l`osservatore romano - Comune di Serra San Bruno

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l`osservatore romano - Comune di Serra San Bruno
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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLI n. 234 (45.879)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
lunedì-martedì 10-11 ottobre 2011
.
La visita del Papa a Lamezia Terme e alla certosa di Serra San Bruno
Con coraggio oltre l’emergenza
Nel silenzio e nella solitudine l’uomo sperimenta la pienezza di Dio e ritrova l’essenziale della vita
Un’iniezione di fiducia e di coraggio
per una terra destabilizzata non solo
da problemi geologici e strutturali
ma anche da inaccettabili prassi individuali e sociali. L’ha portata Benedetto XVI in Calabria con la visita
di domenica 9 ottobre a Lamezia
Terme e Serra San Bruno. Senza cedere a stereotipi usurati o a facili ottimismi, il Papa si è calato con realismo nei problemi e nelle attese della
regione — un territorio «in cui si ha
la continua sensazione di essere in
emergenza» ha notato — cercando
soprattutto di ascoltare e di parlare
al cuore della gente. «Avete tutti i
motivi per mostrarvi forti, fiduciosi e
coraggiosi» si è detto convinto, invitando i calabresi a non cedere alla
rassegnazione e a recuperare comportamenti virtuosi sia a livello personale che comunitario.
La mattinata trascorsa a Lamezia
Terme — dove ha celebrato la messa
e ha recitato l’Angelus — ha offerto
al Pontefice l’occasione per denunciare la gravità di fenomeni come la
criminalità organizzata e la disoccupazione. Ma anche per incoraggiare
i fedeli nella testimonianza di quei
«valori umani e cristiani» che possono sconfiggere la tentazione dell’interesse di parte e favorire la promozione del bene comune. A Benedetto
XVI stanno a cuore soprattutto i temi
del lavoro, della gioventù, della tutela delle persone disabili: e proprio
su questi ha invocato l’attenzione
delle istituzioni e ha chiesto a ciascuno un «contributo di competenza
e di responsabilità». A conclusione
del rito, in segno di solidarietà e
condivisione, il Papa ha offerto lo
stesso pranzo consumato con i vescovi della Calabria ai poveri ospitati dalla mensa della Caritas.
La sosta del pomeriggio a Serra
San Bruno, con la visita alla storica
certosa, ha dato modo al Pontefice
di approfondire e rilanciare l’attualità della funzione del monastero: istituzione apparentemente obsoleta ma
in realtà «preziosa» e «indispensabile» anche per gli uomini del nostro
tempo, dominati dagli interessi materiali e incapaci di guardare alla
realtà con gli occhi dello spirito.
Un’esperienza che i sedici monaci
della comunità certosina hanno reso
visibile dinanzi al Papa durante la
preghiera dei secondi vespri. Mostrando così che il silenzio e la solitudine non sono un’abdicazione dal
mondo, ma — come ha sottolineato
Benedetto XVI — un invito a emanciparsi dalle catene del rumore che avvolge la quotidianità e a sperimentare la pienezza della presenza di Dio
in ogni creatura. È così che il monaco vive l’essenziale e trova in esso le
radici della «profonda comunione
con i fratelli, con ogni uomo».
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PAGINE 6-8
I segni
dalla terra sismica
l freddo, il fango, la fatica non
sono riusciti a cancellare la luce dei segni racchiusi nelle undici ore vissute da Benedetto XVI in
Calabria. Il Papa era atteso in mattinata a Lamezia Terme, nel pomeriggio a Serra San Bruno e alla celebre certosa. Il suo breve passaggio, alla gente di Lamezia alle prese, come quasi l’intero Meridione,
con una difficile lotta quotidiana
per il riscatto sociale, è parsa già in
sé un segno desiderato per riprendere fiducia. A Serra, dove san
Bruno, originario della Germania,
ha lasciato un’impronta indelebile,
l’incontro con un Papa conterraneo
del santo monaco è stato di sprone
e rinnovata determinazione per
uscire dalla grave crisi occupazionale specialmente giovanile. Benedetto XVI si è messo in sintonia con
la gente che lo attendeva dall’alba
dopo una notte di pioggia torrenziale e ha detto parole chiare indirizzate a tutti gli abitanti della Calabria, «una terra sismica — l’ha
definita — non solo dal punto di
vista geologico, ma anche da un
punto di vista strutturale, comportamentale e sociale». Dall’emergenza della disoccupazione e della criminalità «spesso efferata», si esce
solo insieme, in modo solidale, crescendo nella capacità di collaborare, di prendersi cura dell’altro e di
ogni bene pubblico. Ai cattolici, in
particolare, ha ricordato la necessità di un lavoro pastorale «moderno
e organico», nell’unità di tutte le
forze cristiane intorno al vescovo,
diffondendo la pratica della Lectio
divina e divulgando la conoscenza
I
Riunione straordinaria del Governo
Sfocia nel sangue la protesta dei copti in Egitto
IL CAIRO, 10. Il primo ministro egiziano, Essam Sharaf, ha convocato
una riunione di emergenza del Governo all’indomani degli scontri fra
cristiani copti e l’esercito che hanno
provocato al Cairo 36 morti (tre dei
quali soldati). Lo ha reso noto il
ministero della Salute. Oltre trecento i feriti, mentre almeno quaranta
persone sono state arrestate. Oggi,
dopo alcune ore di calma apparente, sono ripresi i disordini.
Una manifestazione era stata indetta ieri, nei pressi della sede della
televisione di Stato nel quartiere di
Maspero, per protestare contro la
demolizione, a fine settembre, di
una chiesa nei pressi di Assuan, nel
sud dell’Egitto. Ma presto sono iniziati i tumulti. Secondo alcuni osservatori si è trattato dei disordini
più gravi dalle rivolte anti Mubarak
dello scorso febbraio. Nel quartiere
di Hamra — dove è più alta la concentrazione di abitanti copti del
Cairo — per motivi precauzionali
oggi sono state chiuse le scuole ed
è stato raccomandato alle persone
di rimanere in casa, in un clima da
coprifuoco non ufficializzato.
Secondo il patriarca di Alessandria dei Copti, cardinale Antonios
Naguib, la condizione dei cristiani
nel Paese resta complicatissima.
«Gli attacchi degli islamisti contro
le istituzioni cristiane continuano —
ha dichiarato il porporato in un’intervista — sempre con la pretesa che
si stia costruendo una chiesa senza
l’autorizzazione ufficiale ed esplicita, che rimane ancora difficile da
ottenere». Il cardinale ha però sottolineato che «nonostante molte
preoccupazioni, guardiamo al futuro con speranza».
«La Nazione è in pericolo a seguito di questi eventi», ha detto il
premier Sharaf in un discorso trasmesso dalla televisione. «Questi
eventi ci hanno riportato indietro,
invece di andare avanti per costruire uno Stato moderno su delle sane
basi democratiche. La cosa più pericolosa che possa minacciare la sicurezza della Nazione è di giocare
con la questione dell’unità nazionale e di provocare la sedizione tra
cristiani e musulmani e anche tra il
popolo e l’esercito». Il primo ministro ha quindi esortato gli egiziani
alla coesione e all’unione. L’alto
rappresentante per la Politica estera
e di sicurezza comune europea, Catherine Ashton, ha espresso oggi la
sua preoccupazione per le violenze
di ieri al Cairo contro i copti e ha
rinnovato l’appello all’Egitto perché protegga le minoranza e proceda verso le elezioni. «La nostra
preoccupazione è per le minoranze
religiose che sono state attaccate —
ha detto Ashton al suo arrivo a
Lussemburgo per la riunione dei
ministri degli Esteri dell’Ue —. La
libertà di credo e di espressione sono assolutamente fondamentali per
i diritti umani». All’Egitto bisogna
ricordare «quello che veramente ci
aspettiamo», che «si proceda verso
elezioni con il desiderio che tutti
partecipino — ha sottolineato — e
che protegga la popolazione,
chiunque essa sia, qualunque sia la
loro fede. Questo è il messaggio»
ha detto Ashton.
della dottrina sociale. Da queste
due iniziative il Papa si attende la
nascita di «una nuova generazione
di uomini e donne capaci di promuovere non tanto interessi di parte, ma il bene comune». La tappa
di Lamezia non è stato per il Pontefice un intermezzo nel suo pellegrinare verso la certosa, luogo simbolico che racchiude il segreto per
la soluzione ai problemi umani.
Qui è giunto infatti senza tralasciare nessuna delle domande delle
persone incontrate. Le ha portate
con sé allargando l’orizzonte per
meglio intravedere almeno la soluzione ai mali del territorio. Il desiderio costante in Benedetto XVI di
restare legato al carisma della vita
contemplativa nasce dalla convinzione che il monastero non ha
esaurito la sua funzione di bonifica. È solo cambiato il contesto.
Anziché le paludi, oggi i monasteri
servono a bonificare il clima che si
respira nelle nostre società «inquinato da una mentalità che non è
cristiana e nemmeno umana». Restano infatti modello «di una società che pone al centro Dio e la
relazione fraterna».
È stato interessante il dialogo
che si è stabilito tra il Papa e il
priore della certosa durante la celebrazione dei vespri. Uno scambio
singolare e profondo sull’amore di
Dio che diventa universale, forse
uno dei momenti simbolici, nella
sua spoglia semplicità, del pontificato di Benedetto XVI.
Il priore ha espresso l’umile coscienza di sé che i monaci coltivano, consapevoli di occupare un posto marginale nella Chiesa e poi ha
parlato della vita monastica come
esperienza d’amore che abbraccia il
mondo intero, della solitudine che
si apre a una comunione universale. Il Papa ha risposto rivolgendosi
ai monaci ma con intenzione di
parlare a tutta la Chiesa, sottolineando il «legame profondo che
esiste tra Pietro e Bruno, tra il servizio pastorale all’unità della Chiesa e la vocazione contemplativa
nella Chiesa». Questi «afferrati»
dall’amore per Dio, testimoni
dell’essenziale aiutano la Chiesa e
il mondo a ritrovare la propria anima, spingono le città degli uomini
a liberarsi del rumore e del vuoto
spirituale per tornare a sperimentare «la Realtà più reale che ci sia».
Perciò, un pizzico di anima claustrale non guasta mai.
c. d. c.
NOSTRE INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto in
udienza nel pomeriggio di venerdì 7 Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale William Joseph Levada, Prefetto
della Congregazione per la
Dottrina della Fede.
L’11 ottobre 1962 si apriva
la prima sessione
del concilio ecumenico Vaticano
II
Quel sorprendente
aggiornamento
PHILIPPE LEVILLAIN
A PAGINA
4
Ma Pio XII
evitò la trappola
dell’esibizionismo
politico
Un anziano piange vicino al corpo di una vittima dei disordini (LaPresse/Ap)
ANGELO COMASTRI
A PAGINA
5
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza le
Loro Eccellenze Reverendissime
i Monsignori:
— Barthélemy Adoukonou,
Vescovo titolare di Zama Minore, Segretario del Pontificio
Consiglio della Cultura, con i
Familiari;
— Giuseppe Sciacca, Vescovo
titolare di Vittoriana, Segretario
Generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, con i Familiari.
Nomina di Vescovo
Ausiliare
Il Santo Padre ha nominato
Ausiliare del Patriarcato di Lisboa (Portogallo) il Reverendo
Canonico Nuno Brás da Silva
Martins, finora Rettore del Seminario Maggiore «Cristo Rei»
dos Olivais, assegnandogli la
sede titolare vescovile di Elvas.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
lunedì-martedì 10-11 ottobre 2011
Merkel e Sarkozy annunciano un piano mentre ad Atene la troika conclude i negoziati
Intervento della Santa Sede a Ginevra
Parigi e Berlino
fronte comune contro la crisi
Nuove strategie e politiche
in difesa dei rifugiati
BERLINO, 10. «La Francia e la Germania hanno posizioni assolutamente allineate su tutti gli aspetti della
crisi; Francia e Germania sono d’accordo sul fatto di ricapitalizzare le
banche europee». Con queste parole
il presidente francese, Nicolas Sarkozy, e il cancelliere tedesco, Angela
Merkel, hanno lanciato insieme la
sfida alla crisi del debito che attanaglia l’Europa. Il piano sarà completato entro la fine del mese: un pacchetto di misure da presentare al
prossimo G20. «Sappiamo perfettamente che strada percorrere, solo
che ci sono le istituzioni europee,
c’è ancora un patto, e i mercati».
Parigi e Berlino vogliono ricapitalizzare le banche, difenderanno l’euro con tutte le loro forze, e la Grecia è parte dell’Ue. «Siamo risoluti
a ricapitalizzare le nostre banche e a
trovare una soluzione permanente e
globale» ha dichiarato i leader.
«Chiederemo a tutte le autorità da
prendere in considerazione, consulteremo l’organo di sorveglianza europeo come l’Fmi, per essere certi
che le misure siano sostenibili e stabili» ha spiegato Merkel. «Abbiamo
un enorme interesse — ha poi aggiunto — a far sì che le banche possano fare i loro compiti, e in questo
Francia e Germania sono assolutamente determinate».
Certo non hanno fornito dettagli,
pur mostrando sicurezza. Merkel e
Sarkozy hanno rivendicato, sebbene
Pubblichiamo una nostra traduzione dell’intervento pronunciato il 4 ottobre, a
Ginevra, dall’arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite e Istituzioni Specializzate a Ginevra,
in occasione della sessantaduesima sessione del Comitato Esecutivo dell’Unhcr.
Presidente,
negli ultimi sessant’anni, dall’entrata
in vigore della Convenzione sui Rifugiati del 1951, l’Unhcr, altre importanti agenzie dell’Onu, Stati
ospiti, organizzazioni confessionali e
altri organismi di società civile hanno compiuto sforzi incredibili per
garantire protezione ai rifugiati, tutelarne la dignità umana e fornire
loro un nuovo inizio di vita. Infatti,
la Convenzione ha recepito le nuove
emergenze e ha incluso nella sua tutela nuove vittime di persecuzione
da parte di attori non statali e di altre forme di violenza. L’effetto civilizzatore di un trattato che dà diritti
ai rifugiati, ai richiedenti asilo e ad
altre persone dislocate con la forza,
circa 43 milioni, non si potrà mai
lodare abbastanza. Tuttavia, esistono ancora gravi divari evidenziati da
recenti drammatici eventi come le
«rivoluzioni del popolo» in alcune
parti del nord Africa e la siccità e il
conflitto nel Corno d’Africa che
hanno scatenato ampi flussi di rifugiati nonché dalle situazioni protratte dei rifugiati in Medio Oriente e
altrove. Forse la dimostrazione più
tragica del fatto che il compito di
Angela Merkel e Nicolas Sarkozy (Reuters)
in modi diversi, la difficoltà del momento che sono chiamati a governare. «In passato ci sono stati visioni
e visionari che hanno tralasciato le
soluzioni nei dettagli, perciò ci troviamo in questa crisi» ha detto Sarkozy. «Difenderemo l’euro con tutte
le nostre forze» ha aggiunto Merkel.
E tuttavia, al di là dei proclami, il
problema greco resta. Oggi gli
ispettori della troika Ue-Bce-Fmi in-
contrano il ministro delle Finanze di
Atene, Evangelos Venizelos, per
chiudere il negoziato sul piano di
aiuti. «Stiamo lavorando — spiegano
fonti ben informate — con l’intento
di chiudere il negoziato». Gli ispettori dovrebbero concludere la loro
missione rilasciando un comunicato
finale. La troika intende avere ulteriori dettagli sull’implementazione
delle misure di austerità varate dal
Governo.
Tony Blair
sul ruolo della fede
nello spazio
pubblico
Accordo tra Belgio, Francia e Lussemburgo a sostegno del gigante bancario-assicurativo
Per Dexia
operazione salvataggio
BRUXELLES, 10. Si concretizza lo
smembramento per salvare Dexia. I
Governi di Belgio, Francia e Lussemburgo hanno annunciato, nella giornata di ieri, di aver trovato una soluzione per salvare il gigante bancarioassicurativo franco-belga con partecipazione lussemburghese. Il prezzo
dell’operazione non è stato rivelato,
ma secondo i media belgi, sarebbe di
quattro miliardi di euro. Nel 2008,
un primo salvataggio era costato a
Bruxelles tre miliardi di euro. Intanto l’agenzia di rating Moody’s ha avvertito che potrebbe declassare il debito belga dall’attuale Aa1 nonostante il Paese abbia un rapporto debito/pil in calo (attualmente 96,2 per
cento).
Le attività francesi di Dexia potrebbero essere a loro volta rilevate
dal Governo francese, creando un
istituto che possa continuare l’opera
di finanziamento dei comuni con un
esborso tra i 650 e i 700 milioni di
euro. Gli asset a rischio che pesano
sul bilancio del gruppo bancario (il
cui titolo azionario è sospeso da giovedì scorso nelle Borse di Parigi e
Bruxelles dopo aver perso il 42 per
cento in una settimana) verrebbero
fatti confluire, informano gli analisti,
in una «bad bank» con garanzie statali francesi e belghe per novanta miliardi di euro, ripartiti tra Belgio (60
per cento), Francia (36,5 per cento) e
Lussemburgo (3,5 per cento).
La sede centrale della banca a Bruxelles (LaPresse/Ap)
Assegnato
il premio Nobel
per l’economia
STO CCOLMA, 10. L’Accademia
Svedese delle Scienze ha assegnato oggi il premio Nobel per l’Economia a due studiosi americani,
Thomas Sargent e Christopher
Sims, «per le loro ricerche empiriche su causa ed effetto nella macroeconomia» e anche per i loro
lavori sul riflesso che le politiche
di bilancio hanno sull’andamento
dell’economia. Nato nel 1943 a Pasadena, Sargent insegna a New
York. Originario di Washington,
Sims svolge le sue ricerche presso
l’università di Princeton.
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POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
MILANO, 10. La «questione politica chiave per l’Europa di oggi»
è «come il secolarismo, o la laicità, abbia a che fare con la partecipazione delle persone di fede
nel dibattito pubblico». Chi —
uomini di Stato e leader politici
— ignora questa realtà, lo fa «a
suo rischio e pericolo». È quanto
scrive l’ex premier britannico Tony Blair in un articolo pubblicato
il 9 ottobre sul «Corriere della
Sera», nel quale ricorda la «forza
propulsiva straordinaria» che la
fede ha avuto «nel campo dello
sviluppo internazionale, della salute e dell’educazione» nel periodo in cui egli era a capo del Governo britannico. Blair ha citato
come esempio di globalizzazione
positiva l’impegno dell’Unione
Superiore Maggiori d’Italia e di
suor Eugenia Bonetti nella lotta
contro la tratta degli esseri umani
in tutto il mondo: una rete di solidarietà che si augura possa essere dominante «nel secondo decennio dopo l’11 settembre». Lo
studio della fede e della globalizzazione — scrive — è inoltre essenziale anche per l’attuale vita
accademica: l’ex premier, fondatore della «Tony Blair Faith
Foundation», ha ricordato i seminari che la sua organizzazione
terrà prossimamente in Italia, il
13 ottobre a Roma, il 27 ottobre a
Bologna, il 10 novembre a Milano e il 30 novembre a Venezia.
Il voto premia la coalizione governativa
Tusk vince le elezioni in Polonia
VARSAVIA, 10. Le elezioni politiche
svoltesi ieri in Polonia sono state
vinte dalla coalizione centrista guidata dal primo ministro uscente
Donald Tusk. A spoglio delle schede pressoché ultimato, i liberali di
Piattaforma Democratica, il partito
del premier, risultano aver ottenuto
il 39 per cento dei suffragi, conquistando così 206 seggi alla Camera
dei deputati. Ai loro alleati del Partito dei contadini sono andati l’8,55
per cento dei voti e trenta seggi. La
coalizione governativa può così
contare su 236 seggi, cioè sulla
maggioranza assoluta dei 460 depu-
tati della Camera bassa. Risulta
dunque sconfitto il partito di opposizione conservatore Diritto e Giustizia, guidato dell’ex premier Jarosław Kaczyński e caratterizzato da
posizioni euroscettiche, che ha ottenuto il 30,61 per cento dei voti. Il
Movimento di Palikot, una nuova
formazione radicale presente la prima volta alle elezioni ha avuto il
9,8. L’Alleanza della sinistra democratica ha avuto l’8,24. La lista
espressione della minoranza tedesca
ha avuto lo 0,31. L’affluenza ai seggi è stata del 47,25 per cento.
GIOVANNI MARIA VIAN
don Pietro Migliasso S.D.B.
Carlo Di Cicco
Segreteria di redazione
direttore responsabile
vicedirettore
direttore generale
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Antonio Chilà
redattore capo
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
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TIPO GRAFIA VATICANA EDITRICE «L’OSSERVATORE ROMANO»
Piero Di Domenicantonio
Gaetano Vallini
redattore capo grafico
segretario di redazione
Tusk è il primo premier della Polonia postcomunista a garantirsi un
secondo mandato. Gli elettori hanno ritenuto credibile la sua rivendicazione di aver garantito una crescita economica ininterrotta nonostante le difficoltà mondiali, mantenendo sotto controllo deficit pubblico e
debito. Assumendo all’inizio di luglio la presidenza di turno semestrale dell’Unione europea, Tusk si
è detto a favore a un rafforzamento
delle istituzioni europee, ma ha
condizionato la futura adesione della Polonia all’euro a una soluzione
duratura della crisi del debito.
Servizio vaticano: [email protected]
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tutela è incompiuto sono, solo quest’anno, le oltre 1.500 persone che
sono morte cercando di attraversare
il Mediterraneo, le altre che sono affogate attraversando il Golfo di
Aden, e quelle innumerevoli che
hanno perso la vita uscendo dalla
Somalia alla ricerca di sicurezza.
Nel Preambolo, la Convenzione
sui Rifugiati del 1951 si pone come
scopo quello di «assicurare ai rifugiati l’esercizio il più possibile ampio dei loro diritti e delle loro libertà fondamentali». Tuttavia, oggi, in
molte regioni del mondo, milioni di
rifugiati non sono ancora nelle condizioni di godere di questi diritti. Il
nobile obiettivo posto dalla Convenzione alla fine della esperienza
devastante della seconda guerra
mondiale ultimamente è stato eroso.
La mia delegazione desidera evidenziare soltanto alcune aree di preoccupazione.
L’opinione pubblica e la convenienza politica hanno esercitato un
impatto negativo sulla necessità di
proteggere i richiedenti asilo. Fra
queste conseguenze negative, osserviamo con profondo rincrescimento,
che la detenzione di richiedenti asilo e di altre persone bisognose di
protezione sta aumentando e non è
più utilizzata come ultima risorsa in
casi eccezionali.
Queste persone che cercano protezione o modi per tentare di sopravvivere sono letteralmente rinchiuse e sorvegliate come se fossero
prigionieri criminali e anche i bambini sono messi nella stessa condizione. Molto spesso, le loro condizioni di vita in detenzione producono effetti particolarmente dannosi
sulla singola persona. Gli ambienti
simili a prigioni che esistono in
molti centri di detenzione, l’isolamento dal «mondo esterno», il flusso inaffidabile di informazioni e la
distruzione di un progetto di vita,
colpiscono la salute mentale e fisica
dei richiedenti asilo e causano stress
psicologico, depressione e insicurezza, diminuzione dell’appetito e vari
gradi di insonnia. Il modo in cui le
persone che si trovano in tali centri
considerano se stesse è influenzato
in maniera significativa dalla detenzione. In questo contesto, la percezione di sé diviene un indicatore
importante degli effetti della detenzione giacché in quanto misura amministrativa non dovrebbe portare a
queste conseguenze dannose per la
persona. Quindi è urgente sviluppare e promuovere ulteriormente alternative alla detenzione come per
esempio espandere programmi comunitari monitorati, introdurre meccanismi di controllo e di informazione, la formazione di gruppi di
sostegno, di centri per visite da aggiungere a progetti di case aperte
cosicché almeno le famiglie con
bambini possano risiedere in un ambiente di vita sicuro. In tal modo, la
detenzione amministrativa diviene
l’ultima risorsa.
La politica dell’auto-insediamento
fuori dai campi ha avuto un qualche
successo sia fra i rifugiati più istruiti
sia fra i più poveri e questi risultati
positivi sembrano incoraggiarne
un’attuazione su più vasta scala.
Inoltre, i rifugiati sistemati nei campi profughi non hanno necessariamente più probabilità di essere rimpatriati di quelli che si auto-insediano. Infine, sebbene la solidarietà dei
donatori debba confrontarsi con un
compito amministrativo più complesso, essa promuove lo sviluppo
umano dei rifugiati e dona loro migliori possibilità per il futuro.
Preoccupano la Santa Sede e gli
organismi confessionali anche i numerosi rifugiati, i richiedenti asilo e
coloro che non sono riusciti a ottenerlo che si trovano intrappolati in
situazioni di miseria. In tutto il
mondo possiamo vedere persone
che si spostano e che per buoni motivi non possono tornare nei Paesi
d’origine e tuttavia sono completamento esclusi dai servizi sociali nei
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Ufficio diffusione: telefono 06 698 99470, fax 06 698 82818,
[email protected]
Ufficio abbonamenti (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480,
fax 06 698 85164, [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
Paesi in cui vivono. Queste persone
si trovano in un limbo, in un vicolo
cieco, senza alcuna prospettiva. Non
si tratta solo di sfortuna, ma di politiche statali che escludono del tutto
questi gruppi di persone sradicate
da qualsiasi tipo di assistenza ufficiale e li lasciano in stato di necessità e penuria anche se hanno bisogno di protezione. Senza accesso a
una casa, all’assistenza sanitaria,
all’educazione, all’assistenza sociale
e a un lavoro la situazione di queste
persone è particolarmente preoccupante. Attualmente più della metà
della popolazione rifugiata si trova
all’esterno di campi ed è particolarmente vulnerabile alla miseria. Le
autorità nazionali e locali dovrebbero continuare ad assumersi la responsabilità di questi profughi con
la solidarietà certa degli organismi
internazionali. Sviluppi positivi sono già stati avviati dall’Unhcr grazie
a metodi innovativi per raggiungere
i rifugiati «urbani», inclusi messaggi
sms relativi alla distribuzione di assistenza, accesso a Internet e video
sui diritti dei rifugiati, linee telefoniche dedicate per rispondere alle domande e la distribuzione di carte
bancarie per permettere ai rifugiati
di ritirare gli aiuti finanziari quando
serve loro.
Centinaia di ragazzi soli non accompagnati provenienti dal Medio
Oriente e da altri luoghi si stanno
facendo strada in Europa, sfidando
il sistema di protezione dei Paesi
che attraversano. Infatti i minori
non accompagnati sono migliaia.
Nel 2008, 11.292 richieste d’asilo sono state inoltrate da minori non accompagnati in 22 Paesi membro
dell’Unione europea. Alcuni addirittura muoiono nascosti nei container
o nei vani sotto i camion. L’aumentata visibilità acquisita da minori
non accompagnati che chiedono asilo nei Paesi industrializzati richiede
una rinnovata attenzione alle loro
necessità di tutela e allo sviluppo di
misure pratiche per aiutarli ad adattarsi al nuovo ambiente.
I minori non accompagnati devono essere trattati soprattutto come
bambini e il loro migliore interesse
deve essere la principale preoccupazione, indipendentemente dal motivo della loro fuga. Per questo motivo, la detenzione e alloggi da cui
non si può uscire si dimostrano
inappropriati per i minori in particolare, come la promiscuità dei
bambini con gli adulti in queste
strutture. Le ricerche hanno dimostrato che come fonte di motivazione e sostegno la religione è considerata importante da questi minori,
che desiderano la disponibilità di
consiglieri spirituali. In questo contesto, il disbrigo di richieste d’asilo
di bambini dovrebbe ricevere una
maggiore priorità con la possibilità
per i minori non accompagnati che
divengono adulti di continuare a
godere della stessa procedura di determinazione di quelli che sono al
di sotto dei diciotto anni d’età. A
volte, purtroppo, i minori non accompagnati arrivano con identità
false come «battistrada» per avviare
ricongiungimenti familiari o come
vittime di contrabbandieri e di trafficanti e quindi bisogna prestare attenzione per prevenire il loro sfruttamento.
Presidente,
La situazione politica e umanitaria globale in evoluzione lancia sfide
costanti alla responsabilità della comunità internazionale per tutelare le
vittime del dislocamento forzato.
Sono richieste nuove strategie e
nuove politiche che vanno dal comprendere le cause primarie al definire la gestione dei confini e l’integrazione. La compassione creativa diviene possibile se c’è un senso autentico di solidarietà e di responsabilità verso i membri più bisognosi
della nostra famiglia umana. Non
dovremmo dimenticare questi fatti
quando parliamo di politiche sulla
tutela dei rifugiati. I rifugiati non
sono solo numeri anonimi, ma persone, uomini, donne e bambini con
storie individuali, con doti da mettere a disposizione e aspirazioni da
soddisfare.
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Banca Carige
Cassa di Risparmio di San Miniato
Credito Valtellinese
Fondazione Monte dei Paschi di Siena
Banca Monte dei Paschi di Siena
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 10-11 ottobre 2011
pagina 3
Il Quartetto
rilancia gli sforzi
per il dialogo
israelo-palestinese
Tra Khartoum e Juba
Si riapre
il negoziato
sulla crisi
sudanese
KHARTOUM, 10. Sembrano aprirsi
spazi negoziali nella crisi sudanese
segnata da persistenti violenze che
negli ultimi mesi hanno provocato
numerose vittime civili e nuove fughe di popolazioni. Il presidente
del Sud Sudan, Salva Kiir Mayardit, si è recato nel fine settimana a
Khartoum per colloqui con il suo
omologo sudanese Omar Hassam
el Bashir. La missione di Salva
Kiir Mayardit è stata la prima iniziativa diplomatica ad alto livello
nei tre mesi trascorsi dalla dichiarazione d’indipendenza sudsudanese del 9 luglio scorso. I mesi in
questione sono stati segnati da
una ripresa delle violenze nelle regioni sudanesi al confine con il
nuovo Stato, come il Nilo Azzurro e il Kordofan meridionale, ma
anche l’Abyei, la regione petrolifera tuttora contesa tra Khartoum,
che l’ha occupata militarmente, e
il Governo sudsudanese di Juba.
Fonti diplomatiche concordi riferiscono come enttrambe le parti
abbiano dato una valutazione positiva dei colloqui, anche in assenza di fatti nuovi sui principali motivi di contrasto ancora aperti. Tra
questi, oltre appunto all’attribuzione dell’Abyei e alla delimitazione dei confini, sono cruciali la divisione delle risorse petrolifere e la
definizione dei sistemi bancari e
commerciali.
Su tutte le principali questioni
non hanno avuto esito finora i
tentativi di mediazione condotti
per conto dell’Unione africana
dall’ex presidente sudafricano
Thabo Mbeki, né i reiterati appelli internazionali, da ultimo quello
degli Stati Uniti che hanno chiesto a entrambe le parti di velocizzare i colloqui e raggiungere
un’intesa sulla divisione delle entrate petrolifere. Il Governo sudanese ha più volte dichiarato che la
divisione delle risorse petrolifere,
concentrate in massima parte nelle
regioni meridionali, deve rimanere
quella ipotizzata dall’accordo di
pace del 9 gennaio 2009, che pose
fine all’ultraventennale conflitto
civile, mentre le autorità di Juba
intendono gestire in proprio le
perforazioni, limitandosi a pagare
a Khartoum l’utilizzo degli oleodotti.
Ora sembrano aprirsi spiragli.
«Il mio Governo è pronto a discutere per trovare soluzioni alle importanti questioni», ha dichiarato
Salva Kiir Mayardit prima di rientrare a Juba, dicendosi certo che
verrà trovata soluzione ai problemi e che al più presto saranno firmate intese. Anche el Bashir ha
confermato la sua volontà a risolvere le questioni pendenti, senza
però definire una precisa tabella
di marcia.
Un combattente del Cnt in azione a Sirte (Epa)
Cruenti combattimenti anche a Bani Walid
Sirte vicina alla caduta
TRIPOLI, 10. Sirte sta per cadere e con essa anche
il regime di Gheddafi, parola dei comandanti militari del Consiglio nazionale di transizione. La
città natale del colonnello e Bani Walid, ultime
roccaforti del vecchio regime, resistono ma il loro
destino sembra ormai segnato. I comandanti del
Cnt hanno infatti annunciato ieri di aver conquistato importanti centri strategici nelle due città
fedeli a Gheddafi e si preparano a lanciare l’assalto finale. Una volta caduta Sirte, il Cnt ha detto
che annuncerà la liberazione nazionale, anche se
Gheddafi rimane introvabile, e si dovrebbe annunciare la formazione del nuovo Esecutivo malgrado le lotte di potere interne al Cnt — nella
scorsa settimana sono scoppiate preoccupanti tensioni a Tripoli tra le diverse fazioni armate —
hanno finora impedito la nascita di un nuovo
Governo provvisorio libico.
Nel frattempo, le forze del Cnt hanno detto di
aver preso ieri il controllo dell’università e del
principale ospedale di Sirte, catturando un alto
numero di cecchini e miliziani di Gheddafi e tra
questi anche Abdel Rahman Abdel Hmid, un nipote del colonnello. Caduto nelle mani del Cnt,
dopo una violentissima battaglia in cui hanno
perso la vita almeno 32 combattenti, anche il mo-
dernissimo centro congressi Ouagadougou, dove
il colonnello amava ricevere i capi di Stato africani e dove le forze del Cnt riteneva ci fosse il centro di comando dei gheddafiani.
«Siamo entrati nel centro congressi ma abbiamo dovuto rallentare l’avanzata per evitare il fuoco amico dei ragazzi di Misurata», ha detto un
comandante del Cnt. Espugnato dopo una lunga
battaglia anche l’ospedale Ibn Sina, dove si nascondevano molti cecchini di Gheddafi. «Stiamo
cercando di sgomberare i malati e i feriti», ha affermato Salah Mustafa, comandante delle forze
delle nuove autorità libiche. «La maggior parte
dei miliziani di Gheddafi sono fuggiti ma alcuni
si sono travestiti da medici. Stiamo controllando», ha aggiunto. Una quindicina di lealisti sono
stati catturati e fatti uscire dall’ospedale e uno di
essi è stato colpito con un pugno alla nuca dopo
che gli è stata trovata in tasca una foto di Gheddafi, ha riferito un testimone alla Reuters.
L’inviata della rete televisiva Al Jazeera ha detto che le forze del Cnt «stanno avanzando dentro
Sirte ma cecchini dei lealisti rallentano l’avanzata,
sparando anche colpi di mortaio». Secondo
l’emittente panaraba, i gheddafiani si sono rifugiati dentro bunker di cemento che resiste ai col-
Violenze
nell’Afpak
L’opposizione non crede
alle dimissioni di Saleh
SAN’A, 10. La coalizione di opposizione nello Yemen ha commentato
con
scetticismo
il
significato
dell’annunciato impegno del presidente yemenita, Ali Abdullah Saleh, a lasciare presto il potere.
Mohammed Qahtan, portavoce della coalizione, ha ricordato che Saleh aveva già promesso di non candidarsi nel 2006 ma poi si era presentato alle presidenziali. «Speriamo che il Consiglio di sicurezza
dell’Onu adotti risoluzioni giuste
che rispondano alle rivendicazioni
del popolo yemenita e appoggino
le sue richieste di cambiamento»,
ha affermato Qahtan. Saleh, al potere dal 1978, ha annunciato l’inten-
Il Kenya
punta sull’energia
nucleare
NAIROBI, 10. Il primo ministro kenyano, Raila Odinga, ha annunciato che il Governo intende accelerare la costruzione dello stabilimento nucleare programmato nel
2008, durante la prima conferenza
nazionale sull’energia, per colmare
il disavanzo energetico del Paese.
Odinga ha spiegato che gli esperti
incaricati di occuparsi dello studio
di fattibilità per la costruzione del
reattore nucleare stanno indugiando troppo di fronte alla necessità
di fornire al Paese risposte concrete in campo energetico. Secondo
il primo ministro, entro cinque anni il Kenya dovrebbe essere dotato
di almeno due reattori nucleari.
«Ogni Paese ha le proprie priorità
che sono dettate da interessi strategici nazionali, e ogni decisione
deve essere assunta sulla base di
tali interessi», si legge in un comunicato diffuso dall’ufficio di
Odinga. L’obiettivo è quello di
accrescere entro il 2030 la produzione di energia dagli attuali 1.460
a 21.620 mega watt. Secondo
Odinga, la mancata attuazione dei
progetti chiave individuati nella
conferenza nazionale per l’energia
sarebbe
la
principale
causa
dell’aumento di prezzo dell’elettricità e del petrolio e della carenza
di combustibili.
pi dell’artiglieria. «Gli abbiamo sparato contro
per giorni ma non si è scalfita nemmeno la vernice», ha detto un combattente del Cnt ad Al Jazeera. Vittorie militari annunciate delle forze del
Cnt anche a Bani Walid, città nel deserto a circa
centosettanta chilometri a sud est di Tripoli ancora controllata dagli uomini di Gheddafi. «Le nostre forze hanno preso il controllo dell’aeroporto», situato a circa settanta chilometri a sud ovest
della città, ha detto ieri sera il comandante Mussa
Yunes. Questa mattina, però, dopo l’aspra battaglia di ieri dove hanno perso 17 combattenti e altri 50 sono rimasti feriti, le forze del Cnt si sono
dovute ritirare dalla zona dell’aeroporto.
Dopo la tempesta di sabbia che sabato ha rallentato le operazioni militari, i comandanti del
Cnt si mostrano fiduciosi di porre fine a tre settimane di stallo, durante le quali migliaia di residenti sono fuggiti da Sirte, e vincere la battaglia
che potrebbe segnare la fine della guerra. Difficile però stabilire quanti siano ancora i civili rimasti intrappolati a Sirte e Bani Walid. Alcuni residenti hanno riferito alla rete televisiva panaraba
che i fedelissimi di Gheddafi impedivano con la
forza ai residenti di lasciare le città nonostante la
mancanza di cibo, acqua ed elettricità.
zione di lasciare «nei prossimi giorni». «Non voglio il potere. Lo lascerò nei prossimi giorni». In un
discorso trasmesso sabato dalla televisione di Stato, il presidente ha affermato che non intende per ora lasciare il potere agli oppositori, tra i
quali spiccano leader tribali un
tempo alleati di Saleh, ufficiali
dell’esercito che si sono uniti ai giovani manifestanti. Nei giorni scorsi
a San’a si erano riaccesi i combattimenti tra le forze lealiste e i reparti
dell’esercito fedeli al generale dissidente Ali Mohsen Al Ahmar. Anche
oggi quaranta donne sono rimaste
ferite nel corso di una manifestazione nella città di Taiz,
TEL AVIV, 10. Gli inviati speciali
del Quartetto per il Medio Oriente (Onu, Ue, Stati Uniti e Russia)
si sono riuniti ieri a Bruxelles per
cercare di riportare israeliani e palestinesi al tavolo dei negoziati di
pace.
Alla riunione ha partecipato
l’Alto rappresentante Ue per la
politica estera e di sicurezza comune, Catherine Ashton, e l’inviato del Quartetto Tony Blair. I risultati saranno discussi oggi dai
ministri degli Esteri della Ue, riuniti a Lussemburgo. Ashton ha dichiarato che sono stati fatti «buoni progressi» negli sforzi di mediazione.
Il Quartetto — riferisce la
Ashton — contatterà «nei prossimi
giorni le due parti». Ma per avere
un seguito l’iniziativa dovrà prima
ricevere l’ok dell’Ue. Oggi i capi
delle diplomazie europee s’incontrano per la prima volta dopo
l’Assemblea generale dell’O nu,
dove il 23 settembre scorso il presidente dell’Autorità palestinese,
Abu Mazen, ha presentato la richiesta di riconoscimento dello
Stato palestinese e dove la risoluzione Ue sulla Siria sostenuta dagli Stati Uniti è stata respinta. Nel
frattempo, un clima di forte tensione viene segnalato nella Cisgiordania settentrionale. Fonti locali riferiscono infatti di nuovi
scontri tra i coloni israeliani e gli
agricoltori palestinesi.
Mosca
propone
una mediazione
sulla Siria
DAMASCO, 10. Mosca potrebbe diventare «una piattaforma per i negoziati tra le autorità siriane e
l’opposizione». Lo ha dichiarato
ieri in un’intervista all’agenzia Ria
Novosti, il vice ministro degli
Esteri russo, Mikhail Bogdanov.
La Russia, che il 10 e 11 ottobre riceve una delegazione della cosiddetta «opposizione interna siriana» — come l’ha definita Bogdanov —, si propone così come mediatore nella crisi. Secondo l’agenzia ufficiale siriana Sana, il presidente Assad ha dichiarato che il
suo Governo «sta adottando misure su due principali fronti, quello delle riforme politiche e quello
dello smantellamento dei gruppi
armati che cercano di destabilizzare il Paese». Per Assad, citato
dall’agenzia Sana, «il popolo siriano ha accolto positivamente le
riforme ma gli attacchi stranieri si
sono intensificati». Ieri, stando a
quanto riportato da fonti degli attivisti, sette civili sono rimasti uccisi nei nuovi disordini esplosi a
Homs, nel centro del Paese. Sei
persone sono state colpite nel
quartiere Karam Al Zeitoun e una
settima nel quartiere Bab Al Drib.
La Turchia ha duramente condannato gli scontri. Ankara «spera
che il Governo siriano comprenda
rapidamente che la violenza non
cambierà il corso della storia».
La pirateria compromette sempre più la navigazione commerciale
In calo il traffico marittimo a est dell’Africa
I soccorsi a un ferito statunitense in un’immagine di repertorio (Reuters)
ISLAMABAD, 10. In Pakistan e in Afghanistan le violenze non danno
tregua. Sedici miliziani sono stati
uccisi, nelle ultime ore, in scontri
divampati nella regione tribale del
Dir Superiore, nel nord ovest del
Pakistan. Ne hanno dato notizia
fonti governative. I combattimenti
sono scoppiati dopo che i miliziani
hanno attaccato un posto di blocco
nell’area di Barawal. Da rilevare
che negli ultimi mesi sono diventati
più frequenti i raid attraverso il poroso confine afghano-pakistano. E
in Afghanistan, intanto, si segnala
che due soldati dell’Isaf (Forza in-
ternazionale di assistenza alla sicurezza, sotto guida Nato) sono morti
in seguito a un attacco compiuto
dai talebani nel sud. Nell’Afpak,
dunque, si continua a registrare una
situazione critica. Proprio in questi
giorni il presidente afghano Hamid
Karzai, a dieci anni dall’inizio del
conflitto, lamentava che la sospirata
prospettiva della sicurezza nel territorio appare ancora lontana. E sempre in questi giorni Karzai ha annunciato, e poi ribadito, la volontà
di interrompere ogni tentativo di
dialogo con i talebani.
NAIROBI, 10. La pirateria nelle acque al largo della Somalia ha conseguenze sempre più gravi sul traffico
marittimo che risulta ormai in calo.
Secondo l’International Maritime
Bureau, negli ultimi tre anni gli attacchi dei pirati nell’oceano Indiano, nel golfo di Aden e nel Mar
Rosso sono aumentati in modo
preoccupante e minacciano di compromettere la sicurezza di rotte vitali
per i commerci tra Asia, America ed
Europa. Nonostante il dispiegamento di imponenti operazioni navali
internazionali, solo negli ultimi sei
mesi ci sono stati ben 266 attacchi
di pirati, contro i 196 fatti registrare
nello stesso periodo dello scorso anno. Numeri del genere costringono
a seguire rotte alternative, attraverso
l’oceano Pacifico o molto più a sud
per entrare in Atlantico.
Anche la pesca, un settore rilevante delle economie dei Paesi
dell’Africa orientale, subisce le stes-
se minacce. Lo ha ricordato ieri
un’intervista fatta dal quotidiano kenyano «The Citizens» a José González, l’amministratore delegato di
East Pesca d’Africa Ltd, una delle
principali compagnie nazionali del
settore. González, il cui peschereccio Sakoba è stato sequestrato lo
scorso anno, ha detto che operare
nei mari dell’Africa orientale è diventato un rischio enorme per i pescatori e i marinai. Anche Simon
Hemphil, il presidente dell’Associazione pescatori del mare del Kenya,
che riunisce gli operatori di barche
da pesca sportiva, ha detto che i
guadagni nel settore, parte rilevante
degli introiti turistici, sono diminuiti
a causa della crescente insicurezza.
La pirateria in Somalia incominciò un ventennio fa, quando i grandi pescherecci industriali — soprattutto giapponesi e sudcoreani, ma
anche occidentali — approfittando
della fine della dittatura di Siad
Barre e della sparizione di fatto di
ogni autorità statale in Somalia, penetrarono nelle acque territoriali somale saccheggiandole e riducendo
alla miseria i piccoli pescatori locali.
Questi incominciarono così ad attaccare le navi straniere esigendo
una sorta di tassa che compensasse
il loro mancato guadagno. Poi c’è
stato un salto di qualità e la pirateria artigianale si è trasformata in un
esercito ben armato e dotato di imbarcazioni velocissime.
Nel 2008, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha autorizzato le navi
militari straniere a intervenire. Al
largo della Somalia incrociano da
allora flotte dei Paesi dell’Unione
europea e della Nato, ma anche di
Cina, India e altri Stati. Il risultato,
però, è finora tutt’altro che rilevante. Come detto gli attacchi si sono
intensificati e nelle mani dei pirati ci
sono tuttora una cinquantina di navi e oltre cinquecento ostaggi.
L’OSSERVATORE ROMANO
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lunedì-martedì 10-11 ottobre 2011
L’11 ottobre 1962 si apriva la prima sessione del concilio ecumenico Vaticano
II
Quel sorprendente aggiornamento
Dopo Roncalli, quattro Papi hanno avuto il compito di declinare nel quotidiano quel capitale spirituale e pastorale senza precedenti
di PHILIPPE LEVILLAIN
a Chiesa cattolica, romana
e universale, fece il suo
ingresso solenne e spettacolare nel mondo dei media giovedì 11 ottobre
1962, al momento dell’apertura della
prima sessione del concilio Vaticano
II, in riferimento al concilio sospeso
nel 1870. Vaticano I, concilio interrotto? Vaticano II, concilio del completamento? No: Vaticano II, concilio dell’«aggiornamento». Il termine
ebbe uno strepitoso successo. Evitava la parola «riforma». Sarebbe entrato nel vocabolario politico. Tutto
era pronto dall’annuncio del progetto formulato da Giovanni XXIII il 25
gennaio 1959. Una ispirazione provvidenziale ripetutamente sottolineata. Lo scetticismo iniziale fu dimenticato fin dall’11 ottobre 1962. E tuttavia si parlò di Stati Generali della
Chiesa. Il redattore di un grande
quotidiano parigino spiegò a un giovane stagista: «Non si sa mai dove
ciò può condurre. Preparati a defini-
L
Giovanni
XXIII
re l’aggettivo “ecumenico”, perché
sta per servire». Non pensava di dire
così bene. Giovanni XXIII immaginava una sola seppure lunga sessione
di un evidente consenso. Ce ne sarebbero volute quattro. Il programma iniziale era insormontabile (settantadue schemi). Curiosa all’inizio,
l’opinione pubblica divenne progressivamente l’attore primordiale del
Il dramma di quell’assise
fu di essere appesantita
da un’instancabile impazienza
da parte di coloro
che ebbero la missione di viverla
Vaticano II che non se ne poté difendere nonostante le precauzioni
prese al principio.
La prima sessione fu turbolenta.
L’episcopato di tutti i Paesi aveva
bisogno di esprimersi. Apparvero
delle nuove personalità. Presto la
Curia si internazionalizzò. Ma uno
apre il Vaticano
II
dei primi risultati del Concilio, al di
là di inevitabili dibattiti, si tradusse
nell’arbitraggio di Giovanni XXIII
nel terribile conflitto tra gli Stati
Uniti d’America e l’Urss nel momento della crisi dei missili di Cuba,
nell’ottobre del 1962. Contrariamente a quanto affermato da Stalin a
proposito di Pio XII, la Santa Sede
aveva delle truppe: duemilacinquecento vescovi e l’opinione
pubblica. Né Pio X nel 1914,
né Benedetto XV nel 1917, né
Pio XII nel 1940 avevano potuto imporre una forza morale
così persuasiva. Il Vaticano II
ha portato e anche fortificato
lo statuto di soggetto di diritto internazionale della Santa
Sede particolarmente dopo la
Conferenza di Helsinki nell’agosto
del 1975. Ma in ciò non sta veramente l’essenziale.
L’opera del Vaticano II (sedici documenti conciliari) è un tutto e, per
utilizzare una metafora architettonica, una pietra supplementare o un
restauro di una cattedrale costruita
da due millenni attraverso la missione della Chiesa. In pochi hanno letto integralmente questi sedici documenti conciliari, che sono di ineguale valore. Ma l’insieme si articola attorno a un asse cardine con due poli: la costituzione dogmatica sulla
Chiesa (Lumen gentium, 21 novembre
1964) e la costituzione dogmatica
sulla Rivelazione (Dei verbum, 18 novembre 1965). Se l’opera inizia con
una riforma della liturgia, troppo rapidamente condotta in alcuni Paesi,
essa si è conclusa con i rapporti tra
la Chiesa e il mondo (Gaudium et
spes, 7 dicembre 1965).
Costruita tassello dopo tassello e
non senza sofferenza, l’opera conciliare ha ripreso dalle fondamenta
tanto lo statuto dei sacerdoti e la loro vocazione, che i missionari, le relazioni con le religioni monoteiste e
soprattutto la questione della libertà
religiosa e le relazioni con l’ebraismo
e Israele nella riflessione storiografica e in politica. È da notare che la
chiusura del Concilio l’8 dicembre
Nel 1943 trascorse tre mesi nel paese di Fonterutoli per sfuggire ai fascisti
L’esilio di pace di Giorgio La Pira
di ENZO CARLI
Fonterutoli è sulla strada che
scende dalla collina di Castellino
in Chianti verso Siena. La strada
è affiancata da estesi vigneti per
la produzione del vino Chianti
classico. Castellina è dominata da
un’alta e imponente torre, costruita dai fiorentini ai primi del
Quattrocento per proteggere gli
abitanti nel territorio della Lega
Castellina, Radda Gaiole.
A Castellina abitarono gli Etruschi, ma non c’è traccia di storia e
di arte medievali. Il medioevo è
passato a Fonterutoli dove Ottone III imperatore europeo, nel
998, si fermò per decretare regole
e confini tra le diocesi confinanti
di Siena, Arezzo e Fiesole fra loro
in contesa. Il decreto imperiale è
conservato nella diocesi di Arezzo, e a ricordo è stata posta una
lapide sulle mura del paese.
La nobile famiglia Mazzei, fiorentina, nella persona di Madonna Smaralda, nipote di Ser Lapo
Mazzei, notaio, amico di Francesco di Marco Datini, per tutta la
vita suo consigliere giuridico,
sposa Piero di Fonterutoli, grosso
proprietario terriero della Val
d’Elsa, e, alla sua morte, ne eredita la proprietà di Fonterutoli. Lei
e i suoi eredi hanno coltivato e
Giorgio La Pira
Il campanile della chiesa di Fonterutoli
piantato molti vigneti, costruendo
case e cantine.
Giorgio La Pira fu invitato e
poi accolto a Fonterutoli dal professore Jacopo Mazzei e con lui
nacque un’ininterrotta e fraterna
amicizia. Quando, minacciato e
inseguito dai fascisti e dai tedeschi, dovette lasciare Firenze, si
rifugiò a Fonterutoli alla fine del
1943 e si trattenne per tre mesi in
casa di Jacopo Mazzei.
La Pira aveva fondato una rivista, «Principi», profondamente
critica nei confronti del regime.
Nel periodo trascorso a Fonterutoli ebbe modo di discutere con
Mazzei tanti argomenti, tra cui i
concetti da immettere nella Costituzione in tema di lavoro.
Nessuno del paese lo conosceva, non lo conobbero neanche
quando divenne sindaco di Firenze, ma la curiosità si allargò vedendolo entrare ogni mattina in
chiesa quando suonava la campana della messa e rimanervi in lunga preghiera per poi rientrare e
dedicarsi alla meditazione e agli
studi.
Nei giorni feriali, in chiesa, occupava la terza panca, solitario, a
destra verso l’altare. Per segnare
la «sua» panca abbiamo messo
una lastrina d’ottone col nome
«Giorgio La Pira» sull’appoggio
delle braccia.
La Pira morì nel 1977. Nel 1953,
qualcuno scoprì un suo scritto a
mano. Qualche anno fa il suo
scritto fu inciso su una pietra che
venne poi murata sulla facciata
della chiesetta, come un manifesto: «Fonterutoli — vi si legge — è
come una piccola città tutta ordinata attorno alla sua chiesa. Sembra un angolo particolare di pace,
di solitudine, di speranza ed i
suoi abitanti portano nel volto e
nel comportamento i segni vivi
della fede cristiana, della carità
cristiana, della speranza cristiana.
Io non la dimenticherò mai. Nel
1943, in casa Mazzei, per tre mesi
vi trascorsi un periodo di vita ricco di preghiera e fecondo di attesa. Sono grato al Signore per
avermi fatto conoscere questa
“piccola città” che è una fonte vera di pace e di bene».
La messa festiva a Fonterutoli è
ancora oggi molto frequentata. Al
tempo di Giorgio tutti andavano
alla messa. Sono ancora in tanti,
con qualche assenza di persone
arrivate negli ultimi tempi. Ma
Fonterutoli è rimasta una «piccola città che è una fonte di pace e
di bene» e tutto il paese è ancora
la casa del «sindaco santo».
sussidiarietà, pone molto in alto il
dibattito sulla fede.
Questa lettura permanente del
Concilio è una delle grandi sfide dei
cinquant’anni trascorsi e delle crisi
che la Chiesa può ancora attraversare negli anni a venire. Ma ognuno sa
che nessun concilio, neanche quello
di Trento, ha portato frutto dall’oggi
al domani. Il Concilio tridentino è
stato attuato dai gesuiti, il concilio
Vaticano II sarà realizzato dalla parola, dal legame più capzioso tra gli
esseri umani.
Pubblicando la sua prima enciclica, il 25 dicembre 2005, Benedetto
XVI ha fortemente insistito sull’esigenza dell’amore umano nell’accettazione
del
passaggio
graduale
dall’èros all’agàpe. Giovanni Paolo II
già aveva sollecitato una catechesi
del corpo della quale si apprestava a
fare un libro al momento della sua
elezione nel 1978. Del corpo non si
tratta nei sedici documenti conciliari,
per tanto che si sappia. Ma questi
due Papi hanno ricordato — e Giovanni Paolo II con la sua morte eroica e la sua beatificazione — che se
«Dio ha bisogno degli uomini» (dal
libro di Henri Queffélec, Un recteur
de l’Ile de Sein, 1944), gli uomini
hanno bisogno di Dio e che il corpo
La celebrazione a San Paolo fuori le Mura al termine della quale Roncalli annunciò il Concilio
è una persona (Dignitatis Humanae,
Splendor Veritatis).
Il Vaticano II non rappresentò gli
1965, che avvenne nella gioia e vanni XXIII se fosse vissuto più a Stati Generali della Chiesa per una
nell’esuberanza, allo stesso tempo lungo? — delle indignazioni forsen- semplice ragione: gli Stati Generali
straziò i cuori e alleviò gli spiriti.
nate, come per la Humanae vitae, o di Francia si nutrirono di lamentele,
Disattesa fu la speranza, forte- dei malintesi, come per i discorsi di contenute nei cahiers de doléances
mente delusa, presso un’opinione Benedetto XVI nel corso del suo mentre la fase preparatoria del Conpubblica impaziente di una sorta di viaggio in Africa e a Ratisbona. Il cilio, al contrario, prese in carico
libertà morale della quale la crisi del Sinodo del 1985, per commemorare suggerimenti, voti, proposizioni, tut1968 fu l’effetto, coincidente con a Roma il ventesimo anniversario ti costruttivi, spesso in occasione di
l’audace enciclica Humanae vitae, della fine del Concilio, non ebbe assemblee alle quali partecipavano
decisa e pubblicata il 25 luglio 1968. una grande riuscita. Il messaggio al dei laici. Il futuro cardinale Wojtyła
Il termine di «crisi» della Chiesa ap- mondo, anafora di quello del 1962, procedette a numerose riunioni per
pare nel 1970 per designare il Vatica- non ebbe alcun impatto. Il progetto preparare il famoso schema 13 (Gauno II sia come un fallimento, sia co- elaborato dal cardinale Lustiger vendium et spes). Ciascuno portò la sua
me una tappa verso un concilio ne giudicato troppo pessimista. Ma
pietra al restauro dell’edificio della
complementare: «Vaticano III» o
spettacolare fu la dichiarazione di Chiesa e a un’antropologia moderna,
«Laterano VI».
un vescovo africano che disse, in tenendo conto del progresso delle
Dopo Giovanni XXIII, quattro Papiedi, con forza poco comune: «Per scienze sociali e tecniche. Tenendo
pi «conciliari» ebbero il compito di
noi, Africani, il Vaticano II è Nicea». conto anche delle aspirazioni del
mantenere la speranza e di declinare
«Popolo di Dio»: opera di
nel quotidiano un capitale spirituale
fiducia e non di doléance.
e pastorale senza precedenti: Paolo
«Il Vaticano II per noi è Nicea»
È su questi vota, a partire
VI da martire, Giovanni Paolo I con
dai quali i primi schemi e i
esclamò un vescovo africano
il suo folgorante passaggio di testisuccessivi testi sono stati dimone, Giovanni Paolo II come pellea Roma nel 1985
scussi e votati, e sull’espegrino della fede e Benedetto XVI corienza dei Padri, che il Connel corso del ventesimo anniversario
me ermeneuta della ricchezza del
vegno organizzato dal PontiConcilio al di là dei suoi errori di
della chiusura dei lavori
ficio Comitato di Scienze
applicazione storicizzabili. Al di là
Storiche intende basarsi per
della liturgia e della questione del
cristianesimo in Europa, la catechesi Questa affermazione, che lasciò stu- uno studio minuzioso del consensus
pefatta
l’assemblea,
riassumeva
tutta
Ecclesiae
del quale l’elaborazione fu
del Vaticano II fu l’opera dei Papi
dinanzi a un popolo di laici che del l’opera di fede sotterranea che il progressiva e sottoposta alla prova
Concilio prende ancora in considera- Concilio operava in continenti nei del tempo senza nulla cambiare
zione solo la parte ecclesiale, antro- quali la sua opera costituiva il sor- all’ispirazione del 1959.
pologica e sociologica in luogo del passo di un catechismo tradizionale.
A tale scopo, il Pontificio Comitaprogramma completo del Concilio Non si può sottovalutare la grande to di Scienze Storiche ha promosso
così come proposto nel 1962. All’im- invenzione delle Giornate Mondiali una ricerca, in collaborazione con il
pazienza del viaggiatore che non tol- della Gioventù (JMJ) di Giovanni Centro Studi e Ricerche «Concilio
lera più di due ore di un tragitto che Paolo II che ha creato una genera- Vaticano II» della Pontificia Universi faceva prima in ventiquattro ore, il zione di giovani «JMJisti». Grazie sità Lateranense, sugli archivi dei
dramma del Vaticano II è quello di alla sua capillarità, la fede infusa Padri del Concilio. Un primo conveessere appesantito da un’instancabile nell’animo della gioventù dell’Euro- gno internazionale si terrà a Roma
impazienza da parte di coloro che
pa dell’Est contribuì alla caduta del dal 3 al 6 ottobre 2012 per fare il
hanno la missione di viverlo o il domuro di Berlino nel 1989.
punto sulla documentazione prodotvere di rispettarlo. La speranza è
La complessità del Vaticano II nel- ta dai vescovi, al fine di meglio comsempre un indomani, è la grande lela sua lettura corrisponde alla dina- prendere come essi hanno vissuto il
zione dell’opera conciliare.
costante
del
commento Concilio. Un altro, grande convegno
Un detto popolare vuole che «i mica
bambini crescano di notte». La fede dell’opera conciliare alla quale si de- avrà luogo nel 2015 per il cinquanteimmutabile illuminata dal Vaticano dicano sia i Pontefici romani che i simo anniversario della fine del Conteologi. Lo spazio concesso alla pa- cilio: fare il bilancio dei lavori e vaII nel mondo moderno cresce da cinquant’anni nella notte profonda del- rola nella liturgia, che va di pari pas- lutare il peso del Vaticano II nella
le Scuole — cosa avrebbe fatto Gio- so con i principi di collegialità e di storia.
Nuova tappa della mostra dopo la Reggia della Venaria Reale
«La Bella Italia» arriva a Palazzo Pitti
Nel centocinquantesimo anniversario
della unificazione, «La Bella Italia»
segue le sue capitali. E così dopo
Torino, la mostra dedicata al «più
bel paese del mondo» (come l’ebbe
a definire Stendhal) arriva a Firenze,
seconda capitale del nuovo Regno.
Dopo la Reggia della Venaria
Reale, dall’11 ottobre (e fino al prossimo 12 febbraio) è dunque Palazzo
Giovanni Signorini, Veduta della Piazza Santa Croce a Firenze nell’occasione del carnevale (1846)
Pitti a ospitare le oltre trecento opere in mostra, per una superficie allestita di duemila metri quadrati.
L’esposizione — divisa per sezioni
delle città capitali preunitarie che
ospitano dipinti, sculture e manufatti — celebra la grandezza storica,
culturale, artistica e letteraria di tutti
i territori che andarono a comporre
la nuova nazione.
«L’Italia unita dalle scelte culturali quali la lingua e l’arte ben prima
che dai processi politici, l’Italia descritta nelle sue eccellenze artistiche
da Giorgio Vasari e dagli storiografi
dell’arte suoi epigoni, l’Italia migliore, quella delle migliaia di musei
all’ombra delle centinaia di campanili, con questa mostra svela in un colpo solo i segreti della sua inesauribile attrattiva». Così afferma Cristina
Acidini che — insieme con Antonio
Paolucci — dell’esposizione è la curatrice.
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 10-11 ottobre 2011
pagina 5
Anche Albert Einstein, Chaim Weizmann e Golda Meir tra i testimoni dell’«audace carità» di Papa Pacelli
Ma Pio XII evitò la trappola
dell’esibizionismo politico
Domenica 9 ottobre, in occasione
dell’anniversario della morte del venerabile Pio XII si è tenuta una solenne
concelebrazione eucaristica nella basilica
di San Pietro presieduta dal cardinale
arciprete della basilica Vaticana coadiuvato dal cardinale Salvatore De
Giorgi, arcivescovo emerito di Palermo.
Pubblichiamo uno stralcio dell’omelia
di ANGELO COMASTRI
l rifiuto di Dio comporta inesorabilmente uno svuotamento della vita, una mutilazione
di significato, per cui l’esistenza diventa banale, esposta ad ogni inganno e ad ogni schiavitù.
Chiediamoci: perché oggi c’è tanto nervosismo, tanta inquietudine,
tanta scontentezza? La risposta profonda è una sola: c’è una scontentezza diffusa perché manca Dio; tante
persone sembrano impazzite perché
hanno rifiutato Dio.
Geremia, mettendo a confronto la
festa Dio e la desolazione del peccato, esclama: «Inorridite! Essi hanno
abbandonato una sorgente di acqua
viva, per scavarsi cisterne screpolate
dove resta soltanto un po’ di acqua
putrida» (Geremia, 2,13).
Eppure accade così: è il mistero
del peccato, il mistero dell’orgoglio
che rende l’uomo cieco, folle ed infelice.
In modo particolare nel secolo
scorso si è consumato un tragico divorzio tra l’umanità e Dio: frutto
amaro sono le stragi inaudite della
seconda guerra mondiale e la comparsa degli infernali lager e gulag:
vergogna dell’umanità!
Pio XII, uomo di Dio, aveva capito tutto questo e affrontò l’impazzimento del suo tempo con la terapia
della verità e con l’azione coraggiosa
della carità. E, a onor del vero, il silenzio non ci fu e la carità non ebbe
confini.
Osserva il cardinale José SaraivaMartins: «Non solo il cardinal Pacelli aveva attivamente collaborato
alla stesura dell’Enciclica antinazista
Mit brendenner sorge di Pio XI, ma
anche nella sua prima enciclica da
Papa la Summi Pontificatus, Pio XII
fu talmente chiaro contro il nazismo
che Goebbels la definì molto aggressiva contro di noi, anche se nascostamente».
Ecco, infatti, il chiaro insegnamento di Pio XII: «Il momento in
cui vi giunge questa Nostra prima
enciclica è sotto più aspetti una vera
ora delle tenebre, in cui lo spirito
della violenza e della discordia versa
sull’umanità una sanguinosa coppa
di dolori senza nomi e i popoli, travolti nel tragico vortice della guerra,
sono forse ancora soltanto agli inizi
dei dolori, ma già in migliaia di famiglie regnano morte e desolazione,
lamento e miseria».
Per quel che concerneva la missione della Chiesa cattolica, Pio XII lucidamente affermava: «In mezzo a
questo mondo, che presenta oggi
uno stridente contrasto alla pace di
Cristo nel regno di Cristo, la Chiesa
e i suoi fedeli si trovano in tempi e
anni di prove, quali raramente si conobbero nella sua storia di lotte e
sofferenze; e con cuore straziato per
le sofferenze e i patimenti di tanti
suoi figli (...) la verità, che essa annunzia, e la carità, che insegna e
mette in opera, saranno gli insostituibili consiglieri e cooperatori degli
I
†
Il Presidente, il Segretario ed il Sottosefretario, insieme a tutti gli Officiali del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari
sono spiritualmente vicini alla signora
Emanuela Milana, Officiale del Dicastero
per la scomparsa del papà,
SIG. PIETRO MILANA
In questo particolare momento in cui
solo la Fede ci è di conforto e sostegno,
assicuriamo le nostre preghiere a suffragio
della benedetta anima, certi della Resurrezione finale.
uomini di buona volontà nella ricostruzione di un nuovo mondo (...)
dopo che l’umanità, stanca di correre per le vie dell’errore, avrà assaporato gli amari frutti dell’odio e della
violenza».
Ed espressamente Pio XII, sempre
nella Summi Pontificatus, scrive: «Le
angustie del presente sono un’apologia del cristianesimo, che non potrebbe essere più impressionante.
Dal gigantesco vortice di errori e
movimenti anticristiani sono maturati frutti tanto amari da costituire una
condanna, la cui efficacia supera
ogni confutazione teorica».
Secondo il Pontefice, tra i molteplici errori di quel momento, due
erano da considerare come i maggiori responsabili delle tensioni tra i
popoli e tra le nazioni: il razzismo e
la statolatria. Non si poteva essere
più chiari
Da sottolineare anche è la illuminata e audace carità di Pio XII verso
gli ebrei. Mi limito a citare alcune
testimonianze che vengono dal versante stesso del popolo ebraico e,
pertanto, sono imparziali.
Durante la seconda guerra mondiale l’ebreo più noto e più autorevole era Albert Einstein. Ebbene,
proprio Einstein nel dicembre 1940
sul «Time Magazine» rilasciò questa
dichiarazione: «Essendo un amante
della libertà, quando avvenne la rivoluzione in Germania (l’avvento di
Hitler) guardai con fiducia alle uni-
versità sapendo che queste si erano
sempre vantate della loro devozione
alla causa della verità. Ma le università vennero zittite. Allora guardai ai
grandi direttori dei quotidiani, che
in ardenti editoriali proclamano il
loro amore per la libertà. Ma anche
loro, come le università, vennero ridotti al silenzio, soffocati nell’arco
di poche settimane. Soltanto la
Chiesa si oppose pienamente alla
campagna di Hitler mirante a sopprimere la verità. Non avevo mai
avuto un interesse particolare per la
Chiesa, ma ora sento per essa grande amore e ammirazione, perché soltanto la Chiesa ha avuto il coraggio
e la perseveranza di difendere la libertà intellettuale e la libertà morale.
Devo confessare che ciò che prima
avevo disprezzato, ora lodo incondizionatamente». A capo della Chiesa
cattolica c’era allora Pio XII.
Le testimonianze, dopo la guerra,
si susseguirono ininterrotte e tutte di
altissimo livello. Il rabbino capo della comunità israelitica di Roma, Elio
Toaff, nel 1958 in occasione della
morte di Pio XII, disse apertamente:
«Più di ogni altro ho avuto occasione di sperimentare la grande magnanimità del Papa Pio XII durante gli
anni infelici della persecuzione e del
terrore, quando sembrava che per
noi non ci fosse più alcuno scampo». E il 9 ottobre dello stesso anno
1958, il ministro degli Esteri di Israele, signora Golda Meir, commemo-
rando all’Onu il Pontefice defunto,
lo ringraziò pubblicamente «per
aver alzato la sua voce in favore degli ebrei». E aggiunse: «La vita del
nostro tempo è stata arricchita da
una voce che esprimeva le grandi verità morali al di sopra del tumulto
dei conflitti quotidiani. Noi piangiamo un grande servitore della pace».
Non solo. Nel 1943 Chaim Weizmann, che sarebbe divenuto il primo
presidente di Israele, scrisse che «la
Santa Sede sta fornendo il suo potente aiuto dovunque le sia possibile, per mitigare la triste sorte dei
miei correligionari perseguitati».
Moshe Sharett, secondo primo ministro di Israele, incontrò Pio XII negli
ultimi giorni di guerra e dichiarò
che «il mio primo dovere era, a nome del popolo ebraico, ringraziare
lui e, per suo tramite, la Chiesa cattolica, per tutto quello che avevano
fatto nei vari paesi per salvare gli
ebrei».
Nel mese di maggio del 1963, dopo la rappresentazione dell’opera di
Rolf Hochhuth, l’allora cardinal
Giovanni Battista Montini, che fu
collaboratore e testimone dell’impegno infaticabile di Pio XII durante la
seconda guerra mondiale, alla rivista
cattolica inglese «The Tablet» dichiarò: «Se, per ipotesi, Pio XII
avesse fatto ciò che Hochhuth gli
rimprovera di non aver fatto, sarebbero accadute tali rappresaglie e tali
rovine che, a guerra finita, lo stesso
Il sorriso cordiale di Papa Pacelli durante un’udienza
Hochhuth, con migliore valutazione
storica, politica e morale, avrebbe
potuto scrivere un altro dramma,
molto più realistico e più interessante, quello che ha così bravamente, ma così infelicemente, messo in
scena, il dramma cioè dello Stellvertreter, che per esibizionismo politico
o per inavvedutezza psicologica,
avrebbe la colpa di aver fatto scatenare sul mondo, già tanto tormentato, una più vasta rovina a danno
non tanto proprio, ma quanto a carico di innumerevoli vittime innocenti».
Suonano, a questo punto, veramente e onestamente profetiche le
parole pronunciate dal beato Giovanni Paolo II a Gerusalemme
nell’anno 2000, quando visitò il
mausoleo di Yad Vashem, cioè il
monumento alla memoria delle vittime del nazismo. Disse il Papa: «Costruiamo un futuro nuovo nel quale
non vi siano più sentimenti antiebraici tra i cristiani e sentimenti anticristiani tra gli ebrei, ma piuttosto il
reciproco rispetto». A gloria di Dio,
che è somma Verità.
Il cardinale Michele Pellegrino a venticinque anni dalla morte
Giustizia e verità secondo lo stile dei Padri
A venticinque anni dalla morte del
cardinale Michele Pellegrino lunedì
10 ottobre si tiene a Torino una commemorazione alla quale interverranno
tra gli altri l’arcivescovo di Torino
Cesare Nosiglia e il vescovo emerito
di Acqui Livio Maritano. Anticipiamo alcuni stralci di uno degli interventi.
di PAOLO SINISCALCO
Se si volesse compendiare in breve
il percorso di studi e pubblicazioni
compiuti da Michele Pellegrino in
oltre venti anni di intensa attività
scientifica si potrebbero indicare
alcune grandi linee di fondo. I
rapporti dei Padri con la Sacra
Scrittura e quindi con la loro opera esegetica davvero imponente, il
confronto tra la letteratura cristiana antica e le letterature classiche,
e quindi il delinearsi di una cultura ispirata dal cristianesimo, il carattere dell’apologetica più antica,
lo sviluppo di una teologia del
martirio sono temi sui quali si è
esercitata l’intelligenza filologica,
letteraria e storica di Michele Pellegrino Entro queste grandi linee si
colloca, come è naturale, una serie
nutrita di argomenti collegati. Ma
sarebbe una grave lacuna dimenticare la sua «passione» per il vesco-
vo di Ippona, sant’Agostino, sul
quale ha lasciato pagine di grande
profondità e luce. Egli ha davvero
intrattenuto un vero colloquio con
l’autore africano, un colloquio che,
cominciato da prete e da studioso,
ha continuato da pastore e vescovo. (...) Monsignor Pellegrino dice
che sant’Agostino è il suo maestro;
il consigliere delle sue iniziative
pastorali nello spirito del Concilio,
l’ispiratore dei suoi insegnamenti.
E quali? (...) Eccoli: il senso della
sintesi che unifica i diversi aspetti
del reale in un’unità di trascendenza, l’attenzione accentrata sull’uomo concreto, i suoi problemi, i
suoi drammi; il senso della storia,
tanto importante nella cultura contemporanea; il senso della Chiesa,
considerata come mistero, la sua
realtà esistenziale, senza dimenticare la struttura gerarchica, che
sant’Agostino illustra così vivacemente nelle sue controversie con i
donatisti. Infine il senso dell’interiorità:”non andare fuori, rientra in
te!”».Così Paolo VI.
I Padri dunque — innanzitutto il
vescovo di Ippona, ma non solo
lui — sono guida e luce sul cammino pastorale di Michele Pellegrino.
Del resto fin dal primo messaggio
inviato il 21 settembre 1965 al clero
e ai fedeli della Diocesi rievoca la
figura di san Massimo, vescovo di
Torino all’inizio del V secolo, di
cui è successore. E anche in quella
lettera dal titolo Camminare insieme. Linee programmatiche per una
pastorale della Chiesa torinese. frutto
di una ricerca e di una esperienza
comunitaria sofferta, ma certamente positiva. Una lettera che tante
critiche, insieme a tanti
plausi, ha suscitato, e
non solo a Torino, senza
che, in molti casi, se ne
sia colto lo spirito profondo che la anima da
un capo all’altro ed in
cui non mancano le citazioni dei Padri, da Massimo di Torino ad Agostino a Giovanni Crisostomo invocati, per sottolineare punti gravi e
seri del testo.
L’ispirazione patristica
rimane costante nella sua
predicazione e che si
univa alle frequenti citazioni dei documenti del
concilio Vaticano II, che
considerava punto di riferimento irrinunciabile
per la vita della Chiesa
nell’oggi. Dunque nei
suoi molteplici interventi
si riferiva molto spesso
ai Padri da lui tanto
amati, soprattutto perché
essi si erano fatti al loro tempo e
si facevano, per chi sapesse leggerli anche nell’oggi, tramite per
conoscere ed amare Gesù Cristo.
Del concilio Vaticano II nell’ultima sessione, egli pone in evidenza un’idea centrale, perennemente
valida, l’idea della comunione ecclesiale; un’idea collegata alla realtà dell’Eucarestia, così frequente e
viva nei Padri, un’idea da lui
espressa e vissuta nel suo ministero di pastore, «ben prima che l’affermazione sull’ecclesiologia del
Vaticano II come ecclesiologia di
comunione diventasse un adagio
universale».
Si sa che il motto episcopale da
lui scelto fu Evangelizzare pauperibus, desunto dal programma messianico di Gesù: per lui significò
portare la buona novella ai poveri,
certamente aiutarli sul piano materiale, ma non meno annunciare
a loro il Regno di Dio, la salvezza
recata da Gesù. La sua azione, la
sua opera sembrò ad alcuni sconcertante e rivoluzionaria, ma in
realtà echeggiava una tradizione e
dei modelli molto antichi. A quella tradizione e a quei modelli antichi e venerandi s’ispiravano anche
certe sue richieste di maggiore libertà all’interno della Chiesa, di
rivalutazione del ruolo della donna e dei laici nell’opera di evangelizzazione, di alleviamento di certi
pesi divenuti anacronistici.
In proposito si sa della franchezza, della forza, del coraggio
con cui il vescovo di Torino parlava, della sua parresìa. Ma come, a
mio parere, è stato bene osservato,
così faceva perché «amava le ammonizioni profetiche dei Padri, soprattutto di Giovanni Crisostomo,
di Basilio, di Ambrogio in difesa
del povero, in vista della prassi di
giustizia e di condivisione dei beni
nella comunità cristiana contro
l’egoismo dei ricchi e il dominio di
chi misconosce la giustizia e non
sa cosa vuol dire la legalità».
Nel Capodanno del 1977, al termine della concelebrazione eucaristica nel Duomo della città, il cardinale stesso annunciò di avere
chiesto al Papa di esonerarlo dal
suo ufficio per le malferme condizioni di salute.
Dopo il 1° gennaio 1978 l’arcivescovo continuò nella sua attività,
né gli mancarono, come negli anni
precedenti, difficoltà, amarezze, ma
pure gioie nel governo della diocesi.
Nel marzo, nel quadro delle
Conferenze quaresimali, proposte
dalla Facoltà teologica, svolse un
tema sul futuro della Chiesa. E,
per rispondere, riprese un pensiero
di san Massimo di Torino che già
si poneva il medesimo quesito dinanzi alle invasioni barbariche interpretate come segni premonitori
della fine del mondo. Qui come in
altre successive occasioni, egli ribadì costantemente e frequentemente
la sua linea di fedeltà assoluta a
Cristo e agli uomini, di scelta di
povertà, in un mondo in cui le disuguaglianze sono troppo stridenti,
di rinuncia a ogni egoismo personale, di accettazione della povertà
per amore degli altri.
Alla fine di luglio giunse la notizia che Paolo VI aveva accettato le
sue dimissioni e il 1° agosto nella
chiesa della Consolata, da sempre
meta venerata e centro vivo dei
cattolici torinesi, egli annunciò che
il Santo Padre aveva chiamato a
guidare la diocesi Atanasio Alberto
Ballestrero.
Fin da quei giorni aveva scelto,
lasciato il Palazzo arcivescovile, di
andare ad abitare in una parrocchia di un piccolo paesino delle
Valli di Lanzo, non lontano da Torino, Vallo Torinese. Il parroco
don Vincenzo Chiarle, l’aveva invitato a trasferirsi nella casa parrocchiale. E là lo accolse con bontà,
con calore, con cordialità; e là rimase come «viceparroco» o «parrocchiano» di Vallo, come era solito definirsi con una punta di humour, che molto spesso distingueva
la sua conversazione; e là continuò
o, sarebbe meglio dire, riprese più
intensamente che mai la sua attività di studioso tra libri e riviste che
colmavano scaffali lunghi molti e
molti metri (stava lavorando sui
Sermoni di sant’ Agostino). E di là
partì spesso per rispondere ai numerosi inviti che gli pervenivano,
per tenere conferenze e lezioni o
per animare incontri o per soddisfare agli impegni del suo cardinalato. Così nel 1978 partecipò a un
primo conclave, che vide l’elezione
di Albino Luciani, Giovanni Paolo
I e poi al secondo, che elesse Karol
Wojtyła, Giovanni Paolo II, che
con lui nel 1967 era stato creato
cardinale da Paolo VI.
Il 7 gennaio del 1982 celebrò a
Vallo la messa che doveva essere
l’ultima. Il giorno successivo fu
colpito da ictus cerebrale che lo paralizzò e gli impedì interamente
l’uso della parola.
Nell’ultima omelia, commentando il passo della prima lettera di
Giovanni, in cui si dice che «tutto
ciò che è dato da Dio vince il
mondo e questa è la vittoria che ha
sconfitto il mondo: la nostra fede»,
aveva osservato che quel linguaggio suona strano agli occhi del
mondo. Gesù voleva dire: «Io ho
vinto il mondo con la Croce; sembra che sia sconfitto, in realtà è la
mia croce quella che porta al mondo la salvezza»; e osservava come
nella resurrezione, la salvezza si sarebbe manifestata in modo palese).
Poi dopo avere ricordato la morte
di Oscar Romero, ucciso brutalmente mentre celebrava la Messa,
era andato con il pensiero agli Atti
dei martiri antichi, un cui si leggono racconti precisi ed affidabili, secondo i quali i martiri andavano al
supplizio lieti, sicuri di avere vinto
il mondo, per avere mantenuto la
fede e avere data la loro testimonianza a Cristo. E concludeva:
quello che veramente conta è la fede che si traduce nell’amore e nella
coerenza di tutta una vita.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
lunedì-martedì 10-11 ottobre 2011
L’omelia durante la messa a Lamezia Terme
La cura dell’altro e del bene pubblico
Le risorse della fede e delle capacità umane per rispondere alle emergenze della disoccupazione e della criminalità organizzata
Non cedere alla tentazione del
pessimismo di fronte a comportamenti
destabilizzanti e all’efferatezza della
criminalità, ma costruire una nuova
generazione di uomini e di donne
capaci di promuovere «non interessi di
parte ma il bene comune». È l’invito
del Papa alla Calabria per costruire
un futuro nuovo. Benedetto XVI lo ha
affidato ai fedeli riuniti domenica
mattina, 9 ottobre, nella zona
cosiddetta ex-Sir, alla periferia
industriale di Lamezia Terme, durante
la celebrazione della messa con la quale
è iniziata la sua prima visita pastorale
in Calabria. Questo il testo dell’omelia
pronunciata dal Pontefice.
Cari fratelli e sorelle!
È grande la mia gioia nel poter
spezzare con voi il pane della Parola
di Dio e dell’Eucaristia. Sono lieto
di essere per la prima volta qui in
Calabria e di trovarmi in questa Città di Lamezia Terme. Porgo il mio
cordiale saluto a tutti voi che siete
accorsi così numerosi e vi ringrazio
per la vostra calorosa accoglienza!
Saluto in particolare il vostro Pastore, Mons. Luigi Antonio Cantafora,
e lo ringrazio per le cortesi espressioni di benvenuto che mi ha rivolto
a nome di tutti. Saluto anche gli Arcivescovi e i Vescovi presenti, i Sacerdoti, i Religiosi e le Religiose, i
rappresentanti delle Associazioni e
dei Movimenti ecclesiali. Rivolgo un
deferente pensiero al Sindaco, Prof.
Gianni Speranza, grato per il cortese
indirizzo di saluto, al Rappresentante del Governo ed alle Autorità civili
e militari, che con la loro presenza
hanno voluto onorare questo nostro
incontro. Un ringraziamento speciale a quanti hanno generosamente
collaborato alla realizzazione della
mia Visita Pastorale.
La liturgia di questa domenica ci
propone una parabola che parla di
un banchetto di nozze a cui molti
sono invitati. La prima lettura, tratta
dal libro di Isaia, prepara questo tema, perché parla del banchetto di
Dio. È un’immagine — quella del
banchetto — usata spesso nelle Scritture per indicare la gioia nella comunione e nell’abbondanza dei doni
del Signore, e lascia intuire qualcosa
della festa di Dio con l’umanità, come descrive Isaia: «Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di
grasse vivande... di vini eccellenti, di
cibi succulenti, di vini raffinati» (Is
Il benvenuto del sindaco
Per un futuro
libero da ricatti e paure
«Basta con la mafia». È con parole
forti che il sindaco Gianni Speranza ha presentato al Papa, prima
della messa, la realtà di Lamezia
Terme, ringraziandolo per una visita che dà «coraggio e voce a tutti
coloro che ne hanno bisogno, a chi
soffre» e soprattutto ai giovani che
«hanno bisogno di essere incoraggiati per costruire il loro futuro liberi dalle mafie, dai ricatti e dalle
paure».
Al Pontefice, il sindaco ha assicurato che comunque tra la gente
non c’è rassegnazione ma la certezza che «il cambiamento è indispensabile e possibile» e che «ognuno
di noi è chiamato a un esame di
coscienza».
«Noi non possiamo accettare —
ha affermato — che nella nostra terra si rafforzi il dominio dei poteri
criminali, l’impresa buona sia scacciata da quella cattiva e inquinata,
il capitale illegale si sostituisca a
quello legale, i nostri giovani non
abbiano lavoro e prospettiva e siano costretti ad andare via e persino
tanti sacerdoti vengano minacciati».
«È terribile — ha detto il sindaco
— che per un lavoro totalmente in
nero e sottopagato si debba morire
tragicamente come è successo per
le operaie di Barletta. Non vogliamo essere una terra amara ma una
terra di libertà per le donne, che
qui incontrano più ostacoli e difficoltà, per gli uomini di oggi, per i
nostri figli». Quindi, in accordo
con altri sindaci della zona, ha rivolto un pensiero a Francesco Azzarà, calabrese rapito in Darfur
«nell’auspicio che possa tornare
presto tra noi»
La Calabria è certo «una terra di
sofferenza». Ma non solo. È infatti
una terra «di straordinarie bellezze,
di enormi potenzialità e risorse, di
grandi talenti ma, al tempo stesso,
di inaccettabile disoccupazione, di
drammatiche ingiustizie e violenze.
Di antiche e ininterrotte emigrazioni in tutti i continenti. Terra di accoglienza, porta del Mediterraneo
e rifugio di moltitudini in disperata
fuga. Quest’area, che abbiamo attrezzato per oggi, è anch’essa segno delle nostre laceranti contraddizioni. Grandi speranze e terribili
delusioni si sono alternate. Abbia-
mo aspettato invano il lavoro e
l’industria. Invece solo spreco di
denaro pubblico. Come tante, troppe volte nel Mezzogiorno. Ma qui,
nella più estesa area industriale del
sud, diversi imprenditori hanno
realizzato iniziative serie e robuste
e ci può essere ancora un’occasione
concreta di futuro».
«Lamezia — ha proseguito — è
giovane ma con radici antiche. Ha
visto fiorire nella sua comunità tante preziose iniziative di volontariato e solidarietà, anche con grande
impegno della Chiesa locale. È una
città inclusiva che non ha mai dimenticato i più bisognosi e le persone in difficoltà. Che ha affrontato momento durissimi e che ha ancora aperta la ferita del 5 dicembre
scorso: la tragedia della morte di
otto ciclisti nostri concittadini. Una
grande tragedia».
In questo contesto la visita del
Papa, ha detto il sindaco, lascerà
«una traccia indelebile nel cuore di
ognuno di noi». Le sue parole
«scuotono profondamente gli animi e squarciano la realtà». È già
avvenuto con l’invito a servire il diritto e combattere il dominio
dell’ingiustizia, nel discorso al Parlamento tedesco. E con l’auspicio
di un rinnovamento etico per l’Italia e di una profonda rigenerazione
dell’etica e della vita pubblica, nel
telegramma inviato al presidente
della Repubblica italiana, Napolitano, in occasione del viaggio in
Germania. Il sindaco ha anche ricordato l’esortazione di Giovanni
Paolo II ai calabresi, il 5 ottobre
1984, a farsi animo e ad aver fiducia in un «domani migliore».
Come «segno di affetto» il sindaco ha donato a Benedetto XVI
l’atto del comune che «concede il
terreno sul quale potrà sorgere nella nostra città la nuova chiesa di
San Benedetto. Nove secoli fa, infatti, nella nostra piana sorgeva
l’abbazia benedettina di Santa Maria, un grande centro di vita spirituale e culturale». Un contributo
importante perché «la Calabria nei
prossimi anni possa essere all’altezza dei sogni e delle preghiere del
suo popolo, nel solco della carità
umile e tenace di san Francesco di
Paola».
25, 6). Il profeta aggiunge che l’intenzione di Dio è di porre fine alla
tristezza e alla vergogna; vuole che
tutti gli uomini vivano felici
nell’amore verso di Lui e nella comunione reciproca; il suo progetto
allora è di eliminare la morte per
sempre, di asciugare le lacrime su
ogni volto, di far scomparire la condizione disonorevole del suo popolo,
come abbiamo ascoltato (vv. 7-8).
Tutto questo suscita profonda gratitudine e speranza: «Ecco il nostro
Dio, in lui abbiamo sperato perché
ci salvasse; questi è il Signore in cui
abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza» (v. 9).
Gesù nel Vangelo ci parla della risposta che viene data all’invito di
Dio — rappresentato da un re — a
partecipare a questo suo banchetto
(cfr. Mt 22, 1-14). Gli invitati sono
molti, ma avviene qualcosa di inaspettato: si rifiutano di partecipare
alla festa, hanno altro da fare; anzi
alcuni mostrano di disprezzare l’invito. Dio è generoso verso di noi, ci
offre la sua amicizia, i suoi doni, la
sua gioia, ma spesso noi non accogliamo le sue parole, mostriamo più
interesse per altre cose, mettiamo al
primo posto le nostre preoccupazioni materiali, i nostri interessi. L’invito del re incontra addirittura reazioni ostili, aggressive. Ma ciò non frena la sua generosità. Egli non si scoraggia, e manda i suoi servi ad invitare molte altre persone. Il rifiuto
dei primi invitati ha come effetto
l’estensione dell’invito a tutti, anche
ai più poveri, abbandonati e diseredati. I servi radunano tutti quelli
che trovano, e la sala si riempie: la
bontà del re non ha confini e a tutti
è data la possibilità di rispondere alla sua chiamata. Ma c’è una condizione per restare a questo banchetto
di nozze: indossare l’abito nuziale.
Ed entrando nella sala, il re scorge
qualcuno che non l’ha voluto indossare e, per questa ragione, viene
escluso dalla festa. Vorrei fermarmi
un momento su questo punto con
una domanda: come mai questo
commensale ha accettato l’invito del
re, è entrato nella sala del banchetto,
gli è stata aperta la porta, ma non
ha messo l’abito nuziale? Cos’è quest’abito nuziale? Nella Messa in Coena Domini di quest’anno ho fatto riferimento a un bel commento di san
Gregorio Magno a questa parabola.
Egli spiega che quel commensale ha
risposto all’invito di Dio a partecipare al suo banchetto, ha, in un certo
modo, la fede che gli ha aperto la
porta della sala, ma gli manca qualcosa di essenziale: la veste nuziale,
che è la carità, l’amore. E san Gregorio aggiunge: «Ognuno di voi,
dunque, che nella Chiesa ha fede in
Dio ha già preso parte al banchetto
di nozze, ma non può dire di avere
la veste nuziale se non custodisce la
grazia della Carità» (Homilia 38, 9:
PL 76, 1287). E questa veste è intessuta simbolicamente di due legni,
uno in alto e l’altro in basso: l’amore
di Dio e l’amore del prossimo (cfr.
ibid., 10: PL 76, 1288). Tutti noi siamo invitati ad essere commensali del
Signore, ad entrare con la fede al
suo banchetto, ma dobbiamo indossare e custodire l’abito nuziale, la carità, vivere un profondo amore a Dio
e al prossimo.
Cari fratelli e sorelle! Sono venuto
per condividere con voi gioie e speranze, fatiche e impegni, ideali e
aspirazioni di questa comunità diocesana. So che vi siete preparati a
questa Visita con un intenso cammino spirituale, adottando come motto
un versetto degli Atti degli Apostoli:
«Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!» (3, 6). So che anche a Lamezia Terme, come in tutta
la Calabria, non mancano difficoltà,
problemi e preoccupazioni. Se osserviamo questa bella regione, riconosciamo in essa una terra sismica non
solo dal punto di vista geologico,
ma anche da un punto di vista strutturale, comportamentale e sociale;
una terra, cioè, dove i problemi si
presentano in forme acute e destabilizzanti; una terra dove la disoccupazione è preoccupante, dove una criminalità spesso efferata, ferisce il tessuto sociale, una terra in cui si ha la
continua sensazione di essere in
emergenza. All’emergenza, voi calabresi avete saputo rispondere con
una prontezza e una disponibilità
sorprendenti, con una straordinaria
capacità di adattamento al disagio.
Sono certo che saprete superare le
difficoltà di oggi per preparare un
futuro migliore. Non cedete mai alla
tentazione del pessimismo e del ripiegamento su voi stessi. Fate appello alle risorse della vostra fede e delle vostre capacità umane; sforzatevi
di crescere nella capacità di collaborare, di prendersi cura dell’altro e di
ogni bene pubblico, custodite l’abito
nuziale dell’amore; perseverate nella
testimonianza dei valori umani e cristiani così profondamente radicati
nella fede e nella storia di questo
territorio e della sua popolazione.
Cari amici! La mia visita si colloca
quasi al termine del cammino avviato da questa Chiesa locale con la redazione del progetto pastorale quinquennale. Desidero ringraziare con
voi il Signore per il proficuo cammino percorso e per i tanti germi di
bene seminati, che lasciano ben sperare per il futuro. Per fare fronte alla
nuova realtà sociale e religiosa, di-
versa dal passato, forse più carica di
difficoltà, ma anche più ricca di potenzialità, è necessario un lavoro pastorale moderno e organico che impegni attorno al Vescovo tutte le forze cristiane: sacerdoti, religiosi e laici, animati dal comune impegno di
evangelizzazione. A questo riguardo,
ho appreso con favore dello sforzo
in atto per mettersi in ascolto attento e perseverante della Parola di
Dio, attraverso la promozione di incontri mensili in diversi centri della
Diocesi e la diffusione della pratica
della Lectio divina. Altrettanto opportuna è anche la Scuola di Dottrina Sociale della Chiesa, sia per la
qualità articolata della proposta, sia
per la sua capillare divulgazione.
Auspico vivamente che da tali iniziative scaturisca una nuova generazione di uomini e donne capaci di promuovere non tanto interessi di parte,
ma il bene comune. Desidero anche
incoraggiare e benedire gli sforzi di
quanti, sacerdoti e laici, sono impegnati nella formazione delle coppie
cristiane al matrimonio e alla famiglia, al fine di dare una risposta
evangelica e competente alle tante
sfide contemporanee nel campo della famiglia e della vita.
Conosco, poi, lo zelo e la dedizione con cui i Sacerdoti svolgono il loro servizio pastorale, come pure il sistematico ed incisivo lavoro di formazione a loro rivolto, in particolare
verso quelli più giovani. Cari Sacerdoti, vi esorto a radicare sempre più
la vostra vita spirituale nel Vangelo,
coltivando la vita interiore, un intenso rapporto con Dio e distaccandovi
con decisione da una certa mentalità
consumistica e mondana, che è una
tentazione ricorrente nella realtà in
cui viviamo. Imparate a crescere nella comunione tra di voi e con il Vescovo, tra voi e i fedeli laici, favorendo la stima e la collaborazione reciproche: da ciò ne verranno sicuramente molteplici benefici sia per la
vita delle parrocchie che per la stessa società civile. Sappiate valorizzare, con discernimento, secondo i noti
criteri di ecclesialità, i gruppi e movimenti: essi vanno bene integrati
all’interno della pastorale ordinaria
della diocesi e delle parrocchie, in
un profondo spirito di comunione.
A voi fedeli laici, giovani e famiglie, dico: non abbiate paura di vivere e testimoniare la fede nei vari ambiti della società, nelle molteplici situazioni dell’esistenza umana! Avete
tutti i motivi per mostrarvi forti, fiduciosi e coraggiosi, e questo grazie
alla luce della fede e alla forza della
carità. E quando doveste incontrare
l’opposizione del mondo, fate vostre
le parole dell’Apostolo: «Tutto posso
in colui che mi dà la forza» (Fil 4,
13). Così si sono comportati i Santi e
le Sante, fioriti, nel corso dei secoli,
in tutta la Calabria. Siano essi a custodirvi sempre uniti e ad alimentare
in ciascuno il desiderio di proclamare, con le parole e con le opere, la
presenza e l’amore di Cristo. La Madre di Dio, da voi tanta venerata, vi
assista e vi conduca alla profonda
conoscenza del suo Figlio. Amen!
Il saluto del vescovo Antonio Cantafora
Chiesa viva accanto al suo popolo
La gioia e le speranze della Chiesa lametina
sono state confidate al Papa dal vescovo di
Lamezia Terme, Luigi Antonio Cantafora.
«La notizia della sua visita — ha detto appena terminato il discorso del sindaco — ci ha
riempiti di stupore e gratitudine per essere
stati destinatari di tanta benevolenza».
«Questi sentimenti — ha aggiunto il presule — si sono accresciuti, nell’attesa di questo giorno, perché l’annuncio della sua visita
ha messo in moto la Chiesa e la società civile. E ora, Santità, siamo tutti intorno a lei: il
nostro cuore sussulta per la Sua presenza, il
nostro spirito attende la Sua parola».
Il vescovo ha parlato della Calabria come
«terra bella, terra ferita, talvolta rassegnata,
ma ricca di storia, di valori genuini, di sentimenti religiosi e di tanta gioventù». La presenza del Pontefice — ha detto — «ci unisce,
ci fa sentire popolo di Dio, fratelli perché figli dell’unico Padre».
Dopo aver ricordato il motto scelto per la
preparazione alla visita — «Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, cammina!» — monsignor Cantafora ha sottolineato: «Ora, lo
stesso successore di Pietro, è qui in mezzo a
noi per confermarci nella fede, per incoraggiarci nella speranza, per esortarci alla carità
che tutti siamo chiamati a esprimere tra noi
e anche nelle molteplici forme del vivere sociale. Santità, siamo assetati, affamati, desi-
derosi di ascoltare e ricevere da lei la Parola
di verità, la Parola che risolleva, rialza, fa rivivere. Siamo pronti ad ascoltare la Parola
generatrice della vera vita, poiché non vogliamo che il nostro popolo perisca per
mancanza di conoscenza».
«Oggi — ha proseguito — attendiamo il
suo autorevole incoraggiamento, la sua spinta, perché la nostra fede, purificata dal crogiolo della nostra storia, possa essere nel
presente sempre più luminosa e audace e la
nostra Chiesa sappia osare, perché innamorata di Cristo». La Calabria è un «territorio
già intriso di spiritualità grazie agli insediamenti monastici basiliani e, in tempi recenti,
simbolo di speranze di sviluppo economico
mai pienamente intrapreso e sostenuto». E
su questa terra «oggi celebriamo l’Eucaristia
con il Successore di Pietro. La promessa del
Signore, di essere con noi per sempre, si realizza. La gioia è al culmine! È una gioia che
viene dalla Pasqua di Cristo ed è simbolicamente rappresentata dal dono che la nostra
Chiesa le offre».
In conclusione il presule ha rinnovato la
riconoscenza a Benedetto XVI «per la sua
presenza in mezzo a noi, per la consolazione
e il conforto che la sua visita infonde nei nostri cuori e per lo slancio di fede che suscita
nelle nostre vite».
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 10-11 ottobre 2011
pagina 7
Con la popolazione all’arrivo a Serra San Bruno
Il monastero
modello per la società
A Serra San Bruno il Papa è
giunto nel pomeriggio di domenica 9
ottobre. Prima di visitare la certosa,
Benedetto XVI ha risposto con questo
discorso al saluto rivoltogli dal
sindaco.
Signor Sindaco,
Venerato Fratello nell’Episcopato,
distinte Autorità,
cari amici di Serra San Bruno!
L’Angelus al termine della messa a Lamezia Terme
Più attenzione
per il lavoro, gioventù e disabili
Al termine della celebrazione della
messa a Lamezia Terme, nella mattina
di domenica 9 ottobre, il Papa ha
recitato l’Angelus. Prima di pregare ha
proposto ai fedeli presenti la seguente
riflessione per invitare a riscoprire la
pratica del rosario.
Cari fratelli e sorelle,
mentre ci avviamo al termine della
nostra Celebrazione, ci rivolgiamo
con filiale devozione alla Vergine
Maria, che in questo mese di ottobre veneriamo in particolare col titolo di Regina del Santo Rosario.
So che diversi sono i Santuari mariani presenti in questa vostra terra,
e mi rallegro di sapere che qui in
Calabria è viva la pietà popolare. Vi
incoraggio a praticarla costantemente alla luce degli insegnamenti del
Concilio Vaticano II, della Sede
Apostolica e dei vostri Pastori. A
Maria affido con affetto la vostra
Comunità diocesana, perché cammini unita nella fede, nella speranza e
nella carità. Vi aiuti la Madre della
Chiesa ad avere sempre a cuore la
comunione ecclesiale e l’impegno
missionario. Sostenga i sacerdoti nel
loro ministero, aiuti i genitori e gli
insegnanti nel compito educativo,
conforti i malati e i sofferenti, conservi nei giovani un animo puro e
generoso. Invochiamo l’intercessione
di Maria anche per i problemi sociali più gravi di questo territorio e
dell’intera Calabria, specialmente
Benedetto
XVI
quelli del lavoro, della gioventù e
della tutela delle persone disabili,
che richiedono crescente attenzione
da parte di tutti, in particolare delle
Istituzioni. In comunione con i vostri Vescovi, esorto in particolare
voi, fedeli laici, a non far mancare il
vostro contributo di competenza e
di responsabilità per la costruzione
del bene comune.
Come sapete, oggi pomeriggio mi
recherò a Serra San Bruno per visitare la Certosa. San Bruno venne in
questa terra nove secoli fa, e ha lasciato un segno profondo con la
forza della sua fede. La fede dei
Santi rinnova il mondo! Con la stessa fede, anche voi, rinnovate oggi la
vostra, nostra amata Calabria!
tra i fedeli di Lamezia Terme
Quel gesto di solidarietà
dal nostro inviato NICOLA GORI
E alla fine ha offerto il pranzo ai
poveri assistiti dalla Caritas locale e
il dessert agli anziani malati ospiti
di alcune strutture assistenziali. Un
gesto, quello del Papa a conclusione
della visita a Lamezia Terme, che ha
assunto un valore soprattutto simbolico in una terra, la Calabria, che
ha un immenso bisogno di gesti
concreti di condivisione.
Poco prima il Papa aveva pregato
con il popolo di Lamezia Terme.
Aveva pregato secondo le intenzioni
che erano state in qualche modo
rappresentate dal primo cittadino e
dal vescovo della diocesi. Aveva paragonato la Calabria a un terreno sismico, per rendere bene l’idea dello
sconquasso che porta al suo tessuto
sociale il malaffare, quello che il sindaco non ha esitato a chiamare per
nome, la mafia. E aveva concluso
esortando i calabresi a prendere in
mano con coraggio il loro futuro,
senza lasciarsi abbattere dallo scoramento di fronte alle angherie dei
malavitosi. Cinquantamila fedeli,
nonostante il maltempo della notte
sulla città e proseguito a tratti in
giornata, si sono raccolti attorno
all’altare eretto nel cuore di una delle periferie più rappresentative di
Lamezia Terme, laddove una volta
si erigeva una fabbrica ormai chiusa.
C’erano gruppi di fedeli provenienti
dalle varie diocesi della Calabria e
anche dalle regioni vicine, oltre a responsabili di movimenti, associazioni laicali, parrocchie e congregazioni
religiose. Gli striscioni che tappezzavano la spianata segnavano come
su una cartina le varie località di
provenienza dei pellegrini, non solo
della Calabria, ma di tutto il Meridione d’Italia, tra cui: Palermo, Catania, Bari, Melfi, Potenza, Barletta,
Benevento, Napoli.
All’arrivo sul palco, il Papa ha
ascoltato le parole di benvenuto di
Gianni Speranza, il sindaco, che ha
richiesto un incoraggiamento contro
la criminalità, la mafia, la violenza.
Gli ha fatto eco il vescovo della diocesi, Luigi Antonio Cantafora, il
quale ha salutato il Pontefice a nome di tutti i fedeli. Il 1° ottobre il
presule, insieme con il presidente
del consorzio di sviluppo industriale, Luigi Muraca, aveva annunciato
che l’area industriale conosciuta con
il nome di consorzio ex-Sir dove è
stata celebrata la messa, verrà denominata «Area Benedetto XVI». Le
motivazioni sono quanto mai eloquenti: «per perpetuare nel tempo
quale esempio per le generazioni future, il ricordo di un uomo che,
nell’esercizio del proprio pontificato
ha tenacemente perseguito l’obiettivo del raggiungimento della pace
fra i popoli della terra, testimonando la presenza di Cristo soprattutto
fra gli umili e i bisognosi». E un’altra iniziativa che ricorderà la visita
del Papa a Lamezia Terme è stato il
dono di un terreno, concesso
dall’amministrazione comunale, sul
quale verrà costruita una nuova
chiesa cittadina dedicata a san Benedetto abate. Il nuovo edificio
vuole ricordare il Pontefice che ha
scelto il nome del patrono d’Europa
e ricordare, inoltre, che nove secoli
fa nella piana sorgeva l’abbazia benedettina di Santa Maria.
Una visita che rimarrà nella storia
lametina e per la quale si sono mobilitati in tanti per assicurarne una
buona riuscita. Basti pensare all’impegno nell’installazione del palco
dove è stata celebrata la messa, sormontato da una grande croce disegnata dal maestro Gerardo Sacco,
ispirata alla croce di Cortale, un
paese situato sull’istmo della Calabria, il punto più stretto tra i mari
Ionio e Tirreno.
Al termine della liturgia — diretta
da monsignor Guido Marini, maestro delle Celebrazioni Liturgiche
Pontificie — Antonetto, un ragazzo
di sedici anni — costretto su una sedia a rotelle, accompagnato da sua
madre, volontaria dell’Unitalsi — ha
presentato al Papa un ramoscello in
oro per farlo benedire. Il ramoscello, realizzato dall’orafo Gerardo
Sacco, verrà poi donato al santuario
della Madonna della Quercia di Visora, uno dei luoghi tradizionali di
pellegrinaggio mariano della zona,
sorto nel XVI secolo.
Insieme con Benedetto XVI hanno
concelebrato, oltre ai componenti
del seguito papale — gli arcivescovi
Giovanni Angelo Becciu, sostituto
della Segreteria di Stato, James Michael Harvey, prefetto della Casa
Pontificia, il vescovo Paolo De Nicolò, reggente della Prefettura della
Casa Pontificia, monsignor Georg
Gänswein, segretario particolare di
Benedetto XVI — il vescovo Cantafora, i presuli della Calabria e di alcune diocesi delle regioni limitrofe,
numerosi sacerdoti e religiosi. Alla
celebrazione erano presenti, tra gli
altri, Patrizio Polisca, medico personale del Pontefice, e il vice direttore
del nostro giornale. In onore di Benedetto XVI, che è il primo Papa dopo secoli a celebrare una messa a
Lamezia Terme — Giovanni Paolo II
nell’ottobre 1984 si limitò ad atterrare all’aeroporto locale — si sono esibiti trecento cantori e l’orchestra
musicale giovanile della Calabria,
che ha eseguito i canti liturgici.
Al termine della messa, in papamobile Benedetto XVI ha fatto il giro dell’area per salutare i fedeli, e si
è quindi diretto in città, dove lo attendevano migliaia di lametini in festa. Tutto il percorso è stato caratterizzato dalla presenza — ai lati delle
strade, per alcuni chilometri neanche transennati — di una folla composta e gioiosa. Molte persone sventolavano bandiere, fazzoletti, foulards, in particolare davanti alle parrocchie situate lungo il tragitto che
ha condotto il Papa in episcopio,
passando per le vie del centro storico di Nicastro, una delle tre località
che, insieme con Sant’Eufemia e
Sambiase, formano Lamezia Terme.
Ventimila bandierine bianche e gialle, i colori dello Stato della Città
del Vaticano, erano state donate per
l’occasione dalla diocesi di Palermo
che le aveva a sua volta utilizzate
nella visita papale dell’ottobre 2010.
Giunto in episcopio, il Papa ha
pranzato con i vescovi della Calabria. Verso le 16.30, il Pontefice ha
salutato gli organizzatori della visita
e ha raggiunto in papamobile lo stadio «Guido D’Ippolito», da dove è
partito in elicottero per Serra San
Bruno.
Il Papa era arrivato all’aeroporto
internazionale di Lamezia Terme
verso le 9.45, proveniente da Ciampino. Ad accoglierlo erano presenti,
tra gli altri, il vescovo Luigi Antonio Cantafora, l’onorevole Gianni
Letta, sottosegretario della Presidenza del Consiglio dei ministri dello
Stato italiano, Francesco Maria Greco, ambasciatore d’Italia presso la
Santa Sede, Giuseppe Scopelliti,
presidente della regione Calabria, il
sindaco della città.
Sono lieto di potervi incontrare,
prima di entrare nella Certosa, dove compirò la seconda parte di
questa mia Visita pastorale in Calabria. Vi saluto tutti con affetto e
vi ringrazio per la vostra calorosa
accoglienza; in particolare ringrazio l’Arcivescovo di CatanzaroSquillace, Mons. Vincenzo Bertolone, e il Sindaco, Dott. Bruno
Rosi, anche per le cortesi parole
che mi ha rivolto. È vero, due Visite ravvicinate del Successore di
Pietro sono un privilegio per la
vostra comunità civile. Ma soprattutto, come giustamente ha detto
ancora il Sindaco, grande privilegio è quello di avere nel vostro
territorio questa «cittadella» dello
spirito che è la Certosa. La presenza stessa della comunità monastica, con la sua lunga storia
che risale a San Bruno, costituisce
un costante richiamo a Dio,
un’apertura verso il Cielo e un invito a ricordare che siamo fratelli
in Cristo.
I monasteri hanno nel mondo
una funzione molto preziosa, direi
indispensabile. Se nel medioevo
essi sono stati centri di bonifica
dei territori paludosi, oggi servono
a «bonificare» l’ambiente in un
altro senso: a volte, infatti, il clima che si respira nelle nostre società non è salubre, è inquinato da
una mentalità che non è cristiana,
e nemmeno umana, perché dominata dagli interessi economici,
preoccupata soltanto delle cose
terrene e carente di una dimensione spirituale. In questo clima non
solo si emargina Dio, ma anche il
prossimo, e non ci si impegna per
il bene comune. Il monastero invece è modello di una società che
pone al centro Dio e la relazione
fraterna. Ne abbiamo tanto bisogno anche nel nostro tempo.
Cari amici di Serra San Bruno,
il privilegio di avere vicina la Certosa è per voi anche una responsabilità: fate tesoro della grande tradizione spirituale di questo luogo
e cercate di metterla in pratica
nella vita quotidiana. La Vergine
Maria e San Bruno vi proteggano
sempre. Di cuore benedico tutti
voi e le vostre famiglie.
Il saluto del sindaco
Sostenuti nel cammino
in un momento difficile
La grande eredità lasciata da san
Bruno e il perpetuarsi della sua
protezione attraverso la presenza
orante dei certosini sono i due
aspetti sottolineati dal sindaco Bruno Rosi nel discorso con il quale ha
accolto il Papa. «A salutarla e ringraziarla per la sua sensibilità per
avere fortemente voluto essere presente tra di noi — ha esordito — è la
città che a distanza di mille anni,
nonostante il continuo evolversi di
un mondo pieno di insidie di ogni
genere, soprattutto per i giovani, e
dove il consumismo spesso offusca
i valori dello spirito, continua a custodire gelosamente ed ancora intatto l’inestimabile patrimonio spirituale lasciato in eredità da san Bruno. Suo connazionale e fondatore
dell’Ordine Certosino, testimoniato
dalla Certosa — che rappresenta,
senza timore di smentita, l’eccellenza della Calabria — e, giorno dopo
giorno, portato avanti con grande
sacrificio e assoluta dedizione dai
padri certosini».
La visita del Pontefice, ha assicurato il sindaco, resterà «scolpita nei
secoli avvenire in maniera assoluta-
mente indelebile. Ciò è testimoniato dal fatto che, dopo solo appena
27 anni e 5 giorni la visita del beato
Giovanni Paolo II, che di per sé era
stato un evento eccezionale, un miracolo per Serra San Bruno, lei,
Santo Padre, suo successore, ha
sentito il bisogno di ripercorrere la
medesima strada».
«Con la consapevolezza che la
giornata odierna rappresenta un
nuovo impulso — ha concluso —
per rinvigorire e fortificare ancora
di più l’inestimabile patrimonio spirituale di cui questa città è fiera depositaria e beneficiaria, proprio grazie alla benevola intercessione di
San Bruno, siamo desiderosi di accogliere, Santità, la sua parola come
prezioso sostegno per il cammino
non sempre agevole che questa comunità e l’intera Calabria hanno
davanti in un momento così delicato. Ancora una volta grazie per aver
voluto farci dono della sua presenza
e per aver voluto certificare alla Calabria, all’Italia e al mondo intero
la presenza quotidiana di Dio in
questo luogo».
Il rito presieduto sabato pomeriggio dal cardinale Bertone nella basilica Vaticana
Ordinati i vescovi Sciacca e Adoukonou
All’altare della Cattedra, nella basilica di San Pietro, il
cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, ha conferito sabato pomeriggio, 8 ottobre, l’ordinazione episcopale ai monsignori Giuseppe Sciacca, segretario generale
del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, e
Barthélemy Adoukonou, segretario del Pontificio Consiglio della Cultura. Conconsacranti sono stati il cardinale
Gianfranco Ravasi e l’arcivescovo Giuseppe Bertello, rispettivamente presidente del dicastero per la cultura e
presidente del Governatorato. Hanno concelebrato otto
porporati e una quarantina di presuli, tra i quali gli arcivescovi Giovanni Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, e Dominique Mamberti, segretario per i
Rapporti con gli Stati. Hanno assistito al rito il decano
del Collegio cardinalizio Angelo Sodano, con altri dodici cardinali, numerosissimi arcivescovi, vescovi e prelati
della Curia Romana, con una folta rappresentanza del
Governatorato. Tra i presenti — oltre alla madre e alla
sorella di monsignor Sciacca, e ad alcuni familiari dei
due ordinandi — erano i comandanti del Corpo della
Gendarmeria Domenico Giani e della Guardia Svizzera
Pontificia Daniel Rudolf Anrig, il direttore e il vicedirettore del nostro giornale. Al termine della celebrazione,
diretta dal cerimoniere pontificio Guillermo Javier Karcher, i partecipanti si sono ritrovati al cortile della Pigna, dove hanno potuto salutare i due vescovi.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
lunedì-martedì 10-11 ottobre 2011
I secondi vespri recitati con la comunità dei monaci della certosa di Serra San Bruno
Nel silenzio che trova l’essenziale
Nella certosa di Serra San Bruno
Benedetto XVI ha presieduto, nel tardo
pomeriggio di domenica 9 ottobre, la
celebrazione dei secondi vespri, ultimo
atto della sua visita in Calabria.
Questa l’omelia pronunciata dal Papa.
Venerati Fratelli nell’Episcopato,
cari Fratelli Certosini,
fratelli e sorelle!
Rendo grazie al Signore che mi ha
condotto in questo luogo di fede e
di preghiera, la Certosa di Serra San
Bruno. Nel rinnovare il mio saluto
riconoscente a Mons. Vincenzo Bertolone, Arcivescovo di CatanzaroSquillace, mi rivolgo con grande affetto a questa Comunità Certosina, a
ciascuno dei suoi membri, a partire
dal Priore, Padre Jacques Dupont,
che ringrazio di cuore per le sue parole, pregandolo di far giungere il
mio pensiero grato e benedicente al
Ministro Generale e alle Monache
dell’O rdine.
Mi è caro anzitutto sottolineare
come questa mia Visita si ponga in
continuità con alcuni segni di forte
comunione tra la Sede Apostolica e
l’Ordine Certosino, avvenuti nel corso del secolo scorso. Nel 1924 il Papa Pio XI emanò una Costituzione
Apostolica con la quale approvò gli
Statuti dell’Ordine, riveduti alla luce
del Codice di Diritto Canonico. Nel
maggio 1984, il beato Giovanni Paolo II indirizzò al Ministro Generale
una speciale Lettera, in occasione
del nono centenario della fondazione da parte di san Bruno della prima comunità alla Chartreuse, presso
Grenoble. Il 5 ottobre di quello stesso anno, il mio amato Predecessore
venne qui, e il ricordo del suo pas-
Nel saluto del priore
La nostra
preghiera
per il mondo
Un dono smisurato, che «ci commuove nel profondo dell’anima».
Con queste parole padre Jacques
Dupont, priore della certosa di
Serra San Bruno, ha accolto il
Pontefice. «È innanzitutto San
Bruno — ha aggiunto — che voi
incontrate in questo santo luogo,
l’uomo di Dio che, venuto anche
lui dalla Germania, dopo essere
passato da Reims, dal deserto di
Chartreuse e da Roma, si è fermato qui lasciandoci in eredità un
compito grande: dedicare, sulle
sue orme, tutta la nostra vita a
contemplare Dio e ad amarlo con
tutto il nostro cuore».
Un compito che la comunità
porta avanti «nella sua povertà e
piccolezza» per «mantenere accesa la lampada della preghiera nel
silenzio e nel nascondimento.
Molti di noi, come san Bruno,
vengono da altri paesi; siamo anche diversi per l’età, ci sono monaci del chiostro, sacerdoti, e monaci fratelli conversi, ma tutti
condividiamo la stessa vocazione:
consacrati totalmente al servizio
di Dio al riparo della clausura,
sforzandoci di fare della nostra
vita una preghiera incessante».
«Siamo consapevoli — ha detto
ancora il priore — di occupare un
posto molto scarso e marginale
nella Chiesa; addirittura non sempre la nostra vita viene ben capita. Ma non cerchiamo di convincere nessuno, perché l’amore non
si giustifica. Siamo qui per un disegno particolare d’amore da parte di Dio: Egli, senza alcun merito nostro, ci ha chiamati e ci siamo lasciati sedurre da Lui».
Confessando la consapevolezza
dei limiti e delle debolezze di
ogni monaco, padre Dupont ha
tuttavia assicurato che «appoggiandoci sulla Parola divina, nutrendoci dell’Eucaristia quotidiana e ubbidendo allo Spirito Santo, ci viene data la grazia non solo di servire Dio, ma di aderire a
lui. E in Dio siamo vicini a tutti
gli uomini della terra, specialmente a quelli che cercano, che lottano o che soffrono. L’amore diffuso nel nostro cuore abbraccia il
mondo intero, e la nostra solitudine si apre a una comunione
universale» e «in modo particolare, viviamo un profondo legame
con il Popolo di Dio e i suoi pastori».
Infine il priore ha voluto assicurare al Papa il «sostegno orante», la «devota sottomissione» e
l’«affetto filiale», manifestandogli
anche i saluti del ministro generale dell’ordine e delle monache.
saggio tra queste mura è ancora vivo. Nella scia di questi eventi passati, ma sempre attuali, vengo a voi
oggi, e vorrei che questo nostro incontro mettesse in risalto un legame
profondo che esiste tra Pietro e Bruno, tra il servizio pastorale all’unità
della Chiesa e la vocazione contemplativa nella Chiesa. La comunione
ecclesiale infatti ha bisogno di una
forza interiore, quella forza che poco
fa il Padre Priore ricordava citando
l’espressione «captus ab Uno», riferita
a
san
Bruno:
«afferrato
dall’Uno», da Dio, «Unus potens per
omnia», come abbiamo cantato
nell’Inno dei Vespri. Il ministero dei
Pastori trae dalle comunità contemplative una linfa spirituale che viene
da Dio.
«Fugitiva relinquere et aeterna captare»: abbandonare le realtà fuggevoli e cercare di afferrare l’eterno. In
questa espressione della lettera che il
vostro Fondatore indirizzò al Prevosto di Reims, Rodolfo, è racchiuso il
nucleo della vostra spiritualità (cfr.
Lettera a Rodolfo, 13): il forte desiderio di entrare in unione di vita con
Dio, abbandonando tutto il resto,
tutto ciò che impedisce questa comunione e lasciandosi afferrare
dall’immenso amore di Dio per vivere solo di questo amore. Cari fratelli,
voi avete trovato il tesoro nascosto,
la perla di grande valore (cfr. Mt 13,
44-46); avete risposto con radicalità
all’invito di Gesù: «Se vuoi essere
perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!» (Mt
19, 21). Ogni monastero — maschile
o femminile — è un’oasi in cui, con
la preghiera e la meditazione, si scava incessantemente il pozzo profondo dal quale attingere l’«acqua viva»
per la nostra sete più profonda. Ma
la Certosa è un’oasi speciale, dove il
silenzio e la solitudine sono custoditi con particolare cura, secondo la
forma di vita iniziata da san Bruno e
rimasta immutata nel corso dei secoli. «Abito nel deserto con dei fratelli», è la frase sintetica che scriveva il
vostro Fondatore (Lettera a Rodolfo,
4). La visita del Successore di Pietro
in questa storica Certosa intende
confermare non solo voi, che qui vivete, ma l’intero Ordine nella sua
missione, quanto mai attuale e significativa nel mondo di oggi.
Il progresso tecnico, segnatamente
nel campo dei trasporti e delle comunicazioni, ha reso la vita dell’uomo più confortevole, ma anche più
concitata, a volte convulsa. Le città
sono quasi sempre rumorose: raramente in esse c’è silenzio, perché un
rumore di fondo rimane sempre, in
alcune zone anche di notte. Negli
ultimi decenni, poi, lo sviluppo dei
media ha diffuso e amplificato un fenomeno che già si profilava negli
anni Sessanta: la virtualità che rischia di dominare sulla realtà. Sempre più, anche senza accorgersene, le
persone sono immerse in una dimensione virtuale, a causa di messaggi
audiovisivi che accompagnano la loro vita da mattina a sera. I più giovani, che sono nati già in questa
condizione, sembrano voler riempire
di musica e di immagini ogni momento vuoto, quasi per paura di sentire, appunto, questo vuoto. Si tratta
di una tendenza che è sempre esistita, specialmente tra i giovani e nei
contesti urbani più sviluppati, ma
essa ha raggiunto un livello tale da
far parlare di mutazione antropologica. Alcune persone non sono più
capaci di rimanere a lungo in silenzio e in solitudine.
Ho voluto accennare a questa
condizione socioculturale, perché essa mette in risalto il carisma specifico della Certosa, come un dono prezioso per la Chiesa e per il mondo,
un dono che contiene un messaggio
profondo per la nostra vita e per
l’umanità intera. Lo riassumerei così:
ritirandosi nel silenzio e nella solitudine, l’uomo, per così dire, si «espone» al reale nella sua nudità, si
espone a quell’apparente «vuoto»
cui accennavo prima, per sperimentare invece la Pienezza, la presenza
di Dio, della Realtà più reale che ci
sia, e che sta oltre la dimensione
sensibile. È una presenza percepibile
in ogni creatura: nell’aria che respiriamo, nella luce che vediamo e che
ci scalda, nell’erba, nelle pietre...
Dio, Creator omnium, attraversa ogni
cosa, ma è oltre, e proprio per questo è il fondamento di tutto. Il monaco, lasciando tutto, per così dire
«rischia»: si espone alla solitudine e
al silenzio per non vivere di altro
che dell’essenziale, e proprio nel vivere dell’essenziale trova anche una
profonda comunione con i fratelli,
con ogni uomo.
Benedetto
XVI
Qualcuno potrebbe pensare che
sia sufficiente venire qui per fare
questo «salto». Ma non è così. Questa vocazione, come ogni vocazione,
trova risposta in un cammino, nella
ricerca di tutta una vita. Non basta
infatti ritirarsi in un luogo come
questo per imparare a stare alla presenza di Dio. Come nel matrimonio
non basta celebrare il Sacramento
per diventare effettivamente una cosa sola, ma occorre lasciare che la
grazia di Dio agisca e percorrere insieme la quotidianità della vita coniugale, così il diventare monaci richiede tempo, esercizio, pazienza,
«in una perseverante vigilanza divina — come affermava san Bruno —
attendendo il ritorno del Signore per
aprirgli immediatamente la porta»
tra la comunità dei monaci
Cuore certosino della Calabria
dal nostro inviato NICOLA GORI
Provengono dall’Italia, dalla Francia, dal Portogallo e dalla Slovacchia, e fino a qualche mese fa erano
rappresentati anche altri Continenti.
Ognuno ha alle spalle un’esperienza e un bagaglio culturale distinti.
Uno è addirittura una ex stella del
calcio: fra’ Paolo, al secolo Joaquim
Rafael De Fonseca, ala destra negli
anni Sessanta dello Sporting club
di Lisbona. E poi avvocati, impiegati, professionisti, insegnanti, un
liutaio, un barista, un contadino, e
un ex seminarista. Li accomuna la
vocazione al silenzio e all’eremitaggio sull’esempio di san Bruno di
Colonia. Sono i quattordici certosini, compresi i due postulanti, i due
novizi e i due professi temporanei,
della certosa di Serra San Bruno,
che hanno potuto coronare la gioia
sperata di incontrare Benedetto XVI
nel pomeriggio di domenica 9 ottobre.
Lo attendevano da tempo, con
entusiasmo e con emozione che per
qualche momento ha
interrotto il ritmo quotidiano della vita scandita nei minimi particolari dalla regola certosina. Per qualche ora la
pace del luogo è stata
come sospesa dalla presenza di amici, ospiti,
giornalisti, fotografi e
cameramen, addetti alla
sicurezza del Papa. Il
vento gelido di tramontana
accompagnato
dalla pioggia non ha
impressionato i certosini, abituati a questo
luogo con un clima di
montagna che ricorda
la Svizzera, e per questo scelto proprio da
san Bruno per fondare
la sua certosa. È ancora
presente in mezzo a loro non solo con il carisma, ma anche con i
suoi resti contenuti nell’urna esposta sopra l’altare della chiesa. Appena il Papa è giunto — accompagnato da monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace — il priore Jacques Dupont gli
è andato incontro, prostrandosi, per
accoglierlo e lo ha accompagnato fino alla chiesa, dove un lungo applauso ha interrotto il silenzio che
aveva caratterizzato l’attesa.
Prima del canto de vespri secondo il proprio della domenica, il
priore ha rivolto un breve saluto di
benvenuto al Pontefice. della domenica. Nell’omelia Benedetto XVI ha
sottolineato il legame profondo tra
il ministero petrino e la vita contemplativa, tra il servizio pastorale
all’unità della Chiesa, che è proprio
del Pontefice e la vita monastica. I
vespri si sono celebrati secondo
l’antica liturgia dei certosini, caratterizzata dalla sobrietà, intesa come
forma di spogliamento richiesta dalla vita eremitica, e dalla semplicità.
Una semplicità toccata con mano
durante i vespri, che i certosini han-
no cantato con una voce sola, senza
alcuno strumento musicale di accompagnamento, come stabilito dai
loro statuti. Il canto certosino, d’altronde, non è fondamentalmente diverso dal canto piano gregoriano. Si
differenzia soprattutto per la sobrietà e l’austera semplicità.
Terminati i vespri Benedetto XVI
nella sagrestia ha firmato il libro degli ospiti illustri. Oltre ai monaci di
Serra San Bruno, c’era il priore della certosa di Portes in Francia, in
rappresentanza del ministro generale, che risiede nella Gran certosa, il
sotto priore, il procuratore e il bibliotecario della seconda certosa italiana, quella di Farneta (Lucca) e
un monaco della comunità che fa il
cappellano alla certosa femminile
della Trinità, fondata nel 1994 a
Dugo in provincia di Savona. Il
priore ha donato a Benedetto XVI
alcuni ricordi. La comunità ha offerto un liuto barocco a 10 corde accordato in re minore, realizzato proprio da uno dei certosini. L’artistico
oggetto musicale è stato costruito
seguendo il modello di un liuto del
XVII secolo di autore anonimo, presente nella collezione del Conservatoire national supérieur de musique
di Parigi. È stato interamente realizzato a mano con la stessa tecnica
utilizzata all’epoca, impiegando legno di acero, cedro rosso ed ebano.
Un’opera dunque molto particolare,
sulla quale il certosino ha voluto intagliare il rosone tipico delle chiese
medioevali e lo stemma di Benedetto XVI sulla fascia di chiusura della
cassa armonica. Il priore ha offerto
al Pontefice altri due doni: a nome
del ministro generale 28 incisioni
originali realizzate da un monaco
certosino di Parkminster (Inghilterra), che rappresentano le certose oggi abitate in Europa, in America e
in Asia. L’altro a nome delle monache certosine. Si tratta di una pergamena di montone, dipinta con
colori prodotti in casa, minerali lapislazzuli e malachite, colori classici, tradizionali dell’arte della «miniatura» molto duri, macinati a mano fino a ottenere il pigmento finissimo che è la base del colore. Prima
che il Papa lasciasse la certosa il
priore gli ha fatto visitare una cella
e l’infermeria della comunità.
La visita alla certosa era stata
preceduta dall’incontro, sul piazzale
di Santo Stefano antistante il complesso monastico, con la popolazione di Serra San Bruno. Presenti anche migliaia di fedeli provenienti da
tutta la diocesi di Catanzaro-Squillace, nella cui circoscrizione si trova
la località del vibonese. Il sindaco
Bruno Rosi aveva salutato il Pontefice a nome di tutti i cittadini. Si è
trattato di un incontro breve ma
molto intenso.
A conclusione della giornata il
Papa è ripartito in elicottero alla
volta di Lamezia Terme, dove all’aeroporto lo attendevano per il commiato le autorità. all’arrivo. Verso le
ore 20 il decollo dell’aereo che lo
ha riportato a Ciampino. Alle 21
circa l’atterraggio e poi il rientro, in
macchina, in Vaticano.
(Lettera a Rodolfo, 4); e proprio in
questo consiste la bellezza di ogni
vocazione nella Chiesa: dare tempo
a Dio di operare con il suo Spirito e
alla propria umanità di formarsi, di
crescere secondo la misura della maturità di Cristo, in quel particolare
stato di vita. In Cristo c’è il tutto, la
pienezza; noi abbiamo bisogno di
tempo per fare nostra una delle dimensioni del suo mistero. Potremmo
dire che questo è un cammino di
trasformazione in cui si attua e si
manifesta il mistero della risurrezione di Cristo in noi, mistero a cui ci
ha richiamato questa sera la Parola
di Dio nella Lettura biblica, tratta
dalla Lettera ai Romani: lo Spirito
Santo, che ha risuscitato Gesù dai
morti, e che darà la vita anche ai nostri corpi mortali (cfr. Rm 8, 11), è
Colui che opera anche la nostra configurazione a Cristo secondo la vocazione di ciascuno, un cammino
che si snoda dal fonte battesimale fino alla morte, passaggio verso la casa del Padre. A volte, agli occhi del
mondo, sembra impossibile rimanere
per tutta la vita in un monastero, ma
in realtà tutta una vita è appena sufficiente per entrare in questa unione
con Dio, in quella Realtà essenziale
e profonda che è Gesù Cristo.
Per questo sono venuto qui, cari
Fratelli che formate la Comunità
certosina di Serra San Bruno! Per
dirvi che la Chiesa ha bisogno di
voi, e che voi avete bisogno della
Chiesa. Il vostro posto non è marginale: nessuna vocazione è marginale
nel Popolo di Dio: siamo un unico
corpo, in cui ogni membro è importante e ha la medesima dignità, ed è
inseparabile dal tutto. Anche voi,
che vivete in un volontario isolamento, siete in realtà nel cuore della
Chiesa, e fate scorrere nelle sue vene
il sangue puro della contemplazione
e dell’amore di Dio.
Stat Crux dum volvitur orbis — così
recita il vostro motto. La Croce di
Cristo è il punto fermo, in mezzo ai
mutamenti e agli sconvolgimenti del
mondo. La vita in una Certosa partecipa della stabilità della Croce, che
è quella di Dio, del suo amore fedele. Rimanendo saldamente uniti a
Cristo, come tralci alla Vite, anche
voi, Fratelli Certosini, siete associati
al suo mistero di salvezza, come la
Vergine Maria, che presso la Croce
stabat, unita al Figlio nella stessa
oblazione d’amore. Così, come Maria e insieme con lei, anche voi siete
inseriti profondamente nel mistero
della Chiesa, sacramento di unione
degli uomini con Dio e tra di loro.
In questo voi siete anche singolarmente vicini al mio ministero. Vegli
dunque su di noi la Madre Santissima della Chiesa, e il santo Padre
Bruno benedica sempre dal Cielo la
vostra Comunità. Amen.
Nomina
episcopale
La nomina di oggi riguarda il Portogallo.
Nuno Brás da Silva
Martins, ausiliare
del Patriarcato di Lisboa
(Portogallo)
Nato il 12 maggio 1963 a Vimeiro,
Lourinhã, nel territorio del patriarcato di Lisboa, ha compiuto gli studi
primari e secondari presso l’esternato
di Penafirme e, in seguito, ha frequentato gli studi filosofici e teologici presso i seminari del patriarcato.
Ha conseguito quindi il dottorato in
teologia fondamentale presso la
Pontificia Università Gregoriana.
Ordinato sacerdote il 4 luglio 1987,
nel patriarcato di Lisboa, nel corso
del ministero ha svolto i seguenti incarichi: vicario parrocchiale di Nossa
Senhora dos Anjos, a Lisbona (19871990); membro dell’equipe formativa
del seminario maggiore (1993-2002);
direttore del settimanale diocesano
«Voz da Verdade» (1993-2003); professore di teologia fondamentale e
dogmatica nella facoltà di Teologia
dell’Università Cattolica Portoghese
e anche nella Pontificia Università
Gregoriana; responsabile della Commissione diocesana per il diaconato
permanente (1999-2002); rettore del
Pontificio Collegio Portoghese, a
Roma (2002-2005). Dal 2005 è rettore del seminario maggiore Cristo Rei
dos Olivais e, dal 2010, direttore del
dipartimento per l’informazione del
patriarcato. È autore di diverse pubblicazioni teologiche.