On The Road-Man. di intervento - European Commission

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On The Road-Man. di intervento - European Commission
Manuale di intervento sociale
nella prostituzione di strada
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Proposte
On the Road è un’associazione di volontariato che opera da circa un decennio, nelle
regioni Marche ed Abruzzo, in azioni ed interventi diversificati (lavoro di strada, accoglienza, percorsi di inserimento sociale) nell’ambito della prostituzione di strada.
Aderisce al Coordinamento Nazionale delle
Comunità di Accoglienza (C.N.C.A.) e si raccorda con le realtà operanti in tale settore di
intervento a livello nazionale ed europeo.
ON
THE
ROAD
ON THE ROAD
l “pianeta prostituzione” è stato rappresentato, a livello fenomenico, con
modalità ambivalenti: per molto tempo
terra di nessuno (la paura di parlarne,
l’oscenità del fenomeno), recentemente
terra di tutti (tutti ne parlano, spettacolarizzazione del fenomeno, prostituzione
“mostrata” dai mass- media).
Il presente lavoro cerca di sottrarsi a
tale inutile e dannosa diatriba.
Il fatto è che la prostituzione di strada è
sempre più visibile, ma “invisibili”
rimangono le vite delle donne (soprattutto immigrate) che ci sono dentro.
Il tentativo è quello di offrire alcune
buone pratiche di lavoro sociale in cui
presentare gli scenari, le politiche e gli
interventi nel campo della prostituzione,
in cui fare ipotesi su nuovi modelli operativi attorno al fenomeno, in cui ritrovare le utopie di possibili percorsi di progettazione sociale.
CNCA
I
C
N
C
A
Manuale
di intervento sociale
nella prostituzione
di strada
Comunità Edizioni
1
Comunità Edizioni
C.N.C.A.
Via Vallescura, 47
63010 Capodarco di Fermo (AP)
Tel. 0734/672504 - 671969
Fax 0734/675539
È consentita la riproduzione anche parziale in qualsiasi
forma e con qualsiasi mezzo purché venga citata la fonte.
In copertina: Kees van Dongen, Ritratto di Fernanda,
1905, (particolare).
Finito di stampare nel mese di gennaio 1998
dalla coop. Litografica COM di Capodarco di Fermo (AP)
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ON THE ROAD
Manuale di intervento sociale
nella prostituzione di strada
A cura dell’Associazione On the Road
Redazione di Marco Bufo e Annalia Savini
Coordinamento di Vincenzo Castelli
Comunità Edizioni
3
4
Indice
Presentazione - Roberto Gobbato
Introduzione - Vincenzo Castelli
1.
2.
3.
4.
5.
PARTE I
SCENARI, POLITICHE, INTERVENTI
Aspetti del fenomeno della prostituzione
straniera. Un quadro di riferimento
Francesco Carchedi
Le politiche italiane
2a. La legislazione in Italia
Franco Prina
2b. Le politiche sociali a livello nazionale
e locale. Genesi, risultati e problemi
Roberta Tatafiore
I sistemi applicabili alla prostituzione
e le politiche prostituzionali in Europa
Licia Brussa
Gli interventi
Vincenzo Castelli
Gli attori
5a. Il target
Carla Corso
5b. Le istituzioni pubbliche
Vincenzo Castelli
5c. Il privato sociale
Maria Teresa Tavassi
PARTE II
METODOLOGIA E STRUMENTI
1. Progettazione
Vincenzo Castelli
2. Progettualità e fonti di finanziamento
Vincenzo Castelli
5
pag.
”
7
9
”
19
”
37
”
59
”
81
” 113
” 135
” 141
” 155
” 167
” 189
3. La valutazione di progetti sulla prostituzione
Pina De Angelis e Liliana Leone
pag. 211
4. Strumenti di ricerca sociale
sul fenomeno prostituzione
Stefano Ricci
” 229
5. Strumenti giuridico legislativi
Cristina Perozzi
” 257
6. Un profilo professionale: l’Operatrice Sociale
di Base nell’ambito della Prostituzione
Vincenzo Castelli e Marco Bufo
” 291
7. Il lavoro di strada
Antonio D’Alessandro
” 305
8. Figure professionali nel lavoro di strada
Pia Covre
” 337
9. Percorsi di uscita ed accompagnamento
verso l’autonomia
Stefania Scodanibbio e
Maria Rosario Bolanos (Suor Charo) ” 347
10. Figure professionali nell’accoglienza
e l’accompagnamento verso l’autonomia
Stefania Scodanibbio
” 367
11. Il lavoro di rete. L’esperienza dell’Emilia
Romagna
Lorenza Maluccelli
” 379
12. Localizzazione degli interventi
Vincenzo Castelli
” 397
13. Strumenti di riferimento
Vincenzo Castelli
” 419
Postfazione - Roberto Merlo
APPENDICE
1. Il C.N.C.A.
Vincenzo Castelli
2. L’Associazione On the Road
Vincenzo Castelli
3. Il Progetto “Ionique - Occupazione:
femminile plurale”
Marco Bufo
6
” 431
pag. 455
” 459
” 463
Presentazione
di Roberto Gobbato*
C
i sono spazi, ambiti, terre che appartengono a tutti, su cui tutti camminano...
Ci sono spazi, ambiti, terre di nessuno, su
cui nessuno si misura...
Ci sono spazi, ambiti, terre di mezzo, che
stanno a metà del guado, in una sorta di mezzadria indefinibile...
Il “pianeta prostituzione” è stato rappresentato, a livello spazio-temporale, con modalità
ambivalenti: per molto tempo terra di nessuno
(la paura di parlarne, l’oscenità del fenomeno), recentemente terra di tutti (tutti ne parlano, spettacolarizzazione del fenomeno, prostituzione “mostrata” dai mass-media).
Vorremmo rivisitare, con questo lavoro, i luoghi delle “terre di mezzo” in cui il fenomeno
della prostituzione può trarre nuova luce...
Si tratta di colmare le distanze tra il dire ed
il fare (sulla prostituzione), tra la scena e l’osceno (della prostituzione), tra il sacro ed il
perverso (del fenomeno), tra samaritani e
“temerari” (operatori del settore)...
Terre di mezzo appunto, perché le politiche
sulla prostituzione sono ancora provvisorie, in
cui le rappresentazioni sociali sul fenomeno
sono ancora parziali, in cui gli interventi sono
frammentati...
Terre di mezzo, da cominciare a percorrere,
sulla strada e tra le strade.
7
E’ per questo che proponiamo questo manuale, più che una bussola una mappa.
Una mappa in cui raccontare la memoria
delle esperienze prodotte (gli interventi sociali
nel campo della prostituzione), in cui fare ipotesi su nuove costruzioni sociali (attorno al
fenomeno), in cui ritrovare le utopie di possibili
percorsi di progettazione sociale.
*Roberto Gobbato è presidente dell’Associazione On
the Road.
Laurea in medicina e chirurgia, specializzazione in
neurologia, pronto soccorso e terapia d’urgenza;
numerose esperienze lavorative e di volontariato nel
campo delle tossicodipendenze e dell’handicap psicofisico.
Attualmente lavora all’Ospedale Civile di San
Benedetto del Tronto presso la divisione di Neurologia.
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Introduzione
di Vincenzo Castelli*
M
isurarsi, attraverso la pubblicazione di un
testo, nell’analisi di un fenomeno come quello
della prostituzione in Italia è certamente complesso in quanto oggi il “pianeta” della prostituzione si presenta come un processo in divenire
con una velocizzazione vorticosa dei fenomeni,
dei flussi, dei target, dei dibattiti, degli interventi
ed anche, delle ideologie.
Tale multifattorialità rende pertanto difficile
affrontare, in maniera significativa e sensata,
tale fenomeno, senza rischiare di elencare banalità, offrire frammenti e segmenti insufficienti
per affrontare il tema in forma propositiva.
A tali difficoltà si aggiungono:
- le spettacolarizzazioni del mondo della prostituzione (con le sue violenze, trasgressioni,
paradossalità, intrighi, piccanti sensazioni) da
parte dei mass-media che fanno del fenomeno
“prostituzione” un oggetto comunicativo di
scambio fortissimo;
- le campagne di moralizzazione pubblica e di
“ritrovato” senso del pudore da parte del cittadino
medio tra etica pubblica e trasgressione privata;
- il dibattito ancora aspro tra contrapposte
idee (quando non ideologie) tra proibizionismo
e liberalizzazione, tra criminalizzazione della
prostituta e tutela dei suoi diritti, tra ripristino
delle case chiuse e attivazione della “zonizzazione” del fenomeno;
9
- la diversificazione strutturale dello stesso
target: si va dalla prostituta che esercita liberamente senza costrizione a quella “trafficata”,
sfruttata e schiavizzata, dalla prostituta di strada
a quella protetta (negli hotels, negli appartamenti), a quella mascherata (ballerine, massaggiatrici...), dalla prostituzione minorile a quella
adulta, da quella italiana a quella extracomunitaria. Tutte queste diversificazioni complicano
ulteriormente l’approccio e “falsificano” interventi massificati e generalizzati.
Anche il dibattito e la riflessione politica in
Italia ed in Europa sul fenomeno sono molto
ambivalenti e disomogenei.
Sono infatti molte le “invarianze” che fanno
diversificare le prese di posizione:
- pubblico/privato
- sanitario/sociale
- laico/cattolico
- destra/sinistra
- visibilità (sulla strada)/insivibilità (al chiuso)
- diritto all’esercizio/azione immorale
- libera iniziativa/tratta e coercizione
- liceità/illegalità
Queste divaricazioni incidono certamente
anche sul disegno delle politiche attorno al
fenomeno della prostituzione.
In particolare possiamo individuare alcune
linee di tendenza:
1. Il rapido mutamento del fenomeno della
prostituzione ha veicolato il mondo della prostituzione dentro i meandri della criminalità organizzata, locale ed internazionale, determinando
la modificazione strutturale del rapporto tra
prostituzione e comunità locale (gravi problemi
10
di insicurezza e manifestazioni di intolleranza
da parte dei cittadini).
2. La massiccia presenza di prostitute extracomunitarie ha, di fatto, inserito le stesse dentro il
dibattito sull’immigrazione extracomunitaria,
sulla clandestinità, sulla regolamentazione del
flusso migratorio.
3. Il traffico di donne a scopo di sfruttamento
sessuale, il problema della tratta e della riduzione in schiavitù di molte prostitute (qui potremmo usare il termine “prostituite”) fa cogliere
sotto una luce totalmente diversa il fenomeno
stesso, determinando riflessioni politiche di
notevole rilievo (Cfr. La Conferenza di Vienna
del 1996 sulla “Tratta delle donne”, il documento della Commissione delle Comunità Europee
“Sul traffico di donne a scopo di sfruttamento
sessuale” del 20.11.1996). Tale situazione ha
moltiplicato, all’interno del privato sociale ed in
particolare dentro il volontariato “cattolico”,
dibattiti e progetti di accoglienza e di presa in
carico di prostitute sfruttate e “trafficate”.
4. Il legame presente tra prostituzione e
malattia (HIV e Malattie a Trasmissione
Sessuale) ha riportato il dibattito dentro il pianeta sanitario attivando progetti di prevenzione
sanitaria (attraverso l’avvio di unità di strada, in
particolare la parte degli Enti Locali e da parte
dei Comitati di prostitute), con l’ottica della
riduzione del danno.
Di fronte alla vasta panoramica degli attori
(associazioni di volontariato, privato sociale,
cooperative sociali, istituzioni pubbliche, istituzioni private, enti religiosi...), che lavorano, in
forme diverse nell’ambito di alcuni settori del
disagio sociale (Cfr. handicap - tossicodipen11
denza - minori...) ci assale una forma di
sconforto pensando a quanti pochi siano gli
attori che operano nel campo della prostituzione.
A questo proposito però dobbiamo far notare:
- che si tratta di un fenomeno impenetrabile
fino a pochi anni fa e che negli ultimi tempi, per
alcune “invarianze” sopra riportate (il fenomeno
della tratta - il fenomeno dell’HIV e delle MTS il fenomeno della sicurezza - il fenomeno della
criminalità...), è diventato, in parte, affrontabile;
- che si tratta di un fenomeno definito “ambiguo” ed immorale da parte di molti attori, in
particolare di matrice cattolica, per i quali è pertanto difficile rapportarvisi.
- che si tratta di un fenomeno diverso (per
approccio, per coinvolgimento personale, per
tipologia di azione) rispetto agli altri classici in
cui si esplicano la cura e la riabilitazione.
- che si tratta di un fenomeno con poche sperimentazioni di intervento.
In questa prospettiva dobbiamo dire che
sono iniziati alcuni percorsi di intervento attivati
dalle regioni (Cfr. il Progetto della Regione
Emilia-Romagna), dalle città (Cfr. il progetto di
alcune città come Venezia, Bologna, Modena...),
dai movimenti di base (Cfr. la rete “Europap”,
coordinato in Italia dalla Lega Italiana Lotta
all’Aids e dal Comitato per i Diritti Civili delle
Prostitute, e la rete “Tampep”, coordinata in
Italia dallo stesso Comitato per i Diritti Civili
delle Prostitute), dal privato sociale (Cfr. gli
interventi attivati, ad esempio, dalla Caritas
Italiana).
Si stanno altresì costruendo nuove progettualità ed avviando itinerari formativi per creare
12
capacità e competenze in grado di gestire interventi diversificati nell’ambito della prostituzione.
L’idea della presente pubblicazione nasce
appunto a partire dalla necessità di cominciare
ad offrire alcuni strumenti di lavoro per chi si
vuole misurare con il mondo complesso e complicato della prostituzione. In particolare si
vuole offrire un prodotto, concepito come un
manuale, in grado di permettere, a chi vuole
operare nel campo, di entrare dentro il “pianeta
prostituzione” cogliendone, gli scenari e le possibili modalità di intervento. Nella prima parte
viene proposto il panorama delle politiche e
degli interventi sulla prostituzione, (in particolare analizzando quale sia oggi il fenomeno in
Italia, le politiche e la legislazione in Italia ed in
Europa, le azioni tipologiche degli interventi
realizzati e proponibili, gli attori in campo infine, a partire dalla prostituta per arrivare alle
risposte messe in atto dai servizi pubblici e dal
privato sociale). La seconda parte del manuale
diventa eminentemente pratica, proponendo
alcuni strumenti di lavoro necessari per azioni
nel campo della prostituzione: la progettazione,
le fonti di finanziamento, la valutazione degli
interventi, la ricerca sociale sul campo, gli strumenti giuridico-legislativi, i nuovi profili professionali nell’ambito della prostituzione, i modelli
del lavoro di strada, della presa in carico e dell’accompagnamento verso l’autonomia, la localizzazione degli interventi in corso ed, infine,
alcuni strumenti e risorse di riferimento come
libri, riviste e siti internet.
In appendice infine saranno presentati i soggetti ispiratori di tale lavoro: il Coordinamento
Nazionale delle Comunità di Accoglienza
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(C.N.C.A.) ed, in particolare, l’Associazione di
volontariato “On the Road” che, all’interno della
Federazione C.N.C.A., a cui aderisce, ha gestito
il Progetto di Iniziativa Comunitaria OCCUPAZIONE NOW, denominato “Ionique - Occupazione: Femminile plurale”, grazie al quale è
stata possibile la realizzazione, oltre che delle
fondamentali e centrali azioni formative per
fasce femminili svantaggiate, del presente volume.
Questo manuale, pur occupandosi del “pianeta prostituzione”, si pone in un ambito circoscritto di analisi e proposta di intervento, incentrandosi :
- sul fenomeno della prostituzione di strada
- sul fenomeno emergente della prostituzione
extracomunitaria
- sul fenomeno della prostituzione femminile.
Una ultima annotazione di tipo strutturale. Il
presente volume si presenta come un’opera collettiva. È il frutto della riflessione di chi opera
sul campo, di chi da qualche, o molto tempo
prova a riflettere sul fenomeno, di chi ha fortemente a cuore il problema.
Certamente non è un’opera sinfonica (dove
tutti suonano la stessa musica) ma polifonica.
Ognuno degli autori ovviamente parte dal proprio sistema-lettore per affrontare il tema assegnatogli. Tutto ciò non è, riteniamo, negativo.
Anzi il valore di tale opzione può essere colto
proprio nella differenza degli orientamenti. Del
resto, lo abbiamo affermato in tutto il testo, il
lavoro sul “pianeta prostituzione” non è omogeneo o lineare, è senza dubbio particolare, sfruttato, discontinuo...
Fa molto piacere, a chi ha coordinato tale
14
opera, che le differenze tra gli autori non abbiano impedito la pubblicazione di un testo comune. Ciò può significare voglia di confronto, di
reciprocità, voglia di... rete.
Ciò detto cercheremo allora di procedere
coscienti che ciò che diremo oggi nell’arco di
pochi mesi potrà essere ampiamente superato,
e strutturalmente modificato.
* Vincenzo Castelli è coordinatore Progetto
Nazionale NOW C.N.C.A.; volontario dell’Associazione
On the Road; Pedagogista; Consulente del C.N.C.A. per
progetti sociali e del Comune di Bologna per il
Progetto “Bologna Sicura”.
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PARTE I
SCENARI, POLITICHE, INTERVENTI
17
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Aspetti del fenomeno
della prostituzione straniera.
Un quadro di riferimento
Francesco Carchedi*
Premessa
L
a “Legge Merlin” (del febbraio 1958) depenalizzando il reato di esercizio della prostituzione in ambito privato, ha fortemente influenzato
il percorso evolutivo del fenomeno “prostituzione”. Difatti nel corso degli anni ‘60 e ‘70 l’esercizio della prostituzione - praticata in particolare
dalle donne italiane - ha subito una lenta ma
irreversibile trasformazione: dall’esercizio nelle
“case chiuse” all’esercizio di strada e dalla strada alle abitazioni private. Sulla strada sono
comparse negli anni ‘80 altre tipologie di
donne, in particolare tossicodipendenti italiane
e - sul finire del decennio - le ragazze di origine
straniera.
In definitiva possiamo affermare che le prime
(le tossicodipendenti) appaiono in fase di
decrescimento numerico, mentre le seconde (le
ragazze di origine straniera) in fase di forte
accrescimento.
Da quanto pertanto detto l’analisi del fenomeno della prostituzione in Italia oggi va fatta,
in maniera precipua, cercando di entrare dentro
il pianeta della prostituzione di donne extracomunitarie.
Quest’ultimo fenomeno va collocato nella
nuova configurazione della società italiana, cioè
al passaggio da paese di emigrazione a paese di
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immigrazione. Passaggio avvenuto nel corso
degli anni ‘70, in concomitanza con le politiche
di stop emanate dai principali paesi nordeuropei di vecchia immigrazione, nel biennio 72-73
e degli effetti delle trasformazioni sociali avvenute dopo il “boom economico” del decennio
precedente.
Le strategie di stop sono state, e continuano
ad essere, espressioni di politiche di frontiera,
finalizzate ad arrestare, o quantomeno a filtrare,
i flussi migratori d’ingresso sulla base di precise
clausole di sbarramento.
Tali politiche - tra le altre cose - hanno fatto
dirottare una parte delle componenti migratorie,
già propense all’espatrio, in direzione di altri
paesi dove non vigevano queste normative,
cioè i paesi europei del bacino Sud del
Mediterraneo: Italia (in primo luogo, sin dalla
prima metà degli anni Settanta), Spagna e
Portogallo (dalla seconda metà degli anni
Ottanta) e la Grecia (dalla fine dello scorso
decennio). Questi paesi - cosiddetti di nuova
immigrazione - si allineano alle politiche di stop
emanate venti anni addietro dai paesi nordeuropei. Lo sbarramento alla libera circolazione (ad
esempio anche tra i Paesi con rapporti ex coloniali), l’interruzione dei trattati sulla mano d’opera (in generale tra i paesi del Nord Europa e
quelli del Sud, comprendenti anche paesi extracomunitari) hanno costretto di fatto componenti
propense all’emigrazione a percorrere strade
d’ingresso illegali, spesso all’interno di percorsi
battuti da organizzazioni delinquenziali.
In pratica la domanda migrante per motivi di
lavoro - in mancanza di norme regolative degli
ingressi - è stata intercettata da queste organizza20
zioni, innescando, con tale rapporto, un circolo
vizioso tra propensione migratoria, emigrazione
illegale e insediamento precario e incerto (a volte
anche degradato) nei paesi di destinazione.
All’interno di questo meccanismo si colloca
anche la prostituzione straniera (e la tratta delle
donne), sia quella cosciente ed esercitata per libera scelta (o quantomeno da una scelta governabile dalle interessate) che quella costrittiva, ovvero
in contrasto con la volontà delle interessate.
Le diverse fasi d’ingresso
La presenza delle ragazze che esercitano la
prostituzione acquista visibilità sociale in Italia
nei primi anni Novanta e prosegue, in fasi
diverse, negli anni successivi. Si tratta nella
sostanza di fasi che possiamo far corrispondere
a piccole ondate di flussi caratterizzate dalla
diversa nazionalità di origine e arrivate a ridosso delle componenti migratorie più ampie entrate regolarmente o irregolarmente - sul territorio nazionale nell’ultimo decennio.
La prima ondata è individuabile nel biennio
1989/90: sia perché sono gli anni di maggiore
migrazione dall’Est verso l’Ovest (quale effetto
della caduta del Muro di Berlino e della conseguente liberazione delle frontiere), sia perché
inizia la guerra tra i paesi dell’ex Jugoslavia con
la conseguente formazione di flussi di sfollati,
profughi e richiedenti asilo, sia perché in Italia
viene varata la principale legge di regolamentazione delle presenze immigrate che - come è
sufficientemente noto - produsse un significativo effetto attrattivo (legge n. 39/90, meglio nota
come “Legge Martelli”).
21
Questa prima ondata si caratterizza per la sua
magmaticità, nel senso che rimane difficile definire in maniera specifica i collettivi nazionali
nelle quali operano gruppi che praticano (spontaneamente o in maniera coercitiva) la prostituzione. In questo periodo emergono le ragazze
“polacche”, anche se il termine indicava generalmente le donne dei paesi dell’Europa dell’Est.
Infatti anche le donne ungheresi erano definite
“polacche”, nonostante la loro presenza fosse
datata già qualche anno prima, come del resto
quella delle donne e dei transessuali brasiliani.
La seconda ondata - più definita dal punto di
vista delle nazionalità - è quella delle ragazze
nigeriane e, in misura minore, da quelle peruviane e colombiane, individuabile nel biennio
1991/92. Queste entrano abbastanza regolarmente con il visto turistico e, una volta scaduto, restano in Italia, soggiornando in maniera irregolare.
È probabile che questo secondo contingente
abbia al proprio interno dei segmenti di donne
trafficate, cioè raggirate con dolo e costrette alla
prostituzione (specialmente tra le nigeriane).
La terza ondata - anch’essa più definita dal
punto di vista della nazionalità principale - è
quella delle ragazze albanesi, individuabile nel
biennio 1993/94. Queste donne - che entrano in
maniera prevalentemente clandestina - provengono in maggioranza dalle grandi città albanesi
e molto spesso sono arrivate insieme a parenti
maschi o fidanzati. Anche in questi casi il raggiro iniziale (specialmente da parte di amici senza
scrupoli) ha svolto una funzione determinate
nella spinta alla prostituzione. Oggi sappiamo
che i proventi della prostituzione andavano
investiti nelle “piramidi finanziarie” coperte in
parte dal Governo dell’ex Presidente Berisha,
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che a sua volta alimentava altri traffici illegali.
La quarta ondata - individuabile negli ultimi
due anni, cioè a partire dagli inizi del 1995 - si
caratterizza anche per l’arrivo di donne, comprese sia le nigeriane che le albanesi, coscienti
del fatto che, una volta arrivate in Italia, avrebbero dovuto prostituirsi per risarcire il debito
contratto al momento della partenza. Quello
che non sapevano erano le condizioni di sfruttamento aggressivo e violento delle quali sarebbero state oggetto e che non permettono di
sciogliere l’accordo. Questo di conseguenza
determina il protrarsi della durata del rapporto
di subordinazione che le lega ai rispettivi protettori e ne determina le forme di sfruttamento.
In questa fase si riscontra anche un cambiamento delle aree di provenienza delle ragazze.
Sembrano infatti provenire non solo dai grandi
centri urbani (come nelle ondate precedenti)
ma anche dai piccoli villaggi rurali dell’interno.
Fatto che fa pensare ad un riadeguamento delle
strategie di reclutamento da parte dei trafficanti,
in quanto nelle città probabilmente il gioco
comincia a essere scoperto e pertanto può
diventare troppo rischioso per i loro affari transnazionali.
Quante sono e dove sono
I dati ufficiali
La “Legge Merlin” (n. 75/58) ha depenalizzato
il reato connesso all’esercizio della prostituzione, nel caso cioè che questa sia praticata privatamente, e aggravato, al contrario, tutte le attività illecite che possono prodursi intorno ad
essa. Per tali ragioni, caratterizzate tra l’altro da
23
un profondo senso di civiltà, rimane pressoché
impossibile definire statisticamente il fenomeno, anche alla luce delle trasformazioni che lo
hanno caratterizzato negli ultimi anni. Le statistiche giudiziarie rilevano soltanto i reati di “istigazione, sfruttamento e favoreggiamento”, cioè
quei reati che si consumano collateralmente alla
prostituzione ma che non sono imputabili agli
attori che esercitano la prostituzione medesima.
Da questo punto di vista le persone che sono
state denunciate (in maggioranza maschi) per i
reati sopracitati, passano dalle 327 unità del
1990 alle 967 del 1995, cioè si riscontra nel
corso del quinquennio una triplicazione delle
denunce. I motivi di tale espansione possono
essere diversi cioè:
- una maggiore sicurezza e ricerca di autonomia e indipendenza di quante esercitano la professione rispetto alle persone che ne beneficiano sfruttandole;
- un maggior controllo territoriale da parte
delle forze dell’ordine con la presenza di agentidonne che facilitano la comunicazione con le
“vittime” e pertanto l’emersione delle pratiche
di sfruttamento;
- la presenza di organizzazioni non profit che
intervengono nel settore e diffondono la speranza tra le ragazze di poter fuoriuscire dal circuito della prostituzione;
- l’allargamento del fenomeno e pertanto il
conseguente allargamento delle denunce, come
mero fatto statistico.
Sono tutte ipotesi plausibili, ma nessuna da
sola soddisfa completamente l’estensione quantitativa delle denunce, anche se nell’insieme
possono offrire un ventaglio di possibili variabili esplicative.
24
Nel ‘94 le persone denunciate - suddivisibili
per regione e per nazionalità di provenienza sono state 737, con punte maggiori in
Lombardia (134), nel Lazio (107) e in Piemonte
(71). Sul totale complessivo 258 cittadini (pari a
circa un terzo) risultano essere di nazionalità
straniera in particolare albanesi (70), ex jugoslavi (65) e nigeriani (12). Ovviamente - come gran
parte delle rilevazioni statistiche di natura giudiziaria - si riscontrano soltanto i reati che vengono denunciati o che la polizia coglie in flagrante
e pertanto attiva la cosiddetta “azione dovuta”
(denuncia e arresto). Per questo i dati e le informazioni ufficiali offrono un quadro di riferimento sottodimensionato rispetto alla realtà delle
violenze e delle pratiche di sfruttamento sommerse che ruotano intorno alle donne (o anche
uomini) che si prostituiscono.
Le stime per le prostitute straniere
Se per un verso i dati ufficiali per loro natura
conducono a sottodimensionare il fenomeno,
dall’altro le procedure di stima dell’intero universo iniziano a produrre i primissimi risultati
sulle componenti immigrate. Occorre tra l’altro
precisare che l’esercizio della prostituzione in
ambienti privati, come accennato, non rientra
nei reati perseguibili. Infatti ipotizzando che a
ciascun reato denunciato possa rispondere una
persona che si prostituisce, abbiamo un totale
corrispondente al numero delle denunce (cioè
circa 3.000 persone negli anni 90-94, salvo
restando che si tratti di persone che non compaiono nel conteggio più volte: sia nello stesso
anno che negli anni successivi).
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Per le straniere, al contrario, entrano in gioco
altri fattori correlabili a quello che possiamo
definire l’effetto-cittadinanza: ovvero la mancanza - o la riduzione - della piena agibilità
sociale, nonché la presenza di ostacoli e forme
di resistenza di varia natura che intralciano o
ritardano i possibili processi di inserimento. Ad
esempio: il permesso di soggiorno, la residenza
anagrafica, le reti di protezione sociale, l’accesso ai servizi, la conoscenza delle risorse e delle
dinamiche sociali, la scissione del tempo di
esercizio della prostituzione e il tempo di mimetizzazione sociale o dell’essere nella società.
Non secondaria - come fattore di difficoltà di
stima - è la forte mobilità che caratterizza le
ragazze che esercitano la prostituzione. Infatti, a
fianco di collettivi che rimangono ancorati alla
loro “residenza” abituale, si riscontrano collettivi che si spostano da un’area territoriale all’altra
sulla base delle opportunità lavorative previste.
Nonostante le difficoltà citate le stime sino ad
ora prodotte sono sintetizzate nella Tab. 1 che
evidenzia complessivamente un fenomeno che
si attesta numericamente tra le 18.800 e le
25.100 unità, variamente distribuite sul territorio
nazionale. Le presenze maggiori sembrano
essere concentrate nel Nord con cifre comprese
tra le 8.800 e le 11.300 unità, seguite dal Centro
con 5.600/7.000 unità e dal Sud (comprensivo
delle Isole) con 5.100/6.800 unità.
Le regioni con un numero più alto di ragazze
straniere che si prostituiscono sono il Lazio e la
Lombardia, rispettivamente, con 4000/5000 e
3.500/4.500 unità stimate. Esse rappresentano,
tra l’altro, sin dall’apparire del fenomeno immigratorio, le regioni a maggior attrazione insediativa, sia per le opportunità occupazionali nella
26
piccola impresa e nelle attività di servizio che
per le opportunità di socializzazione offerte
dalle grandi metropoli, in particolare Roma e
Milano. Queste città sembrano essere - di conseguenza - quelle con una maggiore presenza
di prostitute ed anche, come abbiamo già rilevato, le città con il più alto numero di denunce
formali. Nell’insieme infatti Roma e Milano raggiungono circa un quarto del totale complessivo, per quanto riguarda le stime minime (5.000
su circa 18.800 unità) e poco più’ di un terzo
per quanto riguarda quelle massime (9.500 su
25.100 unità).
Per quanto riguarda le altre regioni - a parte
l’Emilia Romagna e il Piemonte, rispettivamente
con 1.200/1.800 unità stimate - si attestano
quasi tutte al disotto delle 1.000 unità, dislocate
tra l’altro a ridosso dei grandi centri urbani e
lungo le località costiere di maggior richiamo
turistico stagionale (ma anche settimanale).
Tab.1 Presenze prostitute immigrate 1996.
Indicazioni di stima dei testimoni privilegiati
Regioni
Città
Veneto
Venezia
Vicenza
Emilia Romagna
Bologna
Rimini
Ravenna
Lombardia
Milano
Brescia
Minime
800
500
150
1.200
500
400
200
3.500
2.000
800
27
Stime
Massime
1.200
800
200
1.800
800
600
400
4.500
2.500
1.000
Piemonte
1.200
Torino
Lazio
1.800
700
4.000
Roma
Latina
3.000
500
Abruzzo
600
Teramo
Campania
3.500
700
800
200
1.500
Napoli
Caserta
Totale
Altre Regioni
Totale generale
900
5.000
300
2.000
1.000
300
12.800
6.000
18.800
1.200
500
17.100
8.000
25.100
Fonte: elaborazione Parsec (Roma)
Le tipologie dell’esercizio della prostituzione
Le condizioni di vita delle donne trafficate nei suoi aspetti più generali - sono aggregabili
in tre tipologie principali, ciascuna delle quali è
correlabile:
- alle esperienze o meno di prostituzione precedenti all’arrivo in Italia e alle forme di consenso oppure al grado di raggiro, coercizione e violenza alla base dell’espatrio, nonché all’ammontare del debito contratto e alle modalità di restituzione;
- alla durata temporale (a partire dal primo
ingresso) e alle differenti fasi esperienziali che
la caratterizzano: o come processo di rafforzamento del rapporto di subordinazione (a svantaggio delle interessate), oppure come processo
di progressivo sganciamento dallo stesso (in tal
caso a vantaggio delle medesime);
28
- alle modalità e ai livelli di autonomia che le
interessate riescono ad acquisire o a raggiungere nello svolgimento della professione, in sintonia oppure con un certo equilibrio dei ruoli e
delle funzioni di ciascun partner, o in netta
oppure in latente contrapposizione con i “protettori”.
Le tre tipologie, pertanto, laddove le variabili
sopracitate svolgono una funzione aggregante,
sono quelle ravvisabili nell’esercizio della professione all’interno di appartamenti (cioè le
“squillo”), all’interno di locali pubblici o privati
(cioè la “prostituzione mascherata”, ad esempio:
le “entraîneuses”, le “ballerine” o le “attrici
porno”) oppure sulla strada (cioè le “passeggiatrici”). Sono comunque ravvisabili - a partire da
queste - tipologie miste, caratterizzate cioè dalle
possibili combinazioni che possono prodursi tra
gli aspetti e le modalità distintive delle une e
delle altre e viceversa. Le condizioni di vita,
sulla base di quanto detto, variano col variare
della collocazione che le ragazze che si prostituiscono ricoprono all’interno delle differenti
tipologie e queste si caratterizzano anche sulla
base delle nazionalità di provenienza delle interessate e - come accennato precedentemente sul “modello” sottostante all’esercizio della prostituzione.
L’esercizio della professione come “squillo” si
caratterizza per una marcata autonomia decisionale delle interessate, sia per quanto concerne
la scelta logistico-organizzativa (tipo di quartiere, ammontare delle tariffe, percorsi e mobilità),
sia per la regolarità delle certificazioni di soggiorno e di quelle sanitarie, sia per la natura dei
29
rapporti con i protettori. Questi quando ci sono
svolgono funzioni amicali o comunque non
conflittuali o di violenta subordinazione, anche
perché generalmente sono basate sul sentimento e sulle dinamiche di coppia.
L’esercizio della professione in maniera
mascherata - ovvero non immediatamente percepibile come tale in quanto “protetta” da un’altra professione - si manifesta in differenti forme.
Quelle maggiormente diffuse sono: le entraîneuses e le ballerine in locali pubblici e privati
(night club, ecc.), le estetiste e le massaggiatrici,
le spogliarelliste e le attrici e le comparse dei
pornovideo, le hostess per attività di accompagnamento e di intrattenimento.
Infatti le condizioni di vita non differiscono
molto da quelle descritte per le “squillo”, sia in
termini di autonomia decisionale che nel “presentarsi” nell’aspetto fisico, sia in termini relazionali con i protettori, sia in termini di modalità
di esercizio della professione. Stessa similitudine è riscontrabile nel fatto riguardante la presenza di donne che svolgevano lo stesso lavoro
nel paese di origine (tra l’altro il permesso di
lavoro per professionisti dello spettacolo non
trova particolari difficoltà ad essere concesso).
L’esercizio della professione come passeggiatrici si caratterizza con modalità molto diverse
dalle “squillo” e dalle “mascherate”, non foss’altro per la forte visibilità sociale ad essa implicita. Le condizioni di vita e di lavoro sono correlate molto spesso a forme di subordinazione
generalizzata. In primo luogo ai “protettori”
(con i quali si registrano anche rapporti affettivo-esistenziali) e in secondo luogo - special30
mente per alcune componenti - a gruppi delinquenziali organizzati, sia della stessa nazionalità
delle interessate che di nazionalità italiana,
aventi collegamenti funzionali a carattere transnazionale.
Tra le passeggiatrici la professione viene
generalmente svolta - in maniera più evidente e
diretta - per rimborsare il debito contratto con le
agenzie internazionali che garantiscono l’espatrio, sia quando le interessate sono coscienti (in
maniera completa o parziale) delle attività che
dovranno svolgere che, al contrario, quando
vengono spinte alla prostituzione con mezzi
coercitivi e violenti.
In entrambi i casi, comunque, la prospettiva
della prostituzione diventa piano piano - in
base alle pressioni violente dei “protettori” - il
mezzo più sbrigativo per risolvere il contenzioso con l’organizzazione delinquenziale, innescando, inconsapevolmente, un meccanismo
destinato a durare nel tempo e in maniera molto
diversa da quello previsto. Nella maggioranza
dei casi - come già accennato - i protettori trattengono il passaporto e gli altri documenti di
soggiorno, oppure minacciano - non solo la
diretta interessata - ma anche i familiari rimasti
nel paese di origine. Insomma si tratta di un
rapporto molto spesso violento che trascende
qualsiasi codice di ragionevolezza, per sfociare
in forme più o meno evidenti di semi-schiavitù
e
prevaricazione
psico-fisica
sulle
ragazze/donne invischiate.
Le modalità di fuoriuscita
Le modalità di fuoriuscita dal circolo vizioso
31
(violenza all’ingresso in Italia, violenza o raggiro come effetto-spinta, spinta all’esercizio della
professione, violenza a perpetuare le attività), si
basano, in maniera intrecciata, su alcuni eventi
che scaturiscono da situazioni differenti, a
seconda delle diverse tipologie con le quali è
stato possibile suddividere le donne in questione.
In linea generale gioca una funzione determinante l’età delle interessate, nonché l’anzianità
dell’esperienza maturata e il “modello” sottostante l’esercizio della professione. In sintesi le
modalità di fuoriuscita che emergono con maggior chiarezza sono le seguenti:
a. nella maturazione e nell’autoconvincimento - in maniera del tutto spontanea - della
necessità di smettere di esercitare la prostituzione, nonostante lo stato di soggezione e di violenze che subiscono dai protettori.
b. nell’intervento di parenti più prossimi (ma
anche degli amici) delle ragazze: o perché le
ragazze medesime hanno loro chiesto espressamente aiuto oppure perché loro stessi sono
venuti a conoscenza (in maniera diretta o indiretta) delle condizioni di vita delle congiunte; in
entrambi i casi, comunque, i parenti/amici si
mobilitano (spontaneamente o - e questo accade quasi regolarmente - con il ricorso alle forze
dell’ordine) al fine di farle uscire dall’invischiamento nel circolo vizioso nel quale si trovano;
c. nell’intervento - finalizzato all’aiuto - da
parte dei clienti, in quanto le frequentazioni
costanti e prolungate nel tempo con specifiche
ragazze riescono a produrre forme di solidarietà
e rapporti ravvicinati con le stesse. Queste
forme di vicinanza riescono, da un lato, a produrre ed innescare lentamente meccanismi di
32
sostegno e di attenzione disinteressata alle condizioni delle ragazze e, dall’altro, ad incoraggiarle a prendere decisioni finalizzate alla fuoriuscita dalla professione o quantomeno a sganciarsi dai rispettivi protettori;
d. nell’intervento di operatori facenti capo ad
Associazioni di volontariato o a Cooperative di
servizi diretti alle donne che subiscono violenze
o comunque che si trovano in condizioni di
marginalità sociale; operatori che svolgono la
propria attività autonomamente o in collegamento con le forze dell’ordine;
e. nell’intervento delle forze dell’ordine (con
la presenza di agenti-donne) dei Commissariati
di zona e delle Questure locali, in quanto intervengono per normali controlli amministrativi
oppure su richiesta specifica delle ragazze stesse. In altri casi intervengono perché le ragazze
vengono trovate in stato di abbandono dopo
aver subito violenze oppure perché si scopre
che sono minorenni o prive di documenti di
riconoscimento e delle certificazioni di soggiorno.
Queste diverse modalità di fuoriuscita dall’esercizio della prostituzione rappresentano, in
sintesi, le differenti offerte di aiuto che al
momento sono riscontrabili all’interno di questo
delicato e particolare settore sociale. D’altra
parte in questa fase storica - dove il fenomeno
ha acquisito una chiara visibilità sociale - gli
interventi maggiormente strutturati sono quelli
delle forze di polizia, mentre si trovano ancora
ad un livello embrionale quelli degli altri soggetti sociali, in particolare quelli del volontariato/terzo settore e degli Enti Locali. In tali condizioni, il fenomeno rischia di perpetuarsi soltan33
to come campo di intervento repressivo, dimenticando che le sue componenti più sociali, centrate cioè sulla figura delle ragazze/donne invischiate, hanno necessità di essere trattate con
altre filosofie e con altri strumenti. Si tratta in
pratica di trovare la maniera di valorizzare maggiormente il lavoro sociale e coordinare gli sforzi di quanti intervengono nel settore sia in
maniera spontanea che in maniera organizzata.
* Francesco Carchedi è Presidente del Parsec di
Roma, esperto di problemi legati alle marginalità sociali, studioso dei flussi migratori internazionali e italiani,
ha pubblicato diversi articoli e libri sulla immigrazione
straniera in Italia , collabora con l’Università di Firenze
- Facoltà di Scienze dell’Educazione.
Ha inoltre coordinato il gruppo di ricerca di Parsec e
dell’Università di Firenze che ha portato alla redazione
del Rapporto finale per la Conferenza Internazionale di
Vienna, 10-11 giugno 1996 su “Il traffico delle donne
immigrate per sfruttamento sessuale: aspetti e problemi. Ricerca e analisi della situazione italiana”.
34
LE POLITICHE ITALIANE
LA LEGISLAZIONE IN ITALIA
LE POLITICHE SOCIALI A LIVELLO NAZIONALE
E LOCALE.
GENESI, RISULTATI E PROBLEMI
35
36
La legislazione in Italia
Franco Prina*
Stato e prostituzione: i modelli di rapporto
I
n premessa è opportuno ricordare che tre
sono i possibili modelli di rapporto tra Stato e
prostituzione:
- il proibizionismo: l’esercizio della prostituzione è considerato in sé un reato, è quindi vietato, qualsiasi siano la forma e le modalità in cui
si esplica; le sanzioni possono colpire sia chi si
prostituisce, sia i clienti;
- la regolamentazione: l’esercizio della prostituzione è consentito (“tollerato”) a determinate
condizioni ed è regolato da precise disposizioni
di carattere amministrativo (i “regolamenti”) che
in genere prevedono la schedatura di chi si prostituisce ed una limitazione delle sue libertà e
dei suoi diritti di cittadina/o;
- l’abolizionismo: l’esercizio della prostituzione è libero, essendo stati aboliti i regolamenti o
le disposizioni che ne dettavano le condizioni;
la legge penale, tuttavia, continua di solito a
punire i comportamenti che incidono sulla libera volontà della persona (l’induzione, la tratta) o
che traggono vantaggio dal suo prostituirsi (lo
sfruttamento).
Si tratta naturalmente di tre modelli astratti,
nel senso che le legislazioni vigenti in diversi
paesi o che si sono succedute in uno stesso
paese (come vedremo nel caso dell’Italia), pre37
sentano spesso caratteri ibridi o, quantomeno,
margini di ambiguità e di contraddittorietà.
Se si osserva l’evoluzione storica delle norme
adottate da paesi diversi, in molti di essi si è
passati dal proibizionismo alla regolamentazione, per poi pervenire all’abolizione della stessa
per periodi più o meno lunghi, fino alla frequente reintroduzione di principi regolativi che,
pur adottando contenuti e forme diverse dal
passato danno luogo alla situazione nota come
“neo-regolamentazione”.
La situazione in Italia prima della legge Merlin: un
secolo di regolamentazione
Le norme che hanno regolamentato la prostituzione in Italia sono state elaborate e sperimentate a partire dal 1860, anno di emanazione
del regolamento Cavour. Con alcune non
sostanziali modifiche il regime introdotto con
quelle norme è stato mantenuto in vita per
quasi un secolo, fino cioè al 1958 anno di
approvazione della legge n. 75, a tutti nota
come “legge Merlin”.
L’intento principale dei diversi regolamenti
che si sono succeduti nell’arco dei cento anni
considerati, era quello di conciliare le diverse
esigenze da sempre al centro delle politiche
regolamentazioniste: offrire agli uomini la possibilità di avvalersi di un servizio ritenuto utile e
indiscutibile nella sua “naturalità”, garantire la
tutela della salute dei fruitori dello stesso servizio, evitare gli inconvenienti che la prostituzione esercitata fuori dagli spazi delimitati e regolati determina, sotto il profilo dell’ordine e della
morale pubblica (Gibson, 1995).
38
In sintesi si cercò per un intero secolo di conciliare la difesa dal “pericolo rappresentato dalle
prostitute, e l’utilità sociale che si attribuisce
alla prostituzione” (Antonini, Buscarini, 1985,
p. 83).
Il regolamento Cavour (decreto ministeriale
del 15/2/1860) fu il primo atto che definiva le
condizioni alle quali l’esercizio della prostituzione era consentito e le forme in cui si doveva
esplicare il controllo di polizia ed il controllo
sanitario su chi esercitasse la prostituzione. Ne
era presupposto il fermo, la visita forzata,
l’”iscrizione” della donna “notoriamente” dedita
alla prostituzione e la sua obbligata collocazione in una delle due categorie previste (la prostituta isolata, che esercita in casa, e la prostituta
di bordello). Sul concetto di notorietà e sugli
abusi che una presunta condizione di prostituta
poteva indurre molto si è scritto, in particolare
osservando che “il doppio registro visita-iscrizione, faceva di una situazione momentanea
nella vita di una donna uno status giuridico
pressoché permanente e segnava il passaggio
da una condizione di libero cittadino, in grado
di godere pienamente di ogni diritto civile, a
quella di sorvegliata speciale” (Antonini,
Buscarini, 1985, p. 92).
Tolti i documenti, sostituiti con un libretto
personale apposito, su cui venivano annotate le
visite obbligatorie, la prostituta era privata della
libertà di disporre del proprio corpo (la scoperta di una infezione era preludio all’ingresso
obbligato in un sifilocomio, ospedale retto da
regole disciplinari di tipo carcerario) e della
stessa libertà di movimento, sia nella frequentazione di luoghi pubblici (teatri, osterie, ecc.), al
fine di evitare che si desse all’adescamento, sia
39
nella possibilità di uscire dal territorio comunale, per sfuggire ai controlli ed all’obbligo di visita e di cura.
Già negli anni immediatamente successivi
all’emanazione del regolamento Cavour, non
mancarono di levarsi le voci critiche alimentate
dalle influenze che la prospettiva abolizionista
esercitava in altri paesi. L’ambigua posizione
dello Stato che traeva utili da un’attività considerata moralmente inaccettabile era da più parti
denunciata.
Due successivi regolamenti (il regolamento
Crispi del 1888 e il regolamento Nicotera del
1891) si incaricarono di modificare parzialmente
il quadro di riferimento normativo della materia.
Il primo - espressione dell’impegno degli abolizionisti presenti anche in Italia , tentò di attenuare gli aspetti di più palese discriminazione e
repressione della libertà personale, anche se
mantenne sostanzialmente inalterato l’impianto
del rapporto tra Stato e prostitute. Cancellando
la nozione di “notorietà” come premessa di
schedatura, trattava essenzialmente dei locali di
prostituzione e delle donne che vi esercitavano,
mantenendo per esse gli obblighi di visita e di
cura. Venivano aboliti i sifilocomi (le cui competenze passavano ad ospedali e “dispensari
celtici”) e si affermava che il problema della
profilassi antivenerea non era questione esclusivamente di pertinenza delle prostitute, le quali
anzi avrebbero avuto interesse a collaborare
spontaneamente ad un processo di crescita di
consapevolezza della popolazione tutta.
Apparentemente più liberale (la polizia avrebbe
potuto arrestare le prostitute solo per violazioni
della legge penale), il sistema rimase di fatto
repressivo nella sua ispirazione di fondo, dal
40
momento che lasciava intatta la schedatura
delle prostitute e i controlli della pubblica sicurezza sulle persone. Esso inoltre fu scarsamente
applicato e mai effettivamente accettato dagli
apparati di polizia e di controllo sanitario.
Con il regolamento Nicotera (1891) si intese
dar risposta alle preoccupazioni levatesi da più
parti in merito ai rischi dell’allentamento del
controllo, dovuto al lassismo del regolamento
Crispi, in particolare sulle prostitute isolate,
ribadendo apertamente i principi del regolamentazionismo (evitando l’ipocrisia delle posizioni ambigue del regolamento precedente e
della sua non applicazione sostanziale).
Riprendendo il pieno controllo delle prostitute
che esercitavano fuori delle case di tolleranza
(sottoposte a controllo “se già arrestate”),
rafforzando gli obblighi per i tenutari di far
effettuare le visite alle ospiti delle case, definendo comunque “presunte infette” le donne che
non intendevano sottoporsi a visita, lo Stato
riaffermò la sua posizione di tutore dell’ordine
garantito da una prostituzione regolamentata.
Insieme a questo controllo diretto, lo Stato
manteneva quella funzione indirettamente,
attraverso l’insieme delle norme e dei poteri
discrezionali di tipo diverso esercitati dalle
autorità di polizia (come le norme sul vagabondaggio, sul foglio di via obbligatorio, ecc.).
In epoca fascista la prospettiva regolamentazionista mantenne intatta la sua forza e ne furono ribaditi i fondamenti e l’estensione. I regolamenti vennero inglobati da Mussolini nel Testo
unico delle leggi di Pubblica sicurezza del 1931
(artt. 190-208) e nel relativo regolamento di
attuazione del 1940 (artt. 345-360). Oltre a dettare le norme per l’autorizzazione e la gestione
41
dei “locali di meretricio”, il TUPS definiva il
principio dell’obbligo di pagamento delle tasse
da parte non solo dei tenutari, ma anche delle
prostitute, e stabiliva una ampia serie di poteri
di controllo e di vigilanza da parte dell’autorità
di P.S. Insieme si mantennero i controlli rigidi
non solo sui luoghi, ma sulle persone, e quindi
anche sulle prostitute isolate, attraverso la schedatura, l’obbligo alle donne di portare con sé il
libretto sanitario aggiornato e di sottoporsi a
controlli e cure.
La prospettiva abolizionista in Italia: tra principi
costituzionali e riferimenti morali
L’esigenza di superare la vergogna della palese discriminazione nei confronti di una parte
delle donne (private di ogni diritto e sottoposte
a molteplici forme di umiliazione e prevaricazione da parte delle autorità) e dello sfruttamento legalizzato (che vedeva la compartecipazione dello Stato alla distribuzione dei proventi
derivanti dalla prostituzione) fu al centro, in
Italia come in molti altri Paesi, di molte lotte e di
un perseverante impegno di associazioni (che
avevano come riferimento la Federazione
Abolizionistica Internazionale) e singole persone.
Nell’epoca immediatamente successiva alla
definizione del nuovo quadro istituzionale
dell’Italia repubblicana, tale impegno fu alimentato da un movimento di opinione che traeva
ispirazione da un duplice ordine di riferimenti
culturali ed ideali:
- da un lato l’idea della inaccettabilità - in
relazione ai contenuti della nuova Costituzione
42
solennemente affermati per l’insieme dei cittadini - del persistere di norme che violavano palesemente il principio di uguaglianza tra uomini e
donne e l’impegno al rispetto dei diritti di
libertà individuale (artt. 3 e 13 Cost.) e il divieto
di sottomissione a obbligo di trattamento sanitario indirizzato esclusivamente a particolari categorie di persone (art. 32 Cost.);
- dall’altro le istanze morali (di matrice religiosa o laica) che esprimevano interesse per la
riduzione, fino all’eliminazione, dell’area di
degrado umano ed etico costituita dalla mercificazione del corpo e della condizione di sottomissione della donna agli interessi e al dominio
dell’uomo, che trovavano anch’esse sostegno
nella Costituzione laddove dichiara doversi
rifiutare ogni attività economica recante danno
alla libertà e alla dignità umana (art. 41 Cost.)
Le due posizioni, nella loro espressione
“pura”, conducono naturalmente a definizioni
normative diverse:
- chi afferma l’esigenza di piena tutela dei
diritti di chi si prostituisce avrà l’obiettivo di eliminare tutte le regole che determinano una
situazione di discriminazione, di sfruttamento e
di limitazione della libertà, evitando di prendere
posizione sul comportamento in sé;
- chi parte da una visione etica della questione, considera il prostituirsi in sé un male da eliminare e porrà quindi l’accento sulle misure che
possono prevenire il suo estendersi o aiutare
chi la esercita a uscire dalla situazione.
Mentre la prima posizione definisce la prostituzione nei termini di una delle possibili espressioni della libertà personale di disporre di sé e
del proprio corpo, la seconda nega alla donna
che la esercita il pieno riconoscimento della
43
identità di persona dotata di libertà a causa dei
molti e cogenti condizionamenti culturali, sociali, economici cui è sottoposta.
Questo duplice orientamento di fondo attraversa e alimenta il dibattito abolizionista, partendo dalla stessa ambiguità semantica del termine e dal significato che comunemente si è
portati ad attribuirgli: se è vero che l’abolizionismo ha come oggetto polemico la regolamentazione, il senso comune, alimentato dalla seconda delle istanze sopra descritte, tenderà a estendere l’area di ciò che si vuole abolire, fino a
comprendere la prostituzione in sé.
Come è stato giustamente affermato (Pitch,
1989), nella legge Merlin le due posizioni convergono determinando un testo che presenta i
limiti del compromesso raggiunto faticosamente
e si iscrive in pieno nell’ambiguità sopra indicata: “Lotta alla regolamentazione e lotta alla
prostituzione ... tendono sempre più a confondersi” (ibidem, p. 187)
I contenuti della legge 20/2/1958, n. 75, la “legge
Merlin”
La normativa italiana in materia di prostituzione risulta, tra le molte normative che riguardano
fenomeni sociali rilevanti e percepiti come
fonte di preoccupazione dall’opinione pubblica,
quella più datata, non soggetta cioè a quel lavoro di aggiornamento che invece è stato fatto per
altre normative (tossicodipendenze, processo
penale per adulti e per minori, psichiatria, ecc.).
Come tutti sanno, infatti, è oggi ancora in vigore
in Italia la legge che nel 1958 innovò profondamente la materia e che è conosciuta come legge
44
Merlin (dal nome della senatrice socialista che
propose il progetto di legge che diede il via
all’iter parlamentare e che si batté per dieci anni
perché diventasse legge). Naturalmente sulla
condizione di chi esercita la prostituzione possono avere influenza altre normative più recenti, ma solo in modo accessorio e solo nella
misura in cui la persona in questione si trovi in
specifiche situazioni (si pensi alla persona tossicodipendente, alla madre di bambini che possono essere oggetto di incuria o abbandono, a
chi è straniero, ecc.).
La legge n. 75/1958 è composta di pochi articoli: solo 11, più 4 norme finali e transitorie.
Vediamone in sintesi i contenuti.
L’art. 1 chiarisce il principale obiettivo della
legge sotto forma di divieto: è vietato l’esercizio
di case di prostituzione. Ne è corollario l’art. 2
che stabilisce che i locali di meretricio dovranno
chiudere entro sei mesi.
L’art. 3 precisa quali comportamenti sono
oggetto della sanzione penale, stabilita in reclusione da due a sei anni e multa da 500.000 a 20
milioni di lire: proprietà di una casa di prostituzione; concessione di locali a tale scopo; tolleranza di esercizio di prostituzione in locali aperti al pubblico di cui si disponga o di cui si sia
gestore; reclutamento di persona a fini di prostituzione; induzione alla prostituzione o attività
di lenocinio; induzione a recarsi in altro Paese o
luogo al fine di prostituzione; associazione ai
fini di reclutamento di persone da destinare alla
prostituzione; favoreggiamento o sfruttamento
della prostituzione.
L’art. 4 prevede il raddoppio della pena se i
fatti di cui all’articolo precedente sono commessi: con violenza, minaccia, inganno; ai danni di
45
minorenne o infermo, di ascendente o affine, di
persona affidata alle cure, di persona dipendente; da pubblico ufficiale; ai danni di più persone; ai danni di persona tossicodipendente.
L’art. 5, oggetto in tempi recenti, di molte
delle proposte di modifica, afferma testualmente: “Sono punite con l’arresto fino a giorni otto
e con l’ammenda da lire diecimila a lire venticinquemila le persone dell’uno e dell’altro sesso:
1) che in luogo pubblico od aperto al pubblico
invitano al libertinaggio in modo scandaloso o
molesto; 2) che seguono per via le persone, invitandole con atti o parole al libertinaggio”. I due
commi successivi riprendono invece l’elencazione dei divieti, destinati questa volta non più
ai singoli individui, bensì alle istituzioni di controllo, nello spirito della difesa dei diritti individuali: le persone che pure sono colte nell’atto di
invitare al “libertinaggio”, non possono essere
accompagnate all’ufficio di pubblica sicurezza
e, qualora accompagnate perché prive dei
documenti di identificazione, non possono
essere sottoposte a visita medica
L’art. 6 dispone l’interdizione dai pubblici
uffici dei responsabili dei delitti previsti dalla
legge.
L’art. 7, che conclude il Capo I della legge,
ribadisce il divieto assoluto di qualunque forma
di registrazione, di rilascio di tessere sanitarie o
documenti speciali, di obblighi a presentarsi
presso gli uffici di qualsiasi autorità per chi esercita la prostituzione.
Con l’art. 8 si passa al Capo II, che ha come
titolo “Dei patronati ed istituti di rieducazione”. In esso si dispone a cura del Ministero
dell’Interno, la creazione di speciali istituti di
patronato al fine di garantire la tutela, l’assisten46
za e la rieducazione delle donne che sarebbero
uscite dalle case di prostituzione e di quelle che
avviate alla prostituzione, “intendano di ritornare ad onestà di vita”. Nell’art. 9 si specifica
che tali istituti saranno finanziati dallo Stato e
dovranno trasmettere un rendiconto esatto della
loro attività.
L’art. 10 prescrive che le persone minorenni
dedite alla prostituzione siano rimpatriate e
riconsegnate alle famiglie, se disposte ad accoglierle, oppure affidate agli istituti di patronato.
Cento milioni di lire sono poste nel bilancio
dello Stato dall’art. 11 a fronte dell’onere previsto per il funzionamento degli istituti di patronato.
Nelle norme transitorie si prevede la costituzione di un Corpo speciale femminile della polizia che assumerà le funzioni inerenti ai servizi
del buon costume e della prevenzione della
delinquenza minorile e della prostituzione.
La legge inoltre impone che, per effetto della
chiusura delle case di prostituzione, si rescindano i contratti di locazione e afferma che tutte le
obbligazioni verso i tenutari si debbono presumere determinate da causa illecita e quindi
nulle. La legge abroga infine, come di rito, tutte
le disposizioni contrarie alla legge .
In sintesi (Parsec, 1996), e con particolare
riferimento ai comportamenti oggetto di sanzione, sono quindi puniti i seguenti fatti:
* la proprietà, l’esercizio, l’affitto, di una casa
dove si esercita la prostituzione;
* qualunque forma di partecipazione alle attività suddette;
* la tolleranza allo svolgimento di attività di
prostituzione in locali aperti al pubblico o utiliz47
zati dal pubblico (alberghi, pensioni, circoli o
altro);
* il reclutamento di una persona a tal fine e
l’agevolazione dell’avvio alla prostituzione;
* l’incitamento alla prostituzione, sia privatamente che in forme pubbliche;
* lo sfruttamento della prostituzione in qualunque forma;
* l’incitamento a trasferirsi in un luogo o in
uno Stato diverso dal proprio per esercitarvi la
prostituzione e l’agevolazione della partenza;
* l’attività in organizzazioni nazionali o estere
per reclutare persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento di essa, o il favoreggiamento rispetto a tali organizzazioni.
Gli aspetti problematici
Il cenno fatto sopra ai principi ispiratori della
legge Merlin può essere nuovamente richiamato
per meglio interpretare il significato della svolta
impressa dalla legge al regime precedente, nel
suo concretizzarsi nel dettato normativo. Esso
risente infatti della lunghissima vicenda parlamentare (la discussione durò ben 10 anni, il
primo progetto Merlin essendo stato presentato
nel 1948), ma soprattutto è espressione della
mediazione tra le posizioni in campo. Per questo appare tecnicamente imperfetto e aperto a
interpretazioni molto diversificate, consentendo
una discrezionalità di applicazione di molte
delle singole disposizioni, così da farne uno
strumento utilizzabile per scopi diversi (risposta
alle esigenze di ordine pubblico, misura appariscente in momenti di particolare allarme sociale, controllo di singole persone o ambienti,
48
mezzo di pressione e “persuasione”, ecc.).
Certo si può dire che è nella natura sempre (e
forse inevitabilmente) ambivalente del rapporto
dello Stato con la prostituzione che risiede il
principale nodo problematico che connota la
legislazione in vigore. La lettura dell’iter parlamentare svolta da T. Pitch (1989) è, sotto questo
profilo, illuminante: la posta in gioco in tutta la
discussione appariva chiaramente essere non
solo la struttura degli interessi (economici e
non), ma anche l’atteggiamento dello Stato e
delle istituzioni verso la questione.
Tre sostanzialmente le posizioni che si fronteggiavano e, potremmo dire, si confrontano
ancora oggi pur nel mutare delle situazioni e
delle sensibilità:
- la posizione di chi sostiene l’inevitabilità
dell’esistenza di una domanda e di una offerta
che hanno come oggetto il sesso e che ritiene
necessario e opportuno tutelare i diritti del
compratore di un bene che deve essere comodamente accessibile e di buona qualità;
- la posizione di chi afferma il principio di
libertà ed i diritti di chi si propone in quello che
viene considerato un mercato, i cui protagonisti
debbono essere difesi, al tempo stesso, dai rischi
di sfruttamento e dai pericoli di discriminazione;
- la posizione di chi considera entrambe le
prospettive da combattere, guarda alle persone
coinvolte come soggetti o da perseguire (sia
direttamente che indirettamente, colpendo cioè
chiunque sia in qualche modo vicino ad esse e
ne agevoli l’attività) o da ri-orientare (aiutandole a cambiare vita, a riscattarsi).
Sostanzialmente battuta la prima delle tre
posizioni, il testo di legge rappresenta un compromesso tra le altre due.
49
La seconda è espressa nell’affermazione dei
diritti di libertà della persona che si prostituisce
(con norme principalmente rivolte verso le istituzioni di controllo, cui si vieta di operare in
modo discriminatorio) e nella condanna delle
diverse forme di reclutamento, induzione e
sfruttamento.
La terza posizione si estrinseca nelle norme
che, in maniera del tutto ambigua e aperta ad
interpretazioni altamente discrezionali, colpiscono comportamenti della persona che si prostituisce o di chi le sta vicino allo scopo di limitare e contenere il riprodursi del fenomeno,
facendo intorno ad essi “terra bruciata”.
Vengono così puniti, da un lato, il comportamento teso a procurarsi clienti (l’adescamento,
il seguire per via, l’invito al “libertinaggio in
modo scandaloso o molesto”) e, dall’altro, i
comportamenti di persone diverse che si rendono responsabili di “tollerare”, “agevolare” o
“favorire”, anche senza finalità di lucro, la prostituzione altrui. Con lo stesso spirito vengono
offerte alle donne che intendono “ritornare ad
onestà di vita” le occasioni di riscatto attraverso
i patronati e gli istituti di rieducazione e si crea
il corpo si polizia femminile che ha compiti di
prevenzione della prostituzione.
Si può dire che in questo senso la legge rappresenta un ibrido tra una posizione compiutamente abolizionista e una posizione, pur molto
attenuata, di regolamentazione, con tratti che
fanno riferimento a orientamenti di tipo proibizionista. Così a ragione è stato scritto: “La criminalizzazione di ciò che circonda l’esercizio
(anche in proprio: valga l’esempio della tolleranza dell’albergatore) della prostituzione,
interpretativamente (e contrariamente a quan50
to usualmente ritenuto) induce a negare che
questa normativa non sia “contro” la prostituzione; viceversa, e conclusivamente, si deve
affermare di essere di fronte ad una regolamentazione penale decisamente “contro” quella che è e rimane un’attività illecita, pur se non
ne sono perseguiti gli autori” (Pavoncello
Sabatini, 1990).
Le proposte di modifica della legge in vigore
Fin dall’indomani dell’approvazione della
legge n. 75 iniziarono ad essere presentate proposte di modifica, tendenti ad una riproposizione delle stesse tematiche che avevano subito
una sconfitta in Parlamento e comunque, più in
generale, ad una riformulazione dell’orientamento regolamentazionista.
Nel corso di tutte le successive legislature
proposte e disegni di legge con questo orientamento sono state presentate dai partiti di destra
o da esponenti di partiti di centro. Solo in tempi
più recenti, a partire cioè dai primi anni ottanta,
a queste proposte si sono affiancate proposte di
segno diverso, tese ad accentuare il carattere
abolizionista dell’attuale legislazione e ad eliminare da essa quegli aspetti di ambiguità e
discrezionalità che abbiamo sottolineato.
Troppo lungo sarebbe ricordare tutte le proposte presentate durante i quasi quarant’anni
intercorsi dalla legge Merlin. Si possono tuttavia
sinteticamente ricordare alcune tappe di questo
percorso in gran parte ripetitivo, mai andato al
di là della discussione in Commissione o di un
testo unificato (nel 1985) neppure approdato
all’Aula del Parlamento, ciclicamente oggetto di
51
fiammate di attenzione di solito conseguente
alla riproposizione della richiesta di riapertura
delle “case chiuse”.
Gli anni 60 e 70 sono gli anni delle proposte
centriste, soprattutto democristiane, tese a rivedere le parti che hanno limitato il potere di controllo da parte delle autorità di polizia e sanitarie sulla prostituzione; è del 1973 la proposta di
legge di iniziativa popolare promossa da La
Stampa di Torino (che raccolse al termine di
una martellante campagna di stampa ben centomila firme) per “ripulire le strade dall’invasione
dell’esercito delle passeggiatrici”, le quali
dovranno essere perseguite penalmente e
obbligate a curarsi se malate.
All’inizio degli anni ottanta, anche per effetto
dell’affiorare della voce delle stesse protagoniste (il Comitato per i Diritti Civili delle
Prostitute si affaccia sulla scena nel 1983) si
avanzano proposte di segno opposto (radicali,
socialiste, comuniste, ecc.), le quali, pur con
accenti diversi in ordine alla valutazione del
fenomeno ed alle iniziative per combatterne le
cause, sono concordi nel sostenere l’esigenza di
ridurre i margini di discrezionalità lasciati dalla
legge Merlin, e nell’affermare la necessità di
tutelare più compiutamente i diritti delle persone; il testo unificato del 1985 sostanzialmente
riprende queste posizioni, incrementando le
sanzioni in capo a chi sfrutta la prostituzione ed
accentuando il richiamo al rispetto della libertà
dalle ingerenze degli organi di controllo.
Nella seconda metà degli anni ‘80 si assiste
alla polarizzazione più netta tra i due orientamenti che ancora oggi sono in campo: da un
lato le proposte di neo-regolamentazione, che
giungono a riproporre il modello delle case di
52
tolleranza, dotate di autorizzazione, o sotto altre
forme (famosa la suggestione delle “colline dell’amore” di una proposta del 1988); dall’altro le
proposte di più ampia depenalizzazione, tendenti a precisare e a reprimere maggiormente le
forme di sfruttamento, ma insieme ad eliminare
le fattispecie di reato più ambigue e penalizzanti per le persone che si prostituiscono e per chi
sta loro intorno (il favoreggiamento, l’agevolazione, l’adescamento), al fine di consentire una
normalità di relazioni, la possibilità di associarsi
indipendente di due o più persone, la garanzia
di una minore ricattabilità sotto tutti i profili.
La stessa contrapposizione - con l’aggiunta di
un orientamento minoritario che concentra la
propria attenzione sulla possibile sanzionabilità
del cliente - si manifesta nelle proposte più
recenti, in particolare in quelle formulate nel
1994/95, in un periodo in cui si assiste ad una
delle ricorrenti “fiammate” di attenzione per il
fenomeno ed il dibattito si fa più acceso, anche
in virtù dell’esplodere della problematica della
prostituzione immigrata, della conseguente
maggiore visibilità sulla strada del fenomeno e
delle paure per la diffusione del virus HIV.
La contrapposizione tra le ipotesi di neoregolamentazione e quelle di depenalizzazione,
ossia tra le due ipotesi che Tatafiore (1994) sintetizza con le espressioni “più legge” e “meno
legge”, dà vita a progetti al loro interno anche
piuttosto articolati e differenziati. Ad esempio,
nella XII legislatura (conclusasi nel maggio
1996), per la revisione della legge n.75/58 sono
stati presentati tre disegni di legge al Senato e
sette proposte di legge alla Camera, da quasi
tutte le forze politiche: Alleanza Nazionale
(AN), Lega Nord, Progressisti, Coordinamento
53
Cristiani Democratici (CCD) e Forza Italia.
Analoghe proposte sono state riproposte nell’attuale legislatura da AN, Verdi, Sinistra democratica, CCD.
In una recente ricerca (Parsec, 1996) le iniziative parlamentari di questi ultimi anni sono state
collocate in quattro categorie (anche se la
distinzione tra le prime due categorie non è
facile, “perché alcune delle proposte di legge
potrebbero a buon diritto appartenere ad
entrambe”). Si tratta della distinzione tra:
- quelle che ripropongono esplicitamente la
riapertura di “case di tolleranza” o di altre
forme di “gestione” (pubblica o no) della prostituzione;
- quelle che prevedono forme di registrazione
delle persone “esercenti” (individualmente o
collettivamente) la prostituzione e propongono
di tassare i redditi che ne derivano;
- quelle che propongono la depenalizzazione
completa e contemporaneamente - e in un
certo senso prioritariamente - mirano alla prevenzione del fenomeno e alla “tutela” delle persone coinvolte;
- quelle che spostano l’ottica sul “cliente” prevedendo multe o provvedimenti similari.
Da segnalare infine il fatto che il dibattito
degli ultimi anni registra anche una più forte
attenzione alla problematica della tratta e della
riduzione in schiavitù a fini di prostituzione,
questione che appare meritevole di una attenzione specifica e di norme che concretizzino nel
nostro Paese un impegno richiesto da diversi
organismi internazionali (ONU, Parlamento
Europeo, Consiglio d’Europa). In parte tali esigenze hanno trovato risposta nella legge n. 66
54
del 1995 sulla violenza sessuale (artt. 3, 4, 8 e 9
che trattano della costrizione a compiere o subire atti sessuali con violenza o mediante limitazione della libertà personale), in parte in specifiche norme in materia di immigrazione.
L’impostazione della nuova legge sull’immigrazione1 è, sotto questo profilo, piuttosto chiara, prevedendo che alla persona che si vuole
sottrarre alla violenza e allo sfruttamento e che
per questo corre un pericolo concreto per la sua
incolumità, sia concesso uno speciale permesso
di soggiorno “per consentire allo straniero di
sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti
dell’organizzazione criminale e di partecipare
ad un programma di assistenza ed integrazione sociale”. Tale programma sarà svolto dai servizi sociali degli enti locali avvalendosi del supporto di associazioni di volontariato o di altre
strutture idonee. La valutazione circa la sussistenza delle condizioni per accedere a tale programma è legata anche “alla rilevanza del contributo offerto dallo straniero per l’efficace contrasto dell’organizzazione criminale, ovvero
per l’individuazione o cattura dei responsabili
dei reati indicati”. Il permesso di soggiorno,
della durata di sei mesi (rinnovabile per un
anno o per un periodo maggiore se necessario
a fini di giustizia), consente l’accesso ai servizi
assistenziali, a programmi di studio, alle liste di
collocamento, ad attività lavorative.
Quanto alle diverse proposte di legge per la
modifica della Merlin, se è vero che dietro alle
1 Mentre scriviamo il testo è ancora all’esame del
Parlamento e potrebbe quindi ancora subire qualche
modifica.
55
diverse ipotesi permangono differenze di fondo
in ordine ai principi e ai riferimenti che le ispirano, tanto da far apparire le proposte lontane e
inconciliabili, non di rado le soluzioni concrete
auspicate possono risultare meno nettamente
distanti.
Così, in Italia come in altri Paesi europei, la
ricerca di forme di neo-regolamentazione, sebbene sia ispirata in genere alle posizioni più
reazionarie e retrive, a volte diventa l’inevitabile
approdo - naturalmente in forme diverse da
quelle auspicate dai “nostalgici” - di quanti
intendono meglio tutelare i soggetti, delimitando ad esempio i confini di zone o contesti, dettando condizioni per accedere a determinate
risorse o opportunità, predisponendo politiche
di prevenzione e sostegno per il superamento
della condizione stessa.
Dall’altra parte le posizioni più apertamente e
chiaramente “abolizioniste”, orientate alla completa depenalizzazione di tutto quanto ha a che
vedere con l’attività in questione, si trovano a
fare i conti con le contraddizioni di un fenomeno nel quale libertà e coazione, scelte consapevoli e condizionamenti di varia natura si intrecciano in modi e forme di elevata complessità,
con il rischio sempre presente di ignorare, in
nome di principi giusti di tolleranza e di rispetto, l’esigenza di una attenzione vigile e partecipe alle vicende delle persone coinvolte.
La complessità delle situazioni rimanda quindi, come per molti altri problemi e vicende, ai
limiti del diritto, di quello presente e di quello
“possibile”, e della sua possibilità di normare in
maniera coerente, non contraddittoria e positiva
un fenomeno sociale come quello in questione,
nel rispetto delle differenze - sotto il profilo
56
delle condizioni, dei bisogni, dei diritti, delle
aspirazioni - di chi ne è protagonista.
La stessa complessità rimanda alle responsabilità e alle potenzialità di altre dimensioni del
sociale - la politica, la cultura, gli orientamenti
collettivi, la qualità delle relazioni tra le persone
- la concreta speranza di costruire un diverso
modo di affrontare la molteplicità di condizioni,
bisogni, diritti, aspirazioni.
* Franco Prina è docente di Sociologia della
Devianza presso l’Università di Torino, è Giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Torino ed è
Consulente dell’Agenzia di Formazione del C.N.C.A.
Autore di vari saggi sui temi della tossicodipendenza, della devianza minorile e della prostituzione. È
inoltre autore del volume: “Sociologia della devianza”,
edito da N.I.S. Nuova Italia Scientifica, Roma 1995.
57
58
Le politiche sociali a livello
nazionale e locale.
Genesi, risultati, problemi
Roberta Tatafiore*
Emergenza
T
ra la fine di agosto e gli inizi di settembre
del 1994 si svolse nel nostro paese la più vasta e
incisiva operazione di pulizia e polizia nei confronti della prostituzione di strada dall’approvazione della legge Merlin. Eccezionale fu anche
l’impatto degli avvenimenti sull’opinione pubblica, attraverso i giornali quotidiani in primo
luogo e in subordine attraverso la televisione.
Due esempi: La Repubblica titolò a nove colonne “Emergenza prostituzione”; La Voce, diretta
da Indro Montanelli, pubblicò a tutta pagina
una foto truccata di Giuliano Ferrara (allora
ministro per i rapporti con il Parlamento del
governo Berlusconi) in sembianze di Mimì del
tabarin per significare l’insipienza dei governanti ad affrontare l’emergenza.
Tutto iniziò alla fine di agosto a Milano, con il
sequestro poliziesco di auto dei clienti come
“corpo del reato” di rapporti sessuali lesivi per
la pubblica decenza. Anche se la magistratura
milanese, dopo il tempo debito, non confermò
l’ipotesi del reato in base al quale avevano agito
polizia e carabinieri, la notizia fece molto scalpore. Già da qualche anno iniziative sparse avevano escogitato l’attacco al cliente per colpire
indirettamente le prostitute, costringendole a
spostarsi dalle loro usuali zone di lavoro per
59
mancanza di clientela. Ma in quella fine di agosto ci furono anche retate di grandi dimensioni,
controlli a tappeto di documenti, soprattutto nei
confronti delle straniere, quasi tutte clandestine;
fogli di via e ritiro di patenti nei confronti delle
italiane, soprattutto transessuali. Questo, da
parte delle autorità. Contemporaneamente
ebbero luogo cortei di cittadini e cittadine, dotati di fiaccole, per “illuminare” i marciapiedi e
vanificare così lo “sconcio e disgustoso” commercio. E si tennero feste, persino banchetti in
piazza, come a Montepulciano, dopo la “ripulitura” di un quartiere. Emerse dunque una
vastissima area di sofferenza sociale, mista a
intolleranza, nei confronti della prostituzione di
strada. Inoltre ci fu una novità riguardante gli
attori delle tecniche di controllo fin qui descritte: non più solo la polizia, ma per la prima volta
le amministrazioni locali presero iniziative autonome utilizzando gli strumenti del governo
della viabilità. Strade e zone furono vietate alle
automobili, istituendo isole pedonali. In tal
modo vennero scoraggiati i clienti automobilisti
con conseguente spostamento delle prostitute.
Cosi, in particolare, a Bolzano e a Mestre.
Quegli avvenimenti hanno segnato una svolta
nella politica prostituzionale italiana. L’analisi di
quella svolta, consistita nell’avvio di politiche
sociali da parte degli Enti Locali e delle Regioni,
è oggetto di questo scritto.
Solo al nord
Il dato interessante della “grande retata”(un
dato che vedremo ripetersi pari pari quando
analizzeremo le iniziative delle amministrazio60
ni) è che le città e le cittadine interessate a quella vasta operazione di controllo e limitazione
del sesso commerciale furono solo quelle del
centro nord. Al sud solo a Catania, in tempi successivi, ci furono interventi di rilievo. Per spiegare la specializzazione geografica si possono
suggerire due ipotesi:
1) Nel sud c’è meno prostituzione visibile nei
centri urbani perché si concentra in zone extra
urbane, come lungo il litorale sud adriatico e sul
litorale campano. Oppure si svolge nei quartieri
deputati nei malconci centri storici o nei quartieri popolari degradati, come a Palermo, costituendo un continuum con il tessuto locale
variamente malavitoso.
2) La qualità dell’ambiente urbano a sud è talmente bassa, caotica, aleatoria che - caos più
caos meno - alla prostituzione di strada non si
bada. Roma, infine, rappresentò un caso a
parte. Come ho documento nel libro Sesso al
lavoro, da prostitute a sex worker, miti e realtà
dell’eros commerciale (Il Saggiatore, 1994), una
vasta operazione di polizia, inclusa schedatura
delle auto dei clienti, indirizzata soprattutto a
fare piazza pulita delle transessuali e dei travestiti brasiliani, si svolse nel luglio del 1994, alla
chetichella, tanto che ne parlarono (poco) solo
le cronache cittadine: fu la prova generale del
putiferio che si sarebbe scatenato esattamente
un mese dopo.
Dopo la tempesta
Se questo è lo scenario iniziale, vediamo ora
quali sono state le reazioni, tradotte in politiche,
adottate in tappe successive dagli Enti Locali e
61
dalle Regioni. Soggetti differenti e in qualche
modo dialettici (da un lato il Comitato per i
Diritti Civili delle Prostitute, e il Movimento
Italiano Transessuali, dall’altro alcune amministrazioni locali progressiste) si sono attivati per
primi passando dalla fase repressiva (subita
dalle prostitute, agita dalle istituzioni locali) a
quella della reazione e della proposta.
Insomma: dalla repressione della prostituzione
al tentativo del governo della medesima.
L’espressione “governo della prostituzione”
non deve apparire esagerata, anche se in qualche modo è enfatica. Va detto infatti che non si
mossero né Governo né Parlamento. Eppure il
Governo venne pressato, proprio in quello
scorcio del 1994, sia dal dibatto nella pubblica
opinione che dalla iniziativa di diversi parlamentari, a rivedere la legge Merlin. Il dibattito
sulle “case chiuse”, o “colline dell’amore”, o
“case aperte”, o “parchi del sesso” ebbe in quei
mesi un forte impulso. E da allora ogni tanto
ritorna. Se analizziamo sia le opinioni autorevoli
espresse sui quotidiani, sia il sentire comune di
cittadini e cittadine emersi nel mese di superattività coercitiva, se leggiamo i progetti di legge
dei parlamentari presentati immediatamente
dopo i fatti descritti, ci rendiamo conto che una
diffusa istanza sociale e politica voleva, e probabilmente vuole, una modifica della legge
Merlin nel senso neo-regolamentarista, sul
modello delle leggi in vigore nel nord Europa.
Una legge cioè che tratti in maniera differente la
prostituzione al chiuso rispetto a quella di strada. Soprattutto le proposte di legge di destra
propongono un regime di semistituzionalizzazione controllata per la prostituzione al chiuso
e, per quella di strada, restrizioni che la vietino
62
del tutto o la consentano solo in certe zone,
sotto un controllo normativo preciso. Requisiti
che non sono presenti nella attuale legge
Merlin. Ma il governo né si mosse allora, né si
muove oggi. Forse, in futuro, si muoverà
improvvisamente e sull’onda di qualche nuova
emergenza. Non è qui però la sede per analizzare l’impotenza riformatrice del nostro paese
in materia di prostituzione, ché essa deriva da
fattori assai complessi.
Va sottolineato soltanto che, come dicevo,
per la prima volta, dopo i fatti della fine estate
1994, di fronte all’inerzia del potere centrale, si
mosse il potere locale. Per disperazione o per
vocazione “federalista”? Tutte e due, probabilmente. Ma certamente le intenzioni e i progetti
operativi emanati per far fronte all’emergenza
hanno dovuto fare i conti con gli scarsi poteri
economici e decisionali che la nostra struttura
istituzionale dà alle articolazioni locali dello
Stato.
Nel passare alla fase propositiva, le prime
amministrazioni che si sono mosse (il Comune
di Venezia Mestre e in successione l’intera
Regione Emilia Romagna, poi altri) sono stati
quelli governati dai progressisti (ancora non
c’era l’Ulivo). Essi hanno tenuto in debito conto
il documento “Analisi sulla prostituzione e soluzioni possibili” presentato ai media a metà settembre 1994 dal Comitato per i Diritti Civili
delle Prostitute e dal Movimento Italiano
Transessuali, cercando - come fece per primo il
Comune di Venezia Mestre di utilizzare le competenze delle associazioni delle prostitute e di
quella dei transessuali per stilare dei progetti e
interventi di politica sociale e sposando le tesi
del documento citato. Il contenuto fondante del
63
documento è il rifiuto di qualsiasi ipotesi neoregolamentativa della prostituzione, a favore
dell’intensificazione della lotta allo sfruttamento
e della totale depenalizzazione della prostituzione, inserendo in questo quadro una ipotesi
di collaborazione tra soggetti che si prostituiscono e istituzioni locali per dare un ordine alla
prostituzione di strada. Vale la pena di riportare
per ampi stralci il capitolo del documento dedicato alle proposte di carattere sociale che contiene un’apertura in senso regolativo proprio
per stabilire l’assetto prostituzionale nella strada. Da notare due cose. Primo, un nuovo assetto prostituzionale viene considerato fattibile
caso per caso, luogo per luogo, e non viene
associato a una modifica normativa generale.
Secondo, l’uso della parola sex worker, invece di
prostituta e prostituto, viene introdotto nel linguaggio delle organizzazioni di base per indicare una significazione onnicomprensiva di tutte
le figure che operano nel mercato del sesso.
“Poiché la prostituzione è una questione
sociale che coinvolge tutti i cittadini, nel rispetto
e nell’indirizzo della legge dello Stato che non
la vieta, le Amministrazioni (...), con la collaborazione delle associazioni di base che operano
sul territorio, con la consulenza delle associazioni dei sex workers, devono attuare programmi di supporto, prevenzione, informazione,
educazione, con l’obiettivo di creare un rapporto di fiducia, di stimolare il dialogo e la comprensione fra le parti sociali al fine di evitare le
ostilità e promuovere tra i cittadini il rispetto dei
sex workers e in generale il rispetto dei diritti di
tutti.
Le Amministrazioni Comunali in un’ottica non
repressiva potrebbero sperimentare con la col64
laborazione e l’accordo dei sex workers soluzioni nuove per il nostro paese, quali:
1) zonizzazione,
2) aree pedonali,
3) orari,
4) e/o altre soluzioni innovative che migliorino la qualità della convivenza civile.
La zonizzazione non vuole significare quartieri a luci rosse, ma semplicemente significa la
possibilità di escludere il traffico in alcune strade se particolarmente fastidioso. (...)
Tali sperimentazioni non devono essere sistematiche! ma riguardare quelle città che per
numero di popolazione e intensità del fenomeno prostituzione si trovino in una situazione di
emergenza. Progetti pilota che coinvolgono i
sex workers potrebbero già essere iniziati anche
senza che sia modificata la legge Merlin.
Siamo contrari ai quartieri a luci rosse, su
modello di Amsterdam, Parigi ecc. perché creano una condizione ghettizzante del fenomeno,
inoltre questi quartieri non risolvono il problema dello sfruttamento ma anzi rischiano di
aumentarlo: i/le sex workers non potrebbero
reagire al ricatto di chi inevitabilmente controllerà gli affari, forse anche con licenza legale.
Riduzione del danno e solidarietà
Dobbiamo ora ragionare sulle caratteristiche
e l’efficacia delle politiche locali della fase post1994, che si protrae fino a tutt’oggi, per fronteggiare le problematiche legate alla prostituzione
di strada. Va detto (ma è cosa che tutti sanno)
che i soggetti cui tali politiche si rivolgono sono
nella quasi totalità prostitute straniere, transes65
suali e travestiti anch’essi stranieri ma anche italiani, e una esigua minoranza di prostitute
autoctone.
La prima città italiana a fornirsi di un progetto
ad hoc è stata, come dicevamo, Venezia Mestre.
È molto evidente, nella delibera del progetto
affidato alla collaborazione tra operatori comunali e del Comitato per i Diritti Civili delle
Prostitute, l’obiettivo di perseguire una politica
di riduzione del danno degli effetti della prostituzione, e di solidarietà nei confronti dei soggetti deboli prostitute.
Ma che vuol dire politica di riduzione del
danno applicata alla prostituzione?
L’espressione, vale la pena ricordare, è mutuata
dalle politiche sulla droga adottate in alcuni
paesi del nord Europa che prevedono la legalizzazione delle droghe per ridurre il danno procurato dalla loro illegalità sia sui soggetti consumatori che sulla società. L’esistenza di un fenomeno anomalo - il consumo di droghe - viene
accettato e considerato ineludibile, e si cerca di
portarlo sotto il controllo pubblico per far sì che
i soggetti che si drogano stiano il meglio possibile e che coloro che non hanno questa abitudine non patiscano il disordine causato dai consumatori. Nel caso della prostituzione il discorso è
simile, ma con una importante differenza.
Innanzi tutto il benessere che la riduzione del
danno persegue non è quello dei consumatori,
che nel caso della prostituzione sarebbero i
clienti, bensì quello di chi si prostituisce, ovvero
della stessa “merce” che è oggetto del desiderio
dei consumatori. La merce-corpo, ovviamente,
non è una merce inerte come la droga, bensì
una merce che è tale per proposizione volontaristica di chi la detiene (di qui il presupposto
66
giuridico, contenuto nella legge Merlin, che
“prostituirsi non è reato”). A ciascun individuo
viene riconosciuta la facoltà di alienazione mercantile di parti della propria individualità e
quindi a ciascun individuo deve essere riconosciuta la facoltà di decidere il modo attraverso il
quale fare commercio del proprio corpo. Nel
caso delle droghe l’applicazione della politica di
riduzione del danno sfocia nella richiesta di un
regime di depenalizzazione delle cosiddette
droghe leggere (o non-droghe) e di somministrazione controllata delle droghe pesanti, come
si fa a Zurigo e, in parte, ad Amsterdam. Quale
regime vorremmo per la merce-corpo? Quale
regime vorrebbero per la propria merce-corpo
coloro che la detengono? Questi sono gli interrogativi che, finora, non trovano soddisfacenti
risposte. Depenalizzare la prostituzione vuol
dire rinunciare a normare, e quindi lasciare che
il commercio si svolga senza regole e restrizioni. Legalizzare vuol dire dare uno statuto commerciale all’attività di chi si prostituisce. Finora
non c’è stato un vero confronto tra queste due
opzioni e pertanto la politica di riduzione del
danno applicata al corpo-merce resta, a mio
avviso, alquanto vaga.
La politica di riduzione del danno applicata
alla prostituzione diventa concreta, invece,
quando si tratta di considerare l’insieme della
collettività e la necessità che il consumo del
sesso mercificato debba avvenire senza penalizzare né coloro che si prostituiscono (e in subordine i clienti) né la società nel suo insieme. In
questo senso riduzione del danno vuol dire
integrare nel tessuto sociale lo scambio commerciale del sesso per una soluzione equilibrata
della convivenza civile. E questa è la scelta che
67
è stata fatta dai primi progetti e interventi delle
amministrazioni locali.
Quanto alla solidarietà, altro cardine delle
politiche sociali, la delibera del progetto comunale per Mestre Venezia (e più ancora quelle
che si sono succedute, come quella, importantissima per estensione di territorio della Regione
Emilia Romagna) hanno inserito nei loro impegni la prospettiva della cura nei confronti dei
soggetti deboli prostitute. Ovvero: l’aiuto alle
prostitute che vogliano uscire dalla prostituzione e rompere i legami con le organizzazioni criminali che presiedono allo sfruttamento
Nei progetti ispirati alla riduzione del danno e
alla solidarietà, i soggetti che si prostituiscono
(il “target”) vengono coinvolti in primo luogo
per consentire loro di migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro. Ciò avviene tramite
lavoro di contatto con chi si prostituisce nei loro
luoghi che sono i luoghi della strada: educazione sanitaria per prevenire il contagio da Hiv,
offerta di servizi, formazione di personale adeguato a svolgere il lavoro di strada, mappatura
della prostituzione esistente ed eventualmente ma questa è la fase operativa rimasta ovunque
praticamente incompiuta - intervento per “dirigere il traffico” della prostituzione, facendo in
modo che la necessità di restringere o spostare
le zone del commercio (per questioni di fastidio
pubblico, ordine pubblico eccetera) non venga
patita dai soggetti che si prostituiscono come
intervento puramente repressivo. Costoro
dovrebbero invece avere la possibilità di codecidere in che zona spostarsi, compatibilmente
sia alle proprie esigenze di sicurezza, sia alle
esigenze di sicurezza della cittadinanza. Per
questa parte di intervento il “target” del proget68
to è anche l’insieme dei cittadini e delle cittadine.
Dobbiamo ora chiederci: riduzione del danno
e solidarietà convivono o no, con il dovuto
equilibrio, nelle politiche sociali sulla prostituzione?
Solidarietà versus riduzione del danno
Qui la faccenda si fa complicata. La lotta al
traffico di esseri umani, un fenomeno sempre
più vistoso e strettamente collegato con l’esistenza di immigrazione clandestina, è questione
criminale. Come tale è oggetto di impegno
europeo, di delibere e piani di intervento delle
istituzioni europee. Ciò è ovvio, visto che le
migrazioni irregolari sono un problema di tutti i
paesi europei e non solo - come spesso si crede
- dell’Italia. Ma l’inserimento in un progetto di
“riduzione del danno” dei compiti di lotta al
traffico e di promozione dell’aiuto all’uscita
dalla prostituzione coatta crea spesso uno sbilanciamento che sta nelle cose e che, poi, se
non adeguatamente gestito, si riverbera in confusione progettuale. Cercherò di esemplificare
questo concetto con le parole di Carla Corso,
leader del Comitato per i Diritti Civili delle
Prostitute, pronunciate nel corso di una intervista rilasciata all’autrice nell’estate 1997:
“All’inizio (dall’autunno 1994, N.d.R.) abbiamo lavorato benissimo a Mestre tra le prostitute
straniere. Abbiamo promosso dei gruppi, quanto più possibili stanziali, collegati al progetto,
abbiamo ottenuto miglioramenti di qualità della
vita e di coscienza dei soggetti. Ma poi piano
piano, montata soprattutto dalla stampa e dalle
69
tv locali, ha prevalso l’atteggiamento salvifico
nel confronti delle prostitute e l’idea illusoria
che un progetto sulla strada possa “lottare contro lo sfruttamento”. Inoltre gli Enti Locali
hanno fatto il loro compito a metà, lasciando in
secondo piano l’obiettivo di gestire la prostituzione in accordo con chi effettivamente fa questo mestiere. Così l’aspetto dell’aiuto alle prostitute che vogliono uscire dal racket è diventato
preponderante e purtroppo solo di facciata. Per
aiutare realmente una straniera clandestina che
vuole denunciare gli sfruttatori e per poi appoggiarla perché decida se vuole davvero cambiare
vita, oppure piuttosto vuole continuare a prostituirsi senza papponi sulle spalle, ci vogliono
ben altri strumenti. I progetti non sono dotati di
questi strumenti e di questi poteri”.
Si tratta di una lamentela poi rientrata perché
nel frattempo c’è stata una positiva rinegoziazione sugli obiettivi del Progetto di Mestre tra il
Comitato Diritti Civili delle Prostitute e
l’Amministrazione cittadina.
L’aiuto per l’uscita dalla prostituzione coatta è
certamente un obiettivo eticamente lodevole.
Tanto lodevole, però, quanto quello di favorire
il benessere nella prostituzione e di operare per
ridurne gli effetti negativi sulla popolazione. Il
primo obiettivo non dovrebbe escludere il
secondo e viceversa. Nei fatti però si è verificata, e si verifica, una dicotomia. Perché si è operata una differenza tra le prostitute “per scelta”
che non possono essere mai e in nessun caso
quelle che lavorano in strada e le prostitute
“coatte”, quelle che per definizione lavorano
per strada. Gli obiettivi solidaristici per favorire
l’uscita dalla prostituzione delle coatte tendono
a predominare su quelli per renderne l’esercizio
70
quanto più agevole e ordinato possibile. Ma è
una vana contrapposizione che produce una
situazione schizoide. Se la gestione della questione prostituzione di strada è affidata all’intervento sociale prevalentemente solidaristico, che
si ritaglia il suo spazio assai più agevolmente
nell’ “aiuto alle prostitute vittime del racket”
piuttosto che nella progettazione di una gestione della prostituzione civile e concordata, se
all’intervento sociale non si dà contemporaneamente una progettualità politica più ampia, gli
obiettivi che si realizzano sono esigui e precari.
E soprattutto non si riesce a perseguire una efficace politica di riduzione del danno che “calmi”
gli animi dei cittadini, dia ordine all’assetto prostituzionale e faccia - contemporaneamente stare bene, o il meglio possibile, chi si prostituisce.
Inoltre l’efficacia dei progetti sulla prostituzione, laddove essi sono sbilanciati nell’ “aiuto”
alle prostitute è assai difficile da quantificare.
Un esempio di quantificazione che dà l’idea di
quanto lavoro, passione, investimento sia dietro
cifre oggettivamente esigue è il consuntivo dell’anno 1995/96 presentato dall’associazione di
volontariato On the Road, che opera a partire
dall’Abruzzo (Riviera adriatica) ed è senz’altro la
più accreditata associazione italiana di volontariato che lavora sulla prostituzione.
Attraverso il lavoro di prevenzione sanitaria,
l’informazione su questioni giuridiche, penali,
ecc., la consulenza psicologica gratuita, l’accompagno ai servizi pubblici, sono state contattate circa 120 giovani prostitute.
Per 25 ragazze sono state approntate “gestioni d’emergenza” (accoglienza, aiuto al rimpatrio
ecc.). Per 16 ragazze che hanno lasciato la stra71
da è stato possibile l’inserimento in stage e iniziative culturali (l’insegnamento della lingua
Italia, per esempio). Dodici, infine, sono state
avviate al lavoro “normale”, utilizzando gli strumenti del DDL di regolarizzazione degli immigrati.
La questione, ripeto, non è quella di denigrare i progetti sociali così impostati. Essi, anzi,
oltre a coprire bisogni di cura che altrimenti
resterebbero insoddisfatti, producono relazioni
forti tra esseri umani e sono dotati di un sano
pragmatismo. Il fatto è che: Il problema è la
gestione della prostituzione
Insisterei sul fatto che le politiche sociali,
finanziate dagli Enti Locali, dalle Regioni e spesso con il concorso della Comunità Europea, fioriti un po’ dovunque, non riescono a conseguire
un assetto prostituzionale durevole e migliorativo delle condizioni di un dato quartiere, zona,
territorio per una ragione molto semplice:
manca la volontà degli Enti Locali (e conseguentemente la delega a progetti ad hoc) a
gestire direttamente i luoghi di prostituzione. Mi
spiego di nuovo con due esempi che ho potuto
osservare con i miei occhi.
A Rimini il progetto “Città sicure”, diretto da
Massimo Pavarini, ha lavorato nell’estate del
1996 con lo scopo di mappare il territorio e con
l’obiettivo ambizioso di equilibrare la pedonalizzazione del lungomare, che implicava la cacciata delle prostitute (operazione che negli anni
precedenti era stata compiuta da forze dell’ordine e vigili urbani) con la costruzione di relazioni molteplici per arrivare a una soluzione concordata del necessario spostamento. L’idea era
quella di far dialogare gruppi di prostitute,
gruppi di cittadini e cittadine, Ente Locale e
72
strutture amministrative per spostare in zone
più congrue il commercio sessuale. Dopo la
mappatura (che ha prodotto dati assai interessanti che, tra l’altro, demoliscono la presunta
“infestazione” estiva di Rimini da parte delle
prostitute), la seconda parte del progetto, quella
per individuare zone da dotare di strutture, servizi ecc. non è stata attuata.
A Modena, come nelle principali città emiliano-romagnole, sono operativi una serie di progetti sulla prostituzione che qui non sto a enumerare. Pur tuttavia esiste una zona di prostituzione, nella località La Bruciata, all’uscita dell’autostrada da Bologna, additata come un vergognoso esempio di lupanare a cielo aperto.
Interessata a questo luogo dopo aver letto un
articolo del Giornale che lo descriveva nei dettagli, sono andata a visitarla. Ebbene, alla
Bruciata ci si prostituisce in alcune strade piuttosto illuminate, lungo i cui lati sono parcheggiati i TIR che vi stazionano per la notte, a
ridosso di un centro commerciale - chiuso di
notte - abbastanza lontano dall’abitato. Le prostitute sono soprattutto di colore, e spesso passano qualche ora di riposo in uno dei TIR dei
camionisti che sono contemporaneamente loro
clienti. Non c’è un gabinetto pubblico, un luogo
di ristoro, una rivendita di bibite. Non c’è una
pensilina, una panchina. Non c’è una fontanella. Ovvio che - come descriveva il Giornale - le
ragazze facciano la pipì accovacciate per terra e
si lavino con l’acqua minerale. Ovvio che d’inverno siano intirizzite e d’estate soffocate dall’afa notturna. Ovvio che vi regni un’atmosfera di
degrado, ovvio che i clienti della Bruciata siano
a loro volta i clienti più degradati che ci siano.
L’Ente Locale non interviene. Perché? Perché
73
non può o perché non vuole? Si può, invece,
individuata una zona che, per necessità o per
forza, diventa zona di prostituzione, provvedere
per fornirla di attrezzature mobili, perché si
può, da parte di una amministrazione, giustificare questo tipo di intervento come intervento
sociale e così mettersi al riparo da una rigida
interpretazione della legge Merlin che potrebbe
ravvisare in ciò la configurazione del reato di
favoreggiamento. Si può promuovere, sempre
per motivazioni sociali, la costruzione di un
“drop in center” prefabbricato, gestito da volontari o da privati, dove le prostitute possano trovare accoglienza come in un night hospital: per
riposarsi, fare una doccia, rifornirsi dalle macchinette dei preservativi, o semplicemente
fumarsi una sigaretta in pace. Si può, dunque,
civilizzare una zona di prostituzione con strutture mobili e quindi pronte a spostarsi quando
esigenze di mercato o di ordine pubblico rendono una zona obsoleta, magari in favore di
un’altra che nasce a pochi chilometri di distanza.
Zone si, zone no
La legge Merlin, come è noto, non prevede la
zonizzazione, come invece è previsto dalle
leggi europee da Oltralpe in su. E anch’io non
auspico la zonizzazione ex legge che, date le
tradizioni urbanistico-culturali del nostro paese,
probabilmente creerebbe più problemi che
soluzioni. Non auspico l’imbrigliamento normativo della libertà di movimento di chi si prostituisce. Inoltre credo che il mercato del sesso,
come tutti i mercati, non sopporti di essere
74
regolamentato più che tanto. Ovvero: anche la
lotta allo sfruttamento della prostituzione non
riceve impulso dalla rigida regolamentazione
alla nord europea, visto che in quei paesi lo
sfruttamento della prostituzione è tutt’altro che
debellato. Però mi sembra assurdo, visto che si
possono attivare strumenti di intervento sociale
e di governo del territorio, che proprio il sesso
commerciale debba essere lasciato a un laisser
faire che nei fatti si risolve in delega ai soli
agenti della repressione.
E voglio aggiungere che la questione delle
politiche prostituzionali, sia nella prospettiva
italiana che in una prospettiva europea, non si
configura più, come a inizio secolo, come uno
scontro tra le due opzioni regolamentarismo o
abolizionismo. Ovvero tra la regolazione di
stato della prostituzione e l’abolizione della
medesima. Non c’è più da smantellare l’istituzione del bordello. La partita si gioca quindi tra
le nuove forme di regolazione. In Europa le
soluzioni sono diverse, da quella liberale alla
Olandese, a quella dirigista dell’Austria, dove
sono state praticamente ripristinate le “case
chiuse”. In questo contesto problematico un
paese con la tradizione politica italiana, opportunamente contaminata da un moderno pragmatismo, potrebbe inventare soluzioni di governo dell’assetto prostituzionale libere dal vincolo
della legge dello Stato. Invece non succede.
Le politiche di destra
Succede altro, e cioè che si sono diversificate
in forma contrapposta (e sterile) le politiche,
oltre i termini di quelle fin qui descritte. Si è
75
verificata una divaricazione tra i progetti delle
amministrazioni locali di centro sinistra e quelli
delle amministrazioni di centro destra, con la
variabile Lega Nord. Gli esempi più significativi
sono quelli della città di Verona e della Regione
Veneto.
Si intitola “Stop alla prostituzione sulle strade
e pubblica in genere” la mozione approvata dal
Consiglio comunale di Verona nell’ottobre del
1996. La mozione impegna sindaco e giunta di
predisporre misure preventive e repressive che
si traducono in multe ai clienti motorizzati per
intralcio al traffico e alle prostitute per disturbo
della quiete pubblica. Allegati alla mozione una
serie di ordini del giorno che (naturalmente)
impegnano il governo cittadino a lottare più
alacremente contro i gruppi delinquenziali che
presiedono lo sfruttamento e a predisporre progetti per promuovere l’uscita dalla prostituzione
delle coatte.
La risoluzione della Regione Veneto è più
articolata. C’è uno stanziamento consistente di
fondi per il 1997 da destinare a due scopi.
Primo, una iniziativa da svolgere in collaborazione con Enti Locali, Unità Sanitarie e associazioni di volontariato per favorire l’uscita dalla
prostituzione. Secondo, l’istituzione di un osservatorio permanente di controllo e prevenzione
e un progetto di mappatura della prostituzione
esistente. Ma ecco la vera novità: c’è una proposta di legge presentata in Consiglio Regionale
per la revisione della Legge Merlin e l’introduzione di controlli sanitari obbligatori per chi si
prostituisce. Il voto del Consiglio obbligherà il
Parlamento a mettere in discussione il progetto
approvato alla Regione: un disegno di legge che
propone l’abrogazione dell’articolo 7 della
76
legge Merlin che proibisce sia la schedatura
poliziesca che il controllo sanitario.
Limite delle politiche sociali
L’esempio della Regione Veneto - al di là
delle conseguenze che potrà avere sul piano
nazionale - dice chiaramente del punto morto a
cui sono arrivate le politiche sociali. Esse, come
ho spiegato, si sono fermate sulla soglia della
cura dei soggetti che si prostituiscono senza
voler affrontare la sfida del governo della prostituzione in un ottica di riduzione del danno e
di assunzione della prostituzione come un mercato, particolare se si vuole, ma nel quale agiscono soggetti che vanno considerati, quale che
sia la condizione coatta in cui si trovano, capaci
di scelta e liberi nel movimento.
So che questa affermazione può suonare balzana nel momento in cui lo sfruttamento della
prostituzione da parte delle organizzazioni criminali sembra il presupposto da combattere ed eliminare, perché riduce le persone che si prostituiscono a schiavi. E so anche che la necessità di
regolare l’immigrazione incide sulla libertà
umana di movimento che, in teoria, dovrebbe
essere un diritto garantito a tutti. Quindi si pensa
che liberare chi si prostituisce dall’ “Indegna
schiavitù” (titolo di un bellissimo libro di Rina
Macelli che descrive ideali e scontri politici nella
lotta contro il bordello di Stato dell’Ottocento)
sia prioritario rispetto alle questioni di ordine
prostituzionale. Ma assumere l’ottica di politica
criminale contro i trafficanti di merce umana
come prioritaria nel discorso e nelle decisioni
sulla prostituzione di strada è molto pericoloso.
77
Prima di tutto perché avalla la divisione tra
prostitute “per scelta” e prostitute “coatte” proponendo due regimi di intervento differenti:
nessun intervento per le prime (che presumibilmente non stanno mai per strada, ma comode a
casa loro, il che tra l’altro, non corrisponde alla
realtà), intervento di lotta alla criminalità che le
organizza e per distoglierle dalla prostituzione,
per le seconde.
Secondo, come si legge nella Risoluzione
della Regione Veneto, è ormai chiaro che l’ottica
solidaristica, intesa come aiuto alle prostitute
per uscire dalla rete degli sfruttatori, può essere
tranquillamente assunta a base di politiche neoregolamentatrici in senso forte: ripristinare la
schedatura di polizia e il controllo sanitario, vietare in prospettiva qualsiasi forma di prostituzione di strada, porre sotto il controllo delle
autorità di polizia la prostituzione al chiuso.
Questa prospettiva non è solo odiosa dal punto
di vista politico Essa è alla fine inefficace.
Neo-regolamentarismo o regolazione senza legge?
Il controllo totale della prostituzione è un
residuo del passato e le politiche regolamentatrici forti, là dove sono in vigore in Europa,
devono essere continuamente ridiscusse e rinnovate per tutti i problemi, anche di ordine, che
lasciano irrisolti. Il neo-regolamentarismo, che
nella mappa europea sembra la soluzione vincente, non risolve la questione dello sfruttamento e riduce i margini di libertà di movimento di
chi si prostituisce.
Detto questo, vedo però che qui in Italia il
problema principale è di uscire da un immobili78
smo, che, alla lunga, dà spazio proprio a soluzioni forti e politicamente regressive. Vedo
quindi che le scelte da fare sono due, e che non
si escludono a vicenda.
1) Ridiscutere le politiche sociali per la prostituzione di strada e iniziare a sperimentare al più
presto assetti prostituzionali nuovi a livello locale, anche forzando la libertà di manovra data
dalla legge Merlin che, per la sua impostazione
abolizionista, prefigura reati quali il favoreggiamento della prostituzione che, di fatto, limitano
qualsiasi forma, anche privata, di autogestione
della prostituzione. Nel caso delle politiche
sociali, si potrebbe invocare proprio l’autogestione della prostituzione, che la legge Merlin
non consente, ma neanche vieta, per iniziare un
lavoro di zonizzazione (chiamiamola pure con
un altro nome, se questo non ci piace!) concordata con i soggetti che si prostituiscono e garantita da servizi adeguati.
2) Prendere coraggiosamente in mano la
legge Merlin e cambiarla. Ma avendo ben chiaro
l’assetto prostituzionale che vogliamo promuovere. Per un assetto prostituzionale (valido sia
per la prostituzione di strada che per quella al
chiuso) che sia mobile, revocabile, rinnovabile,
sia secondo le esigenze del mercato (che molto
spesso coincidono con quelle di chi si prostituisce) che secondo quelle della sicurezza collettiva, ci vuole una legge sulla prostituzione che. si
autoabroghi, arrivando così a decretare la massima depenalizzazione del commercio sessuale.
Per la persecuzione dello sfruttamento, reato
odioso e da combattere sia nell’interesse della
collettività che di chi si prostituisce, si può utilizzare la casistica prevista dal codice penale
esistente. Quello che va studiato, e non è facile,
79
è uno strumento legislativo che, per la prostituzione di strada, incrementi politiche sociali rinnovate e fattibili, ideate e controllate localmente, sperimentabili e revocabili se non funzionano, nell’interesse di chi si prostituisce e della
collettività.
*Roberta Tatafiore è giornalista, è stata per molti
anni inviata del mensile noidonne, e collaboratrice del
manifesto. Specializzata in questioni riguardanti la sessualità e il sesso commerciale, ha pubblicato nel 1989
(assieme a Stefania Giorgi) Le Nuove amanti, storie di
amore e sesso oggi, edito da Lyra Libri, con la prefazione di Anna del Bo Boffino; Tra le principali recenti
pubblicazioni:
*Sesso al lavoro, da prostitute a sex workers miti e
realtà dell’eros commerciale, Il Saggiatore 1994
*De Bello Fallico, storia di una brutta legge sulla
violeza sessuale, collana millelire, Baraghini editore
1996
*Tra donne e uomini, storie di amore e di differenza, AA.VV., Il Saggiatore 1997
Attualmente risiede a Roma dove è giornalista freelance. Ha collaborato con la Tsi, televisione svizzera
italiana, come autrice di documentari. È autrice
dell’Enciclopedia Treccani.
80
I sistemi applicabili
alla prostituzione e le politiche
prostituzionali in Europa
Licia Brussa*
Premessa
N
ella storia moderna delle politiche prostituzionali, a partire dagli inizi del novecento,
fino ai nostri giorni, si sono creati 4 regimi che
tradotti in leggi, rappresentano i modelli di politica prostituzionale applicati in tutto il mondo.
Questi regimi o sistemi, sono nati da diverse
tendenze ideologiche e storiche, e sono stati
influenzati, durante la loro applicazione da talmente tanti fattori socio-economici, politici,
legali, morali, e sanitari, che è difficile darne
una immagine schematica. Questa descrizione
ci servirà per avere dei quadri di riferimento
dove collocare poi l’analisi storico-ideologica
sugli sviluppi delle politiche prostituzionali
internazionali e le attuali politiche e tendenze.
La descrizione dei regimi applicabili alla prostituzione, all’interno della ricostruzione delle
ideologie su cui si basano, ci permetterà di
vedere in che modo queste politiche sono
attualmente in contraddizione o sono ancora
all’interno dei paradigmi storici e ideologici passati, e in che modo stanno avvenendo cambiamenti e all’interno di quali tendenze.
Si distinguono comunemente i 4 sistemi
seguenti:
- Regolamentarismo classico
81
- Regolamentarismo senza le case di tolleranza
- Abolizionismo
- Proibizionismo
Regolamentarismo classico
In questo regime, l’esercizio della prostituzione è regolamentata dai poteri pubblici. Questo
sistema, nato nel periodo Napoleonico, è stato
organizzato amministrativamente a partire dalla
seconda metà del 1800 in Francia e per questo
verrà anche chiamato “il sistema francese”.
Esisterà in Francia fino al 1946 e fino alla seconda guerra mondiale è stato il sistema più applicato al mondo. Attualmente solo una minoranza
di paesi, applica il sistema regolamentarista
classico.
La visione dei teorici regolamentaristi riguardo alla necessità di controllo statale sulla prostituzione si basava su tre punti.
Il primo è che la prostituzione è un male
necessario, che però va conosciuto, studiato e
controllato per proteggere il resto della società
“sana”.
Il secondo è che la prostituzione è vista come
la causa principale dei contagi biologici dell’epoca. Il sistema regolamentarista trova nel
medico francese Parent-Duchatelet il suo profeta e ideologo. Fu il primo di una corrente di
medici che alla fine dell’800 propagarono in
Europa l’angoscia delle malattie veneree ed in
particolare della sifilide. Angoscia reale vista l’inefficienza dei trattamenti e l’estensione delle
epidemie di sifilide.
Il terzo punto è che le prostitute formano una
“contro società” sotterranea che costituisce una
82
minaccia morale, sociale, sanitaria e politica
all’ordine sociale. Lo sforzo di controllo del
fenomeno prostituzionale sarà investito nel
periodo regolamentarista anche di un fine
morale: di emarginazione sociale di questo
milieu perché visto come fonte di vizio, di
malattie, di cattivo esempio per le donne “oneste” e per l’istituto familiare.
Vediamo attualmente che le nuove tendenze
neo-regolamentariste ugualmente nascondono
o nascono da queste ansie di contagio, o igienico-sanitarie, o di disordine sociale e disturbo di
una certa organizzazione sociale o immagine
sociale di ordine e sicurezza.
Molte delle sommosse popolari di cittadini
contro le prostitute di strada spesso hanno alla
base questi argomenti: il rischio di contagio (le
prostitute portano malattie), l’effetto corruttore
della presenza delle prostitute per i propri
uomini (mariti e figli), la sicurezza sociale
messa in pericolo dal milieu, (criminalità e
droga.). E come nel passato l’ansia del “contagio” di epidemie che avrebbero come soggetti
pericolosi le prostitute, e quindi la richiesta di
controlli obbligatori e di relegazione in luoghi
determinati (le case chiuse), vengono giustificate da queste ragioni di tutela sanitaria per la
salute pubblica (il resto dei cittadini). Nel passato la sifilide, ora l’AIDS.
Quindi nelle politiche del sistema regolamentarista, la prostituzione vista come necessaria
per la sessualità maschile, ma pericolosa, doveva essere tollerata, ma direttamente controllata
dall’apparato medico ed amministrativo, nelle
sue modalità e sviluppi, come opera sanitaria e
morale. Principalmente per la difesa della famiglia borghese.
83
La necessità della tolleranza e della sorveglianza si è tradotta nell’elaborazione del sistema regolamentarista , che si fonda su tre regole
fondamentali:
1) Bisogna creare circuiti e luoghi di prostituzione chiusi, le cosiddette case di tolleranza,
case chiuse, solo per i clienti maschi, invisibili ai
bambini e alle “donne oneste”. La chiusura dei
luoghi permette di marginalizzare la prostituzione, e di contenere le attività sessuali extraconiugali e l’iniziazione sessuale dei giovani all’interno di questi luoghi, canalizzando quindi la sessualità maschile verso il lecito e l’illecito. È lecito socialmente il sesso mercenario, al di fuori
del matrimonio nelle case di tolleranza, è illecita
la sessualità extraconiugale non mercenaria e
fuori dalle case di tolleranza. Le case chiuse
inoltre prevenivano l’effetto scandaloso e corruttore della prostituzione di strada.
2) Questo milieu chiuso deve restare costantemente sotto la sorveglianza dell’amministrazione e trasparente per la polizia del buoncostume. La sorveglianza resta uno dei temi fondamentali del regolamentarismo, anche nelle
sue forme attuali.
3) Per essere efficacemente controllato questo sistema sociale della prostituzione, in quanto società separata, deve essere rigorosamente
gerarchizzato e settorializzato.
La storia del periodo regolamentarista sarà
quella di uno sforzo continuo per disciplinare le
donne pubbliche. La gran nemica del sistema
regolamentarista, che poi ne provocherà la fine
e ne minerà le basi ideologiche e organizzative,
più ancora che l’opposizione abolizionista, sarà
la prostituzione clandestina: delle donne non
“sottomesse”, e le nuove forme e ordini sociali
84
che nasceranno nell’era dello sviluppo industriale e delle grandi migrazioni internazionali
assieme alle migrazioni di donne dalle campagne alle città.
I raffronti con il presente sono evidenti.
Anche nelle forme attuali di regolamentarismo
in Europa il sistema di controllo statale è messo
in crisi, come vedremo più tardi, dalle figure
nuove nella prostituzione (migranti, irregolari,
mobili), cioè da soggetti che sfuggono al controllo della registrazione sistematica.
L’emancipazione delle prostitute, come soggetti
politici, attraverso le organizzazioni che sono
nate negli anni ‘70, è ugualmente un elemento
che ha messo in crisi i resti di un sistema regolamentarista, o le nuove tendenze neoregolamentariste. Le prostitute organizzate internazionalmente si sono sempre battute per la protezione
dei diritti civili ed umani, contro le leggi discriminatorie e penalizzanti verso le prostitute e
contro la criminalizzazione della prostituzione
libera. Dagli anni ‘80 le associazioni delle lavoratrici sessuali si sono poste anche come interlocutori politici per i loro governi sui cambiamenti legislativi per decriminalizzare certi aspetti dell’organizzazione del lavoro delle prostitute
e in certi paesi per creare un quadro nuovo, che
riconoscesse la prostituzione come una forma
di lavoro indipendente. Questi movimenti
hanno avuto ed hanno una grande influenza
anche verso l’opinione pubblica per una discussione sociale sulla posizione delle prostitute e
sulla prostituzione nella società, mettendo in
crisi l’immagine demonizzata della prostituta
come pericolosa per la società e fonte di vizio e
corruzione. Inoltre, come nel passato, la prostituzione difficilmente si può canalizzare in una
85
forma per il semplice volere statale o amministrativo.
Sempre dagli anni ‘70 si sono sviluppate in
tutti i paesi, indipendentemente dai sistemi ufficiali in vigore (regolamentarista o abolizionista,
neoregolamentarista o proibizionista) molteplici
forme di prostituzione (appartamenti, excort,
bars, strada, contatti occasionali nei locali o
discoteche, saune...) con una grande diversificazione dei soggetti (donne che si prostituiscono
occasionalmente, la prostituzione maschile,
transessuale, di travestimento, o donne che si
prostituiscono a causa della tossicodipendenza). Così pure c’è una diversità delle forme di
fantasie sessuali e contesti nel contatto o della
domanda dei clienti di contatti sessuali o a volte
solo di compagnia verso queste diverse forme
di prostituzione . E infine sempre a partire dagli
anni ‘80, la maggiore mobilità di persone nel
mondo ha creato due effetti, quello del cosiddetto turismo sessuale e la grande presenza,
maggioritaria attualmente in Europa, di prostitute provenienti dai paesi del terzo mondo e,
dopo la caduta del muro di Berlino, dall’Europa
dell’Est. Questi cambiamenti radicali, sia dei
soggetti, sia del mercato del sesso commerciale,
hanno in realtà messo in crisi qualsiasi sistema
di governabilità della prostituzione, sia il
modello regolamentarista che le politiche di
matrice abolizionista.
E infine, come nel passato, attualmente certe
tendenze di cambiamenti nelle politiche in
Europa, verso modelli di neoregolamentarismo
o di controllo amministrativo dei luoghi di prostituzione, nascono e si sviluppano ugualmente
all’interno dei paradigmi che ho citato sopra. Le
matrici ideologiche sono cambiate, la traduzione
86
di queste volontà politiche di riconoscimento
della prostituzione come fenomeno sociale, esiste, ma la traduzione amministrativa di un
modello di intervento pubblico ha la stessa finalità di quelli del passato, quella cioè della governabilità della prostituzione, del suo contenimento in luoghi o zone specifiche da sottomettere a
una stretta sorveglianza amministrativa e poliziesca, attraverso un sistema di licenze per i luoghi
di prostituzione: ciò sta succedendo in Olanda
negli ultimi anni o, attraverso altre forme di
regolamenti amministrativi e limiti verso l’esercizio della prostituzione, in altri paesi europei
(Germania, Belgio, Danimarca, Svizzera).
Parallelamente a queste forme di neo-regolamentarismo si aprono anche altri dibattiti politici in Europa sul fenomeno. Queste tendenze di
cambiamento nelle politiche cercano, sulla strada della decriminalizzazione della prostituzione, altri strumenti giuridici per la protezione dei
diritti delle persone.
Per ritornare all’organizzazione del modello
regolamentarista, sempre per comprenderne le
politiche e riconoscerne gli elementi attuali
rimasti nei paesi che ancora applicano questo
sistema , è importante ancora sapere che nel
passato l’asse del sistema era “la casa di tolleranza”. Varie misure amministrative regolavano
la gestione e presentazione del bordello.
L’organizzazione della casa doveva essere
gerarchizzata, diretta dalla rappresentante dell’autorità, la madame o tenutaria.
La prostituzione femminile deve esser e,
secondo le idee regolamentariste, una società
di donne, destinata a soddisfare la sessualità
maschile, sotto il controllo diretto dell’amministrazione pubblica.
87
Nei paesi a regime regolamentarista attualmente è quasi scomparsa l’interdizione per
uomini di gestione di un locale di prostituzione,
mentre sono rimaste le figure delle madame
che gestiscono, assieme ai proprietari, l’organizzazione del locale e i rapporti tra clienti e prostitute, istruiscono e introducono le nuove arrivate e mediano gli eventuali conflitti tra prostituta e cliente. La figura maschile del protettore,
nel passato regolamentarista, era al contrario
una figura moralmente reprensibile, autorità
maschile che controlla il milieu, ponendosi in
alternativa o in rivalità con il controllo poliziesco. Per questa ragione c’era l’interdizione agli
uomini della gestione di una casa chiusa, anche
se spesso in realtà erano uomini i proprietari
dei locali, ed erano spesso uomini gli “adescatori”, cioè le persone che introducevano o accompagnavano e offrivano le ragazze alle tenutarie
delle case, o gestivano i passaggi delle donne
da un bordello all’altro, da un paese all’altro.
L’altro asse principale del sistema era il potere medico, con i suoi controlli, trattamenti, e
internamento coatto nei sifilicomi. Inoltre le
registrazioni sanitarie svilupperanno un sistema
sempre più perfetto, di registrazione nazionale
e la schedatura poliziesca sarà sempre più
anche quella medica. I famosi libretti sanitari e
l’iscrizione nei registri speciali dei ministeri dell’
interno, diventeranno unici e intercambiabili.
Una volta entrate in una delle due schedature e
con il libretto medico, per una prostituta era
praticamente impossibile uscire dal sistema di
registrazione per il resto della sua vita.
Il ruolo della polizia del “buon costume”,
assieme ai medici che devono effettuare i controlli sanitari, è ugualmente chiaro: far rispettare
88
i regolamenti amministrativi, con la minaccia di
ritirare la concessione dei permessi di gestione
del bordello, sempre secondo il principio che il
disordine è condannabile, non l’esercizio della
prostituzione.
L’esercizio della prostituzione in questo sistema viene tollerato e regolamentato.
Le pensionarie delle case di tolleranza (in
case che hanno il permesso di gestione), e le
prostitute esterne registrate, possono esercitare
la prostituzione, ma sono soggette a delle rigide
prescrizioni regolamentari.
La casa di tolleranza o bordello, è un luogo
commerciale destinato alla prostituzione. I proprietari/proprietarie delle case di tolleranza
ricevono per loro domanda, il permesso di fare
funzionare il locale. Questa autorizzazione è
precaria, può essere ritirata senza che l’autorità
debba dichiararne i motivi. Non si tratta quindi
di un vero sistema di licenze, ma di tolleranza
con controllo amministrativo. Questa tolleranza
è accompagnata da diverse consegne.
Generalmente gli obblighi riguardano l’iscrizione in un registro delle persone che lavorano nel
locale, l’obbligo di effettuare i controlli medici
alle nuove iscritte e controlli periodici per tutte,
a non fare lavorare donne ammalate (con malattie veneree) e minorenni. Inoltre ci sono regole
che riguardano i clienti: non possono entrare
minorenni e clienti in stato di ubriachezza e se
portano armi da fuoco. In caso di risse la tenutaria deve chiamare la polizia, e spesso la vendita di alcolici è ugualmente proibita nel locale.
Le prostitute che non lavorano in una casa di
tolleranza sono ugualmente registrate; sono in
possesso di una carta della polizia dove sono
riportate le generalità e il numero delle visite
89
venereologiche a cui sono obbligate a sottoporsi.
Nei paesi regolamentaristi il codice penale,
anche se non può punire - per seguire la logica
del sistema - in una maniera generale, lo sfruttamento della prostituzione altrui, incrimina gli
atti di favoreggiamento della prostituzione e
prossenetismo aventi come oggetto una persona minorenne o una persona maggiorenne
obbligata a prostituirsi attraverso l’inganno, la
violenza o altre forme di abuso di autorità o
ricatto.
Le modalità dei dettagli di questi regimi variano all’infinito, anche in rapporto a periodi storici, e secondo la situazione della prostituzione
nel paese. Possono essere più o meno rigidi,
tolleranti o repressivi, ma implicano tutti dei
controlli amministrativi, e un regolare pagamento delle imposte da parte dei proprietari dei
locali di prostituzione. Implicano quindi un
atteggiamento attivo da parte dell’amministrazione pubblica, che attraverso i suoi amministratori speciali (polizia del buon costume,
medici venereologici e di profilassi,) regolamenta, con regole amministrative il settore della
prostituzione. Questo sistema di controllo
amministrativo nazionale si realizza attualmente
attraverso due forme: un sistema di licenze per i
locali e la registrazione e controlli sanitari obbligatori per le prostitute.
In Europa questo sistema attualmente è ancora applicato in Austria, Turchia e Grecia ed in
altri 10 paesi nel resto del mondo.
Nel sistema di regolamentarismo classico, le
prostitute vengono iscritte in un registro speciale controllato a livello nazionale dal ministero
dell’ interno, attraverso la registrazione polizie90
sca. Spesso nei loro documenti di identità viene
nominata la prostituzione come condizione o
lavoro, e a volte queste pratiche discriminatorie
hanno come conseguenza la perdita di certi
diritti civili. In certi paesi islamici (in Turchia ad
esempio), una prostituta registrata non può
sposarsi legalmente ed è esclusa a vita dall’accesso ad altre professioni. Anche nei paesi che
non hanno queste regole estreme, la registrazione all’interno dei registri speciali della polizia
ha conseguenze per i diritti alla cittadinanza
delle prostitute, e una grande stigmatizzazione
ed esclusione sociale.
È da notare che il sistema regolamentarista
classico non ha impedito la crescita della prostituzione “clandestina”, cioè non registrata e
senza licenze per i locali dove si esercita la prostituzione non controllata dallo Stato.
Ugualmente in questi paesi la presenza di prostitute migranti che vivono e lavorano principalmente nei locali di prostituzione non registrata,
è maggiore che la prostituzione registrata . I due
circuiti (il clandestino e il regolamentato), convivono parallelamente, e chiaramente aprono
delle contraddizioni sul senso di queste politiche, sul potere statale di governabilità della prostituzione attraverso le regole amministrative e
l’intenzione di un controllo totale (amministrativo-sanitario). Si può chiaramente concludere
che la logica di questo sistema è completamente inefficace di fronte agli sviluppi attuali della
prostituzione e soprattutto di fronte al fenomeno dell’internazionalizzazione della prostituzione e alla presenza maggioritaria in tutti i paesi
europei di prostitute migranti ed extracomunitarie.
91
Regolamentarismo senza case di tolleranza
Questo regime permette la registrazione delle
persone prostitute, ma non, ufficialmente, delle
case di tolleranza. Generalmente si tratta di
paesi a regime regolamentarista classico, che
hanno poi proibito le case di tolleranza, mantenendo il sistema di registrazione delle prostitute. Questo sistema di registrazione è soprattutto
per fini di controlli sanitari. Il regime è allora
detto neo-regolamentarista. Una amministrazione sanitaria speciale ha il compito della registrazione e dei controlli medici periodici delle prostitute. La polizia interviene per l’esecuzione di
misure coercitive. Questa registrazione medica
con i suoi controlli sanitari non ha un carattere
volontario, ma è obbligatoria per le prostitute
mentre il carattere confidenziale è puramente
teorico.
La Convenzione per la Repressione della
Tratta degli Esseri Umani e dello Sfruttamento
della Prostituzione, (New York, 1949) enuncia,
nell’articolo 6, l’abbandono di tutte le misure
discriminatorie verso le persone che si prostituiscono, e l’abolizione di procedure che tendono
a mantenere queste persone nella loro condizione di prostitute. L’esistenza di registrazioni
socio-sanitarie sono quindi contrarie alla
Convenzione del 1949, e impediscono a questi
paesi di ratificare la Convenzione, o i paesi che
l’hanno ratificata sono in contraddizione con gli
obblighi assunti.
Si può dire che questo sistema è a metà cammino tra il regolamentarista e l’abolizionista. In
Europa vengono ancora effettuati controlli sanitari obbligatori per prostitute nella maggior
parte delle regioni (Länder) in Germania, e
92
naturalmente nei paesi soprannominati, a sistema regolamentarista. Questi sistemi di registrazione e controlli sanitari obbligatori per prostitute si sono dimostrati inefficaci dal punto di
vista della protezione della salute pubblica. In
Atene ad esempio circa 400 donne sono registrate come prostitute e sottoposte ai controlli
sanitari coatti, mentre il numero di prostitute
non registrate viene stimato a più di 5.000.
In Germania approssimativamente 50.000
lavoratrici sessuali sono registrate e si sottomettono alle regole imposte dalla legge nazionale
sui controlli obbligatori per prostitute (questo
ancora una volta dipende poi dai regolamenti
dei vari Länder in Germania), mentre il numero
totale di prostitute in questo paese viene stimato globalmente a più di 150.000.
Considerando poi che la prostituzione mobile
e straniera spesso sfugge a una possibilità di
stima e non ha ugualmente nessuna forma di
registrazione nei servizi pubblici sanitari, possiamo vedere come sia irrisoria la pretesa di
controllare in modo coatto e obbligatorio le
persone che si prostituiscono.
Inoltre da anni esperienze epidemiologiche
sul terreno della prevenzione delle malattie a
trasmissione sessuale dimostrano l’inefficacia di
questi metodi, mentre diverse direttive della
Organizzazione Mondiale della Sanità condannano queste pratiche come discriminatorie e
contrarie alle politiche attuali di prevenzione
della salute.
Abolizionismo
Per sistema abolizionista non si intende un
93
sistema che vuole abolire la prostituzione.
Quello che si intendeva abolire era la regolamentazione del potere pubblico sulla prostituzione, e quindi il regime regolamentarista. La
situazione delle prostitute nelle “case di tolleranza” è considerata dagli abolizionisti come
una forma di schiavitù, e il traffico di cui la prostituta è l’oggetto (da un bordello all’altro) come
un commercio degli esseri umani. È sulla base
di questi due principi, in analogia a quelli che
riguardano l’abolizione della schiavitù, che è
nato e si è sviluppato il movimento anti-regolamentarista. Da qui il nome Abolizionismo. La
paladina di questo movimento di protesta fu
l’inglese Josephine Butler che il primo gennaio
del 1870, pubblica nel Daily News, un manifesto della Lady National Association, dove si condanna la nuova legislazione inglese regolamentarista.
Il regime abolizionista non si caratterizza
nemmeno per l’assenza di intervento del potere
pubblico verso il fenomeno prostituzionale,
condanna però la tolleranza dei locali di prostituzione e la presenza di “libretti” e registrazioni
obbligatorie per le prostitute. La prostituzione
in sé stessa come fatto non dovrebbe essere
punita o ammendata, ma si punisce e proibisce
lo sfruttamento della prostituzione da parte di
terze persone, e a volte, l’adescamento di clienti. Le idee abolizioniste all’origine vedevano le
persone che si prostituiscono come vittime fino
ad insistere sulla uguaglianza che la legislazione
in materia di prostituzione deve osservare
riguardo ai due sessi. Quindi contro la “doppia
morale”. Il movimento abolizionista raccoglieva
diversi rappresentanti di gruppi sociali e diverse
tendenze ideologiche ed ha appassionato e
94
dominato la discussione sulla moralità e l’uguaglianza sociale per più di un secolo. Infatti sia
movimenti di carattere religioso che movimenti
politico-rivoluzionari (socialista, femminista)
parteciparono a questa battaglia internazionale.
L’abolizionismo combatte il postulato del
regolamentarismo che consiste nel riconoscere
la normalità e necessità delle relazioni sessuali
extramatrimoniali per gli uomini. Gli abolizionisti elogiavano la continenza, d’accordo con questo principio anche numerosi medici dell’epoca
che, al contrario dei medici regolamentaristi,
consideravano che la vera igiene deve tendere
alla moralizzazione e alla fedeltà coniugale.
I leaders della Federazione Internazionale
Abolizionista, nata nel 1877, e tuttora esistente,
sottolineavano i pericoli del celibato, che porta
automaticamente al vizio, alla prostituzione e ai
figli illegittimi.
Questo abolizionismo proibizionista, che
combatte contemporaneamente la schiavitù
delle donne sottomesse (le prostitute delle case
chiuse) e la tolleranza statale della prostituzione, è la prima matrice di un movimento contro
l’accettazione sociale della prostituzione come
un male necessario per soddisfare le incontrollabili pulsioni sessuali maschili.
Una risoluzione del primo congresso della
Federazione dice infatti che “La pratica dell’impurità è reprensibile in modo uguale per uomini
e donne.”
Qui inizierà quel tema, che poi con vigore
sarà sviluppato dalla componente femminista
abolizionista, della denuncia contro la “doppia
morale”.
La componente radical/rivoluzionaria e socialista della Federazione Abolizionista si batterà
95
per la limitazione della funzione dello stato
all’interno del sistema regolamentarista, per la
garanzia delle libertà individuali, per l’abolizione delle registrazioni delle prostitute e della
detenzione come ammenda amministrativa
verso le donne “non sottomesse” al regime
regolamentarista.
La componente abolizionista protestante ed
evangelista della Federazione Internazionale
Abolizionista fonderà nei vari paesi europei i
comitati civili per l’aumento e il ripristino della
moralità pubblica e i comitati per la protezione
della gioventù. Da questi comitati nasceranno
poi le strutture europee contro la tratta delle
donne, nei primi anni del novecento, e per la
protezione dal pericolo della prostituzione delle
giovani donne sole. Case di accoglienza e comitati delle stazioni ferroviarie, che contattavano
giovani viaggiatrici e soprattutto ragazze del
proletariato o contadine che arrivavano in città
alla ricerca di un lavoro. Queste ultime venivano prese in tutela da questi comitati, che per
“salvarle dalla prostituzione”, le impiegavano
invece come domestiche nelle case borghesi.
La rivendicazione dell’abolizione della prostituzione tollerata, sarà all’interno della matrice
abolizionista femminista della fine del XX secolo, sempre legata ai diritti delle donne in generale, come l’educazione laica e gratuita, il lavoro, e la morale ugualitaria per i due sessi.
L’analisi abolizionista, all’interno di quel
periodo storico, ha messo a nudo in modo
magistrale i presupposti e le strutture del regolamentarismo, ha provato l’illegalità del sistema
cercando costantemente di minarne l’efficacia.
Ma per la grande maggioranza dell’opinione
pubblica internazionale l’abolizionismo resterà,
96
fino alla prima guerra mondiale, il movimento
che si ispira ai grandi principi dei diritti umani,
per applicarli, in modo un po’ utopico e religioso, a quel gruppo della popolazione (le prostitute), che ancora non ne può beneficiare.
Sarà soprattutto sul tema della “tratta delle
bianche” e sull’organizzazione internazionale
della lotta contro di essa che gli abolizionisti
guadagneranno terreno contro i regolamentaristi, nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica e sul terreno della diplomazia internazionale.
Ma nonostante queste vittorie ideologiche sui
principi da parte abolizionista, la vera crisi del
sistema regolamentarista, come capacità di
governo e controllo della prostituzione, fu sancita dai cambiamenti in atto nel mercato stesso,
e più in generale nella società.
Fu la fine delle regole del milieu e delle case
chiuse e l’inizio di una diversa organizzazione
commerciale della prostituzione e soprattutto
fuori delle case chiuse.
Come movimenti di pensiero il regolamentarismo e l’abolizionismo sono in realtà due risposte borghesi alla paura dell’invasione della prostituzione: rappresentano ambedue il bisogno
sociale di imporre o salvaguardare l’istituzione
familiare e la moralità pubblica attraverso il
controllo o la repressione della sessualità extraconiugale. Legati a epoche diverse e a sensibilità diverse sono ambedue fortemente moralizzatori.
L’eredità attuale di questi movimenti di pensiero è fortemente presente sia nell’ambito delle
politiche prostituzionali e i sistemi di governabilità della prostituzione, che negli accordi internazionali in materia, e nelle definizioni della
prostituzione e della tratta.
97
Nel preambolo della Convenzione per la
Repressione della Tratta degli Esseri umani e
dello Sfruttamento della Prostituzione delle
Nazioni Unite del 1949, che ha portato alla revisione di molti codici penali nazionali e all’introduzione e applicazione del sistema abolizionista, si afferma che: “la prostituzione, e il male
che l’accompagna, cioè la tratta degli esseri
umani, sono incompatibili con la dignità e il
valore della persona umana, e mettono in pericolo il benessere dell’individuo, della famiglia,
della società”.1
Se nel sistema regolamentarista le prostitute
erano viste come una categoria sociale necessaria ma pericolosa e da marginalizzare e controllare, nel sistema abolizionista le prostitute sono
viste come vittime della schiavitù dello sfruttamento sessuale. Inoltre la tratta della persone
per fini di sfruttamento sessuale e prostituzione
sono in questo concetto, sinonimi e legati a
un’unica definizione di condanna morale.
L’attuazione del sistema abolizionista varia
secondo il paese, ma è sempre basato su questi
due principi: la lotta contro il favoreggiamento
e l’adescamento, e la protezione del buon
costume e dell’ordine pubblico e la lotta contro
tutti quei crimini che possono essere associati
nella definizione di attentato al pudore delle
persone fatto in forma violenta o fraudolenta.
La definizione di sfruttamento della prostituzio1 I 58 paesi che l’hanno ratificata hanno dovuto smantellare le strutture amministrative e gli organi specifici
per il controllo della prostituzione in coerenza con l’articolo 6 che abolisce qualsiasi forma di registrazione
speciale e di regime amministrativo di sorveglianza
speciale per le prostitute.
98
ne da parte di terzi coinvolge sia le persone che
direttamente approfittano delle entrate economiche legate ad attività prostituzionali, sia altre
persone che finanziano queste attività o ne
favoriscono l’attuazione commerciale. In questo
modo si vuole colpire sia il protettore e i suoi
complici, ma anche in generale l’organizzazione
commerciale del fenomeno prostituzionale.
Il regime abolizionista è attualmente il modello di politica prostituzionale più applicato nel
mondo.
Se in tutti i paesi con una politica abolizionista la prostituzione individuale è libera, nella
pratica l’esercizio della prostituzione anche
nelle forme libere viene perseguito, e soprattutto la gestione del lecito e dell’illecito, al di là di
quello che il codice penale dice, viene delegato,
come modello statale, agli organi di polizia,
all’interno dell’area dell’ordine pubblico. O in
qualche modo rientra all’interno della discrezionalità delle amministrazioni locali sui limiti e criteri della tolleranza o repressione della prostituzione e dell’applicazione del codice penale,
soprattutto nell’interpretazione di cosa è favoreggiamento. Così può succedere che due colleghe prostitute in Francia che dividono assieme i
costi di affitto di un appartamento possono
essere accusate di favoreggiamento della prostituzione o addirittura il partner di una prostituta
può essere accusato di favoreggiamento se
accompagna la moglie al posto di lavoro, o se
vive con le entrate economiche della moglie
che provengono dalla prostituzione. Così pure
la zona grigia di altre forme di prostituzione
come ad esempio quella dei locali notturni e
delle accompagnatrici, viene vista in certi
momenti come forma di prostituzione organiz99
zata da terzi e quindi punibile, o in altri
momenti viene ignorata o considerata come
forma di non prostituzione, ma che rientra
all’interno della sfera privata relazionale delle
persone. La prostituzione di strada può essere
ugualmente soggetta ad ammende e fogli di via
per le donne che si prostituiscono.
Proibizionismo
Il proibizionismo, come l’abolizionismo, condanna la legalità delle case di tolleranza, la registrazione di prostitute e lo sfruttamento della
prostituzione da parte di terzi, ma si distingue
dal sistema precedente per l’interdizione della
prostituzione in quanto tale. Le persone che si
prostituiscono sono punite non solamente per
l’adescamento in pubblico, ma anche per il solo
fatto di prostituirsi. A volte anche i clienti possono essere incriminati. La interdizione della
prostituzione può essere sanzionata sia da
misure penali che amministrative. In Europa
l’Inghilterra e l’Irlanda applicano questo modello; anche negli Stati Uniti, ad eccezione del
Nevada, la prostituzione è proibita.
Conclusioni
Tutti i sistemi prostituzionali si inscrivono nei
tre modelli differenti descritti: il modello proibizionista, regolamentarista e abolizionista.
Tutti gli stati lottano contro la prostituzione
dei minori, contro il prossenetismo, contro la
prostituzione coatta e contro la tratta delle persone. Al di là di questi punti fondamentali, le
100
politiche prostituzionali applicate dai diversi
paesi seguono i tre modelli tradizionali.
Ugualmente si può constatare che questi tre
modelli di politiche prostituzionali hanno dato
prova di inefficacia nella soppressione della
prostituzione ed anche nella protezione delle
persone che si prostituiscono.
Ma queste politiche non sono statiche e nuovi
modelli di politiche prostituzionali sono in
discussione. Queste tendenze innovatrici si
inscrivono in un tentativo di decriminalizzare le
forme di prostituzione libere. Altri tentativi di
politiche prostituzionali cercano di attuare delle
politiche che senza un ruolo moralizzatore, ma
più pragmatico dello Stato, si inseriscano nella
realtà della prostituzione attuale. Queste politiche presuppongono una accettazione della prostituzione come un fatto sociale. La prostituzione non viene vista come un fenomeno isolato,
un cancro della società, da recidere per proteggere la società “sana”, ma come un fatto intrinseco alle strutture sociali. Un effetto dei rapporti
tra i sessi, all’interno di questa società, dove
anche la sessualità è un oggetto di scambio e di
commercio. Il fenomeno della prostituzione è
quindi uno dei tanti effetti della commercializzazione della sessualità, (come certe forme di
pubblicità, ad esempio). Anche il riconoscimento della libertà individuale delle persone, e dunque della possibilità che prostituirsi sia una libera scelta, e di usare il proprio corpo come
meglio credono, e il diritto alla protezione delle
persone che sono state obbligate a prostituirsi
da terze persone, o da determinate circostanze,
sono due principi di base di queste politiche.
Queste “nuove idee”, in realtà sanciscono un
diverso ruolo dello Stato, non più “maestro di
101
costumi e protettore della moralità pubblica”
(come è all’interno del modello abolizionista),
ma garante dei diritti (attraverso il codice penale) di protezione delle persone da forme violente e dallo sfruttamento che ne intaccano la
libertà e l’integrità fisica.
Il passaggio quindi è quello di non considerare la prostituzione in sè come un male per la
società, o come sinonimo di sfruttamento, ma di
ritenere che vi possono essere condizioni di
sfruttamento e di limitazione della libertà decisionale delle persone che offrono servizi sessuali in cambio di denaro.
Su questo terreno si limita l’intervento statale
e penale.
Inoltre la separazione tra prostituzione per
libera scelta, di persone maggiorenni (da rispettare), o per obbligo (da combattere), implica lo
sviluppo di due politiche differenziate:
- da una parte il riconoscimento della prostituzione come attività commerciale, e la creazione di norme amministrative che regolino questa
attività, sia a livello individuale e indipendente
sia in altre forme organizzate con più persone o
all’interno di locali
- dall’altra parte l’elaborazione di misure di
prevenzione e difesa delle persone, contro le
forme di prostituzione forzata e obbligata.
I sistemi prostituzionali sopra descritti formano il quadro generale dei sistemi giuridici e
amministrativi che attualmente esistono nel
mondo.
Questo non significa che non ci siano diverse
applicazioni e che non ci siano enormi differenze tra paesi che adottano il sistema abolizionista.
In questo caso si può ad esempio vedere la diffe102
renza enorme che esiste tra la politica prostituzionale olandese e quella francese, nonostante il
fatto che dal punto di vista giuridico, nei due
paesi, come in tutti gli altri paesi che dal dopoguerra hanno adottato il sistema abolizionista
(che hanno cioè abolito il sistema delle “case di
tolleranza” e il regolamentarismo) sono considerati reati lo sfruttamento commerciale della prostituzione, il favoreggiamento, la prostituzione di
minori e la prostituzione coatta di maggiorenni.
Per questo è importante fare una distinzione
tra sistemi prostituzionali e politiche prostituzionali. Allo stesso modo, quando si parla di politiche prostituzionali negli ultimi cinquant’anni,
vanno considerate non solo le enormi differenze di applicazione dei sistemi a livello nazionale, ma anche i periodi e gli sviluppi e le ideologie attorno all’interpretazione del fenomeno
della prostituzione soprattutto all’interno di due
aree: quello dell’ordine pubblico e della moralità pubblica, e quello dell’aspetto territoriale,
cioè che spazio dare o non dare all’interno di
un territorio urbano alla prostituzione.
Soprattutto all’interno di quest’ultima area ci
sono diversi modelli di regolamenti amministrativi comunali che fuoriescono dal quadro normativo delle leggi nazionali abolizioniste, che
considerano lo sfruttamento commerciale della
prostituzione e il favoreggiamento della prostituzione come reato. Svizzera, Danimarca,
Germania, Olanda hanno sviluppato un modello di tolleranza e regole amministrative applicate ai locali di prostituzione, come per le vetrine
(Olanda), per i bar (Germania e Belgio), per i
sex-club o le saune (Svizzera, Danimarca,
Germania, Olanda). In queste forme di prostituzione al chiuso, la gestione, il profitto economi103
co della prostituzione e l’organizzazione della
stessa da parte di terze persone (proprietari,
managers e gestori dei locali), sono tollerate da
parte delle autorità locali anche se in realtà
sono punibili secondo le leggi nazionali.
Anche la prostituzione di strada in molti paesi
europei con un sistema abolizionista è regolamentata da norme amministrative locali. Ad
esempio in Olanda, si sono create delle zone
nelle grandi città destinate alla prostituzione di
strada e rese agibili a questa finalità; la zona
viene destinata per ordinanza del sindaco a fini
di prostituzione di strada, sviluppata e finanziata dagli amministratori pubblici con modalità
fissate: la circolazione del traffico viene canalizzata in circuiti speciali attorno e all’interno della
zona; la distanza da centri abitati viene considerata come un punto fondamentale; l’illuminazione all’interno della zona deve essere sufficiente per garantire la sicurezza delle prostitute;
deve esserci un centro di servizi notturno per le
prostitute, con la presenza di personale sociosanitario; sono stabiliti orari di apertura e chiusura dell’accesso alla zona, solo notturni; a volte
ci sono dei sistemi di parcheggi coperti per la
macchina del cliente e dove le prostitute hanno
il contatto con il cliente.
Allo stesso modo in Germania il sistema della
“zonizzazione” della prostituzione di strada non
è tanto “arredato” e fornito di servizi come le
“zone” olandesi, però è regolamentato. Ad
esempio le “zone” non si trovano all’interno di
quartieri ad alta densità di abitanti e non in vicinanza di scuole ed è permesso prostituirsi solo
in certi orari.
Alla fine si può ancora dire che anche questi
regolamenti comunali non sono omogenei,
104
come non lo sono le politiche nazionali sulla
prostituzione, ma spesso si muovono tra un
concetto di tolleranza (laissez faire) o di controlli e limiti più repressivi e severi.
Anche l’intensità dell’applicazione e del controllo delle regole varia in relazione a fattori e
circostanze mutevoli quali ad esempio le esigenze di sviluppo urbano di una città.
In una zona tradizionale di prostituzione tollerata e relativamente contenuta o controllata
nel suo possibile sviluppo od eccesso, viene
ristretta la tolleranza e i regolamenti diventano
più severi nel momento in cui quel territorio ha
necessità di altri tipi di sviluppi urbanistici o
commerciali. Zone considerate come di non
disturbo per gli abitanti possono ugualmente
poi diventarlo, così pure un’area destinata alla
prostituzione di strada, può diventare improvvisamente un nodo centrale nello sviluppo dell’infrastruttura di una grande città, e quindi
avere poi un’altra destinazione. Così come zone
di vetrine tradizionalmente inserite in centri storici in vecchi quartieri attorno ai porti
(Amsterdam, Anversa, Amburgo), possono
disturbare lo sviluppo e il risanamento delle
case, o la creazione di nuovi centri abitativi e
commerciali. Si arriva così a certi paradossi
come ad Arnhem, una città in Olanda, dove la
zona delle 500 vetrine era integrata in un quartiere particolarmente povero e con vecchie
case. Il piano di sviluppo urbano di questa città
e l’intervento comunale per il risanamento abitativo di questo quartiere, ha significato che
l’amministrazione pubblica ha dovuto contrattare con i proprietari degli immobili dove da 40
anni esistevano le vetrine, dei prezzi di acquisto
molto superiori al valore del mercato e contem105
poraneamente garantire che in un’altra zona
fuori della città vennisse costruito un quartiere
nuovo e nuove case per rimpiazzare le vetrine
perse. Questa creazione di un quartiere nuovo a
“luci rosse”, su iniziativa e su terreno comunale,
è ugualmente un fatto nuovo che pone una
amministrazione pubblica di fronte a grandi
dilemmi sulle frontiere tra regolamentarismo,
abolizionismo, normalizzazione e accettazione
della prostituzione come una attività commerciale che deve trovare uno spazio e condizioni
adeguate all’interno del tessuto urbano. E ci si
può immaginare che non tutti i cittadini sono
d’accordo o sottoscrivono questo ruolo cosi
prominente della loro amministrazione nella
creazione di un quartiere completamente nuovo
destinato alla prostituzione, ed aperto a nuovi
grossi investimenti di privati.
La contraddizione tra le politiche comunali
olandesi, che in maggioranza hanno sviluppato
dei sistemi che si possono iscrivere nel paradigma neoregolamentarista, (la gestione e la politica della la prostituzione è molto decentrata e le
amministrazioni locali hanno storicamente
avuto molta autonomia su questo terreno), la
legge nazionale sulla prostituzione che è abolizionista (secondo l’articolo 250 del codice penale viene punito il favoreggiamento della prostituzione), e la politica olandese in tema di prostituzione che da più di 10 anni si iscrive all’interno dell’accettazione statale della prostituzione come “fenomeno che esiste e che sempre
esisterà” (e che quindi, nelle sue forme libere e
coscienti deve essere vista come una legittima
attività commerciale o di lavoro, da normalizzare all’interno appunto di un quadro di diritti
paragonabili ad altre forme di lavoro indipen106
dente), ed invece la politica di prevenzione e
lotta a tutte le forme di prostituzione coatta e di
tratta delle persone e di minori, ha portato alla
nuova proposta di legge del ministero della giustizia, di legalizzazione della prostituzione e di
abolizione dell’articolo sul favoreggiamento, e
quindi nella pratica alla depenalizzazione della
figura dei proprietari dei locali di prostituzione.
Nello stesso tempo, le prostitute in Olanda sono
per il 70 per cento donne e uomini o transessuali che provengono da paesi extracomunitari.
Questo significa che se la prostituzione viene
riconosciuta come una attività che ha un carattere dipendente o indipendente (a seconda
delle diverse forme di prostituzione e relazioni
di lavoro tra le prostitute e i proprietari dei locali), secondo le severe leggi sull’immigrazione,
tutte le persone che non hanno un permesso di
soggiorno verranno escluse e considerate doppiamente illegali nella prostituzione. Nella pratica quindi il riconoscimento statale della prostituzione come lavoro (sessuale), sarà riconosciuto e accettato solo per persone autoctone o residenti nella Comunità Europea.
Attraverso la concessione di licenze ai proprietari di locali di prostituzione e la regolamentazione che riguarderà la nuova posizione giuridica e lavorativa delle lavoratrici sessuali, sarà
proibito ai gestori dei locali (vetrine, clubs) far
lavorare nel locale o affittare una stanza (le
vetrine) a una persona irregolare, con la sanzione della chiusura del locale. Per quanto riguarda invece il sistema che si sta costruendo amministrativamente per la professione di lavoratrice
sessuale, viene esclusa qualsiasi possibilità per
una persona extracomunitaria attualmente irregolare nel paese, o che richiede dal paese d’ori107
gine un permesso di soggiorno per svolgere
una attività indipendente di lavoratrice sessuale,
di poter ottenere un permesso di soggiorno o di
lavoro per prostituzione. Vediamo quindi che
un esempio di politica prostituzionale molto
liberale e senza dubbio pragmatica, ha ugualmente degli aspetti repressivi e discriminatori,
nell’applicazione pratica e nelle conseguenze
legate a queste scelte politiche in materia.
Infine dopo questa complicata rassegna sulle
politiche e sui sistemi prostituzionali in Europa,
tra il vecchio e il nuovo, possiamo con sicurezza concludere che qualsiasi sistema è attualmente in crisi, che tutti i paesi europei cercano
soluzioni pragmatiche di normative amministrative, o ricercano e studiano possibilità di cambiamenti nelle politiche prostituzionali.
Il paradigma neoregolamentarista e quello
abolizionista continuano ad esistere parallelamente come nel passato, e nelle politiche si
influenzano, come abbiamo già rilevato.
Come nel passato, il grande dibattito internazionale contro la tratta delle donne è sempre di
più l’elemento dominante nello sviluppo delle
politiche prostituzionali. Così pure è accesa la
lotta internazionale sulle definizioni e sull’interpretazione del fenomeno. Inoltre i paesi che
stanno seguendo una strada indirizzata verso la
tolleranza dell’aspetto commerciale della prostituzione e la creazione di un quadro giuridicoamministrativo per la depenalizzazione della
prostituzione organizzata da terze persone, si
trovano a dover entrare in contraddizione con
le leggi nazionali sull’immigrazione per quanto
riguarda le normative sulla concessione di un
permesso di lavoro per cittadini extracomunitari.
108
Il mercato della prostituzione resta nella
realtà internazionale una forma di attività commerciale in continua evoluzione, flessibile, rapidamente mutabile. Naturalmente come in tutti i
settori di servizi informali di carattere privato (la
prostituzione libera è alla fine un contratto privato tra due persone che stabiliscono che in
quel luogo e in quel momento avviene uno
scambio accordato tra i due soggetti: certi tipi di
servizi sessuali in cambio di denaro) la prostituzione è fonte di reddito e di sopravvivenza per
tutta quella popolazione che emigra dal proprio
paese alla ricerca di risorse economiche e sociali nei paesi più ricchi. La prostituzione quindi
diventa anche un termometro sociale, un catalizzatore e indicatore di cambiamenti economici
e sociali nel mondo, di idee, costumi, relazioni
umane e modi di comunicazione.
Infine, storicamente, i cambiamenti all’interno
del sistema prostituzionale sono sempre più
rapidi dei cambiamenti politici o ideologici sulla
prostituzione. Questi ultimi in qualche modo
rincorrono sempre le reali trasformazioni e le
nuove forme del fenomeno o cercano di riposizionarsi rispetto ai soggetti nuovi all’interno
della prostituzione, come in questo momento
sta succedendo verso le prostitute immigrate
che ugualmente o vengono viste come vittime
schiavizzate e sfruttate, o come vittime della
povertà o semplicemente come soggetti sovversivi e “illegali” da scacciare.
Considerando che la prostituzione oggi è
strutturalmente un fenomeno internazionale
nella popolazione, nei circuiti e nella sua organizzazione (e in questo momento non mi riferisco alla rete organizzata dei trafficanti, ma alle
“multinazionali dell’industria sessuale”, formate
109
da estese reti di persone che hanno grossi interessi commerciali nel settore dell’industria del
sesso) e considerando altresì che la mobilità
delle prostitute migranti è sempre più in
aumento al pari delle reti transnazionali, e che
questi fatti e cambiamenti ancora una volta
rispecchiano o sono la conseguenza di relazioni
socio-economiche nel mondo (di classe, di
genere, comunque effetti della globalizzazione), è estremamente limitativo in questo
momento storico pensare a dei cambiamenti
nelle politiche prostituzionali o nei sistemi prostituzionali a solo carattere locale o nazionale.
Questa sarebbe una illusione di governabilità di
area geografica (la propria città, il proprio centro storico o la propria regione), così limitata
come l’utopia regolamentarista di governo e
controllo statale della prostituzione, o l’utopia
abolizionista secondo cui la politica delle buone
intenzioni è sufficiente ad eliminare o prevenire
la prostituzione.
Oltre quindi a una dimensione europea e
internazionale nella discussione e nello sviluppo di linee comuni nelle politiche prostituzionali, e alla necessità di un approccio interdisciplinare delle politiche di intervento, è anche
importante che a livello nazionale si rivedano i
sistemi prostituzionali e soprattutto si abbandoni il paradigma passato che vede il diritto penale come il principale strumento di intervento
verso la prostituzione.
La revisione di questi sistemi può anche portare alla decriminalizzazione della prostituzione
per una maggiore efficacia e chiarezza del diritto penale per i reali reati di sfruttamento della
prostituzione altrui e della prostituzione coatta.
Insomma creare una chiara linea demarcatrice
110
tra gli atti di criminalità reale, di violenza, abuso
e ricatto nella prostituzione e ciò che invece
non lo è (ad esempio le forme di organizzazione del lavoro o certi aspetti commerciali dell’organizzazione del lavoro, come per quanto
riguarda la prostituzione in appartamenti o altre
modalità al chiuso).
Questa chiarezza di definizione serve appunto ad avere realmente strumenti giuridici più
efficaci per proteggere le prostitute da situazioni di sfruttamento e dipendenza e per creare
una possibilità di normalizzazione della prostituzione all’interno della società.
*Licia Brussa è coordinatrice europea e per l’Olanda
del progetto TAMPEP dal 1993, da 15 anni è impegnata
in attività di studio e ricerca e nell’elaborazione ed
attuazione di programmi ed iniziative a livello internazionale nell’ambito della prostituzione migrante.
Nel 1991 ha lavorato per il Consiglio d’Europa al
Seminario sulla lotta contro la tratta delle donne e la
prostituzione forzata come violazione dei diritti e della
dignità umana organizzato dal Comitato Europeo per
le Pari Opportunità.
È inoltre consulente per diverse agenzie internazionali, tra cui il Gruppo di lavoro sulle forme contemporanee di schiavitù presso le Nazioni Unite e l’OMS U.N. AIDS a Ginevra.
111
112
Gli interventi
Vincenzo Castelli
A
ffrontare il tema delle azioni possibili da
attivare, (a partire da quelle già sperimentate e
messe in campo) nell’ambito della prostituzione, è certamente complesso.
Infatti la concezione teoretico-filosofica attorno al fenomeno “prostituzione”, il suo impatto
con il contesto sociale, le sue ricadute politiche
e rappresentative determinano atteggiamenti,
posizioni, stigmatizzazioni, elaborazioni con
conseguenti strategie d’intervento e pratiche
sociali ben marcate e definite.
Vanno pertanto a coesistere modelli, metodologie, strategie e modalità di intervento differenti ed, in alcuni casi, contrapposti.
Diventa difficile allora muoversi in questi
meandri poliedrici ed offrire alcuni modelli di
azioni strutturate ed armoniche.
Pur con tutti i limiti rappresentati dall’incasellare in alcuni filoni un’area di intervento sociale
relativamente giovane ed in evoluzione quale il
lavoro nell’ambito della prostituzione, credo si
possano individuare alcuni modelli di orientamento (diversificati appunto per le prassi di
intervento, i riferimenti teorici, gli obiettivi, la
formazione degli operatori) che sembrano ispirare le diverse epistemologie e pratiche sociali.
Proviamo a costruire tali azioni a partire da
alcuni indicatori di riferimento:
113
1. IL MODELLO DI RIFERIMENTO.
Intendiamo con ciò la concezione originaria
che si ha del fenomeno “prostituzione”, l’elaborazione agita, i sistemi-lettori da cui si guarda il
mondo della prostituzione.
2. GLI OBIETTIVI
Intendiamo definire quali siano le finalità
delle azioni.
3. LE AZIONI TIPO
Intendiamo articolare un modello tipo in
grado di presentarsi nella sua consistenza di
prototipo: un intervento consolidato, sostenibile
e ripetibile.
La griglia che proponiamo, di seguito, cerca
pertanto di indicare quali siano le azioni agite o
agibili rispetto alla “perturbazione” attivata dal
fenomeno della prostituzione di strada.
Presenteremo in tal senso n.11 azioni tipo,
che pensiamo possano dare un’idea, pur se
compressa, delle possibili iniziative avviabili nel
settore.
Tale descrizione offre modelli schematici (che
poi saranno sviluppati nella seconda parte
all’interno del capitolo sulla progettazione):
alcuni correlati ed armonici, altri diversificati ed
antitetici, spesso in contrapposizione tra loro.
Non è nostra intenzione (non è questo certamente l’ambito più adatto) di dare un giudizio
di valore e di validazione dell’uno piuttosto che
dell’altro modello.
Vogliamo solo offrire un spaccato sufficientemente ampio delle azioni possibili nell’ambito
della prostituzione di strada.
114
Modello
PREVENZIONE SANITARIA.
di
Tale modello, avviato in
riferimento Europa in particolare dalle reti
EUROPAP e TAMPEP, ritiene
significativo un intervento, verso
il target delle prostitute di strada,
centrato su azioni di prevenzione
sanitaria.
Tale modello, lungi dall’essere
etichettato come univocamente
sanitario, permette ovviamente di
poter lavorare, in maniera positiva, con il target di strada.
Obiettivi
- Diffusione di informazioni sanitarie mirate al cambiamento dei
comportamenti relativi alla prevenzione e alla profilassi igienico-sanitaria.
- Creazione di contatti e dinamiche relazionali con il target.
- Garantire la fruibilità da parte
del target del diritto alla salute e
facilitare l’accesso ai servizi sanitari.
Azione tipo - Diffusione di informazioni nelle
varie lingue del target relative
soprattutto alla prevenzione da
HIV e delle Malattie a
Trasmissione Sessuale.
- Accoglienza della domanda di
cura sanitaria del target.
- Accompagnamento del target ai
servizi.
115
Modello
LAVORO DI STRADA E RIDUZIONE
di
DEL DANNO
riferimento Tale modello, riferito in genere
ad altri target (ad es. tossicodipendenti), viene applicato anche
al mondo della prostituzione di
strada.
Tale orientamento è mossoprevalentemente dall’urgenza di offrire
azioni che riducano il rischio.
Parole d’ordine di tale approccio
risultano essere la limitazione o
la riduzione del danno ed il concetto di rischio.
Obiettivi
- Avvicinare il mondo della strada
al mondo dei servizi per migliorare le condizioni di vita del target e ridurre i rischi.
- Attivare un’analisi dinamica
della distribuzione del fenomeno
della prostituzione di strada,
della composizione del target e
della sua mobilità.
- Avviare un lavoro di osservazione, mappatura, approccio,
costruzione e stabilizzazione di
relazioni significative con il target.
- Avviare una integrazione con la
rete dei servizi ed i soggetti sociali del territorio in cui si opera.
- Raccordo con osservatori territoriali, provinciali, regionali e
nazionali.
Azione tipo - Analisi di rilevazione primordiale sul fenomeno della prostituzione presente sulla strada.
116
Rilevarne i flussi, le mobilità, le
correlazioni.
- Catalogazione delle progettualità, delle azioni, dei servizi, delle
procedure agite verso tale target.
- Attivazione di unità di strada
(con presenza di educatori/educatrici, mediatrici culturali, educatrici pari).
- Avvio di un lavoro di contatto e
di relazione con il target mediante azioni diversificate (adeguamento dell’unità mobile utilizzata
per le uscite di strada, quale spazio di scambio immediato ed itinerante, creazione di un “Drop in
center”, quale spazio di incontro
tra operatori di strada e target).
- Raccordo con gli interventi di
accoglienza per l’uscita da situazioni di prostituzione forzata.
- Realizzazione e aggiornamento
di mappe territoriali.
- Report del lavoro dell’unità di
strada su contatti e bisogni del
target.
Modello
GRUPPI DI AUTO-AIUTO
di
Tale modello nasce dal filone
riferimento di intervento sociale denominato
“self-help”.
Si tratta di dare una forte valorizzazione al ruolo che può avere
un gruppo sociale che, a partire
da alcuni problemi convissuti,
può attivare un sistema di aiuto,
117
di condivisione, di superamento
dei problemi all’interno del gruppo stesso o attraverso alcuni
membri del gruppo (ad esempio
la figura degli operatori pari)
Obiettivi
- Possibilità di conoscenza del
fenomeno della prostituzione a
partire da attori sociali competenti appartenenti al target.
- Attivazione di interventi adeguati e significativi in grado di
cogliere la domanda del target e
di dare risposte conseguenti.
- Inserimento nell’ambito del
lavoro sociale di operatrici pari in
grado di attivare una costante
azione di contatto e di mediazione sociale.
Azione tipo - Creazione di un modello di
intervento in cui possa inserirsi la
figura dell’operatrice pari (come
coinvolgere - chi coinvolgere per quale lavoro - con quali vincoli).
- Creazione di un modello formativo per potenziali operatrici pari.
- Inserimento della figura dell’operatrice pari nell’unità di strada.
- Attivazione di interventi specifici di contatto e di relazione con il
target mediante la figura dell’operatrice pari.
Modello
ACCOGLIENZA E PRESA IN CARICO
di
Tale modello nasce a partire
riferimento dalla forte emersione del feno118
meno della tratta, dello sfruttamento a fini sessuali.
A fronte di questa situazione è
stato attivato un modello di “uscita”, di presa in carico, di accoglienza di ragazze prostitute o
prostituite che chiedono un aiuto
per sfuggire al racket ed agli
sfruttatori.
Tale modello è stato costruito ed
avviato in particolare all’interno
del mondo cattolico (Caritas
Italiana, Comunità Papa Giovanni
XXIII) ed altresì all’interno dei
movimenti di tutela delle donne.
Obiettivi
- Analisi del fenomeno della tratta
e dello sfruttamento presente nel
territorio.
- Definizione della tipologia della
persona prostituita.
- Creazione di una rete di risorse
(per l’accoglienza, la presa in
carico, la socializzazione).
- Particolare attenzione al mondo
dei protettori e al loro coinvolgimento nel fenomeno della criminalità organizzata.
- Raccordo con le reti di tutela e
di sicurezza (Forze dell’Ordine Questure - Tribunali).
Azione tipo - Organizzazione di un’equipe di
pronta accoglienza per contattare, accompagnare, inserire ragazze prostitute in uno spazio di
accoglienza riservato e tutelato.
- Creazione di una rete di spazi
diversificati per l’accoglienza.
119
-Definizione e creazione di una
rete di risorse (medici, avvocati,
psicologi, assistenti sociali...).
- Creazione di un gruppo di lavoro tecnico-gestionale in grado di
dare risposte ad alcune emergenze (permessi di soggiorno, documenti, rapporti istituzionali, rapporti di lavoro).
- Definizione di rapporti bilaterali
costanti con realtà positive e
significative dei paesi di origine
delle ragazze accolte.
Modello
FORMAZIONE PROFESSIONALE
di
ED INSERIMENTO LAVORATIVO
riferimento Tale modello nasce dalla consapevolezza di dover attivare, p e r
le ragazze prostitute, percorsi di
autonomia progressiva e di alternativa al lavoro sulla strada. La
formazione professionale può
essere un primo passo per acquisire capacità e competenze spendibili nel mercato del lavoro italiano. L’inserimento lavorativo
rappresenta il punto di arrivo di
tale processo di autonomia.
Obiettivi
- Permettere l’avvio di un processo di normalizzazione personale
della ragazza prostituta.
- Attivare l’acquisizione di capacità e competenze per un inserimento professionale nel mercato
del lavoro italiano.
- Individuare la tipologia del pos120
sibile settore di inserimento lavorativo a partire dalle attitudini e
capacità espresse dalle ragazze
nell’itinerario formativo.
- Creare, nella ragazza uscita
dalla prostituzione, una cultura
dell’inserimento lavorativo come
tappa fondamentale di un processo di autonomia personale.
- Attivare un percorso strategico
di modalità progressive e differenziate di inserimenti lavorativi
(ergoterapia, tirocinio in azienda,
stages aziendali, borse lavoro,
apprendistato, part-time).
Azione tipo - Creazione di un’equipe capace
e competente nella progettazione
di interventi formativi (a livello
regionale, nazionale ed europeo), e nel reperimento di fondi
e risorse economiche per avviare
sperimentazioni formative e per
individuare misure di sostegno
(borse lavoro, salario d’ingresso
garantito per un tempo definito,
trasporto e mensa fruibili, servizio di kinderheim...) in grado di
permettere un inserimento “possibile” delle ragazze nel mondo
del lavoro.
- Analisi del mercato del lavoro
locale ed individuazione delle
nicchie di mercato compatibili e
fruibili dalle ragazze.
- Creazione di uno sportello di
negoziazione sociale (con Ufficio
Provinciale del Lavoro, Agenzie
121
per l’Impiego, Associazioni di
Categoria...) e di informazione
sulle occasioni di lavoro presenti
sul territorio. Tale sportello deve
curare in maniera particolare le
nicchie di mercato cosiddette
“invisibili” (servizi alle persone,
assistenza domiciliare, lavori stagionali...) che molto spesso risultano interessanti per le ragazze
stesse.
- Creazione di una rete di
imprenditori in grado di supportare il percorso di inserimento
lavorativo.
Modello
ZONING
di
Questo modello nasce dalla
riferimento necessità (valutata tale per alcuni) di concentrare in una determinata e circoscritta “zona” del territorio e della città la presenza
della prostituzione di strada.
Questo modello è stato sperimentato in particolar modo nelle
città e in territori del Nord Europa
(in particolare in Olanda, Belgio
e Germania) con la creazione dei
famosi “quartieri a luci rosse”
(vedasi il “Modello Amsterdam”).
Oggi questo modello di zonizzazione, molto dibattuto e controverso, è di fatto presente (creato
a volte dallo stesso target) in
alcuni territori e città anche italiane.
122
Obiettivi
- Contenere e delimitare, in termini di politica urbana, un fenomeno, come quello della prostituzione di strada, in genere frammentato e disseminato sull’intero
territorio urbano.
- Attivare una politica di cittadinanza che permetta la riduzione
della protesta popolare.
- Determinare una riduzione del
senso di insicurezza sociale che è
spesso presente (in alcuni casi
anche realmente tangibile e visibile) nei quartieri dove è presente il fenomeno della prostituzione
di strada.
Garantire alle donne che si prostituiscono maggiore tutela sociale, garanzia ed offerta di servizi
(sanitari, abitativi, strutturali...).
Azione tipo - Analisi e ricerca-intervento sul
fenomeno della prostituzione di
strada su un determinato territorio o città.
- Individuazione dei flussi, della
mobilità, della penetrazione territoriale del fenomeno.
- Individuazione della divisione
già presente all’interno del target:
per etnia (ad esempio tra italiane
ed extracomunitarie o tra extracomunitarie ad esempio tra albanesi, nigeriane e russe); per sesso
(ad esempio tra donne e transessuali).
- Individuazione di un’area territoriale compatibile (occorre ovvia123
mente definire gli indicatori di
compatibilità; ad esempio: assenza di punti critici rilevanti, zona
demarcata e definita, zona sufficientemente decentrata, zona non
isolata, zona con servizi fruibili,
rete stradale praticabile, arredo
urbano presente...) per tale sperimentazione di “zonizzazione”.
- Attivazione di strategie di connessione per avviare questa esperienza (lavoro sul target, lavoro
sul contesto strutturale dei servizi
e dell’arredo urbano, lavoro di
comunità con i cittadini...).
Modello
INTERVENTO DI COMUNITÀ
di
Tale modello è legato alla trariferimento dizione ed ai riferimenti della psicologia di comunità e che vede il
luogo e l’azione nella strada
come parte di un processo di sviluppo complessivo della comunità locale, volto all’assunzione
(modello “Community care”) da
parte dei cittadini dei problemi e
delle soluzioni legate alla sicurezza sociale, alla vivibilità delle
aree urbane ed al senso di appartenenza, di partecipazione e di
cambiamento in una comunità.
Tale filone è molto critico rispetto
a modelli di tipo repressivo e
riparatorio. Infatti qui viene data
la centralità al concetto di
“empowerment”.
124
Obiettivi
- Creazione di una comunità
locale in grado di cogliere e agire
su: “invarianze” strutturali presenti nel proprio territorio, i
modelli di rappresentazione
sociale, i rapporti causa-effetto, i
target forti e i target deboli, la
gestione del potere, la pressione
dei gruppi sociali, il ruolo delle
minoranze attive, i rapporti tra
bisogni, risorse e servizi, la capacità di armonizzare domanda
sociale ed offerta sociale.
- Creazione di una comunità
competente in grado di elaborare
processi di mediazione dei conflitti sociali che si manifestano
attorno al fenomeno della prostituzione.
Azione tipo - Elaborazione di un modello di
formazione per operatori di
comunità e di mediazione sociale
in grado di poter offrire ai propri
territori in seno alle proprie
comunità locali una referenzialità
ed un accompagnamento costante nell’azione di empowerment
sociale.
- Attivare un “osservatorio di
comunità” in grado di rilevare, in
tempi costanti e definiti, l’evoluzione dei fenomeni “perturbativi”, la loro persistenza nel tempo,
le “invarianze” fenomeniche, l’evoluzione delle rappresentazioni
sociali nella comunità.
- Elaborazione di uno spazio di
125
confronto costante nella comunità territoriale tra i soggetti della
prostituzione, i servizi, i cittadini
e le cittadine.
- Interventi specifici sulla rappresentazione sociale del fenomeno
della prostituzione di strada nel
territorio.
- Interventi di comunicazione
sociale rivolti in particolare ai
clienti.
Modello
AZIONE DI NETWORK
di
Tale modello nasce all’interno
riferimento della valorizzazione delle reti
come processo di sviluppo del
contesto sociale. In particolare
tale modello trae origine all’interno della “network analisys” (di
derivazione sociologica) che
vede nel modello delle reti una
grande risorsa per avviare processi di cambiamento sociale.
Obiettivi
- Definizione del ruolo, delle
potenzialità, delle interrelazioni,
dell’incidenza delle organizzazioni sociali nell’intervento sulla
prostituzione.
- Creazione, all’interno delle reti,
di una cultura di approccio al
fenomeno della prostituzione di
strada.
- Creazione delle modalità di raccordo ed integrazione dell’azione
locale con quella regionale,
nazionale ed europea.
126
- Creazione di un sistema di raccordo ed integrazione delle
diverse azioni intraprese nella
città nell’ambito della prostituzione.
- Integrazione delle diverse tipologie di intervento.
Azione tipo - Attivazione di un censimento
analitico sulle organizzazioni
sociali che operano nel campo
della prostituzione, sui progetti
specifici da esse avviati, sulle
diverse modalità di intervento da
esse agite, sulle loro modalità di
comunicazione.
- Creazione di una banca dati
fruibile che sia in grado di offrire
schede analitiche sulle organizzazioni sociali (nelle modalità sopra
esposte).
- Creazione di un modello di formazione a distanza che permetta
un processo di formazione continua tra le organizzazioni sociali
operanti nel settore. Tale sistema
potrebbe avviare uno spazio telematico di informazione e di
scambio tra organizzazioni attivando un sito Internet e creando
pagine Web.
- Avvio di percorsi formativi in
grado di offrire alle organizzazioni capacità e competenze congrue, unitamente ad un minimo
comune denominatore per un
intervento integrato nell’ambito
della prostituzione.
127
- Organizzazione di seminari di
scambio e di confronto con le
realtà regionali, nazionali ed
europee che lavorano nel campo.
Modello
AZIONI CON I PAESI D’ORIGINE
di
Tale modello cerca di dare
riferimento una lettura del fenomeno della
prostituzione non in maniera univocamente sintomatica (il fenomeno della prostituzione che si
vede nelle nostre città) ma cercando di cogliere anche i nessi
causali (il perché di questo lavoro, il retroterra personale e contestuale delle ragazze).
Per fare questo diventa fondamentale il rapporto diretto e
costante con i paesi d’origine
delle ragazze .
Pur se non facile tale raccordo
permette di cogliere molti elementi significativi in grado di
offrire maggiori chances alle
ragazze stesse.
Obiettivi
- Cercare di cogliere il retroterra
contestuale (situazione socioeconomica, concezioni sociali e
culturali, atteggiamenti e comportamenti, vincoli, lingua...) dei
paesi d’origine delle ragazze che
arrivano in Italia per prostituirsi.
- Creazione di un rapporto interfacciale correlato tra paese d’origine della ragazza e paese di
esercizio della prostituzione.
128
- Creare le premesse per avviare
nei paesi d’origine azioni pilota
in grado di non permettere progressivamente l’abbandono
endemico del proprio paese
verso facili mete (paesi occidentali) e di verificare le possibilità di
un progressivo rientro “soft” delle
ragazze già emigrate.
Azione tipo - Attivazione di una analisi strutturale (condizioni socio-economiche, legislazione sociale presente, forze politiche e sociali
contattabili, modalità comunicative...) sui paesi d’origine delle
ragazze emigrate in Italia per
esercitare la prostituzione.
- Attivazione di un censimento
analitico sulle organizzazioni non
governative (ONG) che operano
in tali paesi d’origine, sui progetti
specifici da esse avviati, sulle
diverse modalità di intervento da
esse agite, sulle loro modalità di
comunicazione.
- Creazione di una banca dati
fruibile che sia in grado di offrire
schede analitiche sulle organizzazioni non governative (nelle
modalità sopra esposte).Tale
banca dati potrebbe offrire altresì
informazioni, mappe, indirizzi,
istituzioni presenti nel paese d’origine.
- Organizzazione di seminari di
scambio e di confronto con le
realtà regionali, nazionali ed
129
europee che lavorano nel campo.
- Creazione di un rapporto di partenariato costante tra gli attori
(attivazione di progetti finanziati
dall’Unione Europea).
Modello
CONTROLLO SOCIALE
di
E REPRESSIONE
riferimento Tale modello fonda la sua concezione sulla necessità di garantire
l’ordine pubblico messo in crisi
dal target ed in particolare utilizzando strumenti di controllo
sociale e di repressione.
Obiettivi
- Garantire il controllo dell’ordine
pubblico, da parte delle forze
dell’ordine (polizia e carabinieri)
in particolare nelle aree dove
viene esercitata la prostituzione
di strada.
- Garantire la sicurezza dei cittadini che chiedono maggiori
forme “visibili” (controllo e
repressione) di presenza delle
forze dell’ordine.
- Esercitare una forma di dissuasione della presenza del target
sulla strada.
Azione tipo - Controllo dei documenti e “stato
di fermo” delle prostitute
- Applicazione del divieto di
sosta sulle strade dove lavorano
prostitute.
- Controllo delle targhe dei clienti
ed invio di tale segnalazione alla
famiglia (azione dissuasiva).
130
- Controllo della flagranza dell’atto prostitutivo e sequestro dell’automezzo come corpo di reato.
Modello
AUTARCHIA POPOLARE
di
Questo modello nasce dall’eriferimento mergere del “discontent” (concetto traducibile in maniera non
altrettanto efficace con malcontento o discontento). La percezione di malcontento di molti cittadini per il fatto di veder vanificate
tutte le possibili strategie (delle
Forze dell’ordine, dei progetti
delle città, degli interventi del privato sociale...) di superamento
del disagio provocato nel territorio dalla presenza di prostitute di
strada attiva, motiva, veicola o
aggrega fenomeni di xenofobia,
di auto-legittimazione, di controllo popolare del territorio.
Obiettivi
Attivare una messa in crisi delle
istituzioni pubbliche e delle organizzazioni private, ritenute incapaci di arginare il fenomeno della
prostituzione di strada e i cui
mezzi sono considerati non idonei ed inefficaci.
- Provare a rimuovere, con un’azione di forza popolare (autarchica), il disagio (vero o presunto,
reale o rappresentato, dedotto o
indotto) determinato dal fenomeno della prostituzione (con tutti i
suoi indotti: visibilità oscena,
131
aumento della pericolosità del
territorio, occupazione di spazi
privati con atti osceni e disseminazione di profilattici utilizzati,
atti di violenza e di criminalità...).
Azione tipo - Azioni di “discontent” pubbliche (utilizzando i mass media, i
luoghi istituzionali, le sedi private).
- Azioni “simboliche” di dissenso
pubblico (occupazione di strade
e luoghi pubblici per porre il problema, fiaccolate e marce di protesta...).
- Azioni di controllo del territorio
(creazione di gruppi di vigilantes
di auto-tutela della comunità
locale, azioni di disturbo nei confronti del target, azioni di dissuasione dei clienti mediante sbarramento di spazi appartati e annotazione della targa dell’automezzo del cliente...).
132
GLI ATTORI
IL TARGET
LE ISTITUZIONI PUBBLICHE
IL PRIVATO SOCIALE
133
134
Il target
Carla Corso*
P
rima di gettare uno sguardo sul mondo
della prostituzione e descrivere i vari gruppi
etnici che hanno invaso pacificamente il nostro
paese, credo che bisogna fare un passo indietro
e capire perché è successo tutto questo.
Durante gli anni ottanta è stata messa in atto
in tutta Italia una sistematica e costante repressione con l’unico scopo di costringere le prostitute a ritirarsi nelle proprie case o scegliersi dei
piccoli appartamenti dove poter lavorare.
L’obiettivo è stato quello di ripulire le strade e
non si è previsto minimamente che da lì a poco
una massiccia immigrazione avrebbe provveduto a colmare il vuoto creatosi.
Forse più corretto sarebbe parlare di esodo sia
per il gran numero delle donne coinvolte, sia
per la ragione della loro fuga, sia infine, per la
modalità del suo coinvolgimento.
A guardare le aree di provenienza è fin troppo facile indicarne le cause più immediate ed
ovvie nella fame, nella mancanza di lavoro,
nelle guerre interetniche e tribali, nell’implosione di fragili imperi, nelle crisi cicliche indotte
dalle più feroci politiche neoliberiste, ecc. ecc.
Resta il fatto che per migliaia e migliaia, forse
milioni di donne e di uomini in fuga, prevalentemente giovani, mediamente acculturati,
l’Occidente ha significato e continua a significare la terra promessa e non necessariamente col
135
carico di aspettative e di ragioni che segnarono
fenomeni solo all’apparenza simili tra l’otto e il
novecento o negli anni trenta e cinquanta di
questo secolo.
È la qualità del soggetto migrante a fare la differenza.
Così ad esempio, se continua ad essere vero
che la molla che spinge le donne ad intraprendere viaggi disperati dall’Est o dall’Africa,
dall’America Latina o dall’Estremo Oriente è il
denaro, è altrettanto vero che la posta in gioco
è una vita godibile, non soltanto migliore.
E ciò può essere a partire da una ricchezza
latente, da una esuberanza di potenzialità e di
possibilità in grado di rendere reversibile la propria condizione di partenza.
Veramente il denaro, in questa prospettiva,
diventa mezzo di emancipazione e di liberazione!
Negli anni ottanta le prime ad arrivare in Italia
direttamente dall’America Latina (Brasile,
Colombia, ecc.) sono state le transessuali seguite, subito dopo dalle donne (peruviane, messicane, ecc.).
Le poche italiane rimaste sulle strade sono
state costrette a ritirarsi in casa dai modi a volte
aggressivi delle transessuali italiane e straniere
che, con la loro presenza, hanno di fatto modificato l’offerta del mercato abbassandone i prezzi.
A sancire questo passaggio è stata l’invasione
pacifica delle nostre strade di prostitute latinoamericane e del Sud Est asiatico.
Sono loro che hanno soddisfatto la forte
domanda di prostituzione a basso costo.
Quasi sempre adulte, sono arrivate in Italia
con un matrimonio alle spalle, molte bocche da
136
sfamare e, soprattutto, con i mariti trasformati
per l’occasione in veri e propri protettori.
Giunte in Italia con visti di turismo, entrano
in clandestinità alla loro scadenza. Con la stessa
procedura arrivano anche le donne del Sud Est
asiatico.
Il loro iter è così scandito: arruolamento in
locali notturni con regolari contratti di lavoratrici dello spettacolo oppure lavoratrici in nero
negli stessi locali.
Alla scadenza del permesso di soggiorno
entrano in clandestinità. Sono preferite ad altre
di altre nazionalità perché più miti e sottomesse
e quindi più facili da gestire da parte dei padroni dei locali che le trasferiscono da un posto
all’altro, da una città all’altra secondo le richieste.
È questa mobilità anche territoriale ad impedire rapporti e relazioni significative.
Alla fine degli anni ottanta arrivano le prime
africane, quasi tutte dalla Nigeria, sempre con
visto di turismo pagato a caro prezzo.
La loro immigrazione è gestita e controllata
da organizzazioni che, oltre al visto, procurano
il biglietto aereo, un po’ di spiccioli per i primi
giorni e un nominativo in Italia, quasi sempre
una donna nigeriana che si incaricherà di
riscuotere il debito al quale molto spesso si
aggiunge quello che la famiglia delle ragazze ha
contratto in Nigeria.
Così la cifra da restituire diventa enorme, di
svariati milioni di lire.
Una volta saldato il debito, la ragazza è libera
di lavorare per se stessa se nel frattempo non si
è legata a qualche connazionale che la sfrutta.
Le condizioni di vita di tutte queste donne
sono inaccettabili per un paese civile; molto
137
spesso vivono in case super affollate, quando
non occupano vecchi casolari abbandonati.
Solo le più fortunate abitano in qualche pensione di infimo ordine. Si alimentano poco e male,
fanno fatica ad abituarsi al nostro cibo, non riescono però a mantenere le loro abitudini alimentari.
Passano la metà delle loro giornate in treno,
dormendo e mangiando per raggiungere i sempre più lontani luoghi di lavoro nella speranza
di trovare denaro in un mercato ormai saturo.
Il fenomeno delle donne provenienti dall’Est
europeo e dall’Albania è più recente, risale
infatti all’inizio degli anni ‘90.
Le prime ad arrivare sono state le donne della
ex-Jugoslavia spinte dalla paura della guerra e
dalla fame. Non bisogna però dimenticare che
già conoscevano la generosità dei nostri uomini.
Per molti anni infatti la Jugoslavia è stata in
testa come meta di turismo sessuale a basso
costo.
Queste donne attraversano consapevolmente
il confine di notte, quindi entrano subito in
clandestinità.
Sono organizzate da trafficanti che le sfrutteranno per tutto il tempo che rimarranno nella
prostituzione; solo poche riescono a liberarsi o
vengono abbandonate dagli stessi sfruttatori
perché non garantiscono abbastanza denaro.
Per le donne della ex Unione Sovietica l’iter è
pressoché simile.
Alcune entrano clandestinamente, molte arrivano a bordo di autobus con brevi permessi di
soggiorno per turismo; sono consapevoli che
entreranno a far parte del mercato della prostituzione e stipulano dei veri e propri contratti
con gli organizzatori del traffico.
138
Solo se libere dai vincoli contrattuali, possono lavorare per se stesse.
Un capitolo a parte meritano le albanesi,
quasi mai consapevoli di venire a fare le prostitute. Molto spesso sono cedute dalle famiglie in
cambio di denaro; alcune vengono rastrellate
nei più isolati paesi dell’interno con la promessa
di un lavoro, altre vengono spinte da mariti e
fidanzati con la promessa di un matrimonio
appena messo da parte un gruzzolo per comprare casa e beni di consumo.
Le albanesi, in particolare, sono sempre più
giovani, proprio per soddisfare una richiesta
pressante degli uomini che pensano così di non
contrarre malattie.
Consapevoli o no, sulle spalle di queste
donne pesano i costi delle vite di molti, infatti
esse sono una risorsa per le famiglie di origine e
per le rimesse in denaro che fanno nei loro
paesi di origine. Nel loro percorso di emancipazione contribuiscono allo sviluppo dei loro
paesi.
* Carla Corso è fondatrice e presidente del Comitato
per i Diritti Civili delle Prostitute, esperta sulla questione prostituzione sulla quale ha relazionato a conferenze internazionali organizzate da Enti politici e culturali
quali Università e Parlamenti. Ricercatrice e consulente
sui temi della salute delle donne prostitute, attualmente
collabora al coordinamento dei progetti europei
EUROPAP e TAMPEP e al progetto “Città e prostituzione” del Comune di Venezia. Con Sandra Landi ha pubblicato i libri “Ritratto a tinte forti” ed. Giunti e “Quanto
vuoi” ed. Giunti in press.
139
140
Le istituzioni pubbliche
Vincenzo Castelli
Premessa
D
escrivere gli interventi realizzati nell’ambito della prostituzione da parte dei servizi e delle
pubbliche istituzioni potrebbe essere, a prima
vista e ad un occhio superficiale, un esercizio
abbastanza semplice. Potrebbe bastare prendere atto dell’inesistenza di servizi, delle assenze,
delle situazioni di impotenza, delle mancanze e
dei silenzi, delle responsabilità disattese e delle
politiche sociali inadeguate di fronte ad un
fenomeno emergente e complesso come quello
della prostituzione, su cui le istituzioni sono
chiamate a rispondere in termini diversificati
(sicurezza pubblica, malessere e devianza
sociale, offerta di prevenzione sanitaria, proposte di percorsi di uscita ...).
Ma riteniamo che lo stereotipo del “muro del
pianto” non è funzionale, né sensato.
Vanno invece avviate alcune riflessioni che ci
permettano di capire tanti ritardi, cogliere i nodi
problematici, dal punto di vista strutturale, delle
azioni “negate” valorizzando i primi innovativi
interventi, faticosamente attivati, dalle pubbliche istituzioni.
La costruzione delle politiche sociali da parte delle
pubbliche istituzioni
Proviamo allora dapprima a comprendere i
141
sistemi e gli elementi che determinano la
costruzione delle politiche sociali all’interno
degli enti pubblici cercando di coglierne le
maschere, le manipolazioni, gli indicatori di
senso, in definitiva il percorso elaborativo.
1. Molte volte un Ente pubblico costruisce una
politica sociale territoriale a partire da un “sintomo” o dalla paura che esso ci sia, da manifestazioni esterne dello “star male” o della “o-scenità”. Solo davanti a fenomenologie più o meno
complesse si decide di promuovere processi
progettuali. Tali sintomi sono sempre più letti in
forme stigmatizzate, a partire da sistemi-lettori
definiti ed autoreferenziali, isolati dal contesto
vitale in cui detti sintomi hanno preso consistenza. Alla fine di questo sentiero viene colto il
disagio, quasi come un insieme di sintomi, dato
dalla casualità piuttosto che da un processo causale, su cui l’azione progettuale si deve, per
prima, misurare. Occorre, superando il sintomo,
ricollocare allora la progettualità delle politiche
sociali a partire da processi di normalità. È infatti
a partire dalla normalità che si attivano percorsi
di differenza, dapprima, e di diversità poi, di
disagio e di emarginazione, di devianza infine.
Ciò significa ricomprendere le cause degli atteggiamenti marginali ricogliendo il sintomo come
indicatore di disagio. Solo nel rapporto causaeffetto si può definire l’alveo e l’ambito dove
nasce il processo marginale: il territorio, paradigma da ri-giocare in termini non fisicistici ma
referenziali, uno spazio che significa e crea
significati nella dialettica relazionale con cui le
persone vi si misurano. Questa unità di misura
territoriale ci fa entrare nella globalità dell’intervento progettuale: il sistema di relazioni.
142
2. Le politiche sociali oggi molto spesso attivano interventi di tipo categoriale, centrati, cioè, sul
singolo target (la prostituta nel nostro caso),
estrapolato dal contesto vitale e dalle trasversalità
strutturali. Quasi che, eliminando una determinata categoria sociale, che crea problemi, sarebbero eliminati i problemi. Occorre andare al di là
della categorizzazione sociale per poter cogliere
il processo complessivo della vivibilità contestuale (la categoria dell’agio) come indicatore centrale del servizio sociale. Parlare di disagio oggi
significa misurarsi con l’insieme delle sofferenze,
entrare dentro il fenomeno della complessità,
spesso irriducibile, non lineare, impredicibile.
Applicare questo concetto sistemico al mondo
della prostituzione significa cominciare a parlare
di differenze di genere, di vita sessuale, di maggioranze sociali forti e minoranze deboli, di tolleranza ed intolleranza, di abuso e violenza...Tutto
ciò é parte integrante, e non accessoria, delle
politiche dei servizi pubblici.
3. Le politiche sociali, in tal senso, e quelle
dei servizi in continuità, sono veicolate attraverso processi di emergenza sociale, determinate
da fattori di occasionalità e vettori di estemporaneità. Tutto ciò significa lavorare per “pezze”
piuttosto che per “vestiti”, per negativo piuttosto che per positivo, per parziale piuttosto che
per globale, per angosce piuttosto che, appunto, per servizi. Occorre allora, in definitiva,
cominciare a concepire la costruzione delle
politiche all’interno di processi globali eliminando “zone franche”, doppie morali, giochi al
rialzo. Questa constatazione permette certamente di cominciare a squarciare il muro dell’approssimazione sociale attraverso una sensa143
ta programmazione strutturale. Ciò rappresenta
un tentativo di inventare, questa volta seriamente, quali siano gli indicatori ed i paradigmi della
politica sociale, che superi le facili scorciatoie e
non proponga intricati labirinti.
4. Quando si parla di creazione di nuove
politiche sociali nei nostri “santuari elaborativi”
(Uffici Ministeriali, Regionali, Comunali...) si è
molto più preoccupati a dare tout court, in
maniera quasi parossistica, risposte, spesso a
“chili”, spesso “precotte”, spesso “scorciatoie”.
La parola d’ordine è fare, che molto spesso
equivale a “far(e) vedere” cosa si dice di fare.
Questa velocizzazione della pratica sociale (oso
azzardare “praticoneria”) rischia di far saltare
processi fondamentali della progettazione e
della programmazione sociale delle politiche
sociali. Non meraviglia pertanto che la risposta
ai problemi spesso diviene (o ridiviene pensando alle ombre lunghe del passato) “assistenza” e
“beneficenza”, vettori involutivi delle politiche
sociali, abbassamento della dignità morale delle
persone e messa in crisi del concetto di diritto
sociale. Spesso questa “risposta assistenziale”
può essere camuffata con nuove parole (prevenzione, cura, inserimento...) e nuovi servizi
(centro di accoglienza, unità di crisi, servizi alla
persona...). Diventa fondamentale allora riaffermare l’esigenza di un sistema globale di progettazione e di programmazione che permetta il
superamento delle dicotomie: pubblico/privato,
sanitario/sociale, professionale/volontario,
nazionale/locale, centro/periferia; che permetta
la creazione di reti (di intervento), in una strategia di cittadinanza, con il passaggio dalla politica assistenziale alla politica dei diritti.
144
Dall’istituzione totale alla “community care” e ritorno: evoluzione ed involuzione dei servizi sociali
Se le politiche sociali fanno fatica a decollare
per i vincoli ed i legami sopra evidenziati vale la
pena provare ora a descrivere alcune linee di
tendenza dell’evoluzione e dell’involuzione dei
servizi sociali in Italia in questo ultimo periodo.
1. Evoluzione o involuzione dei servizi sociali?
I servizi sociali rappresentano l’ambito, lo
spazio-tempo di gestione dei sistemi complessi
(la persona con o senza problemi, irriducibile,
impredicibile, soggettiva, fallimentare...).
Potremmo cogliere una dimensione bifronte
della elaborazione dei servizi sociali: una sorta
di evoluzione/involuzione a partire da alcune
coppie di sistemi-lettori:
- concentrazione/assenza
Grande presenza di servizi in un determinato
contesto, territorio, ambito, settore da una parte
(Cfr. in questa prospettiva la grande concentrazione di servizi nell’ambito della tossicodipendenza, in particolare in alcuni territori e con
alcune modalità determinate) e, dall’altra parte,
mancanza, assenza, deficienza di servizi in altri
contesti, ambiti, settori (Cfr. in questo senso l’assenza quasi totale di servizi per il “pianeta prostituzione”).
- nord /sud
Pur essendoci stati, in questi anni, notevoli
progressi, certamente sono ancora presenti gli
squilibri, nell’attivazione di servizi sociali, tra
nord e sud. Non è un problema soltanto di nord
e sud geografico, ma anche politico, strutturale,
145
formativo, economico.
Ci sono tanti “sud” nell’attivazione di servizi
sociali: la periferia rispetto al centro, le aree
decentrate rispetto alle città metropolitane, un
target rispetto ad un altro...
- sociale/ sanitario
Un altro punto critico, dalla cui ottica leggere
l’evoluzione/involuzione dei servizi sociali, è il
rapporto esistente, nella gestione dei servizi, tra
sociale e sanitario.
È questa infatti una distinzione nominalistica
e priva di senso.
Oggi ritorna con insistenza per motivi esclusivamente economici: mentre infatti il sanitario ha
risorse almeno sufficienti, il sociale ne è pressoché totalmente privo.
- pubblico/privato
Un altro nodo da affrontare è quello del rapporto pubblico/privato. La confusione intorno a
questo rapporto, recentemente, è aumentata e
rischia di inficiare l’evoluzione dei servizi sociali
stessi. In questa prospettiva diventa fondamentale creare regole di compartecipazione integrata in grado di definire ruoli, capacità, competenze, costi.
- professionale/volontario
Un altro nodo riguarda la cosiddetta professionalità invocata a gran voce, ultimamente,
all’interno della gestione dei servizi sociali.
Le competenze sono indispensabili per
affrontare problemi delicati e bisognosi di professionalità.
Del resto il servizio alle persone è una risposta complessa che necessita di adeguata prepa146
razione ma altrettanta motivazione. Ridurre il
tutto a titoli di studio porta a sgradite sorprese:
occorrono anche esperienza, passione, dedizione per affrontare problemi per i quali il coinvolgimento non può essere inteso esclusivamente
come “tecnico”.
- costo/beneficio
Altra variabile da tenere in considerazione è il
rapporto costo/beneficio.
Soprattutto in questo tempo di contrazione
della spesa sociale diventa fondamentale parametrare costantemente i costi derivanti dall’attivazione di servizi sociali ed i relativi benefici
rientranti da tale processo sociale.
Dal Welfare State al Welfare Market
Abbiamo sempre più una sensazione: il fatto
di assistere ad un passaggio radicale dal welfare
state (le politiche dello stato sociale) al welfare
market (con una concezione delle politiche
sociali di tipo “mercantilistico”).
In effetti alcuni indicatori sono inequivocabili:
- Abbiamo una sempre maggiore diminuzione delle risorse finanziarie
- Assistiamo al congelamento delle figure professionali innovative
- Scopriamo un nuovo concetto di solidarietà
(un ritorno alla beneficenza pubblica e patinata)
- C’è, senza alcuna ombra di dubbio, un
nuovo concetto di servizi sociali: il minor male
147
Politiche e servizi sociali nell’ambito della prostituzione
Le politiche ed i servizi sociali attivati dagli
enti pubblici rispetto al fenomeno della prostituzione risentono dei vincoli, dei problemi e dei
limiti sopra evidenziati.
Anzi tali difficoltà si ampliano per la complessità del fenomeno, per il suo impatto nei sistemi
di rappresentazione sociale dei cittadini, per
una serie di implicazioni correlate (problemi di
ordine e di sicurezza urbana, di morale pubblica, di criminalità organizzata, di clandestinità, di
igiene e sanità, di tutela ed accoglienza del target).
1. Per quanto concerne la costruzione delle
politiche sociali nell’ambito della prostituzione
possiamo fare le seguenti considerazioni:
- Il fenomeno della prostituzione extra-comunitaria sta divenendo una vera e propria emergenza sociale sull’intero territorio nazionale. Da
ciò si stanno costruendo alcune politiche nazionali contro il fenomeno della tratta e per la tutela delle ragazze vittime dello sfruttamento a fini
sessuali. Possiamo citare in particolare la Legge
n. 285/97 (Promozione dell’infanzia ed adolescenza) che garantisce l’attivazione di spazi di
accoglienza e di inserimento sociale di ragazze
in difficoltà e la nuova legge quadro sull’immigrazione (che all’art. 16 - disposizioni di carattere umanitario - prevede permessi di soggiorno
per motivi di protezione sociale).
- Per quanto concerne l’avvio di politiche
regionali è da citare l’unica felice esperienza
148
pilota della regione Emilia Romagna
(Assessorato politiche sociali) che ha approvato, nell’anno 1996, un progetto regionale prostituzione, che prevede l’attivazione di un intervento reticolare nell’intera regione con la promozione delle azioni avviate, nell’ambito della
prostituzione, dalle città emiliano-romagnole
(n.10 progetti), offrendo altresì alle stesse un
supporto tecnico-formativo.
- Sulle politiche sociali attivate dalle città, per
l’avvio di progetti nell’ambito della prostituzione, possiamo dire che siamo in una fase a doppia velocità: da una parte ci sono esperienze
molto significative e profondamente innovative
localizzate soltanto in alcune regioni e città del
nord Italia (è il caso della “veterana” esperienza
del comune di Venezia-Mestre e, di seguito, i
progetti delle città Emiliano Romagnole quali
Piacenza, Reggio Emilia, Modena, Ferrara,
Bologna, Imola, Cesena, Ravenna e Rimini,
alcune azioni attivate nella città di Torino e
nella città di Roma con fondi della Regione
Lazio e della Provincia di Roma), dall’altra assistiamo ad azioni, sporadiche ed occasionali per
la verità, incentrate particolarmente sul controllo del territorio, sulla repressione del fenomeno
deviante, sul contenimento del malcontento
popolare di fronte alla presenza della prostituzione di strada.
- Il dibattito politico sul fenomeno è anche
presente all’interno delle reti delle città, avviate
in questi ultimi anni. In particolare alcune reti
sono veri e propri laboratori di sperimentazioni
sociali anche nell’ambito della prostituzione. Ne
ricordiamo, di seguito, alcune:
149
Eurocities
Si tratta di una associazione di città metropolitane europee. Tra le sue commissioni interne
figura la Commissione Sociale che si occupa di
devianza e disagio metropolitano, con particolare interesse verso le strategie di intervento
verso il fenomeno della prostituzione di strada.
Forum Europeo della Sicurezza urbana
È una rete di città (sia metropolitane che non)
che si occupa, in maniera precipua, di sicurezza
urbana. In Italia si è costituita la sezione italiana
del Forum della sicurezza urbana.
Nei suoi lavori e ricerche il tema della prostituzione è uno dei problemi emergenti (Cfr. il
gruppo di lavoro “Tossicodipendenza e prostituzione”).
Città Sane
Si tratta di una rete di città che aderiscono al
progetto dell’OMS (Organizzazione Mondiale
della Sanità) che intende sviluppare strategie
innovative nel campo della promozione della
salute dei cittadini.
Il tema della prevenzione sanitaria della prostituzione di strada è certamente uno dei temi di
dibattito all’interno della rete.
Città Sostenibili
Dalla “Carta delle Città Europee per uno
Sviluppo Durevole e Sostenibile” alcune città
europee hanno costituito una rete per elaborare
piani d’azione finalizzati allo sviluppo sostenibile (a livello di vivibilità urbana).
Vi partecipano città italiane quali Bologna,
Firenze, Livorno, Milano, Napoli, Palermo,
Roma, Torino, Venezia.
Potrebbe essere il luogo privilegiato, quello
150
della rete delle “Città sostenibili”, per affrontare
il tema della vivibilità urbana in cui spesso
viene coinvolto il mondo della prostituzione di
strada.
Pericle (Coordinamento “Città per la lotta
all’esclusione”)
Si tratta di un coordinamento nazionale
sull’Esclusione sociale attivato da una rete di
città italiane (Perugia, Napoli, Bologna...).
Sono centrali, in tale rete, le riflessioni attorno
alle fenomenologie della devianza urbana. Il
“pianeta prostituzione” è certamente uno degli
ambiti di notevole interesse, per l’avvio di strategie di intervento sociale, in tale dibattito.
Carta di Arezzo
Si tratta di un coordinamento attivato in seguito alla emanazione di un documento (la Carta di
Arezzo appunto) sulle politiche giovanili.
Di tale coordinamento fanno parte città
medie quali Arezzo, Viterbo, Salerno, Forlì...
Il tema del disagio giovanile, affrontato da
questa rete di città si va, alcune volte, a coniugare con il mondo della marginalità giovanile
urbana, all’interno della quale può essere letto il
fenomeno della prostituzione di strada.
2. Per quanto concerne la costruzione dei servizi sociali nell’ambito della prostituzione possiamo fare le seguenti considerazioni:
Ci sono servizi pubblici che, pur avendo funzioni non specifiche di ambito, si occupano del
fenomeno “prostituzione”. In particolare possiamo ricordare:
151
- Gli Uffici Stranieri o Uffici per l’immigrazione, attivati dagli Enti Locali per rispondere ai
problemi derivanti dal fenomeno dell’immigrazione in Italia.
- I Consultori per immigrati, attivati, in alcune
regioni, dalle Aziende USL.
I progetti, sopra descritti, attivati in alcune
regioni e città del nord, hanno avviato servizi
specifici per il target che possiamo così sintetizzare:
- Servizi di prevenzione sanitaria (attraverso
l’attivazione di unità mobile, in grado di offrire
informazioni sanitarie in lingua originaria del
target, di distribuire profilattici, di proporre l’accompagnamento delle ragazze ai servizi sociosanitari).
- Servizi di mediazione culturale (attraverso la
presenza, nell’unità di strada, di mediatrici culturali, provenienti dalla nazione delle ragazze
prostitute, si crea un significativo intervento di
mediazione culturale. Tale servizio di mediazione si amplifica con la presenza di “operatrici
pari” in grado di creare una valida relazione con
il target).
- Servizi di tutela e protezione (attraverso l’attivazione di progetti di accoglienza per richieste
di uscita dalla strada si offrono a tali ragazze
spazi riservati di tutela e di protezione, di pronta accoglienza).
- Servizi di orientamento, formazione profes152
sionale ed inserimento socio-lavorativo (attraverso l’avvio di percorsi di uscita alcuni Enti
Locali hanno dovuto necessariamente attivare
servizi in grado di offrire proposte di orientamento, di formazione professionale ed altresì di
creare le basi per inserire le “ragazze in protezione” in percorsi ergoterapici, di borse lavoro,
di contributi per salari di ingresso nel mondo
del lavoro).
153
154
Il privato sociale
Maria Teresa Tavassi*
Il privato sociale con riferimento alla tratta
Il fenomeno della tratta è abbastanza recente
1
nei nostri paesi, come descritto nei precedenti
capitoli. Il privato sociale é una delle forme di
risposta ai bisogni, sviluppatasi negli anni del
Welfare State.
Allo scopo di offrire un quadro sintetico ma
preciso del tipo di intervento del privato sociale
con riferimento alla tratta si è cercato di conoscere direttamente le iniziative in atto.
Attraverso incontri nei luoghi di ascolto e accoglienza, sul territorio e sulle unità mobili, attraverso colloqui con le ragazze e le donne uscite
dalla situazione, con operatori e operatrici,
mediatrici culturali, in diverse località d’Italia del Nord, del Centro, del Sud e delle Isole, in
città e paesi di approdo o di transito, nelle stazioni ferroviarie e nelle vie delle grandi città - si
è cercato di cogliere la portata e il significato
delle diverse iniziative di fronte al grave fenomeno.
Il fenomeno della tratta di donne immigrate
per sfruttamento sessuale cresce e si diversifica
nel tempo, coinvolgendo attualmente decine di
migliaia di ragazze e donne, raggirate, sfruttate,
1 L’autrice pone l’accento sugli interventi realizzati
all’interno di percorsi di uscita ed a partire dal fenomeno della “tratta”.
155
rese schiave; esso sviluppa un giro di affari di
migliaia di miliardi ed è connesso con forme di
criminalità organizzata, traffico di armi, droga e
riciclaggio di denaro. Non è prostituzione, ma
un fenomeno indotto, in cui le donne vengono
prese con l’inganno, trasferite in altri paesi,
avviate alla prostituzione in forma violenta, private dei documenti di riconoscimento e dei loro
diritti fondamentali.
Il privato sociale impegnato in questo ambito
non può non tenere conto della complessità del
fenomeno, per combattere le cause di esso e i
processi che lo generano, per diffondere la cultura della accoglienza e della solidarietà e uno
stile di rispetto di ogni persona, di condivisione
con coloro che fanno più fatica e di attenzione
ai problemi dei Paesi del Sud del Mondo. Esso è
diversificato, come in altri settori. Vi sono gruppi di volontariato, comunità di vita consacrata,
associazioni giovanili e associazioni etniche,
famiglie solidali, cooperative integrate, comunità parrocchiali, ragazze uscite dal giro...: si
tratta quindi di soggetti informali e di soggetti
costituiti giuridicamente, di grandi e piccole iniziative, di gruppi di ispirazione cristiana e laici.
Le iniziative del privato sociale si muovono in
questo terreno fluido e difficile, con una triplice
funzione. Cercano innanzitutto di rispondere a
bisogni espressi o inespressi, offrendo alle
donne e ai minori coinvolti quei servizi che di
volta in volta si rendono necessari: ascolto,
accoglienza, tutela giuridica, prevenzione e
tutela sanitaria, rimpatrio, inserimento lavorativo. Nascono nuovi servizi, altri si modificano
per rispondere alle nuove esigenze, anticipando
in tale modo le risposte istituzionali o integrandole, dopo averle sollecitate. Le forme di servi156
zio tuttavia non bastano. Ci si rende subito
conto della urgenza di cambiare la mentalità e
coinvolgere altre forze, in quanto allo sfruttamento corrisponde decisamente una domanda
di prestazioni sessuali da parte di gente comune, padri di famiglia e giovani, studenti e pensionati, operai, impiegati e manager... Non si
può curare una ferita, senza rendersi conto che
la società continua a provocarne di nuove. Il
privato sociale si preoccupa di creare opinione,
dando luogo a dibattiti, forum, assemblee pubbliche, in cui vengono coinvolti operatori,
amministratori, comunità, cittadinanze... e dove
si affronta il problema nella sua complessità e
nei suoi risvolti. Famiglie, gruppi, associazioni,
forze sindacali, istituti di formazione... diventano destinatari di iniziative di informazione sul
problema, per puntare sulla prevenzione di
esso e per incidere sulla mentalità. Ecco che al
servizio - reso dal privato sociale - si affianca
l’animazione del territorio. Ma poi c’è anche
l’impegno socio-politico, volto a incidere maggiormente sulla realtà istituzionale, per promuovere leggi adeguate, per salvaguardare le donne
dal rimpatrio forzato, per consentire loro di
ottenere permessi di soggiorno e di lavoro.
Nascono in alcune regioni tavoli interistituzionali di consultazione e di riflessione, promossi
dal pubblico e aperti al privato sociale, nell’attesa che anche a livello nazionale possa realizzarsi qualcosa di simile.
Il privato sociale assume poi un’altra caratteristica particolare, dipendente dal posto che occupa accanto alle vittime e in rapporto al territorio
e al pubblico. È il ruolo di “antenna”, che capta
la situazione e di “ponte” tra vittime e istituzioni;
tra servizi diversi e in vista di una rete; tra servizi
157
e altre forze culturali, sociali ed economiche,
impegnate a vario titolo negli ambiti della esclusione sociale. Il fenomeno sommerso, per i suoi
risvolti umani e per la gravità delle ritorsioni
sulle persone in esso coinvolte, viene a poco a
poco a emergere e a collegarsi, a costruire le
prime maglie di quella rete che dovrà costituire
il grosso progetto dei prossimi anni per bloccare
definitivamente il fenomeno stesso.
I soggetti del privato sociale impegnati nel settore
Le iniziative del privato sociale nel settore
sono diversificate sia con riferimento ai diversi
bisogni delle persone, sia in rapporto all’entità
del fenomeno locale, che dà vita alle iniziative
stesse. I bisogni sono quelli dell’ascolto, della
accoglienza e dell’orientamento, del sostegno
psicologico per chi è particolarmente provato
dalla situazione vissuta, dell’assistenza sanitaria
per chi aspetta un bambino o teme di avere
contratto malattie infettive o ha subito un aborto, del trasferimento immediato da un luogo a
un altro dopo la denuncia, del bisogno di trovare una famiglia in cui trascorrere un periodo di
riconciliazione con la vita e con la gente. I soggetti sono diversi e tutti impegnati in modo
creativo. In qualche caso domina l’improvvisazione e la scarsa preparazione iniziale, ma poi
ci si rende conto che non si può lavorare in
questo campo senza prepararsi. Nascono richieste di appositi corsi di formazione, di strumenti
di conoscenza del fenomeno, sussidi, schede...,
cui gli organismi nazionali e locali cercano di
rispondere. Vediamo quali sono i soggetti impegnati nel settore.
158
Le comunità di vita consacrata. Religiose di
diverse congregazioni sono tra le prime - con il
volontariato laico e di ispirazione cristiana, presente in situazioni di frontiera sul territorio - a
rendersi conto del fenomeno. Nascono casefamiglia, comunità di accoglienza, gruppi
appartamento e altre iniziative nelle quali le
ragazze vengono accolte o alle quali si dà la
possibilità di autogestirsi dopo un periodo di
affiancamento, di vita insieme, di supporto psicologico, a seconda della situazione in cui esse
si vengono a trovare. Spesso gli spazi di accoglienza sono ricavati in case famiglie per madri
nubili o ragazze in difficoltà; in altri casi i servizi
sono creati per rispondere al fenomeno più
specifico; in altri ancora è la piccola comunità o
l’istituto per minori o altro che, pressato dall’emergenza, offre uno o più locali per rispondere
alla richiesta avuta. Sono le stesse
Congregazioni religiose che si interrogano di
fronte al nuovo fenomeno per vedere come
adeguare le loro strutture e come preparare il
personale per non rimanere sorde e impreparate alle richieste di aiuto.
Gruppi di volontariato di ispirazione cristiana
e associazioni laiche si propongono, in diverse
città d’Italia, come luoghi di prima accoglienza,
per studiare un programma individuale differenziato e per orientare quindi le ragazze o le
donne ad altri servizi più stabili. Si deve anche
ad alcuni di questi gruppi l’avvio di corsi di formazione per operatori e/o di qualificazione per
l’inserimento lavorativo delle donne uscite dalla
tratta, corsi di lingua per chi si trova da poco in
Italia, e di assistenza domiciliare per offrire lavoro in una cooperativa di servizi agli anziani o di
159
pulizia o altro. Alcuni realizzano, in collegamento con l’azienda sanitaria locale, un servizio di
strada, su unità mobili o presso le stazioni ferroviarie, per fornire strumenti di prevenzione sanitaria. Si sta cercando, inoltre, da parte di associazioni che utilizzano anche fondi pubblici, di realizzare una campagna informativa in alcuni dei
paesi dell’Est Europeo, con testimonianze di
donne, che presentano alle loro connazionali,
nella loro stessa lingua, le modalità di adescamento da parte della criminalità organizzata, per
metterle in guardia e prevenire il fenomeno.
Associazioni di immigrati in alcune zone
d’Italia hanno dato vita a luoghi di aggregazione; esse tendono a prevenire l’avvio di donne
nel racket della prostituzione o si stringono
attorno a un gruppo di connazionali o anche di
altri paesi, già caduto nella tragica rete, allo
scopo di dimostrare amicizia e solidarietà e
impedire che il fenomeno si radichi. Sono per
lo più immigrati del Senegal, delle Filippine e di
qualche altra località dell’Africa.
Le famiglie solidali costituiscono un’altra
risorsa per le giovani donne. Esse sono pronte a
forme di accoglienza, affiancamento, opportunità di verifica per il lavoro domestico. Tra le
famiglie solidali vi sono alcune formate da
donne uscite dal racket che, con i loro mariti, si
sono rese disponibili ad affiancare una loro
connazionale che ha vissuto lo stesso problema.
Per alcune delle famiglie coinvolte in questo
impegno sono previsti specifici momenti di formazione per renderle in grado di rispondere
con una certa competenza relativa alle domande e ai bisogni delle ragazze accolte. In altri casi
160
si tratta di famiglie già legate a Movimenti o
associazioni di volontariato o di spiritualità
familiare, che si sono aperte a questa nuova
forma di impegno e trovano nel gruppo più
ampio momenti di confronto, appoggio, consulenza o altro, per affrontare, situazioni difficili.
Alcune cooperative di solidarietà sociale sono
coinvolte accanto ai gruppi di volontariato. Esse
offrono lavoro, qualificazione, possibilità di
tirocinio a coloro che escono dal giro.
Volontari specializzati danno consulenze
mediche, psicologiche, legali, sindacali, presso
strutture pubbliche o del privato sociale.
Le Chiese. La Chiesa Cattolica, specie attraverso le Caritas e le comunità parrocchiali, la
Federazione delle Chiese Evangeliche, gruppi
di spiritualità e altri organismi allargano ulteriormente il quadro del privato sociale sia con
forme di servizi realizzati per l’ascolto e l’orientamento delle vittime della tratta, sia la prevenzione e la denuncia del fenomeno, attraverso
appelli, pronunciamenti, prese di posizione,
conferenze stampa, seminari, corsi... Si tratta di
iniziative di formazione delle coscienze volte a
frenare il fenomeno e a combatterlo, puntando
specialmente sui clienti e su coloro che guadagnano da un simile traffico. L’impegno delle
Chiese in questo momento è teso anche nel
ricercare, con le Chiese sorelle dei paesi di origine delle donne, di prevenire il fenomeno,
attraverso qualche progetto per l’avvio di attività lavorativa nei luoghi di maggiore povertà,
nei quali il fenomeno della tratta rischia di avere
una grande presa.
161
I movimenti di donne rappresentano infine
una esperienza significativa nell’ambito del contatto e dell’accoglienza di ragazze in difficoltà.
Tali esperienze, diversificate tra loro, all’interno
della medesima matrice di genere, sono costituite da Centri anti-violenza donna, sportelli di
informazione donna, telefoni donna, case per le
donne per non subire violenza, centri studi
donna... Per quanto concerne il fenomeno della
tratta l’apporto dei movimenti di donne è certamente importante. Offrono infatti case di pronta
accoglienza per l’emergenza, attivano la propria
rete delle risorse per dare risposte sul versante
giuridico-legale, medico-sanitario, abitativo,
occupazionale. Avviano progetti di formazione
professionale per donne “trattate” ed attivano
azioni di pubblica denuncia di situazioni legate
allo sfruttamento delle donne stesse.
Dal servizio all’impegno socio-culturale
L’impegno socio-politico del privato sociale è
forse la funzione più importante che esso svolge nella società. Non é solo importante intervenire con servizi, quanto piuttosto anticipare servizi e iniziative con modalità nuove, di attenzione alle persone e in rapporto con i servizi pubblici. La funzione di “ponte” sembra particolarmente necessaria oggi in ogni campo di intervento, ma principalmente in questo della tratta
di donne straniere, in un periodo di ritorno al
privato e all’individuale, di paure del diverso. Il
privato sociale, con piccole iniziative significative vuole proporre un modo diverso di rapportarsi con la gente, di rispettare la dignità di ogni
persona, di creare legami, rapporti, ponti, dove
162
si vogliono barriere, fratture, esclusioni. La
ricerca delle cause del fenomeno, lo studio dei
clienti, il rapporto con i paesi di origine delle
donne per comprendere i motivi del fenomeno,
i collegamenti con le forze dell’ordine, la magistratura, i Ministeri, per sollecitare una legislazione adeguata, l’impegno per la formazione
delle persone e per la coscientizzazione dell’opinione pubblica.... sono tutti tasselli di un
unico mosaico in cui il privato sociale vuole
essere sì un soggetto, ma non l’unico soggetto.
Vuole comunque avere il ruolo significativo
di contribuire a cambiare le cose, a partire dalla
mentalità della gente, dei clienti, a ripensare
un’immagine di donna diversa da quella che
appare nella pubblicità e che induce forse a
comportamenti di sfruttamento. e tutto ciò con
l’apporto di tutti: delle donne coinvolte, delle
forze del territorio, di organismi di ispirazione
laica e cristiana, di enti pubblici, delle diverse
nazioni. Soltanto in questo modo si riuscirà a
frenare il fenomeno. Forse tale impegno non
avrebbe incidenza se non fosse realizzato con
uno stile di condivisione, sobrietà, rispetto per
le persone di ogni razza religione e lingua, che
vuole caratterizzare il privato sociale stesso.
* Maria Teresa Tavassi è nata nel 1936. Laureata in
Giurisprudenza all’Università degli Studi di Roma, con
perfezionamento in Sociologia e Ricerca Sociale.
Lavora dal 1976 alla Caritas Italiana.
163
164
PARTE II
METODOLOGIA E STRUMENTI
165
166
Progettazione
Vincenzo Castelli
Premessa
S
ul disagio sociale in generale e sulla prostituzione in particolare, si attivano oggi sempre di
più, in un sistema iper-complesso come quello
rappresentato dai nostri territori, un numero
significativo di azioni progettuali sia di carattere
definito preventivo che di cura in forme dirette
ed indirette da parte di una molteplicità di attori
sociali con modalità quasi sempre scoordinate e
non integrate.
Il risultato di un tale insieme (e non sistema)
di azioni è spesso la costruzione di situazioni,
percezioni e definizioni molto confuse e contraddittorie intorno al fenomeno. Su quest’ultimo, quindi, scarsa diventa la capacità di incidenza degli interventi volti a orientarlo e ad
affrontarlo.
Inoltre si può affermare che nella quasi totalità dei casi, pur essendo gli obiettivi dichiarati
della progettazione del tipo “modificare gli
atteggiamenti e i comportamenti... produrre
consapevolezza... persuadere... o dissuadere...”,
scarsa attenzione viene data sul piano ideativo
ed esecutivo a ciò che la riflessione teorica
(attraverso l’applicazione del sapere derivante
dalle scienze sociologiche, psicologiche ed economiche) e la pratica sociale (attraverso l’applicazione del sapere derivante dalla scienza del
167
quotidiano) ci indicano per la composizione di
una progettazione e programmazione sociale
“sensata”.
Gli indicatori di qualità della progettazione
Offriamo, di seguito, alcuni indicatori di qualità della progettazione, che possono essere
referenziali per la costruzione di un progetto
armonico ed adeguato alla complessità dei
fenomeni sociali:
Indicatori di qualità della progettazione
1. Definizione degli obiettivi primordiali.
2. Valutazione della congruenza, della compatibilità e della sostenibilità degli obiettivi nel contesto.
3. Analisi della rispondenza degli obiettivi
primordiali alle attese della committenza,
del contesto e degli attori.
4. Elaborazione del sistema di valutazione
(ex ante, in itinere, ex post).
5. Costruzione di prototipi e modelli operativi.
6. Specificazione operativa degli obiettivi,
definizione degli standard di funzionamento, analisi e definizione del fabbisogno, analisi e rilevazione delle disponibilità (personale, strutture, finanze).
7. Predisposizione delle strategie di intervento e delle risorse (umane, strutture,
finanze).
8. Realizzazione dell’intervento programmato.
9. Analisi dei risultati.
10. Valutazione dei risultati in termini di efficacia ed efficienza.
168
Le ricadute progettuali
Una elaborazione progettuale significativa ed
armonica certamente permette di avviare un
sistema di intervento globale in grado di offrire
un modello sostenibile e moltiplicabile.
Fa cogliere alcune ricadute, visibili e tangibili,
sulla comunità locale.
Possiamo dire, con una immagine suggestiva,
che la progettazione può rappresentare una
sorta di “laboratorio sociale” in cui creare nuovi
prototipi e modelli, nuovi servizi e nuovi profili
professionali.
Ricadute progettuali
1. Ridare dignità, capacità e competenza al
contesto dove il disagio è stato colto, stigmatizzato, sintomatizzato cogliendo i
nessi causali di tale disagio.
2. Lavorare sull’incidenza del fenomeno,
cosiddetto deviante, nel contesto, nei
gruppi sociali, nelle rappresentazioni
sociali determinate, sulla sua persistenza
nel tempo e nello spazio, sulla perturbazione creata sullo stesso, sulla possibile
strategia progettuale applicabile.
3. Produrre interventi programmati, strategici
e sinergici che possano dare unitarietà a
processi preventivi, riabilitativi, curativi,
formativi, occupazionali ed imprenditoriali.
4. Creare capacità e competenze, attraverso
percorsi formativi adeguati, sia per chi
interviene sul disagio sia per chi viene dal
disagio.
5. Attivare un rapporto positivo e significativo con i servizi pubblici per permettere
169
interventi integrati e trasversali.
6. Determinare un sistema di valutazione
degli interventi e dei prodotti, cogliendone il rapporto costo/beneficio, domanda/offerta, disagio/agio, sintomo/causa,
obiettivi/procedure...
7. Creare un sistema di monitoraggio delle
esperienze realizzate per impiantare processi paradigmatici fruibili in altri contesti.
Le strategie ed i percorsi della progettazione
Diventa, a questo punto importante, capire
quali siano le strategie ed i percorsi della progettazione.
Cogliere, cioè, le parole-chiave che permettano di definire un progetto congruo e sensato.
Strategie e percorsi della progettazione
1. La progettazione è locale: ciò significa che
deve essere identificabile e raggiungibile
il target del programma, gli attori coinvolti, il territorio in cui si svolge.
2. La progettazione è sui sistemi e sulle loro
interazioni, non su uno specifico sottosistema (vedi ad esempio la prostituzione di
strada...).
3. La progettazione si attiva sul disagio, non
sul sintomo.
4. Il tempo della progettazione è il quotidiano.
5. La progettazione presuppone una competenza previsionale e valutativa.
6. La progettazione presuppone un sistema
di conoscenze ed ipotesi adeguato dello
stato delle cose prima dell’intervento.
170
Progettare nell’ambito della prostituzione
Impiantare un progetto nell’ambito del pianeta “prostituzione”, della cui fenomenologia
abbiamo già colto la complessità estrema, non è
certamente una delle azioni più semplici.
Proviamo ad indicare alcune motivazioni:
1. Innanzitutto, come già affermato, il fenomeno è estremamente “pre-giudicato”, mutevole, flessibile, ondivago, particolare, visibile per
una piccolissima parte (la prostituzione di strada), invisibile per una grandissima parte (la prostituzione “riservata” degli appartamenti, degli
hotel, delle saune, dei bar, dei night club...).
2. Pochi sono, in Italia, i progetti avviati in
questo settore. Non ci sono, come magari in
altri campi (come ad esempio il mondo della
tossicodipendenza), sperimentazioni ventennali, servizi consolidati, profili professionali definiti, percorsi formativi certificati, dibattiti strutturati. I riferimenti, per elaborare progetti innovativi nell’alveo della prostituzione, sono pertanto
pochi, frammentati e non ancora verificabili
totalmente.
3. È certamente inadeguata ed in ritardo, in
Italia, l’elaborazione della legislazione e delle
politiche sociali del settore.
Ci sono per altro una serie di complicazioni
strutturali (il fatto che la maggioranza delle prostitute sono extra-comunitarie, il fatto che molte
ragazze prostitute sono “trafficate” ed introdotte
nel mondo della prostituzione con la forza, il
fatto che il mondo della criminalità organizzata
vi è sempre più presente...) che non aiutano il
legislatore ad offrire percorsi innovativi.
La spendibilità delle poche e precarie competenze in questo campo sono inoltre ulterior171
mente abbassate da altri fattori: la mancanza, ad
oggi, di erogazione di fondi e risorse economiche da parte dei competenti ministeri; il numero
ridotto di progetti attuati dagli Enti Pubblici
decentrati (Cfr. il Progetto Regionale
Prostituzione, elaborato dalla Giunta Regionale
dell’Emilia Romagna - Cfr. i progetti elaborati
dai Comuni di Venezia-Mestre, Bologna,
Modena e pochi altri, quasi tutti emiliano-romagnoli); la difficoltà ad entrare nei circuiti
dell’Unione Europea per fruire di fondi comunitari (Cfr. il difficile e complicato utilizzo del
Fondo Sociale Europeo, dell’Iniziativa
Comunitaria OCCUPAZIONE NOW e del
Programma Leonardo da Vinci; la ristretta
disponibilità economica dei Programmi Salute
Pubblica, “Dafne” e “Stop”...).
Cerchiamo di offrire alcune griglie di “facilitazione progettuale”
Progettare nell’ambito della prostituzione
1. Passaggio dalla gestione dell’emergenza
alla progettazione dell’intervento sociale
(è centrale nelle strategie progettuali nei
confronti del fenomeno “prostituzione”).
2. Acquisizione di capacità e competenze
adeguate ad abbassare fenomeni di disagio e di conflitto sociale (interventi di
comunità, processi di mediazione sociale,
esperienze di minoranze attive...).
3. Progettazione di nuove tipologie d’intervento, necessarie e irrinunciabili nell’impatto con il fenomeno della prostituzione
di strada (lavoro di strada, lavoro di
comunità, percorsi di uscita...).
4. Progettazione di interventi di autonomia
172
personale delle ragazze uscite dalla prostituzione (formazione professionale, stages
aziendali, borse lavoro, misure di sostegno
all’inserimento lavorativo, salario d’ingresso, inserimento in imprese sociali).
5. Allargamento del raggio d’azione progettuale verso nuove facce della prostituzione (tossicodipendenti prostitute, travestiti
e transessuali, prostituzione maschile,
prostitute “invisibili”).
6. Attivazione di un sistema di formazione
adeguato, capace di cogliere la fenomenologia della prostituzione, di dar vita a nuovi
profili professionali, di supportare azioni
innovative (operatore/trice di strada, mediatore/trice culturale, operatrice pari, operatore/trice di accoglienza, operatore/trice di
inserimento socio-lavorativo...).
7. Individuazione di futuri scenari: il lavoro
di comunità, il mondo dei clienti, l’impresa sociale, la “zonizzazione”...
Standard dei prototipi progettuali nell’ambito della
prostituzione
Volendo provare ad attivare, nel nostro lavoro di progettazione, alcuni prototipi nell’ambito
della prostituzione di strada ci permettiamo di
definire alcuni stardard vincolanti:
Standard dei prototipi progettuali
nell’ambito della prostituzione
1. I prototipi devono essere sperimentali,
pilota, visibili, verificabili, monitorabili e
valutabili.
173
2. I prototipi devono essere parziali, aperti
cioè alla modificazione determinata dall’impatto con il territorio, con i target, con
gli agenti di cambiamento sociale.
3. I prototipi devono essere trasferibili, ma
non clonati e fotocopiati.
4. I prototipi devono essere armonici (da
una fase esplorativa, di primo livello,
occorre passare ad una fase mirata pur se
fluida, ad una fase, infine, di standardizzazione dei processi).
5. I prototipi devono essere contestualizzati
allo sviluppo fenomenologico della prostituzione, ai saperi già esistenti in questo
campo, alle capacità ed alle competenze
sociali necessarie.
6. I prototipi devono avere il carattere della
innovatività (per fenomeni, per target, per
figure professionali, per saperi, per metodologie).
7. I prototipi devono essere integrati e multiformi (tra target, tra servizi, tra pubblico
e privato, tra formale ed informale).
Progetto tipo
Presentiamo di seguito un modello di progetto tipo.
Si ritiene che possa essere un esempio di riferimento, tenendo presente la sua contestualizzazione. Esso si situa nel territorio marchigiano,
che vede una crescita progressiva del fenomeno
della prostituzione di strada di donne immigrate, provenienti soprattutto dall’Albania, dalla
Nigeria, recentemente in misura sempre maggiore dai paesi dell’ex Unione Sovietica, da altri
174
paesi dell’Est europeo.
Si tratta dell’estratto di un progetto elaborato
dall’Associazione On the Road, nella cui attuazione collaborerà la Caritas di Ancona.
Nella fase iniziale di elaborazione il progetto
è stato proposto alle Provincie di Teramo e di
Ascoli Piceno che hanno a loro volta coinvolto
le Amministrazioni Comunali delle due
Provincie interessate dal fenomeno.
In seguito il progetto è stato fatto proprio
dalla Regione Marche che ha coinvolto tutte le
Provincie della Regione.
Si entrerà presumibilmente nella fase operativa nei primi mesi del 1998.
Progetto tipo
Attori, ruoli e funzioni
Attore
Regione Marche
Assessorato Sanità
e Servizi Sociali
Settore Immigrazione
Amm. Provinciali di Pesaro,
Ancona, Macerata,
Ascoli Piceno
Ruolo e funzione
Coordinamento regionale
Raccordo inter-istituzionale
regionale
Supporto economico
Coordinamento provinciale
Raccordo inter-istituzionale
provinciale
Concorso economico
Enti Locali
Individuazione aree di crisi
Azione di network territoriale
Supporto strumentale
Privato sociale
Gestione progetto nelle
Associazione “On the Road” provincie di Ascoli Piceno e
Macerata
Privato sociale
Gestione progetto nelle proCaritas Diocesana di Ancona vincie di Ancona e Pesaro
175
Ambiti progettuali
Si ritiene dover avviare un progetto che abbia
i seguenti ambiti progettuali:
1. Lavoro di strada (con relativa mappatura e
creazione di rete dei servizi sanitari)
2. Percorsi di uscita (accoglienza, presa in
carico ed accompagnamento verso l’autonomia)
3. Intervento sulla comunità locale
4. Azioni di network
5. Interfaccia con i paesi d’origine del target
Ambito Sulla strada
Obiettivi - Diffusione di informazioni sanitarie mirate al cambiamento dei comportamenti relativi alla prevenzione
e alla profilassi igienico-sanitaria
- Creazione di contatti e dinamiche
relazionali con il target
Azione
- Lavoro di contatto e di relazione
tipo
con il target mediante educatricipari, mediatrici/ori culturali, operatrici/ori che compongono l’unità di
strada
- Raccordo con gli interventi di
accoglienza per l’uscita da situazioni
di prostituzione forzata
- Diffusione di informazioni - nelle
varie lingue del target - relative
soprattutto alla prevenzione da HIV
e Malattie a trasmissione sessuale
- Accoglienza della domanda di cura
sanitaria del target e accompagnamento ai servizi
176
Ambito Rete dei servizi socio-sanitari
Obiettivi - Garantire la fruibilità da parte del
target del diritto alla salute (art. 13
DLg ) e facilitare l’accesso ai servizi
sanitari
Azione
Individuazione dei servizi prioritari
tipo
per rispondere ai bisogni del target:
- servizi medici di ginecologia,
(contraccezione e IVG)
- centri diagnostici per l’accertamento dell’ HIV/ MTS e delle malattie
infettive (tubercolosi, epatite, ecc.)
- servizi medici di dermatologia
- servizi medici di base (per prescrizione farmaci e visite)
- servizi medici d’emergenza
Creazione di una canale privilegiato
per il target che garantisca anonimato, confidenzialità e gratuità del servizio
Ambito Mappatura
Obiettivi - Analisi dinamica della distribuzione
del fenomeno della prostituzione di
strada, della composizione del target
e della sua mobilità
- Raccordo con osservatori territoriali, provinciali, regionali e nazionali
Azione
- Realizzazione e aggiornamento di
tipo
mappe territoriali
- Reports del lavoro dell’Unità di
strada su: contatti e bisogni del target
Ambito
Accoglienza, presa in carico,
inserimento ed accompagnamento verso l’autonomia
177
Obiettivi - Analisi del fenomeno della tratta e
dello sfruttamento presente nel territorio
- Definizione della tipologia della
persona prostituita
- Creazione di una rete di risorse
(per la presa in carico, per la socializzazione, per la formazione, per
l’occupazione)
- Particolare attenzione al fenomeno
dei protettori e del loro coinvolgimento nel mondo della criminalità
organizzata
- Raccordo con le reti di tutela e di
sicurezza (Forze dell’Ordine Questure - Tribunali)
Azione
- Organizzazione di un’equipe di
tipo
pronta accoglienza per monitorare,
accompagnare, inserire ragazze prostitute in uno spazio di accoglienza
riservato e tutelato
- Creazione di una rete di spazi
diversificati per l’accoglienza
- Definizione ed creazione di una
rete di risorse (medici, avvocati, psicologi, assistenti sociali, imprenditori...)
- Creazione di un gruppo di lavoro
tecnico-gestionale in grado di dare
risposte ad alcune emergenze endemiche (permessi di soggiorno,
documenti, rapporti istituzionali,
rapporti di lavoro)
- Definizione di rapporti bilaterali
costanti con realtà positive e significative dei paesi di origine delle
ragazze accolte
178
Ambito Interventi di comunità
Obiettivi Armonizzazione e mediazione dei
conflitti sociali che si manifestano
attorno al fenomeno della prostituzione
Azione
- Mediazione sociale tra il target, i
tipo
servizi e i cittadini e le cittadine
- Interventi sulla rappresentazione
sociale del fenomeno della prostituzione
- Interventi di comunicazione sociale rivolte in particolare ai clienti
Ambito Azione di network
Obiettivi - Raccordo e integrazione dell’azione locale con quella regionale,
nazionale ed europea
- Raccordo ed integrazione delle
diverse azioni intraprese nei territori
- Integrazione delle diverse tipologie di intervento
Azione
- Organizzazione di seminari di
tipo
scambio e di confronto con le realtà
regionali, nazionali ed europee che
lavorano nel campo
- Azioni formative
- Azioni informative: presentazione
del progetto e dei suoi risultati e
creazione di canali comunicativi
(Sito Internet)
Ambito Azioni con i paesi d’origine
Obiettivi - Creazione di una rapporto interfacciale e di progettualità correlata tra
paese d’origine della ragazza e
paese di lavoro prostitutivo
Azione
- Individuazione di ONG ed autorità
179
tipo
locali dei paesi d’origine che possono correlarsi con progetti nell’ambito della prostituzione
- Creazione di un rapporto di partenariato costante tra i due attori
- Attivazione di un modello di progetto interfacciale
- Creazione di una banca-dati di
informazioni, mappe, indirizzi, istituzioni per reciproca utilità
Metodologia e Strumenti
Metodologia
- Individuazione, coinvolgimento e attivazione
e formazione permanente di operatrici/ori di
strada, educatrici pari, mediatrici/ori culturali
- Lavoro di rete con i servizi
- Accompagnamento del target ai servizi
- Informazione e accompagnamento
- Mappatura, interviste per raccolta di informazioni e per stima dei bisogni del target
Strumenti
˙
- Materiale informativo (nelle varie lingue del
target)
- Materiale di profilassi
- Counseling/mediazione culturale
- Tecniche di colloquio e di intervista
- Tecniche di registrazione (mappatura)
- Tecniche di raccolta di dati empirici
- Tecniche di valutazione dei risultati
180
Sviluppo progettuale
Attivazione Drop in Center
Centro di incontro, ufficio di informazioni,
spazio di orientamento, ambito di negoziazione
sociale, centro di invio ai servizi
Servizi
- Prevenzione (socio-sanitaria
rivolta al target, ai conviventi,
ai figli...)
- Informazione (abitativa,
socio-relazionale, collocativa)
- Counseling (sostegno psicologico, consulenza legale)
- Orientamento (ai servizi, alla
formazione professionale,
all’inserimento lavorativo
- Collegamento interfacciale
con i “sensori” (Comuni,
Associazioni territoriali...).
Operatività
- Attivazione di n.2 sportelli
20 h settimanali (per ciascun
sportello)
Figure
- n. 2 Operatori Sociali
professionali (n.20 h sett. x n.2 unità)
- n.1. Psicologo (n.12 h sett.)
- n.1 Avvocato (n. 12 h sett.)
Nb. Saranno valorizzate
anche figur e pr ofessionali
volontarie
Localizzazione - n.1 sportello zona Ancona
intervento
n.1 sportello zona San
Benedetto del Tronto
Nb. Tutti i servizi degli sportelli saranno fruibili in tutte le
aree della regione attraverso
una comunicazione interfac181
ciale tra referenti territoriali e
operatori dello sportello
Attivazione Unità di strada
Lavoro di prevenzione sanitaria sulla strada,
contatto, relazione con le ragazze che si prostituiscono sulla strada, accompagnamento ai servizi, ambito di negoziazione sociale.
Servizi
- Contatto sulla strada, creazione relazione confidenziale
- Prevenzione sanitaria sulla
strada
- Informazione
- Monitoraggio e mappatura
del fenomeno
- Collegamento interfacciale
con i “sensori” (Comuni,
Associazioni. territoriali...)
Operatività
Attivazione di n.2 unità di strada
Figure
- n. 2 Operatrici di strada
professionali (n.20 h sett. x n.2 unità)
- n.3 Mediatrici culturali (n.1
albanese - n.1 nigeriana - n.1
russa) 12 h/sett. x n.3 unità
- n.2 Educatrici pari
(n.10 h/sett. x n.2 unità)
- n.1 Supervisore/coordinatore
(n.4 h sett.)
Nb. Saranno valorizzate
anche figur e pr ofessionali
volontarie.
Localizzazione Le n.2 unità di strada opereintervento
ranno su tutto il territorio marchigiano.
In particolare la prima opererà
182
nelle provincie di Pesaro ed
Ancona e la seconda nelle
provincie di Macerata e di
Ascoli Piceno.
Attivazione spazio accoglienza
Pronta accoglienza, inserimenti familiari,
autonomia
Servizi
Operatività
Figure
professionali
- Pronta accoglienza
- Accoglienza individualizzata
- Protezione
- Controlli e cure sanitarie
- Sostegno psicologico
- Follow up
- Attivazione di n.1 casa di
pronta accoglienza (n.6 posti
disponibili)
- Individuazione ambiti diversificati di accoglienza (famiglie, istituti religiosi, appartamenti finalizzati)
- Autonomia (reperimento
appartamenti per ragazze in
grado di autogestione)
- Inserimento socio-lavorativo
- n. 2 Operatrici di accoglienza
n.40 h sett. x n.2 unità.
- n.1. Psicologo (n.6 h sett.)
- n.1 Orientatore sociale
(n.12 h/sett.)
Nb. Saranno valorizzate
anche figur e pr ofessionali
volontarie. In particolar e
famiglie sociali, istituti religiosi
183
Localizzazione Lo spazio di accoglienza
intervento
garantisce una copertura
regionale.
Nb. Tutti gli spazi di accoglienza saranno fruibili in
tutte le ar ee della r egione
attraverso una comunicazione interfacciale tra referenti
territoriali e operatori dell’accoglienza.
Attivazione Servizi trasversali
Servizi
Operatività
Figure
professionali
- Coordinamento generale
- Raccordo generale tra gli
interventi del progetto
n.1 Supervisore progetto
n.20 h/sett.
Localizzazione
intervento
Su tutto il territorio regionale
Schema di lavoro per un progetto tipo
Offriamo di seguito uno schema di lavoro per
l’elaborazione di un progetto di intervento.
Schema di lavoro per un progetto tipo
1. Contesto progettuale
2. Motivazioni progettuali
184
3. Obiettivi
4. Tipologia degli interventi e delle azioni
5. Articolazione degli interventi
6. Risorse Umane
7. Destinatari intermedi e/o finali
8. Metodologia dell’intervento
9. Attrezzature, materiali, tecnologie utilizzate
10. Localizzazione dell’intervento
11. Durata (data di inizio e di fine - durata
in ore)
12. Calendario dell’intervento (azione tempo programmato)
13. Descrizione del carattere innovativo
185
14. Descrizione dell’approccio “bottom-up”
(partecipazione delle reti territoriali al progetto)
15. Interdipendenze con i programmi di sviluppo regionali e locali e rafforzamento delle
politiche e dei programmi comunitari
16. Criteri e modalità del sistema di valutazione (ex ante, in itinere, ex post).
17. Prodotti finali
18. Attività programmate per la diffusione
dei risultati.
19. Fonte finanziaria.
anno....
Bilancio progettuale1
1.00 REDDITO ALLIEVI
1.01 Indennità di frequenza
1.02 Assicurazione allievi
2.00 PREPARAZIONE DEL CORSO
2.01 Spese progettazione intervento
2.02 Spese elaborazione testi e dispense
2.03 Spese pubblicizzazione corsi e bandi
2.04 Colloqui e selezione finale
1 Modello di preventivo economico dei progetti del Fondo
Sociale Europeo (da rielaborare per altri progetti - tipo)
186
3.00 PERSONALE
3.01 Retribuzione ed oneri personale interno
3.02 Collaborazioni professionali docenti
esterni
3.03 Retribuzione ed oneri tutors interni
3.04 Collaborazioni professionali tutors
esterni
3.05 Retribuzione ed oneri altro personale
3.06 Collaborazioni professionali altro
personale
4.00 IMMOBILI
4.01 Affitto locali
4.02 Ammortamento locali
4.03 Manutenzione ordinaria e pulizia
locali
5.00 ATTREZZATURE DIDATTICHE
5.01 Affitto e/o leasing attrezzature
5.02 Ammortamento attrezzature
5.03 Manutenzione ordinaria attrezzature
6.00 MATERIALE DI CONSUMO
6.01 Materiale didattico collettivo
6.01 Materiale didattico individuale
7.00 SPESE PER ESAMI E COLLOQUI FINALI
7.01 Esami e colloqui
8.00 AMMINISTRAZIONE
8.01 Assicurazioni
8.02 Illuminazione e forza motrice
8.03 Riscaldamento e condizionamento
8.04 Spese telefoniche
8.05 Spese postali
8.06 Cancelleria e stampati
9.00 FORMAZIONE FORMATORI
9.01 Retribuzione ed oneri personale
docente interno
9.02 Collaborazioni professionali docenti
esterni
9.03 Retribuzione ed oneri partecipanti
10.00 SPESE VIAGGIO E SOGGIORNO
ALLIEVI
187
10.01 Spese per viaggi giornalieri
10.02 Spese di viaggio per corsi esterni
10.03 Vitto
10.04 Alloggio
11.00 SPESE VIAGGIO TRASFERTE
RIMBORSI PERSONALE
11.01 Personale docente
11.02 Tutors
11.03 Altro personale
TOTALE GENERALE DEL PROGETTO
188
Progettualità e
fonti di finanziamento
Vincenzo Castelli
Premessa
Il materiale che segue vuole offrire alcune
schede sintetiche, parziali in verità, delle fonti
di finanziamento possibili per sostenere e sviluppare progetti “ad hoc” nell’ambito della prostituzione.
Tale lavoro è diviso in due parti:
1. Analisi delle fonti finanziarie nazionali.
2. Analisi delle fonti finanziarie dell’Unione
Europea.
Fonti finanziarie nazionali
Legge n. 216/91
Interventi a favore dei minori soggetti a rischio di
coinvolgimento in attività criminose
Obiettivo
Contrastare, attraverso azioni
pilota, il fenomeno della criminalità minorile.
Destinatari finali Minori a rischio o all’interno di
circuiti penali
Finanziamento Il Ministero garantisce la sovvenzione dell’intero importo accordato.
Realizzazione
I progetti vanno realizzati nell’arco di 12 mesi.
189
Scadenza
Riferimenti
La richiesta può essere inoltrata
sia da Enti Pubblici che dal privato sociale.
Si è in attesa di Circolare ministeriale (scadenza annuale)
Presidenza del Consiglio dei
Ministri - Ministero per la Famiglia
e la Solidarietà Sociale
DPR n.309/90
Fondo Nazionale Lotta alla Droga
Obiettivo
Interventi di prevenzione, cura,
riabilitazione, riduzione del
danno, reinserimento socio-lavorativo per soggetti tossicodipendenti.
Destinatari finali Giovani a rischio, tossicodipendenti, ex tossicodipendenti, famiglie, insegnanti, agenzie socioeducative
Finanziamento Il Ministero garantisce la sovvenzione dell’intero importo accordato.
Realizzazione
I progetti vanno realizzati nell’arco di 12 mesi. La richiesta può
essere inoltrata sia da parte di Enti
Locali (ed ASL) che da parte degli
Enti Ausiliari (iscritti all’Albo
regionale)
Scadenza
Si è in attesa di Circolare regionale (scadenza annuale)
Riferimenti
Assessorato Regionale Servizi
Sociali
190
Legge n.135/90
Programma di interventi urgenti per la prevenzione e
la lotta contro l’AIDS
Obiettivo
Interventi diversificati per ricerca,
informazione ed azioni pilota per
la prevenzione e la lotta all’Aids.
(Cfr. art.1- comma 1- lett.a).
Destinatari finali Gruppi a rischio di contrazione
HIV
Finanziamento Il Ministero garantisce la sovvenzione dell’intero importo accordato.
Realizzazione
I progetti vanno realizzati nell’arco di 12 mesi.
La richiesta può essere inoltrata
sia da Enti Pubblici che dal privato sociale.
Scadenza
Si è in attesa della circolare ministeriale (scadenza annuale)
Riferimenti
Ministero della Sanità
Legge n. 285/97
Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza.
Obiettivo
Attivazione di interventi diversificati di prevenzione, azioni pilota,
progetti strutturati per promuovere diritti ed opportunità per le
fasce minorili, adolescenziali e le
agenzie socio-educative ad esse
collegate.
Destinatari finali Fasce minorili, adolescenziali e le
agenzie socio-educative ad esse
collegate.
191
Finanziamento
Realizzazione
Scadenza
Riferimenti
Il Ministero garantisce la sovvenzione dell’intero importo accordato.
I progetti vanno realizzati nell’arco di 12 mesi. Si prevede altresì
una programmazione triennale
(1997-1999). In particolare occorre fare riferimento all’art.4,
comma 1, punto h ad oggetto:
“Interventi di prevenzione e di
assistenza nei casi di abuso o
sfruttamento sessuale”.
La richiesta può essere inoltrata
dagli Enti Locali.
Il progetto avrà una scadenza
definitiva dagli Assessorati Servizi
Sociali delle singole regioni (per
quanto concerne le città non
metropolitane).
Per le città metropolitane (Torino
- Milano - Genova - VeneziaBologna - Firenze - Roma - Napoli
- Bari - Reggio Calabria - Catania Palermo - Cagliari) si è in attesa
del finanziamento diretto da parte
della Presidenza del Consiglio dei
Ministri - Ministero per la Famiglia
e la Solidarietà Sociale.
Presidenza del Consiglio dei
Ministri - Ministero per la Famiglia
e la Solidarietà Sociale
Legge n.266/91
Gestione del Fondo per il Volontariato.
Obiettivo
Attivazione di progetti sperimen192
tali, elaborati da organizzazioni di
volontariato, per far fronte ad
emergenze sociali e per favorire
l’applicazione di metodologie di
intervento particolarmente avanzate ed innovative.
Destinatari finali Fasce svantaggiate che non sono
beneficiarie di interventi già previsti “ad hoc”.
Finanziamento 30% dell’importo a carico dell’ente destinatario del progetto
Realizzazione
I progetti vanno realizzati nell’arco di 12 mesi.
La richiesta può essere inoltrata
solamente da organizzazioni di
volontariato iscritte all’Albo
Regionale del Volontariato.
Scadenza
Si è in attesa di Circolare ministeriale (scadenza annuale)
Riferimenti
Presidenza del Consiglio dei
Ministri - Dipartimento per gli
Affari Sociali.
Legge quadro sull’immigrazione
In corso di approvazione
Obiettivo
Attivazione di percorsi di uscita
dalla prostituzione di strada attraverso la realizzazione di programmi di assistenza e di integrazione
sociale (con la possibilità di fruire
del permesso di soggiorno per
motivi di giustizia in grado di consentire l’accesso ai servizi assistenziali ed allo studio nonché l’iscrizione alle liste di collocamen193
to e lo svolgimento di lavoro
subordinato (Cfr. art.16).
Destinatari finali Prostitute immigrate che chiedono un programma di protezione
sociale.
Finanziamento Vengono garantiti agli enti gestori
(pubblici e privati) della protezione sociale i costi relativi all’applicazione dei predetti obiettivi.
Realizzazione
I progetti vanno realizzati nell’arco di 12 mesi.
Scadenza
Non ancora definita
Riferimenti
Ministero della Famiglia e della
Solidarietà Sociale.
Fonti finanziarie Unione Europea
Programma STOP
Obiettivo
Il programma intende promuovere iniziative coordinate relative
alla lotta contro la tratta degli
esseri umani e lo sfruttamento
sessuale.
Destinatari finali Le vittime della tratta e dello sfruttamento sessuale, in particolare
ragazze minori.
Finanziamento Il contributo finanziario a carico
del bilancio comunitario non
potrà superare l’80% del costo
dell’azione.
Realizzazione
Il programma comprende azioni
nei seguenti assi:
- formazione
- programmi di scambio e di tirocini
194
Scadenza
Pubblicazione
Riferimenti
- studi e ricerche
- circolazione di informazioni
Possono inoltrare le domande
soggetti pubblici e del privato
sociale.
31 marzo 1998
G.U. CE L 322 del 12.12.1996
Comitato STOP
Commissione europea. Segretariato generale
Task Force Cooperazione nel settore della giustizia e degli affari
interni. Unità Cooperazione di
polizia e doganale.
Rue de la Loi, 200
B- 1049 Bruxelles
Tel. 0032-2-2966701
Iniziativa DAFNE
Obiettivo
L’iniziativa tende a creare misure
volte a combattere la violenza
contro i bambini, gli adolescenti e
le donne.
Destinatari finali Bambini, adolescenti e donne che
subiscono violenza e sfruttamento
sessuale.
Finanziamento Il contributo della Comunità non
potrà superare il tasso massimo
dell’80% del costo totale stimato.
Realizzazione
In particolare si vogliono attivare
le seguenti azioni:
- Protezione di bambini, adolescenti e donne e prevenzione di
tutte le forme di violenza e sfruttamento sessuale, traffico ed altre
195
Scadenza
Riferimenti
forme di abuso (n.4))
- Azioni volte a contrastare le reti
internazionali di pedofili (n.5)
Progetti pilota (n.6)
La durata dei progetti è di 12
mesi.
Possono inoltrare le domande
soggetti pubblici e del privato
sociale (ONG).
30 giugno - 15 settembre
Commissione europea. Segretariato generale
Task Force Cooperazione nel settore della giustizia e degli affari
interni.
Rue de la Loi, 200
B- 1049 Bruxelles
fax. 0032- 2- 2950174
Programma d’azione comunitaria a medio
termine per le pari opportunità per le donne
e gli uomini (1996-2000)
Obiettivo
Il programma è destinato ad
appoggiare gli sforzi di promozione delle pari opportunità per le
donne e gli uomini.
Il programma costituisce un
importante complemento alle
azioni avviate nell’ambito di altre
politiche comunitarie, compresi i
Fondi Strutturali.
Il valore precipuo del programma
consiste in particolare nell’individuazione e nello scambio di informazioni e di esperienze sulle
196
buone pratiche nel settore delle
pari opportunità per le donne e
gli uomini.
Destinatari finali Agenti di cambiamento
Gestori di risorse umane
Donne
Finanziamento La Commissione darà un contributo massimo del 60% dell’intero
costo del progetto.
Realizzazione
Le azioni - tipo da realizzare sono
le seguenti:
- Integrazione della dimensione
delle pari opportunità in tutte le
politiche ed azioni;
- Occupazione e vita professionale;
- Processo decisionale
- Informazione e ricerca
- Statistiche
La durata dei progetti è variabile
(in genere è di 12 mesi).
Possono inoltrare le domande
soggetti pubblici e del privato
sociale. In particolare organismi
di donne.
Scadenza
Variabile
Pubblicazione G.U. L. 335 del
30/12/1995
Programma Sanità Pubblica
(1996-2000)
Obiettivo
Si tratta di un Programma d’azione comunitario concernente la
promozione della salute, l’informazione, l’educazione e la forma197
zione sanitaria nel quadro dell’azione nel campo della Sanità
Pubblica (1996-2000).
Destinatari finali Si tratta di lavorare sui seguenti
ambiti di riferimento:
- promozione della salute
- educazione alla salute
- informazione sanitaria
- tossicodipendenza
- HIV
Finanziamento La Commissione darà un contributo massimo del 50% dell’intero
costo del progetto.
Realizzazione
Si tratta di alcune azioni tipologiche innovative, con una forte connotazione trans-nazionale, quali:
- progetti pilota;
- ricerche
- creazione e gestione di reti
- scambi e trasferimento di know
how
La durata dei progetti è in genere
è di 12 mesi.
Possono inoltrare le domande
soggetti pubblici e del privato
sociale.
Scadenza
15 marzo 1998
Pubblicazione G.U. C 252,
9.9.1994 – G.U. C 135, 2.6.1995 –
G.U. C 89, 10.4.1995 – G.U. C 102,
24.4.1995
Programma Lotta al turismo sessuale
Obiettivo
Azioni di comunicazione nel
campo della lotta al turismo ses198
suale. Tali interventi mirano al
rafforzamento delle campagne
nazionali d’informazione e di sensibilizzazione contro il turismo
sessuale.
Destinatari finali Bambini/e ed adolescenti abusati
e sfruttati sessualmente
Finanziamento La partecipazione finanziaria della
Commissione ammonterà al massimo al 60% del totale dei costi
ammissibili.
Realizzazione
La Commissione intende cofinanziare progetti relativi alla realizzazione di azioni di comunicazione
nel campo della lotta al turismo
sessuale che coinvolge l’infanzia e
che abbiano rilevanza su scala
europea.
La durata dei progetti è di 12
mesi.
Possono inoltrare le domande
soggetti pubblici e del privato
sociale.
Scadenza
Ottobre 1998
Pubblicazione G.U.C.E. C 232 del
31.07.1997
Riferimenti
Commissione Europea
DG XXIII, Unità C/3
Rue de la Loi, 200
1049 Bruxelles
tel. 0032-2-22995050
Programma Phare e Tacis Democracy
Obiettivo
Scopo del programma è quello di
contribuire, con azioni positive e
199
diversificate, al consolidamento di
società democratiche, rispetto dei
diritti nei paesi PECO e NIS
Destinatari finali Soggetti svantaggiati
Finanziamento La partecipazione finanziaria della
Commissione ammonterà al massimo al 90% del totale dei costi
ammissibili.
Realizzazione
La Commissione intende cofinanziare progetti relativi alla realizzazione di azioni di rafforzamento
di ONG e trasferimento di esperienze nel campo educativo, prevenzione dei conflitti, promozione dei diritti umani e delle pratiche sociali.
La durata dei progetti è di 36
mesi.
Possono inoltrare le domande
soggetti pubblici e del privato
sociale.
Scadenza
31 ottobre - 30 aprile
Pubblicazione G.U.CE 94/C
337/08 del 1° dicembre 1994
Riferimenti
European
Human
Rights
Foundation - 70 Avenue Michel
Ange - B - 1000 Bruxelles
Tel. 0032-2-73680405
Programma Leonardo da Vinci
Obiettivo
Applicazione di una politica di
formazione continua in grado di
promuovere:
- azioni positive a favore di giovani sfavoriti, privi di una formazio200
ne adeguata;
- la parità di accesso alla formazione iniziale e continua delle
persone svantaggiate;
- la parità di opportunità in materia di accesso di uomini e donne
alla formazione;
- la parità di opportunità in materia di accesso dei lavoratori
migranti e dei loro figli.
Destinatari finali Giovani in difficoltà, donne immigrate.
Finanziamento La partecipazione finanziaria della
Commissione ammonterà al massimo al 70% del totale dei costi
ammissibili.
Realizzazione
In particolare si pone l’attenzione
sulla realizzazione dei “Progetti
Pilota”.
Essi dovrebbero mirare a:
- sviluppare la qualità e la capacità di innovazione dei sistemi e
dei dispositivi per la formazione
professionale;
- supportare l’innovazione della
formazione professionale.
Per il nostro specifico ci si orienta
verso le misure I.1.1.d (promozione delle pari opportunità) e I.1.1.e
(miglioramento della qualità dei
dispositivi di formazione professionale a favore delle persone
svantaggiate).
La durata dei progetti è di 12
mesi.
Possono inoltrare le domande
soggetti pubblici e del privato
201
Scadenza
Riferimenti
sociale. In particolare organismi
di formazione.
Primavera 1998
Pubblicazione G.U. L. 340,
29/12/1994
ISFOL (Assistenza Tecnica)
Via Morgagni, 43 - Roma
Commissione Europea Direzione
Generale XII Istruzione,
Formazione e Gioventù
Rue de la Loi, 200
B - 1049 Bruxelles
Iniziative Comunitarie Occupazione
Programma NOW
Obiettivo
L’iniziativa comunitaria Occupazione tende ad attivare azioni
mirate nell’ottica di offrire modelli
pilota di buone pratiche nell’ambito dell’inserimento lavorativo
delle fasce svantaggiate.
In particolare il programma NOW
viene rivolto a donne disoccupate, svantaggiate e viene perseguito l’obiettivo primario di contribuire a ridurre la disoccupazione
femminile e di migliorare il loro
statuto professionale.
Destinatari finali Donne disoccupate
Donne svantaggiate
Donne immigrate
Agenti di cambiamento e gestori
di sistemi
Finanziamento La Comunità garantisce con il
Fondo Sociale Europeo il 45% del
202
Realizzazione
Scadenza
Riferimenti
contributo (ob.3). Il restante 55%
viene garantito dal Fondo di
Rotazione dello Stato Membro (in
genere il 10% viene garantito dal
promotore del progetto).
Il programma tende ad attivare
n.4 azioni - tipo:
- Azioni di sistema
- Azioni di formazione
- Azione di imprenditoria
- Azioni di informazione
La durata dei progetti è di 24
mesi.
Possono inoltrare le domande
soggetti pubblici e del privato
sociale. In particolare organismi
di formazione.
La fase 1997-99 è appena stata
approvata dal Ministero del
Lavoro e della Previdenza Sociale
Pubblicazione G.U. C 180,
1/7/1994
ISFOL (Assistenza Tecnica)
Via Morgagni, 43 - Roma
Ministero del Lavoro e della
Previdenza Sociale
Vicolo D’Aste, 12 - Roma
Iniziativa Comunitaria
ADAPT
Obiettivo
L’iniziativa comunitaria Occupazione ADAPT tende ad attivare
azioni innovative mirate nell’ottica di offrire nuovi modelli pilota
di buone pratiche nell’ambito del203
l’adattamento socio-economico.
In particolare il programma
ADAPT vuole favorire la creazione di posti di lavoro connessi ai
mutamenti indotti dalla società
complessa e per aumentare la
competitività europea nei nuovi
settori.
Destinatari finali Giovani in formazione
Giovani in mobilità
Agenti di cambiamento e gestori
di sistemi
Finanziamento La Comunità garantisce con il
Fondo Sociale Europeo il 45% del
contributo (ob.3). Il restante 55%
viene garantito dal Fondo di
Rotazione dello Stato Membro (il
25% deve essere garantito da
aziende private).
Realizzazione
Il programma tende ad attivare
n.4 azioni - tipo:
- Azioni di sistema
- Azioni di formazione
- Azione di imprenditoria
- Azioni di informazione
La durata dei progetti è di 24
mesi.
Possono inoltrare le domande
soggetti pubblici e del privato
sociale. In particolare organismi
di formazione.
Scadenza
La fase 1997-99 è appena stata
approvata dal Ministero del
Lavoro e della Previdenza Sociale
Pubblicazione
G.U. C 180, 1/7/1994
Riferimenti
ISFOL (Assistenza Tecnica)
204
Via Morgagni, 43 - Roma
Ministero del Lavoro e della
Previdenza Sociale
Vicolo D’Aste, 12 - Roma
Fondo Sociale Europeo
Piani Operativi Multiregionali (regionali) ob.3
Obiettivo
Impedire il rifluire delle categorie
disagiate (in particolare donne) in
un circuito di precarietà, di emarginazione o di inattività forzata.
Interventi resi ad individuare percorsi compositi di inserimento o
reinserimento lavorativo.
Interventi tesi alla crescita della
consapevolezza in materia di pari
opportunità.
Destinatari finali Donne disoccupate
Donne svantaggiate
Agenti di cambiamento e gestori
di risorse umane
Finanziamento La Comunità garantisce con il
Fondo Sociale Europeo il 45% del
contributo (ob.3). Il restante 55%
viene garantito dal Fondo di
Rotazione dello Stato Membro (in
genere il 10% viene garantito dal
promotore del progetto).
Realizzazione
Il programma tende ad attivare le
seguenti azioni - tipo:
- Azioni di orientamento
- Azioni di formazione
- Azione per la creazione di lavoro autonomo
- Azioni di sostegno all’avviamen205
Scadenza
Riferimenti
to di impresa
- Azioni di ricognizione nuovi
bacini d’impiego
Cfr. in particolare asse 3 e 4 dell’ob.3
La durata dei progetti è di 12
mesi.
Possono inoltrare le domande
soggetti pubblici e del privato
sociale. In particolare organismi
di formazione.
Estate 1998
ISFOL (Assistenza Tecnica)
Via Morgagni, 43 - Roma
Ministero del Lavoro e della
Previdenza Sociale
Vicolo D’Aste, 12 - Roma
Fondo Sociale Europeo
Piani Operativi Multiregionali (regionali) ob.3
Azioni innovative
Obiettivo
Impedire il rifluire delle categorie
disagiate (in particolare donne) in
un circuito di precarietà, di emarginazione o di inattività forzata.
Interventi resi ad individuare percorsi compositi di inserimento o
reinserimento lavorativo.
Interventi tesi alla crescita della
consapevolezza in materia di pari
opportunità.
Attivazione di azioni innovative
sia per individuazione di nuove
metodologie formative, che per
tipologia di target, che per proce206
dure e nuovi bacini d’impiego, sia
per tecnologie utilizzate.
Destinatari finali Donne disoccupate
Donne svantaggiate
Agenti di cambiamento e gestori
di risorse umane
Finanziamento La Comunità garantisce con il
Fondo Sociale Europeo il 45% del
contributo (ob.3). Il restante 55%
viene garantito dal Fondo di
Rotazione dello Stato Membro (in
genere il 10% viene garantito dal
promotore del progetto).
Realizzazione
Il programma tende ad attivare le
seguenti azioni - tipo:
- Azioni di orientamento
- Azioni di formazione
- Azione per la creazione di lavoro autonomo
- Azioni di sostegno all’avviamento di impresa
- Azioni di ricognizione nuovi
bacini d’impiego
Cfr. in particolare asse 3 e 4 dell’ob.3
La durata dei progetti è di 12
mesi.
Possono inoltrare le domande
soggetti pubblici e del privato
sociale. In particolare organismi
di formazione.
Scadenza
Estate 1998
Riferimenti
ISFOL (Assistenza Tecnica)
Via Morgagni, 43 - Roma
Ministero del Lavoro e della
Previdenza Sociale
Vicolo D’Aste, 12 - Roma
207
FSE - art.6 - Nuovi giacimenti occupazionali
Obiettivo
L’art.6 del Regolamento del
Fondo Sociale Europeo prevede il
finanziamento di azioni preparatorie, valutazione per la realizzazione di azioni volte ad attuare
una nuova organizzazione del
lavoro, aiuti alle imprese che si
misurano nei nuovi giacimenti
occupazionali.
Destinatari finali Disoccupati
Svantaggiati
Finanziamento La Commissione erogherà il 100%
del costo complessivo del progetto finanziato
Realizzazione
Azioni e progetti volti ad attuare
una nuova organizzazione del
lavoro, aiuti alle imprese che si
misurano nei nuovi giacimenti
occupazionali (es. servizi alle persone, i servizi della vita quotidiana), azioni di sviluppo locale per
l’occupazione.
La durata dei progetti è di 12
mesi.
Possono inoltrare le domande
soggetti pubblici e del privato
sociale. In particolare parti sociali,
imprese ed organismi di formazione.
Scadenza
Inizio 1998
Riferimenti
Commissione Europea DG V
Occupazione, relazioni industriali
ed affari sociali
Progetti art.6 FSE
Rue de la Loi, 200
208
B - 1049 Bruxelles
Fax 0032-2-22979771
Fondo Sociale Europeo
Programmi Operativi “Parco Progetti: una rete
per lo sviluppo locale”
Obiettivo
Attivazione di accordi territoriali
(misura 1), progetti in rete (misura 2) e promozione di lavoro e di
impresa per nuovi bacini d’impiego (misura 3) con avvio di interventi resi ad individuare percorsi
compositi di inserimento o reinserimento lavorativo.
Attivazione di azioni innovative
sia per individuazione di nuove
metodologie formative, che per
tipologia di target, che per procedure e nuovi bacini d’impiego, sia
per tecnologie utilizzate.
Destinatari finali Soggetti disoccupati
Donne disoccupate
Donne svantaggiate
Agenti di cambiamento e gestori
di risorse umane
Finanziamento La Comunità garantisce con il
Fondo Sociale Europeo il 45% del
contributo (ob.3). Il restante 55%
viene garantito dal Fondo di
Rotazione dello Stato Membro .
Realizzazione
Il programma tende ad attivare le
seguenti azioni - tipo:
- Azioni di orientamento
- Azioni di formazione
- Azione per la creazione di lavo209
Scadenza
Riferimenti
ro autonomo
- Azioni di sostegno all’avviamento di impresa
- Azioni di ricognizione nuovi
bacini d’impiego
Cfr. in particolare asse 3 e 4 dell’ob.3
La durata dei progetti è di 12
mesi.
Possono inoltrare le domande
soggetti pubblici e del privato
sociale. In particolare organismi
di formazione.
Non c’è una scadenza perentoria.
Pubblicazione
G.U.
265
13/11/1997
ISFOL (Assistenza Tecnica)
Via Morgagni, 43 - Roma
Ministero del Lavoro e della
Previdenza Sociale
Vicolo D’Aste, 12 - Roma
210
La valutazione di progetti
sulla prostituzione
Liliana Leone* e Pina De Angelis**
Caratteristiche dei progetti sulla prostituzione e
domanda di valutazione
L
a prostituzione è un fenomeno in larga
parte sommerso caratterizzato da continui cambiamenti connessi a fenomeni migratori, traffici
di micro e macro organizzazioni criminali, cambiamenti a livello della domanda sul versante
dei clienti (nuove mode e richieste). Come altri
fenomeni al margine della legalità (almeno in
Italia) risente della mancanza di dati e statistiche
ufficiali. Le stime nazionali orientative (tra le
quali spicca quella del Parsec in collaborazione
con l’Università di Firenze sul traffico delle
donne immigrate per sfruttamento sessuale)
sono basate sulle informazioni raccolte con
interviste a testimoni privilegiati. Esistono poi
diversi modi di prostituirsi con diversi gradi di
sfruttamento.
Solitamente le prostitute hanno stili di vita
mutevoli, un’alta mobilità territoriale e poca
disponibilità a impegnare tempo in interviste o
somministrazione di questionari.
Di contro i progetti che intendono intervenire
sul fenomeno della prostituzione, ad esempio
per ridurre il rischio di contrarre AIDS e altre
malattie sessualmente trasmissibili, sono caratterizzati da una fragilità finanziaria e dalla difficoltà a poter contare su programmi di lavoro a
211
lungo termine (4 - 5 anni)
Questi progetti sono inoltre “giovani”, la
maggior parte, infatti, si sono sviluppati a partire dagli anni ’90 (anche se le strategie di lotta
alla prostituzione vengono da lontano, dalla
prima adesione dei paesi europei alla
“Convenzione di New York” del ’49 e quindi dal
Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute e di
Amnesty for Women entrambi sorti nel 1982) e
in confronto ad altre tipologie di progetti la diffusione dei risultati non è ancora capillare.
Le competenze professionali di cui necessitano questi progetti sono altamente specifiche
anche se in buona parte sono mutuate o derivano da precedenti esperienze sviluppate in progetti per la riduzione del danno nelle tossicodipendenze.
Le metodologie d’intervento utilizzate nel settore della prostituzione prendono in prestito
abilità, competenze ed esperienze sviluppate
dalla figura degli operatori di strada affiancati
dalle peer educators e/o mediatrici culturali (v.
metodologia sviluppata da TAMPEP), come
anche dalla figura del mediatore istituzionale
per favorire gli inserimenti lavorativi (v. esperienze di inserimento lavorativo per fasce deboli).
Si inizia ora a parlare di profili professionali
ma si tratta pur sempre di profili deboli (come
lo sono d’altronde tutti i profili nel “sociale”),
scarsamente definiti e riconosciuti (v. differenze
nella durata e nella tipologia di formazione prevista).
I progetti che intervengono sul fenomeno
della prostituzione si trovano a dover gestire
212
una complessità connessa all’approccio teorico
ed operativo le cui problematicità si collocano
su più livelli:
1. Quello della legittimità a livello di comunità e a livello istituzionale: il tema della prostituzione è ancora sottaciuto, negato, fonte di
contrasti ideologici e alcuni ostacoli alla realizzazione degli stessi progetti talvolta derivano
anche da resistenze culturali interne (nel caso di
autocommittenze) ed esterne alle istituzione
pubbliche.
2. Quello della definizione degli approcci di
prevenzione e di riduzione del danno (è prevenzione l’informazione sul blood test? è riduzione del danno l’aumento di contatti delle
lavoratrici sessuali con gli operatori?...).
3. Quello del superamento di una dicotomia
negli approcci orientati esclusivamente o sulla
riduzione del danno o sull’inserimento sociale
(accoglienza, inserimento lavorativo, ecc...)
delle prostitute.
4. Quello della multifattorialità dei rischi e
degli in-put di variazione sul sistema .
5. Quello della comunità e del suo empowerment (Se e come debbano prevedersi e misurarsi la modificazione del contesto, comprendere
l’impatto sul territorio e sulla sua rappresentazione sociale del fenomeno).
6. Quello della gestione del paradosso visibilità/riservatezza: i progetti devono essere visibili nei confronti di organizzazioni della rete dei
213
servizi (EELL, forze dell’ordine, presidi sanitari...) e al tempo stesso devono garantire totale
riservatezza nei confronti del proprio target e
della rete dei collaboratori (es.: imprese per l’inserimento lavorativo, gruppi di accoglienza,
garanti della sicurezza degli operatori...).
7. Quello della professionalità esposta a rischio
di burn-out: il contesto in cui gli operatori intervengono è molto incerto e richiede un alto coinvolgimento, la visibilità dei risultati è scarsa e il
contesto in cui operano offre pochi elementi
“contenitivi” (è più protettivo e rassicurante un
contesto più definito come quello di un ufficio...).
Perché valutare: quali benefici e per chi
Il processo di valutazione risponde in sé ad
alcuni obiettivi espliciti e impliciti che mutano a
seconda da chi proviene la “domanda “ di valutazione e di come questa viene utilizzata.
L’organizzazione che gestisce operativamente
il progetto dovrebbe poter utilizzare la valutazione per:
- sviluppare una capacità interna di riflessione al fine di verificare, adeguare e migliorare
le metodologie di intervento utilizzate;
- sviluppare un sistema di monitoraggio che
permetta di tenersi aggiornati rispetto alle continue modificazioni del target (riformulazione
progettazione operativa);
- offrire agli operatori coinvolti nel progetto
una maggiore tangibilità dei risultati raggiunti
e di conseguenza la possibilità di sostenerli e di
sviluppare apprendimenti (non solo attraverso
214
un supporto psicologico-relazionale ma anche
di follow up);
- comprendere la coerenza e l’adeguatezza
delle risposte e delle attività programmate rispetto alla cultura dei bisogni (es. se le case di accoglienza sono un modello trasferibile alle prostitute nigeriane...);
- supportare i processi decisionali (monitoraggio) e sviluppare apprendimenti dall’esperienza (importante feed back per l’operatore);
- avere una percezione esterna del progetto
che non sia quella di chi vi è coinvolto quotidianamente e sviluppare confronti e apprendimenti mettendo in “rete” i risultati della propria
esperienza;
- restituire al committente/finanziatore dei
risultati e accrescere la propria legittimità ad
operare nel settore.
Nell’insieme si tratta di progetti che potremmo considerare “pilota”(v. il terzo paragrafo),
progetti in cui l’incertezza è ancora alta a livello
di metodologie di intervento (livello tecnico) e
in cui, di conseguenza, la valutazione dovrebbe
ancora centrarsi sulla validità interna dei modelli di intervento.
Come valutare: approcci e metodi di valutazione
I programmi - e i progetti al loro interno sviluppati - possono essere distinti in due tipi:
a) dimostrativi, ovvero ancora in fase sperimentale;
b) operativi, ovvero a regime (Sauchman
1972).
215
a) I programmi dimostrativi a loro volta sono
classificati in:
programmi pilota, programmi modello e prototipi a seconda del grado di convalidazione
delle metodologie e delle procedure adottate.
a1) I programmi pilota “si svolgono in un
periodo iniziale di trial-and-error, in cui vengono esplorati nuovi approcci e procedure (...)
che vengono riviste rapidamente in modo flessibile. Si impara dall’esperienza e dai problemi
che sorgono. Qui ci vuole una valutazione rapida, con grande enfasi sui feedback. Non è possibile basarsi su un disegno sperimentale di
valutazione, e ci si affida piuttosto a case
studies, osservazioni ecc.”
a2) Nei programmi modello si sa “che il successo è possibile” (validità interna), ma non si è
ancora certi di voler/poter diffondere il programma su vasta scala. Per farlo, si vuole avere
una maggiore certezza sulle condizioni di applicabilità in luoghi e contesti diversi (validità
esterna). Qui si prevede un disegno di valutazione di tipo sperimentale, in cui si confronti un
gruppo sperimentale cui si somministra il programma con uno di controllo cui il programma
non viene somministrato.”
a3) Il prototipo rappresenta “lo stadio in cui il
programma è stato testato ampiamente e può
essere reso operativo su vasta scala. Qui il disegno della valutazione deve cercare di avvicinarsi al modello sperimentale (attraverso i quasiesperimenti), tenendo la situazione attuale del
programma come gruppo sperimentale e quella
dei programmi precedenti come gruppo di controllo.” (Stame N.)
216
b) Programmi operativi.
“Una volta che il programma sia a regime non
è più necessario valutarlo tramite un disegno
sperimentale, perché si cerca piuttosto di capire
come si può migliorare il programma esistente:
lo si farà con un sistema di monitoraggio, e con
analisi di processo, con valutazioni continue del
personale, ecc.”.
“Un progetto operativo che va bene viene
normalmente applicato da varie parti, anche se
- come vedremo subito - ciò non significa dire
se esso sia esattamente “riprodotto”. Un progetto pilota, invece, non può accontentarsi di un
solo successo per potersi ritenere riproducibile
(siamo così venuti al secondo slittamento linguistico): infatti, tra i progetti dimostrativi solo i
prototipi sono - per definizione - considerati
riproducibili, mentre i progetti pilota hanno
ancora bisogno di verifiche e di decisioni di
attuazione.” (Stame N.). Nel proseguire l’articolo la Stame mette in guardia da un utilizzo acritico di questa distinzione ricordando che in
campo sociale la costante variabilità del contesto in cui si colloca un progetto fa si che in un
certo senso quest’ultimo debba essere sempre
considerato “dimostrativo” e non invece a regime.
Gli ultimi approcci sviluppati nell’ambito
della ricerca valutativa rifuggono da modelli
“pesanti” centrati su tecniche matematico-statistiche che spesso calandosi in processi di
implementazione (la concreta realizzazione dei
progetti) faticosi e di tipo adattativo, provocano
degli inutili appesantimenti e dei rallentamenti
dei processi decisionali (piuttosto che dei sostegni) (Bertin 1995).
217
Attualmente si utilizzano approcci diversificati a seconda dei contesti decisionali (si parla di
approccio multidimensionale e pluralistico), ma
che non rinunciano all’obiettivo di ridurre l’incertezza e di migliorare il processo decisionale
attraverso una messa in comune ed uno sviluppo delle conoscenze, dei diversi apprendimenti
sviluppati a partire dall’operatività.
Diversi sono gli obiettivi che può perseguire
la valutazione (valutazione ex ante, di processo,
della riproducibilità, della qualità...) come pure
le pratiche che utilizza: disegni basati sull’autovalutazione degli operatori, sul giudizio degli
utenti ecc.
Gli approcci di valutazione più ricorrenti dei
progetti sulla prostituzione, di cui si ha documentazione scritta, si collocano generalmente
sulla valutazione di un primo livello d’intervento definibile come “Azioni sulla strada” (Castelli
1997) o come interventi di “Prevenzione primaria” (Brussa 1995): diffusione di informazioni
relative alla prevenzione e alla profilassi igienico-sanitaria e facilitazioni nella fruibilità del target dei servizi sanitari.
Le caratteristiche fondamentali che accomunano tali metodologie di valutazione possono
essere lette attraverso tre elementi portanti:
a) Partecipazione
I progetti sono caratterizzati da una forte partecipazione dei soggetti che gestiscono e realizzano il progetto (lo staff). I motivi di un approccio “partecipato” anche nella valutazione dei
progetti sono in parte evidenti tuttavia, ci conviene esplicitarli:
- Gli operatori in questa prima fase sviluppano un prezioso Know how necessario a impian218
tare un sistema di osservazione e sono loro stessi ad individuare, costruire e migliorare alcuni
strumenti utilizzati nella raccolta dei dati (es
voci previste nelle schede contatto). La partecipazione coinvolge in alcune fasi specifiche il
target di riferimento attraverso le figure delle
peer educators (che a differenza dei mediatori
culturali sono membri del target group) soprattutto nei casi di stanzialità del fenomeno. La
partecipazione di prostitute appartenenti al target sembra meno evidente e andrebbe rinforzata.
- La valutazione costa in termini di tempo e di
energie e per poter essere sostenuta e risultare
utile deve poter rispondere anche alle esigenze
(di informazione, apprendimento, confronto...)
di chi direttamente opera (lo staff).
- I criteri di valutazione non sono a carattere
universale ma sono frutto della co-definizione
di diversi attori (v. La difficoltà nell’individuazione di indicatori di efficacia non è solo di
ordine tecnico e metodologico). Inoltre co-definire un criterio di valutazione, ricercare insieme
gli indicatori ha come immediato riscontro il
fatto che ci si deve intendere maggiormente sul
“cosa si vuole ottenere e sul cosa è possibile
realisticamente ottenere”.
b) Attenzione posta al monitoraggio del fenomeno
prostituzione
- Viene posta una grossa rilevanza al monitoraggio delle caratteristiche del Target. Quasi
tutti i progetti hanno sviluppato in modo continuativo delle indagini e dei monitoraggi tramite
schede contatto per poter “mappare” con continuità il fenomeno (es: Progetto Lucciola, Coop.
Magliana 80 - Roma) , conoscere i comporta219
menti di gruppo e l’influenza del soggetto leader all’interno dei gruppi. Questa attenzione
risponde a delle esigenze fondamentali: gli
interventi sviluppati dai progetti per tipologia e
dislocazione devono continuamente adattarsi
alle modificazioni del target attraverso il lavoro
di aggancio e di informazione (v. Rapporto tra
orario di presenza sulla strada e nazionalità
delle prostitute a cui va coniugata la scelta di
utilizzare in modo efficace le unità di strada e le
disponibilità delle mediatrici culturali).
- L’interrelazionalità tra ricerca ed intervento,
tra sviluppo di conoscenze e progettazione
degli interventi, è una delle caratteristiche del
metodo di lavoro del progetto TAMPEP.
c) Valutazione degli interventi
- Prevale una valutazione di processo centrata
su un’analisi degli output, della quantità di attività sviluppate dagli operatori (n° contatti, n°
depliants e altro materiale informativo dato, n°
preservativi distribuiti, n° esami, n° accompagnamenti ai servizi).
- Numerare ciò che si fa è il primo passo per
rendere visibile a sé e agli altri la propria operatività, tuttavia, in alcuni casi se non viene affiancata ad altri tipi di valutazione poco ci dice sugli
esiti complessivi.
- Nel caso di adozione di comportamenti e
metodologie già sperimentate (es: vaccinazioni
per epatite b) è invece più significativo il rapporto tra risultati attesi (efficacia) e intervento
(n° % persone vaccinate).
- I vari progetti comunque sviluppano una
valutazione interna (più o meno formalizzata)
attraverso riunioni di equipe e avvalendosi, a
volte, di una supervisione.
220
Esempio di valutazione sviluppato nell’ambito dei
progetti
Il seguente schema (v. Tab 1) è stato tratto
dal rapporto conclusivo del Progetto EUROPAP
(EUROPAP 1994) a cui hanno partecipato undici
paesi europei e si riferisce alle raccomandazioni
sui sistemi di valutazione dei progetti; si tratta di
una traduzione libera che per adattarsi al nostro
discorso ha subìto alcune modifiche e delle
aggiunte (Progetto EUROPAP, Conclusioni
Generali e Raccomandazioni di Rudolf P. Mak).
Ve la proponiamo perché rispetto al tema
della valutazione ci sembra il documento ufficiale più completo sin’ora prodotto a livello
europeo da chi opera nel settore della prostituzione. Come si potrà facilmente osservare lo
schema che vi proponiamo ha il pregio e contemporaneamente il limite di focalizzarsi su una
specifico modello di intervento: quello della
riduzione del danno. Si tratta di uno schema
che può aiutare i soggetti che operano secondo
tale modello a sviluppare più adeguatamente
una autovalutazione che riguarda le diverse fasi
di realizzazione di un progetto.
Indicazioni operative per lo sviluppo di impianti di
valutazione
Un ragionamento sulla valutazione deve
tener conto delle caratteristiche dei progetti e
non può calarsi aprioristicamente senza una
conoscenza degli stessi e della realtà organizzativa che lo va a gestire: gli elementi accennati in
precedenza ci offrono diversi spunti.
Riassumendo quanto esposto nei primi para221
grafi osserviamo che esistono delle specificità
dei progetti sulla prostituzione connesse a:
- fenomeno prostituzione
- target
- risorse finanziarie e umane
- modelli di intervento
- cultura del settore
Tali specificità riteniamo debbano essere considerate il punto di partenza per sviluppare
degli impianti di valutazione che possiedano le
caratteristiche seguenti: validità metodologica,
fattibilità e congruenza con vincoli e risorse presenti nei progetti e nelle organizzazioni che li
gestiscono, utilità e vantaggi (in termini di sviluppo di apprendimenti, di sostegno ai processi
decisionali...) per gli attori coinvolti (operatori,
organizzazione che gestisce il progetto...).
Di seguito nella tabella (Tab.2) vengono
esposti i rapporti esistenti tra caratteristiche dei
progetti e indicazioni operative utili allo sviluppo di processi di valutazione interni ai progetti
stessi.
Conclusioni
In conclusione ci preme sottolineare che un
ragionamento comune relativo agli impianti ed
alle metodologie di valutazione adottate dai
diversi progetti attualmente in corso in Italia ed
in Europa ci sembra potrebbe aiutare in modo
consistente lo sviluppo dei progetti nel settore
della prostituzione.
Rimangono, infatti, aperti una serie di interrogativi su cui sarebbe interessante sviluppare
“valutazione e verifiche”.
Gli interrogativi maggiori riguardano la possi222
bilità di sviluppare metodologie di intervento
integrate che rispondano a obiettivi di riduzione
del danno come pure di integrazione sociale e
di empowerment della comunità locale inteso
come capacità di contrastare i fenomeni di
emarginazione e di criminalità connessi spesso
alla prostituzione.
Mentre il modello di intervento che prevede
l’affiancamento dell’operatore di strada e della
mediatrice culturale e/o peer educator sembra
essere stato abbastanza formalizzato e verificato, una maggiore attenzione in termini di valutazione è necessario che si ponga su altre questioni tipo:
L’invio ai servizi sanitari pubblici in quali casi
ha successo?
Esistono delle resistenze da parte di alcune
donne extracomunitarie spiegabili in termini di
differenze di modelli culturali?
Che efficacia ha l’affidamento familiare di
ragazze ex prostitute, esistono famiglie più
adatte?
Come innestare percorsi che prevedano azioni di formazione professionale (es.: si veda l’esperienza di valutazione del progetto “IONIQUE – Occupazione: femminile plurale”
dell’Associazione On The Road) coerenti con le
esigenze di questo target?
Come valutare la capacità di impatto del progetto su opinione pubblica (a livello di comunità locale) e su atteggiamenti dei clienti?
Sarebbe inoltre opportuno impiantare sistemi
di verifica dei cambiamenti di atteggiamenti e di
pratiche operative (accordi, protocolli, procedure per invii e segnalazioni, prese in carico di
persone segnalate ad esempio dall’unità di strada) sviluppati durante la realizzazione del pro223
getto dagli operatori dei diversi servizi coinvolti.
Il successo dei progetti non è infatti mai affidato
ad una singola organizzazione ma alla capacità
della rete complessiva dei servizi ed al fatto che
riescano a condividere delle finalità comuni se
non proprio identici obiettivi.
*Liliana Leone è valutatrice esterna del Progetto
NOW “IONIQUE – Occupazione: femminile plurale”.
Psico-sociologa, consulente organizzativa e formatrice
nell’ambito di progetti sociali e socio-sanitari per Enti
Locali e Organizzazioni del Terzo Settore.
**Pina De Angelis si è laureata in Sociologia nel 1987
e da allora ha lavorato in diversi campi delle scienze
sociali: dalle sperimentazioni nelle scuole di diverso
livello alla consulenza per i programmi sociali per gli
Enti Locali. E’ stata coordinatrice nazionale del programma CEE Petra-Yip e attualmente è referente per
l’Agenzia Nazionale di Formazione del CNCA
(Coordinamento Nazionale delle Comunità di
Accoglienza). E’ Presidente della Cooperativa RES Risposte Esperienze Servizi.
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228
Strumenti di ricerca sociale
sul fenomeno prostituzione
Stefano Ricci*
Oggetto della ricerca
L
e insufficienze della conoscenza sui fenomeni sociali, nel nostro Paese e non solo, sono
state da più parti e più volte denunciate ma la
realtà sostanziale non è mutata notevolmente
anche se si sono avviati nuovi processi di ricerca, da equilibrare e stabilizzare. D’altra parte
ogni fenomeno sociale oggetto di studio e di
ricerca ha delle caratteristiche peculiari che
implicano l’utilizzo di strumenti e tecniche adeguate alla sua specificità.
Queste due dimensioni, la mancanza di conoscenza e la ‘particolarità’, risultano ancor più
accentuate per il tema della prostituzione in
quanto alcuni aspetti ‘propri’ lo rendono al
tempo stesso interessante e ostico: la ‘clandestinità’, le implicazioni etiche, le connessioni con
altre questioni quali giustizia, criminalità, salute,
condizione della donna, immigrazione..., la pluralità e l’eterogeneità dei soggetti coinvolti.
Gli ambiti e gli ‘oggetti’ della ricerca sociale
sul fenomeno prostituzione sono molteplici e
vanno: dall’aspetto quantitativo (con la necessità di utilizzare procedure adeguate di stima) a
quello dei flussi e delle provenienze in considerazione della crescita del fenomeno della prostituzione straniera; dall’analisi delle condizioni di
vita all’identikit di chi pratica la prostituzione;
229
dal confronto tra le politiche attivate nei diversi
Paesi alla ricognizione di risorse e risposte.
Il ‘campo di interesse’ della ricerca sociale
pone difficoltà particolari ai ricercatori in
quanto non si tratta di studiare oggetti inanimati,
reazioni e relazioni tra elementi fisici, chimici,
vegetali o animali, ma di studiare gli esseri
umani nella loro relazionalità, con le loro personalità individuali complesse, con capacità di scegliere atteggiamenti e comportamenti su base
razionale o irrazionale. I principali problemi di
metodologia della ricerca sociale che si occupa
di persone acquistano ‘sfumature’ specifiche se
visti nella prospettiva della prostituzione:
- Le origini del comportamento sociale sono
quasi sempre estremamente complesse perché
derivano da fattori ereditari, psicologici, sociali,
culturali, storici e di altro tipo che si interconnettono in maniera sempre diversa e articolata;
in molti casi è difficilissimo anche solo avvicinare gli ‘attori’ coinvolti nella prostituzione per
studiarne il comportamento.
- Le persone hanno emozioni, motivazioni,
atteggiamenti, opinioni e comportamenti fortemente caratterizzati sul piano individuale, che
risulta difficile conoscere; è diffusa la tendenza
a nascondere le proprie idee, a dare informazioni false, a proporsi in una modalità diversa dal
reale, ma nell’ambito della prostituzione appare
decisamente la ‘norma’.
- Ogni comportamento sociale può essere
influenzato, condizionato o alterato semplicemente per il fatto di essere oggetto di indagine;
un fenomeno ‘esposto e nascosto’ come quello
della prostituzione si presta particolarmente a
questo rischio, con evidenti riflessi negativi sui
risultati della ricerca.
230
- Il ricercatore sociale ‘appartiene’ alla realtà
che sta studiando per cui è difficile mantenere
un atteggiamento ‘neutrale’; fenomeni come la
prostituzione coinvolgono la cultura, la tradizione, la morale, i valori di riferimento di ogni
ricercatore.
Anche altre difficoltà ‘generali’ per la ricerca
sociale, relative alle fonti ed a strumenti appropriati, attendibili e significativi, risultano aggravate nell’approccio alle questioni relative alla
prostituzione.
I modi per risolvere questi problemi risentono di due approcci: concentrare gli sforzi sul
perfezionamento delle tecniche statistiche (sia
quantitative che qualitative) o impegnarsi in
descrizioni basate su categorie interpretative
soggettive dei comportamenti. Appare chiaro
che va ricercato un equilibrio tra gli ‘estremi’,
anche se, probabilmente, rispetto alla prostituzione può prevalere la seconda modalità, a
patto che sia scevra da pregiudizi e preconcetti
e che mantenga, quanto più possibile, un preciso riferimento ad elementi quantitativi verificabili.
Teoria
La ricerca sociale consiste nel lavoro di verifica/arricchimento della capacità di conoscenza e
di interpretazione corretta della realtà sociale,
ma rispetto ad una situazione ‘problematica’ ha
una valenza che oltre la produzione di informazione può favorire o indicare possibili soluzioni
dei problemi - ‘ricerca applicata’ -. In questa
prospettiva la ricerca sociale aiuta ad acquisire
un atteggiamento ed un metodo di ricerca che
231
permetteranno di impostare correttamente l’intervento sociale.
Questa ‘definizione teorica’ assume particolare rilevanza nell’ambito della prostituzione
dove, al di là delle motivazioni diverse che possono promuovere un processo di ricerca (dall’ordine pubblico allo sviluppo delle politiche
sociali, dalla profilassi sanitaria alla sicurezza
sociale), sono difficilmente scindibili le dimensioni della conoscenza e dell’azione sociale.
Tra le motivazioni a fare ricerca sociale, ma
anche all’operare ‘nel’ sociale, è necessario privilegiare la presenza e l’acquisizione di un
atteggiamento e di una metodologia di ricerca.
Atteggiamento di ricerca vuol dire che attraverso la ricerca si mette in discussione: la conoscenza che si ha dei problemi, il modo attraverso il quale ci si è fatti tale conoscenza, le motivazioni e le modalità con cui si affrontano i problemi. Acquisizione di una metodologia vuol
dire non solo imparare ad usare (o a conoscere)
degli strumenti di ricerca, ma soprattutto sperimentare che, comunque, chi fa ricerca non è
spettatore esterno, ma parte in causa di una
situazione.
Ha senso parlare di ricerca sociale solo se
essa è in funzione del ‘cambiamento’. Uno spirito ed una mentalità di ricerca rifiuta e rifugge
ogni atteggiamento rigido, rende disponibili
all’ascolto, alla collaborazione; non fa selezionare a priori di ciò che è o non è importante,
ma valorizza tutto quanto emerge dalla realtà; fa
partire dai bisogni non dai propri schemi.
Il ‘cambiamento’ richiesto nell’ambito della
ricerca sul fenomeno prostituzione deve prescindere da ‘assiomi valoriali’ mettendo al centro la dignità e la qualità della vita della persona
232
debole; l’avalutatività, tipica della ricerca sociale, in questo caso rappresenta un elemento irrinunciabile, di rispetto e attenzione alla persona.
Fonti
Le ‘fonti’ sono quelle entità che permettono
di acquisire informazioni e dati riguardanti
caratteri quantitativi e qualitativi di un fenomeno e si distinguono per la forma che possono
assumere: dati già pronti per l’uso (e per la prostituzione questo è il caso meno frequente),
valori sui quali è necessario compiere alcune
elaborazioni statistiche per renderli utilizzabili,
materiale che va ripreso secondo una logica
innovativa, dati da ricostruire globalmente attraverso valutazioni personali del ricercatore.
Il sistema delle fonti in generale e degli apparati statistici ufficiali pone una serie di problemi
e un’attenta valutazione critica per quanto
riguarda la significatività, l’attendibilità, la
confrontabilità dei dati. Anche per questi aspetti della ricerca sociale l’ambito della prostituzione rappresenta spesso una situazione ‘limite’.
È intuibile che c’è una certa gradualità dal
basso indice di attendibilità per le fonti orali che
cresce passando ai documenti scritti e alle statistiche ufficiali; la significatività di una fonte è in
diretta relazione con la maggiore o minore
conoscenza del fenomeno in oggetto; ma rispetto alla questione prostituzione non è detto,
anzi, che una fonte ‘significativa’ - per esempio
il racconto di una prostituta - sia di per sé ‘attendibile’, e quindi vanno sempre utilizzate più
‘fonti’ - sia ‘dirette’ che ‘indirette’ - per verificare
le informazioni acquisite.
233
Per la ‘diffusione’ del fenomeno prostituzione
non esiste (e in effetti non potrebbe esistere)
una fonte certa per cui ci si deve affidare a
diversi criteri di ‘stima’ (dati giudiziari e istituzionali integrati da indagini ad hoc, micro-censimenti svolti nelle aree di maggiore concentrazione del fenomeno, interviste a testimoni privilegiati quali operatori del settore - pubblici e del
volontariato -...).
Una fonte statistica ufficiale per la prostituzione è rappresentata, anche se non in maniera
specifica, dalle statistiche giudiziarie e penali
dell’Istituto Centrale di Statistica (ISTAT), che
raccoglie ‘numeri’ rispetto: al reato di ‘istigazione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione’ ex legge n.75/58; al reato di traffico di
donne finalizzato alla prostituzione (anche se
non consentono di isolarlo da ‘riduzione in
schiavitù’ o ‘tratta’); ai delitti ‘contro la moralità
e il buon costume’. I dati disponibili riguardano,
pur con una sfasatura temporale di circa 2 anni,
l’intero territorio nazionale disaggregato per:
regioni, numero dei delitti e delle persone
denunciate, sesso delle persone denunciate,
nazionalità e paese di provenienza.
Sul piano locale fonti utili alla conoscenza del
fenomeno prostituzione possono essere rappresentati dalle Forze dell’Ordine (ed in particolare
dalle Questure per le connessioni con il fenomeno delle immigrazioni clandestine finalizzate
allo sfruttamento della prostituzione) e dai
Tribunali. In misura minore possono essere i
Servizi Sociali di Enti Pubblici (Comuni e
Aziende U.S.L.) ad aver acquisito informazioni
sul fenomeno. In tutti questi casi risulta evidente la difficoltà di accesso ai dati per, diversamente motivate, questioni di riservatezza.
234
Piste di ricerca
In questa sede non interessano i temi della
ricerca teorica sulla prostituzione. Nell’individuare possibili ‘piste di ricerca’ sociale applicata
al fenomeno è importante ribadire la necessità
di un approccio integrato che riesca a coniugare
correttamente più ‘dimensioni’ del problema in
una prospettiva unitaria (anche se non univoca)
e complessiva. Per collegare i diversi aspetti
connessi al fenomeno prostituzione può essere
utile da un lato individuare ‘ambiti’ e ‘settori’ in
cui avviare la ricerca e, dall’altro, esporre i
caratteri dei metodi e delle tecniche di ricerca
che è possibile utilizzare.
Tra gli ‘ambiti’ della ricerca, avendo già trattato delle difficili questioni connesse con le
dimensioni quantitative del fenomeno prostituzione a livello nazionale e locale, se ne possono
evidenziare almeno quattro:
- L’ambito Culturale è vasto e raccoglie elementi che si rifanno alla ‘tradizione’, ai mutamenti nella concezione della ‘corporeità’ e dei
rapporti interpersonali e dei riferimenti etici e
morali, ai cambiamenti delle abitudini e condizioni di vita nel nostro Paese con la prospettiva
di sviluppo nel senso della multiculturalità.
- L’ambito Socio-assistenziale comprende sia
gli aspetti relativi alle politiche per la prostituzione (che risentono anche delle dimensioni
culturali) che i servizi, le azioni e gli interventi,
diretti ad incidere sul fenomeno.
- L’ambito Sanitario rappresenta un aspetto
specifico ma importante perché non riguarda
solo la ‘sicurezza’ sanitaria collettiva legata all’esercizio della prostituzione ma anche gli aspetti
‘personali’ per la tutela e la salvaguardia della
235
salute individuale.
- L’ambito Giudiziario costituisce una dimensione importante anche per la difficoltà, già sottolineata, di scindere le diverse componenti
connesse alla prostituzione.
I vari ambiti individuati si intersecano con
specifici, e a loro volta articolati, ‘settori’ che
devono costituire vere e proprie ‘direttrici’ di
ricerca:
- Le persone che si prostituiscono devono rappresentare il centro di una corretta e rispettosa
attenzione alla conoscenza perché rappresentano l’anello debole della ‘catena’. Chi sono, da
dove vengono, che vita fanno, quali problemi
hanno, che relazioni hanno tra loro e con il territorio... non sono solo ‘informazioni’ socio-anagrafiche ma il primo necessario passo per avviare un’attività di prevenzione sanitaria, un sostegno psicologico ed un intervento sociale efficaci.
- Il ‘mondo della prostituzione’ è una variegata e complessa realtà che merita un interesse
tutto particolare per alcuni aspetti propri (la
struttura, l’organizzazione, le gerarchie, i ‘rituali’, gli interessi economici e finanziari...) e per le
implicazioni che ha (con i diversi aspetti della
devianza, con le varie forme di delinquenza
organizzata, con la dimensione internazionale...).
- Le risposte ed i servizi attivati nel campo
della prostituzione sono un ‘settore’ che comprende sia gli interventi diretti costituiti da azioni (sulla strada, la rete dei servizi socio-sanitari,
l’accoglienza, la presa in carico, l’inserimento e
l’autonomizzazione, gli interventi di comunità e
di mediazione, la formazione...) con obiettivi e
236
contenuti specifici, che riguardano la pluralità
di operatori coinvolti, pubblici e del volontariato; conoscere e collegare i diversi aspetti di questo ‘settore’ risulta decisivo per una ricerca
sociale finalizzata al cambiamento.
- In una logica di ‘sistema’ non va tralasciata
la necessità di approfondire la conoscenza del
ruolo di altri servizi e risorse che, pur non
essendo esplicitamente finalizzati all’intervento
sul fenomeno prostituzione, costituiscono un
riferimento territoriale irrinunciabile (e spesso il
meno ‘attrezzato’ ad affrontare la problematica);
tra questi si possono ricordare la scuola, il
mondo del lavoro, il tempo libero...
- L’opinione pubblica, i cittadini tutti, sono un
settore privilegiato per la ricerca sociale che si
interessa di prostituzione: dall’analisi delle
conoscenze, delle ‘percezioni’ dell’immaginario
ad una corretta informazione, alla sensibilizzazione e all’azione diretta su categorie specifiche
(commercianti, affittuari, taxisti...) o territori
particolari (zone di lavoro e quartieri residenziali in cui è maggiore la concentrazione del
fenomeno).
Metodi
Nella ricerca sociale ogni tecnica, mezzo,
strumento di ricerca, risponde ad un preciso e
particolare bisogno di conoscenza; una classificazione troppo rigida tra i metodi non aiuta la
ricerca che è sempre un ‘processo’ articolato
con l’utilizzo di strumenti diversificati. D’altra
parte un elemento comune ai vari metodi è che
essi, in base al tipo di ricerca, possono essere
impiegati in diverse fasi dell’indagine, dalla
237
‘ricerca di sfondo’ e lo ‘studio pilota’ alla effettiva ‘raccolta dei dati’ secondo le modalità definite nel ‘protocollo’ o ‘piano’ di ricerca. È stato già
espresso come, per qualificare la conoscenza
del fenomeno prostituzione, sia opportuno utilizzare in maniera integrata più strumenti di rilevazione.
Per offrire un quadro non esaustivo ma adeguato degli strumenti di cui avvalersi per ricerche sulla prostituzione, si propone la distinzione tra metodi:
- descrittivi (che tendono a prendere in considerazione gli aspetti generali e complessivi dei
fenomeni);
- quantitativi (che raccolgono le procedure
finalizzate ad acquisire elementi ‘numerici’, trattabili statisticamente);
- qualitativi (orientati ad approfondire aspetti
e dimensioni interpretative);
- della ricerca-intervento (per la dimensione
dell’ ‘azione sociale’ intimamente collegata alla
questione prostituzione).
I metodi ‘descrittivi’ coprono l’intera gamma
del lavoro di ricerca e quindi possono essere
utilizzati anche per l’analisi del fenomeno prostituzione.
La ‘mappatura del territorio’ è una esigenza
conoscitiva che non va tanto intesa nella accezione di ‘individuare’ la distribuzione del fenomeno prostituzione sul territorio, con intenti
ispettivi di ‘schedatura’, quanto nella possibilità
di cogliere le zone ‘sensibili’ ai diversi aspetti
del fenomeno prostituzione: ‘lavoro’, abitazione, trasporto...; in questa prospettiva può essere
utile un approccio sociografico. La sociografia è
costituita da una serie di tecniche che permettono di presentare in maniera ordinata i dati rac238
colti, pertinenti all’oggetto di studio: territorio,
popolazione, condizioni di vita, costumi, tipi e
indici della delinquenza, distribuzione di uffici e
servizi pubblici... Gli strumenti usati per tali
descrizioni sono estremamente vari, possono
includere: compilazione di liste di date e dati,
archivi di documenti, inventari di beni posseduti, raccolta di relazioni fatte da osservatori,
mappe e rilievi topografici.
Questo approccio permette di accennare
all’uso dei documenti nella ricerca sociale, una
modalità non molto utilizzata nei periodi più
recenti (anche per l’impegno di molte risorse)
ma utile in un contesto di studio articolato come
il fenomeno della prostituzione. La documentazione segue, necessariamente, alcune fasi: la
ricerca (dei soggetti e/o enti che hanno la documentazione che interessa il ricercatore, degli
archivi, delle tipologie di informazioni, con la
questione della qualità e della compatibilità
delle informazioni); la raccolta e la sistematizzazione di dati e informazioni (attraverso la classificazione e la catalogazione delle informazioni);
la lettura e la selezione delle informazioni (individuando i documenti più utili, rilevando
modelli, concetti, ipotesi e interpretazioni). A
queste possono seguire altre attività quali il
completamento di informazioni non esaustive,
trattare adeguatamente certi dati, costruire un
‘archivio ragionato’ o una ‘banca dati’.
Sulla stessa linea di ricerca si trova anche l’analisi del contenuto, una tecnica di ricerca che
si applica a documenti e testi diversi, ma anche
alle comunicazioni di massa - cinema, stampa,
televisione -, alle opere letterarie, ai documenti
conservati negli archivi pubblici e privati (e
quindi anche ai diari, alle lettere, agli epistolari).
239
Si distinguono due tipi di metodo di ‘analisi del
contenuto’: quelli ‘classici’ o qualitativi, di carattere ‘intensivo’, che mirano ad una analisi
approfondita di pochi documenti; i metodi
quantitativi o di carattere ‘estensivo’, che tendono a lavorare su una grande quantità di comunicazioni, ricavandone i dati più frequenti e
salienti. Nell’ambito dell’ ‘analisi del contenuto’
quantitativa si distinguono due grandi categorie:
l’analisi dei modi di espressione, effettuata con
procedimenti statistici, e l’ ‘analisi del contenuto’ in senso stretto, volta soprattutto al significato delle parole nel contesto del discorso.
Rispetto al tema della prostituzione sembra
utile suggerire almeno due piste di ricerca che
si avvalgono delle tecniche dell’analisi del contenuto. I metodi qualitativi sono utili per analizzare diari e lettere di prostitute così da avere
indicazioni importanti sul loro vissuto, sulla
prostituzione ‘dal di dentro’, anche al fine di
verificare, ed eventualmente smascherare, troppi luoghi comuni e/o pregiudizi. I metodi quantitativi o estensivi possono essere utilizzati per
studiare in maniera sistematica sia l’idea di prostituzione che emerge dai mass-media, dalla
stampa quotidiana, dai servizi televisivi e che
possono influenzare l’opinione pubblica, che la
concezione e l’impostazione di documenti
(delle pubbliche amministrazioni, del privato
sociale...) e studi sulla prostituzione.
Il procedimento dell’analisi dei modi di
espressione, che utilizza anche adeguati software, consiste nel creare delle categorie in cui riunire le unità di analisi nelle quali si è scomposta
la comunicazione; il difficile è costruire adeguati quadri di analisi ed è impossibile individuare
esaurientemente le categorie usabili, perché
240
variano da ricerca a ricerca, in base alle ipotesi
dell’indagine e in base al tipo di comunicazione
in esame. È possibile creare degli ‘indici delle
materie quantificate’ (in uso nell’analisi della
stampa di informazione) o individuare ‘categorie’ che possono essere variamente classificate:
di materia (argomenti trattati), di forma (il modo
in cui il testo si esprime con la variante dell’
‘intensità’ degli effetti), di valutazione (in cui si
fa riferimento a principi e valori dell’autore), di
persone e protagonisti.
La costruzione di un Osservatorio sui fenomeni sociali rappresenta un’opportunità importante, nell’ambito dei metodi ‘descrittivi’ in quanto
lo stato, la condizione, la situazione della popolazione di un dato territorio deve essere costante oggetto di conoscenza, di studio, di
approfondimento per chi, politici, amministratori, educatori, operatori sociali e sanitari, ha il
compito primario di intervenire nel mantenimento di condizioni di vita dignitose, nel
miglioramento delle opportunità per le fasce
deboli, nella prevenzione, nel recupero, nel
sostegno alle persone in disagio, con problemi,
in difficoltà. Possono essere diverse le modalità
per strutturare un Osservatorio che si deve
basare comunque su una consolidata conoscenza di base, a partire dai dati ‘grezzi’, con una
funzione propedeutica rispetto all’obiettivo di
dotare un territorio di quegli indicatori quantitativi e soprattutto qualitativi utili alla programmazione sociale, sanitaria ed educativa. Una ipotesi progettuale ‘classica’ si può sviluppare a partire:
- dal raccordo con dati e studi epidemiologici
dell’area, analisi ed elaborazione dati relativi
alla condizione della popolazione desunti da
241
ricerche, censimenti, fonti di analisi diverse;
- dalla costituzione di una struttura flessibile
ed integrata con i servizi e gli operatori pubblici
sociali, sanitari ed educativi presenti sul territorio che attivi un monitoraggio permanente raccogliendo periodicamente dati ed elaborando
indicatori sociali rispetto ad alcuni ambiti;
- dalla diffusione dei dati relativi all’ambito
territoriale oltre alla consultazione in loco delle
informazioni raccolte.
La realizzazione di un Osservatorio così strutturato per il fenomeno prostituzione implica
però un raccordo, ed un accordo, forte e di difficile realizzazione tra le istituzioni e gli uffici
che possono avere le informazioni necessarie:
Aziende U.S.L. - Anagrafi dei Comuni (ma
anche altri Uffici municipali - Servizi Sociali,
Cultura, Polizia Urbana, Commercio) - Uffici di
Polizia e Carabinieri - Strutture Giudiziarie Prefetture - Associazioni di categoria (albergatori, imprenditori, artigiani, commercianti, agricoltori) - Sindacati...
Per la tipologia del fenomeno prostituzione
sembra più praticabile la costruzione di un
Osservatorio a partire da alcune modalità di raccolta informazioni utilizzate dal modello
dell’Osservatorio delle Povertà sviluppato dalla
Caritas Italiana, che si configura come ‘metodo
dell’osservazione sistematica funzionale alla
conoscenza della realtà’ ed è centrato sui “bisogni”, sui soggetti deboli. Dei cinque tipi di informazioni previste dall’Osservatorio sembra utile
proporne due: i ‘Dati raccolti attraverso proprie
ricerche’, raccogliendo dati individuali (per
mezzo di questionari, schede familiari, ecc.) e
ricostruendo scenari (attraverso interviste qualitative); i ‘Dati sugli interventi’, con la rilevazione
242
sistematica e con la schedatura dei dati delle
richieste di aiuto e delle prestazioni erogate nei
centri e nei servizi collegati con la Caritas (nel
caso della prostituzione si prendono a riferimento le iniziative che operano nel settore).
Tra i metodi quantitativi le tecniche più usate,
per la loro varietà e la versatilità, sono quelle
del questionario e dell’intervista.
Il questionario è una sequenza strutturata di
domande che consentono di verificare (in genere quantitativamente) le ipotesi di ricerca.
Esistono diversi tipi di questionari: un questionario semplice è un modulo di raccolta dati;
una ‘griglia’ utile anche per la check-list; quello
‘classico’ viene somministrato da un intervistatore secondo le indicazioni del ricercatore; ci
può essere il caso in cui il questionario sia
‘autocompilato’ dal soggetto che lo deve riconsegnare successivamente; una forma particolare
di questa tipologia è il ‘questionario postale’
che viene inviato e raccolto tramite i servizi
postali; negli ultimi anni questa tecnica, anche
se ancora usta, è stata progressivamente sostituita dalle ‘indagini telefoniche’, realizzate in
maniera sempre più diffusa supportate anche
da sofisticati strumenti informatici.
Per ogni questionario, anche in considerazione dell’ampia ‘tipologia’, va prevista una ‘guida’
di compilazione che accompagna e guida il rilevatore; è però possibile dare alcune indicazioni
generali su come si somministra un questionario: le domande vanno presentate in modo
informale evitando di far sentire l’intervistato
‘sotto esame’; le domande vanno fatte tutte,
esattamente come previsto e nell’ordine stabilito; vanno evitati commenti, critiche, sorpresa,
incoraggiamenti, approvazioni, cambiamenti di
243
tono...; l’intervistatore non deve esprimere il
proprio parere sulle risposte e se deve riformulare la domanda lo farà senza cambiare le parole o l’ordine, secondo le indicazioni della
‘guida’; non si deve insistere in caso di mancata
risposta sia per mancanza di volontà che per
‘ignoranza’; un intervistatore attento, partecipe
ed interessato stimola un buon rapporto e
migliora la qualità del dialogo e dei risultati dell’indagine.
L’intervista è un dialogo tra una persona che
propone una serie di domande sui temi della
ricerca e una o più persone individuate come
soggetti che sono nella condizione di fornire le
risposte (informazioni, opinioni...) richieste.
Esistono diversi tipi di interviste classificabili in
base al diverso livello di approfondimento dei
contenuti, al ruolo e all’iniziativa dell’intervistatore, alle finalità del colloquio, all’organizzazione delle domande e alle diverse modalità di
codifica in funzione del trattamento statistico
dei dati. Una prima distinzione viene fatta tra
interviste strutturate, semistrutturate e non strutturate (chiamate anche standardizzate, semistandardizzate e non standardizzate) e fa riferimento alla maggiore o minore articolazione
della traccia dell’intervista, da una traccia ben
organizzata dei temi e delle domande a una
indicazione generale per quella non strutturata;
nella forma ‘semistrutturata’ la sequenza degli
item prevede una maggiore libertà dell’intervistatore nel porre le domande. Centrando la classificazione sul ruolo dell’intervistatore, più o
meno rigido nella gestione del colloquio, si
parla di intervista ‘direttiva’ o ‘non direttiva’.
L’intervista ‘focalizzata’ riguarda esperienze e
aspettative dei soggetti che hanno vissuto quel244
la particolare situazione oggetto della ricerca (in
genere di tipo sperimentale o di osservazione).
L’intervista in ‘profondità’ mira ad un approfondimento qualitativo dei problemi affrontati, in
numero limitato ma con dimensioni e implicazioni diverse; non segue uno schema rigido ed
è, in genere, molto lunga. Il termine ‘intervista
clinica’ indica il colloquio a scopo diagnostico o
terapeutico ed è una tecnica di osservazione e
di studio più legata alla psicologia che alla
sociologia. È opportuno utilizzare l’intervista
quando serve un buon approfondimento qualitativo delle tematiche affrontate; si può usare
quando, nel rapporto tra costi, tempi e dimensione del campione, è conveniente e sufficientemente attendibile restringere il campo di analisi; è utile avvalersi dell’intervista per integrare
tecniche diverse di indagine e per controllare
‘qualitativamente’ le tendenze dei dati raccolti
con altri strumenti.
Non è possibile dare un’indicazione univoca
su quali tipi di questionario e/o intervista sono
adeguati per una ricerca finalizzata ad
approfondire i diversi aspetti collegati con la
prostituzione; può però essere utile ‘incrociare’
le ‘classificazioni’ proposte con gli ambiti ed i
settori indicati nei paragrafi precedenti per
intuire quale tecnica è più adeguata, sempre in
relazione all’obiettivo della ricerca che si intende svolgere.
Un aspetto particolare dei metodi quantitativi
da poter utilizzare per la conoscenza del fenomeno prostituzione è collegato alle indagini
epidemiologiche. Una delle svariate definizioni
di epidemiologia la indica come quella disciplina che ha come oggetto di studio il fenomeno
della insorgenza delle malattie nelle popolazio245
ni di esseri umani, con particolare riguardo allo
studio delle condizioni e dei fattori che le determinano; per questo risulta essere fondamentale
per ogni attività preventiva ed è quindi chiaro il
riferimento al mondo della prostituzione. La
ricerca epidemiologica opera a due livelli:
- conoscitivo (relativo alla ‘storia’, alla consistenza e diffusione delle malattie e degli stati
patologici...);
- di intervento (relativo alla messa a punto e
alla valutazione di interventi pratici finalizzati
alla difesa della salute).
Gli obiettivi della epidemiologia rispetto alla
questione prostituzione possono essere così
ridefiniti:
- descrivere lo stato di salute delle fasce di
popolazione coinvolte nel fenomeno prostituzione studiando la frequenza di malattie nel
gruppo delle prostitute, evidenziandone gli
andamenti;
- suggerire interventi preventivi, curativi, riabilitativi finalizzati a controllare la diffusione
delle malattie a trasmissione sessuale e dei loro
esiti per tutta la popolazione;
- valutare correttamente l’efficacia pratica
degli interventi proposti e messi in atto per gli
aspetti sanitari del fenomeno prostituzione.
Nelle indagini epidemiologiche riferite al
mondo della prostituzione possono essere usati
molti degli strumenti nella ‘cassetta degli attrezzi’ dell’epidemiologo.
Rispetto ai metodi qualitativi da poter utilizzare nello studio del fenomeno prostituzione si
accenna a due tecniche.
L’osservazione partecipante consiste nell’
‘osservare’, prendere nota dei molteplici aspetti
della realtà studiata, colta nelle sue varie sfac246
cettature ed espressioni, durante un periodo di
tempo lungo, a contatto con persone, soggetti,
famiglie della ‘realtà che ospita’ il ricercatore.
Diverse sono le ‘definizioni’ e le ‘tipologie’ dell’osservazione che però si caratterizza per il
fatto di svolgere la ricerca in un ambiente ‘naturale’, non particolarmente influenzato dalla presenza del ricercatore (anche se ogni presenza
‘estranea’ tende comunque a perturbare una
situazione, soprattutto quando - come nel caso
della prostituzione - il ricercatore è realmente
‘altro’ rispetto all’ambiente di indagine). Le difficoltà di una strategia di ricerca basata sull’osservazione riguardano principalmente la mancanza
- o la difficoltà - del controllo, la difficoltà di
quantificazione (riducibile solo nelle fasi avanzate dell’indagine), la dimensione esigua del
campione ed il carattere localistico della ricerca.
Questi, che sono i problemi più rilevanti di
quasi tutte le ricerche qualitative, rispetto al
tema della prostituzione appaiono come meno
rilevanti in quanto è un contesto in cui va ribadita la ‘centralità’ della persona, del soggetto
all’interno del processo di ricerca. Rispetto
all’osservazione si distingue tra ‘osservazione
semplice’ (o non sistematica) che si caratterizza
per la mancanza di strumenti strutturati e formalizzati di raccolta delle informazioni, e l’ ‘osservazione sistematica’ che si presenta con forme
più articolate e precise di rilevazione, anche
attraverso l’utilizzo di ipotesi di ricerca accurate,
con modelli e schemi di classificazione di atteggiamenti, fatti, comportamenti, opinioni più
precisi. D’altra parte le tecniche di osservazione
si distinguono anche in base all’oggetto di studio, ai ‘vincoli’ che la realtà osservata impone;
uno stesso oggetto può essere osservato/studia247
to nella sua globalità o colto in alcuni aspetti
specifici, e questo determina problemi ed
opportunità diverse per le modalità e le forme
di osservazione.
Il ricercatore che utilizza la tecnica dell’osservazione procede dalle prime osservazioni non
strutturate a livelli più raffinati e precisi di raccolta, classificazione e misura delle informazioni; spesso in queste situazioni si integra l’intervento con la raccolta di autobiografie e con le
“storie di vita”, che possono essere utilizzate in
maniera autonoma.
Ed è appunto l’approccio biografico l’altro
metodo qualitativo che è opportuno utilizzare
per studiare il fenomeno della prostituzione a
partire dal vissuto delle/dei protagonisti. La
conoscenza delle storie, dei percorsi e degli
eventi di vita, anche attraverso i singoli soggetti,
rappresenta un potente mezzo di analisi delle
società e dei suoi mutamenti. L’utilizzo delle
biografie può rappresentare sia una fonte che
uno strumento di analisi ma è utile anche come
esempio di orientamento al caso, come racconto di pratiche sociali, come rappresentazione e
immagine di sé, come ‘corso di vita’. Il materiale
biografico può essere raccolto in maniera ‘diretta’ (con interviste biografiche relativamente
strutturate - storie di vita -, finalizzate a ricostruire eventi e comportamenti codificati e codificabili, o con interviste semistrutturate quando si
vuole cogliere la dimensione più generale, la
percezione di determinate questioni) o in
maniera ‘indiretta’, attraverso la mediazione di
documenti personali (diari, lettere, autobiografie scritte sollecitate o meno) o di schede che
codificano le tappe più importanti della vita di
un individuo.
248
Altri metodi qualitativi quali test proiettivi o
reattivi psicologici sembrano essere meno adeguati alla indagine degli elementi connessi al
fenomeno prostituzione.
La ricerca-azione è, in sintesi, un metodo di
indagine attivo che nell’acquisire gli elementi
conoscitivi caratteristici di un fenomeno, promuove un’azione di sensibilizzazione, di autoconsapevolezza, di modificazione. La ricercaazione non è tanto una tecnica quanto, appunto, una metodologia che può utilizzare diversi
strumenti; certamente l’intervista e la somministrazione di questionari rappresentano mezzi
privilegiati in quanto permettono un’interazione
diretta con i soggetti che, al tempo stesso, sono
‘oggetto’ di studio e ‘destinatari’ dell’intervento.
Per una ricerca-azione sul tema della prostituzione è necessario definire chiaramente l’oggetto di osservazione/intervento; può trattarsi di
una fascia di popolazione specifica come, ad
esempio, i residenti in un quartiere dove è particolarmente concentrata la prostituzione di strada o gli amministratori ed operatori dei servizi
di un certo territorio su alcuni aspetti ‘sociali’ e
‘politici’ della prostituzione, o direttamente le
prostitute che operano in un’area per sensibilizzarle al tema della salute.
Esperienza
All’interno del ‘Corso per Operatrice Sociale
di Base per la Prevenzione della Prostituzione’
realizzato dall’Associazione On the Road C.N.C.A. nell’ambito del Progetto NOW
‘Ionique - Occupazione: femminile plurale’, è
stata svolta un’attività di ricerca che si è dimo249
strata di particolare interesse ed utilità anche
oltre le finalità didattiche.
Il titolo della indagine, che si ispirava ai principi della ricerca-azione, era: ‘Prostituzione tra
immaginario collettivo e realtà’. Può essere utile
riportare i ‘passaggi logici’ della ricerca e la
‘traccia’ degli strumenti utilizzati in quanto
esplicativi di alcune delle idee espresse in questo contributo.
6.1. Obiettivi e ipotesi della ricerca-azione
Obiettivo principale della ricerca era la rilevazione delle informazioni che ha la ‘gente comune’ sul fenomeno della prostituzione nella propria zona, con particolare riferimento alle condizioni di vita delle prostitute. Obiettivo corollario, rispetto alla natura di ‘ricerca-azione’, è
stato cercare di fornire un’occasione di riflessione sulla condizione delle prostitute, evitando di
raccogliere direttamente valutazioni, giudizi di
valore o ‘suggerimenti’ per gli interventi da realizzare.
Altri scopi collegati alla rilevazione sono stati:
- il confronto tra l’immaginario collettivo, che
sarebbe scaturito dalla rilevazione, e la ‘realtà’
della prostituzione nelle aree oggetto di studio,
come risultato di due fonti: dalle conoscenze
degli operatori per la prevenzione della prostituzione attivi sul territorio oggetto di studio e
dalle ‘storie di vita’ di alcune prostitute del territorio;
- l’analisi delle ‘zone d’ombra’ (i ‘non lo so’) e
dei pregiudizi nelle conoscenze sul fenomeno
della prostituzione da parte dell’opinione pubblica, distinta per tipologia dei rispondenti
(sesso, età, professione, area di residenza), così
da poter impostare campagne mirate di infor250
mazione corretta e sensibilizzazione.
Le ipotesi che hanno orientato la ricerca-azione si possono raccogliere in due proposizioni:
- La conoscenza del fenomeno della prostituzione da parte dell’opinione pubblica è impropria, lacunosa e basata su pregiudizi dovuti a
valutazioni moralistiche, non sostenute da informazioni sulle condizioni reali delle prostitute.
- I fattori principali che influenzano la conoscenza e le opinioni dei cittadini sul fenomeno
della prostituzione sono riconducibili a dimensioni quali: il sesso, l’età, l’attività professionale
(anche in quanto correlata con il titolo di studio).
6.2. Piano della ricerca-azione
La ricerca-azione ha cominciato a definirsi nel
corso delle lezioni di Metodologia della Ricerca
sociale del Corso per Operatrice Sociale di Base
per la Prevenzione della Prostituzione con la
prima elaborazione di una griglia di lettura per
la condizione di vita delle prostitute.
Successivamente sono stati individuati gli obiettivi e le ipotesi e costruiti gli strumenti: il questionario per i cittadini e la griglia per l’intervista
sulle ‘storie di vita’. In questa fase sono state
anche definite le aree per la rilevazione: zona di
Pescara-Montesilvano; S.P. Bonifica tra le provincie di Teramo e Ascoli Piceno; zona tra
S.Benedetto del Tronto e P.S.Elpidio, in provincia di Ascoli Piceno.
La somministrazione di questionari ed intervista si è svolta nei tempi stabiliti per il ‘tirocinio’
del corso, così pure l’inputazione dei dati al
computer e la loro rielaborazione.
L’interpretazione dei risultati è stata realizzata
(anche per la finalità didattica della ricerca-azio251
ne) attraverso un confronto comune con le
allieve del Corso e gli Operatori di strada
dell’Associazione ‘On the road’.
La fase di preparazione della ricerca-azione si
è sviluppata nei mesi di maggio-giugno 1997; la
fase operativa si è concentrata nel mese di ottobre 1997.
Per ogni ‘territorio’ in cui si è svolta la ricercaazione sono stati intervistati - circa - 100 cittadini distribuiti secondo le variabili: Sesso; Età (1825; 26-35; 36-45; 46-55; 56-65); Professione
(Operai;
Impiegati;
Professionisti;
Commercianti/Artigiani; Altro - studente, pensionato...).
6.3. Strumenti
Questionario per i cittadini
Il questionario per i cittadini è stato strutturato in domande a risposte chiuse e somministrato a soggetti incontrati casualmente lungo la
strada. Tra le variabili rilevate ci sono anche la
fascia oraria in cui è stato somministrato e il
numero dei rifiuti ricevuti, distinti per le variabili sesso, fascia di età e momento di contatto.
Storia di vita
Per ognuna delle zone in cui viene effettuata
la ricerca-azione sono state individuate due prostitute disponibili a rispondere ad una intervista
strutturata secondo lo schema predisposto nelle
lezioni del Corso.
La traccia che è servita all’elaborazione dei
due strumenti utilizzati nella ricerca-azione è la
seguente:
252
AREA PERSONALE
‘Conoscenza’ di:
- Età
- Provenienza
- Livello culturale
- Tipologia
Cura di sè,
-‘Esperienze’ precedenti
Autopercezione,
- Modalità arrivo
Percorso
Rapporti affettivi
- Uomo/marito
- Famiglia d’origine/Figli
AREA RELAZIONALE
- Etnìa/nazionalità
- Tipo di rapporto
- Tempo del rapporto
Rapporti
- Quantità
interpersonali
- Tipologia
- Qualità
- Amici
Uso del tempo
- Tempo di lavoro
- Tempo libero
Abitazione
- Luogo
- Territorio
- Distanza posto lavoro
- Rapporti con vicini
- Costo
Colleghe
AREA SOCIALE
Rapporto istituzioni - Permesso di soggiorno
- Rapporto con Paese
d’origine
Conoscenza
- Servizi Sociali
e rapporti
- Servizi Sanitari
Rapporti con il
- Volontariato
territorio
- Associazionismo sociale
253
- Partecipazione ad
eventi (culturali, artistici, sportivi...)
AREA ECONOMIA-LAVORO
Modalità di lavoro
- Da sola/per altri
Disponibilità
- Soldi (incassi, a
disposizione, utilizzo,
finalizzazione)
- Beni
Fattori produttivi
- Luogo di lavoro
- Mezzi di trasporto
- Spese di alloggio
Tempo lavoro
(quando/fascia/
durata)
Clienti
- Costo prestazione
- N. clienti
- Tipologia clienti
AREA SICUREZZA
Rapporti forze
- Frequenza e tipolodell’ordine
gia controlli
- Provvedimenti
Rapporti giustizia
- Denunce a carico
- Processi in corso
Rapporto criminalità - Droga
- Ricettazione
- Ricatti
Sfruttamento
- Violenza da sfruttatore
- Plagio
- Riduzione in schiavitù
Sicurezza personale - Violenza da clienti
- Violenza da
‘colleghe’
254
- Estorsioni e rapine
- Incidenti diversi
- Denuncia sfruttatori
e rapine
- Prevenzione e cura
(canali istituzionali)
- Prevenzione e cura
(canali non istituzionali)
- Atteggiamento verso
la salute
Sicurezza sanitaria
DATI GENERALI
Per le prostitute:
- Sesso (distinguere
se travestito)
- Nazionalità
- Età
- Livello Culturale
- Stato Civile/Prole
- Conoscenza lingua
italiana
Per i cittadini
- Luogo di rilevazione
- Orario di rilevazione
- Sesso
- Età
- Attività
- Stato civile
* Stefano Ricci, sociologo ed operatore sociale, 40
anni – sposato, 4 figli. Attività di ricerca sociale in collaborazione con istituti ed enti di carattere nazionale;
insegnamento di Metodologia e Tecnica della Ricerca
255
Sociale nel D.U. in Servizio Sociale dell’Università di
Ancona; esperienza lavorativa con la Comunità di
Capodarco di Fermo nella organizzazione di servizi
socio-sanitari; collaborazione con il C.N.C.A. per attività di progettazione, ricerca, verifica e valutazione
anche nell’ambito di progetti europei.
256
Strumenti giuridico- legislativi
Cristina Perozzi*
Premessa
L
e problematiche giuridiche personali dei
soggetti sui quali verte la trattazione, sono varie
e comportano diverse metodologie di approccio. Non esiste in proposito una disciplina organica che regoli l’ampia materia dei diritti e
doveri dell’immigrato, ed occorre tenere conto
che la ex-prostituta oltre ad essere straniera, è
giuridicamente collegata al fenomeno del c.d.
“sesso commercializzato”, materia ancora oggi
governata dalla legge nr. 75 del 1958, c.d.
“legge Merlin”, con evidenti lacune e disaderenze rispetto ad una realtà in continua evoluzione.
La ragazza che abbandona il mondo della
prostituzione pertanto, rappresenta uno status
giuridico complesso che necessita dapprima di
una analisi compiuta, quindi di un programma
efficace di soluzioni. Si tenterà di evidenziare le
più comuni evenienze, facendo riferimento ai
diversi stadi cronologici dell’intervento sociale
sulla prostituzione, affiancando poi le opzioni
risolutorie.
Verrà considerata poi la regolarizzazione giuridica della prostituta clandestina, alla luce della
vecchia legge nr. 39 del 1990, c.d. “Legge
Martelli”, e della nuova normativa sugli immigrati, in via di emanazione.
Chiuderanno alcune prospettive sull’operato
257
dei destinatari del seguente manuale, in continuo contatto con situazioni giuridicamente rilevanti.
Lo status giuridico della prostituta
1)
Fase della prima accoglienza
a) La qualità di imputata di reato.
Nella prima fase del progetto di lavoro nella
prostituzione, i soggetti vengono contattati e
sono presi in carico.
Spesso l’abbandono della strada è collegato
ad un evento giuridico scatenante, che coinvolge la ragazza dal punto di vista attivo o passivo.
Costei infatti può essere fatta oggetto di arresto
o di fermo da parte delle Forze dell’Ordine o
può, molto più frequentemente, rimanere vittima di condotte altamente lesive dell’incolumità
personale, integranti fattispecie di reato. Nella
prima ipotesi la ragazza riveste la qualità di
imputata o indagata di reato, nella seconda si
identifica in persona offesa dal reato.
L’arresto è attività esclusiva della Polizia
Giudiziaria che, ex art. 380 C.P.P., ha l’obbligo di
intervenire nella flagranza di un reato impedendo al soggetto di proseguire nella commissione
di determinate condotte criminose, espressamente indicate dal codice di procedura penale.
Tale strumento può essere altresì utilizzato,
facoltativamente, per altra categoria delittuosa
di minore gravità (art. 381 C.P.P.).
Si parla di fermo di Polizia Giudiziaria invece,
quando quest’ultima incide sulla libertà personale di un individuo gravemente indiziato di
258
aver commesso specifiche fattispecie di reato, la
cui situazione o condotta induca a ritenere fondato il pericolo di fuga e non vi sia una flagranza di reato.
Numerose sono le occasioni in cui le prostitute restano coinvolte nelle c.d. “retate delle Forze
dell’Ordine” e talvolta costoro, dopo essere
state arrestate in flagranza o fermate, vengono
ulteriormente ristrette nelle Case Circondariali
di Custodia e Pena, con una misura di custodia
cautelare. Ciò significa che l’Autorità Giudiziaria
dispone che la ragazza resti in carcere perché
esiste la possibilità che costei recidivi nella
commissione del reato, ovvero che si dia alla
fuga o inquini le prove a suo carico. E’ evidente
che tale mezzo verrà utilizzato a maggior ragione nei confronti delle straniere che non dispongono di una fissa dimora.
In tali ipotesi, l’intervento da richiedere sarà
quello di un avvocato che provveda innanzi
tutto a far tornare in libertà la ragazza, fornendo
prove a discarico, o, nei casi più difficili, adeguata garanzia a favore della stessa, che potrà
scontare la pena detentiva mediante la più
accettabile misura degli arresti domiciliari. La
reclusione all’interno del domicilio, infatti, può
essere concessa solo se esiste una struttura idonea all’accoglienza della ragazza in tali condizioni, atteso che, numerosi e reiterati sono i
controlli della Forze dell’Ordine sull’effettivo
rispetto della misura cautelare adottata (permanenza entro le mura domiciliari, assenza di contatti telefonici con l’esterno).
Per quanto riguarda le più comuni fattispecie
di reato, si può iniziare con il delitto di “furto”
di cui all’art. 624 C.P., ed esaminare i vari ulteriori reati contro il patrimonio, che spesso vedo259
no implicata la ragazza nei confronti del proprio
cliente. Va in merito ricordato che le pene edittali sancite dal Codice Penale per le condotte
integranti reato di furto, sono esemplari e partono, con la circostanza aggravante che normalmente si contesta, ossia l’esposizione dell’oggetto rubato alla pubblica fede, da un minimo di
un anno di reclusione, in aggiunta ad una
multa.
Se la sottrazione patrimoniale viene eseguita
dalla prostituta con violenza o minaccia, il reato
contestato sarà la “rapina”, enunciata dall’art.
628 C.P. La sanzione che consegue è più elevata
e la reclusione va dai tre ai dieci anni, seguita
da una pena pecuniaria. L’elemento, caratterizzante entrambi i delitti, risulta essere l’impossessamento di una cosa mobile altrui mediante sottrazione a chi legittimamente la detiene.
La ragazza può inoltre risultare complice di
un reato speciale inerente la legge nr.58/1975
sulla prostituzione. Con i propri comportamenti
può, in particolare, concorrere con altri nel
“favoreggiamento della prostituzione”, fornendo alle proprie compagne ausilio, occasionalità
di clientela, mezzi od ospitalità. Può rispondere
di “induzione alla prostituzione”, persuadendo
le “neofite” ed indicando loro i luoghi e le
modalità del meretricio. Può infine essere imputata di “sfruttamento della prostituzione”, qualora lucri sull’altrui attività di meretricio, appropriandosi di una parte del provento.
L’attività di prostituzione in sé, al contrario,
non costituisce reato ai sensi della legge in
esame.
Tuttavia la stessa normativa tipizza all’art.5,
abrogativo dell’art. 208 del Testo Unico delle
leggi di Pubblica Sicurezza, il c.d. “invito al
260
libertinaggio” ovvero “adescamento”, che si
identifica in contegni scandalosi o molesti da
parte delle prostitute, apertamente diretti alla
offerta di prestazioni sessuali a pagamento. Si
tratta, in vero, di una contravvenzione con sanzioni molto lievi, ossia l’arresto fino a otto giorni
e l’ammenda di Lire diecimila, a conferma della
poca rilevanza penale di simili condotte.
Usuale fattispecie di reato in capo alla ragazza straniera risulta “l’uso di atto falso”, previsto
dal’art.489 C.P., ovvero le “false dichiarazioni
sulle proprie generalità”.
Costei infatti sovente, entrando nello Stato
Italiano, si procura o viene fornita di un passaporto falsificato materialmente, nel quale è citato un nominativo diverso sotto la propria fotografia. Conseguentemente, se fatta oggetto di
controllo da parte delle Forze dell’Ordine, la
ragazza declinerà nomi e propri estremi mendaci, per cui sarà denunciata ai sensi dell’art.496
C.P., che punisce le false dichiarazioni ad un
Pubblico Ufficiale sulla propria identità o su
qualità personali proprie o di altri. Le qualità
personali che rilevano ai fini della fattispecie di
reato in esame, sono tutte quelle condizioni
sociali, quali lo stato civile di coniugata o nubile, lo stato anagrafico, la professione ecc.
Qualora invece la prostituta, dietro richiesta
dell’Autorità controllante, rifiuti di fornire le
proprie generalità, risponderà della contravvenzione di cui all’ art. 651 C.P.
Trattasi in tal caso di reato di minore gravità,
per il quale è prevista la pena detentiva dell’arresto e la sanzione pecuniaria dell’ammenda, a
differenza dei delitti sopra evidenziati, che sono
puniti con la reclusione e la multa.
Per concludere l’analisi delle ipotesi delittuo261
se che maggiormente coinvolgono le prostitute,
vanno menzionati il delitto di “atti osceni”,
disciplinato dall’ art. 527 C.P. e la contravvenzione degli “atti contrari alla pubblica decenza”,
di cui all’ art. 726 C.P.
Giurisprudenza e dottrina definiscono “atti
osceni” quelli che richiamano direttamente o
indirettamente sensazioni o manifestazioni della
vita sessuale che debbono rimanere celate, e
che spesso vengono compiuti dalle ragazze per
favorire l’incontro con i clienti. La strada infatti,
è il luogo pubblico per eccellenza ove il reato
può consumarsi, tuttavia è da ricomprendersi
anche il luogo che, seppur non accessibile a
tutti, può essere visto da un numero di persone
indeterminato, quale per esempio l’interno di
una autovettura.
Diversamente, nell’art. 726 C.P. si contemplano le condotte attive contrarie alle regole di
educazione ed al sentimento di compostezza
verso i consociati, come indica la Corte di
Cassazione, quali espressioni e parole disgustose o ripugnanti ovvero, per esempio, l’esposizione degli organi genitali in luogo pubblico.
Va da ultimo annotato che, il nostro sistema
penale accorda all’imputato, la non esecuzione
della sanzione comminata dal giudice in una
sentenza di condanna, con l’istituto della c. d.
sospensione condizionale della pena. Grazie a
quest’ultima la pena non viene eseguita per un
tempo determinato (cinque anni se si tratta di
un delitto e due anni se si tratta di una contravvenzione) durante il quale il colpevole non
deve violare ulteriormente la legge. La concessione di tale beneficio è rimessa alla discrezionalità del giudice, che oltre a verificare che non
si tratti di una pena detentiva superiore ai due
262
anni, dovrà accertare una serie di altre condizioni procedurali ed emettere una prognosi favorevole nei confronti del reo, ossia presumere che
costui si asterrà dal commettere nuovi reati.
b) La qualità di persona offesa dal reato
Dalla prospettiva opposta, il soggetto che
fuoriesce dall’ambito della prostituzione, spesso
resta vittima di violente aggressioni da parte dei
protettori, che vedono venir meno facili e lauti
guadagni.
Le condotte lesive sulle ragazze per lo più si
concretizzano in numerosi reati contro l’incolumità fisica, ossia: le “percosse” o “le lesioni personali”, se viene cagionato uno stato di malattia,
fino alla “violenza sessuale” in ogni accezione
terminologica, il “sequestro di persona”, e non
di meno la “riduzione in schiavitù” contemplata
dall’art. 600 del C.P.. Tale ultima previsione
comprende tutti quei comportamenti tesi ad
annichilire psico-fisicamente la ragazza, con
assoggettamento in toto alla volontà del protettore-sfruttatore e privazione di ogni basilare
capacità di auto-determinazione (La Cassazione
sul punto è unanime).
In riferimento al reato di “violenza sessuale”,
va rilevato che la legge nr. 66 del 15/2/96 ha
novellato l’intera disciplina del Codice Penale,
per cui attualmente è punito con la reclusione
da cinque a dieci anni chiunque costringe taluno, con violenza o minaccia, o mediante abuso
di autorità, ossia avvalendosi di posizioni di
superiorità o preminenza sull’altro soggetto, a
subire o compiere atti sessuali.
La precedente normativa invece, era incentrata sulla distinzione tra congiunzione carnale ed
263
“atti di libidine violenti”, intesi come ogni forma
di contatto corporeo ai fini sessuali, diverso
dalla penetrazione. Questi ultimi venivano
inquadrati in altro articolo del codice, che comminava una pena di minore gravità. Se nonchè
la predetta dicotomia del codice creava non
pochi problemi in sede di accertamento della
qualità dell’atto subìto, costringendo peraltro la
vittima a sopportare odiose indagini implicanti
nuove sofferenze, talvolta superiori a quelle
patite. Il problema è stato infine risolto atteso il
carattere omnicomprensivo del concetto di “atto
sessuale”.
Va evidenziata inoltre la previsione nel
Codice Penale, di una autonoma figura criminosa per l’ipotesi di “violenza sessuale compiuta
da più persone riunite”. L’art. 609 octies C.P.
infatti, si giustifica, oltre che per la sempre crescente frequenza dei fatti di stupro collettivo,
per i gravi effetti fisici e psichici che, a causa
della pluralità degli aggressori e della loro contemporanea presenza, si producono sulla vittima, eliminandone o riducendone la forza di
reazione.
Per tali condotte criminose infatti la pena è
maggiore, e va dai sei ai dodici anni di reclusione.
Qualora la ragazza venga privata, dai suoi
sfruttatori, della propria libertà personale, in
particolare di movimento, si parla di “sequestro
di persona” ai sensi dell’art. 605 C.P. Il reato si
realizza con la limitazione fisica della persona,
sia essa assoluta, come nel caso in cui la vittima
venga rinchiusa ed isolata, che relativa, tale cioè
da consentire il recupero della piena libertà
solo mediante il ricorso a mezzi straordinari e
non prontamente attuabili (Cassazione sentenza
264
n. 3979/ 1989). La giurisprudenza prevalente
nega che il consenso della sequestrata a tali
condotte possa scriminare i responsabili dal
reato, che pertanto dovranno essere condannati
ad una pena detentiva da sei mesi ad otto anni.
Si precisa infine che talvolta la prostituta resta
vittima mortale del proprio aggressore. Gli
“omicidi” più comunemente esaminati sono
“dolosi” o c.d. volontari, motivati cioè dalla
intenzione di sopprimere definitivamente la
ragazza, spesso per vendetta o ritorsione nei
confronti di sue ribellioni allo stato in cui è stata
ridotta. In altre vicende, si riscontrano altresì
decessi definibili “eventi ulteriori”, e più gravi
rispetto a quello perseguito dal colpevole, che
sono enunciati dal Codice Penale con il nomen
juris di “omicidi preterintenzionali”. L’evento
della morte in questi casi, non è voluto dall’agente, ma è la conseguenza di atti diretti a percuotere o ledere la vittima, e determina una
sanzione che parte da dieci fino a diciotto anni
di reclusione.
2) Fase del reinserimento e della regolarizzazione giuridica
a) La disciplina della legge nr. 39 del 1990,
c.d. “legge Martelli”.
Trattando prevalentemente di prostitute
immigrate, nella seconda fase del programma,
ossia durante il reinserimento sociale del soggetto accolto, le esigenze giuridiche ed i relativi
strumenti legislativi si diversificano notevolmente.
L’intervento deve pertanto orientarsi verso la
permanenza stabile della ragazza nel territorio
265
Italiano, con le dovute e necessarie garanzie
professionali e personali. La problematica emergente diventa il “permesso di soggiorno”, vale a
dire il documento rilasciato dalla Questura territorialmente competente rispetto al luogo di residenza, che legittima la presenza dell’assistita nel
Paese. Il permesso di soggiorno si differenzia
dal “visto di soggiorno”, autorizzazione rilasciata solitamente per meri motivi di turismo e
avente normalmente la durata di quindici giorni
e comunque mai superiore ai tre mesi (art. 4 co
2° Legge 39/1990). Il permesso di soggiorno
invece viene rilasciato per periodi più lunghi,
fino a due anni, fatti salvi i più brevi periodi stabiliti dalla legge 39/1990, e può essere richiesto
solo per determinate e specifiche ragioni.
In particolare, si può avanzare in Questura
richiesta nominativa di assunzione di lavoratore
straniero, tendente ad ottenere il permesso di
soggiorno per motivi di lavoro, solo se ed in
quanto il destinatario sia nel proprio paese di
origine. Sarà l’Ufficio Provinciale del Lavoro, di
concerto con la Questura adìta, a rilasciare tutta
la documentazione necessaria al lavoratore, che
dovrà poi provvedere a sua volta, presso
l’Ambasciata del proprio paese di origine. Una
volta rilasciato il permesso, lo stesso potrà accedere sul territorio Italiano per la propria attività
lavorativa.
Identico iter segue la richiesta di permesso di
soggiorno per motivi di studio, che facoltizza la
ragazza straniera a risiedere nello Stato italiano
per il tempo necessario alla frequenza di un
determinato ciclo scolastico. Il Questore della
provincia nella quale l’istante risiede o dimora,
può consentire il rinnovo del permesso, che
non può tuttavia prolungarsi per più di due
266
anni oltre la durata legale del corso di studi cui
il medesimo era iscritto.
La legge consente che, una volta entrata per
motivi di studio, l’extracomunitario possa chiedere di trasformare il proprio visto in modo da
poter svolgere una attività lavorativa e viceversa
(art. 4 co.5 ° legge 39/1990).
Ulteriore motivo alla richiesta di permesso di
soggiorno può essere fornito da esigenze di
tipo sanitario, se la ragazza provi, allegando
idonea certificazione medica, di dover subire
interventi chirurgici o seguire terapie per specifiche patologie diagnosticate. In tali ipotesi
anche chi presiede la casa di cura o l’istituto
presso il quale l’istante è ricoverato può avanzare la richiesta di permesso di soggiorno.
Lo straniero che ha familiari di primo grado,
regolarmente soggiornanti nel territorio Italiano,
può infine chiedere permesso per visitarli, la cui
durata può essere inferiore ai due anni.
Secondo il dettato dell’art. 3 co.5° legge citata, vanno in ogni caso respinti i cittadini extracomunitari che risulti siano stati espulsi o
segnalati come persone pericolose per la sicurezza dello Stato ovvero come appartenenti ad
organizzazioni di tipo mafioso, o dedite al traffico illecito degli stupefacenti o terroristiche,
nonché gli stranieri che risultino manifestamente sprovvisti di mezzi di sostentamento in Italia.
Tuttavia non sono da considerare tali, anche se
privi di denaro sufficiente, coloro che esibiscono documentazione attestante la disponibilità in
Italia di beni o di una occupazione regolarmente retribuita ovvero l’impegno di un Ente o di
una associazione di volontariato, individuati
con decreto del Ministro dell’Interno e del
Ministro degli Affari Sociali, o di un privato che
267
diano idonea garanzia ad assumersi l’onere del
suo alloggio o sostentamento nonché del suo
rientro in patria (art. 3 co. 6° Legge 39/1990).
La ragazza straniera in possesso del permesso
di soggiorno può chiedere l’iscrizione anagrafica presso il Comune di residenza secondo le
norme in vigore per i cittadini italiani, ed in tal
caso deve dichiarare alla Questura territorialmente competente ogni eventuale trasferimento
della propria dimora abituale.
Con decreto motivato il Prefetto della
Provincia interessata, e previo nulla-osta
dell’Autorità giudiziaria qualora la straniera sia
implicata in un procedimento penale, può
disporre l’espulsione della stessa dal territorio
dello Stato. Tale provvedimento viene adottato
in presenza di una condanna con sentenza
“passata in giudicato”, ossia non suscettibile di
ulteriore ricorso, per delitti di rilevante gravità,
in particolare per gli stessi in cui è ammesso
l’arresto obbligatorio. Costituiscono altresì motivo di espulsione le violazioni in materia di intermediazione di manodopera, detta anche “lavoro
nero”, nonché di sfruttamento della prostituzione o del reato di violenza carnale e comunque
dei delitti contro la libertà sessuale (art. 7 legge
39/1990). Il decreto di espulsione viene eseguito mediante l’intimazione alla straniera ad
abbandonare entro quindici giorni il territorio
dello Stato, o di presentarsi in Questura per l’accompagnamento in frontiera entro lo stesso termine.
Va rilevato che non sarà mai consentita l’espulsione o il respingimento in frontiera della
straniera verso uno Stato ove la stessa possa
essere perseguita per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, opinioni politiche o religiose,
268
o per altre condizioni personali o sociali.
b) Il pendolarismo legislativo dei DecretiLegge: efficacia temporanea e problemi applicativi.
L’intera disciplina della “legge Martelli” fu
fatta successivamente oggetto di numerose
modifiche da parte del Governo che, spinto dall’esigenza di fronteggiare il crescente fenomeno
dei flussi stranieri, a partire del 18 novembre
1995, per un anno intero adottò decreti legge in
materia di politiche dell’immigrazione e per la
regolarizzazione dell’ingresso e soggiorno nel
territorio dello Stato dei cittadini extracomunitari.
Inizialmente (D.L. 489 del 18/11/95) il testo
normativo modificava notevolmente la legge
pre-vigente, in tema di espulsioni. Veniva infatti
prevista sia una articolata tipizzazione delle ipotesi di espulsione (come misura di sicurezza,
come misura di prevenzione alla commissione
dei reati, adottata a richiesta di una parte interessata ovvero adottata dal Ministero
dell’Interno per motivi di ordine pubblico o di
sicurezza dello Stato, e infine una espulsione in
via amministrativa), sia una nuova disciplina del
procedimento di espulsione e la previsione di
una tutela giurisdizionale dello straniero nei
confronti del provvedimento stesso. In seguito,
con ulteriori reiterazioni del decreto legge (D.L.
376 del 16/7/96) sono state eliminate le norme
relative alle espulsioni e apportate modifiche
alle condizioni per il ricongiungimento con il
coniuge o altro familiare extracomunitario già
regolarmente presente in Italia. Da ultimo, il
D.L. 477 del 13/9/96, aveva introdotto una
269
norma alla quale seguirono polemiche e risonanze sui mass-media, che creava la nuova
figura dello straniero “collaboratore di giustizia”. Poteva infatti presentare richiesta di permesso di soggiorno per motivi di giustizia, l’immigrato che, nel corso di un procedimento
penale per reati sulla prostituzione o per altri di
pari gravità, risultasse esposto a grave pericolo
per effetto della collaborazione o delle dichiarazioni rese agli inquirenti, a condizione che l’eventuale ritorno nello Stato di appartenenza
potesse metterne in grave pericolo l’incolumità
personale, ed il contributo offerto fosse di eccezionale rilevanza per l’individuazione e la cattura dei responsabili o per la disarticolazione di
una organizzazione criminale.
Di quanto fin qui brevemente esposto nulla
fu riconfermato dopo l’ultimo Decreto Legge n.
477 del 13/9/96, posta la mancata conversione
in legge, e la irreiterazione dello stesso da parte
del Governo. Intervenne soltanto una legge
“salva-effetti”, la nr. 617 del 9/12/96,che confermava la validità degli atti e dei provvedimenti
rilasciati sulla base dei decreti-legge oramai
decaduti, e precisava altresì che i procedimenti
di rilascio dei permessi allo straniero avviati nel
vigore dei decreti-legge, dovevano concludersi
con l’applicazione dell’ultimo emanato, il D.L.
477 del 13/9/96.
c) Il progetto di legge sulla immigrazione:
le innovazioni legislative.
L’esperienza negativa di tali vicende legislative, fuorvianti e confuse, e gli sviluppi attuali del
fenomeno della immigrazione, hanno indotto il
Governo a presentare alla Camera dei Deputati
270
in data 19/2/97 un “Disegno di legge sulla disciplina dell’immigrazione e sulla condizione dello
straniero” che, superate alcune fasi dell’iter procedurale di formazione legislativa, dovrebbe
diventare formale legge entro poco tempo, e
tale si spera sarà al momento della pubblicazione del presente manuale.
Gli obbiettivi della nuova normativa saranno:
- contrasto dell’immigrazione clandestina e
dello sfruttamento criminale dei flussi migratori;
- realizzazione di una puntuale politica di
ingressi legali limitati, programmati e regolati;
- avvio di realistici ma effettivi percorsi di
integrazione per i nuovi immigrati legali e per
gli stranieri già regolarmente soggiornanti in
Italia.
L’intento del Governo è dunque quello di
varare una c.d. “legge – quadro”, pronta a fronteggiare il prevedibile aumento del fenomeno
immigratorio dei prossimi anni, articolata in
punti precisi, ossia:
a) modalità e controlli degli ingressi nello
Stato, disciplina dell’accesso dello straniero al
lavoro;
b) efficace strategia delle espulsioni e del
respingimento alla frontiera;
c) nuove ipotesi di reato per la lotta alla criminalità organizzata dedita alla immigrazione
clandestina;
d) diritti civili e tutela giuridica dell’immigrato.
Il nuovo disegno di legge è suddiviso in sette
Titoli, nel primo dei quali sono previste le
disposizioni generali e di principio che defini271
scono l’ambito di applicazione della legge (art.
1), il trattamento dello straniero (art. 2), nonché
la programmazione governata dei flussi immigratori (art. 3). All’art. 1 si segnala, oltre all’identificazione dei destinatari della legge, il richiamo alle norme comunitarie ed internazionali
vigenti nello Stato Italiano e più favorevoli agli
stranieri nonché la qualificazione delle norme
della legge come “principi fondamentali”, ai
sensi dell’art. 117 Cost. (materie delegate alla
potestà legislativa regionale), al fine di indirizzare le Regioni in alcune competenze legislative
sul tema dell’immigrazione. Quanto all’art. 2 è
precisato che i diritti fondamentali della persona umana sono riconosciuti indiscriminatamente, nel territorio dello Stato, a tutti gli stranieri, a
prescindere dal loro regolare ingresso o soggiorno (Vedi infra). E’ invece ai “regolari” che si
assicura la pienezza dei diritti in materia civile
(cittadinanza, lavoro, iniziativa economica) contemplati dalla legge e dalle Convenzioni internazionali, fino a configurare uno “status giuridico” particolare dello straniero, in virtù del
quale, ex art. 7, con il possesso della c.d. Carta
di soggiorno, costui può partecipare alla vita
pubblica degli Enti Locali. L’art. 3 prevede la
redazione da parte del Presidente del Consiglio
dei Ministri, di un documento programmatico
triennale per la politica dell’immigrazione, con
le indicazioni degli interventi che lo Stato intende attuare anche in cooperazione con gli altri
Paesi Europei, con le organizzazioni internazionali, con gli enti comunitari e le associazioni
non-governative.
Il Titolo II concerne l’ingresso, il soggiorno, il
respingimento e l’espulsione dello straniero. Ai
272
sensi dell’art. 4, l’ingresso in Italia può essere
consentito solo ai possessori di un passaporto o
altro documento equipollente valido o che
dimostrino documentalmente lo scopo e le condizioni del soggiorno nonché la disponibilità
dei mezzi di sussistenza sufficienti alla durata
del soggiorno ed al ritorno nel Paese di origine.
Competenti al rilascio del visto di ingresso sono
le rappresentanze diplomatiche o consolari
Italiane nello Stato di provenienza dello straniero, e il provvedimento può essere rilasciato per
soggiorni di breve durata, fino a 90 giorni, o
sotto forma di permesso di soggiorno, di durata
più ampia. Il permesso di soggiorno, in particolare, può altresì essere richiesto al Questore
della provincia in cui lo straniero si trova, entro
otto giorni dal suo regolare ingresso nello Stato
Italiano. La durata, non può comunque essere
superiore :
a) a tre mesi per: visite, affari, turismo;
b) a sei mesi, o a nove mesi per: i lavori stagionali;
c) ad un anno per: corsi di studio o formazione;
d) a due anni per: lavoro subordinato a
tempo indeterminato e per ricongiungimenti
familiari.(art. 5).
Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo,
sono rifiutati o revocati se mancano o vengono
a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e la
permanenza dello straniero nel territorio dello
Stato ed in proposito, ai sensi dell’art. 6 comma
3, lo straniero che, su richiesta delle Forze
dell’Ordine, senza giustificato motivo, non esibisce il passaporto od altro documento, ovvero
il permesso o la carta di soggiorno, è punito
con l’arresto fino a sei mesi e l’ammenda fino a
lire ottocentomila.
273
E’ di rilievo la previsione nell’art. 7 della
sopra citata Carta di soggiorno, un titolo permanente di cui potrà fruire lo straniero regolarmente soggiornante in Italia da almeno sei anni
ed incensurato da pregiudizi penali rilevanti,
che consentirà allo stesso l’ingresso ed il reingresso nello Stato in esenzione dalle norme sul
visto, lo svolgimento di ogni attività lecita (tranne alcune riservate al cittadino italiano), l’accesso ai servizi della Pubblica Amministrazione e,
di rilevante novità, il diritto di elettorato attivo e
passivo nelle votazioni comunali e circoscrizionali. Tale documento, da considerare un traguardo intermedio nel percorso verso la cittadinanza italiana, incontra tuttavia innumerevoli
divergenze di opinioni politiche, per cui è in
dubbio se verrà mantenuto nella legge in sede
di emendamenti.
Nel disegno di legge si passa di seguito, alla
materia dei respingimenti, che, tranne che nei
confronti di coloro ai quali è riconosciuto lo status di rifugiato, vengono adottati quando lo
straniero tenta di entrare senza avere i requisiti
richiesti, dalla normativa stessa e già analizzati:
gli articoli 9 e 10 potenziano in tal senso l’azione di contrasto alle immigrazioni clandestine,
sia attraverso misure di controllo e di coordinamento, sia mediante norme repressive più severe, con sanzioni detentive che vanno da quattro
a dodici anni di reclusione, in aggiunta alla
multa, per coloro che favoriscono, a fine di
lucro, l’ingresso clandestino degli stranieri, nonché da cinque a quindici anni di reclusione,
oltre alla sanzione pecuniaria, se il fine perseguito è il reclutamento o lo sfruttamento di
donne o minori nella prostituzione. In tali casi,
274
efficacemente la nuova legge consente l’arresto
in flagranza del “trafficante” e la confisca del
mezzo di trasporto utilizzato.
Con l’art. 11 si disciplinano le espulsioni
amministrative, ridotte a due ipotesi: la prima è
disposta dal Ministro dell’Interno per motivi di
ordine pubblico e di sicurezza dello Stato; per
la seconda è competente il Prefetto, che la adotta contro il clandestino entrato nel territorio
Italiano sottraendosi ai controlli di frontiera,
ovvero nei confronti dell’irregolare che non
abbia ottemperato al rinnovo del permesso di
soggiorno, e degli stranieri pericolosi per la
sicurezza pubblica (per es. pluri-pregiudicati).
In conformità al Protocollo nr. 7 della
“Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, ratificato
in Italia con Legge n. 98 del 9/4/90, l’espulsione
è eseguita con accompagnamento immediato
alla frontiera solo in casi limitati (espulsione per
motivi di ordine pubblico e sicurezza nazionale,
espulsioni già disposte e rimaste indebitamente
ineseguite, una volta esauriti i rimedi giurisdizionali), o quando ricorrono circostanze obbiettive che fanno ritenere concreto il pericolo che
l’interessato si sottragga al provvedimento.
Negli altri casi l’espulsione è adottata mediante intimazione a lasciare il territorio nazionale
entro 15 giorni. Qualora lo straniero sia colto in
flagranza di reato sono previste dal progetto di
legge meccanismi giuridici che contestualmente
assicurano sia l’effettività del provvedimento di
espulsione che la garanzia del diritto di difesa
dell’imputato, che potrà chiedere l’autorizzazione al reingresso nel territorio dello Stato per
assistere al processo in cui è coinvolto.
Rilevante novità è data dalla scelta legislativa
275
a favore del giudice ordinario, il pretore, quale
autorità giurisdizionale competente a decidere
sul ricorso contro l’espulsione, che non andrà
più presentato al Tribunale Amministrativo
Regionale, tranne che si tratti di espulsione
disposta dal Ministro dell’Interno per motivi di
ordine pubblico e di sicurezza nazionale. Il procedimento instaurato con il ricorso è rapidissimo, e per legge deve esaurirsi in quindici giorni, salvo ulteriore ricorso davanti alla Corte di
Cassazione e senza escludere che il Pretore
adìto possa sospendere l’esecuzione dell’atto
impugnato.
Ulteriore innovazione si rileva nell’art.12 del
Disegno di legge, laddove al fine di assicurare
l’effettività delle espulsioni disposte con l’accompagnamento alla frontiera e dei respingimenti, è previsto il trattenimento dell’interessato
in appositi centri di permanenza ed assistenza,
gestiti dal Ministero dell’Interno, e comunque
estranei alle strutture penitenziarie. La misura
può essere adottata in casi tassativamente indicati dalla legge, quando è impossibile procedere nell’immediatezza all’esecuzione del provvedimento nei confronti dello straniero: per esempio se risulta necessario disporre accertamenti
supplementari o acquisire visti e documenti,
ovvero predisporre un vettore ed un mezzo di
trasporto. Nel rispetto dell’art. 13 Cost., sulla
inviolabilità della libertà personale, il trattenimento ordinato dal Questore dovrà essere convalidato davanti al Pretore territorialmente competente e non potrà avere durata superiore ai
venti giorni, prorogabili al massimo per ulteriori
dieci giorni. La norma trova comuni denominatori nelle legislazioni di quasi tutti i Paesi
Europei ed è confortata dal disposto dell’art. 5
276
comma 1, lettera f) della Convenzione di Roma,
per la “salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali”, esecutiva in Italia con
Legge nr. 848 del 4/8/55, ove si contempla la
possibilità di misure custodiali provvisorie
preordinate all’esecuzione di un provvedimento
di espulsione.
Gli articoli 13 e 14 infine disciplinano ex
novo le espulsioni sancite dal giudice, sia a titolo di misura di sicurezza (nel caso di imputazione o di condanna per uno dei delitti per cui è
previsto l’arresto obbligatorio o facoltativo da
parte della polizia giudiziaria – artt. 380, 381
C.P.P. - vedi sopra), sia nell’ipotesi, peraltro mai
riportata prima, che l’imputato straniero chieda
al giudice di sostituire una pena detentiva inferiore ai due anni, comminata con sentenza di
patteggiamento, con la misura dell’espulsione.
Al capo III coglie l’attenzione la vera novità
della legge: per la prima volta, con l’art. 16,
sono introdotte norme a tutela delle vittime del
traffico di clandestini, in specie per lo sfruttamento sessuale. Lo straniero irregolare, infatti,
sia donna, uomo o minore, che intenda sottrarsi
alle violenze ed ai condizionamenti di una organizzazione criminale, e renda dichiarazioni utili
ai fini delle indagini, non incorre nella espulsione, ma ottiene un permesso di soggiorno per
motivi di giustizia e/o di protezione sociale (di
sei mesi, rinnovabile per un anno), e può usufruire di una programma di assistenza ed integrazione sociale presso enti associativi diversi
da quelli istituzionalmente preposti ai servizi
sociali, con facoltà di accedere a corsi scolastici,
alle realtà assistenziali ed alle liste di collocamento lavorativo. Si intende in tal modo aiutare
277
e proteggere le vittime dalle ritorsioni degli
sfruttatori, incentivando il numero delle denunce in vista di una più forte lotta contro la criminalità organizzata operante nell’ambito della
immigrazione clandestina e dello sfruttamento
ai fini sessuali. Completano le previsioni a carattere umanitario gli articoli 17 e 18, che vietano
l’espulsione nei confronti di alcuni soggetti
(minori, donne in gravidanza, possessori della
Carta di soggiorno) e contengono speciali misure temporanee di protezione degli immigrati per
eventi eccezionali quali disastri naturali, guerre
e situazioni di grave pericolo in genere.
Il Titolo III del Disegno di legge riguarda la
disciplina del lavoro ed incide profondamente
sulla vecchia disciplina della legge nr. 943 del
1986, definendo in primis le modalità di ingresso in Italia per lavoro, sulla base delle quote fissate in riferimento al documento programmatico triennale del Governo che abbiamo sopra
citato.
Occorre pertanto la tradizionale chiamata del
datore di lavoro, e la preventiva autorizzazione
degli Uffici Provinciali del Lavoro, con il prelievo da liste di prenotazione predisposte nel
Paese di origine e comunicate in Italia, ovvero
attraverso la garanzia di soggetti, persone fisiche o associazioni di volontariato, che si obblighino a provvedere per l’alloggio ed il sostentamento dello straniero nello Stato.
Il Titolo IV regola il diritto all’unità familiare e
la tutela del minore straniero, tenuto conto che
la Corte Costituzionale, con sentenza nr. 28 del
1995 ha qualificato diritto soggettivo quello
dello straniero al ricongiungimento familiare. In
278
generale pertanto, lo straniero regolarmente
soggiornante in Italia può chiedere l’ingresso
dei propri parenti, entro il terzo grado, con il
rilascio di un permesso di soggiorno di durata
equivalente a quello personale, dimostrando la
disponibilità di un alloggio e di un reddito sufficiente al mantenimento dei familiari richiesti.
La condizione giuridica del minore straniero è
tutelata dall’art. 29 del disegno di legge, secondo il quale è la stessa del genitore convivente o
la più favorevole tra quella dei genitori conviventi. Il suo permesso di soggiorno è inserito in
quello del genitore sino all’età di quattordici
anni. Il comma 3 del suddetto articolo, prevede
inoltre il rilascio di un visto di ingresso e di un
permesso di soggiorno da parte del Tribunale
per i Minorenni, a favore del familiare di un fanciullo in difficoltà, se necessario all’integrità
psico-fisica del minore.
Dal punto di vista sanitario-assistenziale, il
Titolo V equipara i Cittadini Italiani agli stranieri
regolari, mentre è pur sempre garantito ai clandestini il diritto alle cure urgenti ospedaliere per
malattie, infortuni e maternità. La tutela della
gravidanza e della salute del minore, quantunque si tratti di irregolari, risulta identica a quella
dei cittadini italiani, in conformità a quanto previsto dalle leggi nr. 405 del 1975 e nr. 194 del
1978, nonché dalla Convenzione di New York
sui diritti del fanciullo, esecutiva in Italia con
legge nr. 176 del 1991.
L’ingresso ed il soggiorno in Italia per cure
mediche infine, verranno condizionati alla
prova da parte dello straniero di idonea capacità economica per il pagamento delle stesse.
279
Le norme sull’istruzione, contenute di seguito, estendono l’obbligo scolastico ai minori stranieri - comunque - presenti nel territorio
Italiano, mentre in riferimento ai corsi universitari, le stesse promuovono attività di orientamento e di accoglienza dello straniero, nonché
la possibilità di erogazioni sovvenzionali.
Nell’ambito delle politiche di integrazione, è
previsto che le Regioni, di concerto con le associazioni di volontariato, predispongano centri di
accoglienza per lo straniero, e che questi, previa regolarizzazione, possa accedere ad alloggi
di edilizia residenziale pubblica. Quanto sopra
risponde ad una esigenza sociale primaria dell’immigrato, ossia l’abitazione, anche al fine di
prevenire situazioni di emarginazione e deterioramento del tessuto sociale in cui vive.
Va da ultimo evidenziata la disposizione degli
articoli 40 e 41, in toto originali, che mirano alla
definizione delle c.d. discriminazioni razziali,
identificandole in ogni comportamento finalizzato a distinzioni per motivi di razza, colore,
ascendenza, origine nazionale o etnica, religione. Contro le stesse, è ammessa una azione civile per la loro cessazione (c.d. inibitoria) e per il
risarcimento del danno, anche solo morale se
non si ravvisi un danno patrimoniale, con le sanzioni penali dell’art. 388 C.P. (“Dolosa inosservanza di un provvedimento del giudice”) per chi
elude quanto deciso dal Pretore, Magistrato indicato competente in merito dal disegno di legge.
Restano i dubbi sulla sopravvivenza del disegno di legge, così come ab origine presentato,
successivamente alla fase della conversione in
legge formale, posto che vari gruppi politici
hanno già paventato numerose proposte di
emendamento.
280
I diritti della prostituta immigrata
1) L’acquisizione della cittadinanza italiana
Con la permanenza in regola nel territorio, la
straniera inizia a maturare il diritto di ottenere la
cittadinanza. L’art. 9 co. 2 lett. - f) della legge 91
/1992 prevede la concessione della cittadinanza
allo straniero che risiede legalmente da almeno
dieci anni nel territorio della Repubblica. La
legge 91/1992 riconosce altresì la cittadinanza
allo straniero adottato da cittadino italiano.
Tuttavia qualora sia maggiorenne, lo straniero
deve risiedere nel territorio della Repubblica da
almeno cinque anni successivamente alla adozione. Medesima opportunità viene consentita
al coniuge straniero di cittadino italiano, quando risieda legalmente da almeno sei mesi nel
territorio della Repubblica, ovvero dopo tre
anni dalla data del matrimonio, se non è intervenuta separazione, divorzio, annullamento o
scioglimento da parte delle autorità competenti.
2) I diritti inviolabili della Prostituta immigrata
Prima della regolarizzazione, la ragazza straniera vive in base all’attuale disciplina, una condizione giuridica definibile imperfetta. In particolare vengono meno quelli che la Costituzione
della Repubblica definisce rapporti economici,
per cui la clandestina, ossia la straniera senza
permesso di soggiorno, non può validamente
prestare la propria attività lavorativa. Nei suoi
confronti non possono trovare infatti applicazione i principi degli artt. 36 e seguenti della
Costituzione che di contro forniscono i diritti
281
del lavoratore della essenziale tutela giuridica.
Non di meno va rilevato che l’art. 14 della legge
848/1955, in ratifica ed esecuzione della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, garantisce il
godimento di una serie di diritti e libertà basilari
dell’uomo, a prescindere da alcuna distinzione
sia essa fondata sul sesso, sulla razza, sulle opinioni politiche o religiose ed in specie sull’origine nazionale o sociale, ovvero sull’appartenenza ad una minoranza nazionale. L’importanza
dei predetti principi è manifesta: nessuna straniera, sia essa prostituta o meno, regolarmente
residente in Italia o clandestina potrà essere privata o limitata del diritto alla vita, (art. 2 legge
citata) e, salvo che nei casi espressamente previsti dalla legge, alla libertà, né alla sicurezza
personale, (art. 3 legge citata).
In virtù di quanto sopra, alla ragazza sarà
assicurata piena libertà di pensiero, coscienza o
religione, nonché la sottoposizione personale
ad un eventuale procedimento penale legittimo
ed imparziale. Parimenti alla stessa verrà sempre riconosciuta una piena assistenza sanitaria
nei casi in cui ve ne fosse urgenza.
In questo ambito giuridico, attinente le fondamentali garanzie giuridiche della persona, la
ragazza straniera mantiene prerogative identiche al cittadino italiano, attesa la priorità di
simili aspettative di tutela nei confronti dello
Stato.
Sembrerebbe dall’analisi sopra esposta, che
tali corollari siano stati recepiti dal nuovo disegno di legge precedentemente descritto sulla
condizione degli immigrati, di cui si invoca,
pertanto, l’immediata trasposizione in diritto
positivo.
282
Aspetti giuridicamente rilevanti della funzione dell’operatore di strada
Ipotesi di reato commesso nell’attività di operatore di strada.
Va da ultimo analizzata l’eventuale rilevanza
penale delle condotte degli operatori, che frequentemente nelle diverse fasi di un progetto di
intervento sociale-sanitario, si trovano ad operare a stretto contatto con le realtà personali delle
prostitute straniere, come sopra enucleate
Qualora l’operatore si attivi in ausilio della
ragazza, per assicurarle la definitiva acquisizione dei vantaggi tratti da un precedente comportamento delittuoso, egli stesso risponde di
“favoreggiamento reale”, punito dall’art. 379
C.P.. La fattispecie si differenzia dal “favoreggiamento personale”, di cui all’art. 378 C.P. in
quanto nel primo il responsabile dirige il proprio aiuto sui beni conseguiti dalla ragazza
mediante reato, fornendone per esempio idonea allocazione, mentre nel secondo è la ragazza stessa che viene favorita, dopo aver commesso un reato, onde consentirle l’elusione delle
indagini ovvero di sottrarsi alle ricerche
dell’Autorità.
Va in proposito ulteriormente distinto l’art.
648 C.P. (“ricettazione”) che persegue l’operatore se questi, al fine di procurare a sé o ad altri
un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o
cose provenienti da qualsiasi delitto commesso
dalla ragazza. Il fine perseguito del vantaggio
patrimoniale, che in diritto penale si definisce
“dolo specifico”, separa l’ipotesi in esame dal
“favoreggiamento reale” sopra riferito.
Contro l’amministrazione della giustizia inol283
tre, l’operatore può concretizzare condotte di
“procurata evasione”, ai sensi dell’art. 386 C.P.
nei casi in cui agevoli l’evasione di una ragazza
legalmente arrestata o detenuta. Va specificato
che la norma può trovare verosimile applicazione nei casi in cui alla ragazza, implicata in procedimenti penali, venga irrogata dal Magistrato
la misura degli arresti domiciliari, già esaminati.
L’operatore che, dietro richiesta di informazioni dal Pubblico Ministero inquirente nei confronti di una assistita, mente od omette di
dichiarare quanto è a sua conoscenza, può
essere imputato di “false informazioni al pubblico ministero”, vale a dire per la violazione dell’art. 371 bis C.P. Se invece la falsa o l’omessa
deposizione si verifica durante un processo, il
colpevole, in quanto assume la qualità di testimone, risponde ai sensi dell’art. 372 C.P. che
sanziona la “falsa testimonianza”.
I due articoli da ultimo esaminati tutelano la
veridicità e la completezza delle deposizioni
nelle diverse fasi di un procedimento giurisdizionale, al fine di garantire il corretto funzionamento dell’attività giudiziaria.
Secondo la prevalente giurisprudenza, non
esiste coincidenza con il reato di favoreggiamento personale. Ricorre pertanto un concorso
di reati, con violazione di due diversi precetti
penali, quando le dichiarazioni mendaci volte a
favorire la ragazza autrice di un delitto siano
dall’operatore rese prima dinanzi alla polizia
giudiziaria che sta indagando e successivamente dinanzi al Giudice.
Si è tentato di fornire una generica cognizione
delle principali problematiche giuridiche delle
ragazze straniere prostitute, puntualizzando
altresì il ruolo talvolta penalmente “sui generis”
284
di chi si adopera al riguardo. Non può omettersi
tuttavia una definitiva precisazione: ogni ragazza che esce dalla prostituzione configura un
microcosmo giuridico specifico, e per conoscerlo appieno, oltre all’esperienza ed alla preparazione, occorre munirsi di inesauribile determinazione. Non è infrequente infatti che la assistita, a causa dei traumi precedentemente subiti,
mostri di confidare dell’operato del legale, ma
all’improvviso, riveli condizionamenti e realtà
segrete che mai si potrebbero preventivare.
Glossario
Status giuridico: situazione giuridicamente
rilevante che esprime la posizione di un soggetto nei confronti di altri soggetti nell’ambito di
una collettività organizzata.
Arresto obbligatorio in flagranza: attività
della polizia giudiziaria che deve interrompere
la commissione di determinati reati elencati dal
Codice di Procedura Penale con una limitazione
della libertà personale del responsabile. seguita
dalla verifica dell’autorità giudiziaria.
Arresto facoltativo in flagranza: attività della
polizia giudiziaria che può interrompere la
commissione di determinati reati elencati dal
Codice di Procedura Penale con una limitazione
della libertà personale del responsabile, o altrimenti procedere alla denuncia del responsabile
a piede libero.
Fermo di polizia giudiziaria: attività della
polizia giudiziaria con limitazione della libertà
personale di un soggetto nei confronti del quali
esistano gravi indizi di colpevolezza in ordine
alla commissione di un reato, già compiuto, e vi
285
sia una esigenza cautelare motivata dal pericolo
di fuga del responsabile .
Imputato: qualifica attribuita al soggetto nei
confronti del quale è emesso il decreto di rinvio
a giudizio, ovvero la citazione in una udienza
per essere giudicato di un fatto costituente
reato.
Indagato: qualifica attribuita al soggetto nei
confronti del quale la magistratura indaga per
verificare la commissione di fatti costituenti reati
prima di emettere il decreto di rinvio a giudizio.
Persona offesa dal reato: titolare del bene
tutelato dalla norma penale che subisce un
danno dal fatto costituente reato.
Misura di custodia cautelare: provvedimento
dell’autorità giudiziaria con il quale prima di un
processo si limita la libertà personale di un soggetto, con restrizione in una Casa Circondariale
di Custodia e Pena ,nei confronti del quali sussistano gravi indizi di colpevolezza in ordine alla
commissione di un reato e vi siano esigenze
cautelari motivate dal pericolo di fuga del
responsabile, ovvero da sue condotte di inquinamento delle prove ovvero infine dalla previsione che lo stesso reiteri il reato.
Arresti domiciliari o detenzione domiciliare:
espiazione della misura della custodia cautelare
all’interno delle mura domestiche invece che
detenuto in carcere, con prescrizioni varie dell’autorità giudiziaria di isolamento del ristretto
verso l’esterno.
Delitto : fatto costituente reato per il quale è
comminata la pena dell’ergastolo, della reclusione o della multa.
Contravvenzione: fatto costituente reato di
minore gravità per il quale è comminata la pena
dell’arresto o dell’ammenda.
286
Reclusione : pena o sanzione detentiva con
limitazione della libertà personale prevista per
le violazioni della legge penale che corrispondono ai delitti.
Multa: pena o sanzione pecuniaria incidente
sul patrimonio del colpevole prevista per le violazioni della legge penale che corrispondono ai
delitti.
Arresto : pena o sanzione detentiva con limitazione della libertà personale prevista per le
violazioni della legge penale che corrispondono
alle contravvenzioni.
Ammenda:: pena o sanzione pecuniaria incidente sul patrimonio del colpevole prevista per
le violazioni della legge penale che corrispondono alle contravvenzioni.
Pena edittale: pena prevista per un determinato reato che parte da un limite minimo ad un
limite massimo fissati dalla legge.
Circostanza aggravante: elemento accessorio
del reato, non necessario ai fini della sussistenza ma incidente sulla gravità comportando un
aumento di pena ( o una diminuzione se trattasi
di circostanza attenuante).
Reato speciale: fattispecie criminosa non contenuta dal codice penale bensì prevista e disciplinata in una legge speciale.
Corte di cassazione: massimo organo giurisdizionale di controllo di legittimità delle sentenze e terzo grado di ricorso contro una pronuncia giudiziale. Riveste la funzione cd nomofilalica, ossia di indirizzo ed orientamento nei
confronti delle autorità giudicanti inferiori.
Pretore: organo giurisdizionale monocratico
di primo grado.
Tribunale: organo giurisdizionale collegiale
di primo grado
287
Corte di assise: organo giurisdizionale collegiale di primo grado per reati di rilevante gravità.
Corte di appello: organo giurisdizionale collegiale di secondo grado davanti al quale si ricorre impugnando una sentenza emessa da una
autorità giudicante di primo grado .
Corte costituzionale: massimo organo giurisdizionale che decide, fra l’altro, sulla legittimità
di una legge in relazione ai principi della
Costituzione.
Sentenza passata in giudicato: pronuncia di
una autorità giudicante non più impugnabile
per decorrenza dei termini di o per esaurimento
dei gradi di ricorso.
Decreto-legge: fonte normativa avente forza di
legge, emanato dal Governo in situazioni di
necessità ed urgenza, da convertire entro 60
giorni in legge o da reiterare pena la perdita di
efficacia.
Legge-quadro: legge formale del Parlamento
tecnicamente formata in principi da rendere
ulteriormente esecutivi tramite altre fonti normative ( leggi regionali, regolamenti ,ecc.)
Titolo di legge: parte di una legge o di un
codice che distingue in relazione all’aspetto
della materia disciplinata.
Patteggiamento: procedimento giurisdizionale nel quale prima di un processo si concorda
con il pubblico ministero l’entità della pena,
comunque entro i due anni, da irrogare per la
commissione di un reato del quale l’imputato
ammette la responsabilità.
288
* Cristina Perozzi è avvocato e attualmente Legale
volontario dell’Associazione On the Road. Ha svolto
funzioni di Vice Procuratore onorario presso la Pretura
di Ascoli Piceno nel triennio ’95 – ‘97. E’ consulente
legale del Telefono Anti Violenza istituito dalla
Provincia di Ascoli Piceno. Finalista nel 1996 alla selezione per Esperto Associato dell’ONU, Ufficio
Prevenzione del Crimine e Giustizia Penale di Vienna.
289
290
Un profilo professionale:
l’Operatrice Sociale di Base
nell’ambito della Prostituzione
Vincenzo Castelli e Marco Bufo*
Premessa
N
ei nuovi scenari degli interventi sociali
nell’ambito della prostituzione di strada, per
quanto ancora giovani e non consolidati,
cominciano a definirsi alcune figure professionali.
Esse sono recenti, non formalizzate, caratterizzate dall’inesistenza di titoli definiti e riconosciuti, da una molteplicità eterogenea di percorsi formativi possibili e dunque di titoli di accesso agli stessi.
Queste figure sono impiegate negli interventi
sulla prostituzione nell’asse che va dal lavoro di
strada a quello dell’accoglienza e dell’accompagnamento verso l’autonomia delle persone che
decidono di intraprendere percorsi di uscita,
comprendendo quindi anche la problematica
del loro inserimento sociale e lavorativo.
Tali figure professionali sono: operatrici e
operatori di strada, educatrici pari, mediatrici e
mediatori culturali, operatrici e operatori di
accoglienza ed inserimento.
Rimandiamo per le specifiche operatività del
lavoro di strada e alle figure coinvolte al capitolo “Figure professionali nel lavoro di strada”, e
al capitolo “Figure professionali nell’accoglienza e l’accompagnamento verso l’autonomia” per
quel che riguarda questo ambito.
291
Vorremmo qui tentare di ipotizzare il profilo
professionale di una figura che sia in grado di
muoversi nella globalità di un intervento nella
prostituzione, dal lavoro di strada all’inserimento socio-lavorativo (escludendo le specifiche
professionalità della mediatrice o mediatore culturale e dell’educatrice pari) pur prevedendo la
possibilità di un suo utilizzo settoriale. E’ infatti
difficile (e rischioso) che un’operatrice di strada
sia contemporaneamente anche operatrice di
accoglienza, ma una formazione trasversale (e
non eccessivamente settorializzata), offre sia il
vantaggio pratico della versatilità (che non è
però scontata perché i due fronti richiedono
attitudini relazionali d’impatto con diverse sfumature), che il vantaggio di una conoscenza a
tutto campo (e non parcellizzata) degli ambiti
dell’intervento.
Il profilo che andiamo a delineare nasce dall’esperienza formativa realizzata dall’Associazione On the Road con il corso per “operatrice
sociale di base per la prevenzione nell’ambito
della prostituzione” nel quadro del progetto
NOW.
Si tratta di una ipotesi di profilo professionale
per la quale è auspicabile un lavoro di confronto con le altre realtà che operano nel settore al
fine di perfezionarla. Inoltre il confronto dovrà
inquadrare tale ipotesi nel più ampio scenario
del dibattito intorno ai profili professionali e alla
loro legittimazione, poiché attualmente ci si
muove tra l’immobilismo a livello centrale e la
proliferazione di profili “dal basso” per l’iniziativa del privato sociale e di alcune Regioni.
292
Il contesto
Il profilo di Operatrice sociale di base nell’ambito della prostituzione tenta di coniugare,
in maniera integrata, il lavoro sociale nell’ambito della prostituzione sia nella sua fase di intervento di strada che di accoglienza e di accompagnamento verso l’autonomia.
Tale profilo nasce dunque nella consapevolezza che, pur nella specializzazione dei singoli
interventi, occorre produrre una sintesi tra le
diverse modalità di lavoro.
Tale profilo oggi in Italia è certamente innovativo e può rispondere alla domanda che tale
fenomenologia pone alle politiche sociali ed ai
servizi sociali: prevenzione sanitaria, accompagnamento ai servizi, emergenza, sicurezza, problemi giuridico-penali, problemi familiari, accoglienza, presa in carico, formazione professionale, inserimento lavorativo, autonomia gestionale, relazionale ed abitativa.
Il fenomeno, del resto, si è talmente modificato in questi ultimi anni da far coesistere concezioni e modalità di intervento diversificato
anche in considerazione della concomitanza di
problemi tra loro correlati nel mondo della prostituzione:
˙ libero esercizio della professione
˙ immigrazione
˙ clandestinità
˙ criminalità
˙ tratta
La situazione occupazionale
La figura dell’operatrice sociale di base nel293
l’ambito della prostituzione può avere buone
possibilità di inserimento lavorativo, alla luce
dello sviluppo delle politiche di intervento in
questo campo.
Infatti sono già svariati gli Enti Locali o le
organizzazioni del privato sociale che hanno
avviato interventi sulla prostituzione (Cfr. a titolo esemplare i Comuni di Venezia, Bologna,
Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Firenze...), unitamente ad alcune Provincie (Cfr. Provincia di
Torino, di Roma...) all’interno di nuovi quadri
legislativi predisposti “ad hoc” (Cfr. Legge regionale Emilia e Romagna).
Tali enti pubblici hanno attivato in generale
progetti organici in cui coesistono interventi di
prevenzione e di accoglienza e pertanto cercano figure polivalenti (come appunto il profilo in
questione) in grado di “gestire” processi complessi di intervento (prevenzione - presa in carico - reinserimento).
Del resto in tali servizi pubblici non esistono
figure in organico in grado di ricoprire tali funzioni.
L’operatrice sociale di base nell’ambito della
prostituzione ha pertanto possibilità di inserimento lavorativo presso servizi pubblici
(Aziende USL - Enti Locali - Provincie - Regioni)
che attuino sul territorio di loro competenza un
intervento sulla prostituzione.
Possono trovare altresì inserimento lavorativo
presso realtà del volontariato sociale (associazioni, cooperative, comunità) che attuano nell’ambito della prostituzione interventi diversificati.
294
Le prospettive
Non esiste nessuna normativa, né riconoscimento di tale professionalità, né ancora si intravede l’attivazione di un corso di formazione a
carattere universitario o parauniversitario.
All’interno del Fondo Sociale Europeo
dell’Unione Europea (Cfr. Iniziative Comunitarie
Occupazione - Programma Leonardo - Piani
Operativi Multiregionali) ci sono progetti “sperimentali” di formazione su tale professionalità.
In alcune università italiane ci sono dei cicli
di formazione sul lavoro sociale di strada, che a
volte trova applicazione nell’ambito della prostituzione.
Essendo comunque una nuova professione,
senza dubbio emergente e necessaria1, rappresenterà un polo significativo nelle qualifiche
professionali sociali per gli anni futuri.
Ci sono comunque dei percorsi formativi ed
implementativi ormai consolidati: ad esempio il
lavoro delle reti europee EUROPAP2 e TAMPEP3
hanno avviato una metodologia sperimentale
(nell’ambito specificatamente della prevenzione
sanitaria) in grado di proporre un modello di
intervento specifico certamente innovativo.
Anche le Regioni e le Provincie, nell’ambito
1 Il fenomeno sta divenendo nelle città metropolitane, ma anche nelle realtà periferiche, una vera e propria emergenza (che implica problemi di sicurezza
sociale, di tutela dei cittadini, di criminalità organizzata...).
2 Per l’Italia sono referenti la LILA ed il Comitato per
i Diritti Civili delle Prostitute
3 La referenzialità italiana è del Comitato dei Diritti
Civili delle Prostitute con una rete costituita dai
Comuni di Venezia - Torino - Modena - Bologna.
295
delle strategie della formazione ordinaria e
straordinaria, stanno prevedendo l’attivazione
di corsi di formazione per Operatori di strada
nell’ambito della prostituzione.
In particolare possono essere un ottimo volano didattico-pedagogico le attività formative “ad
hoc” definite da alcune realtà del privato
sociale4.
Descrizione del profilo
Gli obiettivi
L’operatrice sociale di base nell’ambito della
prostituzione, si presenta e si pone come una
messa in crisi delle modalità classiche di intervento sociale, poiché l’obiettivo è di incidere
sulla realtà che il “target” vive, e da questa non
può prescindere. Il suo lavoro si gioca quindi
innanzi tutto sulla strada, concepita come luogo
fisico, ma anche come realtà paradigmatica, e
sulla capacità di cogliere i bisogni di chi vive la
prostituzione e di co-elaborare risposte, siano
esse immediate che di medio-lungo termine.
Obiettivi dell’operatrice sociale di base nell’ambito della prostituzione sono pertanto:
- “leggere” la realtà territoriale della prostituzione e dei suoi attori
- migliorare le condizioni di vita delle perso4 Cfr. i corsi per Educatrici, Mediatrici culturali,
Operatrici Pari attivati dalla rete Tampep e dal
Comitato dei Diritti Civili delle Prostitute, i corsi attivati
dal Progetto “Bologna Sicura” del Comune di Bologna,
i corsi dell’Associazione “On The Road” del CNCA.
296
ne che si prostituiscono e ridurre i fattori di
rischio
- offrire al “target” opportunità di uscita dalla
prostituzione
- offrire opportunità di accoglienza e di inserimento socio-lavorativo (con la predisposizione di risposte a tutte le problematiche correlate,
ad esempio permesso di soggiorno, salute, abitazione ecc.)
- incidere positivamente sul contesto (inteso
come realtà in cui convivono componenti diverse: prostitute, cittadini ecc.) e sulle interrelazioni tra le agenzie che vi operano (servizi sociosanitari, Ente Locale, unità di strada ecc.).
Situazione-tipo di lavoro
Essendo “giocato” prevalentemente sulla strada, nella notte, o in situazioni di emergenza, o
nel difficile lavoro della presa in carico e dell’accompagnamento verso l’autonomia, l’operatrice sociale di base nell’ambito della prostituzione lavora direttamente sul campo, spesso
senza rete protettiva, con alle spalle le forze
vive del territorio (servizi sociali pubblici, servizi sanitari, associazioni, gruppi, cooperative,
privato sociale...).
La situazione-tipo lavorativa, per quanto
inquadrata nell’ambito di un progetto con interventi programmati, è comunque fluida, soggetta
a modificarsi con il quotidiano delle storie, delle
situazioni, dei luoghi che l’operatrice frequenta.
Spesso tale intervento evade i canoni classici
dell’orario e della tipologia lavorativa: esso
viene gestito sulla strada, di notte, nei bar, nelle
discoteche, nei servizi sanitari pubblici e privati
297
(per quanto concerne l’azione di prevenzione
sanitaria), in appartamenti, case di fuga,
Questure, spazi familiari, ambiti pre-lavorativi o
aziende (per quanto riguarda l’inserimento
socio-lavorativo).
Capacità e competenze
In riferimento agli obiettivi delineati, l’operatrice sociale di base nell’ambito della prostituzione deve possedere le seguenti capacità e
competenze suddivise in tre sfere:
1. Sapere
˙ Conoscenza del fenomeno della prostituzione e delle sue connotazioni, delle politiche e
degli interventi possibili nel campo
˙ Conoscenza di elementi di sociologia, psicologia, pedagogia, adeguatamente calati nella
realtà di intervento
˙ Conoscenza delle metodologie di intervento nei vari possibili assi di un progetto sulla prostituzione (ricerca-azione, mappatura, lavoro di
strada, prevenzione sanitaria, accoglienza,
orientamento, inserimento socio-lavorativo...)
˙ Conoscenza di problematiche specifiche
legate alle caratteristiche del “target” (immigrazione, problemi legali, sanitari ecc.)
˙ Conoscenza attenta e qualificata del territorio sociale e dei ruoli e funzioni delle diverse
agenzie e istituzioni
298
2. Saper fare
˙ Osservazione del territorio e del fenomeno
prostituzione (gli attori, i luoghi, i tempi, le
dinamiche)
˙ Contatto e comunicazione col “target”
˙ Individuazione dei bisogni
˙ Negoziazione delle risposte (col target, con
la committenza, con l’équipe)
˙ Informazione e prevenzione sanitaria
˙ Accompagnamento presso i servizi sociosanitari
˙ Ascolto attivo ed eventuale prospettazione
di percorsi di uscita
˙ Relazione di aiuto e di sostegno
˙ Gestione di percorsi di accoglienza
˙ Gestione di percorsi di inserimento sociolavorativo
˙ Lavoro di équipe
˙ Lavoro di rete
˙ Lavoro in ottica progettuale e valutativa
(nel progetto, nei percorsi individuali
dell’“utenza”, nel lavoro di equipe)
3. Saper essere
˙
˙
˙
˙
˙
˙
˙
Motivazione
Presenza non giudicante
Ascolto attivo
Capacità comunicativa
Capacità relazionale
Capacità di gestire i conflitti
Capacità di gestire situazioni di pericolo o
di rischio
˙ Capacità di gestire angosce e fallimenti
˙ Capacità propositiva ed elasticità
299
Saperi richiesti
Titolo di accesso
Il profilo dell’operatrice sociale di base nell’ambito della prostituzione si incanala, come
per altre nuove professionalità sociali, più su un
sapere di tipo pragmatico (saper essere - saper
fare) che di tipo teoretico (sapere), nell’ottica e
nel superamento della concezione di sapere
meramente di tipo teorico e nozionistico.
Per accedere ad un percorso di formazione
per la figura professionale in questione, si può
ipotizzare perlomeno il requisito formale del
titolo di scuola secondaria superiore o consolidata esperienza lavorativa o di volontariato
negli interventi sociali in favore di persone
emarginate.
Riconoscimento istituzionale ed organi di
formazione
Come detto non esiste nessun riconoscimento istituzionale di tale intervento. A parte alcuni
corsi effettuati, all’interno di facoltà universitarie, gli organi di formazione di tale profilo sono
ancora quelli della base sociale (associazioni,
cooperative, privato sociale). E’ possibile che
proprio grazie allo stimolo della base sociale,
attraverso il coinvolgimento delle rispettive
Regioni si addivenga ad un riconoscimento da
parte del Ministero del Lavoro e della
Previdenza Sociale della nuova figura professionale. La difficoltà resta da una parte la staticità
della macchina Ministeriale nel contemplare le
nuove necessità nei vari contesti professionali e
le relative figure di intervento, dall’altra il
300
rischio di una proliferazione selvaggia ed incontrollata di nuovi profili professionali.
Iter e moduli formativi
Non esistendo una normativa nazionale l’iter
formativo viene definito di volta in volta soprattutto tenendo conto dei vincoli posti dagli Enti
titolari della formazione per il riconoscimento
del titolo (Cfr. Ministero del Lavoro - Regioni Provincie)5.
Fondamentalmente, a livello standard, l’iter si
attiva sui seguenti moduli formativi:
Fase di orientamento (100 ore)
Orientamento al ruolo e selezione dei partecipanti con lo sviluppo teorico-pratico delle principali tematiche di formazione, del programma
sotto riportato.
Moduli (200 ore)
˙ il fenomeno della prostituzione;
˙ le politiche e la legislazione sulla prostituzione;
˙ gli interventi nella prostituzione;
˙ profilo del target;
˙ lingua e cultura dei paesi di origine;
˙ aspetti legali e sanitari;
˙ immigrazione e lavoro;
˙ l’operatrice sociale di base nell’ambito
della prostituzione: profilo, capacità e competenze;
˙ metodologie e tecniche di ricerca sociale;
5 In genere per il riconoscimento del titolo professionale vengono avviati corsi professionali di almeno
n.600 ore.
301
˙ metodologie e tecniche dell’intervento di
strada;
˙ comunicazione e relazione di aiuto;
˙ modalità di accoglienza;
˙ opportunità e strumenti per l’inserimento
lavorativo;
˙ il territorio: i suoi attori e i suoi linguaggi;
˙ il lavoro di comunità;
˙ la mediazione interculturale;
˙ lavoro di rete;
˙ lavoro di équipe;
˙ progettazione e valutazione;
Tirocinio formativo (300 ore)
˙ visite e analisi di progetti attivati nel contesto nazionale ed europeo;
˙ ricerca-azione;
˙ mappatura;
˙ unità di strada;
˙ accoglienza;
˙ inserimenti lavorativi;
˙ creazione di materiali di informazione e
prevenzione;
(Il tirocinio si articola in una successione di
momenti di “aula”, lavoro sul campo, lavoro
individuale, da realizzarsi anche presso progetti
attivati nel contesto nazionale o europeo).
Seminari esperienziali
Durante tutto il percorso vanno realizzati
periodicamente seminari esperienziali sulla
relazione di aiuto e le dinamiche emotive connesse al ruolo.
* Mar co Bufo è Coordinatore del Progetto di
Iniziativa Comunitaria OCCUPAZIONE NOW “Ionique -
302
Occupazione: femminile plurale” a titolarità C.N.C.A.,
Associazione On the Road.
In precedenza, dal 1992 al 1995, ha collaborato con
l’Associazione RES - Risposte Esperienze Servizi di
Capodarco di Fermo (AP), occupandosi dello sviluppo
e dell’attuazione di progetti di ricerca, formazione, sperimentazione ed intervento nell’ambito delle politiche
sociali e giovanili nel quadro di programmi ed iniziative a livello locale, nazionale ed europeo.
Tra gli altri incarichi ha coordinato attività nell’ambito di Corsi di Formazione per Operatori di Reti Sociali
Territoriali, Corsi per Operatori di Strada, progetti
PETRA, HELIOS e HORIZON, e ImparaRes - Itinerari di
Formazione Sociale.
303
304
Il lavoro di strada
Antonio D’Alessandro*
Introduzione
Q
uando si parla di lavoro di strada viene
subito in mente, soprattutto fra gli operatori
sociali, l’associazione con la riduzione del
danno, e in particolare con le unità di strada
rivolte ai tossicodipendenti attivi; anzi, per chi
segue meno da vicino il settore dell’emarginazione sociale, questi due approcci sono sostanzialmente simili e sovrapposti.
Seppure esistano molte contiguità teoriche ed
operative fra lavoro di strada e riduzione del
danno, come vedremo in seguito, occorre evitare di cadere nella trappola di ritenere che in
Italia il primo approccio sia stato introdotto
sulla scorta del secondo; sarebbe come definire
“nuove droghe” quegli stupefacenti detti comunemente ecstasy, mentre nuove non sono1.
Così come per l’ecstasy il lavoro di strada è
divenuto negli ultimi anni di “moda”, essendo
stato in qualche modo ri-scoperto dal dibattito
sulla riduzione del danno, ma non bisogna
dimenticare che in Italia a partire dal secondo
dopoguerra, con una accelerazione dalla secon1 Il principio attivo riscontrato più volte nelle pasticche di ecstasy, il MDMA (metilenediossimetanfetamina), fu brevettato nel 1912 dalla casa farmaceutica
Merck.
305
da metà degli anni ‘60, molte organizzazioni
attive nel settore dell’emarginazione sociale,
soprattutto d’ispirazione religiosa, hanno considerato la strada come luogo privilegiato della
loro azione sociale; ciò, non deve sorprendere
se si pensa che il primo “operatore di strada”
era un cattolico che ha iniziato la sua opera nel
primo medioevo: San Francesco d’Assisi.
Ritornando a tempi più recenti, è necessario
ricordare come la scelta di lavorare in strada sia
stata, ed è, un approccio non soltanto metodologico ma una precisa scelta etica e politica,
come lo fu la scelta di povertà di francescana
memoria. Infatti, la persona che privilegia questo metodo sceglie di mettersi allo stesso livello
dell’utente e, possibilmente, di imparare da lui,
nel rispetto della sua autonomia e delle scelte di
vita, come si comprende meglio dal seguente
brano: “(...) siamo partiti sulla strada, nell’incontro con chi vive situazioni di disagio e sofferenza, dalla voglia di ascoltare, di capire e condividere la fatica di tanta gente e di ricercare insieme soluzioni possibili. La strada, luogo di
povertà, di bisogni, di linguaggi, di relazioni e
di domande in continua trasformazione, è un
elemento costitutivo della nostra identità e il
punto di riferimento del nostro lavoro. Ci siamo
educati a non selezionare i compagni di viaggio, nel dialogo e nella responsabilità
reciproca”2.
Quando si discute e si ragiona sul lavoro di
strada spesso si tende a dimenticare questo
aspetto etico-politico a vantaggio delle problematiche più strettamente operative e/o ai risul2 Gruppo Abele, “Strada facendo”, pag. 7; Torino,
1994.
306
tati quantitativi conseguiti, che sono ovviamente molto importanti; tale tendenza rischia di
omologare questo approccio alle altre azioni
sociali meno caratterizzate, con il rischio, come
vedremo poi, di introdurre una serie di interventi di routine che diventano, man mano, la
sostanza del lavoro di strada.
Per sconfiggere questa tendenza occorre
avere ben chiari le finalità e gli obiettivi di ciò
che si vuole realizzare fin dall’inizio, attraverso
il pieno coinvolgimento di chi poi sarà l’operatore di strada; inoltre, sarà necessario impostare
l’organizzazione del lavoro con lo scopo di
favorire la riflessione sul lavoro svolto fra i
membri dell’équipe di lavoro e i responsabili.
I punti chiave del lavoro di strada
Quali sono i punti chiave del lavoro di strada?
E’ difficile affermarlo con sicurezza e definitivamente in quanto il lavoro di strada è, per fortuna, abbastanza vario ed articolato, sia per quanto riguarda la tipologia di interventi che per il
target a cui si riferisce.
Quindi, verranno approfonditi alcuni aspetti
che possono sembrare più importanti e generalizzabili di altri, ma sicuramente ogni esperienza
ed ogni operatore potrà avere i suoi punti chiave; inoltre, in questa parte non affronteremo l’aspetto organizzativo, che pure è un punto chiave, che a causa della sua complessità merita una
trattazione a parte.
- La strada
Come abbiamo già detto l’operare in strada
deve essere un opzione netta, individuale e/o
307
collettiva, preceduta e sostenuta da una scelta
etico-politica; infatti, a differenza degli altri “terreni” e luoghi dell’agire sociale, è fondamentale
stabilire un rapporto biunivoco con tale contesto, caratterizzato, cioè, dalla capacità di modificare l’azione in base ai ritorni che si ricevono
costantemente.
“La strada ci ha educato:
1) a mettere al centro la persona e le sue
relazioni significative, la sua originalità, l’irripetibilità della sua storia;
2) a proporre interventi non standardizzati,
bensì progetti personalizzati e rispettosi delle
libertà e delle possibilità di ognuno;
3) a non sottovalutare la necessità e l’importanza di strumenti culturali, di informazione,
di formazione e a non confondere sobrietà e
condivisione con pressappochismo o faciloneria;
4) a lavorare affinché il disagio, da solo
problema, diventi anche risorsa, punto di rottura, opportunità di trasformazione per ognuno.
Questo ha significato intervenire anche nei
“contesti di normalità”, ovvero sui sistemi di
relazione all’interno dei quali si produce e
manifesta il disagio, con le famiglie, con i gruppi dei pari, nella scuola e negli ambienti di lavoro, nel territorio.”3
Quindi, occorre innanzitutto comprendere
che la strada ha una funzione educativa importante e che è necessario porsi in “posizione d’ascolto”, cioè essere attenti a ciò che emerge da
tale contesto.
La capacità di recepire, decodificare e riflette3 ibidem, pag. 8.
308
re sui segnali della strada deve essere, però, una
scelta “politica” da compiere prima, o all’inizio,
dell’operatività; infatti, soltanto avendo accettato tale necessità sarà possibile percepire veramente ciò che giunge dalla strada (non a caso
un proverbio popolare afferma che non vi sia
peggior cieco di colui che non vuole vedere).
Ciò implica sia precise scelte organizzative,
come vedremo poi; sia, una decisone autonoma
da parte delle persone che scelgono di operare
in strada e che devono rinunciare a giudizi e
approcci precostituiti, al fine di facilitare al massimo lo scambio con i fruitori dell’intervento.
Anche su questa affermazione torneremo in
seguito.
La scelta etico-politica di lavorare in strada,
come abbiamo detto, deve partire da una riflessione e da un dibattito interno alla strutture e
alle persone che vogliono operarvi.
Una volta definita tale opzione è necessario
iniziare ad “ascoltare la strada”, cercando di
capire le peculiarità del contesto dove si opererà; si dovrà comprenderne il linguaggio e percepirne il “respiro”.
Quindi, si deve avere un grande rispetto della
strada e sforzarsi costantemente di comprenderne i cambiamenti, così come nei rapporti sociali
fra gli uomini; è necessario considerare questo
contesto operativo in un’ottica ecosistemica più
generale, in cui la strada è la parte emergente di
un tutto, che spesso è sommerso.
Questi osservazioni potranno sembrare un
po’ astratte, ma, oltre ad essere generate dall’esperienza diretta, trovano riscontro in altre
riflessioni operate sulla stessa tematica e basate
su altri percorsi.
Ad esempio, in una interessante riflessione
309
sulla modificazione degli approcci pedagogici
in relazione al lavoro di strada, viene evidenziato come sia necessario impostare l’azione educativa attraverso l’intreccio tra relazione, azione
e storie di vita, a partire da una spiccata attenzione filosofica: “Fare quindi lavoro di strada
significa (...) assumere non tanto il punto di
vista di una inesistente pedagogia scientifica,
quanto il punto di vista proprio di una metodologia cognitiva. Utilizzando ancora un riferimento al filosofare, azzardiamo l’ipotesi che il
lavoro pedagogico di strada (ma non solo) si
doti delle categorie concettuali che appartengono alla filosofia della conoscenza.”4
“(...) Il lavoro di strada (ma qualsiasi lavoro
pedagogico dovrebbe essere informato a questo principio) va vissuto come una storia di vita
(e una storia di vita include ragione e follia, certezza e indeterminazione, sfida e sconfitta) e va
studiato mentre si compie o va concludendosi
come una autobiografia che non risparmia nulla
di quanto è accaduto. E, qui, le domande saranno domande (anche spietate e impietose, imbarazzanti ma coraggiose) che facendo pulizia di
tanti termini tratti dalla letteratura o introdotti
dal formatore di turno verteranno, se saranno
tali, sui problemi riconducibili al senso di ciò
che si è fatto, ai significati esistenziali (al di là
del numero di preservativi distribuiti o delle
siringhe raccolte) di quanto - per gli altri e per
se stessi, in quanti inclusi nell’esperimento - si è
riusciti a costruire di volta in volta. Ma, domanda ancora più imbarazzante, ai significati che si
4 Duccio Demetrio, “Per una pedagogia del lavoro
di strada”, in Animazione Sociale n° 8/9, agosto/settembre 1995; pag. 60.
310
è riusciti a modificare introducendo - attraverso
i fatti e le parole - novità esperienziali ed esistenziali, provocazioni e rassicurazioni, giochi e
regole.
Il tempo della valutazione di ciò che si è fatto
irrompe quando ci si accorge che lavorando percon gli altri, si è lavorato per-con se stessi”...5
In definitiva, la strada può essere una finestra
sulla nostra società e ci può dare una visione
del mondo meno parziale di quanto sembri,
anche se si opera soltanto con gli emarginati;
occorre, come abbiamo già detto, la volontà di
cogliere la complessità che questo ambito ci
offre.
- Lavoro di strada e riduzione del danno
Il revival del lavoro di strada in questi ultimi
anni deve molto al dibattito che si è sviluppato
sulle azioni di harm reduction in relazione alla
tossicodipendenza; infatti: “Il concetto di riduzione del danno è divenuto di uso comune alla
fine degli anni ‘80 in risposta a due particolari
emergenze. La prima era la diffusione dell’infezione da HIV tra i consumatori di droghe per
via iniettiva. La seconda, il sospetto che le strategie che avevamo adottato per fra fronte al
consumo di droghe avevano aggravato il problema invece che contenerlo”.6
In Italia, il dibattito sulla riduzione del danno
si è andato progressivamente allargando dallo
“specifico droga”7 interessando, via via, quegli
5 ibidem, pag. 61.
6 AA.VV. “La riduzione del danno”, Edizioni Gruppo
Abele; Torino, 1994; pag. 1.
7 “(...) la riduzione del danno (...) da qualche tempo
(è) entrata a far parte, anche in Italia, della esperienza
311
ambiti di disagio che più erano contigui a tale
problematica: giovani “a rischio” e prostituzione
(maschile e femminile); però, questa contaminazione è avvenuta in maniera diversificata.
Per i progetti rivolti ai giovani a rischio di
devianza, le modificazioni operate sulle attività
già in corso sono state più limitate rispetto a
quelle che sono state avviate dopo la
Conferenza Nazionale sulla Droga svoltasi nel
1993 a Palermo; infatti, fu proprio in quella sede
che il dibattito sulla prevenzione dell’uso di
droghe si allargò significativamente anche alla
diffusione del virus HIV fra i giovani, che iniziava ad emergere come fascia di popolazione in
cui, specialmente per le donne, si riscontravano
picchi percentuali relativi alle nuove infezioni.
Quindi, le esperienze improntate sull’educazione di strada, sull’approccio pedagogico, attivate da più tempo non tennero subito conto di
questo nuovo approccio in quanto potevano
basarsi su una operatività e su risultati ormai
ampiamente consolidati.8
Inoltre, un altro elemento che influenzò, ed
ancora condiziona, l’avvicinamento alla riduzione del danno, sul versante prevenzione rivolta
ai giovani, era la necessità di distribuire ad essi
strumenti concreti di prevenzione; ovviamente,
a differenza delle siringhe distribuite ai tossicodipendenti attivi, ai giovani dovevano essere
operativa e del dibattito sulle politiche sociali (sino al
punto di egemonizzare) - almeno a parole - la prima
Conferenza Nazionale su stupefacenti e tossicodipendenza tenutasi a Palermo nel giugno 1993”; ibidem,
pag. V.
8 Fabrizio Guaita et al. “Il progetto operatori di strada della Regione Veneto”, in Animazione Sociale n° 11,
del novembre 1994; pag. 27 e seguenti.
312
offerti materiali informativi espliciti e profilattici.
Però, già da molti anni le istituzioni ecclesiastiche si sono dichiarate contrarie all’uso dei condoms, e lo spettro dell’AIDS non ha minimamente modificato questo approccio ideologico,
anzi, è stato più volte ribadito da importanti teologi che il problema AIDS non si sarebbe manifestato in maniera così virulenta se si fosse tenuto un comportamento basato sull’astinenza, la
monogamia e sul rifiuto dei rapporti omosessuali, considerati contro natura.
Pertanto, la conversione alla riduzione del
danno di quelle attività gestite da strutture religiose o da gruppi laici che hanno come referente l’area cattolica, hanno avuto ovvi rallentamenti.
Le iniziative che riguardavano più direttamente le nuove emergenze sociali, come la prostituzione di strada, hanno invece avuto un
forte impulso proprio dalla “vicinanza” con tale
approccio e, ovviamente, all’esplosione del
fenomeno AIDS. Infatti, molte azioni si sono
immediatamente riconvertite in base a questa
metodologia, come dimostra l’esperienza maggiormente consolidata realizzata in Italia dal
Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute di
Pordenone, che ha rappresentato, e rappresenta, un punto di riferimento
per chi vuole opera9
re in tale ambito.
Spesso, quindi, gli operatori di queste unità di
strada utilizzavano, ed utilizzano, la distribuzione dei profilattici come uno strumento di
9 Parsec - Università di Firenze: “Il traffico delle
donne immigrate per sfruttamento sessuale: aspetti e
problemi. Ricerca e analisi della situazione italiana”;
ciclostilato; Roma, 1996.
313
aggancio della persona che si prostituisce, così
come chi opera con tossicodipendenti attivi
distribuisce le siringhe pulite con lo stesso
obiettivo. Però, anche qui, ci sono eccezioni
che riguardano i gruppi confessionali o di ispirazione cattolica, anche se sono molto meno
numerose rispetto a chi si occupa di prevenzione fra i giovani.
In conclusione si può tranquillamente affermare che la riduzione del danno abbia determinato una ri-scoperta del lavoro di strada e, fra
chi già operava in questo contesto, determinato
un ripensamento rispetto ad alcuni approcci
poco immediati; naturalmente, a causa della
perenne tendenza all’ideologizzazione caratteristica del nostro paese, non sono mancati i fraintendimenti e le incomprensioni, più o meno
“innocenti”, verso il lavoro di strada.
A volte, si verifica una forte demonizzazione
di questa metodologia di intervento; altre volte
viene quasi “santificata”, come dimostra la proliferazione dei corsi di formazione per operatori
di strada finanziati dalle Regioni, o l’utilizzazione sfrenata di unità mobili per azioni che non
riguardano per niente la riduzione del danno o
l’emarginazione10.
10 Per facilitare la comprensione di quanto affermato può essere di aiuto la breve esposizione di una
esperienza di lavoro di strada realizzato a Milano; qualche mese dopo la Conferenza di Palermo un sacerdote,
che si era caratterizzato in quell’assise come avversario
della riduzione del danno, annunciò che presto avrebbe iniziato ad operare una Unità di strada per tossicodipendenti alla Stazione centrale, sulla scorta di quanto
già si verificava a Roma. Naturalmente, questa apparente inversione di tendenza suscitò molto interesse
che, però, scemò rapidamente una volta saputo che gli
operatori di strada “milanesi” avrebbero operato affin-
314
Comunque, è necessario evitare le estremizzazioni, in un senso o nell’altro, ma deve essere
altrettanto chiaro che il lavoro di strada è stato
definitivamente modificato dall’incontro con la
riduzione del danno.
Attualmente non ha nessun senso finanziare
iniziative basate sul lavoro di strada rivolte a
segmenti della popolazione emarginata che presentano particolari problematiche ed emergenze di tipo sanitario evitando di distribuire gli
strumenti di prevenzione essenziali, ad iniziare
dai profilattici, o non prevedendo una presa in
carico della persona. Chi opera diversamente,
oltre a realizzare interventi “all’acqua di rose” di
dubbia efficacia, è sicuramente dannoso per lo
sviluppo del lavoro di strada nel nostro paese,
in quanto drena risorse alle azioni più urgenti e
giustifica l’esistenza di iniziative e/o organizzazioni essenzialmente autoreferenziali.
- La relazione con l’utenza
Il rapporto con l’utente è sicuramente la base
degli interventi che si possono realizzare in strada e, soprattutto, “oltre la strada”, cioè, di quella
progettualità tendente ad affrontare il disagio
manifestato dalla persona che si è incontrata nel
suo complesso. A tal fine entrano in gioco
ché l’utenza contattata si convincesse ad iniziare un
programma terapeutico presso la loro comunità; quindi, non erano previste né la distribuzione di siringhe
pulite, né altre azioni di riduzione del danno (pronto
soccorso, interventi in casi di overdose, ecc.).
Non si conoscono attualmente i risultati di questa
iniziativa mentre quella realizzata a Roma è stata studiata e valutata, evidenziando, fra l’altro, oltre 500
interventi in caso di overdose.
315
diverse variabili, quali le caratteristiche individuali degli operatori e quelle degli utenti, la
mission dell’azione che si sta realizzando e gli
strumenti utilizzati per l’aggancio e l’analisi iniziale del territorio; se ne potrebbero aggiungere
delle altre, ma queste ci sembrano le principali
che analizzeremo di seguito.
Per quanto riguarda l’operatore i due elementi che incidono fortemente sulle capacità e la
“qualità” della relazione sono la propensione al
lavoro di strada e la professionalità posseduta.
Per non ripetere ciò che è stato già detto sulla
propensione al lavoro di strada riportiamo un
brano di un articolo che esprime bene questi
concetti. “Ogni operatore ed operatrice che
abbia intenzione di lavorare in strada dovrebbe
analizzare onestamente ed approfonditamente
quali sono le motivazioni, i bisogni, gli obiettivi
che lo/la spingono a fare questo tipo di lavoro.
Non solo per rispetto delle persone con le quali
si relazionerà in strada ma, per poter esercitare
un ruolo non confuso ed ambiguo, è necessario
avere la capacità di mettere a nudo di fronte se
stessi e di riconoscere con maggior chiarezza
possibile qual è l’epistemologia sulla quale basa
il proprio ruolo professionale e quale ideologia
lo guida.”11
Con il termine professionalità si intendono sia
i titoli di studio posseduti che l’esperienza
maturata; infatti, non esiste attualmente nessun
corso di studi che, alla fine, formi degli operatori di strada immediatamente validi ed efficaci,
tant’è che spesso ci si riferisce a questo tipo di
11 Luigi Roberto Raimondo “Il lavoro di strada con i
gruppi. L’operatore di strada tra miseria e nobiltà” , in
Fuori Orario n°14, del febbraio 1997; pag. 10.
316
lavoro più in termini di mestiere che di professione.12
Ciò non significa che soltanto chi ha esperienze simili, passate o presenti, alla popolazione target sia in grado di operare in strada, anche
se il coinvolgimento di persone con tale vissuto
può essere estremamente utile soprattutto in
alcuni tipi di intervento (tossicodipendenze,
giovani, prostituzione), utilizzando metodologie
di lavoro molto sperimentate in altri paesi come
la peer education (educazione fra pari) e il peer
support (sostegno fra pari).13
Si può quindi affermare che l’operatore di
strada, in cui c’è un mix fra gli elementi analizzati prima, spesso ha più facilità ad “agganciare”
l’utenza e a stabilire con essa un rapporto significativo.
Un altro elemento che incide sul rapporto
con l’utenza è l’obiettivo finale dell’azione che
si realizza. Infatti, se lo scopo è, ad esempio,
quello di proporre un cambiamento radicale e
repentino nelle abitudini e nei comportamenti
dell’utenza ci si approccerà in un certo modo,
enfatizzando negativamente alcuni aspetti della
12 Il termine mestiere è collegato storicamente alle
attività di tipo artigianale (falegname, calzolaio, arrotino, ecc.), in cui la trasmissione del sapere avviene più
attraverso il praticare un’attività che studiarla; per
quanto riguarda le professioni (avvocato, notaio, insegnante, ecc.), è esattamente il contrario, anche se la
parte di “tirocinio” è comunque sempre presente.
13 Per pari si intendono persone che hanno le stesse
caratteristiche esistenziali e/o culturali della popolazione target; essi, dopo una illustrazione del lavoro che si
vuole svolgere, possono entrare a far parte a pieno titolo dell’équipe di lavoro oppure essere il tramite con il
gruppo su cui si vuole intervenire.
317
condizione in cui vive la persona che si contatta
e/o evitando di fornire loro strumenti di profilassi che possano in qualche modo far perdurare la loro condizione.
Il lavoro di strada è, in definitiva, uno strumento operativo che può essere utilizzato con
modalità ed obiettivi molto diversificati.
Pertanto, non può esistere un modello astratto, accademico, di “relazione in strada”, ma ci
sono tante pratiche diversificate quante sono le
variabili che intervengono (l’obiettivo, l’operatore e l’azione realizzata).
In base alle esperienze maturate da chi opera
in strada da molti anni e da chi ha introdotto gli
interventi di riduzione del danno in Italia, possiamo indicare, però, i seguenti punti fermi
nella relazione fra operatore ed utente che riteniamo essere condivisi da molte persone che
operano e riflettono sulle tematiche relative al
lavoro di strada:
1.
2.
3.
4.
5.
ascolto attivo;
osservazione;
presenza costante;
presenza non giudicante;
dialogo.14
In definitiva, la relazione con l’utenza rappresenta la parte più problematica e, nel contempo, più affascinante del lavoro di strada, in
quanto è necessario essere sempre disponibili
ad apprendere attivamente quanto ci suggerisce
la strada, ma senza che ciò si tramuti in una
regola di comportamento e di azione immutabi14 questo schema è tratto dall’articolo citato nella
nota 10.
318
le; quindi, la relazione si deve strutturare e
destrutturare continuamente, al fine di adeguarla ai cambiamenti che l’utente, e l’operatore,
maturano durante l’azione di strada.
L’organizzazione del lavoro di strada
Nel lavoro di strada gli aspetti organizzativi
hanno finora avuto meno peso ed importanza
dei contenuti da veicolare o dei principi etici su
cui basarsi; certamente, può sembrare che la
parte relativa all’hardware abbia molta meno
importanza del software. Però, per continuare la
similitudine con il mondo dei computer, se noi
abbiamo a disposizione un programma molto
avanzato e un calcolatore vecchio si verifica che
il primo non gira sul secondo e, così, diviene
inutilizzabile.
Quindi, questa semplice metafora può far
comprendere come sia necessario impostare le
attività di strada attraverso un disegno organizzativo il più possibile preciso e complessivo;
non è sufficiente la voglia di fare ma occorre
riflettere e pianificare su cosa e quando fare, al
fine di ottenere i risultati che ci aspettiamo.
Affronteremo, dunque, una serie di punti che
sono tutti strettamente interconnessi fra loro e la
cui piena attuazione incide in maniere decisiva
sul buon andamento del lavoro di strada.
- Gli operatori
Nei capitoli precedenti ci siamo soffermati
molto sulle caratteristiche dell’operatore; quindi, fatto salvo quanto già detto, in un’ottica
esclusivamente organizzativa è necessario tener
conto dei seguenti elementi nella fase di sele319
zione dell’équipe operativa:
1) propensione a lavorare in strada;
2) disponibilità alla relazione con l’utenza;
3) esperienza maturata;
4) professionalità posseduta.
A questi elementi se ne possono aggiungere
altri a secondo dell’esperienza e delle necessità
specifiche (ad esempio, il sesso e la nazionalità
di provenienza nel caso si volesse raggiungere
una specifica utenza); comunque, tali indicazione vanno tenute ancora più presenti nel caso in
cui si debba scegliere il responsabile dell’équipe.
E’ bene ricordare che la “precarietà” tipica del
lavoro di strada moltiplica le dinamiche interne
al gruppo degli operatori che vanno governate
e possibilmente risolte in modo tempestivo;
inoltre, il responsabile è il rappresentante sul
campo dell’équipe ed è, quindi, l’immagine
esterna del lavoro svolto.
Da tutto ciò si comprende facilmente che il
responsabile è l’architrave del gruppo di operatori di strada e che va scelto con cura ed attenzione, evitando di effettuare scelte eccessivamente “ideologiche” (determinate, cioè, dalla
totale adesione ad un disegno generale di cui il
lavoro di strada è solo un tassello) o, al contrario, fortemente “tecniche” (in cui i titoli accademici sono l’unico criterio di scelta).
Non è neanche sufficiente che il responsabile
sia designato in base al ruolo avuto nell’ideazione e nella progettazione dell’intervento di strada, in quanto la gestione delle risorse umane,
compito principale di tale figura, non si acquisisce automaticamente leggendo libri e/o partecipando a convegni sul lavoro di strada.
Comunque, così come la scelta degli operato320
ri, anche in questo caso soltanto la strada potrà
indicarci se le scelte effettuate sono state quelle
più giuste.
- La formazione
Il lavoro di strada è uno di quei settori del
lavoro sociale che si è sviluppato fortemente
negli ultimi 10 anni; infatti, ancora oggi molte
iniziative hanno un carattere di sperimentazione, come dimostrano le iniziative rivolte al
mondo della prostituzione.
Quindi, la formazione diventa uno strumento
di lavoro indispensabile in un quadro operativo
ancora non ben definito e stabilizzato, sia in termini di conoscenze iniziali che, e soprattutto,
per l’aggiornamento costante dell’équipe di
lavoro, come vedremo in seguito.
Nonostante la specificità del lavoro di strada
la metodologia formativa è la stessa di ogni
altro intervento di questo tipo, prevedendo le 4
fasi “classiche”:15
1.
2.
3.
4.
l’analisi dei bisogni;
la progettazione;
l’attuazione dell’intervento;
la valutazione.
Il processo formativo può essere gestito da
un esperto esterno all’équipe oppure, soprattutto nel caso dell’aggiornamento, da uno o più
operatori. Al fine di chiarire maggiormente le
modalità formative operative, distingueremo le
fasi suddette per queste due tipologie di azioni
(formazione ex ante ed in itinere).
15 Parsec (a cura di Carlo Bracci) “Due e un’acqua appunti su un’esperienza di unità di strada”; Roma,
marzo 1995; pagg. 71 e seguenti.
321
Per quanto riguarda l’analisi dei bisogni per
la formazione iniziale si potrà procedere ad elaborare una scheda di rilevazione sulle conoscenze possedute relativamente al lavoro di
strada progettato ed alle esperienze maturate,
chiedendo agli operatori di evidenziare gli
aspetti meno chiari relativi al settore di intervento e/o alle caratteristiche dell’utenza potenziale;
successivamente, le indicazioni raccolte potranno essere discusse con tutti gli operatori al fine
di stabilire quali siano i bisogni condivisi.
A questo punto si elabora un progetto di massima dell’intervento formativo, confrontandolo,
se possibile, con altri interventi già realizzati, ed
assolvendo a tutte le necessità organizzative
(individuazione e contatto con i formatori, identificazione del calendario e del luogo di svolgimento, preparazione degli strumenti didattici,
ecc.).
Quindi, si attiva l’azione formativa garantendo un costante tutoraggio al gruppo, al fine di
favorire l’acquisizione dei contenuti espressi
(attraverso le metodologie che favoriscono l’apprendimento attivo), ed apportare le eventuali
modifiche in corso d’opera.
Infine, verrà preparata una scheda di rilevazione volta a valutare sia quali concetti sono
stati appresi meglio, sia, a comprendere la soddisfazione dei partecipanti alle attività formative.
Rispetto alle attività di aggiornamento lo
schema operativo è simile al precedente, ma
presenta una notevole differenza: l’operatore da
discente può divenire docente, infatti, mentre la
prima azione formativa era caratterizzata da un
apprendimento di base rivolto a persone che
322
magari non avevano mai lavorato in strada, la
fase di aggiornamento può essere utile per
favorire una riflessione, individuale e collettiva,
su ciò che si è realizzato fino a quel momento.
Pertanto, incaricare l’operatore X a relazionare
su un tema Y può rappresentare un forte stimolo a ragionare organicamente sul lavoro di strada ed a individuarne gli eventuali limiti; quindi,
la formazione in itinere, oltre a rispondere alle
esigenze di approfondimento dell’équipe scaturite dall’operatività sul campo, rappresenta, dal
punto di vista organizzativo, un importante
momento per identificare le eventuali modificazioni operative che si ritengono necessarie.
- La supervisione
Il primo presupposto della supervisione è che
chi la effettua deve essere necessariamente
esterno al gruppo di operatori e possibilmente
alla struttura che organizza il lavoro di strada;
eventualmente, nel caso in cui il supervisore sia
impegnato in altre attività con la stessa struttura,
è necessario che sia sufficientemente esterno al
lavoro di strada e che non ricoprirà nessun
ruolo di responsabilità, altrimenti dalla supervisione si passa al “super controllo” (o controllo
superiore). Inoltre, è necessario ricordare che la
supervisione non va confusa con le riunioni
periodiche dell’équipe, che hanno caratteristiche per lo più strettamente operative e funzionali a ciò che si sta realizzando.
Una volta stabilite le caratteristiche del supervisore, si deve comprendere perché questo elemento operativo è parte integrante del lavoro di
strada, nonostante se ne sottovaluti fortemente
l’importanza in fase progettuale (e anche nell’analisi dei progetti da parte delle istituzioni).
323
Questo termine deriva dall’ambito aziendale
dove si intendeva un’attività volta alla revisione
dei conti e di controllo della funzionalità operativa. Successivamente, è stato adottato dalla psicoterapia, dove il supervisore si configura prima
come verifica/sostegno dello studente o dello
psicoterapeuta in formazione, poi, assume la
funzione di referente per il singolo terapeuta o
per l’intera équipe.16
Pertanto, assumendo quest’ultimo approccio,
la supervisione va intesa come consulenza attiva e non come controllo, finalizzata a fronteggiare le problematiche che si pongono all’operatore di strada nel suo lavoro. “Bisogna tener
presente che il lavoro dell’educatore nel territorio lo pone in prima linea, lo espone ad un
grande investimento emotivo in quanto lo mette
a contatto con situazioni di grave sofferenza
personale e familiare, in situazioni molto coinvolgenti e molto deteriorate, a volte anche con
la morte. Tutto ciò genera angoscia, confusione,
impotenza (...). L’educatore può anche subire
un coinvolgimento personale tale da provocare
danni alla propria capacità lavorativa e alla propria persona.”17
Quindi, la supervisione è uno strumento utile
per evitare l’insorgenza delle difficoltà prima
descritte ma, proprio per essere più efficace, deve
essere progettata e realizzata fin dal primo
momento, evitando di considerarla un “optional”
e di ricorrere ad essa soltanto quando il clima
équipe di lavoro è già ampiamente compromesso.
16 ibidem, pag. 83 e seguenti.
17 AA.VV. “La strada come rete di accoglienza e solidarietà”, in Animazione Sociale n° 4 dell’aprile 1994;
pagg. 64/65.
324
Altra scelta che deve essere effettuata “a priori” è quella del tipo di consulenza da offrire
all’équipe, in un ventaglio di opzioni che vanno
dall’approccio aziendale (supervisione organizzativa) a quello psicoterapeutico (supervisione
sulle dinamiche di gruppo). Infatti, spesso succede che il supervisore abbia una formazione
e/o un’esperienza che gli fa preferire un certo
aspetto piuttosto che un altro.
Dall’esperienza diretta si evince che la supervisione in questo settore dovrebbe tener conto
di entrambi gli aspetti ed essere assai flessibile,
modificandosi in base alle necessità che si
incontrano durante lo sviluppo del lavoro di
strada.
Pertanto, si dovrebbe tener conto degli elementi soggettivi ed oggettivi dell’organizzazione, partendo dal principio che non si possono
modificare gli uni se non se ne comprende la
connessione con gli altri; occorre, quindi, procedere ad un analisi parallela dei seguenti elementi:
1) problematiche relazionali e conseguentemente intrapsichiche di ciascun operatore, al
fine di favorire il confronto di ciascuna persona
con le relazioni, difficoltà, capacità e limiti che
incontra durante il proprio lavoro, al di là del
tipo di relazione che si instaura con l’altro
(utente, collega, responsabile, ecc.);
2) dinamiche istituzionali che attraversano
l’organizzazione, intendendo con tale termine
sia quelle relative alla struttura che realizza l’intervento, sia, quelle determinate dal committente. La supervisione deve, quindi, entrare nei differenti livelli, strutturali e funzionali, dell’orga325
nizzazione, per rendere espliciti i sistemi e i sottosistemi presenti e le dinamiche che li animano.
In conclusione una buona supervisione, oltre
a migliorare la qualità del lavoro, è la base di
partenza di qualsiasi possibilità di riflessione e
di trasformazione del lavoro che si sta portando
avanti.
- La valutazione
Come la supervisione anche la valutazione
deve essere una parte del processo operativo
pensata ed organizzata prima dell’avvio delle
attività; infatti, la valutazione di un programma
di azione sociale risponde, in genere, a due esigenze:18
1. assicurare trasparenza e buona gestione
degli investimenti;
2. verificare nella pratica quotidiana obiettivi, attività, ostacoli, risultati allo scopo di
migliorare gli interventi.
A differenza della valutazione, però, il processo valutativo deve avere due “attori”: uno
esterno, che ha il compito di verificare il processo di valutazione e favorirne il confronto con
altri simili, ed uno interno, che riguarda l’analisi
condotta da chi svolge il lavoro per comprenderlo e migliorarlo.
L’integrazione del lavoro dei diversi attori
permette un approccio più dinamico alla valutazione, cosa particolarmente importante per le
18 Parsec (a cura di Carlo Bracci) “Due e un’acqua appunti su un’esperienza di unità di strada”; Roma,
marzo 1995; pag. 113 e seguenti.
326
azioni sociali tendenti al cambiamento, come è
il lavoro di strada; infatti, qualora si compia un
buon lavoro, sarà necessario ridefinire continuamente gli obiettivi e gli strumenti utilizzati,
in quanto la nostra azione avrà attivato una
modificazione negli utenti e nel contesto sociale
di riferimento che, necessariamente, porterà a
nuove richieste da soddisfare. Una valutazione
rigida e di carattere strettamente quantitativo
potrà dare indicazioni che difficilmente si tradurranno in modificazione dell’azione sociale.19
Purtroppo, lo spazio limitato a disposizione
non ci consente di approfondire le questioni
teoriche che indicano come negli interventi di
carattere socio-sanitario sia fondamentale tener
conto contemporaneamente degli aspetti quantitativi e qualitativi al fine di poter efficacemente
modificare gli approcci e le azioni operative.
Comunque, per chiarire meglio come impostare un processo di valutazione nell’ambito del
lavoro di strada, evidenzieremo rapidamente le
varie fasi operative.
Innanzitutto occorre ricordare che la valutazione è un processo formale di raccolta e analisi
dei dati relativi alle modalità di realizzazione e
all’efficacia di un programma; i dati raccolti
(caratteristiche dell’utenza, bisogni rilevati,
19 Un evidente esempio di questo approccio è contenuto nel volume: “Programma integrato di riduzione
del danno nei tossicodipendenti a Roma”, a cura
dell’Osservatorio Epidemiologico Regione Lazio
(Progetto Salute n° 36, del marzo 1996), in cui non
sono mai descritte le differenze di contesto e di
approccio in cui si sono sviluppate le diverse iniziative;
così come, per impatto dell’azione realizzata si intende
esclusivamente il numero di strumenti di profilassi
distribuiti o gli interventi di primo soccorso.
327
interventi effettuati, ecc.) attraverso opportuni
strumenti, devono essere elaborati in modo
sistemico.
La necessità di valutare è determinata dall’ottenere informazioni confrontabili nel tempo
all’interno del servizio e con altre attività simili;
inoltre, l’analisi dei dati, condotta con sistematicità ed effettuata insieme agli operatori, migliora la qualità del lavoro e permette di rappresentare più efficacemente il lavoro svolto.
Gli elementi che sono oggetto della valutazione sono, schematicamente, i seguenti:
1. il processo lavorativo, inteso come analisi delle risorse (le strutture a disposizione, il
numero e il tempo di impiego degli operatori,
ecc.), i servizi offerti all’utenza (tipologia e
quantità), i servizi di supporto all’attività degli
operatori (formazione, supervisione, tenuta dei
registri sulle attività) e le attività di costruzione
della rete sociale collaborativa;
2. efficacia dell’intervento, in cui vengono
evidenziati i dati quantitativi e qualitativi prodotti dal lavoro di strada, pur sapendo che l’efficacia è difficilmente valutabile soprattutto quando riguarda iniziative di prevenzione;
3. efficienza dell’intervento, che ha lo
scopo di valutare se c’è un rapporto ottimale tra
le risorse impiegate e i risultati ottenuti, con le
avvertenze di cui sopra.
Anche le tappe del processo di valutazione
possono essere riportate per sommi capi:
1.
descrivere con chiarezza qual è l’obiet328
tivo generale del progetto, cioè definire la “mission” dell’azione sociale che si vuole realizzare,
evidenziandone quindi i valori e le finalità, al
fine di individuare gli elementi valutativi dell’intero lavoro;
2. descrivere i campi di attività in cui è
necessario agire per raggiungere l’obiettivo
generale, cioè dividere in tappe, in sub obiettivi, le attività utili al raggiungimento delle finalità;
3. descrivere gli obiettivi particolari che è
necessario realizzare per conseguire i risultati
desiderati nei singoli campi di attività, procedendo, quindi, ad un’ulteriore scomposizione
degli obiettivi intermedi e dei fattori di successo
che riguardano ogni singolo campo di attività.
Ovviamente queste indicazioni generali debbono esser fortemente contestualizzate al fine
di disegnare il processo di valutazione specifico
per l’azione sociale che si sta realizzando; purtroppo (o per fortuna), la mutevolezza del lavoro di strada non consente di utilizzare modelli
operativi standardizzati per nessuna delle fasi
organizzative finora descritte. E’ fondamentale,
quindi, documentarsi costantemente sulle altre
esperienze realizzate e far comprendere agli
operatori che soltanto attraverso l’analisi, il confronto e la ridiscussione continua di ciò che si
sta portando avanti sarà possibile adeguarsi a
ciò che la strada chiede.
- Un possibile schema operativo
Con il seguente schema si vuole riepilogare
quanto già detto in precedenza, al fine di facili329
tare l’azione di chi vuole organizzare ex novo
una unità di strada nel settore della prostituzione partendo dall’idea di attivare un simile intervento fino alla valutazione dello stesso.
Per facilitarne la comprensione e l’eventuale
implementazione tale processo è stato diviso in
fasi operative sintetiche che, ovviamente, possono essere modificate in base alle esigenze
scaturenti dalla lettura “locale” del fenomeno;
quindi, tale schema è da considerarsi assolutamente di massima.
Fase 1: rilevazione del bisogno
Gli indicatori che ci consentono di identificare le necessità di intervento in questo settore
sono, in genere, due: l’allarme sociale, che si
manifesta attraverso l’evidenziazione del fenomeno sui mass media e/o con denunce specifiche dei cittadini, e le richieste di aiuto da parte
delle persone coinvolte direttamente senza il
loro consenso.
Una volta che si è deciso di avviare un intervento specifico occorre innanzitutto cercare di
localizzare e quantificare il fenomeno attraverso
una mappatura attiva; infatti, occorrerà attivare
un azione di scouting territoriale per comprendere quali siano i luoghi in cui sono presenti le
persone che si prostituiscono, la loro nazionalità e il numero presuntivo.
Ciò, sarà fondamentale per realizzare la fase
successiva.
Fase 2: progettazione
Una volta che si ha un quadro sufficientemente chiaro sulle caratteristiche territoriali del
fenomeno si può ipotizzare il tipo di intervento
da attuare; tale scelta è condizionata da molte330
plici fattori (caratteristiche di chi vuole realizzare il progetto, possibilità di finanziamento,
ecc.), e si può collocare in uno spettro che va
dall’assistenza sociale a quella medica; attualmente in Italia non esistono interventi che si
caratterizzano esclusivamente verso un polo o
l’altro, ma l’esplicitazione di caratteristiche limite può rendere più facile l’orientarsi verso un
progetto “misto”, come quelli che sono stati
generalmente attivati.
Il primo polo d’azione ha l’obiettivo di
migliorare le prospettive di vita della persona
che si prostituisce attraverso l’allontanamento
definitivo da tale mondo e l’inserimento in un
nuovo e diverso contesto sociale; corollario
indispensabile di questo tipo di azione è quello
di disporre di luoghi protetti dove chi si vuole
allontanare può nascondersi e dei necessari collegamenti sociali per facilitarne il ritorno al
paese d’origine, in caso di prostitute/i straniere
che lo vogliano, o l’inserimento nel contesto
territoriale.
La seconda tipologia di intervento ha come
obiettivo quello di migliorare le condizioni di
salute delle prostitute/i e di evitare la diffusione
di malattie epidemiche; in questo caso nel
momento del contatto si forniranno strumenti di
profilassi (preservativi, disinfettanti, ecc.), procedendo eventualmente a visite mediche in
loco (utilizzando camper appositamente attrezzati) o indirizzando e/o accompagnando le persone interessate a strutture adatte al loro caso.
In base alla preponderanza progettuale di un
approccio rispetto all’altro si determineranno
tutte le azioni conseguenti, anche se non bisogna dimenticare che un progetto ben articolato
avrà comunque i due poli di intervento compre331
senti concretamente. Occorre tuttavia precisare
che tale compresenza deve essere “nascosta”,
poiché mentre l’intervento di prevenzione sanitaria è solitamente accettato se non ben visto
dai “protettori”, certamente non lo è l’intervento
volto ad offrire a chi si prostituisce la possibilità
di intraprendere percorsi di uscita.
Questa seconda tipologia dell’azione va svolta quindi con molta discrezione e possibilmente
prevedendo (in caso di necessità) l’intervento di
una unità di appoggio non assimilabile (nella
percezione dei “protettori”) all’unità di strada.
Fase 3: alleanze territoriali (la rete)
Questa fase è molto importante per la realizzazione concreta del progetto, in quanto è funzionale al raggiungimento degli obiettivi che ci
si è prefissi; al di là delle diverse articolazioni
delle attività che si vogliono realizzare esistono,
comunque, 3 “agenzie” con cui confrontarsi
comunque e stabilire eventualmente alleanze
più o meno strette.
La prima è rappresentata dalle Forze
dell’Ordine, che hanno il compito di reprimere
lo sfruttamento della prostituzione; è necessario
collegarsi con loro prima dell’avvio di qualsiasi
azione per evitare possibili fraintendimenti e
per migliorare la mappatura già realizzata, in
quanto istituzionalmente tali organismi raccolgono informazioni sul territorio.
Tale collaborazione potrà articolarsi in diversi
modi determinati dallo sviluppo del progetto,
ma dovrà essere sempre funzionale al raggiungimento degli obiettivi che ci si è prefissati; è
bene ricordare sempre che ci sono ruoli,
responsabilità e gradi di coinvolgimento diversi.
La seconda entità con cui ci si deve collegare
332
è quella rappresentata dalla rete territoriale di
accoglienza, costituita da quelle organizzazioni
che hanno come scopo quello di intervenire a
favore degli emarginati; tali organismi, di tipo
religioso e/o laico, possono favorire la realizzazione del progetto in diversi modi: fornendo i
luoghi di accoglienza nascosti alle prostitute\i
che si vogliono allontanare da tale esperienza;
coinvolgendo i loro volontari nel potenziamento dell’intervento, oppure, raccogliendo contributi per portare avanti l’iniziativa.
Anche in questo caso non ci si deve dimenticare degli obiettivi progettuali e di distinguere
bene i ruoli.
L’ultima ma non meno importante “agenzia” è
quella costituita dai servizi socio-sanitari pubblici; anche in questo caso il loro contributo alla
realizzazione del progetto può variare dalla fase
di accoglienza (utilizzando strutture quali le ex
IPAB), all’assistenza (corsie preferenziali per le
pratiche burocratiche, interventi di tipo sanitario, ecc.). Spesso si dimentica quale potenzialità
hanno tali servizi in quanto è molto difficile stabilire con loro un’alleanza funzionale, a causa
dei tempi di assimilazione delle richieste e di
quelli di risposta, che non tengono conto delle
urgenze della persona.
Comunque, qualora si stabilisca una reale
collaborazione su obiettivi comuni ciò potrà
rappresentare la migliore garanzia per la continuità del progetto.
Fase 4: selezione dell’équipe
E’ evidente che, seguendo il processo di
implementazione dell’intervento descritto prima,
le modalità di selezione dell’équipe dipendano
in gran parte dagli obiettivi che si vogliono rag333
giungere; qualora si pensi ad un progetto più
sbilanciato sul fronte dell’accoglienza sarà utile
individuare persone che per esperienza e qualificazione possano facilitare la realizzazione delle
attività; se, invece, si vuole accentuare il carattere medico-preventivo dell’azione si sceglieranno
persone con altre peculiarità.
Comunque, è fondamentale la chiarezza degli
obiettivi iniziali che si vogliono raggiungere e la
piena adesione di tutti i membri dell’équipe su
questi; ciò non vuol dire che in corso d’opera
non si possano modificare, ma è necessaria una
base comune su cui costruire un intervento
sociale ex novo. Pertanto, se ci troviamo di fronte un operatore che ha molta esperienza nel settore, o un’alta qualificazione professionale, ma
non è d’accordo con gli obiettivi iniziali, manifestando ciò attraverso un dissenso palese e/o un
dissenso operativo, non bisogna avere nessuna
remora nell’allontanarlo. Magari sarà possibile
un eventuale ri-coinvolgimento una volta che
sarà cambiato il quadro della situazione.
Fase 5: attivazione dell’intervento
Per quanto riguarda tale fase, oltre a quanto
già scritto in precedenza, occorre utilizzare i
primi mesi di attivazione come laboratorio permanente, in quanto solo l’esperienza sul campo
ci può confermare o meno le ipotesi progettuali; pertanto, si dovrà porre molta attenzione nel
valutare le iniziative realizzate in questo periodo e cercare di comprenderne l’impatto sulla
realtà della prostituzione.
A questo proposito sarà molto utile lo scambio con le persone che si prostituiscono ed il
confronto con altri che hanno già realizzato iniziative simili in altri territori.
334
In questa fase, inoltre, si procederà ad una
eventuale ridefinizione degli obiettivi, degli
strumenti e dell’équipe, evitando sia di considerare immodificabile il progetto iniziale, sia, di
stravolgerne incongruamente il disegno complessivo, se non nel caso in cui si dimostri completamente fuori contesto.
Le indicazioni che saremo in grado di recepire e rielaborare in questa fase saranno, quindi,
fondamentali per garantire lo sviluppo dell’intervento che si vuole realizzare.
Fase 6: valutazione in itinere ed ex post
Come già detto la valutazione è un elemento
indispensabile per ogni progetto che vuole incidere sui fenomeni sociali con l’obiettivo di modificarli, in quanto una corretta valutazione dell’intervento ci può dare la misura di quale impatto
ha avuto la nostra azione nello specifico.
Pertanto, occorre definire fin dalla fase progettuale come si vuole valutare l’azione che si
realizzerà, al fine di elaborare appositi strumenti
di rilevazione che ci consentano di definire la
quantità e la qualità di ciò che sarà generato.
Quindi, è necessario ribadire che la valutazione degli interventi sociali non ha come obiettivo
quello di garantire la continuità del progetto, in
quanto potrebbe favorire l’afflusso di nuovi
contributi, ma serve ad adattare costantemente
le azioni progettuali alla realtà sociale su cui si
interviene; anzi, qualora sia considerata solo in
un ottica di autoriproduzione dell’attività, lo
schema valutativo così approntato sarebbe
immediatamente identificato come scorretto e
ne verrebbe svalutato tutto il lavoro realizzato.
Altra funzione di un corretto processo valutativo è quello di combattere il burn out dei
335
membri dell’équipe, in quanto il loro coinvolgimento diretto in tale processo fa emergere precocemente le difficoltà individuali e/o i nodi
organizzativi disfunzionali. Inoltre, lo stimolo a
pensare su quello che si fa quotidianamente,
base della valutazione, porta automaticamente a
riflettere sul come lo si fa, favorendo l’astrazione dell’azione progettuale ed il suo collocamento in un quadro di riferimento più ampio; tutto
ciò contribuisce al mantenimento della motivazione dell’operatore e lo stimola a studiare e
non solo ad agire.
* Antonio D’Alessandro, 36 anni, si occupa di problematiche sociali dal 1976, prima come volontario in
un centro sociale del quartiere Tufello di Roma, poi
come socio di Parsec - Ricerca ed interventi sociali - di
cui è direttore dal 1994.
In questi anni si è occupato soprattutto di tossicodipendenze, AIDS e minori, sia come responsabile dell’accoglienza, che in qualità di responsabile di progetto; inoltre, ha collaborato alla realizzazione e/o alla
direzione di oltre 20 ricerche sociali.
E’ stato membro del Direttivo Nazionale della LILA
ed è segretario dell’area Centro-Ovest del CNCA dal
1995.
Nel settore della prostituzione ha fatto parte del
nucleo direttivo della ricerca realizzata dall’Università
di Firenze e da Parsec su “La tratta delle donne e la
prostituzione straniera in Italia”, svolta per conto
dell’OIM e presentata alla Conferenza di Vienna dell’aprile 1996.
336
Figure professionali nel lavoro di strada
Pia Covre*
Premessa
C
hi dovrebbe essere impiegato per un lavoro di primo contatto con le persone che si prostituiscono in strada?
Quali caratteristiche dovrebbero avere gli
operatori di Unità di Strada?
Cercherò di tracciare un profilo sulla base
della esperienza acquisita nei progetti già sperimentati in Italia, ma anche traendo profitto
dallo studio fatto in EUROPAP1 per tracciare
delle linee generali.
Va sottolineato che il background personale e
professionale della persona che si dedica a questa attività può non essere rilevante. Vanno
invece considerate alcune caratteristiche come:
- Personalità
- Attitudine
- Genere
- Capacità di comunicazione e di linguaggio
- Motivazioni personali e lavoro di equipe.
Personalità
Non tutti possono fare lavoro di strada.
“Temperamento di strada” è la somma di più
1 European intervention projects/AIDS prevention
for prostitutes rete europea di progetti finanziati dalla
Commissione Europea DGV
337
qualità che un operatore in strada deve possedere. Confidenza per interagire con persone
normalmente sospettose nei confronti di qualsiasi “autorità”, il senso di quali azioni possano
provocare reazioni negative-caotiche ecc.
La capacita’ di percepire se c’è una situazione
di pericolo e di mantenere la calma di fronte
qualsiasi a momento di crisi, sensibilità all’umore e alle situazioni.
Sapere quando è il momento di approfondire
o quando chiudere un argomento, l’abilità di
parlare e capire il linguaggio dell’interlocutore.
Una persona può essere abile in una situazione di counselling, o essere un ricercatore esperto, non significa che questa stessa persona può
con successo fare lavoro di strada.
A volte persone impiegate con professionalità
e ruoli diversi vengono mandate in strada a
contattare prostitute, se la persona apprezza il
lavoro di strada bene, ma se la persona è preoccupata e/o timorosa, non sarà in grado di lavorare efficacemente.
Un operatore al quale non piace il lavoro di
strada può essere riluttante ad avvicinare le prostitute, può essere frettoloso, può comunicare
ansietà alle persone a cui parla, può sembrare
indifferente o addirittura scortese.
Può succedere quindi che le uscite vengano
accorciate o annullate con ragioni apparentemente valide, e l’origine vera del problema si
perderà in una marea di pretesti.
Attitudine
Politica e religione non hanno posto nella
salute sessuale e nella prevenzione all’AIDS e
altri bisogni di servizi che le prostitute hanno.
Questo non significa che un operatore non
338
abbia le proprie convinzioni politiche o religiose, ma vi è il rischio che queste attitudini da
parte degli operatori prima o poi emergano.
Coloro che credono che il lavoro sessuale sia
inevitabilmente degradante o peccaminoso è
probabile comunichino il loro atteggiamento
alle persone a cui si rivolgono, e possono
respingere più persone di quante ne aiutino.
Ad ogni modo la maggior parte delle persone
concorda che la lettura della “dannazione eterna” è inadeguata per questo tipo di lavoro, ma
sussistono altre cose che sono viste alla stessa
luce, per esempio, la scelta di una donna per un
certo boy-friend.
E` importante non colludere con l’accettazione di qualsiasi forma di sfruttamento e violenza,
ma l’operatore deve saper accettare la vita della
prostituta cosi come è.
Accettazione e pazienza sono indispensabili
per un operatore che lavora in strada con le
prostitute.
Bisogna tenere testa a momenti di indifferenza, ostilità, abitudini autodistruttive, e offrire l’identico trattamento ai “casi” difficili come a
quelli amichevoli: entusiastico e accogliente.
Genere
Un operatore maschio può avere più difficoltà di una operatrice nell’approccio con una
prostituta.
Anche quando un operatore presenta il proprio ruolo e la propria identità professionale
con molta chiarezza, una prostituta potrà sempre nutrire sospetto sulle sue intenzioni.
Col tempo una relazione di fiducia e confidenza potrà essere stabilita con una prostituta
che avrà avuto l’opportunità di accertare le vere
339
motivazioni dell’operatore, ma bisognerà avere
molta cautela al primo e ai nuovi contatti.
Ad una prostituta che sia stata sfruttata da un
uomo gioverà relazionarsi con un uomo che
non sia sfruttatore.
Un operatore maschio potrà lavorare bene
con colleghe femmine, ma si deve fare attenzione a quelle situazioni in cui un operatore
maschio può creare imbarazzo e diffidenza.
Capacità di comunicazione e linguaggio
Poiché le prostitute sono individui diversi fra
loro bisognerà di volta in volta adeguarsi.
Cercare il linguaggio più adatto, avere la sensibilità per distinguere le diverse situazioni.
E’ importante essere capaci di spiegare con
parole semplici le questioni mediche.
Quando le prostitute sono di cultura etnica e
di lingua differente dalla nostra è importante
che gli operatori siano in grado di comunicare e
servono persone speciali, mediatrici/ori culturali che parlino la stessa lingua e che sappiano
instaurare con loro una corrente di simpatia.
Motivazione e lavoro di equipe
Un operatore deve essere convinto della utilità del proprio lavoro, e soprattutto di farlo
bene.
E’ responsabilità del coordinatore e degli altri
membri del gruppo dare supporto e motivare il
lavoro di ognuno.
Alcune persone quando lavorano sole lo
fanno in modo eccellente, ma come membri di
una équipe sono assolutamente inadatti.
La collaborazione fra gli appartenenti al gruppo di UdS è fondamentale.
Ci deve essere scambio delle informazioni
340
raccolte sul campo riguardanti gli avvenimenti e
le persone che si incontrano, oltre a garantire
un più efficiente modo di lavorare, ciò garantisce maggiore sicurezza per gli operatori.
Programmazione, coordinamento, orari e la
capacità di definire le priorità sono tutti aspetti
importanti.
Poiché spesso le prostitute si presentano con
bisogni urgenti che sembrano non rinviabili si
può essere sempre in una situazione di emergenza.
Un operatore inesperto può pensare che è
più importante aiutare a risolvere i problemi
immediati che mantenere i piani di lavoro concordati precedentemente con altri membri della
équipe.
L’operatore deve aiutare la équipe a mantenere un costante livello di servizio per tutte le
utenti che possono avere bisogno.
Gli operatori di una équipe devono riservarsi
il tempo e lo spazio per riunirsi come équipe, e
non solo perché è indispensabile per il progetto, per programmare, confrontarsi e discutere i
problemi, ma anche per migliorare la relazione
tra loro e darsi supporto psicologico.
Il lavoro degli operatori di strada si svolge in
una situazione stressante che raramente si
incontra in altri lavori.
Lavorare nel campo della prostituzione significa lavorare sulla salute sessuale e sull’HIV, ciò
copre gli aspetti più intimi della vita umana.
Dalla gravidanza alla maternità, l’adolescenza,
le abitudini sessuali, le relazioni familiari, fino
alla malattia terminale e la morte.
Nei progetti di riduzione del danno per le
prostitute questi aspetti si presentano spesso
esasperati da situazioni di pericolo o di stress e
341
dall’aspetto in alcuni casi alienante della prostituzione. Inoltre gli operatori di strada lavorano
in situazioni che possono essere insicure, senza
controllo e senza copertura istituzionale.
Lavorano in strada di notte in situazioni che non
possono essere prevedibili.
Bisogna riconoscere e anticipare i differenti
bisogni di supporto degli operatori e della équipe.
Provvedere affinché la équipe e le persone
stiano bene aiuta a dare un miglior servizio,
può accrescere la capacità e la iniziativa degli
operatori e prevenire lo stress e i disturbi ad
esso relativi.
La responsabilità di provvedere supervisione
e supporto spetta al coordinatore del progetto
là dove vi è una struttura gerarchica, mentre se
c’è una gestione più democratica la stessa équipe deve riconoscere i bisogni al suo interno.
Mediatrici/ori culturali
Trattandosi di interventi in strada i contatti
sono prevalentemente con donne straniere pertanto sarà indispensabile l’utilizzo della mediazione culturale .
La metodologia di lavoro implementata dal
progetto TAMPEP 2 ha evidenziato come la
mediazione culturale sia indispensabile e le
mediatrici culturali importantissime.
Poiché ancora non esistono nel nostro paese
2 TAMPEP Transnational AIDS/STD prevention
among migrant prostitutes in Europe project, progetto
finanziato insieme a EUROPAP dalla Commissione
Europea DG V nel programma Europa contro l’AIDS
342
molte persone che possiedono questa qualifica
o che hanno frequentato i pochi corsi disponibili per formarsi a questa attività, spesso è
necessario formare come mediatore persone
che sono nuove sia al lavoro di mediazione che
al contatto con le prostitute.
In questa situazione avere una prostituta o ex
prostituta da poter usare come mediatrice e
educatrice pari è quasi sempre la cosa migliore.
L’impatto positivo che può avere con le colleghe e connazionali non ha eguali.
Ma attenzione: l’atteggiamento che la pari
tiene con le colleghe è importantissimo poiché
potrebbe in caso di errori divenire una squalifica totale.
Operatori pari
Includere persone che hanno, o hanno avuto
in passato, esperienza personale di lavoro come
prostitute, specialmente se sono conosciute dal
target, dà immediatamente credibilità all’intervento e potenzia le dinamiche di relazione.
Ma, nell’includere prostitute attive o ex nel
gruppo degli operatori, va fatta attenzione ad
alcuni aspetti che potrebbero creare complicazioni.
Per esempio la collaboratrice potrebbe essere
giudicata con invidia dalle colleghe con conseguenze negative per il lavoro del progetto e per
la sua personale posizione in strada. Oppure se
la collaboratrice ha una relazione di potere e di
guadagno sopra le sue colleghe (a volte le
prime ad essere intraprendenti sono proprio le
donne coinvolte con lo sfruttamento) che conseguenza potrebbe avere sulla immagine e sugli
343
effetti del progetto per le altre prostitute?
Le scelte devono essere accurate e ben chiari
gli accordi, naturalmente le prostitute devono
essere pagate al pari degli altri operatori coinvolti. A volte le prostitute hanno qualifiche professionali idonee altre volte è solo la loro speciale esperienza e la personale capacità di essere adatte al lavoro di strada a renderle buone
operatrici, in ogni caso va trovata all’interno del
progetto una soluzione per riconoscere ufficialmente il loro ruolo e l’adeguato compenso.
Gli operatori non pari devono saper dare
supporto e integrare le operatrici pari, essere
l’unica persona con un background differente e
senza eventuali conoscenze scientifiche ortodosse può isolare dal gruppo e rendere l’esperienza negativa e autosqualificante.
Lavorare con orari e giorni prestabiliti, sapersi
organizzare attorno ad un piano di lavoro, per
chi non vi è abituato è una disciplina che richiede tempo di apprendimento e aiuto dai collaboratori.
I colleghi devono essere molto chiari sui
compiti e su cosa ci si aspetta in termini di attività, lavoro di registrazione e comportamento.
Un più specifico supporto potrebbe servire
per aiutare la collaboratrice ad affrontare questo
ruolo di persona a cui altre sottopongono dei
problemi e dei bisogni (e ci si aspetta che lei
valuti con obiettività questioni che prima per lei
erano personali o private), trovandosi “stretta”
fra il mondo della prostituzione e il mondo
regolare.
344
Formazione
Quale formazione speciale debbono avere gli
operatori che escono in strada?
Proprio perché il background formativo di un
operatore può essere di vario tipo è necessario
che esso abbia almeno una breve informazione
sui temi riguardanti la prostituzione e una più
accurata formazione per sviluppare un efficace
lavoro di prevenzione sulla salute e sulla sicurezza nel lavoro.
Gli argomenti principali da affrontare saranno
quindi gli aspetti della legislazione sulla prostituzione e aspetti sociali del fenomeno anche in
relazione alla condizione di immigrata, legislazione sulla immigrazione e effetti delle leggi
sull’accesso ai servizi sociosanitari, le abitudini
sessuali dei clienti in relazione al lavoro delle
prostitute per ridurre i rischi nel campo della
salute e della sicurezza fisica, tecniche di comunicazione e capacità di counselling.
Inoltre il confronto con altri operatori di progetti già avviati e la visita a questi progetti può
essere utile.
Naturalmente fino a qui abbiamo considerato
quali interlocutori dell’operatore di strada il target e i colleghi di équipe.
Ma un operatore potrebbe trovarsi a interagire con soggetti diversi come ad esempio i
responsabili di servizi sociosanitari o di polizia.
Spesso queste relazioni possono essere di
gran lunga più difficili di quelle con il milieu
della prostituzione, in quanto si tratta di persone appartenenti a organismi molto strutturati,
generalmente poco flessibili.
Alcuni operatori possono avere talento anche
in questo campo, ma forse è opportuno che sia
345
il responsabile del progetto ad assumersi il carico di trattative che non sempre sono facili e
potrebbero aggiungere preoccupazioni e stress.
* Pia Covre è fondatrice del Comitato per i Diritti
Civili delle Prostitute, coordinatrice dei Progetti europei EUROPAP e TAMPEP per l’Italia. Dalla esperienza
personale di lavoro nella prostituzione ha elaborato le
conoscenze necessarie per un lavoro politico e scientifico sulla questione prostituzione, collabora con svariati Enti per lo sviluppo di progetti e di metodi di intervento nella prostituzione.
346
Percorsi di uscita e accompagnamento
verso l’autonomia
Stefania Scodanibbio*
e Maria Rosario Bolanos (Suor Charo)**
I
l percorso di uscita dalla strada, che può
essere intrapreso da una prostituta, è un percorso difficile, costellato da molteplici varianti nella
interazione tra il soggetto e gli attori che possono accompagnare tale processo.
Un processo che parte dalle dinamiche della
strada per arrivare ad una ritrovata identità ed
autonomia della ragazza, passando attraverso
diversificate forme di accoglienza e varie misure
di accompagnamento. Di seguito questo articolato processo verrà sinteticamente denominato
“presa in carico”, sottintendendo che la definizione implica il ruolo attivo dell’ “utenza” ed il
processo di interazione cui si faceva riferimento.
La presa in carico può sia indicare la fase del
primo immediato incontro, dove si studia il problema, nell’ambito di dinamiche di chiarificazione (primo livello), sia la fase operativa a medio
e lungo periodo (consulenze sociali di secondo
livello, inserimento in strutture residenziali,
consulenze socio-sanitarie, legali, attuazione di
psicoterapie, orientamento per il reinserimento
lavorativo).
Del primo livello si è parlato nei due precedenti capitoli, in questo tratteremo del secondo
livello, e della sfida dell’accoglienza globale.
La presa in carico, che, per motivi didattici,
presentiamo suddivisa in tre fasi, è in realtà, un
continuum di interventi che non ha tempi o
347
modelli prestabiliti e strutturati, ma che si compongono e si costruiscono in forma interattiva e
sovrapposta. Non esiste un modello strutturato
e sperimentato in accoglienza, pertanto l’intervento si modula e si struttura in modo flessibile
tenendo conto degli attori, delle storie di ognuno e del contesto.
Parlare di accoglienza in un contesto emarginante come lo è il fenomeno della prostituzione
femminile, forse è osare troppo, ma ancora di
più lo è nell’ambito della prostituzione di strada
di donne immigrate. Le donne che incontriamo
troppo spesso non praticano la prostituzione
come scelta autonoma, ma prevalentemente la
subiscono come condizione, determinata quasi
sempre da ragioni di grave disagio economico.
Un segmento quello della prostituzione di strada, socialmente più debole, segnato da profili di
marginalità e che presenta problematiche ampie
a più livelli (per esempio sicurezza, ordine pubblico, salute...) e su cui si è riversata “l’ossessione disciplinare” che produce una “rappresentazione sociale della prostituzione, fortemente
qualificata da attributi di marginalità e negatività
che nel contempo ha determinato l’effetto di
occultare tutte le forme della prostituzione che
a questo modello non rispondono”1. In questa
ottica l’accoglienza diventa sfida e strumento
alternativo di cambiamento.
Chi e’ l’utenza?
Sono donne immigrate, per lo più albanesi,
1 M. Pavarini, atti del Convegno, “Oltre la strada”,
Modena 2.12.96
348
nigeriane o ragazze dell’est, alla ricerca di un
futuro migliore da offrire a sé e alle proprie
famiglie e che fanno invece esperienza della
mistificazione.
Le donne (vittime della tratta) arrivano generalmente al seguito di un sedicente fidanzato, di
un amico, di un parente (nel caso di ragazze
albanesi), o attraverso un vero e proprio contratto (nel caso di ragazze nigeriane o dell’est).
Questi accompagnatori, sostenendo un illusorio desiderio di riscatto, si propongono inizialmente come i curatori della sicurezza, garantendo alla donna protezione, tutela dalla sofferenza e stabilità nell’insediamento, per poi rivelarsi
invece attori dello sfruttamento. Tuttavia, il passaggio da curatori ad attori di violenza avviene
in un contesto di mistificazione semantica che
oscura la presenza di violenza e che rende difficile, se non impossibile, riconoscerne il cambiamento.
Ciascuna donna con la sua storia, sperimenta
un contesto in cui la mistificazione e la distruzione dei messaggi e dei significati, la costringe ad
un doppio legame2 in cui non c’è via d’uscita.
2 “Il concetto di doppio legame si riferisce ad un
modello di coppie, o, insieme di messaggi a diversi
livelli, strettamente connessi, ma sottilmente incongruenti che si verificano insieme ad altri messaggi che,
attraverso dissimulazioni, negazioni o altri mezzi,
impediscono a chi li riceve di notarne l’incongruenza e
di affrontarla in modo efficace, per esempio commentandola (...), all’interno di una relazione importante,
dove i messaggi non possono essere semplicemente
ignorati o evitati, la combinazione di tale comunicazione e delle abitudini di chi le riceve a partecipare alla
relazione stessa accettandone l’incongruenza senza
porre problemi, può dare origine ad un comportamento schizofrenico.”(...) da D. Jackson e J. H. Weakland,
349
Ogni individuo si muove nel mondo con un
contratto sociale implicito in relazione agli altri
esseri umani che garantisce sicurezza, alterità,
riconoscimento e condivisione. In questo contratto ogni abuso o violenza o contravvenzione
al contratto stesso è un tradimento di questa
aspettativa. Ci aspettiamo che il mondo sociale
o naturale sia prevedibile e comprensibile e che
quindi l’imprevisto abbia un ruolo minore; tuttavia le cose accadono a prescindere da un
certo ordine (per es. una sparatoria in piazza,
l’abuso sessuale su un minore, un terremoto, la
tortura per estorcere una confessione...); in sintesi ci troviamo di fronte a due variabili: una, la
conseguenza della minaccia sull’integrità psicofisica della persona, cioè il rischio potenziale
percepito dal sé, l’altra, la natura ripetitiva o isolata nel tempo della presenza di violenza.
L’intersezione di queste due variabili dà origine ad un campo comunemente detto “ circonflesso” (Sluski,1996), che consente di evidenziare alcune dinamiche già da noi riscontrate nelle
donne in accoglienza. (Schema 1).
Livello basso di minaccia
dissociazione
cognitiva
socializzazione
attacco-fuga
ristrutturazione
cognitiva
inondazione
sottomissione
(anestesia psichica
Sindrome di Stoccolma)
dissociazione
insolito
ripetitivo
Livello massimo di minaccia
Terapia della famiglia congiunta: alcune considerazioni
su teoria, tecniche e risultati, in Fondamenti della famiglia, a cura di J. Haley, Feltrinelli Milano 1980.
350
Il primo quadrante riguarda l’esperienza quotidiana, in cui verifichiamo lo scarto tra la naturale causalità degli eventi, che crea una serie di
azioni sequenziali prevedibili (Stimolo Risposta), e l’introduzione di una variabile che,
interrompendo la sequenza, crea un contrasto
tra la percezione dell’evento stesso e le mappe
cognitive individuali (strutturate per economizzare il pensiero), che non prevedono l’assimilazione dello stimolo discrepante e quindi non
riconoscibile. Questa discrepanza detta “dissonanza cognitiva” (L. Festinger, 1978) determina
una reazione psicofisiologica di allerta, che si
traduce in un comportamento di attacco fuga
tendente o a diminuire la dissonanza e, quindi,
verificare se è possibile assimilare lo stimolo, o
a produrre un comportamento di uscita dalla
situazione discrepante. Per es. cammino di
notte per strada, sento dei passi dietro di me...
cosa posso fare? scappo? affronto il pericolo?...
è’ un pericolo?
Là dove la reazione di attacco o fuga è impedita (per es. violenza sessuale, tortura...) si crea
una drammatica situazione in cui la persona non
ha alternative per uscire dalla condizione di pericolo. Lo stile di adattamento interpersonale si
blocca, si arriva ad uno stato alterato di coscienza quando la violenza è massima ed imprevedibile. Si attiva una scissione tra il sé ed il corpo, si
perdono le connotazioni spazio-temporali, si
può strutturare una sindrome più persistente
come l’iper-vigilanza, l’iper-allerta, la distanza
emozionale, incubi, apatia, irritabilità fino alla
depersonalizzazione cronica, cioè una situazione
persistente di estraneità al corpo. (Personalità
multipla che ritroviamo in terapia, soprattutto di
donne vittime di violenza sessuale.)
351
E’ cioè l’esperienza imprevedibile: es. parto
dal mio paese per sposarmi, lavorare... mi ritrovo sulla strada, oppure so che farò la prostituta,
ma a condizioni completamente diverse da
quelle previste dal contratto (senza possibilità
di gestione del denaro, del tempo, di relazioni,
del numero di clienti...).
Per poter strutturare un self efficiente, l’essere
umano ha bisogno di costruire una sequenza
causale e prevedibile della realtà (mappe cognitive), dove possa persistere un margine di
casualità, che sia però tollerabile. Quando si
supera il confine della prevedibilità, diventa
impossibile anche solo immaginare la reazione
all’evento e quindi organizzare la propria storia
(per es. è impossibile immaginare il terrore di
una violenza sessuale o prevedere l’esperienza
della tortura...).
Il fatto poi che il protettore appartenga quasi
sempre allo stesso gruppo di provenienza della
vittima produce un’ulteriore complessizzazione
dell’esperienza con un conseguente effetto più
stabile che se fosse un estraneo.
A volte la vittima è portata a pensare, pur di
ottenere un qualche tipo di controllo sulla situazione, che è responsabile del proprio stato, per
es. non ha fatto o detto qualcosa per impedire
la situazione. L’effetto è simile a un tentativo di
ottenere un controllo (e delle responsabilità) su
quanto sta accadendo. Questo tipo di “variante
narrativa” è a volte indotta dal carnefice stesso
che organizza le sue strategie per colpevolizzare la vittima per la violenza subita (“ti è piaciuto
eh...” per indurre vergogna o paura, “se mi
denunci succederà qualche cosa alla tua famiglia”... o... “io ti ritroverò...”).
Quando invece il livello di minaccia è basso,
352
ma c’è una reiterata esposizione a questa violenza, la vittima tende a produrre una distorsione cognitiva con funzione adattativa: c’è una
progressiva ristrutturazione della situazione,
cioè un’adesione totalmente acritica ai valori del
vittimario. La donna vive una sorta di restrizione
concettuale e percettiva attraverso la selezione
di alcuni stimoli e la negazione di altri. Si
sospende ogni abilità critica, punti di vista alternativi non vengono considerati cioè si ha una
vera e propria deformazione del pensiero definita “brain-washing” (lavaggio del cervello).
Distorcere l’imput sensoriale (lo faccio perché
ci mancano i soldi per sposarci) è preferibile al
rischio di subire le conseguenze di un pensiero
inaccettabile e frustrante (lui mi reifica, mi sfrutta); è un autoinganno, una inconsapevole distorsione della realtà che comunque consente di
non intaccare il livello di autostima. E’ una sorta
di “razionalizzazione”, un meccanismo difensivo
per cui l’individuo tende a dare una giustificazione pseudo-razionale a una realtà frustrante.
La continuità e la ripetitività nel tempo e l’aumento dell’intensità dell’esperienza di violenza
(per es. donne più volte vendute a diversi protettori...) induce nella vittima una sorta di “anestesia psichica”, cioè la dissoluzione delle proprie
emozioni, un distacco dalla realtà, apatia ed una
totale sottomissione al protettore. L’esperienza di
vita appare senza passato, né futuro; la sottomissione induce una identificazione con l’aggressore, finalizzata alla sopravvivenza, che la porta a
giustificare ciò che fa l’aggressore.
Questa forma di sottomissione psichica è
nota come “Sindrome di Stoccolma”3.
3 Fenomeno di dipendenza affettiva che si crea in
una situazione di forte stress emotivo tra vittima e
353
Il fenomeno più grave che può comunque
presentarsi in soggetti esposti per lungo tempo
ad un livello molto alto di violenza è quello
della dissociazione.
Meccanismo regressivo per cui ci sono parti
del self che rimangono inaccessibili all’esperienza della paura e della violenza, con la funzione
di mantenere un certo livello di autostima e di
identità. Il rischio è che si strutturi una sindrome
dissociativa persistente se non vengono recuperate subito, attraverso un rinforzo, le funzioni
dell’Io (principio di realtà).
L’accoglienza
L’esperienza della prostituzione forzata cambia il proprio vissuto e modifica la propria esperienza del sé contestualizzata. Si è diversi da
come ci si conosceva.
Si perde l’identità di cittadino con diritti per
entrare nel mondo degli emarginati, senza
documenti, senza riconoscimento sociale, si
vive di notte, senza nome, senza relazioni,
senza “appartenenza” in un gioco di incontri e
contatti in cui tutto è finzione.
Alla “strada”, indefinito scenario pubblico,
oppressori. Questa definizione nasce da un episodio
che suscitò un forte interesse tra gli psicologi di tutto il
mondo: una banda di rapinatori in una banca, presero
in ostaggi alcuni clienti per dieci giorni. La relazione tra
i malviventi e gli ostaggi nei giorni successivi divennne
così intima e profonda che quando i rapinatori furono
arrestati, le “vittime” non mossero un dito per aiutare la
polizia. In seguito addirittura una delle vittime sposò
un rapinatore.
354
luogo di incontro e di scambio dai confini indefinibili, mutanti e fluttuanti, si oppone l’accoglienza, luogo di incontro stabile, sistematico e
costante in uno spazio definito, che permette di
individuare l’esistenza di un luogo mentale in
cui poter collocare il vissuto degli eventi quotidiani (tra passato, presente e futuro), uno spazio molto privato, dove le donne possano sentirsi al sicuro, riposarsi e ritrovare se stesse.
E’ un “luogo relazionale” che viene a caricarsi
di gesti che, sebbene oggettivi e poco significativi per gli altri, perché quotidiani, per chi ci si
muove dentro, operatore e utente, assume il
valore di significante.
Dice Winnicott (1971) che la psicoterapia ha
luogo nella sovrapposizione di due aree di
gioco “quella del paziente e quella del terapeuta”, quando ciò non è possibile, il lavoro terapeutico consiste nel portare il paziente da uno
stato in cui “non è capace” ad uno in cui “è
capace”.
L’accoglienza, cioè la presa in carico globale
della persona ha questo significato: accettare la
sfida di produrre dall’impotenza competenza
emotiva, cognitiva, affettiva, sociale. Consentire
cioè l’accesso al simbolico, così da permettere
la ri-narrazione della propria storia, deattivando
le costruzioni colpevolizzanti, attraverso una
stabilità di rapporto, di spazio e di tempo, che
perda tuttavia la stretta accezione “terapeutica”
per diventare condivisione di un percorso.
L’accoglienza diventa pertanto lo spazio
“transizionale” avente le caratteristiche che
Winnicott (1953) ha descritto riferendosi all’area
intermedia d’incontro tra madre e bambino, “l’area dell’illusione”, cioè tra il soggettivo e l’oggettivo, che consente quindi il passaggio verso
355
una “vera relazione oggettuale”4, ossia la capacità di percepire e relazionarsi ad una realtà
oggettuale fuori del sé.
E’ anche lo spazio di riconoscimento del bisogno di mentalizzare le distorsioni cognitive, di
ricostruzione delle narrazioni (o mappe cognitive), e cioè storie alternative degli eventi in
grado di liberare la vittima dagli effetti distruttivi
della semantizzazione mistificante (per es. l’ignominia, il tasso di degradazione che il vittimario utilizza strategicamente per colpevolizzare la vittima...)
In questa fase l’obiettivo primario è quello di
garantire, alla donna in accoglienza, i bisogni
vitali della sopravvivenza e della sicurezza e,
quindi, di appartenenza al consesso sociale,
facilitando l’apprendimento di semplici regole
essenziali per il vivere quotidiano (per es. un
orario che scandisca la giornata, la pulizia personale e dello spazio abitativo) favorendo il
riconoscimento di una personalità giuridica, che
la renda passibile di diritti e doveri, favorendo
l’accesso ai servizi socio-sanitari, l’accesso al
lavoro, alla stabilità.
Occorre, a questo proposito, contenere le
ansie e lo scoraggiamento di questi momenti,
rendendo questa fase un momento pedagogico
ed educativo, insegnando il rispetto delle
norme e l’impossibilità di ottenere tutto e subito
(principio di realtà).
Ciò significa far emergere la richiesta di cambiamento: cioè defamiliarizzare la vittima con la
violenza subita, generare una dissonanza rispetto al vissuto metacomunicando, cioè esplicitan4 J. Laplanche ,J. B. Pontalis, Enciclopedia della psicanalisi, Editori La Terza 1990, pag. 370
356
do le restrizioni e le presupposizioni, generando dissintonia dove c’è sintonia.
Significa co-costruire, operatori e utenti insieme, narrazioni diverse, storie alternative, non
solo favorendo il recupero delle proprie potenzialità e distanze emotive, in una sintesi superiore, ma riattivando ciò che si era perso, cioè il
modello attacco fuga, quindi la capacità discriminante della scelta che era andata perduta
nella lettura lineare, unidirezionale e mistificante imposta dal vittimario.
L’accoglienza è la fase in cui si strutturano le
relazioni significative, si imbastiscono i codici
comunicativi comuni, in cui la tensione è alta e i
due attori, operatore ed utente, debbono conoscere e farsi conoscere dall’altro. E’ la fase delle
sfide, delle seduzioni, dei tentativi di alleanza
con cui la persona mette alla prova i suoi interlocutori nel tentativo di controllare l’ansia per la
nuova situazione e per capire se può o meno
fidarsi. E’ anche la fase in cui la persona risponde alle presunte aspettative dell’operatore, nel
tentativo di farsi accettare o creare alleanze “privilegiate”.
Tentativi che l’operatore deve essere in grado
di prevedere, cogliere e neutralizzare perché si
strutturi un clima relazionale ed operativo sereno e fiducioso.
Sulla base della nostra esperienza, riteniamo
che oggi non sia possibile adottare quelle forme
di accoglienza di un tempo, in cui un numero
elevato di donne veniva confinato all’interno di
una struttura creata appositamente per aiutarle.
Seppure a nostro avviso è necessario, almeno in
una prima fase, un confronto con altre vittime
per favorire una migliore organizzazione del
sistema di validazione dell’esperienza (una
357
prima fase di accoglienza prevede infatti la convivenza di tre quattro persone dello stesso
ceppo culturale per un breve periodo), è bene
tuttavia evitare risposte istituzionalizzate per
diversi motivi per es. sicurezza, difficoltà dell’intervento individualizzato, rischio di isolamento
e ghettizzazione sociale, problemi di intolleranza del vicinato, ecc. Per tanto è opportuno differenziare, a seconda delle caratteristiche delle
donne stesse (età, presenza o meno di figli,
maggiore o minore grado di autonomia...), l’accoglienza.
In questo senso è bene utilizzare strutture
diversificate: case di prima accoglienza (con la
presenza sistematica di operatrici), o famiglie
affidatarie, in cui inserire soprattutto adolescenti, o strutture adeguate per donne in gravidanza,
o ancora, alcune case di fuga che garantiscano
una protezione in una prima fase di uscita dalla
strada, nel caso in cui la persona ha bisogno di
“sparire” perché magari ha denunciato qualche
membro dell’organizzazione. In questo caso la
presenza di un operatrice deve essere garantita
per le ventiquattro ore.
L’accoglienza deve essere temporanea e finalizzata al pieno raggiungimento dell’autonomia,
e dovrebbe coinvolgere le strutture di accoglienza esistenti sul territorio, non solo locali,
ma anche nazionali.
Dare la possibilità di accesso ai network favorisce il cambiamento e la soluzione di problemi;
occorre creare infine reti significative perché
l’Accoglienza, benché autonoma, è un punto
sensore collegato ad un sistema di sintonie.
358
L’orientamento
L’orientamento è la fase di confronto finalizzata alla ricerca di risposte per il futuro, e si
intreccia in modo complementare all’accoglienza.
E’ la fase della co-costruzione di ipotesi che
operatore e utente fanno rispetto alla storia e
alle risorse personali e ambientali individuate.
La proposta si articola sulla base degli elementi raccolti e sulla selezione di linee operative che siano significative ed adeguate per quella persona specifica; è tuttavia una ricerca basata su tentativi ed errori.
In questa fase il rischio è di orientarsi su due
estremi:
- impostazione di un progetto che la persona
non è in grado di gestire perché troppo ambizioso. Si rischia di farle sperimentare un fallimento o perché il livello di aspirazione è troppo
alto, cioè non basato sul realismo e sulla storicità, o per un eccessivo investimento dell’operatore sulla persona stessa,
- la soluzione minimalista, dettata da una sottovalutazione delle competenze della persona
in carico, che determina una demotivazione e
quindi una risposta frustrante perché poco stimolante ed identificatoria verso un livello troppo basso.
L’orientamento riguarda le più ampie problematiche, dai servizi legali (per esempio immigrazione, regolarizzazione del soggiorno...), a
quelli sanitari (visite mediche specialistiche,
libretto sanitario...), a quelli relazionali (sostegno psicologico, socializzazione...), alla formazione culturale e professionale fino all’occupazione e quindi all’inserimento sociale.
359
“(...) L’emarginazione è una particolare situazione di gruppi o persone a cui viene riconosciuto formalmente il diritto di accesso a garanzie e risorse ma che in realtà non usufruiscono
di niente (...)”5.
Lavorando con persone emarginate, dunque,
nella fase di orientamento, occorre prevedere
un meticoloso lavoro di individuazione ed indicazione dei singoli passaggi tenendo conto del
contesto in cui ci muoviamo. E’ un momento
che si può rivelare non facile.
Il rischio è che la persona voglia “tutto e subito”, e quando questo non è attuabile, si entri nel
circuito della vittimizzazione (per esempio nessuno mi aiuta, tutti ce l’hanno con me).
Occorre costruire un’ipotesi di percorso
tenendo conto delle attitudini, delle abilità, dei
bisogni della persona, del suo back-ground culturale ed etnico, valutandone le diverse modalità di adesione alla proposta .
A questo punto le variabili si complessizzano:
- La persona rifiuta e non vuole altri confronti; è importante rispettare la libertà di pensiero e
i tempi individuali. In questa fase l’operatore
può solo aspettare senza forzare la persona a
prendere decisioni (che sarebbero dettate dall’ansia di definire una situazione), ma garantire
comunque una disponibilità a mantenere una
relazione di aiuto.
- La persona accetta ma è critica su alcuni
punti: quando c’è un tentennamento è bene
chiarire e definire gli aspetti non delineati accogliendo le perplessità della persona attraverso
una mediazione.
5 Alicia H. Puleo, La Mujer maginada, cuestion de
genèro no de sexo, Editorial Cavarrubies, Madrid 1996.
360
- La persona accetta ma non attua la proposta: occorre indagare sulle motivazioni e valutare se questa risposta è o meno adeguata alla
persona in questione e valutare anche se la non
attuazione è determinata dalla mancanza di sufficiente autostima o, invece, se la persona aderisce solo formalmente per non deludere l’operatore senza peraltro essere interessato alla proposta stessa.
- La persona accetta ma salta alcune fasi o le
applica in modo inadeguato: è possibile che la
proposta non sia stata chiara, occorre quindi
tornare a specificare nell’interezza la proposta e
cercare di cogliere quali sono le difficoltà della
persona.
- La persona accetta e attua la proposta: a
questo punto è importante accompagnare e
valutare il percorso.
La fase di orientamento, una volta individuata
la domanda e le problematiche ad essa connesse, prevede un lavoro capillare di bottom-up
(rete).
L’ inserimento lavorativo
Il lavoro in situazioni definite “di devianza”
con “soggetti a rischio”, ha sempre rappresentato una risorsa volta a produrre cambiamenti, in
quanto è opinione comune che il lavoro sia una
attività che consente il riscatto sociale dell’individuo e che può favorire il suo reinserimento
sociale.
Nel contesto della presa in carico della donna
prostituita il lavoro non ha solo la funzione
“ergoterapica”, cioè con valore essenzialmente
interno al percorso terapeutico come per esem361
pio nelle comunità terapeutiche, o per ex detenuti ecc., in cui attraverso il lavoro “(...) si entra
più frequentemente in contatto con altri utenti e
con i responsabili, e serve a questi ultimi per
valutare l’impegno e il rispetto delle regole
interne da parte della persona (...)”6 ma ha valore di emancipazione e riscatto ed in quanto tale
è una fase delicata e difficile.
“(...) Proprio la fase in cui sono necessari supporti rassicuranti per chi vive questo impatto
nel quale solitamente ha investito molto, è purtroppo anche la fase nella quale la collettività, il
gruppo sociale sembra chiedere a sua volta rassicurazioni e garanzie (...)”.7
Tenendo conto che il target di cui ci occupiamo è fortemente caratterizzato dalla presenza di
donne per lo più albanesi e nigeriane, quindi
immigrate provenienti dalla fascia svantaggiata,
il cosiddetto terzo mondo, e tenendo conto che
è un mondo tutto al femminile, questo pone
una serie di problemi con cui ci dobbiamo confrontare: la disoccupazione giovanile, ed in particolare femminile.
Se questo fenomeno da un lato fa diminuire
la possibilità di una giovane donna immigrata di
trovare lavoro, dall’altro implica una valutazione attenta dei progetti finalizzati all’inserimento
lavorativo di queste persone che non devono
essere né privilegiate né concorrenti rispetto
alle altre donne disoccupate.
La gestione di borse lavoro, stage aziendali,
6 F. Carchedi, A. D’Alessandro, L. Innocenti, A.
Picciolini - Tossicodipendenza e lavoro : Un problema
aperto. Quaderni della fondazione Villa Maraini n.7,
1993; pag. 16.
7 M. Timi, in Lavoro società, anno 5°, n°7/8, luglioagosto 1990; pag. 72.
362
inserimenti lavorativi sono percorsi iniziali fondamentali per permettere alla persona di misurarsi in una nuova dimensione così come l’avvio
di corsi di preformazione o di formazione che
garantiscano una professionalità specializzata e
che favoriscano contatti con il mondo del lavoro.
Tenendo conto di questi aspetti problematici
non è facile individuare orientamenti che siano
definitivi e stabili; né è utile l’applicazione di
una rigida metodologia da utilizzare in qualsiasi
contesto o persona. Riteniamo però fondamentale creare situazioni che non siano di precarietà, con contratti a termine che alla lunga tendono a creare disoccupazione ed evitare ogni
forma di assistenzialismo che si riveli un ostacolo alla reale emancipazione dei soggetti, ad
esempio utilizzare le possibili misure volte a
facilitare l’inserimento come “aree di parcheggio”.
La formazione e il reinserimento devono
essere programmate nei dettagli, devono cioè
indicare un percorso che fornisca nozioni e
strumenti utili a chi non ha una “cultura del
lavoro” o, non ha mai lavorato costantemente.
Da una fase di orientamento iniziale in cui si
evidenzino le motivazioni personali, i comportamenti da adottare e gli atteggiamenti da tenere
in relazione alle regole produttive e alla comprensione del lavoro che la persona andrà a
fare, si passa alla formazione.
La formazione vera e propria secondo gli
esperti, va impostata “on the job”, cioè mentre si
lavora, in tal modo si illustrano e si spiegano le
operazioni che si stanno facendo con l’obiettivo
di comprendere al meglio tutto il ciclo lavorativo.
363
Tuttavia secondo la nostra esperienza, la formazione per queste persone deve avere due
caratteristiche fondamentali: da un lato deve
essere una vera e propria formazione professionale mirata all’attività che si vuole intraprendere, dall’altro deve essere un modo per fornire
strumenti ad hoc necessari per affrontare le difficoltà a cui vanno incontro.
Non vanno tuttavia dimenticate le difficoltà
connesse all’inserimento in una realtà produttiva, che sono maggiori per chi ha avuto esperienze problematiche e su cui si innestano problemi di integrazione, anche razziali.
Sono quindi necessari corsi mirati che rafforzino anche dal punto di vista psicologico e che
rendano possibile affrontare gli ostacoli e le frustrazioni iniziali. Occorre attivare una formazione di base, sia di tipo culturale come si fa a
scuola, sia finalizzata a fornire le competenze
primarie funzionali al lavoro e, solo successivamente, passare alle competenze specifiche con
una formazione ricorrente direttamente in
aziende.
“(...) In tal modo abbiamo un percorso modulare che permette alle diverse persone di collocarsi in maniera differente nell’ambito formativo, sulla base delle istruzioni e delle conoscenze possedute.(...)” 8.
In questo processo è importante la tutorship,
cioè la supervisione dell’attività formativa, ma
anche la funzione di orientamento svolta da un
singolo o da una struttura, anche pubblica, che
consenta ai partecipanti di comprendere meglio
quali sono le loro aspirazioni, che fornisca un
aiuto concreto al reperimento del lavoro o indica8 .Carchedi et al. 1993,op. cit., pag. 44.
364
zioni su corsi di formazione professionali regionali e, nel contempo, favorisca l’avvio di iniziative
di lavoro autonomo o l’inserimento in azienda.
In questo senso è utile provvedere all’impegno di creare imprese e lavoro attraverso l’erogazione di borse lavoro, attraverso corsi di formazione e riqualificazione e sostenere la costituzione di cooperative.
Ovviamente il lavoro di reinserimento prevede
un lavoro di interfaccia, come del resto nelle fasi
precedenti, meglio definito come lavoro di rete.
Ciò comporta uno scambio continuo con
realtà sociali e lavorative pubbliche e private: è
la cultura della cittadinanza.
* Stefania Scodanibbio è Psicologa dell’associazione
“On the road”. Specializzata in terapia sistemico-relazionale; ha collaborato, in qualità di operatrice sociale,
alla realizzazione del Centro di accoglienza psichiatrico
“S. Silvestro”di Civitanova Marche; al progetto di prevenzione alle tossicodipendenze del Comune di Ascoli
Piceno in qualità di psicologa della prevenzione; collabora, in qualità di psicologa dell’orientamento, con il
Centro Diurno d’Integrazione Sociale (per portatori di
handicap psico-fisico) di Pagliare del Tronto.
** Maria Rosario Bolanos (Suor Charo) appartiene
alla Congregazione delle Suore Oblate del SS.
Redentore, nell’ambito di questa ha lavorato da anni in
favore di donne prostituite con interventi di strada e di
accoglienza; è stata insignita del titolo di “Donna dell’anno 1997” dall’associazione ANLAIDS; ha pubblicato
diversi articoli tra cui: “La spiritualità della strada” rivista Allogan 27 1995; “Il disagio femminile: prostituzione, separazione, divorzio, immigrazione, ragazze madri
e minori a rischio” Quaderni Caritas n.1 1996 Caritas
Diocesana di Udine.
365
366
Figure professionali
nell’accoglienza e l’accompagnamento
verso l’autonomia
Stefania Scodanibbio
Premessa
L
’accoglienza non ha un modello strutturale
di riferimento, si muove su linee guida su cui
però operatrice ed utente co-costruiscono con
flessibilità il quotidiano, tenendo conto di più
variabili (fattori culturali, di personalità, caratteriali, ecc.), del contesto e del sistema che in essa
si muove.
Vista la tipologia dell’utenza e come la realtà
dell’accoglienza oggi si configura, parliamo di
operatrice, anche se una figura operativa
maschile non è da escludersi a priori (per esempio nel caso di famiglie affidatarie, o in aree
diverse dall’ accoglienza quali l’orientamento, la
socializzazione, l’inserimento lavorativo).
L’operatrice di accoglienza agisce spesso
“senza rete”, deve per tanto essere dotata oltre
che di una formazione personale e relazionale,
di maturità ed autorevolezza che le consentano
di agire ruoli diversi e flessibili, pur mantenendo la propria individualità.
Il lavoro relazionale si muove su due poli:
- “Assimilazione” (capacità di modificare l’ambiente attraverso un’azione significativa);
- “Accomodamento” (capacità di modificare il
vissuto individuale per adattarsi all’ambiente).
In questa ottica l’accoglienza diventa lo spazio di focalizzazione della domanda e di soste367
gno nella realizzazione dell’obiettivo, in un
clima di piena fiducia.
L’operatrice ha dunque sia il ruolo di “attivatrice” della domanda, attraverso l’ascolto, l’osservazione, il contenimento, sia di fornire sostegno, che, tuttavia, è reale solo se è “condivisione intelligente”, cioè se è ancorato al rapporto
esigenza - risorsa.1
Perché ciò sia possibile (sostegno e focalizzazione del problema), l’operatrice deve porsi in
un atteggiamento di autenticità e condivisione,
utilizzando alcune modalità operative.
Empatia
Condividere empaticamente significa guardare attraverso gli occhi dell’altro senza confondersi con l’altro, senza entrare in una relazione
emotiva simbiotica. Accogliere le angosce, le
ansie, le tensioni senza forzature o giudizi, mantenendo invece sempre la capacità di elaborazione, di analisi e di sintesi che non riducano
l’operatrice ad uno sterile contenitore e l’utente
in uno stato di dipendenza.
L’operatrice non deve cadere nell’errore di
inserire la persona in uno schema personale
ideale per cambiarlo secondo i propri canoni e
criteri di bellezza, bontà, perfezione. Ciò sarebbe deleterio per la persona destinataria del servizio poiché la priva del suo vissuto, le impedisce di fare le proprie esperienze, di elaborare la
propria angoscia e crescere nella scoperta di sé;
inoltre, al momento di sperimentare l’autono1 P. Guiducci, Persona e relazionalità, tra desiderio
e incontro, Franco Angeli Editore.
368
mia le verrebbe a mancare la “guida”, il punto
di riferimento e non sarebbe strano se disorientandosi tornasse a cercare modelli di riferimento
già sperimentati, se non altro per la sicurezza di
tornare in una condizione che già conosce e
che bene o male ha imparato a gestire.
Ugualmente pericoloso e disorientante è il
voler far emergere la persona senza dare un
orientamento, una regola, in un accoglienza di
tipo alberghiero in cui il concetto di presa in
carico si traduca semplicemente in una risposta
al bisogno abitativo.
Realismo
Strettamente connesso è il principio di realismo: tenere conto di chi è l’altro, cosa vuole,
cosa mi sta chiedendo, come posso agire.
L’operatrice, dal momento che costituisce un
punto di riferimento nel gruppo di accoglienza,
deve essere in grado di reggere i conflitti, sedare le ansie, modulare le relazioni, orientare i
bisogni, le competenze e le capacità per raggiungere gli obiettivi discussi e concordarli con
la persona, aiutandola ad auto-organizzarsi e
favorendo la valorizzazione del sé.
Perché ciò sia possibile l’operatrice deve
essere dotata di un sano realismo che le permetta di valutare le capacità e le competenze
della persona e del contesto in cui opera, per
evitare di creare false aspettative che potrebbero risultare inadeguate e frustranti per i partners
della relazione.
Partire dal presupposto teorico che l’operatrice è colei che sa e l’utente è colei che non sa, ci
pone in un pregiudizievole errore epistemologi369
co che ha come unico risultato il produrre nella
persona un comportamento inadeguato, cioè la
“risposta fantasticata” (quella che penso ci si
aspetti da me), o di “fuga” (esco dalla relazione
perché le risposte che ricevo non sono significative).
Il rischio che si corre in questo caso è di cercare, attraverso il comportamento dell’utente,
una gratificazione alla posizione mentale dell’operatrice e non la soddisfazione del bisogno
della persona stessa.
Un dato operativo importante in accoglienza,
è quindi l’evitamento di ogni facile rassicurazione che può essere indotta dall’operatrice per
un’istanza di onnipotenza o per insicurezza.
Tutto ciò potrebbe creare illusorie aspettative e
conseguenti delusioni nella persona in accoglienza che minerebbero la possibile continuità
del rapporto di fiducia.
Chiarezza
Occorre puntare sulla chiarezza della relazione.
Non si deve inventare qualcosa, ma esprimere la ricerca, che significa condividere una fatica; solo così l’operatrice esce dal ruolo di semplice contenitore e rivaluta le condizioni di un
ascolto che apre alla visione. Diventa cioè
osservatrice della sofferenza altrui per leggerne
l’autenticità dei fatti storici e per individuarne i
meccanismi involutivi trasformandoli in azioni
propulsive “dell’andare verso”.
Rileggendo i comportamenti in positivo e
metacomunicando su questi meccanismi si
ricontestualizzano gli eventi garantendo una
370
competenza alla persona.
Chiarezza significa comunque mantenere il
ruolo, evitando pericolosi scivolamenti “di contesto” (per es. complicità alla pari, permettere
all’altro di entrare troppo nel proprio privato,
consentire digressioni dal contratto iniziale
senza che se ne esplicitino i contenuti e le
modifiche).
E’ inoltre fondamentale che espliciti il suo
mandato perché possa agire totalmente la significatività del suo ruolo.
In accoglienza infatti l’operatrice ha un ruolo
di interfaccia: da una parte il mandante (questura, carabinieri, unità di strada, istituzioni....) dall’altra la persona in accoglienza; per tanto, nel
definire il contratto di presa in carico dovrà
agire un ruolo di mediazione che dovrà esplicitare per evitare di creare confusioni o essere
triangolata.
Un’operatrice che non agisce un mandato
chiaro, è un operatrice che mistifica e favorisce
la mistificazione.
Motivazioni
Il lavoro di accoglienza non può essere una
scelta forzata dall’impossibilità di trovare un
impiego in altri settori; si deve conoscere il tipo
di attività, ci si deve sentire portati, occorre
essere adeguatamente formati, anche se ancora
non esiste un profilo giuridico definito di questa
figura professionale.
L’operatrice che si accinge ad un lavoro così
complesso deve avere ben chiare le motivazioni
che la spingono a scegliere un così specifico
target, in un contesto dove la condivisione e
371
l’impegno sono totali e dove le sollecitazioni
emotive sono così pregnanti.
In questo senso atteggiamenti “salvifici” che
nascono dalla convinzione di essere “migliori”
delle persone che abbiamo di fronte, impediscono la relazione sintonica, squalificano la persona e non rappresentano una buona motivazione per affrontare questo lavoro.
Autenticità e conoscenza di sé
Autenticità significa saper vivere ed esprimere le proprie emozioni, vissuti e convinzioni
giocandole nella relazione esplicitamente senza
paura di confrontarsi o di farsi scoprire dall’altro.
L’operatrice deve avere una buona conoscenza di sé, dei punti di forza che può utilizzare in
positivo nella relazione e delle aree deboli che
invece deve tenere sotto controllo perché non
vadano ad invalidare la relazione, (per esempio
proiezioni di dinamiche personali estranee alla
relazione stessa, ma da questa sollecitate). In
questo modo neutralizza i meccanismi manipolatori che si attivano nella relazione, evitando di
attivarne altri: per es. triangolazioni in caso di
conflitti più o meno espliciti tra operatrici (“tu
sei migliore dell’altra operatrice”) che tendono a
gratificare, ma inficiano la relazione, la teatralità
(convinzione che impressionando l’operatrice,
si abbia una risposta più immediata o maggiore
attenzione), o ancora l’uso della colpevolizzazione, per cui la persona è continuamente vittima di ingiustizie, e pertanto richiede la “consolazione” dell’operatrice più sensibile.
Sono tutti tentativi seduttivi dell’utenza per
372
ottenere vantaggi immediati da cui l’operatrice
deve tutelarsi, per evitare lo stress del fallimento
relazionale e l’oscillazione tra meccanismi di
ottimismo e sicurezza ed espressioni di difesa e
di critica fino al pessimismo e al fatalismo.
L’operatrice dunque deve essere dotata di
una dose di maturità che le consenta di tollerare
la frustrazione al fallimento, è infatti altissimo il
rischio di “burn out”, valutando in termini obiettivi le proprie responsabilità per migliorare il
suo intervento e quindi essere in grado di
modulare il comportamento, o anche la capacità di elaborare il lutto della perdita della relazione, per esempio favorendo l’uscita della persona verso l’autonomia e non procrastinando il
tempo della presa in carico nella convinzione di
“essere ancora necessaria” alla crescita della
persona stessa. Questo evitando il senso di
onnipotenza che consegue al ritenersi, nel bene
e nel male, l’unica responsabile della relazione;
all’altro va riconosciuta la corresponsabilità
nella gestione della relazione stessa.
Capacità di ascolto
L’operatrice interviene per aiutare la persona
ad aiutarsi, non per favorire la depressione e la
chiusura fornendo risposte esaustive. Ogni persona ha tempi e bisogni diversi, pertanto l’ascolto e l’orientamento debbono essere individualizzati. Sono necessari tempo, pazienza, e
disponibilità perché si possa costruire una relazione significativa di fiducia e riconoscimento.
L’operatrice pertanto dovrebbe essere dotata
di attitudine all’ascolto paziente, nel rispetto dei
tempi di ciascuno, dovrebbe avere la capacità di
373
reggere i silenzi, evitando domande incalzanti e
dirette che, soprattutto in una fase iniziale, tenderebbero a soddisfare solo una sua mera
curiosità, senza garantire il rispetto della privacy
della persona.
Nella prima fase di accoglienza “osservazione
ed ascolto” e sospensione da ogni giudizio o
pregiudizio ideologico o morale, debbono sostituire “l’ansia di fare”, tuttavia l’ascolto deve condurre alla sintesi e all’elaborazione costruttiva di
un percorso.
Lavoro di rete
L’operatrice, professionista o volontaria, deve
essere ben preparata alla conoscenza dei servizi
e delle procedure.
In ogni centro di accoglienza è bene che esista una documentazione aggiornata in tema di
politica dei servizi, mappe territoriali con ubicazione dei servizi stessi, delibere comunali, provinciali e regionali, indirizzario di altri centri o
di strutture sul territorio che operano nel campo
dell’accoglienza, di agenzie educative ed altro.
L’operatrice non dovrebbe essere un semplice dispensatore di informazioni, ma una persona inserita in una collettività e deve porsi in sintonia con chi opera nei servizi a tutela del cittadino: dovrebbe cioè conoscere personalmente
e collaborare con operatori pubblici e privati ed
essere inserita in momenti di confronto ed elaborazione di progetti comuni.
Lavorare in un contesto di rete.
374
Lavoro d’equipe
Un’equipe si costituisce attraverso la percezione di un compito o di uno scopo comune e
si sviluppa nella rete di relazioni che attiva
all’interno (operatori-operatori, operatori -utenti,...), sull’esterno (territorio, istituzioni...), nella
realizzazione degli obiettivi.
Il lavoro di equipe è fondamentale in quanto
diventa un osservatorio permanente di molteplici realtà umane e ambientali:
- favorisce la comunicazione interna al gruppo e l’integrazione a livello di contenuti;
- produce risposte elaborate secondo una
metodologia dell’orientamento condivisa
a partire dalle esigenze presentate dall’utenza;
- è un luogo di confronto-incontro in cui gli
interventi personali e le diverse modalità
comunicative si armonizzano con il contributo collettivo e si modulano tenendo
conto del principio di unitarietà degli interventi;
- è scelta di professionalità diverse e significative che arricchiscono e complessizzano
l’approccio ed il percorso di realizzazione
degli obiettivi.
Oltre all’area del compito, l’equipe si fa carico
dell’area socio-emotiva dei suoi componenti:
- diventa il luogo dove si individuano le difficoltà personali e collettive;
- dove si elaborano le possibili soluzioni
attraverso il contributo individuale e dove è
possibile sperimentare l’adozione o l’abbandono della proposta ed i suoi probabili
effetti;
375
- dove si valuta la coesione (totalità delle
forze che determinano l’unione dei membri
di un gruppo), le motivazioni, le emozioni,
i valori comuni, che permettono il passaggio dall’”io” al “noi”;
- dove si sperimenta la diminuzione della
tensione e la gestione del conflitto, dove
cioè è possibile attivare il “trattamento”
delle tensioni che emergono nel lavoro
relazionale, non solo con l’utenza, ma
anche all’interno del gruppo di lavoro stesso (sindrome del burn out);
- sarebbe inoltre auspicabile (anche se di
difficile realizzazione dati i costi molto elevati), la presenza di un super visore esterno
che consenta all’equipe un ulteriore e più
complesso livello di analisi, evitando invischiamenti e avvitamenti interni a volte
non controllabili dagli stessi membri.
Perché ciò sia possibile occorre che l’operatrice sia in grado di gestire in modo equilibrato
l’appartenenza-individuazione: cioè la capacità
di appartenere e riconoscersi come parte di un
gruppo, pur mantenendo la capacità di individuarsi, esporsi, discutere i propri vissuti emotivi
positivi e negativi, e di chiedere al gruppo di
sostenerla, elaborando il contenuto al suo interno. La persona dovrebbe avere la capacità di
mettere in discussione il suo stile relazionale
personale modulandolo nel confronto senza
tuttavia perderlo.
Il lavoro di equipe non è solo necessario
all’interno di una struttura, ma è anche un lavoro tra equipe che operano in settori diversi.
L’accoglienza infatti è un punto sensore che si
colloca nel lavoro progettuale più ampio che
376
implica ricerca, mappatura, unità di strada, servizi, lavoro di rete, attivazione di risorse, investimenti progettuali.
Il lavoro tra diverse equipes permette dunque:
- una reciproca conoscenza fin dove è possibile;
- un confronto per migliorare la gestione
delle risorse;
- consente un coordinamento ed un confronto che permetta di evitare ripetizioni,
perdita di tempo, circolazione delle informazioni. Socializzare infatti l’esperienza
porta alla migliore gestione di risorse, interazioni e politiche sociali.
L’operatrice che lavora in accoglienza deve
quindi formarsi su più piani, tenendo conto che
lavorare con gli altri significa innanzitutto
disponibilità a lavorare su di sé, essere in grado
di rimettersi in discussione sempre pur mantenendo una propria individualità ben definita.
377
378
Il lavoro di rete.
L’esperienza dell’Emilia Romagna
Lorenza Maluccelli*
Network tra progetti e coalizioni locali
P
er parlare del lavoro di rete mi riferirò ad
alcune esperienze concrete, anche recenti, cui
ho a vario titolo partecipato e, principalmente,
ai progetti sulla prostituzione in corso in molte
città dell’Emilia Romagna.
La rete che si sta formando a livello regionale
e che comprende 10 città dell’Emilia Romagna1,
è stata promossa dall’Assessorato alle Politiche
Sociali e Familiari, Scuola e Qualità Urbana
della Regione2 che tra le strategie di intervento
sulla prostituzione, ha anche programmato attività di accompagnamento ai progetti locali
incentivando lo scambio e la loro messa in rete.
Si tratta di una realtà sicuramente parziale, ma
rilevante per la sperimentazione e il confronto
delle politiche locali sulla prostituzione.
L’osservazione di questa rete regionale di progetti (come lo sono le reti TAMPEP ed EUROPAP
a livello europeo) è particolarmente interessante
anche perché ci permette di assumere una
gamma di informazioni sulle coalizioni locali
1 Le città sono: Piacenza, Parma (che però in molti
livelli d’analisi non sarà considerata perché non ha
ancora avviato un progetto, ma partecipa, ad esempio,
agli incontri di formazione), Reggio Emilia, Modena,
Bologna, Ferrara, Ravenna, Imola, Cesena, Rimini.
2 Delibera n. 2567 del 24 ottobre 1996
379
sufficientemente ampia per tentare una mappa
ragionata dei soggetti che le compongono.
Questa riflessione sul lavoro di rete può essere letta anche come una prima restituzione pubblica dei risultati e delle informazioni raccolte
nell’arco di questi ultimi cinque mesi (aprile settembre 1997), durante i quali sono stati realizzati numerosi incontri per la ricognizione dei
progetti esistenti, finalizzati alla diffusione e allo
scambio di conoscenze nell’ambito degli interventi sulla prostituzione di strada.
A supporto del lavoro di ricognizione dei
progetti locali abbiamo utilizzato alcune schede
per la rilevazione (cfr. schede A, B, C) che
hanno facilitato la conoscenza dei diversi progetti e permesso la loro comparazione.
Gli incontri personali e le schede di raccolta
di informazioni costituiscono le mie fonti principali per tentare una mappa ragionata dei soggetti che definiamo appartenenti alle coalizioni
locali e, quindi, al network regionale.
Il confronto tra i diversi progetti certamente
non potrà restituire, in questo contesto, l’aspetto dinamico, né le relazioni tra gli attori che la
compongono, né potrà cogliere i flussi comunicativi tra i diversi soggetti che, come sappiamo,
condizionano notevolmente il funzionamento
di ogni intervento.
La mappa che descriveremo dovrà innanzi
tutto riflettere gli obiettivi prioritari di ogni progetto e il contesto sociale e istituzionale in cui
nasce e si consolida e le diversità tra i soggetti
che compongono le reti locali non solamente di
ruolo, ma anche di percezione e costruzione del
problema “prostituzione” rispetto cui, a diverso
titolo, sono chiamati a fornire risposte.
380
I progetti prostituzione: due diverse prospettive
I progetti prostituzione cui mi sto riferendo
nascono tutti in questi ultimi anni, quando cioè,
con l’evidenza di una “emergenza misteriosa”, il
fenomeno della prostituzione è diventato uno
dei problemi sociali più avvertiti nelle città.
Rimando a parti del manuale più pertinenti,
la ricerca del perché la prostituzione di strada
crei più allarme e preoccupazione di pochi anni
fa e l’analisi delle trasformazioni del mercato
del sesso che stanno facendo scricchiolare il
delicato equilibrio abolizionista in atto nel
nostro paese dagli anni ‘50.
Noi partiremo, considerandolo al momento
come un dato di fatto, dal riconoscimento che
l’attenzione pubblica è concentrata solo sul settore più visibile del mercato: la prostituzione di
strada costituisce, infatti, il problema sociale
attorno cui sono nati progetti d’intervento specifici.
I nove progetti che analizzeremo si distinguono per i diversi contesti sociali, organizzativi e
istituzionali in cui sono nati, ma hanno anche
alcuni aspetti molto comuni. Ad esempio, sono
quasi totalmente orientati sul solo lato dell’offerta, le persone che si prostituiscono e, semplificando, sono riconducibili a due differenti prospettive di intervento e ad altrettante diagnosi
del problema.
Praticamente in quasi tutte le principali città
della Regione esistono progetti rivolti alle persone che si prostituiscono orientati alla prevenzione sanitaria e alla facilitazione dell’accesso ai
servizi territoriali ed altri di sostegno al percorso
di uscita dalla prostituzione (cfr. scheda prospettive).
381
Per schematizzare, i primi rientrano in una
strategia di riduzione del danno e i secondi di
accoglienza e assistenza sociale, ma vediamo
gradualmente da quali differenti costruzioni del
problema sociale esse derivino e cosa queste
strategie vogliano dire se ci caliamo nelle realtà
dei progetti.
Per gli interventi orientati alla riduzione del
danno il problema prostituzione viene declinato
principalmente sotto il profilo dell’igiene pubblica. L’informazione e la prevenzione delle
malattie a trasmissione sessuale rivolta alle persone che si prostituiscono in strada è, insieme
alla facilitazione dell’accesso ai servizi sanitari,
l’obiettivo operativo principale.
D’altra parte, gli interventi orientati all’accoglienza, partono da una lettura del problema
della prostituzione di strada come luogo di coazione e di traffico delle donne; da cui conseguono come obiettivi principali il sostegno e
l’integrazione sociale delle ‘vittime’ che ne
vogliono uscire.
L’integrazione e/o la compresenza di queste
due prospettive di azione o la scelta di una di
esse, è determinata, come vedremo meglio in
seguito, dai differenti contesti locali che influenzano e differenziano la selezione degli obiettivi
prioritari, la scelta dei metodi di lavoro, gli attori
coinvolti in ogni realtà.
Lavoro di rete e mappatura degli attori
L’attivazione di una rete di risorse territoriali
costituisce l’obiettivo principale della fase di
preparazione dell’intervento. Coordinatori ed
operatori pianificano una serie di contatti con i
382
servizi, le istituzioni ed altre organizzazioni presenti nella città per stabilire con loro un rapporto di collaborazione attiva (partnership) e di
condivisione del progetto o di alcuni obiettivi
parziali.
Questa fase riveste una importanza cruciale
perché permette di misurare gli obiettivi alla
qualità e alla quantità delle risorse a disposizione e, quindi, alla potenzialità del progetto di
raggiungerli fornendo risposte adeguate ai problemi che s’intendono e si prevede di dover
affrontare.
Va sottolineato che per quanto sia importante
il disegno iniziale di una mappa di contatti, la
rete è ampliabile e modificabile durante tutto il
processo di intervento mano a mano che gli
operatori identificano nuovi bisogni e, quindi,
nuove necessità di mobilitare risorse.
Prima di iniziare un lavoro più analitico sulle
reti che gestiscono e supportano i progetti prostituzione in Emilia Romagna; diamo uno sguardo d’insieme alla composizione della rete regionale ripartita per città.
È subito evidente che sono in gran parte soggetti istituzionalmente e/o tradizionalmente preposti ad un’azione pro-attiva alle situazioni di
disagio che possono essere associate, come nel
caso della prostituzione, anche a comportamenti
a rischio per la salute pubblica, o a condotte
considerate “devianti” o che possono comunque
produrre rappresentazioni di insicurezza sociale.
I soggetti della rete che istituzionalmente
sono chiamati a rispondere re-attivamente alle
condotte che possono suscitare allarme sociale,
in cui abbiamo incluso le Forze dell’Ordine, la
Polizia Municipale, ecc. costituiscono la parte
“mancante” della rete, ma su questo punto ritor383
neremo (cfr. scheda tipologie soggetti).
Nella rete pro-attiva abbiamo identificato tra i
differenti attori che partecipano a vario titolo
nei progetti prostituzione delle nove città già
attive, una prima e fondamentale distinzione tra
gli attori istituzionali - Comuni e Aziende USL e gli attori del privato sociale - organizzazioni e
gruppi di donne, associazioni di cittadini stranieri, organizzazioni a base religiosa, organizzazioni a base laica e associazioni di prostitute.
Il raggruppamento degli attori coinvolti nei
progetti sulla prostituzione, e l’osservazione
ravvicinata delle diverse prospettive e culture
che vi confluiscono ci consentono di rilevare
interessanti punti di continuità storica che caratterizzano i discorsi e le azioni attuali sulla prostituzione così come le novità e le rotture rispetto al passato, che meriterebbero una più
approfondita ricerca e trattazione. Mi riferisco in
particolar modo a chi si occupa oggi di prostituzione tra cui emergono sia attori che hanno
avuto un forte ruolo anche nei secoli passati sanità pubblica, femministe, istituzioni religiose,
- sia nuovi soggetti, in primo luogo le associazioni di prostitute e quelle degli stranieri.
Emerge, inoltre, una notevole capacità pragmatica da parte di attori così diversi di coalizzarsi per obiettivi e per sensibilità e retroterra in
ultima istanza affini in ogni realtà locale.
Per ottenere una mappa più precisa delle
risorse, delle competenze, delle potenzialità
progettuali ed operative locali, prenderemo in
esame la struttura della rete cercando di ricostruire il livello di distanza dei vari soggetti dall’azione progettuale sul fenomeno della prostituzione, cioè quello che in una parola definiamo il ruolo dei vari attori.
384
Come punto di partenza delle reti locali individuiamo il soggetto o i soggetti titolari dell’intervento (cfr. scheda titolari). E’ immediatamente visibile che questo ruolo è ricoperto o dai
Comuni o dalle Aziende Sanitarie delle varie
città. Sono questi, infatti, gli enti istituzionali che
la Regione ha identificato come interlocutori
per i progetti e per i finanziamenti, ma come
vedremo, è esplicitamente riconosciuta, valorizzata e sollecitata la collaborazione e la sussidiarietà di alcune funzioni tra gli Enti Locali e le
organizzazioni del privato sociale.
I progetti sperimentali sulla prostituzione sono
entrati, quindi, a far parte degli interventi sociali
istituzionali: Comuni e AUSL sono i titolari di progetti specifici collocati, nelle diverse realtà, in
ambiti organizzativi differenti anche se contigui.
La collocazione organizzativa all’interno degli
Enti Pubblici e delle aziende sanitarie rispecchia
la lettura che è stata fatta del fenomeno prostituzione e, in particolare, ciò che si ritengono
essere gli aspetti prioritari su cui intervenire. In
un certo senso, possiamo osservare, anche solo
attraverso una lettura organizzativa, la riduzione
che ogni organizzazione opera rispetto alla
complessità del fenomeno su cui intende agire.
In molti contesti, come Ravenna, Imola,
Modena e Ferrara i progetti sulla prostituzione
nascono all’interno di interventi più complessivi
rivolti alle comunità immigrate, spesso all’interno
dei servizi per gli immigrati dei Comuni e delle
AUSL; a Modena ha preso avvio anche dalle iniziative contro la diffusione dell’AIDS, a Bologna
e a Rimini sono progetti in parte maggiormente
integrati alle politiche di sicurezza urbana.
I soggetti “chiave” di ogni rete locale sono,
comunque, quelli che rivestono il ruolo di
385
attuatori perché hanno la responsabilità operativa dell’intervento. Gli attuatori sono in genere,
organizzazioni sufficientemente strutturate per
gestire direttamente i progetti o parte di essi in
convenzione con i Comuni e le Aziende USL
(cfr. scheda attuatori).
Al terzo “livello di distanza”, cioè con il ruolo
di sostegno ai progetti locali, possiamo osservare un’ancora più ampia tipologia di attori: sia
istituzionali sia sociali. Si tratta di organizzazioni
che svolgono un ruolo importante ai fini del
raggiungimento di obiettivi particolari e specifici dei progetti e per questo sono vitali ed essenziali (cfr. scheda rete di sostegno). La mappa dei
soggetti “di sostegno” è, come abbiamo già
detto, una mappa maggiormente variabile di
quelle precedenti ed andrebbe, per questo,
aggiornata periodicamente.
Dopo aver ricostruito le dimensioni delle reti
locali e della rete regionale, tentiamo di definire
i contenuti delle relazioni tra gli attori; un aspetto che crediamo abbia grande utilità applicativa.
Le schede riassuntive dei soggetti titolari,
attuatori e di sostegno non distinguono, infatti,
il tipo di obiettivi progettuali cui sono chiamati
a rispondere, dato che in molti casi la scelta
degli enti titolari è stata quella di attivare sia
interventi di riduzione del danno in campo
principalmente sanitario, sia di sostegno sociale
alle persone che chiedono di uscire dal mercato
della prostituzione.
La principale rete dei progetti di riduzione del
danno è quella sanitaria. Gli operatori di questo
tipo di interventi svolgono un ruolo di facilitatori per l’accesso ai servizi sanitari territoriali, di
accompagnamento e di informazione per la
riduzione dei rischi di contagio dell’HIV e delle
386
MTS connessi alle attività del target.
Va premesso che non esiste una realtà omogenea di servizi e di modalità di accesso tra le
diverse realtà cittadine, ma in generale, possiamo affermare che i servizi potenzialmente o
realmente coinvolti nei progetti sono sia di tipo
preventivo, sia diagnostico che terapeutico.
I servizi principali da attivare per una équipe
di operatori di strada sono: consultori territoriali
per la medicina di base e le visite specialistiche
ginecologiche; gli ambulatori, in genere ospedalieri o i dipartimenti per l’igiene pubblica, per
la prevenzione delle malattie infettive; i SerT
per il target con problemi di tossicodipendenza;
i servizi materno-infantili per le problematiche
legate alla gravidanza, all’affido, ecc..
La collaborazione con queste strutture è tanto
cruciale quanto problematica date la necessità
di stabilire codici di confidenzialità ed anonimato, la necessità della mediazione linguistica e
culturale e, soprattutto, per la diffusa condizione di irregolarità del target rispetto allo status di
permanenza nel nostro paese.
E’ dunque importante che venga istituito un
protocollo clinico e amministrativo.
Rispetto ai progetti di accoglienza riveste un
ruolo cruciale la rete dei cosiddetti “rifugi”. La
case e i centri antiviolenza, infatti, come le strutture gestite da organizzazioni religiose, sono
state tra le prime a mettere in campo le loro
risorse e le competenze delle operatrici nel difficile percorso di sostegno a donne in situazione di difficoltà.
Questo elenco non è sicuramente esaustivo
ma è indicativo del tipo di contatti necessari per
la preparazione degli interventi.
387
Conclusioni: ciò che manca
E’ molto importante stabilire contatti con le
Forze dell’Ordine e altre agenzie re-attive. E’
necessario che le Forze dell’Ordine siano al corrente dell’attivazione degli interventi sul territorio, per evitare agli operatori di strada di vedere
vanificati gli sforzi di relazione e di contatto con
il target e perché tali agenzie possono fornire
delle informazioni utilissime riguardo il territorio: dai luoghi di stazionamento a quelli di consumo delle prestazioni, ecc.
Per gli operatori di accoglienza tali rapporti
sono necessari per i molteplici e controversi
problemi che insorgono nel percorso di sostegno e di regolarizzazione delle prostitute/i che
vogliono uscire dal mercato. E’ più frequente
che quest’ultima tipologia di progetti abbia contatti con le Forze dell’Ordine e che sviluppi
sinergie, ma è certamente un dato da registrare
la situazione totalmente disomogenea tra le
diverse realtà cittadine.
E’ proprio al fine di sostenere una evoluzione
comune ai progetti locali che il network regionale può sviluppare un più forte ruolo rispetto a
diversi soggetti, soprattutto istituzionali (Forze
dell’Ordine e sanità) la cui collaborazione ancora troppo spesso dipende da volontà e sensibilità di singoli o di singole strutture.
* Lorenza Maluccelli è consulente del Comune di
Bologna, coordinatrice del Progetto “Moonlight
Project” del Comune di Bologna sulla prostituzione di
strada; coordinatrice progetto violenza sessuale “o
Tollerance” del Comune di Bologna.
388
SCHEDA A
389
SCHEDA B
390
SCHEDA C
391
392
SCHEDA PROSPETTIVE
393
SCHEDA TIPOLOGIE SOGGETTI
SCHEDA TITOLARI
394
395
SCHEDA ATTUATORI
396
SCHEDA RETE DI SOSTEGNO
Localizzazione degli interventi
(chi, cosa, con chi)
Vincenzo Castelli
Riportiamo di seguito gli indirizzi utili per
chi opera o vuole operare nel mondo della prostituzione in Italia.
Certamente tale indirizzario non vuole essere
esaustivo, ma indica associazioni ed enti ormai
consolidati nel campo dell’intervento sociale
nell’ambito della prostituzione.
Ente
Comitato per i diritti civili
delle prostitute
Casella Postale C.P. n.67,
Pordenone
tel. 0434/640563
Progettualità - Prevenzione sanitaria HIV- MTS
attivata
- Unità di Strada
- Formazione operatori
Rete di
riferimento - TAMPEP
- EUROPAP
NB. il Comitato è punto di riferimento per molti
progetti di prevenzione sanitaria
Opera nei comuni di: Bologna, Mestre, Verona,
Modena, Milano, Genova, Torino
Ente
L.I.L.A (Lega Italiana Lotta
all’AIDS)
V.le Tibaldi, 41, 20136 Milano
tel. 02/89400887
397
- L.I.L.A Via Capra 11, 29100
Piacenza - tel. 0523/338033
fax 0523/300259
- L.I.L.A Via Milano 58/B1,
16126 Genova -tel. 010/2462915
fax 010/2464543
Progettualità - Prevenzione sanitaria HIV- MTS
attivata
- Unità di Strada
- Formazione operatori
Rete di
riferimento -La L.I.L.A. è essa stessa una rete.
Da ricordare tra i gruppi L.I.L.A. impegnati nel
settore quelli di Milano, Genova, Piacenza
Ente
MIT (Movimento Italiano
Transessuali)
Via Polese 22, 40100 Bologna
tel. 051/250877
Progettualità - L’intervento rivolto al target
attivata
di travestiti e transessuali prevede:
- Prevenzione sanitaria HIV- MTS
- Unità di Strada
Rete di
riferimento - Comune di Bologna Progetto
“Moonlight project”
- Comitato per i Diritti Civili
delle Prostitute
Ente
Circolo di cultura omosessuale “Mario Mieli”
Via Corinto 5, 00184 Roma
tel. 06/5413985 fax 06/5413971
Progettualità - Il Circolo gestisce la linea teleattivata
fonica trans per dare informazioni, consigli di tipo sanitario,
398
formativo, occupazionale
- Unità di strada
Rete di
riferimento
- In collaborazione con la CGIL
Ente
Comune di Venezia- Mestre
via A. Costa 12, Venezia
tel. 041- 950648
Progettualità - Il Progetto “Città e prostituzioattivata
ne” si occupa di:
- Prevenzione sanitaria HIV- MTS
- Unità di Strada
- Formazione operatori
Rete di
riferimento - TAMPEP
Ente
Comune di Bologna
via S. Isaia 90, 40100 Bologna
tel. 051/554345
Progettualità Il Progetto “Moonlight project”
attivata
attiva interventi di:
- Prevenzione sanitaria HIV- MTS
- Unità di Strada
- Formazione operatori di strada
In collaborazione con:
- TAMPEP
- MIT
Il Progetto “Garantire alle donne
il diritto a non prostituirsi” attiva
interventi di:
- accoglienza
- di tutela
- di inserimento sociale delle ex
prostitute
- interventi di mediazione sociale
399
- interventi di comunità
In collaborazione con
- Associazione Orlando via
Galleria 8, 40121 Bologna, tel.
051/233863 fax 051/263460
- Associazione Ritor no al
Futuro c/o CGIL, via Marconi
67/II, 40121 Bologna, tel.
051/6087111 fax 051/251062
- la Caritas diocesana di
Bologna via Fossalta 4, 40124
Bologna - tel.051/267972
Casa delle donne per non subire violenza di Bologna
via De’ Poeti 4, 40100 Bologna
tel. 051- 283343
Rete di
riferimento
- TAMPEP
- Coordinamento Regione
Emilia Romagna (progetti città
che operano nell’ambito della
prostituzione)
- Forum eur opeo sulla
Sicurezza urbana (sottogruppo
droga e prostituzione)
- Rete “Città sane”
- Progetto “Città sicure” della
Regione Emilia- Romagna Progetto “Bologna Sicura”
Ente
Comune di Torino
via Delle Orfane 2, 10100 Torino
tel. 011- 5213940
Progettualità - Prevenzione sanitaria HIV-MTS
attivata
- Unità di Strada
- Formazione operatori
400
Rete di
riferimento
- TAMPEP
- Forum europeo sulla Sicurezza (sottogruppo droga e prostituzione)
- Ufficio Stranieri Comune di
Torino
- Gruppo Abele di Torino
Ente
Azienda USL di Rimuni
Ufficio tutela famiglia, donna,
giovani, coppia
tel. 0541/707603 fax 0541/54688
Progettualità Il progetto” help” ha attivato:
attivata
- formazione operatori di strada
Servizi di:
- accoglienza
- tutela
- inserimento sociale delle ex
prostitute
- interventi di mediazione sociale
- interventi di comunità
Rete di
riferimento - Progetto “Città sicure” della
Regione Emilia- Romagna
- Coordinamento r egione
Emilia Romagna progetti città
che operano nell’ambito della
prostituzione
Ente
Comune di Modena
Ufficio Centro Stranieri v.le
Monte Kosica 26, 41100 Modena
tel. 059- 206718 fax 059/237155
Progettualità - Prevenzione sanitaria HIV-MTS
401
attivata
Rete di
riferimento
- Unità di Strada
- Progetto di accoglienza
- Formazione operatori
In collaborazione con:
- Centro contro la violenza alle
donne via del Gambero77,
41100 Modena tel. 059/361050
fax 059/361369
- Progetto “Città sicure” della
Regione Emilia- Romagna
- Coordinamento Regione
Emilia- Romagna progetti città
che operano nell’ambito della
prostituzione
- Forum eur opeo sulla
Sicurezza urbana (sottogruppo
droga e prostituzione)
- Progetto Sicur ezza città di
Modena
Ente
Comune di Piacenza
via Taverna n.39, 29100
Piacenza - tel. 0523/492727
fax 0523/331224
Progettualità Il progetto prevede interventi di:
attivata
- unità di strada per prevenzione
sanitaria e accompagnamento ai
servizi
- accoglienza per chi decide di
uscire dalla prostituzione
Collabora con:
- Caritas Diocesana di Piacenza
via S. Giovanni 7, 29100
Piacenza, tel. 0523/332750 fax
0523/326904
402
- Istituto Buon Pastor e via
Mazzini 18, 29100 Piacenza
tel.0523/324772
fax 0523/338268
- L.I.L.A via Capra 11, 29100
Piacenza
Rete di
riferimento
Partecipa al Coordinamento
della Regione Emilia- Romagna
progetti città che operano nell’ambito della prostituzione
Ente
Consorzio Servizi Sociali di
Ravenna
via S. Agata n.20, 48100
Ravenna - tel. 0544/409836
fax 0544/482442
Progettualità Il progetto prevede interventi di:
attivata
- unità di strada per prevenzione
sanitaria e accompagnamento ai
servizi
- accoglienza per chi decide di
uscire dalla prostituzione
In collaborazione con:
- Coop. Il Mappamondo via
Cassino 79/b, 48100 Ravenna
tel.0544/403278
fax 0544/403278
- Associazione Terra Mia via
Ghibuzza 20, 48100 Ravenna
tel. 0544/403794
Rete di
riferimento - Partecipa al Coordinamento
della Regione Emilia- Romagna
progetti città che operano nell’ambito della prostituzione
403
Ente
Comune di Ferrara
via Boccanal di S. Stefano n.14,
44100 Ferrara - tel 0532/240037
fax 0532/200800
Progettualità Il progetto prevede:
attivata
- ricerca
- azione
- seminari di informazione
- accoglienza
In collaborazione con:
- UDI Centro donne e giustizia
via Terranuova 12/b, 44100
Ferrara tel.& fax 0532/247440
- Associazione Nelson Frigatti
della Caritas Diocesana di
Ferrara via Brasavola 19, 44100
Ferrara
Rete di
riferimento Partecipa al Coordinamento della
Regione Emilia- Romagna progetti città che operano nell’ambito della prostituzione
Ente
AUSL di Imola
v.le D’Agostino n.2/a, 40026
Imola - tel. 0542/604511
fax 0542/604518
Progettualità - Ricerca e monitoraggio del
attivata
fenomeno
- Prevenzione sanitaria ed
accesso ai servizi
- Accoglienza e sostegno sociale
In collaborazione con:
- Coop. Metoikos via S. Isaia 17,
40121 Bologna tel. 051/331226
fax 051/331350
404
- Istituto S. Teresa, via Emilia,
40026 Imola, tel. 0542/23254
Rete di
riferimento
- Partecipa al Coordinamento
della Regione Emilia- Romagna
progetti città che operano nell’ambito della prostituzione
Ente
Azienda USL di Cesena - SerT
via Marinelli 9, 47023 Cesena
(FO) - tel. 0547/21611
fax 0547/21959
Progettualità - Formazione operatori
attivata
- Creazione rete di accoglienza
In collaborazione con:
- Centro Accoglienza Caritas via
mura S. Agostino 16, 47023
Cesena tel. 0547/611060
Rete di
riferimento - Partecipa al Coordinamento
della Regione Emilia- Romagna
progetti città che operano nell’ambito della prostituzione
Ente
Comune di Reggio Emilia
p.zza Prampolini 1, 42100
Reggio Emilia - tel. 0522/456714
fax 0522/436747
Progettualità Il “progetto prostituzione” preattivata
vede
- unità di strada per la prevenzione sanitaria e accesso ai servizi
- l’accoglienza e il reinserimento
lavorativo
405
In collaborazione con:
- Associazione Rabbunì via don
Leuratti n.8, 42100 Reggio Emilia
tel.0522/440981
fax 0522/920386
Rete di
riferimento
- Partecipa al Coordinamento
della Regione Emilia- Romagna
progetti città che operano nell’ambito della prostituzione
Ente
Azienda USL n.22- Distretto
Sanitario- Villafranca (VR) corso
Vittorio Emanuele II n.169,
37069 Villafranca (VR)
tel. 045/6338459
Progettualità Il progetto “Prevenzione, infeattivata
zione da HIV e delle MTS nelle
prostitute immigrate clandestine” vuole attuare:
- la creazione di una rete di Enti
Locali per l’avvio di un intervento comune
- l’attivazione di una unità di
strada per interventi di prevenzione ed informazione sanitaria
Rete di
riferimento - TAMPEP
Comitato per i Diritti Civili delle
Prostitute
Ente
Regione Emilia- Romagna
Assessorato alle Politiche Sociali
- via A. Moro 30, 40100 Bologna
- tel. 051- 283216
406
Progettualità Il progetto vuole avere le
attivata
seguenti caratteristiche:
- azione di coordinamento,
accompagnamento, supporto
alla progettualità locale
- azioni di formazione per
Amministratori pubblici, funzionari, operatori sociali
- produzione di materiali e strumenti di lavoro per interventi
diversificati
- azioni di valutazione e di moltiplicazione
Rete di
riferimento - Forum europeo sulla Sicurezza urbana (sottogruppo droga
e prostituzione)
- Progetto “Città sicure” della
Regione Emilia- Romagna
Ente
Caritas Italiana
v.le Baldelli 41, 00146 Roma
tel. 06/541921
Progettualità L’intervento strutturale, rivolto
attivata
particolarmente a prostitute
“trattate”, prevede:
- azioni di coordinamento, promozione, accompagnamento di
progetti attivati dalle Caritas diocesane
- azioni di formazione operatori
- pubblicazioni e creazione di
strumenti di informazione
- collegamento con i paesi originari delle prostitute.
Vanno tenuti in particolare con407
siderazione significativi interventi di alcune Caritas diocesane quali:
- la Caritas Diocesana di Torino
servizio migranti via Principi
d’Acaia 42 bis, 10138 Torino
tel. 011/44771078
- la Caritas Ambrosiana via S.
Bernardino 4, 20100 Milano
tel. 02/760371 fax 02/76021676
- la Caritas Diocesana di Napoli
largo Donna Regina 22, 80138
Napoli - tel. 081/5574263
- la Caritas Diocesana di Brindisi via Madonna della Scala 56,
Brindisi
- la Caritas Diocesana di Cagliari via S. Gregorio Magno 11,
09100 Cagliari tel. 070/651645
- la Caritas Diocesana di
Bologna via Fossalta 4, 40124
Bologna - tel.051/267972
- la Caritas Diocesana di
Ancona c/o Curia Arcivescovile,
via Pio II 1, 60121 Ancona
tel.0336/736841
- la Caritas Diocesana di S.
Benedetto del Tronto, via Madonna della Pietà 111, 63039
San Benedetto del Tronto tel. e
fax 0735/588286
- Caritas Diocesana di Piacenza, via S. Giovanni 12, 29100
Piacenza
- Caritas Diocesana di Padova
via Vescovado 29, 35100 Padova
tel. 049/8750755
408
Rete di
riferimento
La Caritas Italiana è essa stessa
una rete nazionale.
Si coordina con gli altri settori
della Conferenza Episcopale
Italiana e con altre risorse del
volontariato cattolico e non.
Ente
Ass. Papa Giovanni XXIII
via Mameli 1. 47037 Rimini
tel. 0541/54719
Progettualità Il progetto prevede:
attivata
- interventi di strada per agganciare prostitute “trafficate”
- interventi di accoglienza presso case-famiglie e famiglie affidatarie dell’Associazione
- interventi di formazione per le
ragazze accolte
- interventi di formazione per
operatori sociali
Rete di
riferimento - L’Associazione Papa Giovanni
XXIII è essa stessa una rete a
livello nazionale.
- E’ inserita altresì nella rete del
progetto della città di Rimini
Ente
Casa delle donne per non
subire violenza
via De’ Poeti 4, 40100 Bologna
tel. 051/283343
Progettualità Il Progetto “Garantire alle donne
attivata
il diritto a non prostituirsi”, a
titolarità comunale è gestito
409
dalla Casa delle donne per non
subire violenza, con la Caritas
diocesana di Bologna e con
l’Associazione “Ritorno al futuro”, prevede l’attivazione di
interventi di accoglienza, di
tutela, di inserimento sociale
delle ex prostitute
Vanno tenuti in particolare considerazione significativi interventi di alcuni centri quali:
- Centro donne giustizia c/o
UDI, via Terranuova 12/B,
44100 Ferrara
tel. e fax 0532/247440
- Casa di accoglienza delle donne maltrattate, via Piacenza 14,
20135 Milano tel. 02/55015519 fax 02/55019609
- Centro contro la violenza alle
donne c/o Casa delle donne, via
del Gambero 77, 41100 Modena
tel. 059/361050 - fax 059/361369
- Associazione centro antiviolenza via dei Farnese 23, 43100
Parma - tel. 0521/238885
fax 0521/238940
Rete di
riferimento
Ente
La Casa delle donne è inserita
nella rete nazionale dei Centri
donna antiviolenza.
E’ altresì dentro la rete progettuale del Comune di Bologna
Associazione differenza
donna via Tre Cannelle 15,
410
00187 Roma - tel. 06/6780563
fax 06/06/6780537
Progettualità L’Associazione gestisce il Centro
attivata
Antiviolenza e cerca di attivare
reti di accoglienza per ex prostitute
Rete di
riferimento La Casa delle donne è inserita
nella rete nazionale dei Centri
donna antiviolenza
Ente
Progetto Miriam
c/o Caritas Diocesana di Padova
via vescovado 29, 35100 Padova
tel. 049/8750755
Progettualità Il progetto, prevede
attivata
- unità di strada
- accoglienza e sostegno per
l’integrazione
In collaborazione con:
- Coop. Nuovo Villaggio via
Bronzetti
35100
Padova
tel.049/8713047
- Parva Domus via Padova 63,
35030 Tencarola Selvazzano
Dentro (PD) tel.049/8686213
- Progetto immigrazione ACLI
Villaggio via Bronzetti, 35100
Padova tel.049/8720055
Rete di
riferimento Caritas italiana
Ente
C.A.T. Centro di animazione
Triccheballacche
v.le Guidoni 26, 50127 Firenze
411
tel. 055/4222390
fax 055/4486018
Progettualità - Prevenzione sanitaria HIV-MTS
attivata
- Unità di Strada
- Formazione operatori
Rete di
riferimento - TAMPEP
- Comitato per i Diritti Civili
delle Prostitute
- LILA
- C.I.P.
Coordinamento Nazionale delle
Comunità di Accoglienza (CNCA)
Ente
Villa Maraini
via Ramazzini 31, 00151 Roma
tel. 06- 55285057 fax 06/5877215
Progettualità - Prevenzione sanitaria HIV-MTS
attivata
- Unità di Strada
- Formazione operatori
Rete di
riferimento Croce Rossa Italiana
Ente
Gruppo Abele
via Giolitti 21, 10123 Torino
tel. 011/8142700
Progettualità - Prevenzione sanitaria HIV-MTS
attivata
- Unità di Strada
- Formazione operatori
- Editoria specializzata
Rete di
riferimento Il Gruppo Abele costituisce un
punto di riferimento per molte
associazioni.
Fa parte altresì del Coordina412
mento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (CNCA)
Ente
Coop. Magliana ’80
via Vaiano 3, 00146 Roma
tel. 06/5503713
Progettualità Il Progetto “Lucciola”, finanziato
attivata
dal Ministero della Sanità attraverso i fondi della Regione Lazio
vuole essere un intervento di
prevenzione sanitaria dell’HIV e
delle MTS.
Ha attivato:
- Unità di Strada
- Formazione operatori.
Ha iniziato altresì un intervento
di strada per conto dell’Amministrazione Prov.le di Roma
Rete di
riferimento Coordinamento Nazionale delle
Comunità di Accoglienza (CNCA)
Ente
Coop. Parsec
p.zza O. Marucchi 49, 00141
Roma - tel. 06/8174426
Progettualità Ha all’attivo la prima ricerca in
attivata
Italia sul “traffico delle donne
immigrate per sfruttamento sessuale: aspetti e problemi.
Ricerca ed analisi della situazione italiana”, realizzata nel 1996,
in collaborazione con l’Università di Firenze (Dipartimento
Scienze dell’Educazione)
Attiva altresì interventi di strada
413
per la prevenzione dell’HIV e
delle MTS, con azioni di formazione professionale e di collocamento lavorativo
Rete di
riferimento
Coordinamento Nazionale delle
Comunità di Accoglienza (CNCA)
Ente
Ass. On The Road
via A. Moro 88/90, 64014
Martinsicuro (TE)
tel. e fax 0861/796666
Progettualità Il Progetto “On the Road” preveattivata
de le seguenti azioni:
- Intervento di strada per aggancio di donne “trafficate”, per la
prevenzione sanitaria, per prevenzione situazionale
- Intervento di accoglienza di ex
prostitute
- Intervento di formazione professionale per ex prostitute
- Inserimento lavorativo ed abitativo
- Formazione Operatori
- Attivazione rete di volontari
In tale senso l’associazione sta
realizzando il progetto “IONIQUE - Occupazione: Femminile
plurale” nell’ambito dell’Iniziativa Comunitaria Occupazione
NOW
Rete di
riferimento Coordinamento Nazionale delle
Comunità di Accoglienza (CNCA)
- E’ altresì all’interno della rete
414
della Caritas Italiana.
- Suore Oblate del S.S. Redentore
Ente
C.I.P. Collegamento
Interventi Prostituzione
via del Leone 9, Firenze
tel. 055/288150
Progettualità Il progetto “Collegamento
attivata
Interventi Prostituzione” (C.I.P.)
è un intervento di rete volto a
razionalizzare e coordinare le
competenze ed i servizi esistenti
- nel pubblico e nel privato individuando anche nuove
forme di presenza sul territorio.
Il progetto ha attivato altresì un
intervento di accoglienza di
donne “trafficate” e una unità di
strada
Partecipano al C.I.P:
- C.A.T. via Macchiavelli 10,
Settimello Fiorentino tel.
055/8874812
- Associazione Progetto Arcobaleno via del Leone 9, Firenze
tel.055/288150
- Associazione Artemisia via del
Mezzetta 1 int, Firenze tel.
055/602311
- Rete Pronta Accoglienza –
Comune di Firenze Centro
Mercede (servizio di reperibilità
ed invio) via Accursio 19,
Firenze tel.055/2049112
fax 055/2320940
- Istituto Innocenti p.zza
415
Annunziata
12
Firenze,
tel.055/2491775
- Progetto Donna vicolo S. Maggiore 1 Firenze, tel .055/2767920
fax 055/292056
- Casa famiglia San Paolo,
p.zza S. Domenico Fiesole
- Suore Francescane di Maria,
p.zza del Carmine 21, Firenze
tel.055/213856 fax 055/281835
- Giardino dei ciliegi p.zza dei
Ciompi 11, Firenze tel.
055/243649
- C.O.S.S.E.T. via S. Gallo 32,
50129 Firenze, tel & fax
055/486393
- Istituto Stenone p.zza S. Lorenzo 9, Firenze, tel.055/280960
- A.U.S.L. 10 Consultorio per
extracomunitari p.zza Tasso
Firenze, tel. 055/6588732
- LILA via Santorre di santarosa
21, Firenze tel. & fax
055/613333
- Associazione A.A.P.E.M. via G.
Orsini
61,
Firenze
tel.
055/6810633
Rete di
riferimento
Ente
Il C.I.P. è essa stessa una rete
Si raccorda con:
- TAMPEP
- CNCA
- LILA
“Centro Accoglienza
“Cascina Mazzucchelli”
416
Progettualità
attivata
Rete di
riferimento
Ente
Progettualità
attivata
Rete di
riferimento
Ente
Progettualità
20070 S. Zenone al Lambro
(MI) - tel. 02/98870392
fax 98870377
Il progetto, appena iniziato, si
muove nell’ambito della tratta
con accoglienza di donne che
chiedono di uscire dal mondo
della prostituzione
Coordinamento Nazionale delle
Comunità di Accoglienza
(CNCA)
Associazione Porta Aperta
p.le A. Gramsci, 46100 Mantova - tel. 0376/368165
Il “Progetto notte” è rivolto alle
persone che vivono particolari
situazioni di marginalità legate
alla prostituzione.
Il progetto attiva un intervento
di strada con azioni di prevenzione ed informazioni sulla
salute.
Coordinamento Nazionale
delle Comunità di Accoglienza
(CNCA)
Associazione Mimosa
Via Padova 63, 35030
Tencarola di Selvazzano
Dentro (PD) tel 0338/6623275
fax 049/620450
Il progetto attiva un intervento
417
attivata
Rete di
riferimento
di strada con azioni di prevenzione ed informazioni sulla
salute
- accoglienza
- accompagnamento ai servizi
- sensibilizzazione territoriale
- TAMPEP
- Gruppo osservatore del
Coordinamento Nazionale
delle Comunità di Accoglienza
(CNCA)
418
Strumenti di riferimento
(libri, riviste, siti internet)
Vincenzo Castelli
O ffriamo di seguito alcuni ulteriori stru-
menti, che riteniamo utili, per conoscere ed
affrontare il “fenomeno della prostituzione”.
Una bibliografia con le più recenti pubblicazioni sul campo, una selezione di riviste che
hanno trattato o trattano il tema con particolare
attenzione e alcuni siti internet sul tema.
Pur essendo un campo dove non si produce
molto, e consapevoli che tali strumenti possano
essere ampliati, riteniamo costituiscano una
prima base di informazione.
Bibliografia utile
Ambrosini M. e Zandrini S., La tratta infame. La
prostituzione delle donne straniere, Ed.
Quaderni Caritas, Milano 1996
Amirante C., Stazione termini, Città Nuova
Editrice, Roma, 1995
Anonima, Manuale di una allegra battona,
Mazzotta, Milano, 1979
Anthony C., La prostitution clandestine, Ed. Le
cherche midi, Parigi, 1993
Antonini C., Buscarini M. (1985), La regolamentazione della prostituzione nell’Italia postunitaria, in “Rivista di storia contemporanea”,
pp. 83-114
AA.VV., Augusta’s Way, Safe sex, TAMPEP Italia,
419
Settembre, 1993
AA.VV., Il disagio femminile. Donna: ruolo e
persona?, da “Appunti Caritas” n.1, Udine,
1996
AA.VV. – Cgil nazionale, Dipartimento diritti di
cittadinanza e politiche dello stato, Una
riflessione in tema di prostituzione, Roma,
1994
AA.VV., Prostituzione, numero speciale di
“Famiglia oggi”, n. 8 – 9, 1994
AA.VV., La riduzione del danno, Edizioni
Gruppo Abele, Torino, 1994
AA.VV., La tratta di esseri umani a scopo di
sfruttamento sessuale, in “Italia Caritas
Documentazione”, n.1, 1997
AA.VV., L’infanzia negata, Vecchio Faggio,
Chieti Scalo, 1991
AA.VV., La moglie e la prostituta, Guaraldi,
Firenze, 1975
AA.VV, Chi infetta chi?, in “Prospettive sociali e
sanitarie”, n.2, 1994
AA.VV., Prostituzione, Rosenberg & Sellier,
Torino, 1986
AA.VV., Le trafic des femmes immigrées à des
fins d’exploitation sexuelle en Italie, in
Migrations Societè, vol.9, n.52, juillet-aout,
Ciemi, Paris, 1997
AA.VV., Toximane sexe. Masculin profession.
Prostituè specialitè: hommes, Adato, Paris,
1984
AA.VV., Report finale attività TAMPEP
1993/1996, Commissione Europea - DG V,
1996
AA.VV., Report finale attività EUROPAP
1994/1996, Commissione Europea - DGV,
1996
ASPE, Speciale migrazioni, n.19/94
420
ASPE, Speciale schiavi o bambini, n.21/95
ASPE Rassegna, Prostituzione. Un mondo che
attraversa il mondo, 1996. Raccolta di tutti
gli articoli pubblicati dall’agenzia stampa
Aspe su disagio pace e ambiente edita dal
Gruppo Abele dal 1983 al 1995
ASPE, n. 5, Speciale Prostituzione, Edizioni
Gruppo Abele, Torino, 1989
Atti Parlamentari della Camera dei Deputati:
relazione al Disegno di legge Nr.3240 presentato il 19/2/97
Baldaro Verde J., L’enigma dell’identità,
Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1991
Baldaro Verde J., Illusioni d’amore, Raffaello
Cortina Editore, Milano, 1995
Barlay S., Schiavitù sessuale, Feltrinelli, Milano,
1995
Baudrillard Jean “Il delitto perfetto”, Raffaello
Cortina Editore, Milano, 1996
Belladonna J., Prostituzione, Savelli, Roma,
1979
Bertin G.(a cura di), Valutazione e sapere sociologico. Metodi e tecniche di gestione dei processi decisionali, Franco Angeli, Milano, 1995
Bianca, Diritto Civile, vol.1, Ed. Giuffrè, 1995
Blumir G. e Sauvage A. Donne di vita, vita di
donne, Ed. Mondadori, Milano, 1980
Brussa L., progetto Città e prostituzione, 1995,
analisi del primo anno di lavoro, Comune di
Venezia
Cabaia E., La repressione della tratta degli esseri
umani e dello sfruttamento della prostituzione nella Convenzione di New York, in “Le
nuove leggi civili commentate”, 1981
Caletti G., Rapporto prostituzione oggi, Ed.
Calderini, 1986
Campani, G., Du Tiers Monde à l’Italie: une
421
nouvelle migration féminine, in “Revue
Européenne des Migrations Internationales”,
vol. 5, n.2, pp. 29-47, 1989
Campani, G., Donne immigrate, in Cocchi C. (a
cura di), “Stranieri in Italia”, Bologna, Istituto
Cattaneo, 1990
Canetti Elias, Massa e potere, Adelphi, Milano,
1994
Carcelli G., De Risi G., Prostituzione, Droga,
Aids. Un’emer genza dal volto umano,
Istituto Ricerche Economico-Sociali Placido
Martini, Roma, 1994
Caritas di Roma, Immigrazione Dossier
Statistico 1995, Roma, Anterm, 1996
Castelli V., Strade di un pianeta sconosciuto,
CNCA Rapporti sociali - Prostituzione n.1,
Comunità Edizioni, Capodarco di Fermo, 1997
Cian, Trabucchi, Commentario breve al Codice
Civile, Ed. Cedam, Padova, 1997
CNCA, Progetto “Ionique – Occupazione: femminile plurale”, Capodarco di Fermo, 1995
Colombo Svevo M.P., Il ritorno della tratta di
esseri umani, in “Aggiornamenti Sociali”
nn.7-8/96
Commissione Comunità Europea, Sul traffico di
donne a scopo di sfruttamento sessuale,
Bruxelles, 1996
Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute,
Progetto di informazione Aids rivolto alle
persone prostitute immigrate, Ministero della
Sanità - Istituto Superiore di Sanità, Primo
progetto di ricerca sugli aspetti etici, psicosociali, giuridici, comportamentali, assistenziali e della prevenzione nel campo dell’Aids,
1996
Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute e
MIT, Analisi sulla prostituzione e soluzioni
422
possibili, Documento in merito alle proposte
di legge in materia di prostituzione,
Pordenone, 1995
Comune di Bologna, Garantire alle donne il
diritto a non prostituirsi, Bologna, 1994
Comune di Bologna, Progetto Prostituzione
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AGGIORNAMENTI SOCIALI - P.zza San Fedele
n.4, 20121 Milano, tel.02/86352.212 - fax
02/86352.582 - ccp.32049207 - ED. San
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pace e ambiente” - Via Giolitti n.21, 10123
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IL DELFINO - Via Attilio Ambrosini n.129, 00147
Roma, tel. 06/54195216 - fax06/5407304 ccp. 86665007 - ED. CEIS;
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fax0734/674668 - ED. RES;
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427
PARTECIPAZIONE (mensile della Comunità di
Capodarco) – Via Lungro n.3, 00178 Roma,
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10608636 – ED. Comunità di Capodarco
POLITICHE SOCIALI - Via Vescovado n. 66,
35141 Padova, tel. 049/663800 - fax
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PROSPETTIVE SOCIALI E SANITARIE - Via XX
Settembre
n.24,
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36973204
SERVIZI SOCIALI - Via Vescovado n.66, 35141
Padova, tel. 049/663800 - fax 049/663013 ccp. 12106357 - ED. Fondazione Zancan.
Siti internet
IUS e internet: primo organo di informazione giuridica su internet per operatori del diritto. Tramite
questo sito si può accedere a fonti legislative
(Gazzetta ufficiale) ecc..
http://www.jei.it/index.htm
Sito della Regione Emilia Romagna: in questo sito
sono riportati sinteticamente tutti i progetti sviluppati nell’ambito della prostituzione nella regione.
Progetti di Comuni e AUSL per favorire la fuoriuscita dal mondo della prostituzione e fare prevenzione.
http://www.regione.emilia-romagna.it/pre_stampa/servsoc/19961202_921.htm
http://www.regione.emilia-romagna.it/ass_psociali/prost.htm
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Legislazione contro la prostituzione infantile: interventi legislativi contro la prostituzione infantile.
http://www.citinv.it/associazioni/MANITESE/men
sile/696_15_1.htm
Prostituzione, intervento dell’Arcigay-Arcilesbica
contro la raccolta di firme – Prostituzione, intervento dell’Arcigay-Arcilesbica contro la raccolta di
firme di Alleanza Nazionale a Bologna.
http://www.gay.it/;grillini/prostituzione.htm
CGIL – Prostituzione: L’impegno della CGIL –
Sindacato e prostituzione.
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CGIL – Prostituzione e nuove schiavitù: una riflessione in tema di prostituzione, discussione del
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http://www.cgil.it/org.diritti/esclusio/prostit.htm
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legge Merlin liberalizza la prostituzione:
Chiudono 560 case “aperte” con 2700 operatrici
eros.
http://www.goldnet.it/francomputer/prost.htm
Progetto On the Road: Corso per Operatrici
Sociale di Base per la Prevenzione della
Prostituzione.
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GLI ALTRI editoriale periodico fondato da
Rosanna Benzi sull’emarginazione e sulla prostituzione.
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429
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fenomeno dell’immigrazione e della tratta.
http://www.iom.ch/
http://www.iom.int
http://comm.ch/doc/MIP-italy.htm
http://home.pi.net/;notreg/backgr/italy/htm
Progetto EUROPAP: rapporto finale e rapporto dei
diversi Stati
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5 EU Member State : The Netherlands
http://home.pi.net/;notrf/backgr/netherl.htm
15 EU Member State: Italy
http://allserv.rug/ac/be/;rmak/europa/rapita.htm1
http://home.pi.net/;notraf/backgr/italy.htm
Progetti a livello di Comunità Europea: nel sito
della CE è possibile alla voce DG5 (Direzione
Generale 5) trovare dei materiali, documenti, programmi operativi, rapporti di ricerca sui temi della
prevenzione dell’AIDS. Alcuni di questi progetti
relativi alla riduzione del danno hanno interessato
anche il settore della prostituzione.
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da/prjects.htm
http://europa.eu.int/en/comm/dg05/health/ph/si
da/aidsmain.htm
http://europa.eu.int/en/comm/dg05/home.htm
430
Postfazione
Roberto Merlo*
“Penoso è lottare contro il cuore
ogni nostro desiderio si compra
al prezzo della nostra anima”
Eraclito
E... domani?
La questione irrisolta
“L
a prostituzione sempre c’è stata e sempre
ci sarà”, questa frase l’abbiamo ascoltata molte
volte durante i dibattiti o le discussioni che in
questi anni si sono fatti, più o meno a sproposito,
sul fenomeno in oggetto. Essa dovrebbe rappresentare una sorta di sintesi della saggezza popolare, un fatalistico e inaccettabile o realistico e
pragmatico - a seconda della posizione ideologica di chi la ascolta - punto di non ritorno di ogni
ragionamento intorno al fenomeno: la frase non
solo infatti afferma l’impossibilità di eliminare il
fenomeno, implicitamente ci dice anche che i
tentativi di ridurlo significativamente sono vani .
Ma se così è, perché chiunque, sia di destra o
di sinistra, la utilizzi o la contesti, ne sente l’inaccettabile inevitabilità? I sentimenti infatti che
l’accompagnano vanno dal senso di rassegnazione all’ira per la sua pregnanza di verità; ci si
può ribellare o giustificare con quella frase, ma
una cosa non si può fare: ignorarla
Dopo aver letto i contributi, le esperienze e
quant’altro di interessante v’è in questo libro,
proprio quella frase continua a ronzarmi nella
431
testa come una questione irresolubile, fastidiosamente conclusiva da un lato e inaccettabilmente esplicativa dall’altro.
Non credo che il fatto di essere maschio
determini questo mio stato d’animo, ho presente quanto la contraddizione implicita in quella
frase sia irrisolta anche nelle più interessanti
riflessioni dell’altro genere, quanto, ad esempio,
all’interno dei gruppi femministi, lo stesso fenomeno sia fastidiosamente o sbrigativamente
rimosso... Ma proprio questa postura sia negli
uomini che nelle donne permette la persistenza
del fenomeno da un lato e il desiderio di “assassinarlo” dall’altro. Da un punto di vista analitico
si dovrebbe parlare di una forma di invidia che
si sviluppa in termini fantastici.
So bene come questa categoria sia rifiutata e
negata dalla riflessione importante e decisiva
che le autrici di genere appunto hanno condotto [vedi per tutte Nadotti Maria 1996], però uso
il concetto di invidia secondo l’accezione di
Melanie Klein [1987] ( una donna non a caso) e
che in sintesi si può riassumere con la distruzione illusoria dell’oggetto: “né per Dio né per il
diavolo”. Non ci si può nascondere che nella
nostra cultura il giudizio morale che viene dato
sulla prostituta ha come premessa una visione
della sessualità che divide il genere umano in
due grandi categorie: coloro che “divertono”
l’altro o lo stesso genere e coloro che sono
“sacri” poiché si destinano alla perpetuazione
della specie. La prostituzione è allora l’altra faccia della medaglia dell’esistenza del genere,
quella da nascondere e appunto da invidiare in
forma fantastica perché parte complementare di
ciascuno di noi, parte altresì insopportabile e
quindi desiderabile.
432
C’è dell’altro, tuttavia.
E “quest’altro” non è questione di poco conto
se è vero, come è vero, che la caratteristica di
ineluttabilità in un fenomeno decide, più di
ogni altra, ciò che sullo stesso si può dire, fare,
pensare, agire, oggi e, soprattutto, domani.
La domanda dovrebbe quindi essere posta
così: la prostituzione è un elemento costitutivo
della organizzazione sociale della nostra specie,
come la pulsione alla vita, la tendenza alla concentrazione in gruppo, branco, massa, ecc.... o
è una costruzione, un fenomeno che si è sviluppato a seguito di una serie di fattori combinatisi
in un certo modo invece che in un altro, e quindi tutt’altro che ineluttabile?
Più ancora provocatoriamente, il fatto che
solo una minoranza di donne e uomini si prostituisca e la maggioranza non lo faccia è il frutto
di un processo culturale e sociale che ha piegato un comportamento strutturale della specie
regolamentandolo, o una devianza dall’organizzazione (in parole brutali siamo, in fondo,
tutte/i puttane/i e solo alcuni non riescono a
controllarsi o lo si diventa)?
Dalla risposta che si dà a queste domande,
solo apparentemente assurde, dipende cosa
pensare e fare sul fenomeno e il suo domani,
poiché appare evidente che se la prima opzione
è quella vera, nulla in realtà si potrà mai fare
per eliminare il fenomeno e, se è vera la seconda, è nelle nostre mani il potere di eliminarlo.
Il fatto che in tutto il libro la tensione degli
autori sia stata quella di cercare non tanto una
risposta radicale alla questione di fondo quanto
un più saggio e pragmatico tentativo di cercare
concretamente cosa si può fare insieme, al di là
della risposta alla questione posta, non va letto
433
come il segno della sua inutilità o impossibilità
quanto come il tentativo di cercare una risposta
attraverso un approccio indiretto: nel processo.
In ciò che porta verso la soluzione di un problema molte volte vi è la conseguenza del modo
con cui se ne sono affrontati, prima, solo alcuni
aspetti parziali.
Quando ci si pone però, giustamente, la
domanda come evolverà il fenomeno (per progettare e programmare meglio il pensiero e l’azione), non ci si può ingannare sul fatto che, nel
rispondere, decisivo è, appunto, la risposta sulla
concezione che noi abbiamo della sua “natura”:
il sistema di premesse con cui lo individuiamo.
Alcune ipotesi sul modo migliore di procedere per
trovare una strada che ci conduca a una risposta
Nei capitoli che precedono questa post fazione sono state illustrate molte ipotesi eziogenetiche del fenomeno. Vorrei qui fare un tentativo
di elencare le questioni che ad esse stanno sottese, iniziando a individuare alcuni concetti
chiave che quelle presuppongono.
Mi pare che alcuni dei concetti di cui stiamo
parlando siano: il contatto, la differenza di
genere, il potere, il mercato e la legge.
Se guardiamo questo elenco il sospetto che la
prostituzione sia parte costitutiva della società
come organizzazione viene spontaneo: non
sono infatti queste le questioni che vengono
considerate come gli oggetti principali del contratto che le fonda?
Considerare la prostituzione come metafora
delle forme di contratto sociale ci appare una
strada interessante da percorrere
434
Il contatto
Iniziamo allora a cercare di comprendere su
quale base il contratto sociale si è costituito ed
evoluto per ciò che riguarda il prostituirsi. Per
far ciò è necessario che esaminiamo un aspetto
particolare del processo. Il sociale si costituisce
con e attraverso i fenomeni di concentrazione
[Elias Canetti 1994]. Il branco, la tribù, il villaggio, la città sono alcuni dei modi con cui la storia della nostra specie ha realizzato questi fenomeni. Le ragioni per cui ciò è avvenuto sono
ancora poco studiate e approfondite, tuttavia
alcune ipotesi appaiono per lo meno plausibili
e utili al nostro discorso.
Una di queste individua, come ragione di
quei processi, la necessità di mantenere l’organizzazione interna della specie [Humberto
Maturana e Francisco Varela 1985] . In sostanza,
semplificando molto, l’ipotesi recita così: la
sopravvivenza, o meglio la capacità della organizzazione della specie di gestire le minacce
esterne e interne alla stessa, è data anche dalla
concentrazione che la stessa è in grado di produrre nel suo territorio, nel suo locale.
La questione è che ogni forma di concentrazione ha insito in sé un rischio altrettanto pericoloso per la specie quanto quello per cui si
adotta questa strategia: il rischio di innescare i
processi tipici di massa [Elia Canetti, op. cit.]
Ogni concentrazione se non regolata e bloccata procede inevitabilmente verso uno sblocco
a cui segue la frammentazione; insomma paradossalmente, ma a dire il vero non tanto, il concentrarsi ha al suo interno il rischio del frammentarsi, del disperdersi. Infatti la massa, di
qualsiasi tipo sia o per qualsiasi finalità essa
435
sorga, sempre segue, se non regolata e bloccata, un ciclo che porta la concentrazione della
stessa verso un evento (l’uccisione della strega
o del re, la distribuzione dei pani e dei pesci, il
linciaggio, ecc...) che ne scioglie la ragione di
esistenza e ne comporta la frammentazione in
individui.
Ora ogni concentrazione ha un aspetto, tra gli
altri che ha noi interessa particolarmente: il contatto. Non si dà infatti concentrazione di massa
senza contatto. Quindi il contatto va regolato e
bloccato.
La forma di contatto più difficilmente regolabile e bloccabile è certamente quella legata alla
sessualità. Foucault [1991] ci ha insegnato, tra
l’altro, che proprio guardando lo sviluppo storico di questo particolare tipo di contatto è possibile comprendere come si sviluppa il comportamento e l’etica dell’uomo e della donna contemporanea: la regolazione infatti del piacere
che questo contatto suppone, il blocco di alcune vie e l’averne, quindi, privilegiate altre (si
pensi a ciò che lega il piacere e la costruzione
sociale e culturale di ciò che oggi si intende per
amore) e costituisce uno dei fondamenti della
nostra attuale civiltà e organizzazione sociale.
Appare, quindi, una ipotesi plausibile che la
prostituzione (attraverso le mille forme con cui
nei secoli e nelle culture si è realizzata, da quelle sacrali a quelle ora più conosciute: le mercantili) sia una forma di regolazione del contatto
sessuale e una forma di suo blocco.
Sappiamo però bene che ogni spiegazione
delle realtà complesse, quando appare coi
caratteri della necessità, è sicuramente erronea.
Vediamo quindi quali sono i punti deboli di
questo nostro modo di ragionare proprio per436
ché ci permetteranno di complessizzare le ipotesi che esso tende ha presentare.
La differenza di genere
Il primo punto debole di questo ragionare sta
nel fatto che i sistemi di regolazione dei processi di contatto riguardano in prima istanza i fenomeni di aggressività e la sessualità non può, sic
et simpliciter, essere pensata come una forma di
quest’ultima. Questa osservazione ci permette
però di considerare la questione dal seguente
punto di vista: la prima fonte di aggressività sta
nella differenza di genere. Questa differenza ha
costituito, come ogni differenza fondante, fonte
di potenziale minaccia e, come tale, andava
risolta.
Basta leggere Erich Neumann [1978] per darsene conto: il passaggio dalla grande madre alla
costruzione dell’io suppone la sua uccisione e
la trasformazione dei miti fondanti
dall’Uroborus all’eroe (dal generare che uccide
il generato per generare nuovamente senza che
quell’io possa svilupparsi, alla piena affermazione di quell’io attraverso il mito dell’eroe che
uccide i generatori : il padre e la madre).
La soluzione che questo processo ha trovato,
nelle società occidentali, e non solo, è stata,
semplificando molto, quella di definire la supremazia, quindi, del genere maschile in quanto
archetipo del modello fondante la stessa: l’eroe
appunto.
Non occorre infatti molto argomentare per
dimostrare che i miti fondanti la nostra cultura
sono quelli non tanto di Dioniso né tanto meno
di Prometeo incatenato quanto quelli di Apollo
437
e Eracle [Umberto Galimberti 1994].
L’ordinare della ragione ha prevalso sul gioco
della follia, Apollo ha prevalso su Dioniso,
anche se il primo non esisterebbe senza il
secondo, come la follia è contrappunto dell’ordinare della ragione; d’altro canto la trasgressione punita, Prometeo, ha perso di fronte alla
cieca obbedienza al proprio sicuro destino di
Eracle, anche se è proprio quest’ultimo che,
non ha caso, nel mito, lo libera dal supplizio e
gli consente di diventare come lui (metafora
della assoluta necessità degli opposti in ogni
evento pensiero o agito che venga dall’uomo).
Il modello infatti che tutti noi perseguiamo
anche quando cerchiamo di opporvicisi è quello del maschio forte e vincente capace di perseguire il suo scopo (essere dio o, meglio, semidio) senza alcun tentennamento o scrupolo,
intangibile dall’esistenza dell’altro genere sotto
qualsiasi profilo, vittorioso sulla morte e su tutte
le sue simbolizzazioni: dal dolore alla malattia,
superiore agli affetti e tutto sommato giudice di
se stesso...
All’eroe la prostituzione, maschile o femminile che sia, è perfettamente funzionale, in fondo
non lo coinvolge e gli permette di essere anche
sulla sessualità dominante. I sentimenti sono
infatti ciò che rischiano di perderlo, meglio,
molto meglio, una tipologia di relazione con
l’altro o con lo stesso genere che gli consenta il
minimo di rischio di trovarsi coinvolto nelle
passioni che non siano quelle definite dal suo
destino radioso: meglio un matrimonio combinato , una relazione anaffettiva, ecc....
Insomma per affermare la supremazia di un
genere sull’altro è necessario regolare la relazione con il secondo “squalificando” le forme che
438
per quello sono fondanti: la mitezza, la ciclicità
della concezione della vita, il piacere... l’esatto
contrario delle caratteristiche del genere
maschile vincente, dell’eroe.
Curioso d’altro lato constatare che in molti
miti eroici sono proprio le donne che fanno l’eroe e nel contempo tentano di ucciderlo senza
ovviamente quasi mai riuscirci completamente,
ovviamente!
La prostituzione appare una forma, se non
addirittura paradigma , di realizzazione perfettamente congruente con i processi descritti e
come tale “necessaria” all’esistenza dei miti
dominanti che connotano la nostra civiltà e
organizzazione sociale.
Il potere
Un secondo punto debole sta nel fatto che il
motore dei processi di blocco della concentrazione, se questi, come abbiamo detto, si fondano sul principio dell’autopoiesi, è sicuramente
la gestione della minaccia delle minacce: la
morte. Il contatto con la morte è ciò che metterebbe in crisi qualsiasi organizzazione. Ciò è
così vero che le strategie (soprattutto religiose e
quindi culturali) della specie nei confronti di
questo altro “inevitabile” sono state motore
delle nostre civiltà. Il culto dei morti è uno delle
chiavi di lettura più interessanti per leggere lo
sviluppo di quest’ultime.
La questione, inoltre, è che una concentrazione di massa ha, con questo irriducibile, una
relazione particolare: la morte dell’altro infatti è
un cristallo di massa da sempre, ma anche la
fine della massa stessa (la morte della vittima
439
innocente concentra più di tre miliardi di individui, mi riferisco alla recente scomparsa di Diana
d’Inghilterra, ma il suo funerale li disperde).
Ora la morte appare, come fenomeno, qualche cosa che nulla ha a che fare con la prostituzione. Vedremo che non è così.
Da un lato infatti, se consideriamo il fatto che
un eros autenticamente e irriducibilmente eros
suppone un thanatos altrettanto autentico e irriducibile, potremmo affermare che, se è vero ciò
che abbiamo testé affermato, la regolazione e il
blocco dell’eros suppone la regolazione e il
blocco del thanatos. Ora nulla è più capace di
evidenziare il thanatos del nascere, dell’essere
generati (si incomincia a morire quando si
nasce). Il potere del generare è del femminile:
regolare e bloccare il femminile appare un
modo per regolare e bloccare l’irriducibilità del
thanatos e dell’eros (o per lo meno illudersi di
riuscire a farlo).
Dall’altro (ed è la questione che più qui ci
interessa) la morte è matrice di ogni forma di
potere (il massimo del potere infatti sta nel dare
e togliere la vita, solo che il darla non è nelle
mani dell’uomo mentre il toglierla si). Il potere
è anche una forma di regolazione e di blocco
dell’alterità. Ciò che è altro da noi è potenzialmente una minaccia alla nostra organizzazione,
il potere sull’altro è una forma di controllo di
quella potenzialità. Il potere è anche quindi una
forma di regolazione e blocco della morte. Dio
non a caso è onnipotente e immortale allo stesso tempo.
Ora la prostituzione è metafora nella uccisione di ogni forma di alterità poiché questa è
negata due volte e da entrambi gli attori. Per la
prostituta l’altro, il cliente non esiste se non
440
come cosa ed essa stessa non esiste nella relazione con l’altro nell’atto del prostituirsi, non a
caso si dice che finge. Per il cliente la prostituta
non esiste in quanto altro ed anch’egli non è ciò
che è quando è con una prostituta , non a caso
si dice che s’illude. La prostituzione appare davvero come una forma perfetta di negazione del
desiderio e nello stesso tempo una forma di realizzazione dello stesso (non dimentichiamoci
che il desiderio nella nostra cultura è una
minaccia più che una possibilità e, se non è
coerente con il destino dell’eroe, è ammesso
solo come oggetto “clandestino” !).
Dunque l’altro in quanto altro e io in quanto
io si negano reciprocamente.
Per negare l’altro (forma metaforica dell’ucciderlo) devo avere almeno l’illusione del potere.
Pochi comportamenti danno l’illusione del
potere dell’uno sull’altro e viceversa. Per far ciò
però è necessario che l’oggetto in gioco sia virtuale, sia irreale. La sessualità nella prostituzione come l’eros è totalmente virtuale.
Nella prostituzione tutto è illusione. Non mi si
fraintenda, quando affermo ciò, ho ben presente la materialità brutale del fenomeno, la parte
bestiale che esprime. La forma attraverso cui la
esprime, però, è regolata e bloccata, tant’è vero
che quando così non è scattano immediatamente (chissà perché solo in questi casi) i siatemi di
sicurezza sociale: i progetti prostituzione.
Questi infatti null’altro sono che una forma di
regolazione e blocco del degenerare (dal virtuale al reale) del fenomeno: quando la donna o
l’uomo è costretto dalla violenza fisica a prostituirsi o quando la violenza fisica del cliente esce
dai canoni accettabili allora si dà l’intervento,
per prevenire o ricondurre a regola... D’altro
441
lato ciò che resta sempre incompiuto è il desiderio di possedere - uccidere l’altro con il proprio corpo . Un desiderio bloccato e regolato
non è più una minaccia. Il cerchio è perfetto!
Il mercato
Abbiamo detto, esagerando un poco, che
nella prostituzione tutto è illusione; vorremmo
continuare questo ragionamento dimostrando
come, questa affermazione, contenga parti di
verità se si considera cosa è oggetto reale di
scambio in questo fenomeno.
Ci si prostituisce per denaro. Più autori hanno
sottolineato che la prostituzione è un mercato.
Il denaro è un feticcio, una reificazione della
offerta agli Dei in cambio della loro benevolenza una riduzione in fin dei conti a scambio di
tutto ciò che è “naturale”.
Bene, ora pochi oggetti reali sono più virtuali
del denaro e quest’ultimo è ciò che è perché ha
come suo luogo un altro oggetto oggi più che
mai virtuale e quindi reale : il mercato.
Vale la pena considerare come la connotazione di virtuale data al fenomeno lo renda oggi
più che mai reale. Dice Jean Baudrillard [1996]
(e non solo lui) che la dominazione del virtuale
nella nostra cultura è tale che si sta compiendo
un delitto perfetto : l’uccisione della realtà.
La domanda quindi è: cosa si uccide attraverso il fenomeno della prostituzione, cosa da
sempre si è ucciso?
Alla prima domanda è più facile rispondere
(anche se so che la risposta che ora sinteticamente indicherò farà arrabbiare quei pochi lettori che saranno giunti sin qui a leggere questo
442
scritto): l’amore (per ciò che si intende oggi con
questo termine, sia chiaro, non tanto per il suo
significato originale).
L’amore nella nostra cultura è la follia necessaria, quando si manifesta come illusione, che
giustifica e rende nobile molte delle brutture di
cui siamo protagonisti.
Ma l’amore in realtà è un pericolo per la organizzazione sociale così come noi la conosciamo. L’amore suppone un cambiamento interno,
un terremoto della propria organizzazione mentale e sentimentale, una perdita di controllo e di
potere, ecc... che è meglio che venga regolato e
bloccato il più possibile. E’ un fenomeno della
serie se lo conosci lo eviti, se non lo conosci
cerca di continuare così, se ti capita cerca di
guarire il più presto possibile...
L’amore ovviamente suppone la pienezza
dell’esistenza dell’altro in quanto altro e indipendentemente dalla rappresentazione che io
posso farmi di lui controllandolo prevedendolo
e manipolandolo, implica anche un con-promesso, la responsabilità che da questo deriva...
Pericoloso, molto pericoloso!
Perché allora, qualcuno potrebbe obiettare,
appare come paradigma del nostro modo di
pensare la vita?
Lungi dal pensare di avere una risposta a una
domanda così difficile, penso però di poter formulare una ipotesi che sia utile per il nostro
ragionare sul fenomeno della prostituzione.
L’ipotesi è questa: per il modello “Apollo
Eracle” (il modello dell’eroe di cui sopra) il sentimento dei sentimenti deve essere da un lato
astratto (nel significato corrente e originale del
termine: a-stratto) e dall’altro, essendo la sua
utopia, deve essere affermato (nel significato
443
corrente e originale del termine).
Per dirla in termini più semplici: Eracle non
può amare nessuno nemmeno se stesso (se lo
facesse manderebbe a quel paese gli Dei, le fatiche e si ritirerebbe a coltivare musica e patate)
ma non può non amare se stesso nella forma
che ha, come destino - desiderio d’essere come
gli Dei (e il carattere virtuale di questo destino è
il motore che lo fa esistere come Eracle).
Ora se ciò che stiamo dicendo contiene un
po’ di verità, potremmo azzardare che nella
nostra cultura l’amore è potenzialmente una
dissonanza psichica e materiale, individuale e
sociale che abbiamo imparato a contenere attraverso forme di autoinganno [vedi Leon
Festinger, 1987]; la metafora di Ulisse ne è uno
splendido esempio.
La prostituzione è una di queste forme di
autoinganno.
Non è difficile dimostrare che questa definizione ha del vero: quante volte è accaduto a chi
lavora nel “settore” di trovarsi di fronte a prostitute che chiedono di uscire dalla loro condizione e poi fanno di tutto per ritornarci, quante
volte è accaduto di incontrare persone insospettabili, di ferrea moralità, splendidi esempi di
padri e sacerdoti, lungo i viali dove stanno le
meretrici... autoinganno appunto.
E ancora una osservazione mi si permetta
rivolta a coloro che non accettano la parziale
verità di questa affermazione: Pretty Woman ci
ha fatto piangere tutti. In realtà essa ci ha combinato tutto ciò perché ben sappiamo che è del
tutto virtuale. Di Pretty Woman, nella vita concreta, ve ne sono quasi nessuna...
Ciò che si vede nella vita reale è l’illusione
del riscatto e il suo altissimo costo in termini di
444
negazione della propria identità, quasi sempre
da parte della donna, in cambio di un simulacro
di amore.
Ciò che ci si scambia allora attraverso il virtuale del denaro è un autoinganno, la possibilità
di saldare, con un atto, la dissonanza interna
che viviamo rispetto all’amore inteso come
accettazione senza condizioni dell’altro in quanto altro.
La legge
Qualcuno potrebbe obiettare che tutto questo
mio ragionare prescinde dai problemi concreti,
che in fondo sono io astratto dalla realtà del
fenomeno, vorrei allora affrontare un argomento concreto dei molti che sono presenti in questo libro, ovviamente dal punto di vista con cui
sto riflettendo sul fenomeno, per dimostrare che
questo non è così astratto come forse qualcuno
dei lettori lo può percepire.
Il più adeguato è la questione della legge.
Non ho competenze giuridiche per entrare nel
merito ma qualche esperienza e riflessione.
Molto è già stato detto nei capitoli che precedono questa post fazione, mi si permetta soltanto di porre una domanda e di tentare una risposta: perché occorre una legge sulla prostituzione?
So che sono molte le risposte più che valide,
le trovate espresse o sottese a molte argomentazioni presenti sul tema in questo libro: tutelare i
diritti delle donne e degli uomini che si prostituiscono, tutelare il diritto individuale e renderlo compatibile con il diritto collettivo, ecc....
In qualche modo però tutte le argomentazio445
ni sulla necessità della legge si rifanno a questioni di principio (persino quelle di coloro che
vogliono sancire un mestiere e affermare la
priorità del principio pragmatico sugli altri... si
rifanno appunto a un principio).
Quando, però, si parla di principi e li si vuol
tradurre in legge sappiamo tutti molto bene che
possono sorgere guai. La storia della legge
Merlin insegna... Il problema è che i principi,
non sempre e non tutti, si possono tradurre in
legge senza incorrere nella produzione di contraddizioni peggiori, a volte, di quelle che si
tentano di risolvere... per legge.
La domanda allora che sorge spontanea è: a
quali principi possiamo riferirci nel trattare il
fenomeno in modo tale da non cadere in questa
trappola?
A me pare che per lo meno a tre principi etici
ci si possa riferire: il principio che afferma il
diritto alla cura di chiunque, indipendentemente dalla sua condizione, comportamento, credenza ecc...., il principio della tolleranza o della
mitezza e il principio della carità.
So bene che debbo definire e precisare per
evitare di essere riaccusato di astrazione, incominciamo dal primo.
Ogni legge su questo fenomeno dovrebbe
porsi l’obbiettivo di garantire e promuovere la
cura: la capacità della organizzazione sociale
nelle sue varie forme di privilegiare, prima di
ogni altro atto o pensiero, l’attenzione alla
dignità e alla esistenza di tutti gli “altri” che
costituiscono il fenomeno: prostitute, clienti,
contesto. Sento già le obiezioni, “ma come,
adesso dobbiamo anche preoccuparci dei clienti o dei cittadini che fanno le ronde contro le
prostitute, oppure, ma come adesso dobbiamo
446
anche preoccuparci del diritto di esistenza e
della dignità delle prostitute...” sin che non usciremo da queste modalità di discorso credo che
sul fenomeno agiremo soltanto producendo
guai.
Ogni legge su questo fenomeno dovrebbe
porsi l’obbiettivo di garantire e promuovere la
tolleranza intesa accettazione dell’altro in quanto altro, indipendentemente dal giudizio che ho
su di lui. Ogni legge dovrebbe garantire, quindi,
che le forme del fenomeno e la sua collocazione all’interno del sociale non violino il diritto
all’esistenza degli attori e del conflitto di cui essi
sono portatori. Costruire zone nelle nostre città
dove, in forma autogestita, si esercita la prostituzione, se è un modo per rendere più degna la
vita e la relazione tra gli attori in gioco, va bene,
se è un modo per togliersele dalla vista e controllarle meglio è un sopruso e una negazione
del diritto. Sento già le obbiezioni: ma come la
legge dovrebbe discriminare tra le intenzionalità, ecc....
Ogni legge su questo fenomeno dovrebbe
porsi l’obbiettivo di garantire e promuovere la
carità intesa come... Le obiezioni sono diventate
assordanti: “ci manca ancora la carità, qui si fa
confusione di piani”.
Bene se la legge non può su questo fenomeno garantire dei principi allora che la si interpreti come definizione di un contratto tra
potenti che affermano la loro supremazia, il
loro autoinganno sulla parte debole del fenomeno, ma lo si faccia, per lo meno, con il pudore di non mettere in ballo valori e quant’altro, lo
si faccia con la brutalità e la semplificazione
della violenza che sta alla base dell’autoinganno
più grande: quello di voler regolamentare e
447
bloccare un fenomeno che per sua natura è
regolamentazione e blocco funzionale all’esistenza del sistema sociale in cui, pur lamentandoci, tanto bene viviamo.
Conclusioni
Avevamo iniziato con una domanda, a cui, a
questo punto, occorre dare una risposta seppur
parziale e finalizzata a continuare la riflessione.
Il tenore della risposta potrebbe essere questo: data la organizzazione sociale, i modelli
prevalenti della cultura e i principi etici dominanti, la prostituzione è un fenomeno strutturale della nostra società e, quindi, la frase di cui
all’inizio non è uno stereotipo ma solo una semplificazione di un fatto irriducibile.
Per essere più chiari, la conclusione a cui si
giunge implica che, senza il fenomeno della
prostituzione, la nostra organizzazione sociale e
la nostra cultura entrerebbero in una crisi tale
da poter compromettere la loro stessa esistenza.
Quindi il comportamento sociale, al di là di
ciò che mostra in realtà, lavora per mantenere il
fenomeno e non certo per eliminarlo poiché
esso rappresenta, anche per il suo futuro, una
delle garanzie di sopravvivenza. Pensare il contrario significa far parte dei produttori di un virtuale alienato dalla realtà storica e quindi contribuire, proprio pensando il contrario, ad affermare ciò che siamo venuti sin qui dicendo nelle
conclusioni.
Che ad alcuni tra cui il sottoscritto appaia
insopportabile questa conclusione è più che
comprensibile, pur tuttavia non se ne intravede
altra.
448
Certo c’è quella premessa “data la organizzazione sociale, i modelli prevalenti della cultura
e i principi “etici” dominanti” che potrebbe far
pensare, a chi sente inaccettabile la conclusione, che esista una strada per uscirne, ribaltandola.
Certo nel regno di utopia o dei cieli o nel
mondo che verrà forse questo è vero, oggi e
domani no. Ciò non significa che uno non
possa pensare legittimo lavorare per realizzare
questo dopodomani, personalmente penso che
questo è il sogno che dà senso alla mia esistenza, la questione però è un’altra.
La questione può essere formulata nel
seguente modo: dato ciò che abbiamo affermato, come possiamo realizzare comportamenti e
strategie che realizzino quei principi di cui
abbiamo parlato?
Nel libro vi sono molte indicazioni in proposito, vorrei limitarmi qui ad alcune osservazioni
complementari.
Credo che non occorre essere profeta per
predire che il fenomeno della prostituzione,
soprattutto quella dai paesi meno ricchi, sarà un
dato endemico per i prossimi decenni. Si impone come atto di cura una strategia preventiva
che miri a tre obiettivi: il primo è quello di dare
alle donne e agli uomini di quei paesi per lo
meno informazioni adeguate a consentire una
“scelta” non costruita sul virtuale dei mass
media o della rappresentazione che in quei luoghi si ha dell’occidente.
Un secondo è quello di impedire il più possibile che questo mercato sia esclusivo possesso
delle grandi organizzazioni criminali. Per far
ciò, accanto alle forme di legalizzazione della
prostituzione, occorre concentrare gli sforzi
449
repressivi contro gli aspetti economici del fenomeno criminale.
Infine occorre puntare molto di più sul lavoro
sui clienti. Questo aspetto, non a caso, è stato
trascurato quasi in tutti i progetti di intervento
nel campo. Lavorare sui clienti significa però
abbandonare, per quel che hanno dimostrato di
servire..., ogni forma di dissuasione fondata su
atti persecutori. A parte la loro scarsa efficacia,
essi quasi sempre contribuiscono a sommergere
il fenomeno e a renderlo quindi più facilmente
gestibile proprio da quelle grandi organizzazioni criminali di cui sopra.
Il fenomeno inoltre, molto probabilmente, si
esprimerà, sempre più, attraverso forme altamente differenziate a seconda delle condizioni
materiali e culturali dei paesi che si considerano, ma con una tendenza comune: la ricerca nel
mercato di prostitute e prostituti sempre più
giovani e la tendenza a costruire rapporti di
prostituzione basati su elementi di forte sadismo. L’attuale cinematografia ha più volte sottolineato questa tendenza. Possedere per “uccidere” un corpo giovane come espressione di un
desiderio patologico di esorcizzare sia il desiderio di essere giovani sia l’impossibilità di esserlo, realizzare attraverso un eros psicopatologico
l’illusione di un dominio su thanatos, questi e
molti altri sono gli elementi incontrollati che si
stanno tramutando in comportamenti di masse
sempre più grandi di uomini ma anche di
donne. La prostituzione virtuale su internet
appare la forma estrema di questa tendenza. Si
fa l’amore attraverso il virtuale ove tutto è permesso tranne un piccolo particolare: avere un
corpo e quindi avere un’anima.
Svelare il sommerso appare quindi la forma
450
attuale che può realizzare il principio di cura
così come lo abbiamo definito. Da questo
punto di vista le proposte di legalizzazione
sono una delle armi. Altrettanto importante a
me appare il cercare di riprendere la riflessione
sul fenomeno che esca assolutamente dalle
attuali modalità di costruzione di immagine
dello stesso. Il danno che si è fatto e il sadismo
implicito che si è sviluppato, in questi ultimi
tempi, con il far apparire la prostituzione nei
vari talk show che pretendono di approfondire
il discorso sui fenomeni umani, è stato rilevante. Bisognerebbe invece approfondire molto di
più le radici profonde del fenomeno e costruire
con i diversi attori sociali una nuova cultura
intorno allo stesso, rifiutandosi sistematicamente di farlo apparire nei templi del virtuale.
Occorre amare
* Roberto Merlo è psicoterapeuta e formatore, consulente del Comune di Bologna per le Politiche sociali.
451
452
APPENDICE
IL C.N.C.A.
L’ASSOCIAZIONE ON THE ROAD
IL PROGETTO “IONIQUE - OCCUPAZIONE:
FEMMINILE PLURALE”
453
454
Il C.N.C.A.
Coordinamento Nazionale
delle Comunità di Accoglienza
Vincenzo Castelli
Premessa
I l C.N.C.A.
è una organizzazione di livello
nazionale che federa 202 gruppi (associazioni
no profit e cooperative sociali) a carattere locale, con un coordinamento a carattere regionale
(7 aree regionali).
17 gruppi aderenti al C.N.C.A. hanno anche un
livello europeo e mondiale (attraverso proprie
ONG e reti proprie).
La federazione C.N.C.A. partecipa anche ad
altre organizzazioni, di livello nazionale, quali
Mo.VI. (Movimento Volontari Italiani), Cesc
(Coordinamento Enti Servizio Civile), Centrali
Cooperative, L.I.L.A. (Lega Italiana Lotta
all’AIDS), Banca Etica, C.I.S. (Compagnia
Investimenti Sociali), CILAP...
1
Lavorano nel C.N.C.A. 8.607 persone (di cui
4.360 maschi e 4.257 femmine, con 1.983 dipendenti a contratto, 958 a prestazione professionale, 869 cooperatori, 2.241 volontari).
La federazione nasce giurdicamente nel 1986
pur avendo iniziato il proprio lavoro nel 1980.
1 I dati di riferimento sono aggiornati al 31.12.1996
455
I principali obiettivi del C.N.C.A.2
1. Superamento delle diverse forme di disagio
sociale
2. Centralità della persona e del territorio dove
le persone vivono
3. Comunità di Accoglienza come laboratorio di
sperimentazione di nuova vivibilità sociale
4. Comunità di Accoglienza come crocevia di
reti sociali (pubblico-privato, nord-sud, operatori-utenti, professionisti-volontari...)
In particolare possiamo dire che a partire da tali
obiettivi gli interventi del Coordinamento
Nazionale delle Comunità di Accoglienza non si
sono posti come esperienze appartate dal contesto della vita quotidiana dei cittadini, offrendo
magari soluzioni miracolistiche ed alternative,
ma cercando di coniugare l’esperienza del disagio all’interno dei processi di normalità sociale,
nel cui scenario impiantare la produzione di
una nuova qualità della vita.
In questa prospettiva ci si è misurati nell’attivazione di progetti sociali, nel tentativo di recepire i problemi sociali e metterli in una circolarità
globale, facendo confluire in essa tutte le risorse
di analisi del bisogno, di prevenzione al bisogno stesso e di risposte, siano esse derivanti
dagli apparati dello Stato, che dai gruppi del
volontariato, che dai singoli cittadini.
La proposta di porsi in una progettazione sociale ha determinato, necessariamente, una svolta
significativa che certamente ha modificato il
modello referenziale delle comunità stesse.
2 Cfr. Documento programmatico 1982
456
Essersi poste in un percorso sociale ha significato infatti:
˙ ridare dignità, capacità e competenza al contesto dove il disagio è stato colto, stigmatizzato,
sintomatizzato avendo colto i nessi causali di
tale disagio;
˙ lavorare sull’intero percorso che dall’esperienza di normalità sociale è passato dapprima attraverso il mondo della differenza e della diversità,
per approdare poi in quello del disagio e dell’emarginazione e che è finito in quello della
devianza;
˙ produrre interventi programmati, strategici e
sinergici che potessero dare unitarietà a processi preventivi, riabilitativi, curativi, formativi,
occupazionali, imprenditoriali;
˙ creare capacità e competenze, attraverso percorsi formativi adeguati, sia per chi interveniva
sul disagio sia per chi veniva dal disagio;
˙ attivare un rapporto positivo e significativo
con i servizi pubblici che permettessero interventi integrati e trasversali;
˙ determinare un sistema di valutazione dei prodotti, cogliendone il rapporto costo/beneficio,
domanda/offerta, disagio/agio, sintomo/causa,
obiettivi/procedure, ...
˙ creare un sistema di monitoraggio delle esperienze realizzate dalle comunità per impiantare
processi paradigmatici fruibili a livello nazionale.
457
In effetti i progetti sociali avviati dal C.N.C.A.
hanno permesso di fare sintesi, rilanciandone le
potenzialità, sugli interventi realizzati dalle singole comunità di accoglienza in questi ultimi
anni.
Possiamo infatti dire, in una immagine suggestiva, che le comunità di accoglienza rappresentano una sorta di “laboratorio sociale” in cui sono
create nuove progettualità e nuovi profili professionali.
Le azioni sviluppate dal C.N.C.A. sono:
˙ Gestione di servizi sociali
˙ Formazione
˙ Informazione
˙ Imprese sociali
˙ Ricerca sociale
I tar get a cui si rivolge maggiormente il
C.N.C.A.3 sono i seguenti:
1. Tossicodipendenti (6.273 accolti)
2. Minori in difficoltà (3.199 accolti)
3. Adolescenti a rischio (1.612 accolti)
4. Portatori di handicap (633 accolti)
5. Immigrati (632 accolti)
Il C.N.C.A. pubblica bimestralmente la rivista
“C.N.C.A. Informazioni”, ha una propria collana
editoriale (Comunità Edizioni).
Possiede una propria rete telematica “dedicata”
(C.N.C.A.-net) che collega tutti i gruppi del
coordinamento.
3 I dati di riferimento sono sempre al 31.12.1996
458
L’associazione On the Road
Vincenzo Castelli
Premessa
L’
Associazione di volontariato “On the
Road”, iscritta all’Albo regionale del volontariato della Regione Abruzzo dall’anno 1994 ed al
Coordinamento Nazionale delle Comunità di
Accoglienza (C.N.C.A.), opera dall’anno 1990
nell’ambito di interventi diversificati a favore di
prostitute di strada (particolarmente extracomunitarie).
L’associazione svolge il suo intervento in, ed
intorno a quello che da decenni è stigmatizzato
come il luogo classico della prostituzione locale: la Strada Provinciale Bonifica, che, partendo
dalla costa di San Benedetto del Tronto si inoltra verso l’interno, costeggiando le due provincie di Teramo, in Abruzzo, e di Ascoli Piceno,
nelle Marche.
Insieme a travestiti e transessuali latino-americani e ad alcune prostitute autoctone (soprattutto tossicodipendenti), centinaia di prostitute
immigrate, soprattutto Nigeriane, Albanesi, dei
Paesi dell’ex Unione Sovietica e di altri Paesi
dell’Est popolano la Bonifica.
Dall’intervento diretto sulla strada, l’azione
dei volontari è andata strutturandosi creando
una vera e propria rete, una rete sommersa.
459
I principali obiettivi dell’Associazione On the Road
1. Presenza attenta e rispettosa sulla strada
2. Centralità della ragazza prostituta (o prostituita)
3. Intervento sociale polivalente (lavoro di
strada - accoglienza e presa in carico - orientamento e accompagnamento verso l’autonomia)
4. Coinvolgimento delle reti istituzionali, del
privato sociale e della comunità locale
Le azioni sviluppate dall’Associazione On the Road
1. Progettazione e realizzazione di interventi
nell’ambito della prostituzione di strada
2. Esperienze formative “ad hoc” (in particolare corsi per operatrici sociali nell’ambito della
prostituzione)
3. Presenza in reti nazionali (Coordinamento
Nazionale delle Comunità di Accoglienza,
Caritas Italiana)
4. Lavoro d’impatto, per la creazione di sinergie significative, con le pubbliche istituzioni
(Enti Locali – Prefetture - Ministeri) e Forze
dell’Ordine (Questura - Carabinieri...)
5. Contributo all’avvio di un dibattito politico
sul problema della prostituzione extra-comunitaria nel territorio abruzzese-marchigiano (il
tema della violenza, della tratta, delle malattie a
trasmissione sessuale, della criminalità, della
sicurezza, della clandestinità, dei permessi di
soggiorno...)
6. Lavoro di strada (Strada Provinciale
Bonifica - costa Adriatica nell’asse MartinsicuroAlba Adriatica) caratterizzato dai seguenti interventi:
460
˙ prevenzione sanitaria (informazioni su
malattie a trasmissione sessuale - HIV - igiene)
˙ informazione sociale (problemi giuridici penali - documenti - occupazione...)
˙ aggancio per interventi diversificati (colloqui
informali, assistenza psicologica, accompagnamento ai servizi)
7. Gestione dell’emergenza (sistemazione
delle ragazze, che chiedono di uscire dal giro
della prostituzione, in micro-strutture di accoglienza adeguatamente preparate).
In tali unità di accoglienza le ragazze possono fruire dei seguenti servizi:
˙ vitto e alloggio gratuito
˙ assistenza sanitaria
˙ assistenza psicologica
˙ alfabetizzazione della lingua italiana
˙ inserimento ergoterapeutico
˙ avviamento al lavoro
8. Creazione di reti di solidarietà sociale per
l’inserimento di tali utenze (contatto con categorie sociali: avvocati, medici, infermieri professionali, datori di lavoro, psicologi, assistenti
sociali, educatori, religiosi...).
461
462
Il Progetto “Ionique - Occupazione:
femminile plurale”
Marco Bufo
Premessa
L’
Associazione On the Road, nell’ambito
dell’Iniziativa Comunitaria OCCUPAZIONE
NOW, realizza il Progetto “Ionique Occupazione: femminile plurale”, di cui è titolare il C.N.C.A. - Coordinamento Nazionale
Comunità di Accoglienza e che l’Associazione
svolge in quanto gruppo ad esso federato.
La creazione di un settore come NOW nel
quadro dell’Iniziativa Comunitaria OCCUPAZIONE, non è certo casuale né residuale a fronte di uno scenario europeo in cui, in diversa
misura, le donne non solo sono fortemente sottorappresentate ai livelli più alti delle cariche
politiche, istituzionali e manageriali, ma incontrano le maggiori difficoltà per una piena partecipazione a tutti i livelli del mercato del lavoro.
In Italia i dati di tale generale condizione
sono particolarmente preoccupanti, evidenziando come il grado di partecipazione delle donne
al lavoro sia molto più basso sia rispetto agli
uomini che rispetto alla media delle donne
europee.
In questo contesto le donne immigrate vivono le condizioni di maggior svantaggio assommando alle difficoltà citate quelle derivanti dalla
posizione di immigrate, sinonimo spesso di
clandestinità, assenza di tutele, emarginazione e
463
assoggettamento a violenze e rischi di ogni
genere.
Spesso il canale di immissione, sommerso ma
per altri versi ben visibile, diventa dunque quello del mercato del sesso. Vere e proprie organizzazioni criminali di diverse dimensioni gestiscono la tratta di donne, il più delle volte giovanissime, avviandole alla prostituzione.
E’ proprio in questo scenario di emarginazione estrema che l’associazione (che non a caso si
chiama “On the Road” ) opera, ed è qui che si
svolgono le azioni del progetto.
Il Contesto
Il progetto viene a realizzarsi in, ed intorno a
quello che da decenni è stigmatizzato come il
luogo classico della prostituzione locale: la
Strada Provinciale Bonifica, che partendo dalla
costa di San Benedetto del Tronto si inoltra
verso l’interno, costeggiando le due provincie
di Teramo, in Abruzzo, e di Ascoli Piceno, nelle
Marche.
Le presenze più forti sono quelle di giovani
donne Albanesi, Nigeriane, dei Paesi dell’ex
Unione Sovietica e di altri Paesi dell’Est europeo.
E’ in questa frontiera che nasce ed opera
l’Associazione On the Road (si veda il capitolo
precedente).
Gli Obiettivi
Il progetto, avviato nel luglio del 1996 e con464
cludentesi nel 1998, come si può desumere dal
titolo, ha inteso valorizzare il termine “occupazione” per le donne, dandogli una nuova
dignità ed estendendolo nella sua trasversalità e
“pluralità”, al di là delle barriere e delle marginalizzazioni.
Esso si è posto dunque i seguenti obiettivi,
definiti da diversi punti di vista.
˙ Offrire un’opportunità diretta e concreta di
integrazione sociale e di inserimento lavorativo
a giovani donne immigrate ex-prostitute
Come detto, le difficoltà di inserimento nel
mondo del lavoro, già notevoli per le donne in
generale, si accentuano nel caso di donne
immigrate e sembrano insormontabili quando si
tratta di immigrate ex prostitute.
Alla carenza di spazi occupazionali nel mercato del lavoro e alle svariate limitazioni di
diverso ordine cui sono soggette le donne, si
aggiungono le difficoltà legate alla condizione
di essere immigrate. Queste difficoltà non sono
legate soltanto al fatto di trovarsi in un diverso
contesto linguistico e culturale o di avere precari strumenti materiali o culturali per cogliere
eventuali opportunità di inserimento, ma sono
determinate anche, ed in misura non trascurabile, da pregiudizi più o meno sommersi e da non
poche strettoie legali e burocratiche.
Offrire un’opportunità diretta e concreta di
integrazione sociale e di inserimento lavorativo
a giovani donne immigrate ex prostitute è al
tempo stesso un obiettivo inderogabile ed
un’ardua sfida.
Si tratta di un obiettivo perseguibile soltanto
465
attraverso il raggiungimento progressivo di una
serie di micro-obiettivi, quali:
- la ridefinizione dell’identità e dell’autostima
della donna;
- la strutturazione di nuove modalità comportamentali;
- la scoperta e la messa in gioco di risorse e
potenzialità personali;
- lo sviluppo delle capacità di autonomia e di
autodeterminazione;
- la costruzione di una rete relazionale e
sociale;
- l’individuazione di possibili percorsi formativi e/o occupazionali.
Un processo, dunque, nel quale confluiscono
in forma partecipata l’agire delle donne immigrate uscite dalla prostituzione e l’agire delle
persone che sviluppano le azioni di accompagnamento.
˙ Estendere e rendere più incisivi la presenza
e l’offerta di aiuto sulla strada, e gli interventi
volti a far acquisire consapevolezza alle prostitute immigrate delle possibilità concrete di
abbandonare la strada e di ottenere condizioni
di vita migliori
Obiettivo del progetto è non solo quello di
sostenere il processo di riscatto personale e
sociale delle donne immigrate uscite dalla prostituzione, ma anche di profilare tale possibilità
a coloro che ancora sono sulla strada.
In questo senso, un primo obiettivo è quello
di ridurre i rischi della vita di strada e di offrire
di conseguenza un servizio di informazione e
prevenzione sanitaria.
466
In secondo luogo si persegue l’obiettivo di
rendere consapevoli le donne immigrate avviate
alla prostituzione, spesso giovanissime, della
possibilità di abbandonare la strada e di ottenere condizioni di vita migliori.
Dunque si è tentato di concretizzare la possibilità di sottrarsi allo sfruttamento e di intraprendere un percorso di inserimento sociolavorativo offrendo servizi di pronta accoglienza e di accoglienza, di protezione, di assistenza
legale, di assistenza sanitaria, di sostegno psicologico e relazionale, di orientamento, di formazione, di avviamento al lavoro.
˙ Configurare il nuovo profilo professionale
di “operatrice di sociale di base per la prevenzione nell’ambito della prostituzione”, sperimentandone l’approccio metodologico e pratico
in un percorso formativo per donne disoccupate, ed individuando nuove operatività e sbocchi
(o meglio necessità) occupazionali nel sociale
Si tratta di un duplice obiettivo.
Da una parte offrire un servizio qualificato in
un campo di intervento sociale nuovo quale
quello della prostituzione immigrata, creando
una figura professionale nuova e poliedrica in
grado di incidere efficacemente per il miglioramento della vita delle donne immesse nel giro
della prostituzione.
Dall’altra focalizzare nuovi sbocchi occupazionali nell’ambito degli interventi sociali, in
rispondenza di tali nuovi ed effettivi bisogni.
Per queste ragioni si propone nel progetto il
profilo professionale di “operatrice di sociale di
base per la prevenzione nell’ambito della pro467
stituzione”, sperimentandone l’approccio metodologico e pratico in un percorso formativo per
donne disoccupate, ed individuando nuove
operatività e sbocchi occupazionali nel sociale.
˙ Sensibilizzare gli operatori del pubblico e
del privato rispetto alle problematiche in questione e alle risposte possibili
Il fenomeno della prostituzione di strada
immigrata è piuttosto recente. Tuttavia, a causa
della sua vastità crescente e della sua visibilità
ha generato una serie di accesi conflitti sociali
di fronte ai quali le istituzioni pubbliche sono
state per lo più colte impreparate.
Nel progetto ci si propone l’obiettivo di creare sensibilità e capacità di intervento presso le
agenzie pubbliche e private del territorio, in
particolare:
- attivare gli Enti Locali a livello Comunale,
Provinciale, Regionale;
- promuovere una politica di sviluppo di
comunità nei territori interessati al fenomeno
della prostituzione di strada ed avviare una
riflessione significativa nell’ambito delle politiche sociali sulla problematica
- promuovere la cultura del lavoro di rete tra i
soggetti coinvolti negli interventi sul campo
(Enti Locali, Prefetture, Questure e altre Forze
dell’Ordine, Agenzie del Privato Sociale, Servizi
Socio-Sanitari, Rappresentanti del Mondo del
Lavoro).
˙ Offrire idee e spunti operativi per nuove iniziative nel campo, nel contesto locale, naziona468
le ed europeo
Grazie all’esperienza maturata e alle connessioni con progetti di intervento sulla prostituzione e sull’emarginazione delle donne in Italia ed
in Europa, l’Associazione On the Road si è
posta l’obiettivo di offrire attraverso il Progetto
Now, idee e spunti operativi per nuove iniziative nel campo nel proprio territorio, le cui ricadute possano assumere una valenza nazionale
ed europea.
˙ Migliorare, nel senso dell’innovatività, dell’incisività e della trasversalità la capacità
organizzativa e di intervento dell’Associazione
Obiettivi dell’Associazione dal punto di vista
interno sono i seguenti:
- aumentare la capacità di intervento nei
diversi ambiti (lavoro di strada, accoglienza,
presa in carico, inserimento socio-occupazionale);
- acquisire nuove esperienze e sperimentare
metodologie ed operatività innovative;
- monitorare il fenomeno prostituzione nelle
sue dinamiche e continue evoluzioni;
- ottimizzare l’organizzazione interna ed
incrementare la sistematicità degli interventi;
- valorizzare e potenziare l’attività della rete
associativa ed estendere la sua rete territoriale
formale ed informale nell’ottica di una strategia
delle connessioni;
- accrescere la visibilità dell’Associazione e la
propria forza di impatto verso le pubbliche istituzioni.
469
˙ Attivare un confronto ed uno scambio a
carattere europeo su strategie e modalità di
intervento nel campo delle azioni a favore di
donne emarginate o a rischio di emarginazione, in particolare di donne immigrate immesse
nel mondo della prostituzione
Il fenomeno della prostituzione di donne
immigrate ha un carattere europeo e trasversale.
La dimensione transnazionale del progetto ha
offerto l’importante opportunità di perseguire
l’obiettivo di uno scambio ed un confronto a
questo livello, attraverso modalità diversificate.
Ciò sia con i Partner istituzionali del progetto,
francesi e belgi - organismi di formazione ed
intervento sociale specializzati nell’attuazione di
progetti rivolti a persone appartenenti a fasce
svantaggiate - sia con altre organizzazioni che,
sempre in Francia ed in Belgio, realizzano interventi sociali specifici nell’ambito della prostituzione.
Le Azioni
Azioni rivolte direttamente alle giovani
donne immigrate prostitute ed ex prostitute per
favorire il loro inserimento sociale e lavorativo
˙ Corso di Lingua e Cultura Italiana
Il corso, della durata di 600 ore, svoltosi tra
febbraio e ottobre 1997, è stato rivolto a 10 giovani donne immigrate uscite dal giro della prostituzione grazie all’intervento dell’Associazione
e alle rispettive misure di accoglienza e presa in
carico.
470
Con tale proposta formativa si è inteso far
acquisire alle ragazze una serie di conoscenze
ed una più fiduciosa e approfondita familiarità
con la lingua e la cultura italiana, per consentire
ed agevolare il processo di costruzione di una
rinnovata ed autonoma identità personale, relazionale, sociale
La finalità del corso è stata di fornire alle partecipanti le basi per affrontare il processo di
inserimento sociale e lavorativo, prevedendo
pertanto nel progetto una serie di misure di
accompagnamento quali l’accoglienza presso
famiglie o strutture appartenenti alla rete
dell’Associazione, il trasporto dai rispettivi
domicili alla sede del corso, l’assistenza sanitaria ed il sostegno psicologico, la consulenza e
l’assistenza legale.
Il Programma Formativo, oltre ai moduli
dedicati all’insegnamento della lingua e della
cultura italiana, ha incluso una serie di moduli
dedicati alla conoscenza del territorio, dei mass
media, della legislazione in materia di immigrazione e lavoro e momenti laboratoriali sull’espressione e la comunicazione, sulla rappresentazione teatrale e la realizzazione di “video
tape”, sull’utilizzo del mezzo informatico.
˙ Orientamento e Formazione Pratica in
Impresa
Si tratta di una serie di misure volte a facilitare
il processo di inserimento socio-lavorativo delle
giovani donne immigrate in maniera diretta ed
in forma individualizzata.
Tali attività, sviluppantesi da novembre 1997
alla fine del progetto, sono rivolte sia alle parte471
cipanti al Corso di Lingua e Cultura Italiana, che
ad altre immigrate nel frattempo entrate in contatto con l’Associazione.
Esse consistono in:
Orientamento
Si è prevista una specifica attività di orientamento individualizzata, rivolta alle possibili partecipanti alla Formazione Pratica in Impresa.
Tale attività è finalizzata a verificare le capacità, le attitudini, le aspirazioni e le potenzialità
delle giovani donne immigrate e ad incrociarle
con le reali possibilità di effettuare esperienze
di Formazione Pratica in Impresa e con le
opportunità offerte dal mercato del lavoro.
L’attività di Orientamento viene a realizzarsi
attraverso la collaborazione di una tutor di
intermediazione che seguirà le partecipanti alla
Formazione Pratica in Impresa, di una psicologa
incaricata del sostegno psicologico, degli operatori volontari e degli operatori del progetto.
Formazione Pratica in Impresa
A seguito dell’attività di Orientamento, si prevedono dei periodi di Formazione Pratica in
Impresa per le donne immigrate uscite dalla
prostituzione.
La finalità è quella di offrire un’opportunità
concreta di misurarsi in contesti lavorativi normali, di intraprendere il difficile percorso di
affrontare i tempi, i ritmi, la regolarità del lavoro, di acquisire dunque la strumentazione attitudinale e comportamentale di base che possa
facilitarne l’inserimento nel mondo del lavoro.
Per rispondere meglio alle esigenze delle
beneficiarie, la durata, i tempi e le modalità di
attuazione di tali percorsi di formazione in
472
impresa, saranno individualizzati.
I periodi di formazione in impresa sviluppantesi tra dicembre 1997 e la fine del progetto,
avranno una durata variabile, da 1 a 6 mesi e
potranno essere part time o a tempo pieno.
La formazione verrà svolta presso imprese
resesi disponibili, del cui numero comunque si
prevede un ampliamento, per offrire maggiori
opportunità sia in termini quantitativi che in termini di differenziazione di settori produttivi, di
dimensioni aziendali, di dislocazione territoriale. Naturalmente verrà data la priorità a quelle
imprese presso cui si profilano possibilità di
inserimento a formazione pratica conclusa. Nel
progetto si porta avanti dunque il necessario
lavoro di ricerca, contatto e sensibilizzazione di
ulteriori imprese. A ciò seguirà un costante
lavoro di interfaccia tra queste e l’Associazione.
Durante il periodo di formazione pratica ogni
partecipante avrà tre riferimenti costanti: il referente in impresa, la tutor di intermediazione e la
psicologa.
˙ Attività di Informazione Orientamento
Sostegno
Tale attività è rivolta direttamente alle giovani
donne immigrate che si prostituiscono, in particolare sulla strada provinciale Bonifica tra
Martinsicuro (TE) ed Ascoli Piceno, e l’area del
Salinello, tra Giulianova e Tortoreto (TE) e
viene realizzata dai volontari dell’Associazione.
Si tratta di attività di:
- informazione (primi contatti, prevenzione
sanitaria, informazione sui servizi);
- orientamento (regolarizzazione/immigrazione, orientamento legale, possibilità di accoglien473
za, possibilità formative e/o occupazionali);
- sostegno (sostegno relazionale, psicologico,
aiuto medico/sanitario, supporto legale).
Azioni volte a for mare nuove operatrici
sociali nel settore degli interventi nella prostituzione immigrata
˙ Corso per Operatrice Sociale di Base per la
Prevenzione nell’ambito della Prostituzione
Il corso, della durata di 600 ore, svoltosi tra
gennaio e dicembre 1997, è stato rivolto a 15
donne disoccupate in possesso di diploma di
scuola secondaria superiore o con documentata
attività lavorativa di almeno 4 mesi nel settore, o
documentata esperienza, anche a titolo di
volontariato, di almeno 6 mesi, negli interventi
in favore delle persone emarginate.
Di tale qualifica è stato ottenuto il riconoscimento da parte della Regione Abruzzo.
E’ un’iniziativa di formazione pilota, in quanto la prima di tal genere e portata in Italia, volta
a formare una nuova professionalità sociale con
competenze specifiche di intervento nell’ambito
della prostituzione. Una figura professionale di
cui sempre più pressantemente si avverte la
necessità, e per la quale si possono prevedere
conseguenti sbocchi occupazionali, come dimostra l’interesse manifestato dagli Enti Locali (a
livello comunale, provinciale, regionale) dei
due contesti territoriali direttamente interessati
dagli interventi del progetto (le provincie di
Teramo e di Ascoli Piceno), ma anche da realtà
territoriali limitrofe e appartenenti al più ampio
contesto nazionale.
474
Il corso si è sviluppato come segue:
- parte teorica (200 ore)
moduli principali: il fenomeno della prostituzione; le politiche sulla prostituzione; gli interventi nella prostituzione; aspetti legali e sanitari;
profilo del target; lingua e cultura dei paesi di
origine; l’operatrice sociale di base della prevenzione nell’ambito della prostituzione: profilo, capacità e competenze; metodologie e tecniche dell’intervento di strada; progettazione e
valutazione
- stage all’estero (64 ore in Francia e Belgio)
presso progetti di intervento nella prostituzione
- stage in Italia (64 ore a Modena, Bologna,
Venezia Mestre, Torino, Roma) presso progetti
di intervento nella prostituzione
- tirocinio formativo (esperienza pratica di
272 ore) presso progetti attivati in ambito
nazionale e presso la stessa Associazione.
Azioni volte a creare una nuova e necessaria
sensibilità nelle amministrazioni pubbliche,
negli operatori sociali del pubblico e del privato, nell’opinione pubblica, con la conseguente
capacità di progettare interventi specifici nel
campo
˙ Coinvolgimento degli attori pubblici e privati del territorio
Al fine di coordinare e rendere incisivi gli
interventi nel campo della prostituzione immigrata, è necessario il coinvolgimento nell’ottica
del lavoro di rete dei diversi attori, pubblici e
privati, del territorio.
Si prevedono pertanto forme diversificate di
475
collaborazione con:
- i Comuni
- le Provincie
- le Regioni
- Prefetture, Questure e altre Forze
dell’Ordine
- Servizi socio-sanitari
- Sindacati e Associazioni di Categoria
- Imprese
- Associazioni e Cooperative del Privato
Sociale
- Organizzazioni Religiose
˙ Convegno
Si è promosso e organizzato un Convegno sui
temi legati alla prostituzione immigrata, realizzato nel gennaio del 1998, grazie al quale ci
potesse essere un confronto a livello locale,
nazionale ed europeo, con il coinvolgimento di
realtà ed operatori del settore sulle strategie e le
modalità di intervento nel campo in questione.
˙ Manuale
E’ stato realizzato il presente Manuale di
intervento sociale nell’ambito della prostituzione immigrata, con il coinvolgimento di esperti
nel contesto nazionale ed europeo, con l’obiettivo di offrire un valido strumento per gli operatori del settore.
˙ Attività transnazionali
Attività diversificate con i partner istituzionali
del progetto e altri partner impegnati direttamente in interventi sociali nella prostituzione in
476
Francia e in Belgio, comprendenti scambio di
materiali, meetings e seminari congiunti, visite
in loco, comunicazione telematica, una pubblicazione congiunta.
˙ Pubblicazione di articoli su stampa specializzata rivolti ad operatori dei settori di riferimento
˙ Attivazione delle possibilità di comunicazione e diffusione offerte dalle reti telematiche
attraverso il CNCA-Net ed Internet.
Sistema di Valutazione
Il progetto nel suo complesso, e le sue varie
azioni, sono accompagnati da un costante e
diversificato processo di verifica e valutazione,
applicato ai vari livelli e da diversi punti di vista.
Un processo tanto più irrinunciabile ove si considerino le spiccate caratteristiche di novità ed
anche di imprevedibilità del progetto.
Il sistema di valutazione è duplice ed interrelato: una valutazione generale effettuata centralmente dal C.N.C.A. ed una interna e ravvicinata
con il supporto di una valutatrice esterna.
Prospettive
Il progetto, avviatosi verso la fase conclusiva,
ha consentito di elaborare e sperimentare una
serie di strategie e modalità formative ed operative nell’ambito delle politiche e degli interventi
nel campo della prostituzione di strada di
donne immigrate.
477
Nella sua attuazione l’Associazione On the
Road, sulla base dell’esperienza maturata, ha
avuto modo di migliorare, nel senso dell’innovatività, dell’incisività e della trasversalità la propria capacità organizzativa e di intervento, confrontandosi con le realtà operanti nel settore a
livello nazionale ed europeo.
Fondamentale, inoltre, è risultato il lavoro di
sensibilizzazione delle istituzioni pubbliche.
In particolare tale azione ha portato al coinvolgimento degli Enti Locali a livello comunale,
provinciale e regionale di Abruzzo e Marche,
profilando una serie di progettualità comuni
possibili attraverso l’attuazione di modelli operativi in grado di affrontare il fenomeno nella
sua globalità.
Tali strategie di intervento prevedono azioni
rivolte direttamente al target (partendo dal lavoro di strada per giungere, attraverso l’accoglienza e l’accompagnamento verso l’autonomia,
all’inserimento sociale e lavorativo) e azioni
rivolte alle comunità locali e allo sviluppo del
lavoro di rete.
478
Nella collana “Proposte”:
1 - Annunciare la carità. Pensare la solidarietà
2 - AIDS, l’esperienza delle risposte
3 - Minori - Luoghi comuni - Crescere in comunità
4 - Annunciare la carità. Vivere la speranza
5 - Droga - in frontiera
479
Finito di stampare
nel mese di gennaio 1998
dalla Cooperativa Litografica COM
di Capodarco di Fermo (AP)
Realizzato nell’ambito dell’Iniziativa Comunitaria
OCCUPAZIONE NOW
Progetto “Ionique - Occupazione: femminile plurale”
a titolarità Associazione On the Road - C.N.C.A.
★ ★ ★
★
★
★
★
★
★
★★ ★
Unione Europea
Ministero del Lavoro e della
Previdenza Sociale
480
Manuale di intervento sociale
nella prostituzione di strada
6
Proposte
On the Road è un’associazione di volontariato che opera da circa un decennio, nelle
regioni Marche ed Abruzzo, in azioni ed interventi diversificati (lavoro di strada, accoglienza, percorsi di inserimento sociale) nell’ambito della prostituzione di strada.
Aderisce al Coordinamento Nazionale delle
Comunità di Accoglienza (C.N.C.A.) e si raccorda con le realtà operanti in tale settore di
intervento a livello nazionale ed europeo.
ON
THE
ROAD
ON THE ROAD
l “pianeta prostituzione” è stato rappresentato, a livello fenomenico, con
modalità ambivalenti: per molto tempo
terra di nessuno (la paura di parlarne,
l’oscenità del fenomeno), recentemente
terra di tutti (tutti ne parlano, spettacolarizzazione del fenomeno, prostituzione
“mostrata” dai mass- media).
Il presente lavoro cerca di sottrarsi a
tale inutile e dannosa diatriba.
Il fatto è che la prostituzione di strada è
sempre più visibile, ma “invisibili”
rimangono le vite delle donne (soprattutto immigrate) che ci sono dentro.
Il tentativo è quello di offrire alcune
buone pratiche di lavoro sociale in cui
presentare gli scenari, le politiche e gli
interventi nel campo della prostituzione,
in cui fare ipotesi su nuovi modelli operativi attorno al fenomeno, in cui ritrovare le utopie di possibili percorsi di progettazione sociale.
CNCA
I
C
N
C
A
Manuale
di intervento sociale
nella prostituzione
di strada
Comunità Edizioni