Il falso valutativo tra voluntas e ratio legis

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Il falso valutativo tra voluntas e ratio legis
Il falso valutativo tra voluntas e
ratio legis
“Accounting” di Damian Gadal, licenza CC BY 2.0, www.flickr.com
1. Introduzione
Il 31 marzo 2016, in esito a decisione camera di consiglio, la Suprema Corte
di Cassazione ha dato risposta affermativo al quesito posto con l’ordinanza
del 2 marzo [1], con la quale veniva richiesto ai giudici di piazza Cavour di
rispondere “se, ai fini della configurabilità del delitto di false
comunicazioni sociali, abbia tuttora rilevanza il falso ‘valutativo’ pur dopo
la riforma di cui alla legge n. 69 del 2015 [2]”.
In particolare, nell’informazione provvisoria si afferma, con conclusioni
conformi del Procuratore generale, che “sussiste il delitto di false
comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di
fatti oggetto di “valutazione”, se, in presenza di criteri di valutazione
normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente
da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata
informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in
errore i destinatari delle comunicazioni”.
Per meglio comprendere la portata della decisione de quo, è opportuno
ripercorrere brevemente le tappe nell’evoluzione del falso valutativo e della
sua punibilità, approfondendo, nei limiti del presente intervento, gli ultimi
arresti giurisprudenziali in materia.
2. Breve cronistoria del dettato normativo [3]
Le modifiche della norma sanzionatrice del falso in bilancio hanno il pregio
di fornire non solo un dato meramente storico, ma di apportare altresì dati
fondamentali sul versante ermeneutico, potendo l’interprete attraverso di
esse ricostruire la ratio immanente alle differenti formulazioni.
Sin a partire dal codice di commercio Zanardelli del 1882, al quale sul punto
aderì sostanzialmente la L. 669 del 1931, si decise di ritenere punibili i
“fatti falsi” apposti in bilancio.
A tale locuzione seguì quella di “fatti non rispondenti al vero” di cui al
codice civile del 1942 e, sessant’anni dopo, “fatti materiali non rispondenti
al vero ancorché oggetto di valutazione”, introdotta dalla l. n. 61 del 2002
[4], passandosi, in tal modo, da un diritto penale del pericolo alla sanzione
dei comportamenti dannosi in concreto [5].
Si è sottolineato [6], in tema, come il legislatore abbia avvertito la
necessità di non espungere dal testo le poste valutative, atteso che tale
operazione avrebbe comportato una sostanziale abrogazione del reato, poiché
il bilancio si compone, in maggior parte, proprio di esse [7].
Da ultimo, con gli articoli da 9 a 11 della L. 69 del 2015 si è deciso, nel
riformare l’intera disciplina del falso in bilancio, di elidere il
riferimento alle valutazioni, riformulando gli artt. 2621 e 2622 cod. civ. e
giungendo all’espressione “fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero”
[8].
Sulla scelta del legislatore e sulle conseguenze di essa sull’area
applicativa delle norme menzionate si è aperto un acceso dibattito in
dottrina, che ha visto contrapporsi coloro che negavano portata innovativa
della caducazione del sintagma e quelli che, al contrario, vi leggevano
un’espressa volontà di restringere il novero delle condotte di rilevanza
penale.
Ad esso si è accompagnata, coeva, una certa ambiguità della Suprema Corte, il
cui orientamento, come si vedrà, ha subito un andamento alquanto altalenante
[9].
3. Il dibattito in dottrina….
Il “pomo della discordia” riposa non tanto, o per lo meno non solo, nella
mancata inclusione delle valutazioni quali possibili condotte punibili, ma
piuttosto nel rapporto epistemologico [10] di queste con i “fatti”, ossia
l’apparente paradosso fra la necessità di ancorare il falso a dati oggettivi
e l’ineludibile presenza di una componente estimativa del bilancio.
Al riguardo, seppur una parte della dottrina [11] ha proposto
un’interpretazione molto restrittiva del termine “fatti” sin ad escludendo
dagli stessi le valutazioni, si è rivelata di gran lunga prevalente
l’opinione di coloro che hanno ritenuto che queste vi rientrino [12].
Vale sin da subito distinguere gli enunciati valutativi da quelli meramente
descrittivi: mentre questi ultimi si limitano ad esprimere la realtà di fatto
quale essa appare ex se e sono suscettibili di rispondere unicamente a
criteri di vero o falso, i primi contengono un quid pluris, una ineliminabile
componente soggettiva, consistente nel giudizio prognostico risultante
dall’applicazione di criteri fissi, siano essi obiettivi o meno.
Pacifica l’esclusione delle valutazioni meramente soggettive dall’area del
penalmente rilevante [13], ci si è interrogati circa le stime dei bilanci
formate in applicazione di strumenti tecnico-scientifici oggettivamente
apprezzabili.
Al fine di dare soluzione a tale quesito, è risultato necessario fornire in
prima battuta chiarimenti circa l’attributo “materiali”, ovverosia se esso si
ponga in contrasto con il concetto stesso di “valutazione”.
Due gli argomenti individuati da parte della dottrina, vigente la disciplina
del 2002, a sostegno della tesi contraria: in primis, la congiunzione
“ancorché” ha evidente senso concessivo, e non avversativo, significando che
i fatti materiali sono ricompresi nell’area operativa della norma anche se
essi siano stati oggetto di valutazioni.
In secundis, la previsione di soglie quantitative di punibilità, stabilite al
10%, sotto le quali le valutazioni non vanno considerate penalmente illecite:
se ne deduce, per argomento a contrario, che quelle superiori alla soglia non
si sottraggano ad un giudizio di disvalore.
In tal senso, la formula “ancorché oggetto di valutazioni” è pertanto
funzionale ad esplicitare l’operatività della sanzione, da cui non possono
essere in alcun modo esentati i giudizi estimativi.
Si è portato ad esempio [14] la formulazione del reato di omicidio nei
seguenti termini: “chiunque cagiona la morte di un uomo ancorché anziano e
malato”.
È di palmare evidenza che l’elisione del riferimento ai soggetti anziani e
malati non muti in alcuna sua parte l’ambito dell’illecito in parola,
risultando questo una semplice specificazione o, al più, un chiarimento della
formula generale.
Analogamente, l’inciso in tema di false valutazioni in nulla modifica il
reale ambito applicativo degli artt. 2621 e 2622 cod. civ. e, in ossequio a
tale impostazione ermeneutica, va ritenuta priva di effetti la caducazione
operata dalla L. 69/2015.
Allo stesso modo si può dire che l’attributo “materiali” abbia meramente la
funzione di esiliare dall’ambito di rilevanza penale le valutazioni di natura
soggettiva [15], ossia i giudizi prognostici che non si attagliano a criteri
scientifici od oggettivi.
Né si può invocare a supporto della tesi contraria la sopravvivenza della
formula di cui all’art. 2638 cod. civ., da molti indicata a dimostrazione
della volontà del legislatore di separare nettamente i destini delle due
previsioni normative.
4. ….e in giurisprudenza
Sul versante giurisprudenziale, la sorte del falso valutativo ha vissuto
stagioni contrastanti, attestandosi la V sezione della Corte di Cassazione
ora sull’una, ora sull’altra posizione ermeneutica.
Nell’immediatezza dell’entrata in vigore della L. 69/2015, la Cassazione
aveva sostenuto, con la sentenza 33774/15 (ricorrente Crespi) [16], la tesi
della non punibilità del falso valutativo, stabilendo che “il dato testuale e
il confronto con la previgente formulazione degli artt. 2621 e 2622, […] in
una disarmonia con il diritto penale tributario e con l’art. 2638 cod. civ.,
sono elementi indicativi della reale volontà legislativa di far venir meno la
punibilità dei falsi valutativi”.
A fondamento di tale affermazione [17], la Corte argomentava che l’attributo
“materiali”, in uno con l’omissione del riferimento alle valutazioni, fosse
volto a circoscrivere l’oggetto della condotta attiva, in analogia a quanto
operato con la L. 154 del 1991 in relazione al reato di frode fiscale di cui
all’art. 4 lett. f) della L. 516 del 1982.
Con specifico riguardo al mantenimento, all’art. 2638 cod. civ., del
riferimento alle valutazioni, la Corte affermava che “una lettura ancorata al
canone interpretativo “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit” non può
trascurare la circostanza dell’inserimento di modifiche normative in un
sistema che riguarda la rilevanza penale delle attività societarie con una
non giustificata differenziazione dell’estensione della condotta tipizzata in
paralleli ambiti operativi, quali sono quelli degli articoli 2621 e 2622 cod.
civ., da una parte, e art. 2638 cod. civ, dall’altra, norme che, sebbene
tutelino beni giuridici diversi, sono tutte finalizzate a sanzionare la frode
nell’adempimento dei doveri informativi”.
Tuttavia, rinnegando l’immediato precedente [18], la Suprema Corte ha
ribaltato la propria posizione con la sentenza 890/2015 [19] (ricorrente
Giovagnoli), affermando la sussistenza della rilevanza penale del falso
valutativo [20].
Nelle motivazioni in diritto i giudici di piazza Cavour negano la fondatezza
delle lagnanze del ricorrente (fra le quali il richiamo alla sentenza
“Crespi”), statuendo in primis l’irrilevanza della sussistenza effettiva di
crediti, se questi, inesigibili in concreto, avessero ricevuto una falsa
rappresentazione nei bilanci di esercizio. Viene difatti evidenziato che ciò
che assume consistenza è piuttosto la “inveritiera esposizione delle
componenti positive di reddito, in uno ad altri “artifici” contabili, […]
finalizzata a consentire alla società di continuare ad offrire […] una falsa,
rassicurante, rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria”
[21].
Sullo specifico punto della rilevanza, sul versante sostanziale,
dell’espunzione dei fatti valutativi, la Cassazione, preso atto del dettato
di cui all’art. 12 preleggi, ritiene doversi ricorrere, oltre al canone
letterale, a quelli logico-sistematico e teleologico [22].
Dal punto di vista testuale, censurato lo “scarso tecnicismo” legislativo (e
l’irrilevanza della volontà del “legislatore di turno” a fronte del
significato “storicizzato” della norma), si afferma non sia revocabile in
dubbio come la rimozione della formula “ancorché oggetto di valutazioni” non
“possa, di per sé, assumere alcuna rilevanza decisiva”, stante il valore
concessivo della congiunzione “ancorché”, con funzione “ancillare, meramente
esplicativa e chiarificatrice del nucleo sostanziale della proposizione
principale”.
Tale precisazione, a parere della Suprema Corte, è, difatti, assolutamente
opportuna, “onde fugare possibili dubbi (agitati in sede interpretativa) che
nei fatti materiali” siano da ricomprendersi “anche quelli oggetto di
valutazione”.
In conclusione, “la proposizione concessiva ha […] funzione prettamente
esegetica e, di certo, non additiva, di talché la sua soppressione nulla può
aggiungere o togliere al contesto semantico di riferimento”.
Come spiegarsi dunque l’intervento legislativo?
Esso sarebbe, in ossequio alla motivazione della sentenza, un intervento di
semplice alleggerimento del “precipitato normativo”, il cui scopo sarebbe
stato quello di espungere una precisazione “reputata superflua”, “mera
superfetazione linguistica”.
Nell’iter argomentativo della V sezione, l’analisi logico-sistematica non fa
che corroborare la tesi dell’ininfluenza dell’elisione.
In primo luogo, i termini “materiali” e “rilevanti” devono trovare la loro
corretta origine nella “trasposizione letterale di formule lessicali in uso
nelle scienze economiche anglo-americane e, soprattutto, nella legislazione
comunitaria”, e vanno considerati termini “squisitamente tecnici e non
comuni” [23]. La loro lettura secondo la comune accezione condurrebbe,
pertanto, ad un “macroscopico errore di prospettiva”.
Sul punto, la Cassazione si dilunga nel corretto inquadramento di ciascuno
dei lemmi menzionati, conducendo un’approfondita ricognizione delle origini e
delle precipue caratteristiche di entrambi, concludendo che “materiale” vada
assunto a sinonimo di “essenzialità” quale criterio guida nella redazione del
bilancio, “dovendo trovare ingresso [in quest’ultimo] – ed essere valutati –
solo dati informativi essenziali ai fini dell’informazione, restandone fuori
tutti i profili marginali”.
“Rilevante”, invece, è termine “di stretta derivazione dal lessico della
normativa comunitaria” (art. 2, punto 16, della Direttiva 2013/34/UE),
assumendo rilevanza l’informazione “quando la sua omissione o errata
indicazione potrebbe ragionevolmente influenzare le decisioni prese dagli
utilizzatori sulla base del bilancio dell’impresa”.
È pertanto “rilevante” il dato informativo che, in rapporto alle singole voci
e nel contesto dell’insieme di esse, non è fuorviante. Il medesimo, quale
criterio per il giudice nella determinazione del coefficiente di
significatività, permette poi di ovviare alla soppressione, con l’intervento
del 2015, delle soglie di punibilità.
Si riscopre dunque il reale valore della materialità e rilevanza dei fatti
economici che, “lungi dal costituire ridondante endiade”, trovano la loro
precipua funzione nell’essere criteri di redazione del bilancio quale
corretto veicolo informativo.
La Suprema Corte passa poi ad evidenziare come, in tale prospettiva, il lemma
“fatto” non possa e non debba essere degradato al significato che esso ha nel
linguaggio comune (“fatto/evento del mondo fenomenico”) ma quale –
nell’accezione tecnica – dato informativo della realtà che “i bilanci e le
altre comunicazioni, obbligatorie per legge, sono destinati a proiettare
all’esterno”. La scelta del legislatore di non utilizzare il più immediato
termine “informazione” si spiega, secondo questa lettura, con la necessità di
assicurare, attraverso la maggiore flessibilità che la nozione di “fatto” può
assicurare in relazione alle altre comunicazioni, oltre al solo bilancio.
Ma giungendo al punto di maggior interesse, la Cassazione rimarca
innanzitutto come il falso non possa in alcun modo riferirsi ai fatti, poiché
questi, ontologicamente, rilevano solo nell’alternativa fra esistenza o non
esistenza, mentre esso vada propriamente riferito alla rappresentazione che
dei fatti è data.
La Suprema Corte passa poi al peculiare caso della falsa rappresentazione di
fatti oggetto di valutazione, evidenziando come il bilancio sia in maggior
parte composto di “enunciati estimativi o valutativi, frutto di operazione
concettuale consistente nell’assegnazione a determinate componenti (positive
o negative) di un valore, espresso in grandezza numerica”.
È quindi opinione della Cassazione che possa configurarsi come falso punibile
– in analogia alla materia del falso ideologico [24] – l’elusione dei criteri
“predeterminati dalla legge [positivamente determinati dalla disciplina
civilistica] ovvero da prassi universalmente accettate” con i quali la
rappresentazione valutativa debba parametrarsi o, alternativamente, con
“l’applicazione di metodiche di metodiche diverse da quelle espressamente
dichiarate”, conducendo entrambe le condotte alla discordanza dal “vero
legale”.
Dopo un ulteriore revirement della tesi opposta [25], in gran parte aderendo
alle argomentazioni proposte dalla sentenza Crespi, è intervenuta, come si è
già detto, l’ordinanza delle SS.UU. del 2 marzo 2016, n. 676 [26], la quale
ha definitivamente consacrato l’orientamento favorevole a riconoscere la
punibilità del falso valutativo, smentendo l’ipotesi restrittiva.
5. Conclusioni
Come è stato sottolineato [27], è illusorio escludere la rilevanza penale
delle valutazioni sulla base dell’evoluzione del dato letterale: è di
immediata evidenza come tale affermazione trovi un momento di frizione con
l’essenza stessa del bilancio, in cui l’aspetto estimativo assume,
fisiologicamente, primazia.
L’aspetto numerico, infatti, in quanto rappresentativo degli accadimenti
nella vita dell’impresa, è in gran parte refrattario ad essere descritto in
termini oggettivi, assumendo altresì primaria importanza la componente
estimativa, attraverso l’applicazione, in seno all’organo redattore del
bilancio, di criteri contabili.
Ma l’attribuzione del valore economico a “fatti”, considerata la
polifunzionalità del bilancio e l’opinabilità delle cifre ivi iscritte,
presenta caratteri di notevole incertezza [28]: è qui dunque che entra in
gioco la ratio della norma, ossia la garanzia che il patrimonio societario
venga correttamente rappresentato, eliminando “l’asimmetria informativa”
[29], ai soggetti che con la società abbiano un rapporto patrimoniale o
intendano averlo, id est i soci ed il “pubblico” (i creditori ed i terzi che
vi abbiano un qualche interesse, quali ad es. i finanziatori).
Questa funzione di tutela può essere garantita solo dalla trasparenza –
fairness – della pubblicità della situazione economica, finanziaria e
patrimoniale, quale veicolata dal bilancio, ossia il principale strumento
informativo nei rapporti fra la società e l’audience.
Si deve parlare più correttamente, pertanto, di rappresentazione veritiera:
regola richiamata, in uno con il principio di chiarezza, nelle clausole
generali che sovrintendono la disciplina regolativa della redazione di
bilancio, all’art. 2423, comma II cod. civ., a cui va ad aggiungersi un
generale principio di prudenza ex art. 2423 bis cod. civ..
Ma a quale verità ci si riferisce in riferimento ai giudizi estimativi?
Come si è già detto, non certo a un’alternativa vero/falso, bensì alla
“corrispondenza tra enunciati e giudizi accurati e sorretti da adeguate
conoscenze tecniche” [30], da misurarsi in termini di maggior aderenza delle
stime ai dati della realtà sottostante.
Se questa gradazione era stabilita, nella formulazione del 2002, tramite
l’apposizione di soglie di rilevanza, con la riforma del 2015 e la
soppressione di queste, si è passati a parametrare l’entità della difformità
– con l’ineliminabile elasticità – fra giudizio e realtà in base alle
prescrizioni legali in materia contabile dettate dal codice civile (il c.d.
“vero legale” [31]).
A supporto di tale lettura, lo stesso dettato normativo (art. 2423, comma IV
cod. civ.) stabilisce la necessità a che si deroghi i criteri legali quando
questi non assicurino una rappresentazione veritiera della situazione
patrimoniale, economica e finanziaria della società.
Circa l’elemento soggettivo, è fuor di dubbio che mentre nella formulazione
previgente fosse richiesto il dolo intenzionale e che, con riguardo agli
aspetti valutativi, questi dovesse riguardare la falsità della valutazione e
sia accertata la volontà di “trarre in inganno i soci o il pubblico” [32],
una volta rimosso tale inciso e sostituitolo con l’avverbio “consapevolmente”
[33], si ritiene ora sia richiesto il dolo specifico in riferimento “al fine
di procurare per sé o per altri un ingiusto profitto” [34], per il quale
assumono rilievo, dal punto di vista probatorio, i documenti di
accompagnamento, dai quali potrà emergere o meno la volontà decettiva
dell’organo redattore.
In conclusione, il tentativo di legare il destino del falso valutativo alla
lettera della legge pare non solo scorretto dal punto di vista sistematico,
ma persino pretestuoso, attesa da un lato la notoria decadenza della tecnica
redazionale del legislatore, non più assumibile a fonte di cognizione certa e
assoluta della ratio legis, dall’altro la manifesta irragionevolezza di
escludere un aspetto tanto pregnante dal campo operativo del reato di falso
in bilancio.
FILIPPO BALDUCCI
NOTE
1. , Sez. V, Ord. 2 marzo 2016 n. 676, Pres. Vessichelli, Rel. Amatore,
ric. Passarelli.
2. Legge 27 maggio 2015, n. 69, Disposizioni in materia di delitti contro
la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso
in bilancio. Per una ricognizione generale, si vedano, inter alii MANES,
La nuova disciplina della comunicazioni sociali,
www.dirittopenalecontemporaneo.it, 22 febbraio 2016 e A. ABBAGNANO
TRIONE, Il nuovo volto delle false comunicazioni sociali, in Studium
Juris, 2015, fasc. 11, pp. 1247 ss.
3. M. GAMBARDELLA, Il “ritorno” del delitto di false comunicazioni sociali:
tra fatti materiali rilevanti, fatti di lieve entità e fatti di
particolare tenuità, in Cass. pen., fasc. 5, 2015, pp. 1737 ss.. Si veda
anche A. PERINI, I ‘fatti materiali non rispondenti al vero’: harakiri
del futuribile ‘falso in bilancio’? A proposito del ddl n. C-3008
(Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione,
di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio) approvato dal
Senato il 1 aprile 2015 e ora all’esame della Camera,
www.dirittopenalecontemporaneo.it, 27 Aprile 2015, pp. 3 ss..
4. La stessa legge ha poi inserito identica formula per la disposizione di
cui all’art. 2638, disciplinante il delitto di ostacolo all’esercizio
delle funzioni di vigilanza.
5. In tal senso A. MANNA, La riforma dei reati societari: dal pericolo al
danno, in Foro it., 2002, V, p. 111, citato in A. DI AMATO, Falso in
bilancio e valori congetturali, in Rivista di diritto dell’impresa,
fasc. 2, 2010, II, p. 369.
6. DI AMATO, Falso in bilancio…, cit., p. 369.
7. Di diverso avviso P. GUALTIERI, Le nuove comunicazioni sociali: il punto
di vista dell’economista aziendale, www.dirittopenalecontemporaneo.it, 1
febbraio 2016
8. In senso critico, A. PERINI, I ‘fatti materiali non rispondenti al
vero’: harakiri del futuribile ‘falso in bilancio’?…, cit..
9. LANZI, Falsi valutativi, legislazione e formante giurisprudenziale:
politica criminale a confronto con la crisi della legalità,
www.dirittopenalecontemporaneo.it, 4 Marzo 2016
10. GAMBARDELLA, Il “ritorno”…, cit., pp. 1737 ss..
11. PERINI, I ‘fatti materiali non rispondenti al vero’: harakiri del
futuribile ‘falso in bilancio’?…, cit..
12. CONTI, Diritto penale commerciale, Torino, 1980, 221 e ss. e
bibliografia ivi richiamata, citato in A. PERINI, I ‘fatti materiali non
rispondenti al vero’: harakiri del futuribile ‘falso in bilancio’?…,
cit., p. 4.
13. GAMBARDELLA, Il “ritorno”…, cit., pp. 1739.
14. GAMBARDELLA, Il “ritorno”…, cit., pp. 1740.
15. Alle stesse conclusioni si era giunti anche vigente il sistema anteriforma, A. DI AMATO, Falso in bilancio…, cit., p. 373.
16. Cassazione, Sez. V, 30 luglio 2015, n. 33774, pres. Alberti, rel.
Miccoli, imp. Crespi – 30 luglio 2015.
17. Si veda, in tema, La relazione dell’Ufficio del Massimario sulla
riformulazione delle false comunicazioni sociali. Relazione dell’Ufficio
del Massimario della Corte di cassazione, n. V/003/15,
www.dirittopenalecontemporaneo.it, 30 Novembre 2015.
18. M. N. MASULLO, Falso in bilancio e valutazioni punibili? Altri e non
meno rilevanti interrogativi, www.dirittopenalecontemporaneo.it, 1
febbraio 2016, pp. 4 ss..
19. , Sez. V, sent. 12 novembre 2015 (dep. 12 gennaio 2016), n. 890
20. In tema, F. MUCCIARELLI, Falso in bilancio e valutazioni: la legalità
restaurata dalla Cassazione, www.dirittopenalecontemporaneo.it, 18
Gennaio 2016
21. Ibidem
22. N. MASULLO, Falso in bilancio e valutazioni punibili? Altri e non meno
rilevanti interrogativi, www.dirittopenalecontemporaneo.it, 1 febbraio
2016, pp. 6 ss..
23. Contra D’AVIRRO, Ancora a proposito di valutazioni e falso in bilancio,
www.dirittopenalecontemporaneo.it, 20 Novembre 2015
24. Con rimando a Cass., Sez. V, sentenza del 30 novembre 1999, n. 1004;
Cass., Sez. V, sentenza del 9 febbraio 1999, n. 3552; Cass., Sez. V,
sentenza del 4 agosto 2015, n. 398543.
25. , Sez. V, 8 gennaio 2016, n. 6916, ric. Banca X, commento a cura di M.
SCOLETTA, Le parole sono importanti? Fatti materiali, false valutazioni
di bilancio e limiti all’esegesi del giudice penale,
www.dirittopenalecontemporaneo.it, 2 marzo 2016.
26. In tema F. MUCCIARELLI, Oltre un discusso ”ancorché” le Sezioni Unite
dalle Corte di cassazione e la legalità dell’interpretazione: qualche
nota. Nota a Cass., Sez. V, Ord. 2 marzo 2016 n. 676,
www.dirittopenalecontemporaneo.it, 16 Marzo 2016.
27. GAMBARDELLA, Il “ritorno”…, cit., pp. 1741.
28. DI AMATO, Falso in bilancio…, cit., p. 370.
29. Così F. SGUBBI in tema di falso in prospetto, in F. SGUBBI, Il falso in
prospetto, in F. SGUBBI, D. FONDAROLI, A. F. TRIPODI, Diritto penale del
mercato finanziario, Cedam, II ed., 2013, p. 277.
30. GAMBARDELLA, Il “ritorno”…, cit., pp. 1742.
31. GAMBARDELLA, Il “ritorno”…, cit., pp. 1744. Analogamente, A. DI AMATO,
Falso in bilancio…, cit., pp. 374 ss., che sostiene la necessità che,
per eludere un’applicazione ottusa di tale criterio, si vada ad operare
una ricognizione fra la rispondenza del parametro prescelto per dare il
giudizio estimativo e l’esito di questo.
32. Di tale opinione A. DI AMATO, Falso in bilancio…, cit., 379.
33. , Sez. V, sent. 12 novembre 2015 (dep. 12 gennaio 2016), n. 890.
34. , Sez. V, sent. 8 luglio 2015, n. 37570.
BIBLIOGRAFIA
1. DI AMATO, Falso in bilancio e valori congetturali, in Rivista di diritto
dell’impresa, fasc. 2, 2010, pp. 369 ss.
2. SGUBBI, Il falso in prospetto, in F. SGUBBI, D. FONDAROLI, A. F.
TRIPODI, Diritto penale del mercato finanziario, Cedam, II ed., 2013,
pp. 277 ss.
3. PERINI, I ‘fatti materiali non rispondenti al vero’: harakiri del
futuribile ‘falso in bilancio’? A proposito del ddl n. C-3008
(Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione,
4.
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21.
22.
23.
24.
di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio) approvato dal
Senato il 1 aprile 2015 e ora all’esame della Camera,
www.dirittopenalecontemporaneo.it, 27 Aprile 2015
MUCCIARELLI, Le ‘nuove’ false comunicazioni sociali: note in ordine
sparso, www.dirittopenalecontemporaneo.it, 18 Giugno 2015
MUCCIARELLI, «Ancorché» superfluo, ancora un commento sparso sulle nuove
false comunicazioni sociali, www.dirittopenalecontemporaneo.it, 2 Luglio
2015
Cassazione, Sez. V, 30 luglio 2015, n. 33774, pres. Alberti, rel.
Miccoli, imp. Crespi – 30 luglio 2015
D’AVIRRO, Ancora a proposito di valutazioni e falso in bilancio,
www.dirittopenalecontemporaneo.it, 20 Novembre 2015
La relazione dell’Ufficio del Massimario sulla riformulazione delle
false comunicazioni sociali. Relazione dell’Ufficio del Massimario della
Corte di cassazione, n. V/003/15, dirittopenalecontemporaneo.it, 30
Novembre 2015
GAMBARDELLA, Il “ritorno” del delitto di false comunicazioni sociali:
tra fatti materiali rilevanti, fatti di lieve entità e fatti di
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