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Diritto dell’Unione e intangibilità del giudicato interno: l’ulteriore
eccezione della normativa comunitaria sugli aiuti di Stato
di Eduardo Savarese
1.Il caso e la questione pregiudiziale.
Il processo civile da cui trae origine il recente pronunciamento della Corte
di Giustizia 1 circa i limiti agli effetti della cosa giudicata in materia
contrattuale riguarda un contratto di fornitura di legname stipulato tra
un'impresa ed un Land tedesco, in virtù del quale quest'ultimo si impegnava
a vendere all'impresa quantitativi fissi di legname, dal 2007 al 2014, a prezzi
prestabiliti in base alla dimensione e alla qualità del legno. Negli anni 2007 e
2008 il Land garantiva forniture di legname, ma le previste quantità di
acquisto di alberi abbattuti dalle intemperie non venivano raggiunte. Nel
corso del 2008, l'impresa incontrava difficoltà finanziarie da cui
conseguivano ritardi nei pagamenti e il Land risolveva il contratto. Nel 2012
il Landgericht Münster (Tribunale regionale di Münster) accoglieva la
domanda dell'impresa, statuendo che i contratti rimanevano in vigore, con
sentenza confermata in sede d’appello dall’Oberlandesgericht Hamm
(Tribunale regionale superiore di Hamm) e passata in giudicato. L'impresa,
quindi, presentava davanti al giudice del rinvio un ricorso contro il Land,
volto, in primo luogo, al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata
fornitura di legname nel corso del 2009, in secondo luogo, alla fornitura di
circa 1,5 milioni di steri di legno di abete in esecuzione dei contratti per il
periodo compreso tra l’anno 2010 e il mese di febbraio 2013 nonché, in terzo
luogo, all’ottenimento di informazioni relative, in particolare, alle condizioni
finanziarie alle quali i cinque più grossi acquirenti di legname resinoso
avevano acquistato dal Land tagli di legno di abete nel periodo compreso tra
il 2010 e il 2013. Il Land, dal canto suo, rilevava, per la prima volta, che il
diritto dell’Unione ostava all’esecuzione dei contratti in quanto essi
costituivano «aiuti di Stato», ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE,
attuati in violazione dell’articolo 108, paragrafo 3, terza frase, TFUE.
Nel mese di luglio 2013, la Germania informava la Commissione europea
dell’esistenza di un aiuto non notificato proprio con riferimento ai contratti in
oggetto, incompatibile con il mercato interno. Con lettera del 26 maggio
2014, il giudice del rinvio indirizzava alla Commissione una richiesta di
chiarimenti e la Commissione rispondeva di non essere in grado di formulare
una posizione definitiva sull’applicazione, nel caso di specie, del diritto
dell’Unione in materia di aiuti di Stato.
Da parte sua, il giudice del rinvio riteneva che i contratti al suo vaglio
costituissero un aiuto di Stato attuato in violazione dell’articolo 108,
paragrafo 3, terza frase, TFUE e fossero pertanto da dichiarare nulli.
1
Sentenza 11 novembre 2015, causa C-505/14, Klausner Holz Niedersachen.
1
Tuttavia, il giudice del rinvio metteva in luce di non poter trarre le
conseguenze della violazione dell’articolo 108, paragrafo 3, terza frase,
TFUE a causa della sentenza dichiarativa dell’Oberlandesgericht Hamm
(Tribunale regionale superiore di Hamm), passata in giudicato, con cui era
stata dichiarata la permanenza in vigore dei contratti.
Di conseguenza, il Landgericht Münster (Tribunale regionale di Münster)
decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente
questione pregiudiziale: «Se il diritto dell’Unione, in particolare gli articoli
107 TFUE e 108 TFUE nonché il principio di effettività, nell’ambito di una
controversia civile vertente sull’esecuzione di un contratto di diritto civile che
dispone la concessione di un aiuto di Stato, esiga la disapplicazione di una
sentenza di accertamento civile passata in giudicato ed emessa nella
medesima causa che conferma la permanenza in vigore del contratto di diritto
civile senza procedere ad alcun esame della normativa in materia di aiuti,
qualora l’esecuzione del contratto non possa essere altrimenti impedita ai
sensi del diritto nazionale».
2. La risposta della Corte di Giustizia: il rispetto per la normativa sugli aiuti
di Stato …
La Corte di Giustizia, dopo aver ricostruito il quadro normativo inerente
alla quantità e qualità di controlli che gli organi comunitari e i giudici interni
sono chiamati ad esercitare sul rispetto della normativa relativa agli aiuti di
Stato2, ha ritenuto che quando una norma procedurale interna, ivi compresa
quella che stabilisce l’intangibilità degli effetti della cosa giudicata, inibisca
al giudice l’esercizio del potere di controllo che gli attribuisce il diritto
comunitario, consentendo la produzione di effetti ad una misura contraria alla
disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato, tale norma non può trovare
applicazione. La Corte, quindi, identifica un’eccezione alla regola della cosa
giudicata nel caso in cui l’applicazione della relativa regula iuris conduca, di
fatto, alla violazione dei divieti e dei limiti in materia di aiuti di Stato.
Per arrivare a questo risultato, la sentenza si articola in tre parti: a) la
ricostruzione del quadro normativo comunitario sugli aiuti di Stato ed il ruolo,
ed i poteri, del giudice interno; b) il rilievo della regola della cosa giudicata
nel e per il diritto comunitario, alla luce del principio dell’autonomia
processuale degli Stati membri, tenuto conto dei contro limiti fissati dai
principi comunitari di equivalenza ed effettività; c) la delimitazione delle
condizioni in presenza delle quali la cosa giudicata formatasi sulla validità ed
efficacia di un contratto interno deve essere disapplicata quando essa contrasti
con il diritto comunitario sugli aiuti di Stato.
a)Il quadro normativo sugli aiuti di Stato: i controlli.
2
Baldi, La disciplina comunitaria degli aiuti di Stato, Milano, 2016.
2
L’articolo 108, paragrafo 3, TFUE istituisce un controllo preventivo sui
progetti di nuovi aiuti che, ove autorizzati, si svolgeranno in modo
compatibile con la disciplina comunitaria sugli aiuti. Il potere di controllo
preventivo è attribuito alla Commissione e, fino a quando non provenga da
essa un via libera definitivo, al progetto di aiuti non potrà essere data
esecuzione 3 . Rispetto al ruolo istituzionale e generale svolto dalla
Commissione, ai giudici nazionali spetta un potere di controllo
complementare e di supporto, dal momento che essi sono chiamati a
salvaguardare i diritti dei singoli di fronte ad eventuali violazioni del divieto
fissato dal citato articolo 108 perpetrate dalle autorità statali, fino a che non
intervenga una decisione definitiva della Commissione sulla compatibilità
comunitaria degli aiuti previsti4. Il potere dei giudici nazionali di verificare,
prima di una decisione definitiva della Commissione, se un aiuto di stato
sussista e se esso non tenga conto della procedura di controllo preventivo
fissata dall’art. 108 citato, discende dall’effetto diretto riconosciuto al divieto
di esecuzione di progetti di aiuto, sancito da detta disposizione.
A questo proposito, la Corte ha specificato che l’immediata applicabilità del
divieto di esecuzione previsto da tale disposizione si estende a qualsiasi aiuto
che sia stato attuato senza essere notificato. 5 L’accertamento svolto dai
giudici nazionali nell’esercizio di questo potere di controllo temporaneo e
complementare è pieno, posto che, accertata la natura di aiuto di Stato
eseguito prima della decisione della Commissione, i relativi atti di esecuzione
devono essere dichiarati invalidi e gli eventuali aiuti finanziari elargiti devono
essere restituiti. A questo proposito, la Corte ha chiarito come “compito dei
giudici nazionali è adottare le misure idonee a porre rimedio all’illegittimità
dell’esecuzione degli aiuti, affinché il beneficiario non conservi la libera
disponibilità di questi ultimi per il tempo rimanente fino alla decisione della
Commissione”.6
Nell’esercitare questo potere di controllo, i giudici nazionali possono
adottare misure provvisorie, tanto di carattere conservativo (la sospensione
delle misure statali costituenti aiuti di Stato illegittimamente eseguiti), quanto
di carattere anticipatorio (l’ingiunzione della restituzione degli importi
riscossi impartita ai beneficiari degli aiuti illegittimi): più in generale, inerisce
3
Deutsche Lufthansa, C-284/12, EU:C:2013:755, punto 25 e punto 26 e giurisprudenza ivi
citata.
4
Ibid., punto 27 e punto 28 e giurisprudenza ivi citata.
5
Ibid., punto 29.
6
Ibid. punto 31.
3
alla giurisdizione dei giudici interni il potere di adottare ogni misura
provvisoria utile a non frustare l’utilità degli effetti finali della decisione della
Commissione, ove questa accerti che si tratti di misure incompatibili con la
disciplina comunitaria inerente agli aiuti di Stato. 7
3. (Segue) … tra giudicato ed effettività.
b)cosa giudicata interna e diritto comunitario
La questione pregiudiziale riguarda per l’appunto l’impossibilità di
dispiegamento pieno dei poteri del giudice nazionale, quando sulla misura
costituente un aiuto di stato si sia formato un giudicato relativo alla validità
ed efficacia di essa. Il giudicato, quindi, entra in gioco come limite
all’esercizio del potere di controllo complementare spettante al giudice
nazionale.
In termini generali, la Corte ha ribadito l’importanza che riveste il principio
dell’autorità di cosa giudicata, sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione sia
negli ordinamenti giuridici nazionali; “al fine di garantire sia la stabilità del
diritto e dei rapporti giuridici sia una buona amministrazione della giustizia,
è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo
l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini
previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione”8.
Da ciò discende, per un verso, che il conflitto tra cosa giudicata interna e
diritto comunitario non si risolve automaticamente disapplicando la prima, in
forza del principio di supremazia del secondo 9 , e, per altro verso, che le
modalità di attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata rientrano
nella competenza dell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in
virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi. I contro limiti
al dispiegarsi di detto principio di autonomia, costantemente ribaditi dalla
giurisprudenza della Corte, consistono nell’obbligo degli Stati di prevedere
modalità identiche di disciplina tra fattispecie ove rilevi il diritto comunitario
e fattispecie ove rilevi il dritto interno (principio di equivalenza) e
7
Ordinanza Flughafen Lübeck, C-27/13, EU:C:2014:240, punto 26.
v. sentenze Fallimento Olimpiclub, C-2/08, EU:C:2009:506, punto 22, e Târșia, C-69/14,
EU:C:2015:662, punto 28.
8
9
Sentenze Kapferer, C-234/04, EU:C:2006:178, punto 22; Fallimento Olimpiclub, C-2/08,
C:2009:506, punto 23; Commissione/Repubblica slovacca, C-507/08, EU:C:2010:802, punto
60; Impresa Pizzarotti, C-213/13, EU:C:2014:2067, punto 59, e Târșia, C-69/14,
EU:C:2015:662, punto 29.
4
nell’ulteriore obbligo di conformare le modalità procedurali interne in modo
da non rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio
dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di
effettività).10
Così definiti i principi generali che devono orientare le scelte interpretative
ed applicative dei giudici nazionali, la Corte ha precisato altresì che, come
per qualsiasi norma interna, anche la regola processuale della cosa giudicata
deve essere interpretata ed applicata secondo il criterio della interpretazione
conforme al diritto comunitario, sì da privilegiare il significato della
disposizione, tra i diversi dalla stessa suscettibili di esser tratti, più rispettoso
del diritto comunitario e delle sue finalità. In particolare, con riferimento alla
cosa giudicata formatasi in materia contrattuale, la Corte ha sollecitato i
giudici nazionali a verificare, prima di giungere alla conclusione del conflitto
tra questa e la normativa sugli aiuti di stato, se non sia possibile adottare una
misura provvisoria consistente nella sospensione dell’efficacia dei contratti,
almeno fino a quando la Commissione, investita della questione, non si sia
pronunciata. Secondo il giudice nazionale tedesco, tuttavia, la regola della
cosa giudicata delineata dal codice di procedura civile tedesco non sarebbe
suscettibile di essere applicata in modo conforme al diritto comunitario. In
particolare, come si è visto, e con regola comune a molti ordinamenti
giuridici, tanto di civil law quanto di common law, il giudicato copre non solo
le questioni che sono state decise dall’autorità giudiziaria su richiesta delle
parti o d’ufficio a seguito di trattazione nel processo, ma anche tutti quei
profili che, non espressamente affrontati, avrebbero potuto e dovuto, in
quanto presupposti logici della decisione, essere dedotti. Sinteticamente,
come è noto, si afferma che il giudicato estende i suoi effetti di stabilizzazione
della regola concreta fornita al rapporto controverso al dedotto e al deducibile.
Nel caso di specie, la regola del giudicato così configurata avrebbe impedito
di riconsiderare le statuizioni giudiziali inerenti alla validità dei contratti,
anche con riferimento alla questione degli aiuti di Stato, sebbene essa non
fosse mai stata dedotta dalle parti né esaminata in altro modo dall’autorità
giudiziaria: la permanenza in vita dei contratti costituendo, in tal modo,
violazione dell’art. 108 par. 3 TFUE non altrimenti superabile se non
derogando alla regola sugli effetti della cosa giudicata.
10
V., in tal senso, sentenze Fallimento Olimpiclub, C-2/08, EU:C:2009:506, punto 24, nonché
Impresa Pizzarotti, C-213/13, EU:C:2014:2067, punto 54 e giurisprudenza ivi citata. Nella
sentenza in commento, la Corte ha ancora una volta riaffermato la necessità che “ciascun
caso in cui si pone la questione se una norma processuale nazionale renda impossibile o
eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione deve essere esaminato tenendo
conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle
peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sotto tale profilo, si
devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale
nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il
regolare svolgimento del procedimento”.
5
c)La disapplicazione della cosa giudicata: ratio e limiti
Interpretata nei termini ora indicati, la regola interna della cosa giudicata,
ha concluso la Corte, rende sostanzialmente inattuabile l’obbligo gravante sui
giudici interni di garantire il rispetto dell’articolo 108, paragrafo 3, terza frase,
TFUE. A questo proposito, la Corte ha evidenziato anzi il rischio di un
utilizzo abusivo della regola della cosa giudicata, ogni qualvolta che una parte
si avvalga degli effetti di essa in una controversia concernente la compatibilità
di un atto interno, contrattuale o amministrativo, con la normativa sugli aiuti
di Stato: “infatti, ne deriverebbe che sia le autorità statali sia i beneficiari di
un aiuto di Stato potrebbero aggirare il divieto di cui all’articolo 108,
paragrafo 3, terza frase, TFUE, ottenendo, senza invocare il diritto
dell’Unione in materia di aiuti di Stato, una sentenza dichiarativa il cui
effetto consentirebbe loro, in definitiva, di continuare ad attuare l’aiuto in
questione per diversi anni. Così, in un caso come quello oggetto del
procedimento principale, la violazione del diritto dell’Unione si
riprodurrebbe a ogni nuova fornitura di legname, senza che sia possibile
porvi rimedio”.
In aggiunta alla conseguenza di una irrimediabile violazione del diritto
comunitario, la Corte ha significativamente individuato un ulteriore effetto
distorsivo della corretta applicazione del diritto dell’Unione. In effetti, ove
alla regola della cosa giudicata venga attribuita l’estensione sopra descritta,
ad essere compromessa sarebbe in radice la competenza esclusiva spettante
alla Commissione di stabilire, con decisione definitiva, se una misura interna
costituente aiuto di Stato sia o meno compatibile con il diritto dell’Unione:
ed infatti, “qualora la Commissione, cui la Repubblica federale tedesca ha
nel frattempo notificato la misura d’aiuto che sarebbe costituita dai contratti
di cui trattasi, dovesse ravvisare la sua incompatibilità con il mercato interno
e ordinare il suo recupero, l’esecuzione della sua decisione sarebbe destinata
a fallire se fosse possibile opporle una decisione giurisdizionale nazionale
che dichiara «in vigore» i contratti che prevedono tale aiuto”.
La Corte ha quindi preso atto dell’incompatibilità insuperabile tra regola
della cosa giudicata così delineata e diritto comunitario, in particolare
l’articolo 108, paragrafo 3, terza frase, TFUE, ed ha indotto dal principio di
effettività il limite al pieno dispiegamento dell’autonomia procedurale interna
nella identificazione del contenuto della regola della cosa giudicata. Se il
giudicato copre il dedotto ed il deducibile, e se ciò osta a riconsiderare una
decisione interna sulla validità di un contratto che contrasta con la normativa
sugli aiuti di Stato, con ciò inibendo il potere di controllo complementare
spettante ai giudici interni, anche se nella controversia decisa da una
precedente sentenza mai sia stata sollevata la questione della compatibilità
con la normativa degli aiuti di Stato, allora ciò comporta la creazione di un
ostacolo all’applicazione effettiva del diritto dell’Unione e, in particolare,
6
delle norme in materia di controllo degli aiuti di Stato, che non può essere
ragionevolmente giustificato dal principio della certezza del diritto.
La Corte ha quindi concluso che “alla luce di tutte le considerazioni che
precedono, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che il
diritto dell’Unione osta, in circostanze come quelle di cui al procedimento
principale, a che l’applicazione di una norma di diritto nazionale volta a
sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata impedisca al giudice
nazionale, il quale abbia rilevato che i contratti oggetto della controversia
sottopostagli costituiscono un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107,
paragrafo 1, TFUE, attuato in violazione dell’articolo 108, paragrafo 3, terza
frase, TFUE, di trarre tutte le conseguenze di questa violazione a causa di
una decisione giurisdizionale nazionale, divenuta definitiva, con cui, senza
esaminare se tali contratti istituiscano un aiuto di Stato, è stata dichiarata la
loro permanenza in vigore”.
4.La regola della cosa giudicata dinanzi alla Corte di Giustizia: tra supremazia
del diritto comunitario e autonomia procedurale interna “limitata”.
La Corte di Giustizia ha avuto modo a più riprese e a fronte di fattispecie
assai diverse di occuparsi degli effetti della cosa giudicata interna in relazione
al rispetto del diritto comunitario. Il relativo discorso giuridico si muove e si
sviluppa intorno a tre categorie concettuali fondamentali, come pure la
decisione in esame dimostra: la certezza del diritto, che il principio di
intangibilità della cosa giudicata assicura, la legittimità degli atti giuridici
comunitari e interni alla stregua del diritto comunitario e, infine, il principio
di autonomia procedurale. Dall'articolazione di queste tre categorie derivano
le soluzioni volta a volta prospettate dalla Corte in relazione alla esistenza di
limiti alla regola della irretrattabilità della cosa giudicata, così come delineata
dai singoli Stati membri.
E' bene ribadire che agli Stati spetta di definire le procedure interne non
direttamente regolate dal diritto comunitario, come la Corte, a partire dal noto
caso Rewe, ha ripetutamente confermato, purché i regimi interni rispettino i
limiti esterni dettati dai principi sopra discussi di equivalenza ed effettività.11
E' opportuno, quindi, verificare in quali casi ed a che condizioni la Corte
abbia ritenuto sacrificabile il principio di certezza del diritto e la regola della
Caso 33/76, Rewe, 1976, ECR 1989, para.5: “in the absence of relevant Community rules, the
detailed procedural rules designed to ensure the protection of the rights which individuals
acquire under Community law are a matter for the domestic legal order of each member state,
under the principle of the procedural autonomy of the member states, provided that they are
not less favourable than those governing similar domestic situations (principle of
equivalence) and that they do not render impossible in practice or excessively difficult the
exercise of rights conferred by the Community legal order (principle of effectiveness)”.
11
7
cosa giudicata al fine di garantire la legittimità di atti e comportamenti interni
degli Stati membri in base al diritto comunitario.12
I casi decisi concernono, in specie, i limiti fissati dalla Corte all'operatività
piena della regola della cosa giudicata, limiti che hanno natura e portata
differenti.
Un primo limite deriva dal caso in cui le corti interne supreme abbiano
interpretato ed applicato il diritto interno in modo non conforme al diritto
comunitario, non sollevando questione pregiudiziale alcuna dinanzi alla Corte
di Giustizia, ed emanando una decisione definitiva. La cosa giudicata
impedisce di riaprire la controversia e di riesaminare i presupposti di fatto e
di diritto della decisione in modo da rimediare all’errore giudiziario
commesso dalle corti di ultima istanza. Tuttavia, questo effetto limitante non
può mai esonerare gli Stati membri da responsabilità, anche risarcitoria, per
violazione del diritto comunitario commessa attraverso l’azione degli organi
giudiziari interni di ultima istanza. Tale responsabilità può e deve essere
affermata soltanto nel caso in cui l’errore in cui sia incorso il giudice interno
sia manifesto, e non anche quando ci si trovi di fronte ad interpretazioni
opinabili, le quali rientrano nell’esercizio fisiologico della funzione
giudiziaria, che deve essere conservato integralmente autonomo.13
Un secondo limite alla intangibilità della regola posta dalla res judicata
deriva dal caso in cui essa impedisce la piena applicazione del diritto
comunitario, provocando effetti di (attuale o potenziale) violazione di
quest’ultimo di intensità diversificata. A questo riguardo, la Corte adotta un
approccio differente a seconda della tipologia di violazione del diritto
comunitario derivante dal rispetto della regola della cosa giudicata, tenendo
conto tanto del settore del diritto comunitario violato, quanto degli effetti della
violazione. In specie, la risposta della Corte si muove, in termini generali,
intorno alla conferma dell’importanza della regola della cosa giudicata
interna ai fini di certezza del diritto, sicché spetta agli Stati membri di
disciplinare l’istituto in base al principio di autonomia processuale.
Nell’esercizio del potere derivante agli Stati membri dal principio ora
richiamato, vengono in gioco i limiti al dispiegarsi di esso, sanciti dai principi
di equivalenza ed effettività.
Secondo questa prima risposta generale della Corte, quindi, la regola della
cosa giudicata deve essere rispettata, a meno che, scartata la possibilità di una
12
Per una disamina complessiva e ragionata dei principi richiamati, e della prassi giudiziale
della Corte di Giustizia in materia di giudicato interno, v. Groussot e Minssen, Res Judicata
in the Court of Justice Case – Law: Balancing Legal Certainty with Legality?, in European
Constitutional Law Review, 2007 Issue 3, p. 385 e ss.; Hortlep, Verhoeven, The principle of
primacy versus the principle of national procedural autonomy, rinvenibile su
http://www.nall.nl/tijdschrift/nall/2012/06/NALL-D-12-00003.
Caso C-224/01, Kobler, 2003, ECR I – 10139; Caso C – 173/03, Traghetti del Mediterraneo,
2006, ECR I-5177.
13
8
interpretazione conforme al diritto comunitario, la sua applicazione sia in non
rimediabile contrasto con detti principi, sia perché venga a crearsi una
disparità di trattamento tra fattispecie di diritto interno e fattispecie ove rilevi
il diritto comunitario (violazione del principio di equivalenza), sia perché si
frustri definitivamente l’esercizio di diritti garantiti dall’ordinamento
comunitario (violazione del principio di effettività).
La Corte di Giustizia aveva dato avvio ad una prassi giudiziaria favorevole,
a certe condizioni, a non applicare il principio di certezza del diritto, onde
favorire il concorrente principio di legalità comunitaria degli atti interni, con
riferimento (non alle sentenze interne ma) alle decisioni amministrative. Nel
caso Kuhne & Heitz, in effetti, pur ribadendo la importanza della definitività
delle decisioni amministrative interne al fine di garantire la certezza dei
rapporti giuridici, la Corte ritenne che il rispetto del diritto comunitario,
attraverso il ricorso al principio di leale cooperazione tra Comunità e Stati
membri, potesse legittimare la richiesta del privato di rivedere una decisione
amministrativa, quando questa si fosse rivelata in contrasto con
l'interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di Giustizia dopo
che la decisione amministrativa fosse divenuta definitiva, purché il diritto
interno prevedesse un potere di revisione e la richiesta di revisione fosse
avanzata in tempi ragionevolmente brevi a seguito della sentenza della Corte
di Giustizia dalla quale appunto derivasse il contrasto tra decisione
amministrativa interna e diritto comunitario 14 . La decisione, tuttavia, non
invocava espressamente il principio di autonomia procedurale degli Stati ed i
limiti discendenti dai principi di equivalenza ed effettività. Nel successivo
caso i-21 and Arcor, invece, la Corte, escludendo che nel caso di specie
l'intangibilità della decisione amministrativa violasse i principi di equivalenza
ed effettività, confermò che, in linea di principio, le decisioni amministrative
interne potessero essere sottoposte a revisione per sopravvenuto contrasto con
il diritto comunitario, lasciando tuttavia agli Stati di inibire la riapertura del
procedimento con regole procedurali interne rispettose dei più volte
richiamati principi.15
Esiste tuttavia una risposta ulteriore data dalla Corte di Giustizia che, in
luogo del principio di autonomia processuale degli Stati membri, invoca la
supremazia del diritto comunitario sul diritto interno, anche quando si tratti
degli effetti della cosa giudicata e della conseguente disapplicazione della
relativa regola. Questo specifico approccio fondato sul principio di
supremazia è stato seguito dalla Corte quando la regola della cosa giudicata
portava a frustrare gli obiettivi di un settore strategico del diritto comunitario,
qual è la regolamentazione degli aiuti di Stato, ovvero produceva l’alterazione
di competenze inderogabili degli organi comunitari. La differenza tra i due
approcci è evidente, e la loro relazione è di specie a genere. Infatti,
Kuhne & Heitz, 2004, ECR I – 10239.
14
15
Casi riuniti C-392/04 e C-422/04, i-21 and Arcor [2006] ECR I-8859.
9
generalmente la Corte ribadisce l’autonomia procedurale degli Stati e
mantiene ferma la regola della cosa giudicata. Ove la regola operi, però,
violando i principi di equivalenza ed effettività, essa in tutto o in parte va
disapplicata, a seguito di un’analisi del caso concreto che escluda alternative
a tale disapplicazione. Invece, quando il contrasto con il diritto comunitario
concerne un settore di primaria importanza ovvero produca l’alterazione di
competenze inderogabili degli organi comunitari, l’autonomia procedurale
degli Stati regredisce e la regola della cosa giudicata soccombe di fronte alla
diretta, assorbente applicabilità del diritto comunitario in forza del principio
di supremazia di questo.
5.Gli aiuti di Stato e giudicato contrattuale di nullità.
La sentenza della Corte di Giustizia induce, infine, a qualche considerazione
in ordine allo sviluppo del tema del giudicato interno in materia contrattuale
cui abbiamo assistito negli ultimi anni, con ben due arresti a sezioni unite
della Corte di Cassazione16. E’ bene ribadire il caso di specie da cui l’arresto
dei giudici di Lussemburgo trae origine: un giudicato implicito sulla “non
nullità” ovvero sulla validità di un contratto, formatosi a seguito di
un’accertata permanenza in vigore del contratto stesso (in conseguenza
dell’accertamento dell’infondatezza dell’inadempimento contestato dal Land
all’impresa). Si fa qui volutamente riferimento alla categoria del giudicato
implicito sulla “non nullità” del contratto, poiché, come è noto, è espressione
centrale nelle indicate sentenze italiane di legittimità e nel dibattito dottrinale
che ne è scaturito. Con un primo arresto a sezioni unite risalente al 2012, la
Corte di Cassazione, in effetti, aveva affermato che ogni qualvolta il giudice
accolga una domanda di risoluzione del contratto per inadempimento si forma
un giudicato implicito sulla “non nullità”, cioè sulla validità del contratto.
Diversamente, quando il giudice, esercitando il suo potere di ufficio, rilevi
una causa di nullità, egli dovrà rigettare la domanda di risoluzione: in tal caso,
in assenza di domanda di parte, non si formerà alcun giudicato, neppure
implicito, sulla nullità del contratto. Ed infatti, la massima recita che “Alla
luce del ruolo che l'ordinamento affida alla nullità contrattuale, quale
sanzione del disvalore dell'assetto negoziale e atteso che la risoluzione
contrattuale è coerente solo con l'esistenza di un contratto valido, il giudice
di merito, investito della domanda di risoluzione del contratto, ha il poteredovere di rilevare dai fatti allegati e provati, o comunque emergenti "ex
actis", una volta provocato il contraddittorio sulla questione, ogni forma di
nullità del contratto stesso, purché non soggetta a regime speciale (escluse,
quindi, le nullità di protezione, il cui rilievo è espressamente rimesso alla
volontà della parte protetta); il giudice di merito, peraltro, accerta la nullità
"incidenter tantum" senza effetto di giudicato, a meno che sia stata proposta
16
Ci si riferisce, rispettivamente, a Corte di Cassazione SS.UU. 4 settembre 2012 n. 14828 e
12 dicembre 2014 n. 26242/26243.
10
la relativa domanda, anche a seguito di rimessione in termini, disponendo in
ogni caso le pertinenti restituzioni, se richieste”. La soluzione non aveva però
soddisfatto né la giurisprudenza, né la dottrina, soprattutto perché mentre, in
caso di accoglimento della domanda di risoluzione, il precedente logicogiuridico costituito dalla validità del contratto entrava a far parte del
giudicato, nel caso di rigetto per accertata nullità, il medesimo antecedente
logico-giuridico (comunque inerente alla valutazione di validità o non validità
del contratto) restava fuori dal perimetro del giudicato, a meno che non vi
fosse una domanda espressa di parte. Sul punto, è pertanto nuovamente
intervenuta la Corte a sezioni unite nel 2014, onerando il giudice di rilevare
sempre d’ufficio le cause di nullità, potendo esse essere soltanto rilevate
oppure anche dichiarate in motivazione e/o nel dispositivo, con ciò
determinandosi un giudicato sulla nullità del contratto anche in mancanza di
una domanda di parte (necessaria solo per la dichiarazione della nullità
quando si tratti di cd. nullità di protezione). Vi sono tuttavia casi in cui il
giudice non rileva né dichiara la nullità perché la controversia è rapidamente
definibile in forza di diverse ragioni (prescrizione, adempimento): quando,
per ragioni di economia processuale, la decisione si fondi sulla ragione più
liquida, non vi è spazio alla formazione del giudicato.17 Ebbene, come può
apprezzarsi dalla pur assai breve disamina del rapporto tra giudicato e nullità
nell’attuale configurazione dell’ordinamento italiano, può affermarsi che la
regola del giudicato implicito inerisce alla deducibilità delle cause di nullità
del contratto, nel senso che ove queste non vengano sollevate dalle parti né
rilevate dal giudice, e questi risolve la questione nel merito, e non in base alla
ragione più liquida, effettivamente si forma un giudicato sulla non nullità,
cioè sulla piena validità del contratto. Ne deriva che la sentenza della Corte
di Giustizia, proprio a seguito dell’ultimo arresto a sezioni unite innanzi
citato, ci pone di fronte alla necessità di apportare una deroga al tema del
giudicato sulla nullità o validità contrattuale, allo stesso modo che
nell’ordinamento tedesco, quando oggetto dell’accertamento di nullità sia la
conformità di un contratto alla disciplina degli aiuti di Stato.
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Sul punto, ci limitiamo alla efficace disamina di Pagni, Il sistema delle impugnative
negoziali dopo le Sezioni Unite, in Giurisprudenza Italiana, 2015, p. 71.
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