Aldo Gastaldi l`indimenticato e l`indimenticabile Bisagno
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Aldo Gastaldi l`indimenticato e l`indimenticabile Bisagno
Il Tempietto Aldo Gastaldi l’indimenticato e l’indimenticabile Bisagno I due pilastri di “Bisagno”: Patria e cristianesimo. Danilo Veneruso L a casa nella quale Aldo Gastaldi trascorre la sua infanzia e la sua breve giovinezza1 si trova a pochi passi dal santuario – parrocchia di Nostra Signora di Loreto in Oregina, tempio caro ai genovesi non soltanto perché vi si adora Dio e si pregano la Madonna e i santi, ma anche perché costituisce la memoria in pietra di due momenti decisivi di identità religiosa e storica della città. Si tratta da un lato della rivolta del 1746 contro gli austriaci, considerati non più come garanti e protettori della religione, ma come usurpatori e invasori e, dall’altro, del grande pellegrinaggio compiuto da oltre trentamila genovesi il 10 dicembre 1847 in occasione del primo centenario della rivolta non soltanto per memoria di grazia lontana ricevuta ma anche e soprattutto per inaugurare l’età del Risorgimento italiano già in atto nella regione ligure. Nel capoluogo ligure, a partire dall’elezione di Pio IX al trono pontificio, stava infatti evidenziandosi, con moto progressivamente accelerato, l’emergere di un processo rivoluzionario così fortemente radicato da trasformarsi da patrimonio liberale, vale a dire di un’élite, a patrimonio di 63 popolo, ovvero in democrazia nazionale. In essa, anche dopo i tumulti antigesuitici, la crisi del neoguelfismo, la secolarizzazione deistica della posizione religiosa del Mazzini, l’adesione della stessa monarchia sabauda alla rivoluzione nazionale, non si era spezzato il filo di collegamento con il patrimonio teologico e spirituale del cristianesimo, tanto da alimentare ancora, alla fine dell’Ottocento, le prese di posizione dell’arcivescovo Tommaso Reggio e del barnabita padre Giovanni Semeria2 e da influenzare attivamente la società genovese e, più in generale, ligure anche lungo il Novecento inoltrato3, come mostrano le prese di posizione di posizione di personalità come Antonio Boggiano Pico4, Paolo Cappa5, Filippo Guerrieri6, Franco Costa7. Come i due moti che abbiamo citato, il movimento nazionale non si ferma alla patria italiana. Il messaggio che esce da Genova in occasione del Congresso eucaristico nazionale del 1923 è un messaggio di pace che ammonisce il governo Mussolini da poco entrato in carica che i diritti e i doveri si promuovono non con le guerre, bensì con la fratellanza e la solidarietà di tutti i popoli. A Genova e, in generale, in Liguria, già si profilano precise diffidenze nei confronti di Mussolini, tanto è vero che nelle elezioni generali dell’anno seguente i partiti antifascisti o non fascisti, benché sconfitti in ambito nazionale, riportano in regione una lusinghiera affermazione che condanna i metodi che continuano ad essere terroristici della fazione al governo.8 64 Il Tempietto La diffidenza già manifestata dal popolo genovese verso i primi, anche se non ancora ben definiti tratti di quello che sarà poi il regime fascista, sarà convalidata da vent’anni di dittatura e di totalitarismo, sempre di più caratterizzati nel modo peggiore, vale a dire dal dilettantismo, dal pressapochismo, dalla presunzione, in una parola dall’irresponsabilità. Al di là delle piccole glorie che ammanisce di tanto in tanto il regime alla ricerca di guerre contro i piccoli popoli indifesi come i greci o gli etiopi, si accresce sempre di più nella società genovese l’inquietudine nei confronti del tasso di irresponsabilità di Mussolini: essa raggiunge il suo culmine quando aggioga il debole carro della nazione italiana a quello certo militarmente, organizzativamente, tecnicamente poderoso ma nello stesso tempo isolato in termini globali, della nazione germanica tesa, con Hitler, a fare del resto del mondo, ivi ben compresa l’Italia, un’immensa colonia. A questa evoluzione, che poi non è altro che un’involuzione, o per meglio dire, una corsa verso l’abisso, diventa progressivamente sempre più estraneo al messaggio che viene dal capo di una patria tradita Aldo Gastaldi. Nato nel rione genovese di Granarolo il 17 settembre 1921 da Paolo e Maria Lunetti che lo educano ai valori della religione cristiana e di una società civile seriamente impostata, mostra già da ragazzo di essere singolarmente provveduto di doti intellettuali, morali, fisiche. Non ha che tredici anni quando, in un episodio che rivelerà solo più molto più tardi ai suoi genitori, Aldo, dopo aver compreso che nella vita non può sempre credere alle promesse altrui, compie in solitudine, con sicurezza ed autonomia sorprendente per la sua età una lunga gita notturna tra le montagne genovesi con epicentro il monte Antola che vede per la prima volta. Non smarrimento o senso di sopravvalutazione delle proprie forze trae da quell’episodio che altri giudicherebbero una vera e propria avventura, bensì la prima, precisa rivelazione di una fisionomia propria, autonoma, responsabile, già in qualche modo virile. Nella sua confessione per così dire a scoppio ritardato, che unisce il presente di giovane ventenne al passato di ragazzo, rivela a coloro che gli hanno dato la vita che, tutte le volte che si trova “nella solitudine dei monti, pensa alla vita”. È per questo che “alla città preferisce la montagna, al cinema e al teatro preferisce lo spettacolo dell’alba e del tramonto”: il suo “amore verso la montagna è tanto grande” che forse i suoi stessi genitori stenterebbero comprendere. Nella memoria di questa incancellabile esperienza capace di segnare profondamente la sua vita, egli capisce che questa “felicità” ha un prezzo: la diversità con gli altri ragazzi: “trovai di essere diverso dagli altri giovani della mia età, constatai di non avere mai trovato uno che avesse le mie stesse idee: quasi tutti amano città, cinema, teatri e chiassose compagnie”9. La verità della vita di Aldo Gastaldi corrisponde alla introspezione di un tale esame di coscienza. Tutti coloro Il Tempietto che hanno avuto a che fare sono concordi nel sottolineare la singolarità delle sue doti. Lio Rubini il suo insegnante di materie letterarie all’Istituto professionale “Galileo Galilei” sottolinea con ammirazione la sua capacità di restare casto nel mondo fondata nel conservare intatta la “potenza di credere”10. Aurelio Ferrando, lo “Scrivia” della guerra partigiana, forse colui che al di fuori della propria famiglia ha avuto più familiarità con Aldo come compagno d’armi nella guerra e nelle Resistenza, afferma che lo aveva colpito l’apprendere che si alzava molto presto al mattino per raggiungere la scuola con una lunga camminata nelle alture di Genova” e commenta che “forse già in quelle fresche solitarie ore stava cominciando le sue prime profonde motivazioni”11. Destinato al servizio militare di Casale Monferrato in un reggimento del Genio il 2 febbraio 1941, rivela “un tale accumulo di energie” che “avrebbe avuto due aspetti complementari e quasi di routine, ed una eccezionalità stupefacente, ma sempre come occultata, diminuita, fatta passare per normalità, il che lo rendeva ancora più affascinante, di quel fascino irresistibile, quasi leggendario”.12 Il servizio militare come scuola di vita Eppure come una personalità come la sua che sembra destinata a diventare solitaria e poco adatta alla comunicazione, riesce poi a rivelare e a dare il meglio di se stesso quando ha a che fare con gli altri per un motivo 65 molto semplice: è talmento ricco dentro da traboccare al di fuori, per gli altri. Se fosse rimasto solo con se stesso avrebbe probabilmente dato l’impressione di un eterno primo della classe. Se non fosse stato per la sua ricchezza interiore, i numeri per questa impressione ci sarebbero tutti. Quando da Casale si trasferisce a Pavia per frequentare la Scuola Allievi Ufficiali, riesce terzo in graduatoria su settecento candidati; quando si deve spiegare con chiarezza mentale ed efficacia pratica qualche cosa che potrebbe essere difficile come la radiotelegrafia, si ricorre a lui: si arriva al punto, veramente eccezionale in quel tempo e non soltanto formale ma anche sostanziale, che non di rado gli stessi ufficiali si confidino con lui. Quando ha a che fare con gli altri rivela anche di non essere e di non voler essere un carrierista. Il giudizio sulla sua cristallina onestà sono unanimi, ed altrettanto quelli sul suo senso della giustizia. I suoi soldati notano che, quando lui è ufficiale di picchetto il rancio è migliore e abbondante, le razioni non fanno privilegi, e il caffè del mattino è meno amaro.13 Egli è tanto severo nel pretendere l’obbedienza e il buon servizio quanto umano e compensivo verso i soldati. Ogni volta che una tradotta parte dalla stazione di Chiavari egli, unico degli ufficiali, è sempre presente: quando torna da questa incombenza è sempre taciturno, quasi sia turbato da pensieri che lo straziano14. La guerra non va bene, ed egli comincia a capirne il motivo: il regime, al di fuori della storia, 66 Il Tempietto annaspa e sprofonda. In quelle condizioni inseguire sogni di vittoria è impossibile perché non soltanto quel tipo di guerra, ma anche tutto quanto la circonda è insensato. La mancanza di serietà che inevitabilmente ne deriva significa per lui mancanza di umanità che comporta in primo luogo mancanza di doveri verso il prossimo, vale a dire mancanza di amore. Allora concezione cristiana e concezione civile del mondo si danno la mano: non ci può essere l’una senza che ci sia l’altra. L’armistizio e la scelta immediata della Resistenza. Quando l’armistizio dell’8 settembre 1943 rivela le contraddizione in cui è caduto il fascismo, il sottotenente del genio di stanza a Chiavari non ha esitazione: alla sua coscienza sarebbe imperdonabile colpa lasciare che le cose vadano per il meno peggio: come ha sempre ha fatto quando si è assunto le sue responsabilità verso Dio, se stesso, verso gli altri, verso la natura, anche ora egli non esita, a ragion veduta, di assumere le sue responsabilità. Di tutto il reggimento, Gastaldi è il solo a vestire la divisa militare e, con il suo plotone, a non consegnare le armi ai tedeschi. Quattro giorni dopo, il 12 settembre, sempre in divisa, tenta di scavalcare il muro della caserma per recuperare una radio trasmittente15. Va a cercare, ed è da esse ricercato, altre persone desiderose di riparare a tanto smacco, le trova anche in suoi compagni di idee religiose, politiche e sociali, ma soprattutto di altre idee, in genere di sinistra, che concordano nella lotta per riscattare tanti errori e crimini e per un costruire un avvenire diverso. Così, ai primi di ottobre 1943, incontra a Lavagna, nell’abitazione di un exufficiale dell’esercito, Giovanni Serbandini, di tendenza comunista, Franco Antolini e Umberto Lazagna, liberali che tendono ad un azioniamo spostato a sinistra. Aldo, che aveva già rivelato nel servizio militare di Chiavari le sue doti di capo, mostra ora anche doti di organizzatore. Nel corso della riunione, viene preliminarmente decisa l’adesione che direttive del Comitato di Liberazione costituito a Roma il 9 settembre 1943 al momento dello scioglimento del Comitato dei partiti antifascista. Esse prevede dal lato politico la lotta armata contro il tedesco invasore e contro i complici che esso possa trovare in Italia e, dal lato militare, la lotta clandestina per bande, che ha come base territoriale la macchia, l’area montagnosa che in Liguria è a ridosso delle città. Particolarmente importante riveste per Gastaldi l’avallo della condotta della guerra secondo il progetto della liberazione nazionale che, per evitare la prevaricazione di questa o quella formazione politica, contempla l’unanimità delle deliberazioni tanto politiche quanto militari: è proprio su questo punto che ruotano la sua concezione del partigianato, e di conseguenza, i contrasti futuri con coloro che dalla linea della liberazione nazionale intendono scostarsi. Nella riunione viene decisa come base per il primo nucleo di ribelli il Il Tempietto villaggio di Cichero alle falde del monte Ramaceto. Nell’occasione è soprattutto lui ad essere informato, ad informare ed a prendere l’iniziativa. Nella prima quindicina di novembre, avviene la partenza: è lui che capeggia una delle due colonne, quella piò occidentale, che partono per Cichero16. Aldo, ormai conosciuto con il nome di battaglia di Bisagno, è anche il capo naturale di quel pugno di uomini che sono saliti in montagna; prima di attaccare battaglie, intende però educare, istruire ancora prima che organizzare uomini. Egli non è un pragmatista: uomo di cultura poliedrica, ha bene in mente il binomio mazziniano di pensiero e di azione che cristianamente lo integra con quello di spiritualità ed azione. Perciò l’organizzazione per lui è sinonimo di educazione integrale dell’uomo in rapporto con la società. Perciò da lui, prima che ordini o bollettini di guerra, proviene il “codice di Cichero che, ben più di un testo giuridico, è un testo morale per fare di coloro che dovranno combattere degli uomini che hanno a che fare con altri uomini. Alcuni non condividono del tutto il suo procedimento, che ritengono moralismo non adatto alla durezza spietato di una lotta senza esclusioni di colpi, ma Bisagno sa che protagonista della storia non è la morte bensì la vita, pertanto vuole che gli uomini muoiano il meno possibile affinché i più vivano per convertire alla vita gli altri uomini. Contro i nemici bisogna certamente combattere per il meglio ma sempre con la prospettiva che essi possano 67 convertirsi e vivere. Pertanto l’arma che può uccidere è in lui associata alla parola che convince.17 Dalla preparazione all’iniziativa dopo la strage alla “Benedicta”. Segnano una cesura nella storia della Resistenza in Liguria i gravi fatti della “Benedicta” avvenuti nella settimana di Pasqua 1944 (3 – 7 aprile) quando 146 giovani, sorpresi nei dintorni di un antico monastero in rovine tra Genova ed Alessandria, sono fucilati ed altre centinaia deportati in Germania senza ritorno (salvo un pugno di sopravvissuti). C’è da notare che le vittime non sono neppure partigiani attivi, bensì refrattari ai bandi di reclutamento di Graziani, i quali cercano di far passare il tempo in attesa dell’arrivo degli alleati che non possono tardare. È dall’aprile, infatti, anche in concomitanza della notizia dello sfondamento del fronte di Cassino in Italia meridionale (11 aprile), le forze della Resistenza si accrescono in modo esponenziale. Il piccolo gruppo di Cichero, formato nel novembre 1943 alla buona, ma anche con grande spirito di fraternità da uomini di ogni tendenza ma uniti nella volontà di cacciare il tedesco invasore e il suo complice fascista, oltre a Bisagno, riuniva i comunisti Giovanni Serbandini (Bini), Giovanni Battista Canepa (Marzo), Severino Bianchini (Dente), i liberali di sinistra, simpatizzanti dei comunisti Umberto Lazagna (Canevari) e Franco Antolini (Furlini), poi Giovanni Bianchi (Cilletto), Emilio Roncagliolo (Lesta) 68 Il Tempietto Cesare Passano (Formaggetta), Renato Dersaglio, Giovanni Vignale, Augusto Sanguineti e tre siciliani sbandati, conosciuti come Severino, Michele e Razza18. Nel maggio 1944 il gruppo iniziale si è talmente ingrossato da imporre la costituzione di tre distaccamenti, Cichero, del quale assume il comando lo stesso Bisagno, Pannesi, comandato dall’ormai inseparabile Scrivia, e Antola. Nel luglio le forze partigiane della provincia di Genova sono talmente aumentate da indurre il Comando generale di stanza a Milano di trasformare la banda in Divisione che conserva il nome di Cichero e si ripartisce in quattro brigate (Arzani, Berto, Oreste e Jori), e due “distaccamenti volanti”, Severino e Balilla. A sua volta ogni brigata viene divisa in dodici distaccamenti, ognuno dei quali comprende venticinquetrenta uomini.19 Nello stesso tempo l’intero territorio della provincia di Genova si organizza secondo il criterio della centralizzazione del comando, che assume la denominazione di VI Zona: il comando, per designazione del Comando Militare di Milano, viene assunto dall’jugoslavo Uckmar (Mirko), comunista, “rivoluzionario di professione”, reduce dalla guerra civile spagnola. La Resistenza, passata dalla fase passiva a quella attiva, a partire dal maggio 1944 organizza sabotaggi e colpi di mano. In queste operazioni Bisagno passa alla leggenda per la sua spericolatezza, come nel caso dell’attacco avvenuto del giugno alla caserma fascista di Ferriere di Lumarzo, ma ancora di più sarebbe da lodare per la scelta e la condotta degli uomini, per la perizia organizzativa e tecnica nel far saltare tralicci. La pressione degli uomini di Bisagno è tale che nel luglio 1944 vengono occupate la media ed alta Valle Scrivia e, con la collaborazione dei gruppi partigiani parmensi, la Val d’Aveto. Si tratta di un autentico dilagare che minaccia di tagliar fuori Genova dal suo retroterra20. I nazifascisti prendono allora le misure con frequenti e massicci rastrellamenti che si susseguono senza respiro dall’agosto 1944 al febbraio 1945. In queste circostanze Bisagno rivela autentiche doti di capo che spaziano dal campo militare a quello politico, da quello psicologico a quello organizzativo. Tra le sue caratteristiche di comandante militare c’è quella di apparire nelle zone in pericolo di accerchiamento per rincuorare e dare istruzioni: fatto è che, in questo continuo assedio le perdite dei suoi partigiani sono minime.21 Guerra partigiana come guerra di liberazione nazionale Se con le armi Bisagno può ancora rinsaldare la sua leggenda, nella fase del rastrellamento svela notevoli doti politiche. Con la clemenza e con la persuasione egli può ottenere il 4 novembre 1944 l’inglobamento del reggimento “Vestone” della Monterosa prima risparmiando una strage all’intera divisione alpina in transito e poi suggellando in nome della patria comune il patto di inglobamento. La data non è scelta a caso. Il 4 novembre Il Tempietto è l’anniversario della vittoria italiana nella prima guerra mondiale: come allora gli italiani si erano riconosciuti senza distinzioni di partito, così ora essi possono ancora riconoscersi in una guerra nazionale per la cacciata del “tedesco”, lo stesso nemico di allora, nonché degli inetti e dei disonesti che dell’invasore hanno tenuto il bordone22. Il messaggio di Bisagno è ormai chiaro: si, e con tutta la forza e tutta l’unanimità, alla guerra di liberazione nazionale contro lo straniero, no a quella che già sta definendosi apertamente come una guerra più ampia per mutare radicalmente non soltanto la struttura, ma anche la cultura della società. Per legittimare culturalmente e storicamente la guerra di liberazione nazionale, il messaggio di Bisagno si riferisce da una parte alla tradizione dell’interventismo democratico della prima guerra mondiale, veicolato nella sua mente dall’esempio del padre che ne era stato un esponente, e, dall’altra, alla lettera del patto di costituzione del Comitato di Liberazione Nazionale al momento della sua formazione (9 settembre 1943). La sua presa di posizione, ancorché implicita, è chiara: è un ammonimento rivolto alle forze della Resistenza, soprattutto ai comunisti che ne sono i maggiori esponenti, di non oltrepassare i limiti ideologici segnati dal patto di costituzione del Comitato di Liberazione Nazionale. Con l’“operazione Monterosa” vengono così allo scoperto vecchi nodi mai sciolti, culminanti nell’affidamento verticistico del comando della VI zona a chi, come Mirko, non solo era stato fuori dal 69 lavoro di preparazione della vita partigiana di quella zona ma, una volta subentrato nel comando, aveva adottato principi e criteri che, a giudizio di Bisagno, avrebbero portato a quella guerra civile tra italiani che rifiutava e che, in ogni caso, non erano nei patti. Dopo lunghi ed animati colloqui con le altre forze della Resistenza, in modo particolare con i comunisti, il 30 dicembre 1944 invia ai comandanti di brigata e di distaccamenti della Divisione Cichero una circolare dai toni decisi e quasi perentori, impostata sull’avversione di tutte le tendenze che vadano oltre i limiti della liberazione nazionale23. Le tendenze che vanno oltre i limiti concordati nella riunione istitutiva del Comutato di Liberazione Nazionale del 9 settembre 1943 sono facilmente riconoscibili: si tratta dei partiti, talmente invadenti da voler contrapporsi alla patria. Certo, Bisagno è consapevole che con la seconda guerra mondiale e con la sconfitta del fascismo la storia è passata all’area della democrazia dall’area di quel liberalismo che aveva avuto quale sua funzione istituzionale la patria, di cui i partiti erano considerati quali elementi sussidiari e subalterni. Si capisce come il documento di Bisagno sia rivolto in modo particolare ai comunisti sia per il loro radicamento sociale che si riflette nella Resistenza, sia per la loro ideologia internazionalistica che produce istintiva ripugnanza ad agitare in modo quasi esclusivo il motivo patriottico. Tuttavia si comprendono anche i motivi per cui la sua presa di 70 Il Tempietto posizione rimanga isolata: una motivazione esclusivamente liberalnazionale è infatti ritenuta insufficiente non solo dagli azionisti del gruppo partigiano di “Giustizia e Libertà”, molti dei quali conoscono il progetto di federazione europea presentato fin dal 1941 con il Manifesto di Ventotene da Altiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi, ma anche da molti cattolici reduci dall’esperienza del partito popolare o comunque vicini all’Internazionale bianca di Luigi Sturzo, non escluso lo stesso Ferrando il quale tende sempre a stemperare la tensione al calor bianco che sta portando sempre più lontano Bisagno dal Comando della VI Zona, in cui i comunisti, a cominciare dal suo comandante Uckmar (Mirko), e gli azionisti sono ormai in netta prevalenza. Nel momento in cui sta formandosi un sistema democratico che supera il liberalismo prefascista, la sua posizione non collima neppure quella democratico-cristiana, che pure, per il suo sentire religioso, dovrebbe essergli la più vicina. La sua condizione di isolamento dal punto di vista politico è del resto comprovata dal fatto che, nella lettera del 30 dicembre, Bisagno esprima le sue prese di posizione a titolo personale. Comunque Mirko, per non compromettere l’unità della Resistenza nel punto sensibilissimo di un capo come Bisagno dotato del fascino e di grande seguito, controfirma di mala voglia, ma il problema sollevato in termini storicamente così radicali non può placarsi così facilmente. Ad alleggerire l’isolamento politico che incombe sempre di più dal fondatore e capo della Cichero non giova certo l’incidente alla gamba che, mettendolo fuori dal gioco per più di un mese, consente che si prendano provvedimenti contro di lui. Ai primi di marzo egli riceve infatti due notizie che lo riguardano in senso negativo: la decisione dello smembramento della divisione Cichero, dalla quale rampolla la divisione Pinan Cichero e la sua destituzione da vice comandante della VI Zona. I provvedimenti presi sembrano talmente gravi che, il 7 marzo, si decide un incontro di chiarificazione a Fascia, presso cui si reca anche il battaglione Vestone per sostenerlo nel caso che la situazione degeneri. In effetti gli alti ed esasperati toni iniziali della discussione fanno temere il peggio, ma poi Bisagno che, al pari di Mirko è ben lungi dal voler rompere l’unità della Resistenza, accetta disciplinatamente e lealmente quello che egli considera un fatto compiuto ai suoi danni.24 Anche se è tanto consapevole di aver subito una sconfitta da isolamento da non farne mistero, le lettere rivolte ai suoi amici testimoniano la sua volontà di servire e di far servire con lealtà e spirito di collaborazione la causa della Resistenza. Così in tono molto confidenziale, affettuoso e quasi supplichevole invita Gech, un comandante di distaccamento della sua divisione, non solo a non distaccarsi mai dagli insegnamenti appresi dal “codice di Cichero” ma anche a fare autocritica quando è necessario25. La lettera senza data ma in quel torno di Il Tempietto tempo rivolge ai suoi uomini è ancora più importante in quanto rappresenta la svolta del passaggio dall’area del liberalismo all’area della democrazia fatta di partiti: pur rimanendo intatta la pregiudiziale di non parlare d’altro finché “lo straniero non sarà uscito dai confini” e pur essendo forte il timore di una possibile degenerazione non considera più i partiti quali elementi dell’antipolitica: anche per lui si apre la strada della moderna democrazia “occidentale”: “io mi impegnerò più che mai al fine di rimediare radicalmente ad ogni screzio – assicura – Badate che, come è giusto impedire l’inganno degli uomini nostri fatto da un partito, è pur giusto che non si faccia dell’antipartito: dobbiamo agire con la massima giustizia e liberi da prevenzioni”26. La sua insistenza sulla guerra partigiana come guerra nazionale si fonda soprattutto sul timore che la guerra di liberazione nazionale si trasformi in guerra civile a pro di quel partito che non esita ad impiegare la forza per raggiungere i propri fini. Dei suoi uomini riuscì a fare dei cristiani, dei partigiani e degli italiani In Bisagno resta però più che mai ferma la convinzione che l’area della vita politica, a meno che non voglia commettere l’errore di volersi autolegittimare, debba essere legittimata da un fattore di integrazione e di legittimazione dal quale assumere i valori. Per lui, credente, tale fattore di integrazione e di legittimazione è il cristianesimo, che raggiunge il massimo (l’infinito) della concretezza dell’amore 71 senza cadere nel contingente che qualsiasi istituzione terrena, sia pure la patria, può mai raggiungere. È allora che la giovane vita di Bisagno giunge al suo compimento. Nella memoria che ha fatto di lui nella rievocazione tenuta qui a Rovegno il 24 maggio 1998, il medico Attilio Mistura Bisturi, l’amico ebreo della famiglia Gastaldi, ha rivelato episodi da lui stesso definiti “poco noti”, sicuramente avvenuti nell’ultima fase della sua vita. Ricorda Mistura: “Verso il gennaio del ’45 lo incontrai a Torriglia: avevamo sempre tante cose da dirci: progetti, speranze, delusioni. Ci passò vicino un gruppo di bambini. Bisagno si ammutolì, sul viso si disegnò un sorriso, poi, chinando il capo, a bassa voce, mi confidò: “quante cose mi ricordano quei bambini!”. I bambini sono la vita che, come tale richiede pace. Si deve lavorare per restituire la pace che irresponsabilmente è stata rotta da coloro che vogliono potere, tanto potere, per dominare con il terrore sugli uomini per renderli schiavi. Nei suoi ricordi Mistura va ancora oltre: “Nell’assistere alla ricomposizione della salma di un nostro compagno caduto, lo vidi indurirsi nel volto, guardarsi intorno alla ricerca di consensi e poi, rompendo la tensione chiedere: “cosa sapremo dire quando sarà finita ai genitori di questi ragazzi? La gente capirà che cosa è avvenuto sui monti?” 72 Il Tempietto Nulla della retorica guerresca che si congratula per il privilegio della morte in guerra appare in questo discorso: la morte di un giovane è sempre la fine di una vita che altro non chiedeva che di vivere27. Il significato più profondo di questo grido di dolore viene chiarito da un’altra manifestazione che non solo ad esso direttamente e compiutamente si collega ma, per le circostanze in cui essa avviene, acquista il significato di testamento spirituale. Il 17 maggio 1945, alla vigilia della partenza per Desenzano dove il 21 maggio troverà la morte in un incidente stradale, in una delle ultime lettere da lui scritte, certamente l’ultima che è pervenuta fino a noi, Bisagno si rivolge ai genitori di Luciano Galfetti, giovane capo distaccamento deceduto per mitragliamento il 24 aprile 1945, proprio alla fine della guerra. Il capo in primo luogo si premura di riferire che “il giovane “è morto serenamente come è vissuto, munito dei conforti religiosi”. Riprendendo il discorso che ha colpito il dottor Mistura, Bisagno ancora una volta tiene a dire che “la sua morte ha colpito profondamente me e tutti i partigiani della nostra formazione e sicuramente Luciano non sarà da noi dimenticato mai”. Ricorda che, da comandante di un distaccamento partigiano, “aveva fatto dei suoi uomini dei modelli di vita per onestà, coraggio e sincerità. Col suo comportamento era stato così di esempio ai suoi uomini che era riuscito ad infondere in essi il timore di Dio ed a farne dei cristiani, dei partigiani e degli italiani, che le popolazioni di questi luoghi stimavano profondamente”28. Nel momento che precede di poco la morte il cerchio terreno del giovane eroe si chiude. Aldo Gastaldi, che già da ragazzo di era rivelato tanto diverso dai suoi coetanei, non si sarebbe forse trovato a suo agio nel quotidiano spesso squallido della democrazia del dopoguerra29. Riflettendo su tanti contrasti e soprattutto sul significato della sua esperienza politico-militare, nell’ultima fase della sua vita ha recepito chiaramente il rischio che anche le formule politiche che sembrano migliori possono diventare gusci vuoti che si riempiono di sabbia del mare se mancano del Pensiero che fa nascere, dello Spirito che fa vivere secondo la dimensione dell’universalità e dell’Amore che dà lo scopo, il significato, il senso, il compimento di tutto quanto si fa e si pensa. Sotto questo aspetto non si può infatti trascurare il fatto che nella storia contemporanea, che pure nella sua universalità riesce a coprire tutte le coordinate spazio-temporali, si è impiantato, sul modello della tradizione teologica e spirituale del cristianesimo, il complesso rivoluzionario delle tre moderne rivoluzioni che si è mostrato impeccabile come formula ma sterile di risultati per aver scisso il pensare dal fare e il corpo dallo spirito. Il Tempietto Note 1 2 3 4 Cfr. D. VENERUSO, Il partigiano genovese Aldo Gastaldi (“Bisagno”). Una lezione di democrazia, in Studium, a. 93 (1997), pp. 753-766. Cfr. D. VENERUSO, Monsignor Tommaso Reggio arcivescovo di Genova nella svolta di fine secolo: la speranza di un metodo liberale che apra la via all’affermazione di una democrazia alimentata dal cristianesimo, in Tommaso Reggio e la “questione sociale” a Genova e in Liguria nella seconda metà dell’Ottocento. Atti del convegno tenuto a Genova il 7 ottobre 2000 dalla Federazione Operaia Ligure di Genova (FOCL), Genova, 2002, pp. 33-42. A questo proposito, don Attilio Fontana, parroco di Cichero nel tempo della Resistenza nonché della divisione Cichero una volta costituita, “confrontando idealmente il primo risorgimento italiano con il nostro movimento partigiano”, nota che “il primo è costituito, in gran parte, da una “élite” spiritualmente colta e preparata, mentre il secondo è formato da elementi più popolari, e animati da un impulso più immediato e spontaneo che è alle base delle loro azioni” (cfr. testimonianza scritta redatta il 31 maggio 1964 da don Attilio Fontana parroco di Cichero nel 1943 e che divenne poi, con il nome di don Cichero, cappellano della divisione garibaldina “Cichero” di Bisagno). Anche don Luca Celle, parroco di Brignole di Rezzoaglio nel periodo della Resistenza, nella sua relazione sull’attività a favore dei partigiani da lui svolta, a tanti anni di distanza paragona con emozione lo spirito cospirativo di Otto (Ottorino Balduzzi) “alle pagine di storia del glorioso Risorgimento – Carboneria – Giovane Italia”. Cfr. S. CAVAZZA, Antonio Boggiano Pico, 5 6 7 8 73 Tortona, Società Tiopografica San Giuseppe, 1975; A. BOGGIANO PICO, Vent’anno di vita politica 1945 – 1965. Lettere al figlio Valdemaro, presentate da R. MANZINI, prefaz. di D. VENERUSO, Roma, AVE, 1980; Ricordo di Antonio Boggiano Pico (Savona 1873 Genova 1965). Atti del convegno tenuto a Genova e a Santa Margherita Ligure il 27 giugno 2006, Genova, Algraphy, 2006. Paolo Cappa nel centenario della nascita. Convegno di studi tenuto a Finale Ligure il 15 ottobre 1988, a cura della Democrazia Cristiana, Sezione Provinciale di Savona, Dipartimento Cultura, Savona, Priamar, 1988; S. ORAZI, Paolo Cappa (1888 – 1956: dal movimento cattolico genovese alla Democrazia Cristiana, Fabriano, Centro Studi don Riganelli, 1995; P. CAPPA, Il pontificato di Benedetto XV: dal “non expedit” al presidente De Gasperi. Conferenz tenuta a Genova il 21 dicembre 1952 ed a Bologna il 23 febbraio 1953, con il saggio introduttivo di S. FONTANA, Nel nome di Benedetto. Savona, Sabbatelli, 2006. Cfr. D. VENERUSO, Filippo Guerrieri, in L’Operaio Ligure, a. 2006, n. 4, p. 8. Cfr.C. TORTORA, Franco Costa (1904 – 1977): la gioia di credere, presentazione di G.B. SCAGLIA, Roma, Sudium, 1983; I. BOZZINI, Don Costa: una speranza amica, testimonianza di amici, Roma, AVE, 1983; F. COSTA, Insieme nella via della libertà, a cura di I. DE CURTIS, presentazione di L. ELIA, Roma, Studium, 1983; Don Franco Costa per la storia di un sacerdote attivo nel laicato cattolico: studi e testimonianze. Colloquio storico, Roma, AVE, 1992. Cfr. D. VENERUSO, Riflessioni sul Convegno Eucaristico di Genova del 1923, tra teologia, spiritualità, e vita civile, in Un popolo che vuole la pace, lavora per la pace. 74 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 Il Tempietto Atti del convegno relativo al VII Congresso Eucaristico Nazionale svoltosi a Genova nel 1923, Genova, Federazione Operaia Cattolica Ligure, 2006, pp. 15 – 42. Cfr. E. BONO, Per Aldo Gastaldi “Bisagno”. Documenti, testimonianze, lettere e altro materiale utile ad una sistemazione storica del personaggio, a cura del Comitato Regionale peer il cinquantesimo anniversario della lotta di liberazione nazionale, con la collaborazione dell’Istituto Storico della Resistenza in Liguria, Recco – Genova, Le Mani, Microart’s Edizioni, 1995, pp. 19 – 21. Ibidem, p. 23. Ibidem, pp. 18 – 19. Ibidem, p. 23. Ibidem, p. 24. Ibidem, pp. 24 – 25. Ibidem, p. 26. Ibidem, pp. 27 – 28. Cfr. A. M. MANARATTI, Bisagno: la scuola di Cichero, e la Terza Divisione Garibaldina, im Civitas, 1973. nn. 3 – 4. Cfr. E. BONO, op. cit., p. 28. Ibidem, p. 32. Ibidem, pp. 35 – 43 (Mese per mese con Bisagno (febbraio 1944 – aprile 1945), p. 37 (mese di luglio 1944). Ibidem, pp. 38 – 40 (Mese di agosto e di ottobre 1944). “Stamane, nell’anniversario dell’armistizio che l’Italia ha imposto all’esercito austroungarico e tedesco nella Grande Guerra, il Battaglione Alpino “Vestone” è passato al completo nelle file della Terza Divisione Garibaldina “Cichero”. Gli Alpini hanno così ritrovato la vera Italia. quella Italia nostra e onesta che combatte sui monti per la sua libertà”. (Ibidem, p. 52: cfr. anche U. V. CAVASSA, Commemorazione di “Bisagno” tenuta il 12 aprile 1964 a Cichero inaugurando la scuola ricreativa per la gioventù dedicata alla medaglia d’oro Aldo Gastaldi, a cura del Comune di Chiavari, p. 8). 23 “In una riunione alla quale ha preso parte il Comando Zona, il Comando di Divisione e tre comandanti di Bbrigata, si è discusso, tra l’altro, la questione politica dei distaccamenti. Si è stabilito quanto segue: È dovere dei Commissari politici fare la propaganda del Comitato di Liberazione Nazionale, ma è assolutamente proibito che i commissari facciano la propaganda di partito. I componenti del distaccamento potranno decidere con una votazione la destituzione del commissario che non si attiene a quanto sopra. È permesso (in via di prova) la costituzione di qualunque nucleo di partito nei distaccamenti. Gli apolitici sono liberi di non far parte del nucleo di partito e nel caso che questo non funzioni a dovere devono prospettarne e votarne la cessione e annullarlo.. Io, Bisagno, tengo a far noto ai partigiani che prima di entrare a far parte di un partito bisogna essere fermamente convinti del passo che si fa. È stupido, secondo me, entrare a far parte di un partito senza conoscere i programmi di tutti i partiti. Non è possibile fare un confronto fra un partito e l’altro per accettarne il migliore quando se ne conosce uno solo. Da parte mia non mi par giusto che uno prenda un orientamento di partito anche se conosce i programmi di tutti i partiti; solamente vedendo come il partito applica i suoi princìpi si potrà giudicare ed eventualmente abbracciare. Secondo il mio punto di vista occorrono almeno quattro anni di osservazione prima di conoscere a primordi un partito. È soprattutto Il Tempietto necessario cje i partigiano sappiano ragionare con la loro testa e criticare qualunque principio prima di accettarlo. È soprattutto necessario che chi accetta un partito ne sia pienamente convinto. È assurdo dire di aver accettato un’idea così per aver sentito dire senza esserne affatto convinti. I comandanti e i commissari di distaccamento devono denunciare immediatamente qualunque dissidio che nascesse nel Distaccamento per motivi politici. La riunione di nucleo non deve essere affatto segreta ma pubblica. Se il nucleo di partito crea nel distaccamento uno spirito di scissione è permesso di denunciarlo e di annullarlo. È assolutamente proibito fregiarsi di distintivi di partito così come è proibito cantare ogni inno di partito. Il commissario è direttamente responsabile dell’attuazione delle predette norme. La nomina di qualunque comandante e commissario viene fatta dietro proposta del comando e conseguene approvazione del distaccamento” (cfr. G. GIMELLI, Cronache militari della Resistenza, II, Genova, Cassa di Risparmio di Genova e ìImperia, 1969, p. 475). 24 Per tutta la questione, si veda, oltre a G. GIMELLI, op. cit,, pp. 477 e 671 - 679, E. MASSAI (“Santo”), I Ribelli dell’Alpino, Recco. Microart’s. 1966, pp. 151-155. 25 “Carissimo amico Gech, non potendo venire a parlare direttamente con te voglio farti pervenire la mia voce con questa lettera. Tu sai Gech, quanto grande sia la mia amicizia verso di te. Tu sai che voglio il tuo bene, che è nostro bene, che è il bene della nostra patria. Ci siamo accorti Gech che il metodo fascista nelle nostre file non è morto, ci siamo accorti che il fascismo rivive sotto altri nomi, ci siamo impegnati 75 di condurre a fondo la nostra lotta contro tutto ciò che è falso, che è sgradevole, disonesto, ingiusto. Tu Gech, insieme a Dedo hai compreso che per combattere il falso, lo sgradevole, il disonesto l’ingiusto è necessario essere leali, onesti e giusti. Tu sai Gech quale colpo sarebbe per me il vederti togliere il comando del distaccamento, tu comprendi Gech quanto sia duro il sentirmi dire che tu hai sbagliato. Ti prego, per la nostra amicizia fraterna, per quella giustizia per la quale ci siamo impegnati di combattere di rivedere i tuoi atti, e di badare bene a non sbagliare. Stai vicino, più vicino ai tuoi uomini che ti adorano, non lasciare mai il distaccamento, non cercare di guadagnarti la simpatia dei tuoi uomini dando loro tutta la libertà: non è questa virtù di comandante. Devi essere energico con loro, ubbidito, amato e nello stesso tempo temuto. Sappi Gech che c’è gente che vuole la tua minima mancanza per creare contro di te una larga critica. Non facciamo Gech il gioco di coloro che abbiamo conosciuti falsi e bugiardi e che ci siamo impegnati di correggere col nostro esempio. Ricorda Gech il nostro Berto, il caro Beppe e pensa che ti direbbero se ti vedessero ballare oppure peccare di leggerezza tanto da poter essere criticato da coloro che noi abbiamo criticato per il loro falso modo di agire. Non dire Gech di non avere mai sbagliato e, ti prego, pensa a correggerti. Riunisci il tuodistaccamento, digli che hai ricevuto una mia lettera, digli che hai riconosciuto di aver commesso degli errori, digli che d’ora in poi vuoi essere più vicino a loro, vuoi essere veramente il loro fratello maggiore, così come loro ti considerano. Eppoi Gech segui la stra diritta, anche se ti costa sacrificio, non far sì che tu possa essere più attaccato 76 Il Tempietto da alcuno, fai questo Gech, fallo per Berto e per Beppe. Eppoi Gech quando in coscienza ti senti a posto parla al tuo amico Kappa e vedi di scuoterlo un poco. Verrò da te e ti parlerò, Gech, ma ti prego sii cosciente di ogni tuo pensiero, di ogni tuo atto, non tradire me e i tuoi migliori amici” (dall’archivio Bisagno, ora in E. BONO, op. cit., pp. 61 – 62). 26 Ibidem. 27 La documentazione al riguardo si trova nell’archivio familiare Gastaldi. 28 Cfr. E. BONO, op. cit., pp. 63 – 64. 29 “Vedete voi Bisagno in un ufficio a riverire cavalieri e commendatori? Riuscite a vederlo, costretto dalla necessità a cercare guadagno, a farsi furbo, a far vedere le sue benemerenze e le sue medaglie?” – così conclude la sua commemorazione U. CAVASSA