Contu Apparve subito che il giovane Cosimo, giunto a Firenze nel 1537 dopo la morte improvvisa del duca Alessandro, sotto un “artificioso contegno di umiltà” celava la determinazione a far valere il suo diritto alla successione e intendeva suggellare il suo ruolo di governo con la deliberata costruzione di un’immagine pubblica adeguata alla carica. Giocarono un ruolo importante il matrimonio con Eleonora di Toledo, la figlia del viceré di Napoli andata in sposa a Cosimo nel 1539, e l’indirizzo dato alle arti, che dovevano magnificare in modo eccelso la grandezza del nuovo Duca; in questo i gioielli e le oreficerie fecero da protagonisti. Nel 1545, dopo il periodo passato in Francia alla corte di Francesco i per il quale aveva eseguito la celebre Saliera, entrò al servizio di Cosimo Benvenuto Cellini e nell’agosto iniziò a lavorare al Perseo, che nove anni più tardi sarebbe stato collocato nella Loggia dei Lanzi, alternando all’occorrenza la sua attività di scultore con quella di orafo e restauratore al servizio della corte. È il Cellini stesso che nella Vita accenna più volte alla sua carica di gioielliere: mentre fervevano i preparativi per il Perseo, Benvenuto passava un po’ del suo tempo nella guardaroba del Duca“con certi giovani orefici, che si domandavano Giampagolo e Domenico Poggini” ai quali aveva dato a fare “uno vasetto d’oro, tutto lavorato di basso rilievo con figure e altri belli ornamenti: questo era per la Duchessa, il quale sua eccellenza faceva fare per bere dell’acqua” e una cintura d’oro “e anche quest’opera ricchissimamente, con gioie e con molte piacevole invenzioni di mascherette e d’altro: questa se le fece”1. Eleonora sfoggia una cintura elegantissima nel ritratto ufficiale fattole dal Bronzino con il figlio Giovanni a una data che oscilla intorno al 1545; se il quadro non ritrae quello disegnato dal Cellini testimonia comunque la passione di Eleonora per questo tipo di gioiello: la fitta nappa terminale di minute perle riunite da un cappuccio in oro lavorato a niello e decorato con gemme incastonate è uno dei particolari più noti del ritratto. Anche il diamante che la bella Eleonora sfoggia appeso al collare evoca un episodio della vita dell’artista, che con la Duchessa non Agnolo Bronzino, Eleonora di Toledo col figlio Giovanni, 1545 ca. Firenze, Galleria degli Uffizi ebbe mai rapporti facili: “arebbe voluto che io avessi atteso a lavorare per lei, e non mi fussi curato né del Perseo né di altro” è la spiegazione2. Cellini era stato chiamato dal Duca a giudicare il valore di un diamante grande più di trentacinque carati, proposto a Cosimo da Bernardo Baldini, allora sensale di gioie, e Antonio Landi: era un diamante in punta, ma non di “quella limpidità fulgente che a tal gioia si doveva desiderare”, perciò i proprietari “avevano ischericato questa ditta punta, la quale veramente non faceva bene né per tavola né per punta”3. Nonostante il giudizio negativo, la pietra venne acquistata e Benvenuto Cellini fu quasi costretto a montarla in un pendente destinato a Eleonora. Scrive il Cellini nella Vita: “E con tutto che io fuggissi di non voler far tal cosa, il Duca con tante belle piacevolezze mi vi faceva lavorare ogni sera in sino alle quattro ore… Attesi a finire il suo gioiello; e portatolo un giorno finito alla Duchessa, lei stessa mi disse che stimava tanto la mia fattura quanto il diamante che li aveva fatto comperar Bernardaccio, e volse che io gnene appiccassi al petto di mia mano, e con quello gnene appiccai, e mi parti’ con molta sua buona grazia”4. Il gioiello fu poi smontato: “Da poi io intesi che e’ l’avevano fatto rilegare a un tedesco o altro forestiero, salvo ‘l vero, perché il detto Bernardone disse che ‘l detto diamante mostrerebbe meglio legato con manco opera”. Cellini continuò per diverso tempo ad alternare i suoi lavori di scultura a legature di gioie pretese da Eleonora. Fra queste un anello in un castone con puttini, mascherine, frutta e fiori, elementi decorativi di un repertorio seguito poi dagli orafi di corte, come dimostrano i numerosi disegni rimasti (si vedano schede nn. 31-34): “L’anello si era per il dito piccolo della mano: così feci quattro puttini tondi con quattro mascherine, le qual cose facevano il detto anellino. E anche vi accomodai alcune frutte e legaturine smaltate, di modo che la gioia e l’anello si mostravano molto bene insieme; e subito lo portai alla Duchessa: la quale con benigne parole mi disse che io gli avevo fatto un lavoro bellissimo e che si ricorderebbe di me. Il detto anellino la lo mandò a donare al re Filippo…”, ossia Filippo ii di Spagna5. Per tutto il tempo della lavorazione del Perseo Cellini continuò la sua attività di gioielliere al servizio della corte. È lui stesso a darne conto nella Vita – “e la sera me n’andavo a veglia nella guardaroba del duca, aiutando a quegli orefici che vi lavoravano per sua eccellenza illustrissima, 64 C a t a l o g o 6 – Diamante intagliato con stemma mediceo secolo xvi diamante; mm 73 × 70 Firenze, Palazzo Pitti, Museo degli Argenti, inv. Gemme 1921, n. 1778 Il diamante ha la tavola incisa con lo stemma mediceo: le sei palle sono racchiuse all’interno di uno scudo decorato da cartocci e sormontato dalla corona granducale simile a quella utilizzata da Cosimo i per la sua incoronazione a Granduca. In origine il diamante era montato in un anello come conferma l’inventario delle gioie ereditate da Ferdinando ii nel 1621 in cui sono menzionati “in una Custodia nera con oro fodrata di veluto” un anello con un diamante inciso con “l’arma del Portogallo” che può essere identificato con quello conservato al Museo degli Argenti (inv. Gemme n. 355), e un anello con un diamante inciso con “l’arma dè Medici” da identificare con questo esposto in mostra. Bibliografia a.s.f., MM 31, inserto 17, c. 51r; Aloisi 1931, p. 357, fig. 9. C. C. 7 – Diamante intagliato con monogramma di Cosimo de’ Medici secolo xvi diamante; mm 64 × 53 × 28 Firenze, Palazzo Pitti, Museo degli Argenti, inv. Gemme 1921, n. 1802 La piccola gemma è tagliata a tavola e porta incise le lettere M e C sormontate dalla Corona Granducale. Il diamante doveva essere in origine montato in un anello, come confermano anche le carte d’archivio che descrivono gemme tagliate a tavola e incise, inserite in preziosi anelli. Queste gemme erano solitamente rubini, smeraldi e zaffiri ma assai raramente diamanti che per la loro durezza non erano adatti a questo tipo di lavorazione. Bibliografia Aloisi 1931, pp. 357-358, fig. 10. C. C. 8 – Agnolo Tori, detto il Bronzino (Monticelli, Firenze 1503-Firenze 1572) Eleonora di Toledo (1519-1562) 1543 olio su tavola; cm 59 × 46 Praha, Národni Galerie, inv. n. D-880 Iscrizioni: Sulla tela in basso “26” Eleonora di Toledo nacque l’11 gennaio 1519 (cfr. Cox-Rearick 1982, p. 79, nota 20), la seconda figlia del vicerè di Napoli don Pedro Alvárez de Toledo e sua prima moglie María Osorio Pimentel. Il 29 marzo 1539 sposò per procura il duca Cosimo i de’ Medici a Napoli e il 29 giugno dello stesso anno fece il suo ingresso ufficiale a Firenze. Dall’unione, che gli storiografi ricordano come piuttosto felice, nacquero undici figli: Maria (1540-1557), Francesco (1541-1587), Isabella (1542-1576), Giovanni (1543-1562), Lucrezia (1545-1561), Pietro (1546-1547) detto Pedricco, Garzia (1547-1562), Antonio (1548-1548), Ferdinando (1549-1609), Anna (1553-1553) e Pietro (1554-1604). Gaetano Pieraccini descrive Eleonora come una donna dal carattere irritabile e refrattaria ai consigli dei suoi medici, eccessivamente religiosa, indifferente agli affari di Stato e intellettuali, e amante del gioco e le scommesse. La Duchessa, malata di tubercolosi polmonare da diversi anni, si aggravò dopo l’improvvisa morte dei figli Giovanni e Garzia, deceduti per malattia nell’autunno del 1562, e morì a Pisa il 17 dicembre dello stesso anno, prima di aver compiuto quarantaquattro anni (cfr. pieraccini 1924-1925, ii, 1925, pp. 55-70). Eleonora viene ricordata dagli storici dell’arte come committente della cappella che porta il suo nome in Palazzo Vecchio, decorata dal Bronzino tra il 1540-1545 e per l’acquisto intorno alla metà del secolo di Palazzo Pitti (cfr. Warren Hearnden in The Dictionary of Art 1996, vol. 21, pp. 21-22). Questa tavola della Galleria Nazionale di Praga fu chiamata all’attenzione della critica internazionale nel 1959 da Vladimir Novotný che la pubblicò come ritratto di Eleonora di Toledo, attribuendolo ad Agnolo Tori detto il Bronzino. Non vi possono essere dubbi né sull’identità della dama raffigurata, che somiglia ad Eleonora quale compare con un figlio accanto nel celebre ritratto di mano del Bronzino della Tribuna degli Uffizi (inv. 1890, n. 748, cfr. Langedijk 1981-1987, i, 1981, pp. 695696, n. 35,10), né sull’attribuzione del dipinto, che è paragonabile sia per stile pittorico, sia per qualità al ritratto di Maria di Cosimo i de’ Medici, di mano del Bronzino, esposto in questa sede. Il riferimento ad Alessandro Allori proposto da Simona Lecchini Giovannini nel 1991, che richiederebbe uno spostamento dell’esecuzione del ritratto agli ultimi anni di vita di Eleonora, è smentito non solamente da considerazioni di natura stilistica, ma anche dalla giovane età della Duchessa e dal taglio dei suoi indumenti, che suggeriscono una datazione non oltre gli anni quaranta del Cinquecento. È inoltre probabile che fu dipinto Sala 2 65 68 C a t a l o g o 12 – Agnolo Tori, detto il Bronzino (Monticelli, Firenze 1503-Firenze 1572) Bia de’ Medici (1536-1542 ca) 1542, ante olio su tavola; cm 60 × 46 Firenze, Galleria degli Uffizi, Tribuna, inv. 1890, n. 1472 11 – Orafo fiorentino Due buccole per orecchini prima metà del secolo xvii oro; diam. mm 15 Firenze, Palazzo Pitti, Museo degli Argenti, inv. Depositi p. 95 Le due buccole d’oro, rinvenute nella tomba di Eleonora di Toledo erano destinate a sostenere più preziosi orecchini di perle o gemme; la perla era solitamente inserita in un perno d’oro e agganciata alla buccola. Nel celebre ritratto degli Uffizi della Duchessa col figlio, dipinto dal Bronzino, la donna sfoggia all’orecchio una grossa perla a goccia inserita in un perno e agganciata alla buccola d’oro. Stesso tipo di orecchino viene indossato da Eleonora nel ritratto di Praga, esposto in mostra (si veda scheda n. 8). I pendenti realizzati con le gemme erano, invece, montati nell’oro e appesi, per mezzo di un altro cerchietto, alla buccola. Orecchini di questo tipo sono indossati dalle giovanissime Bia e Maria de’ Medici: la prima ha un gioiello realizzato con una perla, un diamante tagliato a faccette, legato a giorno e pendente da un anello piccolo che si lega alla buccola (si veda scheda n. 12); la seconda fanciulla sfoggia invece un orecchino montato con una perlina e un castone con gemma appeso ad un anellino d’oro chiuso in una buccola più grande che le passa nell’orecchio (si veda scheda n. 13). C. C. Fonti cinquecentesche ricordano una figlia naturale di Cosimo i de’ Medici, di nome Bia, nata ad una gentildonna fiorentina prima del matrimonio del duca con Eleonora di Toledo nel 1539. Accolta dal padre, la bambina crebbe alla Corte medicea e alla villa di Castello presso la nonna paterna Maria Salviati. Bia viene rammentata nel 1560 da Simone di Filippo d’Albizzo da Fortuna, agente alla Corte medicea del duca d’Urbino: “L’Ecc.mo Signor Duca, ne’ primi anni del suo ducato, ebbe da una gentildonna di Fiorenza una puttina, che fu battezzata in nome di Sua Eccellenza Illustrissima, et si chiamò la Bia. Et la Signora duchessa Leonora, trovatala in casa, l’allevava amorevolmente come nata che era dal marito prima che lei fusse sua sposa […]” (cfr. Saltini 1898, p. 2). Documenti pubblicati da Cosimo Conti (1893, pp. 121-122) e Gaetano Pieraccini (19241925, ii, pp. 79-80) provano che Bia morì ancora fanciulla nel febbraio del 1542 s.c., dopo un mese di malattia, e fu sepolta nella chiesa di San Lorenzo il 1 marzo dello stesso anno. Sappiamo inoltre, grazie ad una lettera di Cosimo i dell’8 ottobre 1549 pubblicata dal Conti, che il duca aveva depositato una somma di denaro sul Monte per la dote di “Bia nostra figliuola” che fu donata dopo la sua morte a Giulia, la figlia naturale del defunto duca Alessandro. Giorgio Vasari ricorda Bia tra i membri di Casa Medici raffigurati dal Bronzino, specificando che il pittore “ritrasse anche la Bia fanciulletta e figliuola naturale del duca”. Come ha riconosciuto Cosimo Conti nel 1893, il ritratto ricordato dal Vasari è rammentato senza il nome dell’autore nell’inventario della Guardaroba compilato nel 1553 (a.s.f., GM 28, pubblicato da Conti 1893; Barocchi-Gaeta Bertelà 2002). L’inventario descrive, tra le opere conservate nella prima stanza della guardaroba, “Uno ritratto in tavola della signora Bia de’ Medici morta con ornamento di noce tocco d’oro”. Il ritratto figura anche nell’inventario a capi della guardaroba per il periodo dal 1553 al 1568 (a.s.f., GM 30, pubblicato da Müntz 1895). Fu Cosimo Conti ad identificare nel 1893 il ritratto di Bia citato da Vasari e dai due inventari cinquecenteschi con questa tavola della Tribuna degli Uffizi che, sino a quella data, era considerata un ritratto di Maria di Cosimo i de’ Medici. L’identificazione, contestata per un breve periodo tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, è oggi generalmente accettata dalla critica (cfr. Cox-Rearick 1982, 1993, J. Cox-Rearick in, The Dictionary of Art 1996; Brock 2002). È purtroppo difficile, per la mancanza di ritratti documentati di Bia, stabilire con certezza l’identità della bambina raffigurata in questo dipinto, che giunse alla Tribuna dalla guardaroba di Palazzo Pitti nel 1796. Vi sono tuttavia una serie di indizi che ci indirizzano verso il suo nome. Non vi possono essere dubbi che si tratti di una figlia di Cosimo i de’ Medici, visto che porta, appesa ad una catena al collo, una medaglia che raffigura il duca imberbe come compare nel ritratto giovanile disegnato da Jacopo da Pontormo (gdsu n. 6538F, cfr. Langedijk 1981-1987, i, 1981, pp. 438-439, n. 27,66). L’abito ricorda per il taglio quello indossato da Lucrezia Panciatichi nel ritratto eseguito dal Bronzino intorno al 1540, permettendoci di datare il ritratto in questione ai primi anni quaranta e limitando così il campo della nostra scelta alle figlie di Cosimo nate prima del 1545, cioè, tra Bia, Maria che nacque nel 1540 e Isabella nata nel 1542. La bambina raffigurata non somiglia né a Maria né ad Isabella bambine quali compaiono in due ritratti di mano del Bronzino che portano iscritti i loro nomi (Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. 1890, n. 853 e Stockholm, Nationalmuseum, inv. n. 37, cfr. Langedijk 1981-1987, ii, 1983, p. 1237, n. 85,4 e pp. 1094-1095, n. 63,5). Si giunge perciò per esclusione all’identificazione con la figlia naturale Bia, per la quale la presenza della medaglia raffigurante Cosimo I assumerebbe il significato di un pubblico riconoscimento di paternità (cfr. Levey 1962). La figura di Bia, presentata dal Bronzino in un abito di seta bianca, si staglia nettamente contro il prezioso fondo di azzurrite come se fosse una scultura marmorea. La freddezza della gamma cromatica e l’immobilità della figura hanno indotto alcuni studiosi ad ipotizzare che Bronzino dipinse il ritratto di Bia dopo la sua morte, traendo ispirazione dalla maschera mortuaria ricordata Sala 2 69 120 C a t a l o g o 59 – Frans Pourbus ii (Antwerpen 1569 ca-Paris 1622) Maria de’ Medici (1573-1642) 1611 olio su tela; cm 142 × 127 Firenze, Palazzo Pitti, Appartamenti monumentali, inv. 1890, n. 2259 Iscrizioni: F.P.F. A.° 1611 Questo ritratto di Maria de’ Medici e il ‘pendant’ che raffigura il marito Enrico iv di Borbone, attualmente conservati negli Appartamenti monumentali di Palazzo Pitti (inv. 1890, n. 2260), provengono dalla serie aulica degli Uffizi. Vengono ricordati insieme al resto della serie sul corridoio vasariano nel 1889 da Umberto Rossi che fa esplicito cenno alla data 1611 e alle sigle di Frans Pourbus il gio- vane scoperte su questi ritratti durante il restauro eseguito da Giuseppe Parrini. La provenienza dal corridoio vasariano è indicata anche da Ludwig Burchard nel 1933, quando i due ritratti erano già stati spostati in Palazzo Pitti. Questi dipinti furono identificati dal Rossi con i ritratti della re e regina di Francia ordinati a Frans Pourbus il giovane nel 1612 per la granduchessa di Toscana Cristina di Lorena, spediti a Firenze nel marzo del 1613 e ricordati in una serie di lettere del marchese di Campiglia Matteo Botti, ambasciatore mediceo a Parigi. L’identificazione suggerita dal Rossi va riconsiderata, visto che i musei fiorentini possiedono una seconda versione del ritratto sino al ginocchio di Enrico iv di Frans Pourbus il giovane (inv. 1890, n. 5232, depositato a Montecitorio) e, altre due versioni di quello di Maria de’ Medici, il ritratto di buon livello qualitativo esposto agli Uffizi (inv. 1890, n. 2244), e una replica o copia di qualità leggermente più scadente (inv. 1890, n. 5467, cfr. Langedijk 1981-1987, ii, 1983, pp. 1242-1243, nn. 86,10a, 86,10b). Non è facile capire quali di questi ritratti siano quelli rammentati nei documenti. Ma procediamo con ordine esaminando le lettere dell’ambasciatore Botti pubblicate da Umberto Rossi. La prima menzione dei ritratti di Maria de’ Medici e Enrico iv ordinati per Cristina di Lorena compare in un lettera indirizzata al cavaliere Francesco de’ Medici il 7 novembre 1612. Nella lettera l’ambasciatore, spedendo alcuni libri per il cavaliere, lo avvertì di non poter inviare insieme “le pitture, tanto si è portato bene quel nostro Purbes”. I dipinti non erano ancora completati il 21 gennaio 1612 stile ab incarnatione [1613 s.c.] quando il Botti scrisse nuovamente al Medici, lamentandosi che “con quel pittore non si può venire a conclusione […]”, ma dieci giorni più tardi potè informare il cavaliere che il pittore andava “tirando innanzi i due ritratti maggiori”. Il 15 febbraio 1612 [1613 s.c.] l’ambasciatore annunciò per lettera che il Pourbus aveva finalmente finito due dei dipinti. Il 3 marzo dello stesso anno Botti avvisò Belisario Vinta, primo segretario granducale, della spedizione dei due dipinti a Firenze, specificando che furono commissionati “d’ordine di Madama Serenissima”, cioè di Cristina di Lorena. Il soggetto e la destinazione dei dipinti sono specificati nella lettera del 15 febbraio dove vengono indicati come “ritratti del Re e Regina in habito reale per la Galleria”. Altre due lettere inviate dall’ambasciatore il 4 marzo 1612 [1613 s.c.] forniscono ulteriori notizie sul soggetto dei dipinti. Le lettere indicano che Pourbus era stato incaricato di dipingere ritratti di Maria de’ Medici e suo figlio, il giovane re Luigi xiii, ma per errore aveva eseguito al posto di questo il ritratto del re defunto Enrico iv. Matteo Botti, sapendo quanto tempo ci sarebbe voluto per sostituirlo, aveva deciso di accettare il ritratto di Enrico e inviarlo a Firenze (a.s.f., MdP 4871, cc. non numerate, cfr. Rossi 1889, pp. 407-408). È probabile che i due ritratti commissionati a Frans Pourbus il giovane per la granduchessa nel 1612 e spediti a Firenze nel marzo successivo, siano da riconoscere con quelli in ricordati nella camera di Cristina di Lorena dall’inventario degli oggetti raccolti dalla granduchessa dal 1609 al 1621. Questo ricorda “Dua quadri grandi sino alle ginocchia del Re Enrico 0/4 et Regina Maria di Francia, fatti fare” (cfr. Inventario di Cristina di Lorena 1621, a.s.f., GM 152, c. 51 sinistra, segnalato da Langedijk 1981-1987, ii, 1983, p. 1242, sub n. 86,10). Poiché sappiamo che la granduchessa, che morì nel 1636, aveva il suo appartamento in Palazzo Pitti, è assai probabile che questi siano gli stessi ritratti di Maria e Enrico di Francia ricordati dall’inventario della regia stilato tra il 1663 e il 1664, “Due Quadri in tela che in uno entrovj dipinto Arrigo 4° Re di Francia, con manto reale e calza intera bianca, con scetro in mano e corona, che posa sopra d’una tavola coperta Sala 3 d’ velluto e nel’altro la Regina Maria di Francia, con corona in testa e manto reale, che posa la mano sopra d’una tavola coperta d’ velluto, vestita di turchino con gigli d’oro simili al manto del Re con adornamento di nocie, con rose sulle cantonate e cornicie dorate alti braccia 2 2/3 e larghi 2 1/2” (Inventario di Palazzo Pitti 1663-1664, a.s.f., GM 725, c. 38 verso, segnalato da A. Tartuferi in, Gli Appartamenti Reali 1993). Altri due ritratti di Enrico iv e Maria de’ Medici, di formato simile, facevano parte della raccolta di Caterina di Ferdinando i de’ Medici, che sposò il duca di Mantova Ferdinando Gonzaga nel 1617 e ritornò in Toscana nel 1627 per governare Siena. L’inedito inventario della collezione di Caterina, che fu stilato dopo la sua morte nel 1629, ricorda tra i dipinti “Uno della Reggina di Francia sino al ginocchio – scudi 8” e “Uno del re Henrico di Francia sino alla coscia – scudi 2” (cfr. Inventario di Caterina de’ Medici-Gonzaga 1629, a.s.f., MdP 6264, fascicolo non numerato, c. 13v). Non è facile stabilire quale delle due coppie di ritratti del re e regina di Francia ricordati negli inventari secenteschi sia confluita nella serie aulica. I ritratti di Enrico iv e Maria de’ Medici che facevano parte di questa serie sono esplicitamente citati negli inventari degli Uffizi solamente a partire dal 1704. Vengono rammentati nell’inventario di quell’anno insieme al resto della serie sul corridoio di levante della Galleria. Rimasero in questo luogo sino al 1782, quando l’intera serie aulica venne trasferita sul corridoio vasariano che porta a Palazzo Pitti, nel tratto del Lungarno Archibusieri dove sono ricordati dall’inventario del 1784. Fonti d’archivio Inventario degli Uffizi 1704-1714, Biblioteca degli Uffizi, ms. 82, c. 10; Inventario degli Uffizi 1753, Biblioteca degli Uffizi, ms. 95, c. non numerata, n. 106; Inventario degli Uffizi 1769, Biblioteca degli Uffizi, ms. 98, c. 24 recto, n. 96; Inventario degli Uffizi 1784, Biblioteca degli Uffizi, ms. 113, c. 311, n. 28. Bibliografia Rossi 1889, pp. 406-408; Battifol 1906, p. 223, fig.; L. Burchard in, Thieme-Becker 1907-1950, xxvii, 1933, p. 316; Firenze 1939, pp. 146-147, n. 23; P. Rosenberg in, Firenze 1977a, p. 146, n. 92; M. Chiarini in, Gli Uffizi 1979, ed. 1980, p. 434, n. P1271, p. 436, sub n. P1276; Langedijk 1981-1987, ii, 1983, pp. 1242-1243, n. 86,10; A. Tartuferi in, Gli Appartamenti Reali 1993, p. 251, n. vi.14; Roma 2002b, pp. 138-139, fig. 5; S. Meloni Trkulja in, Firenze 2003, pp. 72, 138 (con il numero di inventario sbagliato), fig. 55. L. G. S. I gioielli Fra il 1609 e il 1610 Maria de’ Medici possedeva, fra le sue gioie, più di cinquemila perle. Gli inventari della Regina di Francia, pubblicati da Bruel nel 1908, descrivono infatti una miriade di perle di svariate forme e dimensioni. Alcune di queste le erano state regalate in occasione del suo matrimonio con Enrico iv da vari esponenti dell’aristocrazia francese, altre, come le quattromila centocinquanta descritte al n. 116, già le appartenevano (Bruel 1908, pp. 208-211, n. 116). In questo ritratto del Pourbus la donna ne sfoggia più di trecento di qualità eccelsa. Sono quasi tutte di forma rotonda, grandi, e di ‘bella pellatura’. Le perle a goccia sono sulla corona, come elementi pendenti nella croce pettorale e alle orecchie della regina dove le grandi perle sono agganciate a ben due campanelle d’oro. Insieme alle perle, sulla veste regale della Regina sono cuciti grandi diamanti tagliati a tavola e legati in semplici castoni d’oro impreziositi, qualcuno, da quattro perle e altri da due perle. La lettura degli inventari pubblicati da Bruel, consente di sapere che insieme alle perle, Maria possedeva una grande quantità di diamanti a scapito delle altre gemme, come il rubino e lo smeraldo, che compaiono in numero assai ridotto. Alcuni diamanti erano montati in spille con perle simili a quelle che non passano inosservate sulla veste della Regina ritratta dal Pourbous. Altri diamanti erano montati in collari straordinari definiti ‘Carquans’. Uno di questi collari era stato regalato da Ferdinando i alla nipote in occasione del matrimonio ed era composto da quattordici pezzi smaltati e impreziositi da diamanti di diverse dimensioni. Il ritrovamento, fra le carte 121 d’archivio, del disegno del ‘carcamo o vero collaro’ con diamanti, appartenuto a Maria de’ Medici (a.s.f., MM 18, inserto 5, c. 23) dà un’idea, insieme alle descrizioni di questi gioielli negli inventari, dei preziosi che la donna poteva aver indossato e di cui oggi non rimane traccia. Al n. 69 degli inventari pubblicati da Bruel si legge la descrizione del grande diamante tagliato a rosa riconosciuto recentemente sulla corona della regina. Era un diamante indiano di 35 carati tagliato a Parigi nel 1585. Appartenuto al generale Nicolas Harlay de Sancy, da cui prende il nome la gemma, il Beau Sancy nel 1604 era stato comprato da Maria de’ Medici. (H. Bari, M. Bimbenet-Privat, B. Morel in, Roma 2002b, pp. 89-103). La donna sfoggia sul corpetto d’ermellino bianco una grande croce pettorale realizzata anch’essa con diamanti e tre perle pendenti. Negli inventari pubblicati da Bruel si legge la descrizione di almeno quattro grandi croci pettorali simili a quella indossata dalla Regina di Francia. Anche fra i disegni dei gioielli, rinvenuti nell’Archivio di Stato fiorentino, e appartenuti a Maria de’ Medici, compare quello di una croce pendente di diamanti (a.s.f., MM 18, inserto 5, c. 22). C. C.