l`osservatore romano - Comune di Serra San Bruno
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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLI n. 234 (45.879) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano lunedì-martedì 10-11 ottobre 2011 . La visita del Papa a Lamezia Terme e alla certosa di Serra San Bruno Con coraggio oltre l’emergenza Nel silenzio e nella solitudine l’uomo sperimenta la pienezza di Dio e ritrova l’essenziale della vita Un’iniezione di fiducia e di coraggio per una terra destabilizzata non solo da problemi geologici e strutturali ma anche da inaccettabili prassi individuali e sociali. L’ha portata Benedetto XVI in Calabria con la visita di domenica 9 ottobre a Lamezia Terme e Serra San Bruno. Senza cedere a stereotipi usurati o a facili ottimismi, il Papa si è calato con realismo nei problemi e nelle attese della regione — un territorio «in cui si ha la continua sensazione di essere in emergenza» ha notato — cercando soprattutto di ascoltare e di parlare al cuore della gente. «Avete tutti i motivi per mostrarvi forti, fiduciosi e coraggiosi» si è detto convinto, invitando i calabresi a non cedere alla rassegnazione e a recuperare comportamenti virtuosi sia a livello personale che comunitario. La mattinata trascorsa a Lamezia Terme — dove ha celebrato la messa e ha recitato l’Angelus — ha offerto al Pontefice l’occasione per denunciare la gravità di fenomeni come la criminalità organizzata e la disoccupazione. Ma anche per incoraggiare i fedeli nella testimonianza di quei «valori umani e cristiani» che possono sconfiggere la tentazione dell’interesse di parte e favorire la promozione del bene comune. A Benedetto XVI stanno a cuore soprattutto i temi del lavoro, della gioventù, della tutela delle persone disabili: e proprio su questi ha invocato l’attenzione delle istituzioni e ha chiesto a ciascuno un «contributo di competenza e di responsabilità». A conclusione del rito, in segno di solidarietà e condivisione, il Papa ha offerto lo stesso pranzo consumato con i vescovi della Calabria ai poveri ospitati dalla mensa della Caritas. La sosta del pomeriggio a Serra San Bruno, con la visita alla storica certosa, ha dato modo al Pontefice di approfondire e rilanciare l’attualità della funzione del monastero: istituzione apparentemente obsoleta ma in realtà «preziosa» e «indispensabile» anche per gli uomini del nostro tempo, dominati dagli interessi materiali e incapaci di guardare alla realtà con gli occhi dello spirito. Un’esperienza che i sedici monaci della comunità certosina hanno reso visibile dinanzi al Papa durante la preghiera dei secondi vespri. Mostrando così che il silenzio e la solitudine non sono un’abdicazione dal mondo, ma — come ha sottolineato Benedetto XVI — un invito a emanciparsi dalle catene del rumore che avvolge la quotidianità e a sperimentare la pienezza della presenza di Dio in ogni creatura. È così che il monaco vive l’essenziale e trova in esso le radici della «profonda comunione con i fratelli, con ogni uomo». y(7HA3J1*QSSKKM( +#!=!z!#!# PAGINE 6-8 I segni dalla terra sismica l freddo, il fango, la fatica non sono riusciti a cancellare la luce dei segni racchiusi nelle undici ore vissute da Benedetto XVI in Calabria. Il Papa era atteso in mattinata a Lamezia Terme, nel pomeriggio a Serra San Bruno e alla celebre certosa. Il suo breve passaggio, alla gente di Lamezia alle prese, come quasi l’intero Meridione, con una difficile lotta quotidiana per il riscatto sociale, è parsa già in sé un segno desiderato per riprendere fiducia. A Serra, dove san Bruno, originario della Germania, ha lasciato un’impronta indelebile, l’incontro con un Papa conterraneo del santo monaco è stato di sprone e rinnovata determinazione per uscire dalla grave crisi occupazionale specialmente giovanile. Benedetto XVI si è messo in sintonia con la gente che lo attendeva dall’alba dopo una notte di pioggia torrenziale e ha detto parole chiare indirizzate a tutti gli abitanti della Calabria, «una terra sismica — l’ha definita — non solo dal punto di vista geologico, ma anche da un punto di vista strutturale, comportamentale e sociale». Dall’emergenza della disoccupazione e della criminalità «spesso efferata», si esce solo insieme, in modo solidale, crescendo nella capacità di collaborare, di prendersi cura dell’altro e di ogni bene pubblico. Ai cattolici, in particolare, ha ricordato la necessità di un lavoro pastorale «moderno e organico», nell’unità di tutte le forze cristiane intorno al vescovo, diffondendo la pratica della Lectio divina e divulgando la conoscenza I Riunione straordinaria del Governo Sfocia nel sangue la protesta dei copti in Egitto IL CAIRO, 10. Il primo ministro egiziano, Essam Sharaf, ha convocato una riunione di emergenza del Governo all’indomani degli scontri fra cristiani copti e l’esercito che hanno provocato al Cairo 36 morti (tre dei quali soldati). Lo ha reso noto il ministero della Salute. Oltre trecento i feriti, mentre almeno quaranta persone sono state arrestate. Oggi, dopo alcune ore di calma apparente, sono ripresi i disordini. Una manifestazione era stata indetta ieri, nei pressi della sede della televisione di Stato nel quartiere di Maspero, per protestare contro la demolizione, a fine settembre, di una chiesa nei pressi di Assuan, nel sud dell’Egitto. Ma presto sono iniziati i tumulti. Secondo alcuni osservatori si è trattato dei disordini più gravi dalle rivolte anti Mubarak dello scorso febbraio. Nel quartiere di Hamra — dove è più alta la concentrazione di abitanti copti del Cairo — per motivi precauzionali oggi sono state chiuse le scuole ed è stato raccomandato alle persone di rimanere in casa, in un clima da coprifuoco non ufficializzato. Secondo il patriarca di Alessandria dei Copti, cardinale Antonios Naguib, la condizione dei cristiani nel Paese resta complicatissima. «Gli attacchi degli islamisti contro le istituzioni cristiane continuano — ha dichiarato il porporato in un’intervista — sempre con la pretesa che si stia costruendo una chiesa senza l’autorizzazione ufficiale ed esplicita, che rimane ancora difficile da ottenere». Il cardinale ha però sottolineato che «nonostante molte preoccupazioni, guardiamo al futuro con speranza». «La Nazione è in pericolo a seguito di questi eventi», ha detto il premier Sharaf in un discorso trasmesso dalla televisione. «Questi eventi ci hanno riportato indietro, invece di andare avanti per costruire uno Stato moderno su delle sane basi democratiche. La cosa più pericolosa che possa minacciare la sicurezza della Nazione è di giocare con la questione dell’unità nazionale e di provocare la sedizione tra cristiani e musulmani e anche tra il popolo e l’esercito». Il primo ministro ha quindi esortato gli egiziani alla coesione e all’unione. L’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune europea, Catherine Ashton, ha espresso oggi la sua preoccupazione per le violenze di ieri al Cairo contro i copti e ha rinnovato l’appello all’Egitto perché protegga le minoranza e proceda verso le elezioni. «La nostra preoccupazione è per le minoranze religiose che sono state attaccate — ha detto Ashton al suo arrivo a Lussemburgo per la riunione dei ministri degli Esteri dell’Ue —. La libertà di credo e di espressione sono assolutamente fondamentali per i diritti umani». All’Egitto bisogna ricordare «quello che veramente ci aspettiamo», che «si proceda verso elezioni con il desiderio che tutti partecipino — ha sottolineato — e che protegga la popolazione, chiunque essa sia, qualunque sia la loro fede. Questo è il messaggio» ha detto Ashton. della dottrina sociale. Da queste due iniziative il Papa si attende la nascita di «una nuova generazione di uomini e donne capaci di promuovere non tanto interessi di parte, ma il bene comune». La tappa di Lamezia non è stato per il Pontefice un intermezzo nel suo pellegrinare verso la certosa, luogo simbolico che racchiude il segreto per la soluzione ai problemi umani. Qui è giunto infatti senza tralasciare nessuna delle domande delle persone incontrate. Le ha portate con sé allargando l’orizzonte per meglio intravedere almeno la soluzione ai mali del territorio. Il desiderio costante in Benedetto XVI di restare legato al carisma della vita contemplativa nasce dalla convinzione che il monastero non ha esaurito la sua funzione di bonifica. È solo cambiato il contesto. Anziché le paludi, oggi i monasteri servono a bonificare il clima che si respira nelle nostre società «inquinato da una mentalità che non è cristiana e nemmeno umana». Restano infatti modello «di una società che pone al centro Dio e la relazione fraterna». È stato interessante il dialogo che si è stabilito tra il Papa e il priore della certosa durante la celebrazione dei vespri. Uno scambio singolare e profondo sull’amore di Dio che diventa universale, forse uno dei momenti simbolici, nella sua spoglia semplicità, del pontificato di Benedetto XVI. Il priore ha espresso l’umile coscienza di sé che i monaci coltivano, consapevoli di occupare un posto marginale nella Chiesa e poi ha parlato della vita monastica come esperienza d’amore che abbraccia il mondo intero, della solitudine che si apre a una comunione universale. Il Papa ha risposto rivolgendosi ai monaci ma con intenzione di parlare a tutta la Chiesa, sottolineando il «legame profondo che esiste tra Pietro e Bruno, tra il servizio pastorale all’unità della Chiesa e la vocazione contemplativa nella Chiesa». Questi «afferrati» dall’amore per Dio, testimoni dell’essenziale aiutano la Chiesa e il mondo a ritrovare la propria anima, spingono le città degli uomini a liberarsi del rumore e del vuoto spirituale per tornare a sperimentare «la Realtà più reale che ci sia». Perciò, un pizzico di anima claustrale non guasta mai. c. d. c. NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto in udienza nel pomeriggio di venerdì 7 Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale William Joseph Levada, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. L’11 ottobre 1962 si apriva la prima sessione del concilio ecumenico Vaticano II Quel sorprendente aggiornamento PHILIPPE LEVILLAIN A PAGINA 4 Ma Pio XII evitò la trappola dell’esibizionismo politico Un anziano piange vicino al corpo di una vittima dei disordini (LaPresse/Ap) ANGELO COMASTRI A PAGINA 5 Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori: — Barthélemy Adoukonou, Vescovo titolare di Zama Minore, Segretario del Pontificio Consiglio della Cultura, con i Familiari; — Giuseppe Sciacca, Vescovo titolare di Vittoriana, Segretario Generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, con i Familiari. Nomina di Vescovo Ausiliare Il Santo Padre ha nominato Ausiliare del Patriarcato di Lisboa (Portogallo) il Reverendo Canonico Nuno Brás da Silva Martins, finora Rettore del Seminario Maggiore «Cristo Rei» dos Olivais, assegnandogli la sede titolare vescovile di Elvas. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 lunedì-martedì 10-11 ottobre 2011 Merkel e Sarkozy annunciano un piano mentre ad Atene la troika conclude i negoziati Intervento della Santa Sede a Ginevra Parigi e Berlino fronte comune contro la crisi Nuove strategie e politiche in difesa dei rifugiati BERLINO, 10. «La Francia e la Germania hanno posizioni assolutamente allineate su tutti gli aspetti della crisi; Francia e Germania sono d’accordo sul fatto di ricapitalizzare le banche europee». Con queste parole il presidente francese, Nicolas Sarkozy, e il cancelliere tedesco, Angela Merkel, hanno lanciato insieme la sfida alla crisi del debito che attanaglia l’Europa. Il piano sarà completato entro la fine del mese: un pacchetto di misure da presentare al prossimo G20. «Sappiamo perfettamente che strada percorrere, solo che ci sono le istituzioni europee, c’è ancora un patto, e i mercati». Parigi e Berlino vogliono ricapitalizzare le banche, difenderanno l’euro con tutte le loro forze, e la Grecia è parte dell’Ue. «Siamo risoluti a ricapitalizzare le nostre banche e a trovare una soluzione permanente e globale» ha dichiarato i leader. «Chiederemo a tutte le autorità da prendere in considerazione, consulteremo l’organo di sorveglianza europeo come l’Fmi, per essere certi che le misure siano sostenibili e stabili» ha spiegato Merkel. «Abbiamo un enorme interesse — ha poi aggiunto — a far sì che le banche possano fare i loro compiti, e in questo Francia e Germania sono assolutamente determinate». Certo non hanno fornito dettagli, pur mostrando sicurezza. Merkel e Sarkozy hanno rivendicato, sebbene Pubblichiamo una nostra traduzione dell’intervento pronunciato il 4 ottobre, a Ginevra, dall’arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite e Istituzioni Specializzate a Ginevra, in occasione della sessantaduesima sessione del Comitato Esecutivo dell’Unhcr. Presidente, negli ultimi sessant’anni, dall’entrata in vigore della Convenzione sui Rifugiati del 1951, l’Unhcr, altre importanti agenzie dell’Onu, Stati ospiti, organizzazioni confessionali e altri organismi di società civile hanno compiuto sforzi incredibili per garantire protezione ai rifugiati, tutelarne la dignità umana e fornire loro un nuovo inizio di vita. Infatti, la Convenzione ha recepito le nuove emergenze e ha incluso nella sua tutela nuove vittime di persecuzione da parte di attori non statali e di altre forme di violenza. L’effetto civilizzatore di un trattato che dà diritti ai rifugiati, ai richiedenti asilo e ad altre persone dislocate con la forza, circa 43 milioni, non si potrà mai lodare abbastanza. Tuttavia, esistono ancora gravi divari evidenziati da recenti drammatici eventi come le «rivoluzioni del popolo» in alcune parti del nord Africa e la siccità e il conflitto nel Corno d’Africa che hanno scatenato ampi flussi di rifugiati nonché dalle situazioni protratte dei rifugiati in Medio Oriente e altrove. Forse la dimostrazione più tragica del fatto che il compito di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy (Reuters) in modi diversi, la difficoltà del momento che sono chiamati a governare. «In passato ci sono stati visioni e visionari che hanno tralasciato le soluzioni nei dettagli, perciò ci troviamo in questa crisi» ha detto Sarkozy. «Difenderemo l’euro con tutte le nostre forze» ha aggiunto Merkel. E tuttavia, al di là dei proclami, il problema greco resta. Oggi gli ispettori della troika Ue-Bce-Fmi in- contrano il ministro delle Finanze di Atene, Evangelos Venizelos, per chiudere il negoziato sul piano di aiuti. «Stiamo lavorando — spiegano fonti ben informate — con l’intento di chiudere il negoziato». Gli ispettori dovrebbero concludere la loro missione rilasciando un comunicato finale. La troika intende avere ulteriori dettagli sull’implementazione delle misure di austerità varate dal Governo. Tony Blair sul ruolo della fede nello spazio pubblico Accordo tra Belgio, Francia e Lussemburgo a sostegno del gigante bancario-assicurativo Per Dexia operazione salvataggio BRUXELLES, 10. Si concretizza lo smembramento per salvare Dexia. I Governi di Belgio, Francia e Lussemburgo hanno annunciato, nella giornata di ieri, di aver trovato una soluzione per salvare il gigante bancarioassicurativo franco-belga con partecipazione lussemburghese. Il prezzo dell’operazione non è stato rivelato, ma secondo i media belgi, sarebbe di quattro miliardi di euro. Nel 2008, un primo salvataggio era costato a Bruxelles tre miliardi di euro. Intanto l’agenzia di rating Moody’s ha avvertito che potrebbe declassare il debito belga dall’attuale Aa1 nonostante il Paese abbia un rapporto debito/pil in calo (attualmente 96,2 per cento). Le attività francesi di Dexia potrebbero essere a loro volta rilevate dal Governo francese, creando un istituto che possa continuare l’opera di finanziamento dei comuni con un esborso tra i 650 e i 700 milioni di euro. Gli asset a rischio che pesano sul bilancio del gruppo bancario (il cui titolo azionario è sospeso da giovedì scorso nelle Borse di Parigi e Bruxelles dopo aver perso il 42 per cento in una settimana) verrebbero fatti confluire, informano gli analisti, in una «bad bank» con garanzie statali francesi e belghe per novanta miliardi di euro, ripartiti tra Belgio (60 per cento), Francia (36,5 per cento) e Lussemburgo (3,5 per cento). La sede centrale della banca a Bruxelles (LaPresse/Ap) Assegnato il premio Nobel per l’economia STO CCOLMA, 10. L’Accademia Svedese delle Scienze ha assegnato oggi il premio Nobel per l’Economia a due studiosi americani, Thomas Sargent e Christopher Sims, «per le loro ricerche empiriche su causa ed effetto nella macroeconomia» e anche per i loro lavori sul riflesso che le politiche di bilancio hanno sull’andamento dell’economia. Nato nel 1943 a Pasadena, Sargent insegna a New York. Originario di Washington, Sims svolge le sue ricerche presso l’università di Princeton. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt MILANO, 10. La «questione politica chiave per l’Europa di oggi» è «come il secolarismo, o la laicità, abbia a che fare con la partecipazione delle persone di fede nel dibattito pubblico». Chi — uomini di Stato e leader politici — ignora questa realtà, lo fa «a suo rischio e pericolo». È quanto scrive l’ex premier britannico Tony Blair in un articolo pubblicato il 9 ottobre sul «Corriere della Sera», nel quale ricorda la «forza propulsiva straordinaria» che la fede ha avuto «nel campo dello sviluppo internazionale, della salute e dell’educazione» nel periodo in cui egli era a capo del Governo britannico. Blair ha citato come esempio di globalizzazione positiva l’impegno dell’Unione Superiore Maggiori d’Italia e di suor Eugenia Bonetti nella lotta contro la tratta degli esseri umani in tutto il mondo: una rete di solidarietà che si augura possa essere dominante «nel secondo decennio dopo l’11 settembre». Lo studio della fede e della globalizzazione — scrive — è inoltre essenziale anche per l’attuale vita accademica: l’ex premier, fondatore della «Tony Blair Faith Foundation», ha ricordato i seminari che la sua organizzazione terrà prossimamente in Italia, il 13 ottobre a Roma, il 27 ottobre a Bologna, il 10 novembre a Milano e il 30 novembre a Venezia. Il voto premia la coalizione governativa Tusk vince le elezioni in Polonia VARSAVIA, 10. Le elezioni politiche svoltesi ieri in Polonia sono state vinte dalla coalizione centrista guidata dal primo ministro uscente Donald Tusk. A spoglio delle schede pressoché ultimato, i liberali di Piattaforma Democratica, il partito del premier, risultano aver ottenuto il 39 per cento dei suffragi, conquistando così 206 seggi alla Camera dei deputati. Ai loro alleati del Partito dei contadini sono andati l’8,55 per cento dei voti e trenta seggi. La coalizione governativa può così contare su 236 seggi, cioè sulla maggioranza assoluta dei 460 depu- tati della Camera bassa. Risulta dunque sconfitto il partito di opposizione conservatore Diritto e Giustizia, guidato dell’ex premier Jarosław Kaczyński e caratterizzato da posizioni euroscettiche, che ha ottenuto il 30,61 per cento dei voti. Il Movimento di Palikot, una nuova formazione radicale presente la prima volta alle elezioni ha avuto il 9,8. L’Alleanza della sinistra democratica ha avuto l’8,24. La lista espressione della minoranza tedesca ha avuto lo 0,31. L’affluenza ai seggi è stata del 47,25 per cento. GIOVANNI MARIA VIAN don Pietro Migliasso S.D.B. Carlo Di Cicco Segreteria di redazione direttore responsabile vicedirettore direttore generale 00120 Città del Vaticano [email protected] Antonio Chilà redattore capo telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] http://www.osservatoreromano.va TIPO GRAFIA VATICANA EDITRICE «L’OSSERVATORE ROMANO» Piero Di Domenicantonio Gaetano Vallini redattore capo grafico segretario di redazione Tusk è il primo premier della Polonia postcomunista a garantirsi un secondo mandato. Gli elettori hanno ritenuto credibile la sua rivendicazione di aver garantito una crescita economica ininterrotta nonostante le difficoltà mondiali, mantenendo sotto controllo deficit pubblico e debito. Assumendo all’inizio di luglio la presidenza di turno semestrale dell’Unione europea, Tusk si è detto a favore a un rafforzamento delle istituzioni europee, ma ha condizionato la futura adesione della Polonia all’euro a una soluzione duratura della crisi del debito. Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va tutela è incompiuto sono, solo quest’anno, le oltre 1.500 persone che sono morte cercando di attraversare il Mediterraneo, le altre che sono affogate attraversando il Golfo di Aden, e quelle innumerevoli che hanno perso la vita uscendo dalla Somalia alla ricerca di sicurezza. Nel Preambolo, la Convenzione sui Rifugiati del 1951 si pone come scopo quello di «assicurare ai rifugiati l’esercizio il più possibile ampio dei loro diritti e delle loro libertà fondamentali». Tuttavia, oggi, in molte regioni del mondo, milioni di rifugiati non sono ancora nelle condizioni di godere di questi diritti. Il nobile obiettivo posto dalla Convenzione alla fine della esperienza devastante della seconda guerra mondiale ultimamente è stato eroso. La mia delegazione desidera evidenziare soltanto alcune aree di preoccupazione. L’opinione pubblica e la convenienza politica hanno esercitato un impatto negativo sulla necessità di proteggere i richiedenti asilo. Fra queste conseguenze negative, osserviamo con profondo rincrescimento, che la detenzione di richiedenti asilo e di altre persone bisognose di protezione sta aumentando e non è più utilizzata come ultima risorsa in casi eccezionali. Queste persone che cercano protezione o modi per tentare di sopravvivere sono letteralmente rinchiuse e sorvegliate come se fossero prigionieri criminali e anche i bambini sono messi nella stessa condizione. Molto spesso, le loro condizioni di vita in detenzione producono effetti particolarmente dannosi sulla singola persona. Gli ambienti simili a prigioni che esistono in molti centri di detenzione, l’isolamento dal «mondo esterno», il flusso inaffidabile di informazioni e la distruzione di un progetto di vita, colpiscono la salute mentale e fisica dei richiedenti asilo e causano stress psicologico, depressione e insicurezza, diminuzione dell’appetito e vari gradi di insonnia. Il modo in cui le persone che si trovano in tali centri considerano se stesse è influenzato in maniera significativa dalla detenzione. In questo contesto, la percezione di sé diviene un indicatore importante degli effetti della detenzione giacché in quanto misura amministrativa non dovrebbe portare a queste conseguenze dannose per la persona. Quindi è urgente sviluppare e promuovere ulteriormente alternative alla detenzione come per esempio espandere programmi comunitari monitorati, introdurre meccanismi di controllo e di informazione, la formazione di gruppi di sostegno, di centri per visite da aggiungere a progetti di case aperte cosicché almeno le famiglie con bambini possano risiedere in un ambiente di vita sicuro. In tal modo, la detenzione amministrativa diviene l’ultima risorsa. La politica dell’auto-insediamento fuori dai campi ha avuto un qualche successo sia fra i rifugiati più istruiti sia fra i più poveri e questi risultati positivi sembrano incoraggiarne un’attuazione su più vasta scala. Inoltre, i rifugiati sistemati nei campi profughi non hanno necessariamente più probabilità di essere rimpatriati di quelli che si auto-insediano. Infine, sebbene la solidarietà dei donatori debba confrontarsi con un compito amministrativo più complesso, essa promuove lo sviluppo umano dei rifugiati e dona loro migliori possibilità per il futuro. Preoccupano la Santa Sede e gli organismi confessionali anche i numerosi rifugiati, i richiedenti asilo e coloro che non sono riusciti a ottenerlo che si trovano intrappolati in situazioni di miseria. In tutto il mondo possiamo vedere persone che si spostano e che per buoni motivi non possono tornare nei Paesi d’origine e tuttavia sono completamento esclusi dai servizi sociali nei Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Ufficio diffusione: telefono 06 698 99470, fax 06 698 82818, [email protected] Ufficio abbonamenti (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, fax 06 698 85164, [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Paesi in cui vivono. Queste persone si trovano in un limbo, in un vicolo cieco, senza alcuna prospettiva. Non si tratta solo di sfortuna, ma di politiche statali che escludono del tutto questi gruppi di persone sradicate da qualsiasi tipo di assistenza ufficiale e li lasciano in stato di necessità e penuria anche se hanno bisogno di protezione. Senza accesso a una casa, all’assistenza sanitaria, all’educazione, all’assistenza sociale e a un lavoro la situazione di queste persone è particolarmente preoccupante. Attualmente più della metà della popolazione rifugiata si trova all’esterno di campi ed è particolarmente vulnerabile alla miseria. Le autorità nazionali e locali dovrebbero continuare ad assumersi la responsabilità di questi profughi con la solidarietà certa degli organismi internazionali. Sviluppi positivi sono già stati avviati dall’Unhcr grazie a metodi innovativi per raggiungere i rifugiati «urbani», inclusi messaggi sms relativi alla distribuzione di assistenza, accesso a Internet e video sui diritti dei rifugiati, linee telefoniche dedicate per rispondere alle domande e la distribuzione di carte bancarie per permettere ai rifugiati di ritirare gli aiuti finanziari quando serve loro. Centinaia di ragazzi soli non accompagnati provenienti dal Medio Oriente e da altri luoghi si stanno facendo strada in Europa, sfidando il sistema di protezione dei Paesi che attraversano. Infatti i minori non accompagnati sono migliaia. Nel 2008, 11.292 richieste d’asilo sono state inoltrate da minori non accompagnati in 22 Paesi membro dell’Unione europea. Alcuni addirittura muoiono nascosti nei container o nei vani sotto i camion. L’aumentata visibilità acquisita da minori non accompagnati che chiedono asilo nei Paesi industrializzati richiede una rinnovata attenzione alle loro necessità di tutela e allo sviluppo di misure pratiche per aiutarli ad adattarsi al nuovo ambiente. I minori non accompagnati devono essere trattati soprattutto come bambini e il loro migliore interesse deve essere la principale preoccupazione, indipendentemente dal motivo della loro fuga. Per questo motivo, la detenzione e alloggi da cui non si può uscire si dimostrano inappropriati per i minori in particolare, come la promiscuità dei bambini con gli adulti in queste strutture. Le ricerche hanno dimostrato che come fonte di motivazione e sostegno la religione è considerata importante da questi minori, che desiderano la disponibilità di consiglieri spirituali. In questo contesto, il disbrigo di richieste d’asilo di bambini dovrebbe ricevere una maggiore priorità con la possibilità per i minori non accompagnati che divengono adulti di continuare a godere della stessa procedura di determinazione di quelli che sono al di sotto dei diciotto anni d’età. A volte, purtroppo, i minori non accompagnati arrivano con identità false come «battistrada» per avviare ricongiungimenti familiari o come vittime di contrabbandieri e di trafficanti e quindi bisogna prestare attenzione per prevenire il loro sfruttamento. Presidente, La situazione politica e umanitaria globale in evoluzione lancia sfide costanti alla responsabilità della comunità internazionale per tutelare le vittime del dislocamento forzato. Sono richieste nuove strategie e nuove politiche che vanno dal comprendere le cause primarie al definire la gestione dei confini e l’integrazione. La compassione creativa diviene possibile se c’è un senso autentico di solidarietà e di responsabilità verso i membri più bisognosi della nostra famiglia umana. Non dovremmo dimenticare questi fatti quando parliamo di politiche sulla tutela dei rifugiati. I rifugiati non sono solo numeri anonimi, ma persone, uomini, donne e bambini con storie individuali, con doti da mettere a disposizione e aspirazioni da soddisfare. Pubblicità Publicinque s.r.l. www.publicinque.it via Fattori 3/C, 10141 Torino telefono 011 3350411 fax 011 3828355 [email protected] via M. Macchi 52, 20124 Milano telefono 02 6695279 fax 02 6695281 [email protected] via C. A. Racchia 2, 00195 Roma telefono 06 3722871 fax 06 37512606 Aziende promotrici della diffusione de «L’Osservatore Romano» Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Cassa di Risparmio di San Miniato Credito Valtellinese Fondazione Monte dei Paschi di Siena Banca Monte dei Paschi di Siena L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 10-11 ottobre 2011 pagina 3 Il Quartetto rilancia gli sforzi per il dialogo israelo-palestinese Tra Khartoum e Juba Si riapre il negoziato sulla crisi sudanese KHARTOUM, 10. Sembrano aprirsi spazi negoziali nella crisi sudanese segnata da persistenti violenze che negli ultimi mesi hanno provocato numerose vittime civili e nuove fughe di popolazioni. Il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir Mayardit, si è recato nel fine settimana a Khartoum per colloqui con il suo omologo sudanese Omar Hassam el Bashir. La missione di Salva Kiir Mayardit è stata la prima iniziativa diplomatica ad alto livello nei tre mesi trascorsi dalla dichiarazione d’indipendenza sudsudanese del 9 luglio scorso. I mesi in questione sono stati segnati da una ripresa delle violenze nelle regioni sudanesi al confine con il nuovo Stato, come il Nilo Azzurro e il Kordofan meridionale, ma anche l’Abyei, la regione petrolifera tuttora contesa tra Khartoum, che l’ha occupata militarmente, e il Governo sudsudanese di Juba. Fonti diplomatiche concordi riferiscono come enttrambe le parti abbiano dato una valutazione positiva dei colloqui, anche in assenza di fatti nuovi sui principali motivi di contrasto ancora aperti. Tra questi, oltre appunto all’attribuzione dell’Abyei e alla delimitazione dei confini, sono cruciali la divisione delle risorse petrolifere e la definizione dei sistemi bancari e commerciali. Su tutte le principali questioni non hanno avuto esito finora i tentativi di mediazione condotti per conto dell’Unione africana dall’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki, né i reiterati appelli internazionali, da ultimo quello degli Stati Uniti che hanno chiesto a entrambe le parti di velocizzare i colloqui e raggiungere un’intesa sulla divisione delle entrate petrolifere. Il Governo sudanese ha più volte dichiarato che la divisione delle risorse petrolifere, concentrate in massima parte nelle regioni meridionali, deve rimanere quella ipotizzata dall’accordo di pace del 9 gennaio 2009, che pose fine all’ultraventennale conflitto civile, mentre le autorità di Juba intendono gestire in proprio le perforazioni, limitandosi a pagare a Khartoum l’utilizzo degli oleodotti. Ora sembrano aprirsi spiragli. «Il mio Governo è pronto a discutere per trovare soluzioni alle importanti questioni», ha dichiarato Salva Kiir Mayardit prima di rientrare a Juba, dicendosi certo che verrà trovata soluzione ai problemi e che al più presto saranno firmate intese. Anche el Bashir ha confermato la sua volontà a risolvere le questioni pendenti, senza però definire una precisa tabella di marcia. Un combattente del Cnt in azione a Sirte (Epa) Cruenti combattimenti anche a Bani Walid Sirte vicina alla caduta TRIPOLI, 10. Sirte sta per cadere e con essa anche il regime di Gheddafi, parola dei comandanti militari del Consiglio nazionale di transizione. La città natale del colonnello e Bani Walid, ultime roccaforti del vecchio regime, resistono ma il loro destino sembra ormai segnato. I comandanti del Cnt hanno infatti annunciato ieri di aver conquistato importanti centri strategici nelle due città fedeli a Gheddafi e si preparano a lanciare l’assalto finale. Una volta caduta Sirte, il Cnt ha detto che annuncerà la liberazione nazionale, anche se Gheddafi rimane introvabile, e si dovrebbe annunciare la formazione del nuovo Esecutivo malgrado le lotte di potere interne al Cnt — nella scorsa settimana sono scoppiate preoccupanti tensioni a Tripoli tra le diverse fazioni armate — hanno finora impedito la nascita di un nuovo Governo provvisorio libico. Nel frattempo, le forze del Cnt hanno detto di aver preso ieri il controllo dell’università e del principale ospedale di Sirte, catturando un alto numero di cecchini e miliziani di Gheddafi e tra questi anche Abdel Rahman Abdel Hmid, un nipote del colonnello. Caduto nelle mani del Cnt, dopo una violentissima battaglia in cui hanno perso la vita almeno 32 combattenti, anche il mo- dernissimo centro congressi Ouagadougou, dove il colonnello amava ricevere i capi di Stato africani e dove le forze del Cnt riteneva ci fosse il centro di comando dei gheddafiani. «Siamo entrati nel centro congressi ma abbiamo dovuto rallentare l’avanzata per evitare il fuoco amico dei ragazzi di Misurata», ha detto un comandante del Cnt. Espugnato dopo una lunga battaglia anche l’ospedale Ibn Sina, dove si nascondevano molti cecchini di Gheddafi. «Stiamo cercando di sgomberare i malati e i feriti», ha affermato Salah Mustafa, comandante delle forze delle nuove autorità libiche. «La maggior parte dei miliziani di Gheddafi sono fuggiti ma alcuni si sono travestiti da medici. Stiamo controllando», ha aggiunto. Una quindicina di lealisti sono stati catturati e fatti uscire dall’ospedale e uno di essi è stato colpito con un pugno alla nuca dopo che gli è stata trovata in tasca una foto di Gheddafi, ha riferito un testimone alla Reuters. L’inviata della rete televisiva Al Jazeera ha detto che le forze del Cnt «stanno avanzando dentro Sirte ma cecchini dei lealisti rallentano l’avanzata, sparando anche colpi di mortaio». Secondo l’emittente panaraba, i gheddafiani si sono rifugiati dentro bunker di cemento che resiste ai col- Violenze nell’Afpak L’opposizione non crede alle dimissioni di Saleh SAN’A, 10. La coalizione di opposizione nello Yemen ha commentato con scetticismo il significato dell’annunciato impegno del presidente yemenita, Ali Abdullah Saleh, a lasciare presto il potere. Mohammed Qahtan, portavoce della coalizione, ha ricordato che Saleh aveva già promesso di non candidarsi nel 2006 ma poi si era presentato alle presidenziali. «Speriamo che il Consiglio di sicurezza dell’Onu adotti risoluzioni giuste che rispondano alle rivendicazioni del popolo yemenita e appoggino le sue richieste di cambiamento», ha affermato Qahtan. Saleh, al potere dal 1978, ha annunciato l’inten- Il Kenya punta sull’energia nucleare NAIROBI, 10. Il primo ministro kenyano, Raila Odinga, ha annunciato che il Governo intende accelerare la costruzione dello stabilimento nucleare programmato nel 2008, durante la prima conferenza nazionale sull’energia, per colmare il disavanzo energetico del Paese. Odinga ha spiegato che gli esperti incaricati di occuparsi dello studio di fattibilità per la costruzione del reattore nucleare stanno indugiando troppo di fronte alla necessità di fornire al Paese risposte concrete in campo energetico. Secondo il primo ministro, entro cinque anni il Kenya dovrebbe essere dotato di almeno due reattori nucleari. «Ogni Paese ha le proprie priorità che sono dettate da interessi strategici nazionali, e ogni decisione deve essere assunta sulla base di tali interessi», si legge in un comunicato diffuso dall’ufficio di Odinga. L’obiettivo è quello di accrescere entro il 2030 la produzione di energia dagli attuali 1.460 a 21.620 mega watt. Secondo Odinga, la mancata attuazione dei progetti chiave individuati nella conferenza nazionale per l’energia sarebbe la principale causa dell’aumento di prezzo dell’elettricità e del petrolio e della carenza di combustibili. pi dell’artiglieria. «Gli abbiamo sparato contro per giorni ma non si è scalfita nemmeno la vernice», ha detto un combattente del Cnt ad Al Jazeera. Vittorie militari annunciate delle forze del Cnt anche a Bani Walid, città nel deserto a circa centosettanta chilometri a sud est di Tripoli ancora controllata dagli uomini di Gheddafi. «Le nostre forze hanno preso il controllo dell’aeroporto», situato a circa settanta chilometri a sud ovest della città, ha detto ieri sera il comandante Mussa Yunes. Questa mattina, però, dopo l’aspra battaglia di ieri dove hanno perso 17 combattenti e altri 50 sono rimasti feriti, le forze del Cnt si sono dovute ritirare dalla zona dell’aeroporto. Dopo la tempesta di sabbia che sabato ha rallentato le operazioni militari, i comandanti del Cnt si mostrano fiduciosi di porre fine a tre settimane di stallo, durante le quali migliaia di residenti sono fuggiti da Sirte, e vincere la battaglia che potrebbe segnare la fine della guerra. Difficile però stabilire quanti siano ancora i civili rimasti intrappolati a Sirte e Bani Walid. Alcuni residenti hanno riferito alla rete televisiva panaraba che i fedelissimi di Gheddafi impedivano con la forza ai residenti di lasciare le città nonostante la mancanza di cibo, acqua ed elettricità. zione di lasciare «nei prossimi giorni». «Non voglio il potere. Lo lascerò nei prossimi giorni». In un discorso trasmesso sabato dalla televisione di Stato, il presidente ha affermato che non intende per ora lasciare il potere agli oppositori, tra i quali spiccano leader tribali un tempo alleati di Saleh, ufficiali dell’esercito che si sono uniti ai giovani manifestanti. Nei giorni scorsi a San’a si erano riaccesi i combattimenti tra le forze lealiste e i reparti dell’esercito fedeli al generale dissidente Ali Mohsen Al Ahmar. Anche oggi quaranta donne sono rimaste ferite nel corso di una manifestazione nella città di Taiz, TEL AVIV, 10. Gli inviati speciali del Quartetto per il Medio Oriente (Onu, Ue, Stati Uniti e Russia) si sono riuniti ieri a Bruxelles per cercare di riportare israeliani e palestinesi al tavolo dei negoziati di pace. Alla riunione ha partecipato l’Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune, Catherine Ashton, e l’inviato del Quartetto Tony Blair. I risultati saranno discussi oggi dai ministri degli Esteri della Ue, riuniti a Lussemburgo. Ashton ha dichiarato che sono stati fatti «buoni progressi» negli sforzi di mediazione. Il Quartetto — riferisce la Ashton — contatterà «nei prossimi giorni le due parti». Ma per avere un seguito l’iniziativa dovrà prima ricevere l’ok dell’Ue. Oggi i capi delle diplomazie europee s’incontrano per la prima volta dopo l’Assemblea generale dell’O nu, dove il 23 settembre scorso il presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen, ha presentato la richiesta di riconoscimento dello Stato palestinese e dove la risoluzione Ue sulla Siria sostenuta dagli Stati Uniti è stata respinta. Nel frattempo, un clima di forte tensione viene segnalato nella Cisgiordania settentrionale. Fonti locali riferiscono infatti di nuovi scontri tra i coloni israeliani e gli agricoltori palestinesi. Mosca propone una mediazione sulla Siria DAMASCO, 10. Mosca potrebbe diventare «una piattaforma per i negoziati tra le autorità siriane e l’opposizione». Lo ha dichiarato ieri in un’intervista all’agenzia Ria Novosti, il vice ministro degli Esteri russo, Mikhail Bogdanov. La Russia, che il 10 e 11 ottobre riceve una delegazione della cosiddetta «opposizione interna siriana» — come l’ha definita Bogdanov —, si propone così come mediatore nella crisi. Secondo l’agenzia ufficiale siriana Sana, il presidente Assad ha dichiarato che il suo Governo «sta adottando misure su due principali fronti, quello delle riforme politiche e quello dello smantellamento dei gruppi armati che cercano di destabilizzare il Paese». Per Assad, citato dall’agenzia Sana, «il popolo siriano ha accolto positivamente le riforme ma gli attacchi stranieri si sono intensificati». Ieri, stando a quanto riportato da fonti degli attivisti, sette civili sono rimasti uccisi nei nuovi disordini esplosi a Homs, nel centro del Paese. Sei persone sono state colpite nel quartiere Karam Al Zeitoun e una settima nel quartiere Bab Al Drib. La Turchia ha duramente condannato gli scontri. Ankara «spera che il Governo siriano comprenda rapidamente che la violenza non cambierà il corso della storia». La pirateria compromette sempre più la navigazione commerciale In calo il traffico marittimo a est dell’Africa I soccorsi a un ferito statunitense in un’immagine di repertorio (Reuters) ISLAMABAD, 10. In Pakistan e in Afghanistan le violenze non danno tregua. Sedici miliziani sono stati uccisi, nelle ultime ore, in scontri divampati nella regione tribale del Dir Superiore, nel nord ovest del Pakistan. Ne hanno dato notizia fonti governative. I combattimenti sono scoppiati dopo che i miliziani hanno attaccato un posto di blocco nell’area di Barawal. Da rilevare che negli ultimi mesi sono diventati più frequenti i raid attraverso il poroso confine afghano-pakistano. E in Afghanistan, intanto, si segnala che due soldati dell’Isaf (Forza in- ternazionale di assistenza alla sicurezza, sotto guida Nato) sono morti in seguito a un attacco compiuto dai talebani nel sud. Nell’Afpak, dunque, si continua a registrare una situazione critica. Proprio in questi giorni il presidente afghano Hamid Karzai, a dieci anni dall’inizio del conflitto, lamentava che la sospirata prospettiva della sicurezza nel territorio appare ancora lontana. E sempre in questi giorni Karzai ha annunciato, e poi ribadito, la volontà di interrompere ogni tentativo di dialogo con i talebani. NAIROBI, 10. La pirateria nelle acque al largo della Somalia ha conseguenze sempre più gravi sul traffico marittimo che risulta ormai in calo. Secondo l’International Maritime Bureau, negli ultimi tre anni gli attacchi dei pirati nell’oceano Indiano, nel golfo di Aden e nel Mar Rosso sono aumentati in modo preoccupante e minacciano di compromettere la sicurezza di rotte vitali per i commerci tra Asia, America ed Europa. Nonostante il dispiegamento di imponenti operazioni navali internazionali, solo negli ultimi sei mesi ci sono stati ben 266 attacchi di pirati, contro i 196 fatti registrare nello stesso periodo dello scorso anno. Numeri del genere costringono a seguire rotte alternative, attraverso l’oceano Pacifico o molto più a sud per entrare in Atlantico. Anche la pesca, un settore rilevante delle economie dei Paesi dell’Africa orientale, subisce le stes- se minacce. Lo ha ricordato ieri un’intervista fatta dal quotidiano kenyano «The Citizens» a José González, l’amministratore delegato di East Pesca d’Africa Ltd, una delle principali compagnie nazionali del settore. González, il cui peschereccio Sakoba è stato sequestrato lo scorso anno, ha detto che operare nei mari dell’Africa orientale è diventato un rischio enorme per i pescatori e i marinai. Anche Simon Hemphil, il presidente dell’Associazione pescatori del mare del Kenya, che riunisce gli operatori di barche da pesca sportiva, ha detto che i guadagni nel settore, parte rilevante degli introiti turistici, sono diminuiti a causa della crescente insicurezza. La pirateria in Somalia incominciò un ventennio fa, quando i grandi pescherecci industriali — soprattutto giapponesi e sudcoreani, ma anche occidentali — approfittando della fine della dittatura di Siad Barre e della sparizione di fatto di ogni autorità statale in Somalia, penetrarono nelle acque territoriali somale saccheggiandole e riducendo alla miseria i piccoli pescatori locali. Questi incominciarono così ad attaccare le navi straniere esigendo una sorta di tassa che compensasse il loro mancato guadagno. Poi c’è stato un salto di qualità e la pirateria artigianale si è trasformata in un esercito ben armato e dotato di imbarcazioni velocissime. Nel 2008, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha autorizzato le navi militari straniere a intervenire. Al largo della Somalia incrociano da allora flotte dei Paesi dell’Unione europea e della Nato, ma anche di Cina, India e altri Stati. Il risultato, però, è finora tutt’altro che rilevante. Come detto gli attacchi si sono intensificati e nelle mani dei pirati ci sono tuttora una cinquantina di navi e oltre cinquecento ostaggi. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 lunedì-martedì 10-11 ottobre 2011 L’11 ottobre 1962 si apriva la prima sessione del concilio ecumenico Vaticano II Quel sorprendente aggiornamento Dopo Roncalli, quattro Papi hanno avuto il compito di declinare nel quotidiano quel capitale spirituale e pastorale senza precedenti di PHILIPPE LEVILLAIN a Chiesa cattolica, romana e universale, fece il suo ingresso solenne e spettacolare nel mondo dei media giovedì 11 ottobre 1962, al momento dell’apertura della prima sessione del concilio Vaticano II, in riferimento al concilio sospeso nel 1870. Vaticano I, concilio interrotto? Vaticano II, concilio del completamento? No: Vaticano II, concilio dell’«aggiornamento». Il termine ebbe uno strepitoso successo. Evitava la parola «riforma». Sarebbe entrato nel vocabolario politico. Tutto era pronto dall’annuncio del progetto formulato da Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959. Una ispirazione provvidenziale ripetutamente sottolineata. Lo scetticismo iniziale fu dimenticato fin dall’11 ottobre 1962. E tuttavia si parlò di Stati Generali della Chiesa. Il redattore di un grande quotidiano parigino spiegò a un giovane stagista: «Non si sa mai dove ciò può condurre. Preparati a defini- L Giovanni XXIII re l’aggettivo “ecumenico”, perché sta per servire». Non pensava di dire così bene. Giovanni XXIII immaginava una sola seppure lunga sessione di un evidente consenso. Ce ne sarebbero volute quattro. Il programma iniziale era insormontabile (settantadue schemi). Curiosa all’inizio, l’opinione pubblica divenne progressivamente l’attore primordiale del Il dramma di quell’assise fu di essere appesantita da un’instancabile impazienza da parte di coloro che ebbero la missione di viverla Vaticano II che non se ne poté difendere nonostante le precauzioni prese al principio. La prima sessione fu turbolenta. L’episcopato di tutti i Paesi aveva bisogno di esprimersi. Apparvero delle nuove personalità. Presto la Curia si internazionalizzò. Ma uno apre il Vaticano II dei primi risultati del Concilio, al di là di inevitabili dibattiti, si tradusse nell’arbitraggio di Giovanni XXIII nel terribile conflitto tra gli Stati Uniti d’America e l’Urss nel momento della crisi dei missili di Cuba, nell’ottobre del 1962. Contrariamente a quanto affermato da Stalin a proposito di Pio XII, la Santa Sede aveva delle truppe: duemilacinquecento vescovi e l’opinione pubblica. Né Pio X nel 1914, né Benedetto XV nel 1917, né Pio XII nel 1940 avevano potuto imporre una forza morale così persuasiva. Il Vaticano II ha portato e anche fortificato lo statuto di soggetto di diritto internazionale della Santa Sede particolarmente dopo la Conferenza di Helsinki nell’agosto del 1975. Ma in ciò non sta veramente l’essenziale. L’opera del Vaticano II (sedici documenti conciliari) è un tutto e, per utilizzare una metafora architettonica, una pietra supplementare o un restauro di una cattedrale costruita da due millenni attraverso la missione della Chiesa. In pochi hanno letto integralmente questi sedici documenti conciliari, che sono di ineguale valore. Ma l’insieme si articola attorno a un asse cardine con due poli: la costituzione dogmatica sulla Chiesa (Lumen gentium, 21 novembre 1964) e la costituzione dogmatica sulla Rivelazione (Dei verbum, 18 novembre 1965). Se l’opera inizia con una riforma della liturgia, troppo rapidamente condotta in alcuni Paesi, essa si è conclusa con i rapporti tra la Chiesa e il mondo (Gaudium et spes, 7 dicembre 1965). Costruita tassello dopo tassello e non senza sofferenza, l’opera conciliare ha ripreso dalle fondamenta tanto lo statuto dei sacerdoti e la loro vocazione, che i missionari, le relazioni con le religioni monoteiste e soprattutto la questione della libertà religiosa e le relazioni con l’ebraismo e Israele nella riflessione storiografica e in politica. È da notare che la chiusura del Concilio l’8 dicembre Nel 1943 trascorse tre mesi nel paese di Fonterutoli per sfuggire ai fascisti L’esilio di pace di Giorgio La Pira di ENZO CARLI Fonterutoli è sulla strada che scende dalla collina di Castellino in Chianti verso Siena. La strada è affiancata da estesi vigneti per la produzione del vino Chianti classico. Castellina è dominata da un’alta e imponente torre, costruita dai fiorentini ai primi del Quattrocento per proteggere gli abitanti nel territorio della Lega Castellina, Radda Gaiole. A Castellina abitarono gli Etruschi, ma non c’è traccia di storia e di arte medievali. Il medioevo è passato a Fonterutoli dove Ottone III imperatore europeo, nel 998, si fermò per decretare regole e confini tra le diocesi confinanti di Siena, Arezzo e Fiesole fra loro in contesa. Il decreto imperiale è conservato nella diocesi di Arezzo, e a ricordo è stata posta una lapide sulle mura del paese. La nobile famiglia Mazzei, fiorentina, nella persona di Madonna Smaralda, nipote di Ser Lapo Mazzei, notaio, amico di Francesco di Marco Datini, per tutta la vita suo consigliere giuridico, sposa Piero di Fonterutoli, grosso proprietario terriero della Val d’Elsa, e, alla sua morte, ne eredita la proprietà di Fonterutoli. Lei e i suoi eredi hanno coltivato e Giorgio La Pira Il campanile della chiesa di Fonterutoli piantato molti vigneti, costruendo case e cantine. Giorgio La Pira fu invitato e poi accolto a Fonterutoli dal professore Jacopo Mazzei e con lui nacque un’ininterrotta e fraterna amicizia. Quando, minacciato e inseguito dai fascisti e dai tedeschi, dovette lasciare Firenze, si rifugiò a Fonterutoli alla fine del 1943 e si trattenne per tre mesi in casa di Jacopo Mazzei. La Pira aveva fondato una rivista, «Principi», profondamente critica nei confronti del regime. Nel periodo trascorso a Fonterutoli ebbe modo di discutere con Mazzei tanti argomenti, tra cui i concetti da immettere nella Costituzione in tema di lavoro. Nessuno del paese lo conosceva, non lo conobbero neanche quando divenne sindaco di Firenze, ma la curiosità si allargò vedendolo entrare ogni mattina in chiesa quando suonava la campana della messa e rimanervi in lunga preghiera per poi rientrare e dedicarsi alla meditazione e agli studi. Nei giorni feriali, in chiesa, occupava la terza panca, solitario, a destra verso l’altare. Per segnare la «sua» panca abbiamo messo una lastrina d’ottone col nome «Giorgio La Pira» sull’appoggio delle braccia. La Pira morì nel 1977. Nel 1953, qualcuno scoprì un suo scritto a mano. Qualche anno fa il suo scritto fu inciso su una pietra che venne poi murata sulla facciata della chiesetta, come un manifesto: «Fonterutoli — vi si legge — è come una piccola città tutta ordinata attorno alla sua chiesa. Sembra un angolo particolare di pace, di solitudine, di speranza ed i suoi abitanti portano nel volto e nel comportamento i segni vivi della fede cristiana, della carità cristiana, della speranza cristiana. Io non la dimenticherò mai. Nel 1943, in casa Mazzei, per tre mesi vi trascorsi un periodo di vita ricco di preghiera e fecondo di attesa. Sono grato al Signore per avermi fatto conoscere questa “piccola città” che è una fonte vera di pace e di bene». La messa festiva a Fonterutoli è ancora oggi molto frequentata. Al tempo di Giorgio tutti andavano alla messa. Sono ancora in tanti, con qualche assenza di persone arrivate negli ultimi tempi. Ma Fonterutoli è rimasta una «piccola città che è una fonte di pace e di bene» e tutto il paese è ancora la casa del «sindaco santo». sussidiarietà, pone molto in alto il dibattito sulla fede. Questa lettura permanente del Concilio è una delle grandi sfide dei cinquant’anni trascorsi e delle crisi che la Chiesa può ancora attraversare negli anni a venire. Ma ognuno sa che nessun concilio, neanche quello di Trento, ha portato frutto dall’oggi al domani. Il Concilio tridentino è stato attuato dai gesuiti, il concilio Vaticano II sarà realizzato dalla parola, dal legame più capzioso tra gli esseri umani. Pubblicando la sua prima enciclica, il 25 dicembre 2005, Benedetto XVI ha fortemente insistito sull’esigenza dell’amore umano nell’accettazione del passaggio graduale dall’èros all’agàpe. Giovanni Paolo II già aveva sollecitato una catechesi del corpo della quale si apprestava a fare un libro al momento della sua elezione nel 1978. Del corpo non si tratta nei sedici documenti conciliari, per tanto che si sappia. Ma questi due Papi hanno ricordato — e Giovanni Paolo II con la sua morte eroica e la sua beatificazione — che se «Dio ha bisogno degli uomini» (dal libro di Henri Queffélec, Un recteur de l’Ile de Sein, 1944), gli uomini hanno bisogno di Dio e che il corpo La celebrazione a San Paolo fuori le Mura al termine della quale Roncalli annunciò il Concilio è una persona (Dignitatis Humanae, Splendor Veritatis). Il Vaticano II non rappresentò gli 1965, che avvenne nella gioia e vanni XXIII se fosse vissuto più a Stati Generali della Chiesa per una nell’esuberanza, allo stesso tempo lungo? — delle indignazioni forsen- semplice ragione: gli Stati Generali straziò i cuori e alleviò gli spiriti. nate, come per la Humanae vitae, o di Francia si nutrirono di lamentele, Disattesa fu la speranza, forte- dei malintesi, come per i discorsi di contenute nei cahiers de doléances mente delusa, presso un’opinione Benedetto XVI nel corso del suo mentre la fase preparatoria del Conpubblica impaziente di una sorta di viaggio in Africa e a Ratisbona. Il cilio, al contrario, prese in carico libertà morale della quale la crisi del Sinodo del 1985, per commemorare suggerimenti, voti, proposizioni, tut1968 fu l’effetto, coincidente con a Roma il ventesimo anniversario ti costruttivi, spesso in occasione di l’audace enciclica Humanae vitae, della fine del Concilio, non ebbe assemblee alle quali partecipavano decisa e pubblicata il 25 luglio 1968. una grande riuscita. Il messaggio al dei laici. Il futuro cardinale Wojtyła Il termine di «crisi» della Chiesa ap- mondo, anafora di quello del 1962, procedette a numerose riunioni per pare nel 1970 per designare il Vatica- non ebbe alcun impatto. Il progetto preparare il famoso schema 13 (Gauno II sia come un fallimento, sia co- elaborato dal cardinale Lustiger vendium et spes). Ciascuno portò la sua me una tappa verso un concilio ne giudicato troppo pessimista. Ma pietra al restauro dell’edificio della complementare: «Vaticano III» o spettacolare fu la dichiarazione di Chiesa e a un’antropologia moderna, «Laterano VI». un vescovo africano che disse, in tenendo conto del progresso delle Dopo Giovanni XXIII, quattro Papiedi, con forza poco comune: «Per scienze sociali e tecniche. Tenendo pi «conciliari» ebbero il compito di noi, Africani, il Vaticano II è Nicea». conto anche delle aspirazioni del mantenere la speranza e di declinare «Popolo di Dio»: opera di nel quotidiano un capitale spirituale fiducia e non di doléance. e pastorale senza precedenti: Paolo «Il Vaticano II per noi è Nicea» È su questi vota, a partire VI da martire, Giovanni Paolo I con dai quali i primi schemi e i esclamò un vescovo africano il suo folgorante passaggio di testisuccessivi testi sono stati dimone, Giovanni Paolo II come pellea Roma nel 1985 scussi e votati, e sull’espegrino della fede e Benedetto XVI corienza dei Padri, che il Connel corso del ventesimo anniversario me ermeneuta della ricchezza del vegno organizzato dal PontiConcilio al di là dei suoi errori di della chiusura dei lavori ficio Comitato di Scienze applicazione storicizzabili. Al di là Storiche intende basarsi per della liturgia e della questione del cristianesimo in Europa, la catechesi Questa affermazione, che lasciò stu- uno studio minuzioso del consensus pefatta l’assemblea, riassumeva tutta Ecclesiae del quale l’elaborazione fu del Vaticano II fu l’opera dei Papi dinanzi a un popolo di laici che del l’opera di fede sotterranea che il progressiva e sottoposta alla prova Concilio prende ancora in considera- Concilio operava in continenti nei del tempo senza nulla cambiare zione solo la parte ecclesiale, antro- quali la sua opera costituiva il sor- all’ispirazione del 1959. pologica e sociologica in luogo del passo di un catechismo tradizionale. A tale scopo, il Pontificio Comitaprogramma completo del Concilio Non si può sottovalutare la grande to di Scienze Storiche ha promosso così come proposto nel 1962. All’im- invenzione delle Giornate Mondiali una ricerca, in collaborazione con il pazienza del viaggiatore che non tol- della Gioventù (JMJ) di Giovanni Centro Studi e Ricerche «Concilio lera più di due ore di un tragitto che Paolo II che ha creato una genera- Vaticano II» della Pontificia Universi faceva prima in ventiquattro ore, il zione di giovani «JMJisti». Grazie sità Lateranense, sugli archivi dei dramma del Vaticano II è quello di alla sua capillarità, la fede infusa Padri del Concilio. Un primo conveessere appesantito da un’instancabile nell’animo della gioventù dell’Euro- gno internazionale si terrà a Roma impazienza da parte di coloro che pa dell’Est contribuì alla caduta del dal 3 al 6 ottobre 2012 per fare il hanno la missione di viverlo o il domuro di Berlino nel 1989. punto sulla documentazione prodotvere di rispettarlo. La speranza è La complessità del Vaticano II nel- ta dai vescovi, al fine di meglio comsempre un indomani, è la grande lela sua lettura corrisponde alla dina- prendere come essi hanno vissuto il zione dell’opera conciliare. costante del commento Concilio. Un altro, grande convegno Un detto popolare vuole che «i mica bambini crescano di notte». La fede dell’opera conciliare alla quale si de- avrà luogo nel 2015 per il cinquanteimmutabile illuminata dal Vaticano dicano sia i Pontefici romani che i simo anniversario della fine del Conteologi. Lo spazio concesso alla pa- cilio: fare il bilancio dei lavori e vaII nel mondo moderno cresce da cinquant’anni nella notte profonda del- rola nella liturgia, che va di pari pas- lutare il peso del Vaticano II nella le Scuole — cosa avrebbe fatto Gio- so con i principi di collegialità e di storia. Nuova tappa della mostra dopo la Reggia della Venaria Reale «La Bella Italia» arriva a Palazzo Pitti Nel centocinquantesimo anniversario della unificazione, «La Bella Italia» segue le sue capitali. E così dopo Torino, la mostra dedicata al «più bel paese del mondo» (come l’ebbe a definire Stendhal) arriva a Firenze, seconda capitale del nuovo Regno. Dopo la Reggia della Venaria Reale, dall’11 ottobre (e fino al prossimo 12 febbraio) è dunque Palazzo Giovanni Signorini, Veduta della Piazza Santa Croce a Firenze nell’occasione del carnevale (1846) Pitti a ospitare le oltre trecento opere in mostra, per una superficie allestita di duemila metri quadrati. L’esposizione — divisa per sezioni delle città capitali preunitarie che ospitano dipinti, sculture e manufatti — celebra la grandezza storica, culturale, artistica e letteraria di tutti i territori che andarono a comporre la nuova nazione. «L’Italia unita dalle scelte culturali quali la lingua e l’arte ben prima che dai processi politici, l’Italia descritta nelle sue eccellenze artistiche da Giorgio Vasari e dagli storiografi dell’arte suoi epigoni, l’Italia migliore, quella delle migliaia di musei all’ombra delle centinaia di campanili, con questa mostra svela in un colpo solo i segreti della sua inesauribile attrattiva». Così afferma Cristina Acidini che — insieme con Antonio Paolucci — dell’esposizione è la curatrice. L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 10-11 ottobre 2011 pagina 5 Anche Albert Einstein, Chaim Weizmann e Golda Meir tra i testimoni dell’«audace carità» di Papa Pacelli Ma Pio XII evitò la trappola dell’esibizionismo politico Domenica 9 ottobre, in occasione dell’anniversario della morte del venerabile Pio XII si è tenuta una solenne concelebrazione eucaristica nella basilica di San Pietro presieduta dal cardinale arciprete della basilica Vaticana coadiuvato dal cardinale Salvatore De Giorgi, arcivescovo emerito di Palermo. Pubblichiamo uno stralcio dell’omelia di ANGELO COMASTRI l rifiuto di Dio comporta inesorabilmente uno svuotamento della vita, una mutilazione di significato, per cui l’esistenza diventa banale, esposta ad ogni inganno e ad ogni schiavitù. Chiediamoci: perché oggi c’è tanto nervosismo, tanta inquietudine, tanta scontentezza? La risposta profonda è una sola: c’è una scontentezza diffusa perché manca Dio; tante persone sembrano impazzite perché hanno rifiutato Dio. Geremia, mettendo a confronto la festa Dio e la desolazione del peccato, esclama: «Inorridite! Essi hanno abbandonato una sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne screpolate dove resta soltanto un po’ di acqua putrida» (Geremia, 2,13). Eppure accade così: è il mistero del peccato, il mistero dell’orgoglio che rende l’uomo cieco, folle ed infelice. In modo particolare nel secolo scorso si è consumato un tragico divorzio tra l’umanità e Dio: frutto amaro sono le stragi inaudite della seconda guerra mondiale e la comparsa degli infernali lager e gulag: vergogna dell’umanità! Pio XII, uomo di Dio, aveva capito tutto questo e affrontò l’impazzimento del suo tempo con la terapia della verità e con l’azione coraggiosa della carità. E, a onor del vero, il silenzio non ci fu e la carità non ebbe confini. Osserva il cardinale José SaraivaMartins: «Non solo il cardinal Pacelli aveva attivamente collaborato alla stesura dell’Enciclica antinazista Mit brendenner sorge di Pio XI, ma anche nella sua prima enciclica da Papa la Summi Pontificatus, Pio XII fu talmente chiaro contro il nazismo che Goebbels la definì molto aggressiva contro di noi, anche se nascostamente». Ecco, infatti, il chiaro insegnamento di Pio XII: «Il momento in cui vi giunge questa Nostra prima enciclica è sotto più aspetti una vera ora delle tenebre, in cui lo spirito della violenza e della discordia versa sull’umanità una sanguinosa coppa di dolori senza nomi e i popoli, travolti nel tragico vortice della guerra, sono forse ancora soltanto agli inizi dei dolori, ma già in migliaia di famiglie regnano morte e desolazione, lamento e miseria». Per quel che concerneva la missione della Chiesa cattolica, Pio XII lucidamente affermava: «In mezzo a questo mondo, che presenta oggi uno stridente contrasto alla pace di Cristo nel regno di Cristo, la Chiesa e i suoi fedeli si trovano in tempi e anni di prove, quali raramente si conobbero nella sua storia di lotte e sofferenze; e con cuore straziato per le sofferenze e i patimenti di tanti suoi figli (...) la verità, che essa annunzia, e la carità, che insegna e mette in opera, saranno gli insostituibili consiglieri e cooperatori degli I † Il Presidente, il Segretario ed il Sottosefretario, insieme a tutti gli Officiali del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari sono spiritualmente vicini alla signora Emanuela Milana, Officiale del Dicastero per la scomparsa del papà, SIG. PIETRO MILANA In questo particolare momento in cui solo la Fede ci è di conforto e sostegno, assicuriamo le nostre preghiere a suffragio della benedetta anima, certi della Resurrezione finale. uomini di buona volontà nella ricostruzione di un nuovo mondo (...) dopo che l’umanità, stanca di correre per le vie dell’errore, avrà assaporato gli amari frutti dell’odio e della violenza». Ed espressamente Pio XII, sempre nella Summi Pontificatus, scrive: «Le angustie del presente sono un’apologia del cristianesimo, che non potrebbe essere più impressionante. Dal gigantesco vortice di errori e movimenti anticristiani sono maturati frutti tanto amari da costituire una condanna, la cui efficacia supera ogni confutazione teorica». Secondo il Pontefice, tra i molteplici errori di quel momento, due erano da considerare come i maggiori responsabili delle tensioni tra i popoli e tra le nazioni: il razzismo e la statolatria. Non si poteva essere più chiari Da sottolineare anche è la illuminata e audace carità di Pio XII verso gli ebrei. Mi limito a citare alcune testimonianze che vengono dal versante stesso del popolo ebraico e, pertanto, sono imparziali. Durante la seconda guerra mondiale l’ebreo più noto e più autorevole era Albert Einstein. Ebbene, proprio Einstein nel dicembre 1940 sul «Time Magazine» rilasciò questa dichiarazione: «Essendo un amante della libertà, quando avvenne la rivoluzione in Germania (l’avvento di Hitler) guardai con fiducia alle uni- versità sapendo che queste si erano sempre vantate della loro devozione alla causa della verità. Ma le università vennero zittite. Allora guardai ai grandi direttori dei quotidiani, che in ardenti editoriali proclamano il loro amore per la libertà. Ma anche loro, come le università, vennero ridotti al silenzio, soffocati nell’arco di poche settimane. Soltanto la Chiesa si oppose pienamente alla campagna di Hitler mirante a sopprimere la verità. Non avevo mai avuto un interesse particolare per la Chiesa, ma ora sento per essa grande amore e ammirazione, perché soltanto la Chiesa ha avuto il coraggio e la perseveranza di difendere la libertà intellettuale e la libertà morale. Devo confessare che ciò che prima avevo disprezzato, ora lodo incondizionatamente». A capo della Chiesa cattolica c’era allora Pio XII. Le testimonianze, dopo la guerra, si susseguirono ininterrotte e tutte di altissimo livello. Il rabbino capo della comunità israelitica di Roma, Elio Toaff, nel 1958 in occasione della morte di Pio XII, disse apertamente: «Più di ogni altro ho avuto occasione di sperimentare la grande magnanimità del Papa Pio XII durante gli anni infelici della persecuzione e del terrore, quando sembrava che per noi non ci fosse più alcuno scampo». E il 9 ottobre dello stesso anno 1958, il ministro degli Esteri di Israele, signora Golda Meir, commemo- rando all’Onu il Pontefice defunto, lo ringraziò pubblicamente «per aver alzato la sua voce in favore degli ebrei». E aggiunse: «La vita del nostro tempo è stata arricchita da una voce che esprimeva le grandi verità morali al di sopra del tumulto dei conflitti quotidiani. Noi piangiamo un grande servitore della pace». Non solo. Nel 1943 Chaim Weizmann, che sarebbe divenuto il primo presidente di Israele, scrisse che «la Santa Sede sta fornendo il suo potente aiuto dovunque le sia possibile, per mitigare la triste sorte dei miei correligionari perseguitati». Moshe Sharett, secondo primo ministro di Israele, incontrò Pio XII negli ultimi giorni di guerra e dichiarò che «il mio primo dovere era, a nome del popolo ebraico, ringraziare lui e, per suo tramite, la Chiesa cattolica, per tutto quello che avevano fatto nei vari paesi per salvare gli ebrei». Nel mese di maggio del 1963, dopo la rappresentazione dell’opera di Rolf Hochhuth, l’allora cardinal Giovanni Battista Montini, che fu collaboratore e testimone dell’impegno infaticabile di Pio XII durante la seconda guerra mondiale, alla rivista cattolica inglese «The Tablet» dichiarò: «Se, per ipotesi, Pio XII avesse fatto ciò che Hochhuth gli rimprovera di non aver fatto, sarebbero accadute tali rappresaglie e tali rovine che, a guerra finita, lo stesso Il sorriso cordiale di Papa Pacelli durante un’udienza Hochhuth, con migliore valutazione storica, politica e morale, avrebbe potuto scrivere un altro dramma, molto più realistico e più interessante, quello che ha così bravamente, ma così infelicemente, messo in scena, il dramma cioè dello Stellvertreter, che per esibizionismo politico o per inavvedutezza psicologica, avrebbe la colpa di aver fatto scatenare sul mondo, già tanto tormentato, una più vasta rovina a danno non tanto proprio, ma quanto a carico di innumerevoli vittime innocenti». Suonano, a questo punto, veramente e onestamente profetiche le parole pronunciate dal beato Giovanni Paolo II a Gerusalemme nell’anno 2000, quando visitò il mausoleo di Yad Vashem, cioè il monumento alla memoria delle vittime del nazismo. Disse il Papa: «Costruiamo un futuro nuovo nel quale non vi siano più sentimenti antiebraici tra i cristiani e sentimenti anticristiani tra gli ebrei, ma piuttosto il reciproco rispetto». A gloria di Dio, che è somma Verità. Il cardinale Michele Pellegrino a venticinque anni dalla morte Giustizia e verità secondo lo stile dei Padri A venticinque anni dalla morte del cardinale Michele Pellegrino lunedì 10 ottobre si tiene a Torino una commemorazione alla quale interverranno tra gli altri l’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia e il vescovo emerito di Acqui Livio Maritano. Anticipiamo alcuni stralci di uno degli interventi. di PAOLO SINISCALCO Se si volesse compendiare in breve il percorso di studi e pubblicazioni compiuti da Michele Pellegrino in oltre venti anni di intensa attività scientifica si potrebbero indicare alcune grandi linee di fondo. I rapporti dei Padri con la Sacra Scrittura e quindi con la loro opera esegetica davvero imponente, il confronto tra la letteratura cristiana antica e le letterature classiche, e quindi il delinearsi di una cultura ispirata dal cristianesimo, il carattere dell’apologetica più antica, lo sviluppo di una teologia del martirio sono temi sui quali si è esercitata l’intelligenza filologica, letteraria e storica di Michele Pellegrino Entro queste grandi linee si colloca, come è naturale, una serie nutrita di argomenti collegati. Ma sarebbe una grave lacuna dimenticare la sua «passione» per il vesco- vo di Ippona, sant’Agostino, sul quale ha lasciato pagine di grande profondità e luce. Egli ha davvero intrattenuto un vero colloquio con l’autore africano, un colloquio che, cominciato da prete e da studioso, ha continuato da pastore e vescovo. (...) Monsignor Pellegrino dice che sant’Agostino è il suo maestro; il consigliere delle sue iniziative pastorali nello spirito del Concilio, l’ispiratore dei suoi insegnamenti. E quali? (...) Eccoli: il senso della sintesi che unifica i diversi aspetti del reale in un’unità di trascendenza, l’attenzione accentrata sull’uomo concreto, i suoi problemi, i suoi drammi; il senso della storia, tanto importante nella cultura contemporanea; il senso della Chiesa, considerata come mistero, la sua realtà esistenziale, senza dimenticare la struttura gerarchica, che sant’Agostino illustra così vivacemente nelle sue controversie con i donatisti. Infine il senso dell’interiorità:”non andare fuori, rientra in te!”».Così Paolo VI. I Padri dunque — innanzitutto il vescovo di Ippona, ma non solo lui — sono guida e luce sul cammino pastorale di Michele Pellegrino. Del resto fin dal primo messaggio inviato il 21 settembre 1965 al clero e ai fedeli della Diocesi rievoca la figura di san Massimo, vescovo di Torino all’inizio del V secolo, di cui è successore. E anche in quella lettera dal titolo Camminare insieme. Linee programmatiche per una pastorale della Chiesa torinese. frutto di una ricerca e di una esperienza comunitaria sofferta, ma certamente positiva. Una lettera che tante critiche, insieme a tanti plausi, ha suscitato, e non solo a Torino, senza che, in molti casi, se ne sia colto lo spirito profondo che la anima da un capo all’altro ed in cui non mancano le citazioni dei Padri, da Massimo di Torino ad Agostino a Giovanni Crisostomo invocati, per sottolineare punti gravi e seri del testo. L’ispirazione patristica rimane costante nella sua predicazione e che si univa alle frequenti citazioni dei documenti del concilio Vaticano II, che considerava punto di riferimento irrinunciabile per la vita della Chiesa nell’oggi. Dunque nei suoi molteplici interventi si riferiva molto spesso ai Padri da lui tanto amati, soprattutto perché essi si erano fatti al loro tempo e si facevano, per chi sapesse leggerli anche nell’oggi, tramite per conoscere ed amare Gesù Cristo. Del concilio Vaticano II nell’ultima sessione, egli pone in evidenza un’idea centrale, perennemente valida, l’idea della comunione ecclesiale; un’idea collegata alla realtà dell’Eucarestia, così frequente e viva nei Padri, un’idea da lui espressa e vissuta nel suo ministero di pastore, «ben prima che l’affermazione sull’ecclesiologia del Vaticano II come ecclesiologia di comunione diventasse un adagio universale». Si sa che il motto episcopale da lui scelto fu Evangelizzare pauperibus, desunto dal programma messianico di Gesù: per lui significò portare la buona novella ai poveri, certamente aiutarli sul piano materiale, ma non meno annunciare a loro il Regno di Dio, la salvezza recata da Gesù. La sua azione, la sua opera sembrò ad alcuni sconcertante e rivoluzionaria, ma in realtà echeggiava una tradizione e dei modelli molto antichi. A quella tradizione e a quei modelli antichi e venerandi s’ispiravano anche certe sue richieste di maggiore libertà all’interno della Chiesa, di rivalutazione del ruolo della donna e dei laici nell’opera di evangelizzazione, di alleviamento di certi pesi divenuti anacronistici. In proposito si sa della franchezza, della forza, del coraggio con cui il vescovo di Torino parlava, della sua parresìa. Ma come, a mio parere, è stato bene osservato, così faceva perché «amava le ammonizioni profetiche dei Padri, soprattutto di Giovanni Crisostomo, di Basilio, di Ambrogio in difesa del povero, in vista della prassi di giustizia e di condivisione dei beni nella comunità cristiana contro l’egoismo dei ricchi e il dominio di chi misconosce la giustizia e non sa cosa vuol dire la legalità». Nel Capodanno del 1977, al termine della concelebrazione eucaristica nel Duomo della città, il cardinale stesso annunciò di avere chiesto al Papa di esonerarlo dal suo ufficio per le malferme condizioni di salute. Dopo il 1° gennaio 1978 l’arcivescovo continuò nella sua attività, né gli mancarono, come negli anni precedenti, difficoltà, amarezze, ma pure gioie nel governo della diocesi. Nel marzo, nel quadro delle Conferenze quaresimali, proposte dalla Facoltà teologica, svolse un tema sul futuro della Chiesa. E, per rispondere, riprese un pensiero di san Massimo di Torino che già si poneva il medesimo quesito dinanzi alle invasioni barbariche interpretate come segni premonitori della fine del mondo. Qui come in altre successive occasioni, egli ribadì costantemente e frequentemente la sua linea di fedeltà assoluta a Cristo e agli uomini, di scelta di povertà, in un mondo in cui le disuguaglianze sono troppo stridenti, di rinuncia a ogni egoismo personale, di accettazione della povertà per amore degli altri. Alla fine di luglio giunse la notizia che Paolo VI aveva accettato le sue dimissioni e il 1° agosto nella chiesa della Consolata, da sempre meta venerata e centro vivo dei cattolici torinesi, egli annunciò che il Santo Padre aveva chiamato a guidare la diocesi Atanasio Alberto Ballestrero. Fin da quei giorni aveva scelto, lasciato il Palazzo arcivescovile, di andare ad abitare in una parrocchia di un piccolo paesino delle Valli di Lanzo, non lontano da Torino, Vallo Torinese. Il parroco don Vincenzo Chiarle, l’aveva invitato a trasferirsi nella casa parrocchiale. E là lo accolse con bontà, con calore, con cordialità; e là rimase come «viceparroco» o «parrocchiano» di Vallo, come era solito definirsi con una punta di humour, che molto spesso distingueva la sua conversazione; e là continuò o, sarebbe meglio dire, riprese più intensamente che mai la sua attività di studioso tra libri e riviste che colmavano scaffali lunghi molti e molti metri (stava lavorando sui Sermoni di sant’ Agostino). E di là partì spesso per rispondere ai numerosi inviti che gli pervenivano, per tenere conferenze e lezioni o per animare incontri o per soddisfare agli impegni del suo cardinalato. Così nel 1978 partecipò a un primo conclave, che vide l’elezione di Albino Luciani, Giovanni Paolo I e poi al secondo, che elesse Karol Wojtyła, Giovanni Paolo II, che con lui nel 1967 era stato creato cardinale da Paolo VI. Il 7 gennaio del 1982 celebrò a Vallo la messa che doveva essere l’ultima. Il giorno successivo fu colpito da ictus cerebrale che lo paralizzò e gli impedì interamente l’uso della parola. Nell’ultima omelia, commentando il passo della prima lettera di Giovanni, in cui si dice che «tutto ciò che è dato da Dio vince il mondo e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede», aveva osservato che quel linguaggio suona strano agli occhi del mondo. Gesù voleva dire: «Io ho vinto il mondo con la Croce; sembra che sia sconfitto, in realtà è la mia croce quella che porta al mondo la salvezza»; e osservava come nella resurrezione, la salvezza si sarebbe manifestata in modo palese). Poi dopo avere ricordato la morte di Oscar Romero, ucciso brutalmente mentre celebrava la Messa, era andato con il pensiero agli Atti dei martiri antichi, un cui si leggono racconti precisi ed affidabili, secondo i quali i martiri andavano al supplizio lieti, sicuri di avere vinto il mondo, per avere mantenuto la fede e avere data la loro testimonianza a Cristo. E concludeva: quello che veramente conta è la fede che si traduce nell’amore e nella coerenza di tutta una vita. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 lunedì-martedì 10-11 ottobre 2011 L’omelia durante la messa a Lamezia Terme La cura dell’altro e del bene pubblico Le risorse della fede e delle capacità umane per rispondere alle emergenze della disoccupazione e della criminalità organizzata Non cedere alla tentazione del pessimismo di fronte a comportamenti destabilizzanti e all’efferatezza della criminalità, ma costruire una nuova generazione di uomini e di donne capaci di promuovere «non interessi di parte ma il bene comune». È l’invito del Papa alla Calabria per costruire un futuro nuovo. Benedetto XVI lo ha affidato ai fedeli riuniti domenica mattina, 9 ottobre, nella zona cosiddetta ex-Sir, alla periferia industriale di Lamezia Terme, durante la celebrazione della messa con la quale è iniziata la sua prima visita pastorale in Calabria. Questo il testo dell’omelia pronunciata dal Pontefice. Cari fratelli e sorelle! È grande la mia gioia nel poter spezzare con voi il pane della Parola di Dio e dell’Eucaristia. Sono lieto di essere per la prima volta qui in Calabria e di trovarmi in questa Città di Lamezia Terme. Porgo il mio cordiale saluto a tutti voi che siete accorsi così numerosi e vi ringrazio per la vostra calorosa accoglienza! Saluto in particolare il vostro Pastore, Mons. Luigi Antonio Cantafora, e lo ringrazio per le cortesi espressioni di benvenuto che mi ha rivolto a nome di tutti. Saluto anche gli Arcivescovi e i Vescovi presenti, i Sacerdoti, i Religiosi e le Religiose, i rappresentanti delle Associazioni e dei Movimenti ecclesiali. Rivolgo un deferente pensiero al Sindaco, Prof. Gianni Speranza, grato per il cortese indirizzo di saluto, al Rappresentante del Governo ed alle Autorità civili e militari, che con la loro presenza hanno voluto onorare questo nostro incontro. Un ringraziamento speciale a quanti hanno generosamente collaborato alla realizzazione della mia Visita Pastorale. La liturgia di questa domenica ci propone una parabola che parla di un banchetto di nozze a cui molti sono invitati. La prima lettura, tratta dal libro di Isaia, prepara questo tema, perché parla del banchetto di Dio. È un’immagine — quella del banchetto — usata spesso nelle Scritture per indicare la gioia nella comunione e nell’abbondanza dei doni del Signore, e lascia intuire qualcosa della festa di Dio con l’umanità, come descrive Isaia: «Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande... di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati» (Is Il benvenuto del sindaco Per un futuro libero da ricatti e paure «Basta con la mafia». È con parole forti che il sindaco Gianni Speranza ha presentato al Papa, prima della messa, la realtà di Lamezia Terme, ringraziandolo per una visita che dà «coraggio e voce a tutti coloro che ne hanno bisogno, a chi soffre» e soprattutto ai giovani che «hanno bisogno di essere incoraggiati per costruire il loro futuro liberi dalle mafie, dai ricatti e dalle paure». Al Pontefice, il sindaco ha assicurato che comunque tra la gente non c’è rassegnazione ma la certezza che «il cambiamento è indispensabile e possibile» e che «ognuno di noi è chiamato a un esame di coscienza». «Noi non possiamo accettare — ha affermato — che nella nostra terra si rafforzi il dominio dei poteri criminali, l’impresa buona sia scacciata da quella cattiva e inquinata, il capitale illegale si sostituisca a quello legale, i nostri giovani non abbiano lavoro e prospettiva e siano costretti ad andare via e persino tanti sacerdoti vengano minacciati». «È terribile — ha detto il sindaco — che per un lavoro totalmente in nero e sottopagato si debba morire tragicamente come è successo per le operaie di Barletta. Non vogliamo essere una terra amara ma una terra di libertà per le donne, che qui incontrano più ostacoli e difficoltà, per gli uomini di oggi, per i nostri figli». Quindi, in accordo con altri sindaci della zona, ha rivolto un pensiero a Francesco Azzarà, calabrese rapito in Darfur «nell’auspicio che possa tornare presto tra noi» La Calabria è certo «una terra di sofferenza». Ma non solo. È infatti una terra «di straordinarie bellezze, di enormi potenzialità e risorse, di grandi talenti ma, al tempo stesso, di inaccettabile disoccupazione, di drammatiche ingiustizie e violenze. Di antiche e ininterrotte emigrazioni in tutti i continenti. Terra di accoglienza, porta del Mediterraneo e rifugio di moltitudini in disperata fuga. Quest’area, che abbiamo attrezzato per oggi, è anch’essa segno delle nostre laceranti contraddizioni. Grandi speranze e terribili delusioni si sono alternate. Abbia- mo aspettato invano il lavoro e l’industria. Invece solo spreco di denaro pubblico. Come tante, troppe volte nel Mezzogiorno. Ma qui, nella più estesa area industriale del sud, diversi imprenditori hanno realizzato iniziative serie e robuste e ci può essere ancora un’occasione concreta di futuro». «Lamezia — ha proseguito — è giovane ma con radici antiche. Ha visto fiorire nella sua comunità tante preziose iniziative di volontariato e solidarietà, anche con grande impegno della Chiesa locale. È una città inclusiva che non ha mai dimenticato i più bisognosi e le persone in difficoltà. Che ha affrontato momento durissimi e che ha ancora aperta la ferita del 5 dicembre scorso: la tragedia della morte di otto ciclisti nostri concittadini. Una grande tragedia». In questo contesto la visita del Papa, ha detto il sindaco, lascerà «una traccia indelebile nel cuore di ognuno di noi». Le sue parole «scuotono profondamente gli animi e squarciano la realtà». È già avvenuto con l’invito a servire il diritto e combattere il dominio dell’ingiustizia, nel discorso al Parlamento tedesco. E con l’auspicio di un rinnovamento etico per l’Italia e di una profonda rigenerazione dell’etica e della vita pubblica, nel telegramma inviato al presidente della Repubblica italiana, Napolitano, in occasione del viaggio in Germania. Il sindaco ha anche ricordato l’esortazione di Giovanni Paolo II ai calabresi, il 5 ottobre 1984, a farsi animo e ad aver fiducia in un «domani migliore». Come «segno di affetto» il sindaco ha donato a Benedetto XVI l’atto del comune che «concede il terreno sul quale potrà sorgere nella nostra città la nuova chiesa di San Benedetto. Nove secoli fa, infatti, nella nostra piana sorgeva l’abbazia benedettina di Santa Maria, un grande centro di vita spirituale e culturale». Un contributo importante perché «la Calabria nei prossimi anni possa essere all’altezza dei sogni e delle preghiere del suo popolo, nel solco della carità umile e tenace di san Francesco di Paola». 25, 6). Il profeta aggiunge che l’intenzione di Dio è di porre fine alla tristezza e alla vergogna; vuole che tutti gli uomini vivano felici nell’amore verso di Lui e nella comunione reciproca; il suo progetto allora è di eliminare la morte per sempre, di asciugare le lacrime su ogni volto, di far scomparire la condizione disonorevole del suo popolo, come abbiamo ascoltato (vv. 7-8). Tutto questo suscita profonda gratitudine e speranza: «Ecco il nostro Dio, in lui abbiamo sperato perché ci salvasse; questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza» (v. 9). Gesù nel Vangelo ci parla della risposta che viene data all’invito di Dio — rappresentato da un re — a partecipare a questo suo banchetto (cfr. Mt 22, 1-14). Gli invitati sono molti, ma avviene qualcosa di inaspettato: si rifiutano di partecipare alla festa, hanno altro da fare; anzi alcuni mostrano di disprezzare l’invito. Dio è generoso verso di noi, ci offre la sua amicizia, i suoi doni, la sua gioia, ma spesso noi non accogliamo le sue parole, mostriamo più interesse per altre cose, mettiamo al primo posto le nostre preoccupazioni materiali, i nostri interessi. L’invito del re incontra addirittura reazioni ostili, aggressive. Ma ciò non frena la sua generosità. Egli non si scoraggia, e manda i suoi servi ad invitare molte altre persone. Il rifiuto dei primi invitati ha come effetto l’estensione dell’invito a tutti, anche ai più poveri, abbandonati e diseredati. I servi radunano tutti quelli che trovano, e la sala si riempie: la bontà del re non ha confini e a tutti è data la possibilità di rispondere alla sua chiamata. Ma c’è una condizione per restare a questo banchetto di nozze: indossare l’abito nuziale. Ed entrando nella sala, il re scorge qualcuno che non l’ha voluto indossare e, per questa ragione, viene escluso dalla festa. Vorrei fermarmi un momento su questo punto con una domanda: come mai questo commensale ha accettato l’invito del re, è entrato nella sala del banchetto, gli è stata aperta la porta, ma non ha messo l’abito nuziale? Cos’è quest’abito nuziale? Nella Messa in Coena Domini di quest’anno ho fatto riferimento a un bel commento di san Gregorio Magno a questa parabola. Egli spiega che quel commensale ha risposto all’invito di Dio a partecipare al suo banchetto, ha, in un certo modo, la fede che gli ha aperto la porta della sala, ma gli manca qualcosa di essenziale: la veste nuziale, che è la carità, l’amore. E san Gregorio aggiunge: «Ognuno di voi, dunque, che nella Chiesa ha fede in Dio ha già preso parte al banchetto di nozze, ma non può dire di avere la veste nuziale se non custodisce la grazia della Carità» (Homilia 38, 9: PL 76, 1287). E questa veste è intessuta simbolicamente di due legni, uno in alto e l’altro in basso: l’amore di Dio e l’amore del prossimo (cfr. ibid., 10: PL 76, 1288). Tutti noi siamo invitati ad essere commensali del Signore, ad entrare con la fede al suo banchetto, ma dobbiamo indossare e custodire l’abito nuziale, la carità, vivere un profondo amore a Dio e al prossimo. Cari fratelli e sorelle! Sono venuto per condividere con voi gioie e speranze, fatiche e impegni, ideali e aspirazioni di questa comunità diocesana. So che vi siete preparati a questa Visita con un intenso cammino spirituale, adottando come motto un versetto degli Atti degli Apostoli: «Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!» (3, 6). So che anche a Lamezia Terme, come in tutta la Calabria, non mancano difficoltà, problemi e preoccupazioni. Se osserviamo questa bella regione, riconosciamo in essa una terra sismica non solo dal punto di vista geologico, ma anche da un punto di vista strutturale, comportamentale e sociale; una terra, cioè, dove i problemi si presentano in forme acute e destabilizzanti; una terra dove la disoccupazione è preoccupante, dove una criminalità spesso efferata, ferisce il tessuto sociale, una terra in cui si ha la continua sensazione di essere in emergenza. All’emergenza, voi calabresi avete saputo rispondere con una prontezza e una disponibilità sorprendenti, con una straordinaria capacità di adattamento al disagio. Sono certo che saprete superare le difficoltà di oggi per preparare un futuro migliore. Non cedete mai alla tentazione del pessimismo e del ripiegamento su voi stessi. Fate appello alle risorse della vostra fede e delle vostre capacità umane; sforzatevi di crescere nella capacità di collaborare, di prendersi cura dell’altro e di ogni bene pubblico, custodite l’abito nuziale dell’amore; perseverate nella testimonianza dei valori umani e cristiani così profondamente radicati nella fede e nella storia di questo territorio e della sua popolazione. Cari amici! La mia visita si colloca quasi al termine del cammino avviato da questa Chiesa locale con la redazione del progetto pastorale quinquennale. Desidero ringraziare con voi il Signore per il proficuo cammino percorso e per i tanti germi di bene seminati, che lasciano ben sperare per il futuro. Per fare fronte alla nuova realtà sociale e religiosa, di- versa dal passato, forse più carica di difficoltà, ma anche più ricca di potenzialità, è necessario un lavoro pastorale moderno e organico che impegni attorno al Vescovo tutte le forze cristiane: sacerdoti, religiosi e laici, animati dal comune impegno di evangelizzazione. A questo riguardo, ho appreso con favore dello sforzo in atto per mettersi in ascolto attento e perseverante della Parola di Dio, attraverso la promozione di incontri mensili in diversi centri della Diocesi e la diffusione della pratica della Lectio divina. Altrettanto opportuna è anche la Scuola di Dottrina Sociale della Chiesa, sia per la qualità articolata della proposta, sia per la sua capillare divulgazione. Auspico vivamente che da tali iniziative scaturisca una nuova generazione di uomini e donne capaci di promuovere non tanto interessi di parte, ma il bene comune. Desidero anche incoraggiare e benedire gli sforzi di quanti, sacerdoti e laici, sono impegnati nella formazione delle coppie cristiane al matrimonio e alla famiglia, al fine di dare una risposta evangelica e competente alle tante sfide contemporanee nel campo della famiglia e della vita. Conosco, poi, lo zelo e la dedizione con cui i Sacerdoti svolgono il loro servizio pastorale, come pure il sistematico ed incisivo lavoro di formazione a loro rivolto, in particolare verso quelli più giovani. Cari Sacerdoti, vi esorto a radicare sempre più la vostra vita spirituale nel Vangelo, coltivando la vita interiore, un intenso rapporto con Dio e distaccandovi con decisione da una certa mentalità consumistica e mondana, che è una tentazione ricorrente nella realtà in cui viviamo. Imparate a crescere nella comunione tra di voi e con il Vescovo, tra voi e i fedeli laici, favorendo la stima e la collaborazione reciproche: da ciò ne verranno sicuramente molteplici benefici sia per la vita delle parrocchie che per la stessa società civile. Sappiate valorizzare, con discernimento, secondo i noti criteri di ecclesialità, i gruppi e movimenti: essi vanno bene integrati all’interno della pastorale ordinaria della diocesi e delle parrocchie, in un profondo spirito di comunione. A voi fedeli laici, giovani e famiglie, dico: non abbiate paura di vivere e testimoniare la fede nei vari ambiti della società, nelle molteplici situazioni dell’esistenza umana! Avete tutti i motivi per mostrarvi forti, fiduciosi e coraggiosi, e questo grazie alla luce della fede e alla forza della carità. E quando doveste incontrare l’opposizione del mondo, fate vostre le parole dell’Apostolo: «Tutto posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4, 13). Così si sono comportati i Santi e le Sante, fioriti, nel corso dei secoli, in tutta la Calabria. Siano essi a custodirvi sempre uniti e ad alimentare in ciascuno il desiderio di proclamare, con le parole e con le opere, la presenza e l’amore di Cristo. La Madre di Dio, da voi tanta venerata, vi assista e vi conduca alla profonda conoscenza del suo Figlio. Amen! Il saluto del vescovo Antonio Cantafora Chiesa viva accanto al suo popolo La gioia e le speranze della Chiesa lametina sono state confidate al Papa dal vescovo di Lamezia Terme, Luigi Antonio Cantafora. «La notizia della sua visita — ha detto appena terminato il discorso del sindaco — ci ha riempiti di stupore e gratitudine per essere stati destinatari di tanta benevolenza». «Questi sentimenti — ha aggiunto il presule — si sono accresciuti, nell’attesa di questo giorno, perché l’annuncio della sua visita ha messo in moto la Chiesa e la società civile. E ora, Santità, siamo tutti intorno a lei: il nostro cuore sussulta per la Sua presenza, il nostro spirito attende la Sua parola». Il vescovo ha parlato della Calabria come «terra bella, terra ferita, talvolta rassegnata, ma ricca di storia, di valori genuini, di sentimenti religiosi e di tanta gioventù». La presenza del Pontefice — ha detto — «ci unisce, ci fa sentire popolo di Dio, fratelli perché figli dell’unico Padre». Dopo aver ricordato il motto scelto per la preparazione alla visita — «Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, cammina!» — monsignor Cantafora ha sottolineato: «Ora, lo stesso successore di Pietro, è qui in mezzo a noi per confermarci nella fede, per incoraggiarci nella speranza, per esortarci alla carità che tutti siamo chiamati a esprimere tra noi e anche nelle molteplici forme del vivere sociale. Santità, siamo assetati, affamati, desi- derosi di ascoltare e ricevere da lei la Parola di verità, la Parola che risolleva, rialza, fa rivivere. Siamo pronti ad ascoltare la Parola generatrice della vera vita, poiché non vogliamo che il nostro popolo perisca per mancanza di conoscenza». «Oggi — ha proseguito — attendiamo il suo autorevole incoraggiamento, la sua spinta, perché la nostra fede, purificata dal crogiolo della nostra storia, possa essere nel presente sempre più luminosa e audace e la nostra Chiesa sappia osare, perché innamorata di Cristo». La Calabria è un «territorio già intriso di spiritualità grazie agli insediamenti monastici basiliani e, in tempi recenti, simbolo di speranze di sviluppo economico mai pienamente intrapreso e sostenuto». E su questa terra «oggi celebriamo l’Eucaristia con il Successore di Pietro. La promessa del Signore, di essere con noi per sempre, si realizza. La gioia è al culmine! È una gioia che viene dalla Pasqua di Cristo ed è simbolicamente rappresentata dal dono che la nostra Chiesa le offre». In conclusione il presule ha rinnovato la riconoscenza a Benedetto XVI «per la sua presenza in mezzo a noi, per la consolazione e il conforto che la sua visita infonde nei nostri cuori e per lo slancio di fede che suscita nelle nostre vite». L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 10-11 ottobre 2011 pagina 7 Con la popolazione all’arrivo a Serra San Bruno Il monastero modello per la società A Serra San Bruno il Papa è giunto nel pomeriggio di domenica 9 ottobre. Prima di visitare la certosa, Benedetto XVI ha risposto con questo discorso al saluto rivoltogli dal sindaco. Signor Sindaco, Venerato Fratello nell’Episcopato, distinte Autorità, cari amici di Serra San Bruno! L’Angelus al termine della messa a Lamezia Terme Più attenzione per il lavoro, gioventù e disabili Al termine della celebrazione della messa a Lamezia Terme, nella mattina di domenica 9 ottobre, il Papa ha recitato l’Angelus. Prima di pregare ha proposto ai fedeli presenti la seguente riflessione per invitare a riscoprire la pratica del rosario. Cari fratelli e sorelle, mentre ci avviamo al termine della nostra Celebrazione, ci rivolgiamo con filiale devozione alla Vergine Maria, che in questo mese di ottobre veneriamo in particolare col titolo di Regina del Santo Rosario. So che diversi sono i Santuari mariani presenti in questa vostra terra, e mi rallegro di sapere che qui in Calabria è viva la pietà popolare. Vi incoraggio a praticarla costantemente alla luce degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, della Sede Apostolica e dei vostri Pastori. A Maria affido con affetto la vostra Comunità diocesana, perché cammini unita nella fede, nella speranza e nella carità. Vi aiuti la Madre della Chiesa ad avere sempre a cuore la comunione ecclesiale e l’impegno missionario. Sostenga i sacerdoti nel loro ministero, aiuti i genitori e gli insegnanti nel compito educativo, conforti i malati e i sofferenti, conservi nei giovani un animo puro e generoso. Invochiamo l’intercessione di Maria anche per i problemi sociali più gravi di questo territorio e dell’intera Calabria, specialmente Benedetto XVI quelli del lavoro, della gioventù e della tutela delle persone disabili, che richiedono crescente attenzione da parte di tutti, in particolare delle Istituzioni. In comunione con i vostri Vescovi, esorto in particolare voi, fedeli laici, a non far mancare il vostro contributo di competenza e di responsabilità per la costruzione del bene comune. Come sapete, oggi pomeriggio mi recherò a Serra San Bruno per visitare la Certosa. San Bruno venne in questa terra nove secoli fa, e ha lasciato un segno profondo con la forza della sua fede. La fede dei Santi rinnova il mondo! Con la stessa fede, anche voi, rinnovate oggi la vostra, nostra amata Calabria! tra i fedeli di Lamezia Terme Quel gesto di solidarietà dal nostro inviato NICOLA GORI E alla fine ha offerto il pranzo ai poveri assistiti dalla Caritas locale e il dessert agli anziani malati ospiti di alcune strutture assistenziali. Un gesto, quello del Papa a conclusione della visita a Lamezia Terme, che ha assunto un valore soprattutto simbolico in una terra, la Calabria, che ha un immenso bisogno di gesti concreti di condivisione. Poco prima il Papa aveva pregato con il popolo di Lamezia Terme. Aveva pregato secondo le intenzioni che erano state in qualche modo rappresentate dal primo cittadino e dal vescovo della diocesi. Aveva paragonato la Calabria a un terreno sismico, per rendere bene l’idea dello sconquasso che porta al suo tessuto sociale il malaffare, quello che il sindaco non ha esitato a chiamare per nome, la mafia. E aveva concluso esortando i calabresi a prendere in mano con coraggio il loro futuro, senza lasciarsi abbattere dallo scoramento di fronte alle angherie dei malavitosi. Cinquantamila fedeli, nonostante il maltempo della notte sulla città e proseguito a tratti in giornata, si sono raccolti attorno all’altare eretto nel cuore di una delle periferie più rappresentative di Lamezia Terme, laddove una volta si erigeva una fabbrica ormai chiusa. C’erano gruppi di fedeli provenienti dalle varie diocesi della Calabria e anche dalle regioni vicine, oltre a responsabili di movimenti, associazioni laicali, parrocchie e congregazioni religiose. Gli striscioni che tappezzavano la spianata segnavano come su una cartina le varie località di provenienza dei pellegrini, non solo della Calabria, ma di tutto il Meridione d’Italia, tra cui: Palermo, Catania, Bari, Melfi, Potenza, Barletta, Benevento, Napoli. All’arrivo sul palco, il Papa ha ascoltato le parole di benvenuto di Gianni Speranza, il sindaco, che ha richiesto un incoraggiamento contro la criminalità, la mafia, la violenza. Gli ha fatto eco il vescovo della diocesi, Luigi Antonio Cantafora, il quale ha salutato il Pontefice a nome di tutti i fedeli. Il 1° ottobre il presule, insieme con il presidente del consorzio di sviluppo industriale, Luigi Muraca, aveva annunciato che l’area industriale conosciuta con il nome di consorzio ex-Sir dove è stata celebrata la messa, verrà denominata «Area Benedetto XVI». Le motivazioni sono quanto mai eloquenti: «per perpetuare nel tempo quale esempio per le generazioni future, il ricordo di un uomo che, nell’esercizio del proprio pontificato ha tenacemente perseguito l’obiettivo del raggiungimento della pace fra i popoli della terra, testimonando la presenza di Cristo soprattutto fra gli umili e i bisognosi». E un’altra iniziativa che ricorderà la visita del Papa a Lamezia Terme è stato il dono di un terreno, concesso dall’amministrazione comunale, sul quale verrà costruita una nuova chiesa cittadina dedicata a san Benedetto abate. Il nuovo edificio vuole ricordare il Pontefice che ha scelto il nome del patrono d’Europa e ricordare, inoltre, che nove secoli fa nella piana sorgeva l’abbazia benedettina di Santa Maria. Una visita che rimarrà nella storia lametina e per la quale si sono mobilitati in tanti per assicurarne una buona riuscita. Basti pensare all’impegno nell’installazione del palco dove è stata celebrata la messa, sormontato da una grande croce disegnata dal maestro Gerardo Sacco, ispirata alla croce di Cortale, un paese situato sull’istmo della Calabria, il punto più stretto tra i mari Ionio e Tirreno. Al termine della liturgia — diretta da monsignor Guido Marini, maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie — Antonetto, un ragazzo di sedici anni — costretto su una sedia a rotelle, accompagnato da sua madre, volontaria dell’Unitalsi — ha presentato al Papa un ramoscello in oro per farlo benedire. Il ramoscello, realizzato dall’orafo Gerardo Sacco, verrà poi donato al santuario della Madonna della Quercia di Visora, uno dei luoghi tradizionali di pellegrinaggio mariano della zona, sorto nel XVI secolo. Insieme con Benedetto XVI hanno concelebrato, oltre ai componenti del seguito papale — gli arcivescovi Giovanni Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, James Michael Harvey, prefetto della Casa Pontificia, il vescovo Paolo De Nicolò, reggente della Prefettura della Casa Pontificia, monsignor Georg Gänswein, segretario particolare di Benedetto XVI — il vescovo Cantafora, i presuli della Calabria e di alcune diocesi delle regioni limitrofe, numerosi sacerdoti e religiosi. Alla celebrazione erano presenti, tra gli altri, Patrizio Polisca, medico personale del Pontefice, e il vice direttore del nostro giornale. In onore di Benedetto XVI, che è il primo Papa dopo secoli a celebrare una messa a Lamezia Terme — Giovanni Paolo II nell’ottobre 1984 si limitò ad atterrare all’aeroporto locale — si sono esibiti trecento cantori e l’orchestra musicale giovanile della Calabria, che ha eseguito i canti liturgici. Al termine della messa, in papamobile Benedetto XVI ha fatto il giro dell’area per salutare i fedeli, e si è quindi diretto in città, dove lo attendevano migliaia di lametini in festa. Tutto il percorso è stato caratterizzato dalla presenza — ai lati delle strade, per alcuni chilometri neanche transennati — di una folla composta e gioiosa. Molte persone sventolavano bandiere, fazzoletti, foulards, in particolare davanti alle parrocchie situate lungo il tragitto che ha condotto il Papa in episcopio, passando per le vie del centro storico di Nicastro, una delle tre località che, insieme con Sant’Eufemia e Sambiase, formano Lamezia Terme. Ventimila bandierine bianche e gialle, i colori dello Stato della Città del Vaticano, erano state donate per l’occasione dalla diocesi di Palermo che le aveva a sua volta utilizzate nella visita papale dell’ottobre 2010. Giunto in episcopio, il Papa ha pranzato con i vescovi della Calabria. Verso le 16.30, il Pontefice ha salutato gli organizzatori della visita e ha raggiunto in papamobile lo stadio «Guido D’Ippolito», da dove è partito in elicottero per Serra San Bruno. Il Papa era arrivato all’aeroporto internazionale di Lamezia Terme verso le 9.45, proveniente da Ciampino. Ad accoglierlo erano presenti, tra gli altri, il vescovo Luigi Antonio Cantafora, l’onorevole Gianni Letta, sottosegretario della Presidenza del Consiglio dei ministri dello Stato italiano, Francesco Maria Greco, ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, Giuseppe Scopelliti, presidente della regione Calabria, il sindaco della città. Sono lieto di potervi incontrare, prima di entrare nella Certosa, dove compirò la seconda parte di questa mia Visita pastorale in Calabria. Vi saluto tutti con affetto e vi ringrazio per la vostra calorosa accoglienza; in particolare ringrazio l’Arcivescovo di CatanzaroSquillace, Mons. Vincenzo Bertolone, e il Sindaco, Dott. Bruno Rosi, anche per le cortesi parole che mi ha rivolto. È vero, due Visite ravvicinate del Successore di Pietro sono un privilegio per la vostra comunità civile. Ma soprattutto, come giustamente ha detto ancora il Sindaco, grande privilegio è quello di avere nel vostro territorio questa «cittadella» dello spirito che è la Certosa. La presenza stessa della comunità monastica, con la sua lunga storia che risale a San Bruno, costituisce un costante richiamo a Dio, un’apertura verso il Cielo e un invito a ricordare che siamo fratelli in Cristo. I monasteri hanno nel mondo una funzione molto preziosa, direi indispensabile. Se nel medioevo essi sono stati centri di bonifica dei territori paludosi, oggi servono a «bonificare» l’ambiente in un altro senso: a volte, infatti, il clima che si respira nelle nostre società non è salubre, è inquinato da una mentalità che non è cristiana, e nemmeno umana, perché dominata dagli interessi economici, preoccupata soltanto delle cose terrene e carente di una dimensione spirituale. In questo clima non solo si emargina Dio, ma anche il prossimo, e non ci si impegna per il bene comune. Il monastero invece è modello di una società che pone al centro Dio e la relazione fraterna. Ne abbiamo tanto bisogno anche nel nostro tempo. Cari amici di Serra San Bruno, il privilegio di avere vicina la Certosa è per voi anche una responsabilità: fate tesoro della grande tradizione spirituale di questo luogo e cercate di metterla in pratica nella vita quotidiana. La Vergine Maria e San Bruno vi proteggano sempre. Di cuore benedico tutti voi e le vostre famiglie. Il saluto del sindaco Sostenuti nel cammino in un momento difficile La grande eredità lasciata da san Bruno e il perpetuarsi della sua protezione attraverso la presenza orante dei certosini sono i due aspetti sottolineati dal sindaco Bruno Rosi nel discorso con il quale ha accolto il Papa. «A salutarla e ringraziarla per la sua sensibilità per avere fortemente voluto essere presente tra di noi — ha esordito — è la città che a distanza di mille anni, nonostante il continuo evolversi di un mondo pieno di insidie di ogni genere, soprattutto per i giovani, e dove il consumismo spesso offusca i valori dello spirito, continua a custodire gelosamente ed ancora intatto l’inestimabile patrimonio spirituale lasciato in eredità da san Bruno. Suo connazionale e fondatore dell’Ordine Certosino, testimoniato dalla Certosa — che rappresenta, senza timore di smentita, l’eccellenza della Calabria — e, giorno dopo giorno, portato avanti con grande sacrificio e assoluta dedizione dai padri certosini». La visita del Pontefice, ha assicurato il sindaco, resterà «scolpita nei secoli avvenire in maniera assoluta- mente indelebile. Ciò è testimoniato dal fatto che, dopo solo appena 27 anni e 5 giorni la visita del beato Giovanni Paolo II, che di per sé era stato un evento eccezionale, un miracolo per Serra San Bruno, lei, Santo Padre, suo successore, ha sentito il bisogno di ripercorrere la medesima strada». «Con la consapevolezza che la giornata odierna rappresenta un nuovo impulso — ha concluso — per rinvigorire e fortificare ancora di più l’inestimabile patrimonio spirituale di cui questa città è fiera depositaria e beneficiaria, proprio grazie alla benevola intercessione di San Bruno, siamo desiderosi di accogliere, Santità, la sua parola come prezioso sostegno per il cammino non sempre agevole che questa comunità e l’intera Calabria hanno davanti in un momento così delicato. Ancora una volta grazie per aver voluto farci dono della sua presenza e per aver voluto certificare alla Calabria, all’Italia e al mondo intero la presenza quotidiana di Dio in questo luogo». Il rito presieduto sabato pomeriggio dal cardinale Bertone nella basilica Vaticana Ordinati i vescovi Sciacca e Adoukonou All’altare della Cattedra, nella basilica di San Pietro, il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, ha conferito sabato pomeriggio, 8 ottobre, l’ordinazione episcopale ai monsignori Giuseppe Sciacca, segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, e Barthélemy Adoukonou, segretario del Pontificio Consiglio della Cultura. Conconsacranti sono stati il cardinale Gianfranco Ravasi e l’arcivescovo Giuseppe Bertello, rispettivamente presidente del dicastero per la cultura e presidente del Governatorato. Hanno concelebrato otto porporati e una quarantina di presuli, tra i quali gli arcivescovi Giovanni Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, e Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. Hanno assistito al rito il decano del Collegio cardinalizio Angelo Sodano, con altri dodici cardinali, numerosissimi arcivescovi, vescovi e prelati della Curia Romana, con una folta rappresentanza del Governatorato. Tra i presenti — oltre alla madre e alla sorella di monsignor Sciacca, e ad alcuni familiari dei due ordinandi — erano i comandanti del Corpo della Gendarmeria Domenico Giani e della Guardia Svizzera Pontificia Daniel Rudolf Anrig, il direttore e il vicedirettore del nostro giornale. Al termine della celebrazione, diretta dal cerimoniere pontificio Guillermo Javier Karcher, i partecipanti si sono ritrovati al cortile della Pigna, dove hanno potuto salutare i due vescovi. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 lunedì-martedì 10-11 ottobre 2011 I secondi vespri recitati con la comunità dei monaci della certosa di Serra San Bruno Nel silenzio che trova l’essenziale Nella certosa di Serra San Bruno Benedetto XVI ha presieduto, nel tardo pomeriggio di domenica 9 ottobre, la celebrazione dei secondi vespri, ultimo atto della sua visita in Calabria. Questa l’omelia pronunciata dal Papa. Venerati Fratelli nell’Episcopato, cari Fratelli Certosini, fratelli e sorelle! Rendo grazie al Signore che mi ha condotto in questo luogo di fede e di preghiera, la Certosa di Serra San Bruno. Nel rinnovare il mio saluto riconoscente a Mons. Vincenzo Bertolone, Arcivescovo di CatanzaroSquillace, mi rivolgo con grande affetto a questa Comunità Certosina, a ciascuno dei suoi membri, a partire dal Priore, Padre Jacques Dupont, che ringrazio di cuore per le sue parole, pregandolo di far giungere il mio pensiero grato e benedicente al Ministro Generale e alle Monache dell’O rdine. Mi è caro anzitutto sottolineare come questa mia Visita si ponga in continuità con alcuni segni di forte comunione tra la Sede Apostolica e l’Ordine Certosino, avvenuti nel corso del secolo scorso. Nel 1924 il Papa Pio XI emanò una Costituzione Apostolica con la quale approvò gli Statuti dell’Ordine, riveduti alla luce del Codice di Diritto Canonico. Nel maggio 1984, il beato Giovanni Paolo II indirizzò al Ministro Generale una speciale Lettera, in occasione del nono centenario della fondazione da parte di san Bruno della prima comunità alla Chartreuse, presso Grenoble. Il 5 ottobre di quello stesso anno, il mio amato Predecessore venne qui, e il ricordo del suo pas- Nel saluto del priore La nostra preghiera per il mondo Un dono smisurato, che «ci commuove nel profondo dell’anima». Con queste parole padre Jacques Dupont, priore della certosa di Serra San Bruno, ha accolto il Pontefice. «È innanzitutto San Bruno — ha aggiunto — che voi incontrate in questo santo luogo, l’uomo di Dio che, venuto anche lui dalla Germania, dopo essere passato da Reims, dal deserto di Chartreuse e da Roma, si è fermato qui lasciandoci in eredità un compito grande: dedicare, sulle sue orme, tutta la nostra vita a contemplare Dio e ad amarlo con tutto il nostro cuore». Un compito che la comunità porta avanti «nella sua povertà e piccolezza» per «mantenere accesa la lampada della preghiera nel silenzio e nel nascondimento. Molti di noi, come san Bruno, vengono da altri paesi; siamo anche diversi per l’età, ci sono monaci del chiostro, sacerdoti, e monaci fratelli conversi, ma tutti condividiamo la stessa vocazione: consacrati totalmente al servizio di Dio al riparo della clausura, sforzandoci di fare della nostra vita una preghiera incessante». «Siamo consapevoli — ha detto ancora il priore — di occupare un posto molto scarso e marginale nella Chiesa; addirittura non sempre la nostra vita viene ben capita. Ma non cerchiamo di convincere nessuno, perché l’amore non si giustifica. Siamo qui per un disegno particolare d’amore da parte di Dio: Egli, senza alcun merito nostro, ci ha chiamati e ci siamo lasciati sedurre da Lui». Confessando la consapevolezza dei limiti e delle debolezze di ogni monaco, padre Dupont ha tuttavia assicurato che «appoggiandoci sulla Parola divina, nutrendoci dell’Eucaristia quotidiana e ubbidendo allo Spirito Santo, ci viene data la grazia non solo di servire Dio, ma di aderire a lui. E in Dio siamo vicini a tutti gli uomini della terra, specialmente a quelli che cercano, che lottano o che soffrono. L’amore diffuso nel nostro cuore abbraccia il mondo intero, e la nostra solitudine si apre a una comunione universale» e «in modo particolare, viviamo un profondo legame con il Popolo di Dio e i suoi pastori». Infine il priore ha voluto assicurare al Papa il «sostegno orante», la «devota sottomissione» e l’«affetto filiale», manifestandogli anche i saluti del ministro generale dell’ordine e delle monache. saggio tra queste mura è ancora vivo. Nella scia di questi eventi passati, ma sempre attuali, vengo a voi oggi, e vorrei che questo nostro incontro mettesse in risalto un legame profondo che esiste tra Pietro e Bruno, tra il servizio pastorale all’unità della Chiesa e la vocazione contemplativa nella Chiesa. La comunione ecclesiale infatti ha bisogno di una forza interiore, quella forza che poco fa il Padre Priore ricordava citando l’espressione «captus ab Uno», riferita a san Bruno: «afferrato dall’Uno», da Dio, «Unus potens per omnia», come abbiamo cantato nell’Inno dei Vespri. Il ministero dei Pastori trae dalle comunità contemplative una linfa spirituale che viene da Dio. «Fugitiva relinquere et aeterna captare»: abbandonare le realtà fuggevoli e cercare di afferrare l’eterno. In questa espressione della lettera che il vostro Fondatore indirizzò al Prevosto di Reims, Rodolfo, è racchiuso il nucleo della vostra spiritualità (cfr. Lettera a Rodolfo, 13): il forte desiderio di entrare in unione di vita con Dio, abbandonando tutto il resto, tutto ciò che impedisce questa comunione e lasciandosi afferrare dall’immenso amore di Dio per vivere solo di questo amore. Cari fratelli, voi avete trovato il tesoro nascosto, la perla di grande valore (cfr. Mt 13, 44-46); avete risposto con radicalità all’invito di Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!» (Mt 19, 21). Ogni monastero — maschile o femminile — è un’oasi in cui, con la preghiera e la meditazione, si scava incessantemente il pozzo profondo dal quale attingere l’«acqua viva» per la nostra sete più profonda. Ma la Certosa è un’oasi speciale, dove il silenzio e la solitudine sono custoditi con particolare cura, secondo la forma di vita iniziata da san Bruno e rimasta immutata nel corso dei secoli. «Abito nel deserto con dei fratelli», è la frase sintetica che scriveva il vostro Fondatore (Lettera a Rodolfo, 4). La visita del Successore di Pietro in questa storica Certosa intende confermare non solo voi, che qui vivete, ma l’intero Ordine nella sua missione, quanto mai attuale e significativa nel mondo di oggi. Il progresso tecnico, segnatamente nel campo dei trasporti e delle comunicazioni, ha reso la vita dell’uomo più confortevole, ma anche più concitata, a volte convulsa. Le città sono quasi sempre rumorose: raramente in esse c’è silenzio, perché un rumore di fondo rimane sempre, in alcune zone anche di notte. Negli ultimi decenni, poi, lo sviluppo dei media ha diffuso e amplificato un fenomeno che già si profilava negli anni Sessanta: la virtualità che rischia di dominare sulla realtà. Sempre più, anche senza accorgersene, le persone sono immerse in una dimensione virtuale, a causa di messaggi audiovisivi che accompagnano la loro vita da mattina a sera. I più giovani, che sono nati già in questa condizione, sembrano voler riempire di musica e di immagini ogni momento vuoto, quasi per paura di sentire, appunto, questo vuoto. Si tratta di una tendenza che è sempre esistita, specialmente tra i giovani e nei contesti urbani più sviluppati, ma essa ha raggiunto un livello tale da far parlare di mutazione antropologica. Alcune persone non sono più capaci di rimanere a lungo in silenzio e in solitudine. Ho voluto accennare a questa condizione socioculturale, perché essa mette in risalto il carisma specifico della Certosa, come un dono prezioso per la Chiesa e per il mondo, un dono che contiene un messaggio profondo per la nostra vita e per l’umanità intera. Lo riassumerei così: ritirandosi nel silenzio e nella solitudine, l’uomo, per così dire, si «espone» al reale nella sua nudità, si espone a quell’apparente «vuoto» cui accennavo prima, per sperimentare invece la Pienezza, la presenza di Dio, della Realtà più reale che ci sia, e che sta oltre la dimensione sensibile. È una presenza percepibile in ogni creatura: nell’aria che respiriamo, nella luce che vediamo e che ci scalda, nell’erba, nelle pietre... Dio, Creator omnium, attraversa ogni cosa, ma è oltre, e proprio per questo è il fondamento di tutto. Il monaco, lasciando tutto, per così dire «rischia»: si espone alla solitudine e al silenzio per non vivere di altro che dell’essenziale, e proprio nel vivere dell’essenziale trova anche una profonda comunione con i fratelli, con ogni uomo. Benedetto XVI Qualcuno potrebbe pensare che sia sufficiente venire qui per fare questo «salto». Ma non è così. Questa vocazione, come ogni vocazione, trova risposta in un cammino, nella ricerca di tutta una vita. Non basta infatti ritirarsi in un luogo come questo per imparare a stare alla presenza di Dio. Come nel matrimonio non basta celebrare il Sacramento per diventare effettivamente una cosa sola, ma occorre lasciare che la grazia di Dio agisca e percorrere insieme la quotidianità della vita coniugale, così il diventare monaci richiede tempo, esercizio, pazienza, «in una perseverante vigilanza divina — come affermava san Bruno — attendendo il ritorno del Signore per aprirgli immediatamente la porta» tra la comunità dei monaci Cuore certosino della Calabria dal nostro inviato NICOLA GORI Provengono dall’Italia, dalla Francia, dal Portogallo e dalla Slovacchia, e fino a qualche mese fa erano rappresentati anche altri Continenti. Ognuno ha alle spalle un’esperienza e un bagaglio culturale distinti. Uno è addirittura una ex stella del calcio: fra’ Paolo, al secolo Joaquim Rafael De Fonseca, ala destra negli anni Sessanta dello Sporting club di Lisbona. E poi avvocati, impiegati, professionisti, insegnanti, un liutaio, un barista, un contadino, e un ex seminarista. Li accomuna la vocazione al silenzio e all’eremitaggio sull’esempio di san Bruno di Colonia. Sono i quattordici certosini, compresi i due postulanti, i due novizi e i due professi temporanei, della certosa di Serra San Bruno, che hanno potuto coronare la gioia sperata di incontrare Benedetto XVI nel pomeriggio di domenica 9 ottobre. Lo attendevano da tempo, con entusiasmo e con emozione che per qualche momento ha interrotto il ritmo quotidiano della vita scandita nei minimi particolari dalla regola certosina. Per qualche ora la pace del luogo è stata come sospesa dalla presenza di amici, ospiti, giornalisti, fotografi e cameramen, addetti alla sicurezza del Papa. Il vento gelido di tramontana accompagnato dalla pioggia non ha impressionato i certosini, abituati a questo luogo con un clima di montagna che ricorda la Svizzera, e per questo scelto proprio da san Bruno per fondare la sua certosa. È ancora presente in mezzo a loro non solo con il carisma, ma anche con i suoi resti contenuti nell’urna esposta sopra l’altare della chiesa. Appena il Papa è giunto — accompagnato da monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace — il priore Jacques Dupont gli è andato incontro, prostrandosi, per accoglierlo e lo ha accompagnato fino alla chiesa, dove un lungo applauso ha interrotto il silenzio che aveva caratterizzato l’attesa. Prima del canto de vespri secondo il proprio della domenica, il priore ha rivolto un breve saluto di benvenuto al Pontefice. della domenica. Nell’omelia Benedetto XVI ha sottolineato il legame profondo tra il ministero petrino e la vita contemplativa, tra il servizio pastorale all’unità della Chiesa, che è proprio del Pontefice e la vita monastica. I vespri si sono celebrati secondo l’antica liturgia dei certosini, caratterizzata dalla sobrietà, intesa come forma di spogliamento richiesta dalla vita eremitica, e dalla semplicità. Una semplicità toccata con mano durante i vespri, che i certosini han- no cantato con una voce sola, senza alcuno strumento musicale di accompagnamento, come stabilito dai loro statuti. Il canto certosino, d’altronde, non è fondamentalmente diverso dal canto piano gregoriano. Si differenzia soprattutto per la sobrietà e l’austera semplicità. Terminati i vespri Benedetto XVI nella sagrestia ha firmato il libro degli ospiti illustri. Oltre ai monaci di Serra San Bruno, c’era il priore della certosa di Portes in Francia, in rappresentanza del ministro generale, che risiede nella Gran certosa, il sotto priore, il procuratore e il bibliotecario della seconda certosa italiana, quella di Farneta (Lucca) e un monaco della comunità che fa il cappellano alla certosa femminile della Trinità, fondata nel 1994 a Dugo in provincia di Savona. Il priore ha donato a Benedetto XVI alcuni ricordi. La comunità ha offerto un liuto barocco a 10 corde accordato in re minore, realizzato proprio da uno dei certosini. L’artistico oggetto musicale è stato costruito seguendo il modello di un liuto del XVII secolo di autore anonimo, presente nella collezione del Conservatoire national supérieur de musique di Parigi. È stato interamente realizzato a mano con la stessa tecnica utilizzata all’epoca, impiegando legno di acero, cedro rosso ed ebano. Un’opera dunque molto particolare, sulla quale il certosino ha voluto intagliare il rosone tipico delle chiese medioevali e lo stemma di Benedetto XVI sulla fascia di chiusura della cassa armonica. Il priore ha offerto al Pontefice altri due doni: a nome del ministro generale 28 incisioni originali realizzate da un monaco certosino di Parkminster (Inghilterra), che rappresentano le certose oggi abitate in Europa, in America e in Asia. L’altro a nome delle monache certosine. Si tratta di una pergamena di montone, dipinta con colori prodotti in casa, minerali lapislazzuli e malachite, colori classici, tradizionali dell’arte della «miniatura» molto duri, macinati a mano fino a ottenere il pigmento finissimo che è la base del colore. Prima che il Papa lasciasse la certosa il priore gli ha fatto visitare una cella e l’infermeria della comunità. La visita alla certosa era stata preceduta dall’incontro, sul piazzale di Santo Stefano antistante il complesso monastico, con la popolazione di Serra San Bruno. Presenti anche migliaia di fedeli provenienti da tutta la diocesi di Catanzaro-Squillace, nella cui circoscrizione si trova la località del vibonese. Il sindaco Bruno Rosi aveva salutato il Pontefice a nome di tutti i cittadini. Si è trattato di un incontro breve ma molto intenso. A conclusione della giornata il Papa è ripartito in elicottero alla volta di Lamezia Terme, dove all’aeroporto lo attendevano per il commiato le autorità. all’arrivo. Verso le ore 20 il decollo dell’aereo che lo ha riportato a Ciampino. Alle 21 circa l’atterraggio e poi il rientro, in macchina, in Vaticano. (Lettera a Rodolfo, 4); e proprio in questo consiste la bellezza di ogni vocazione nella Chiesa: dare tempo a Dio di operare con il suo Spirito e alla propria umanità di formarsi, di crescere secondo la misura della maturità di Cristo, in quel particolare stato di vita. In Cristo c’è il tutto, la pienezza; noi abbiamo bisogno di tempo per fare nostra una delle dimensioni del suo mistero. Potremmo dire che questo è un cammino di trasformazione in cui si attua e si manifesta il mistero della risurrezione di Cristo in noi, mistero a cui ci ha richiamato questa sera la Parola di Dio nella Lettura biblica, tratta dalla Lettera ai Romani: lo Spirito Santo, che ha risuscitato Gesù dai morti, e che darà la vita anche ai nostri corpi mortali (cfr. Rm 8, 11), è Colui che opera anche la nostra configurazione a Cristo secondo la vocazione di ciascuno, un cammino che si snoda dal fonte battesimale fino alla morte, passaggio verso la casa del Padre. A volte, agli occhi del mondo, sembra impossibile rimanere per tutta la vita in un monastero, ma in realtà tutta una vita è appena sufficiente per entrare in questa unione con Dio, in quella Realtà essenziale e profonda che è Gesù Cristo. Per questo sono venuto qui, cari Fratelli che formate la Comunità certosina di Serra San Bruno! Per dirvi che la Chiesa ha bisogno di voi, e che voi avete bisogno della Chiesa. Il vostro posto non è marginale: nessuna vocazione è marginale nel Popolo di Dio: siamo un unico corpo, in cui ogni membro è importante e ha la medesima dignità, ed è inseparabile dal tutto. Anche voi, che vivete in un volontario isolamento, siete in realtà nel cuore della Chiesa, e fate scorrere nelle sue vene il sangue puro della contemplazione e dell’amore di Dio. Stat Crux dum volvitur orbis — così recita il vostro motto. La Croce di Cristo è il punto fermo, in mezzo ai mutamenti e agli sconvolgimenti del mondo. La vita in una Certosa partecipa della stabilità della Croce, che è quella di Dio, del suo amore fedele. Rimanendo saldamente uniti a Cristo, come tralci alla Vite, anche voi, Fratelli Certosini, siete associati al suo mistero di salvezza, come la Vergine Maria, che presso la Croce stabat, unita al Figlio nella stessa oblazione d’amore. Così, come Maria e insieme con lei, anche voi siete inseriti profondamente nel mistero della Chiesa, sacramento di unione degli uomini con Dio e tra di loro. In questo voi siete anche singolarmente vicini al mio ministero. Vegli dunque su di noi la Madre Santissima della Chiesa, e il santo Padre Bruno benedica sempre dal Cielo la vostra Comunità. Amen. Nomina episcopale La nomina di oggi riguarda il Portogallo. Nuno Brás da Silva Martins, ausiliare del Patriarcato di Lisboa (Portogallo) Nato il 12 maggio 1963 a Vimeiro, Lourinhã, nel territorio del patriarcato di Lisboa, ha compiuto gli studi primari e secondari presso l’esternato di Penafirme e, in seguito, ha frequentato gli studi filosofici e teologici presso i seminari del patriarcato. Ha conseguito quindi il dottorato in teologia fondamentale presso la Pontificia Università Gregoriana. Ordinato sacerdote il 4 luglio 1987, nel patriarcato di Lisboa, nel corso del ministero ha svolto i seguenti incarichi: vicario parrocchiale di Nossa Senhora dos Anjos, a Lisbona (19871990); membro dell’equipe formativa del seminario maggiore (1993-2002); direttore del settimanale diocesano «Voz da Verdade» (1993-2003); professore di teologia fondamentale e dogmatica nella facoltà di Teologia dell’Università Cattolica Portoghese e anche nella Pontificia Università Gregoriana; responsabile della Commissione diocesana per il diaconato permanente (1999-2002); rettore del Pontificio Collegio Portoghese, a Roma (2002-2005). Dal 2005 è rettore del seminario maggiore Cristo Rei dos Olivais e, dal 2010, direttore del dipartimento per l’informazione del patriarcato. È autore di diverse pubblicazioni teologiche.