Molluschi e Crostacei nella Piana di Firenze: il passato e il presente

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Molluschi e Crostacei nella Piana di Firenze: il passato e il presente
UN PIANO PER LA PIANA: IDEE E PROGETTI PER UN PARCO
Atti del Convegno
MOLLUSCHI E CROSTACEI NELLA PIANA DI FIRENZE:
IL PASSATO E IL PRESENTE
Simone CIANFANELLI1, Elisabetta LORI1, Gianna INNOCENTI1, Elena TRICARICO2 &
Francesca GHERARDI2
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Museo di Storia Naturale, sezione di zoologia “La Specola”, Università di Firenze, via Romana 17, 50125 Firenze
Dipartimento di Biologia Evoluzionistica “Leo Pardi”, Università di Firenze, Via Romana 17, 50125 Firenze
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Introduzione
La Piana fiorentina si sviluppa ad ovest di Firenze e comprende interamente i territori
comunali di Campi Bisenzio e Signa e parzialmente i comuni di Sesto Fiorentino, Poggio a Caiano,
Firenze, Lastra a Signa, Scandicci e Calenzano (Fig. 1).
Questa area, fino ai primi decenni del secolo scorso, aveva risentito solo marginalmente dei
drastici cambiamenti prodotti dall’uomo e aveva mantenuto una buona qualità ambientale, non
essendo ancora soggetta alla pressione delle industrie e dell’agricoltura intensiva che avrebbero poi
causato l’inquinamento e l’alterazione delle aree naturali. Con l’industrializzazione, si innescò un
diffuso processo di urbanizzazione che vide un continuo e massiccio trasferimento di forza lavoro
dalle montagne e dalle aree rurali verso i centri urbani e industriali. All’urbanizzazione si
accompagnò ovviamente una forte espansione dell’edilizia e delle infrastrutture, con la conseguente
alterazione e riduzione degli habitat planiziari.
Questi cambiamenti, sempre più incisivi dopo la prima metà del 1900, ebbero effetti sulla
fauna eteroterma locale? Abbiamo dati capaci di provare un’effettiva modificazione della fauna
della Piana fiorentina nel tempo?
Risposte a questi interrogativi possono essere fornite dai dati zoologici delle collezioni
storiche del Museo di Storia Naturale di Firenze e dalle rare pubblicazioni scientifiche antiche.
L’interesse degli zoologi della prima metà dell’Ottocento era soprattutto diretto agli animali
“superiori” e spesso alla fauna esotica. Un impulso allo studio della fauna italiana e locale si ebbe
sull’onda dell’unità d’Italia, che spinse molti scienziati a cercare di redigere faune regionali o
nazionali al fine di sostenere le convinzioni patriottiche attraverso la scienza (Innocenti &
Cianfanelli, 2008). Così furono create importanti collezioni zoologiche, anche relative a
invertebrati, che costituiscono adesso reperti utili per la comprensione delle modifiche ambientali
attraverso il confronto con la fauna attuale.
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Nel Museo di Storia Naturale di Firenze, nella sezione Zoologica conosciuta con il nome di
“La Specola”, sono conservati alcuni reperti ottocenteschi di Crostacei e molti di Molluschi terrestri
e d’acqua dolce toscani. Esaminando questo materiale, è stato possibile ricavare una lista di specie
di molluschi gasteropodi e bivalvi presenti allora nella Piana fiorentina. Tale lista è stata redatta
rilevando i “dati di cartellino”, cioè le informazioni che i naturalisti trascrivevano assieme al nome
scientifico della specie. Spesso, però, questi dati erano sintetici e mancavano di precisione. In quel
periodo, infatti, non si dava molta importanza all’esatta località di raccolta: talvolta era sufficiente
un’indicazione generica e ampia dell’area del campionamento. Si è deciso, perciò, di considerare
anche alcuni campioni con diciture difficilmente georeferenziabili, ma che possono essere
comunque indicativi per ricostruire la componente malacologica del Val d’Arno medio.
Fig. 1. Piana fiorentina: delimitata in giallo la zona pianeggiante ad ovest di Firenze, entro i limiti blu la pianura
compresa nei comuni di Signa, Campi e Sesto.
Analisi della fauna indigena di Molluschi e Crostacei della Piana di Firenze
Il medio Val d’Arno era, nei tempi antichi, un territorio paludoso continuamente soggetto alle
inondazioni e al ristagno delle acque piovane e fino agli anni 40 del secolo scorso era caratterizzato
da una fitta rete di canali a scacchiera.
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In tale ambiente, la fauna indigena era abbondante e diversificata; la fauna malacologica era
caratterizzata da specie di gasteropodi e bivalvi di acque stagnanti o terrestri ma legate agli ambienti
umidi e ripariali. Nelle collezioni storiche del Museo troviamo esemplari di 21 specie di
gasteropodi, di acque lotiche e lentiche, e 8 di bivalvi (vedi Tabella) raccolti nella Piana fiorentina.
Alcune di queste sono oggi assai rare, se non addirittura estinte, non solo nella Piana ma forse
nell’intera Toscana. Per questo motivo, sono incluse nelle liste di attenzione della L.R. 56/2000 e
considerate entità da tutelare, la cui presenza può essere motivo sufficiente per l’istituzione di
un’area protetta.
Varie specie di molluschi di acque palustri erano probabilmente molto comuni negli stagni e
nei canali della Piana; in particolare, Physa fontinalis (Linnaeus, 1758) in quel periodo si poteva
considerare un’entità banale, tanto che oltre a popolare gli acquitrini intorno a Firenze si poteva
raccogliere nelle vasche dei parchi cittadini come in quelle del Giardino di Boboli (Fig. 2).
Fig. 2. Campione di Physa fontinalis conservato nelle collezioni storiche della sezione di Zoologia
“La Specola” del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze (Foto S. Cianfanelli).
I dati museali sono significativi perché testimoniano la progressiva scomparsa di questa specie
autoctona, per cause in parte ancora da accertare, e il contemporaneo insediamento di un mollusco
alloctono invasivo, Haitia acuta (Draparnaud, 1805), che, trovando una nicchia ecologica
parzialmente libera e forse entrando in competizione con la specie indigena, è stato probabilmente
corresponsabile della sua estinzione (Fig. 3). P. fontinalis è una specie oggi protetta dalla L.R.
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56/2000 ed è inclusa nel Repertorio Naturalistico Toscano (Re.Na.To.), dove compare con solo tre
segnalazioni dal 1960. Dopo il 1985 mancano segnalazioni di questa specie, a dimostrazione che
nell’arco di un secolo la situazione ambientale è mutata drasticamente. I dati delle collezioni
storiche del Museo di Storia Naturale di Firenze (31 campioni provenienti da 4 province toscane:
Firenze, Lucca, Pisa, Pistoia) sono una prova certa di questi mutamenti.
Fig. 3. A sinistra Haitia acuta, mollusco alloctono, e a destra Physa fontinalis, specie in via di estinzione (Foto S.
Bambi & S. Cianfanelli).
Il più grosso gasteropode basommatoforo italiano, Lymnaea stagnalis (Linnaeus, 1758) (Fig.
4), come indica il nome specifico, è legato agli ambienti di acque lentiche (stagni, paludi, laghi).
Anche questo mollusco era molto comune negli acquitrini della pianura fiorentina (12 dei 42
campioni storici della Toscana conservati a La Specola), ma non si hanno segnalazioni recenti,
perciò è stato aggiunto alle liste di attenzione dell’archivio Re.Na.To. Anche Planorbis carinatus
(O.F. Müller, 1774), specie tutelata dalla legislazione regionale, sembra oggi assente nelle acque
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della Piana, mentre dai dati storici di collezione risulta che fosse ampiamente e abbondantemente
diffuso.
Fig. 4. Lymnaea stagnalis (Foto S. Cianfanelli).
Disponiamo invece di notizie relativamente recenti di un’altra specie protetta dalla L.R.
56/2000, Planorbarius corneus (Linnaeus, 1758). Nel 1988 era ancora presente negli Stagni di
Focognano; da Re.Na.To. è comunque evidente che la sua distribuzione in Toscana stia subendo
una contrazione, poiché i siti segnalati recentemente sono 11 (AA.VV., 2003-2008), mentre dalle
collezioni storiche del Museo si deduce che questo basommatoforo fosse comune nella Piana
fiorentina, così come nel resto della Toscana (21 località nelle province di Firenze, Lucca, Pisa,
Prato, Pistoia).
Sempre nel 1988, negli stagni di Focognano fu individuata un altro mollusco acquatico
protetto, Viviparus contectus (Millet, 1813) (Fig. 5). Meno raro della specie precedentemente
trattata, è comunque soggetto ad una drastica riduzione demografica dovuta alla scomparsa degli
habitat lacustri nei quali vive. Segnalato recentemente in Toscana in 13 stazioni (AA.VV., 20032008), molti sono i campioni ottocenteschi che ne dimostrano una distribuzione più ampia.
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Fig. 5. Viviparus contectus, gasteropode prosobranchio d’acqua dolce di notevoli dimensioni (Foto S. Cianfanelli).
Dalla comparazione dei dati storici con quelli recenti appare, dunque, evidente la variazione
della componente malacologica legata agli ambienti palustri: le specie un tempo comuni e
abbondanti sul territorio sono oggi, in molti casi, già estinte o da proteggere per la loro rarità. E lo
stesso discorso deve essere fatto per la malacofauna di acque correnti. Ad esempio, Theodoxus
fluviatilis (Linnaeus, 1758), gasteropode bentonico che predilige fiumi e torrenti con acque pulite,
era comune nella Piana fiorentina alla fine del 1800 e viveva, in abbondanti popolazioni, nel Fiume
Arno e nei torrenti e canali della Piana (numerosi sono i reperti presenti nella collezione
malacologica storica de La Specola), ma oggi è localmente estinto. Anche Belgrandia thermalis
(Linnaeus, 1767), che esige torrenti e canali con acque pulite di origine sorgentizia, è segnalata
storicamente in varie stazioni anche nella Piana; oggi nelle province di Firenze, Prato e Pistoia,
sopravvive un'unica popolazione relegata in una sorgente alle falde della Calvana pratese (Lori &
Cianfanelli, 2005), che versa in uno stato assai critico.
In conclusione, il raffronto tra la fauna della Piana fiorentina all’inizio del secolo scorso con
l’odierno conduce a interessanti considerazioni. Il numero attuale delle specie è simile a quello
dell’inizio del 1900, ma la composizione faunistica è diversa: tre specie (B. thermalis, L. stagnalis,
P. fontinalis) sono localmente estinte e tre delle specie “nuove” sono alloctone. Le collezioni
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presentano ovvie lacune, anche perché sia i dati storici sia quelli recenti non sono stati raccolti
appositamente per determinare la malacofauna dell’area esaminata: nelle collezioni storiche
mancano le specie di piccole dimensioni per individuare le quali occorrono metodi più sofisticati di
ricerca; non troviamo infatti taxa della famiglia dei Planorbidae (Gyraulus, Anisus) e specie
crenobionti e stigobionti (Islamia, Avenionia) che erano quasi sconosciute alla fine dell’Ottocento,
anche se vivono da sempre nella Piana. Inoltre, come facilmente deducibile dai cambiamenti
morfologici, idrografici e dell’uso del suolo verificatisi nella Piana, la densità di molte specie
palustri è diminuita drasticamente negli ultimi 50 anni.
Fino alla metà del secolo scorso anche la carcinofauna autoctona probabilmente doveva essere
abbondante e diversificata. I crostacei, nelle acque superficiali lotiche e lentiche, erano componenti
importanti di plancton, necton e benthos. Dovevano essere diffuse dafnie (Daphnia sp.), copepodi
ciclopoidi (Megacyclops sp.), anfipodi (Synurella ambulans (O.F. Müller, 1846), Gammarus sp.) e
isopodi (Asellus aquaticus (Linnaeus, 1758)), mentre nelle acque di falda venivano spesso raccolti
anfipodi ciechi del genere Niphargus, ancora oggi presenti nella fauna stigobionte, come risulta dai
campionamenti effettuati nei pozzi del complesso de La Specola (Vigna Taglianti, 1968; Ruffo &
Vigna Taglianti, 1968; Messana, 1971, Vanni et al., 1987).
Nel caso dei crostacei decapodi, i granchi (Potamon fluviatile (Herbst, 1785)), in epoche
risalenti almeno alla fine della seconda guerra mondiale, erano abbondanti nei fossi ai piedi della
collina di Monte Morello (Piero Parigi Bini, Ricerche su una particolare industria sestese:
l’allevamento dei granchi di acqua dolce. Raccolta fedelissima delle notizie avute dagli allevatori
stessi. Relazione inedita manoscritta, Sesto Fiorentino 23 febbraio 1946, 7 pp.), mentre i gamberi di
fiume (Austropotamobius italicus (Faxon, 1914)) erano storicamente assenti nella Piana, ma
presenti nel torrente Carzola, a est della Piana, ad una altitudine maggiore rispetto ai corsi d’acqua
occupati dai granchi. La citazione della presenza nel fiume Arno nel comune di Firenze del
gamberetto di fiume Palaemonetes antennarius non è confermata da campionamenti recenti (Vanni
et al., 1987). È dimostrata la presenza di Atyaephyra desmarestii (Millet, 1831), un piccolo e
trasparente gamberetto di fiume, individuato nei “lavaroni” d’Arno nel 1886, che recentemente non
è stato più raccolto nell’area.
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Fig. 6. Alcuni stralci del manoscritto inedito di Piero Parigi Bini (1946). In alto: parte della prima
pagina, al centro: le località di raccolta citate, in basso: la firma autografa dell’autore
(dall’archivio storico del Museo La Specola).
Tra gli abitanti di San Martino a Sesto, sicuramente fino agli anni 50 del secolo scorso, era
diffusa l’attività di raccolta dei granchi di fiume a fini alimentari. Gli animali erano catturati nei
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fossi di Rimaggio e del Chiosina (Ettore Granchi, com. pers.), sul Monte Morello (Ghigi, 1915;
AA.VV., 1996) e a Signa, Legri, le Croci di Calenzano e Cornocchio (Piero Parigi Bini, 1946,
relazione inedita) (Fig. 6).
L’antico mestiere di “granchiaio”, attività unica del territorio di Sesto (testimoniato anche dalla
frequenza del cognome “Granchi” nella popolazione sestese), era intrapresa a livello familiare e
costituiva una fonte di reddito stagionale (Fig. 7). I granchi erano allevati singolarmente in
caratteristici cocci che erano impilati uno sull’altro e conservati al caldo in apposite stanze o in
angoli dell’orto di casa, fino a quando i granchi non mutavano e potevano così essere venduti come
“granchi teneri” al mercato di Sesto o di Firenze (AA.VV., 1996) (Fig. 8).
Fig. 7. Immagine di “granchiaio” estratta dall’articolo di Ghigi (1915).
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I granchi che non mutavano e che quindi non erano utilizzabili per il commercio erano usati
come medicamento per le affezioni alla gola oppure come concime per la coltivazione dei fagioli.
L’allevatore utilizzava così interamente la risorsa “granchio”, non sprecando alcun esemplare.
Fig. 8. I caratteristici “cocci” impilati dove erano allevati i granchi. A lato, due granchi nei contenitori, e due
esemplari di “granchi teneri” con la loro muta (foto dell’archivio storico del Museo La Specola).
Le specie oggi dominanti nella Piana sono le alloctone
La fauna carcinologica (e non solo) della Piana è dominata oggi dal gambero rosso della
Louisiana Procambarus clarkii (Girard 1852), noto in Italia come il “gambero killer” (Fig. 9).
A partire dagli anni ’60, questa specie, originaria degli Stati Uniti centro-meridionali e del
Messico nord-orientale, è stato introdotta in tutti i continenti (eccetto l’Australia e l’Antartide) in
quanto specie elettiva per l’asticicoltura (Gherardi & Holdich, 1999). Come spesso accade, la fuga
(o il rilascio volontario) di animali dagli stabilimenti di acquacoltura ha causato lo stabilizzarsi di
popolazioni riproduttive negli ambienti naturali. In effetti, alcuni aspetti della biologia della specie
che ne favoriscono l’allevamento sono anche prerequisiti della sua elevata capacità di adattamento
ad ambienti diversificati e quindi del suo comportamento invasivo: P. clarkii è altamente resistente
alle malattie, è generalista e opportunista nelle sue abitudini trofiche (Gherardi & Barbaresi, 2007),
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ha un’elevata plasticità, è altamente fecondo e manifesta una forte tolleranza a condizioni
ambientali estreme (Gherardi, 2006). Inoltre, è capace di sopravvivere a lungo in condizioni
asfittiche o addirittura in assenza di acqua (Gherardi et al., 1999) e si diffonde attivamente,
percorrendo lunghi tratti in ambiente sub-aereo (Gherardi & Barbaresi, 2000).
Fig. 9. Procambarus clarkii, comunemente conosciuto come gambero killer o gambero rosso della Louisiana
(Foto S. Bambi).
L’impatto ecologico che questa specie esercita sulle aree invase è ben documentato (Gherardi,
2007). La sua comparsa negli ambienti naturali è, infatti, sempre associata ad una drastica riduzione
della biodiversità. Preda macrofite, molluschi, insetti, anfibi e pesci (Gherardi et al., 2001; Renai &
Gherardi, 2004; Gherardi & Acquistapace, 2007), modifica in modo drammatico la rete trofica
(Gherardi, 2007) e determina per via diretta o indiretta l’estinzione locale di specie, come nel caso
del tritone Taricha torosa della California. Compete con successo con le popolazioni del gambero
indigeno Austropotamobius italicus nell’aggressione diretta per l’occupazione dei rifugi (Gherardi
& Cioni, 2004). Contribuisce anche per via indiretta alla drastica riduzione a cui sono oggi soggette
le popolazioni del gambero autoctono, in quanto vettore “sano” dell’oomicete Aphanomyces astaci,
agente eziologico della “peste del gambero”. Anche quando le due specie non sono in sintopia, le
spore di A. astaci possono diffondersi perché aderiscono alle attrezzature di pesca, alle scaglie dei
pesci o alle penne degli uccelli. Inoltre, a causa della sua intensa attività di scavo, P. clarkii provoca
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danni strutturali agli argini e incrementa la torbidità dell’acqua, riducendo la produttività primaria
delle piante bentoniche. Infine, questa specie accumula concentrazioni relativamente elevate di
metalli pesanti nell’epatopancreas (Gherardi et al., 2002) e di tossine prodotte da microalghe di cui
si nutre (Gherardi & Lazzara, 2006) soprattutto nell’intestino (Tricarico et al., 2006), costituendo
una seria minaccia per la salute dei suoi consumatori, incluso l’uomo.
La presenza di questa specie invasiva nella Piana risale alla metà degli anni ’90. A partire dal
1996, le popolazioni di P. clarkii nella Piana sono state oggetto di studio da parte di ricercatori del
Dipartimento di Biologia Animale e Genetica (oggi Dipartimento di Biologia Evoluzionistica)
dell’Università di Firenze in collaborazione con il Museo di Storia Naturale della stessa Università.
Questa ricerca ha chiarito la struttura e la dinamica delle popolazioni del gambero (Gherardi et al.,
1999) e i ritmi di attività (Barbaresi et al., 2004a). In particolare, si è osservato che la sua intensa
attività di scavo (Barbaresi et al., 2004b; Fig. 10) è il risultato dell’uso consumistico che questa
specie fa delle tane. Infatti, i gamberi, alla fine della fase di foraggiamento, anziché occupare la tana
originaria, ne costruiscono una nuova. Le tane, una volta abbandonate, presto collassano, favorendo
il crollo degli argini.
Fig. 10. Vari tipi di tane di Procambarus clarkii (Foto F. Gherardi & S. Cianfanelli).
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Fino a poco tempo fa si pensava che l’area “donatrice” della popolazione di P. clarkii della
Piana fosse il Lago di Massaciuccoli. Questo lago, infatti, è il primo ambiente acquatico della
Toscana ad essere stato colonizzato dalla specie, nel 1993, quando vi si riversarono animali fuggiti
da un allevamento di Massarosa (Barbaresi & Gherardi, 2000). In realtà, uno studio recentemente
condotto (Barbaresi et al., 2003, 2007) ha mostrato differenze significative nella struttura genetica
tra la popolazione della Piana e le altre popolazioni analizzate, facendo dunque pensare a
un’introduzione da altre aree donatrici. I gamberi della Piana potrebbero provenire dalla Repubblica
Popolare Cinese, dove l’allevamento di questa specie è praticato dal 1990. Questa ipotesi sembra
essere confermata dall’elevato numero di immigrati cinesi presenti nell’area, in particolare
all’Osmannoro, e dal fatto che, come da noi documentato, la pesca dei gamberi costituisce
un’attività assai diffusa da parte di questi cittadini. I gamberai cinesi di oggi sembrano dunque avere
sostituito i granchiai sestesi del secolo passato. Ma cosa dire della sicurezza alimentare di gamberi
che vivono in un ambiente soggetto a svariate forme di inquinamento? Sarebbe auspicabile una
regolamentazione dell’attività di pesca del gambero in quest’area e sarebbe necessario un controllo
attento dell’uso di tale prodotto.
I molluschi alloctoni accertati nella Piana fiorentina sono 4 (vedi Tabella), pari al 13% della
componente malacologica di recente rilevamento. A parte Haitia acuta, il primo mollusco d’acqua
dolce introdotto in Italia fin dalla seconda metà dell’Ottocento dal Nord America (Cianfanelli et al.,
2007), gli studi sull’impatto di molti molluschi introdotti sono ancora insufficienti. Per esempio,
non si conoscono gli effetti sulla fauna bentonica autoctona di Ferrissia wautieri Mirolli, 1960, un
piccolo gasteropode estremamente mimetico, segnalato per gli stagni di Focognano già negli anni
‘80 (Talenti & Cianfanelli, 1989). Potamopyrgus antipodarum (Gray, 1843) e Anodonta woodiana
(Lea, 1834) hanno una più alta invasività potenziale. Il primo, originario della Nuova Zelanda, può
costituire colonie composte da miliardi di individui e la modalità riproduttiva per partenogenesi
facilita la sua diffusione (Favilli et al., 1998). A. woodiana, grosso bivalve (30 cm) proveniente
dalla Cina, è ormai presente in buona parte della penisola italiana (Cianfanelli et al., 2007).
Caratterizzato da un’elevata valenza ecologica e da un’ottima resistenza agli inquinanti, presenta
tutte quelle caratteristiche che fanno di una specie un ottimo invasore. Sicuramente, a causa di
fenomeni di competizione, la sua presenza può portare alla progressiva riduzione numerica di altri
unionidi autoctoni, tra cui U. mancus, protetto dalla legislazione europea, italiana e regionale.
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Fig. 11. Canali presso Focognano, dove volatili come aironi e anatre convivono con specie alloctone come il
gambero killer e la nutria (Foto S. Cianfanelli).
Ipotesi di mitigazione del fenomeno invasivo
Per essere contrastato, il fenomeno invasivo deve essere conosciuto; devono dunque essere
chiariti la tassonomia delle specie alloctone presenti sul territorio, la loro provenienza e il loro
eventuale impatto (Gherardi et al., 2008). La conoscenza scientifica della biologia della specie su
cui si opera è infatti indispensabile per approntare qualsiasi forma di intervento. Nonostante
l’ovvietà di questa affermazione, abbiamo assistito di recente ad azioni che non sembrano essere
state supportate da adeguate competenze scientifiche e che potrebbero quindi risultare rischiose per
l’ambiente, quali l’inserimento da parte della Regione Toscana di una specie alloctona e ad elevata
potenzialità invasiva, come Micropterus salmoides Lacépède, 1802, nell’elenco delle specie di
fauna ittica “a rischio o meritevoli di tutela” (L.R. 7/2005). È invece raccomandabile usare
particolare attenzione nella gestione di specie alloctone per evitare gravi errori, quali l’introduzione
volontaria in tratti di corsi d’acqua ancora indenni, come successo nella Pianura Padana con il
bivalve Dreissena polymorpha (Pallas, 1771) utilizzato come bioindicatore.
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Tra le cause più frequenti dell’introduzione di molluschi non indigeni ci sono i ripopolamenti
ittici (Gherardi et al., 2008). Gli Unionidi come A. woodiana presentano uno stadio larvale, il
glochidio, che parassita le branchie dei pesci. Una volta che questi sono rilasciati in un nuovo
bacino, la larva, trasportata passivamente, può dare origine ad una nuova popolazione. Anche P.
antipodarum è spesso veicolato insieme ai pesci da semina, a dimostrazione di quanto l’uomo possa
essere responsabile, direttamente o indirettamente, dei cambiamenti ambientali che possono
condurre alla perdita di biodiversità locale.
Il metodo che si decide di adottare per la mitigazione dei danni delle specie invasive deve
essere sicuro per l’ambiente e per la salute dell’uomo e degli animali domestici; deve essere
giustificabile dal punto di vista etico; deve essere economico e facilmente gestibile; deve infine
essere dotato di un’elevata probabilità di successo. Al successo ovviamente contribuisce
l’educazione di tutti coloro che fruiscono dell’ambiente, incluso il largo pubblico dei “non addetti ai
lavori”.
In Italia, le proposte di intervento nei confronti di P. clarkii sono state numerose ma,
soprattutto a causa delle risorse finanziarie esigue e della durata limitata di ogni singolo progetto, si
sono ad oggi limitate alla sperimentazione, spesso in laboratorio, di tecniche per la riduzione
numerica delle popolazioni invasive. I metodi investigati comprendono il trappolaggio (Patrizia
Acquistapace, com. pers.) e l’uso di biocidi (Morolli et al., 2006), di feromoni sessuali (Aquiloni,
2008) e di predatori indigeni quali l’anguilla (Laura Aquiloni, com. pers.), ma fino ad oggi le
promesse di successo sono apparse ancora limitate. Un metodo da noi recentemente investigato che
ha prodotto risultati promettenti è la “Sterile Male Release Technique” (SMRT). Questa tecnica,
ampiamente utilizzata in campo entomologico, si basa sul rilascio in natura di maschi sterili o
parzialmente fertili, ma ancora in grado di competere sessualmente con i maschi selvatici
interferendo con il successo riproduttivo di questi ultimi. Recentemente, è stata valutata la
possibilità di ottenere maschi sterili attraverso l’esposizione a radiazioni ionizzanti: i risultati
mostrano una riduzione media della fertilità pari al 43% senza che vitalità, competitività ed
attrazione sessuale dei maschi risultassero compromesse (Aquiloni et al., 2008).
Concludendo, per impedire nuove introduzioni di specie non indigene e per ostacolare la loro
ulteriore diffusione l’intervento più efficace è quello preventivo (Genovesi & Shine, 2004), che
deve essere accompagnato da una buona educazione ambientale e dall’implementazione e dal
rispetto delle normative. Nei confronti delle specie già presenti sul territorio, sono necessari
interventi di mitigazione dei danni che devono comunque essere sempre supportati dalla conoscenza
scientifica della biologia e dell’ecologia della specie oggetto dell’intervento.
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Conclusioni
La Piana Fiorentina è assai compromessa da un punto di vista ambientale: poche sono le aree
che mantengono qualche vestigia di integrità, erosa anno dopo anno da nuove opere infrastrutturali
e di edilizia alle quali si aggiungono inquinamenti di vario tipo e l’introduzione e diffusione di
fauna alloctona (Fig. 11). La scommessa è quello di un effettivo recupero che migliori ed estenda
l’esperienza dell’ANPIL di Focognano (Fig. 12) e che preveda investimenti e ricerche per
permettere di intervenire in azioni atte ad una effettiva riqualificazione di alcuni ambienti.
Fig. 12. Ambienti palustri alla base della collina artificiale della discarica di Case Passerini nella Piana fiorentina
(Foto S. Cianfanelli).
Ringraziamenti
Ringraziamo Ettore Granchi che ci ha fornito le preziose informazioni storiche sulla fauna
carcinologica della piana sestese.
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Tabella Molluschi acquidulcicoli
Specie
Gasteropodi
Ancylus fluviatilis
Anisus spirorbis
Avenionia ligustica
Belgrandia thermalis
Bithynia leachii
Bithynia tentaculata
Bythinella schmidtii
Ferrissia wautieri
Galba truncatula
Gyraulus albus
Gyraulus crista
Haitia acuta
Hippeutis complanatus
Islamia sp. 3
Lymnaea stagnalis
Physa fontinalis
Planorbarius corneus
Planorbis carinatus
Planorbis moquini
Planorbis planorbis
Potamopyrgus antipodarum
Radix auricularia
Radix peregra
Stagnicola fuscus
Theodoxus fluviatilis
Valvata cristata
Valvata piscinalis
Viviparus ater
Viviparus contectus
Bivalvi
Anodonta anatina
Anodonta woodiana
Musculium lacustre
Pisidium amnicum
Pisidium casertanum
Pisidium henslowanum
Pisidium personatum
Sphaerium corneum
Unio mancus
Totale
Presenti nelle
collezioni
storiche
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Recentemente Recentemente
Tutelate dalla
rilevate (Sesto, rilevate anche
L.R. 56/2000
Campi, Signa) comuni limitrofi
X
Alloctone
X
X
X
X
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X
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X
29
Presenti
nell'archivio
Re.Na.To.
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
14
X
31
X
X
X
X
5
X
9
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