Lezione 1 - Che cos`è la COMUNICAZIONE

Transcript

Lezione 1 - Che cos`è la COMUNICAZIONE
Lezione 1 - Che cos’è la
COMUNICAZIONE
Ci sono varie definizioni per il termine “comunicazione”. Il migliore, secondo me, è quello
dato dalla Treccani: comunicazione è “ogni processo consistente nello scambio di
messaggi, attraverso un canale e secondo un codice, tra un sistema e un altro della stessa
natura o di natura diversa”
In realtà di definizioni ce ne sono tante. Questa, ad esempio, è quella che dà Wikipedia:
comunicazione (dal latino communico = mettere in comune, far partecipe) è l'insieme dei
fenomeni che comportano la distribuzione di informazioni
Cosa c’è che non va in questa definizione? Secondo me c’è da operare una distinzione tra
“messaggio” e “informazione”.
- l’informazione è un processo unidirezionale, un insieme di dati utili che hanno
un valore per chi li riceve e apportano un aumento della conoscenza.
L’informazione è (o dovrebbe essere) oggettiva ed è strettamente legata al
concetto di “nuovo”, di novità
- la comunicazione invece è un processo relazionale, in cui due o più individui
negoziano un insieme di significati condivisi, che possono essere anche
soggettivi.
È qualcosa di empatico, che in genere coinvolge tutti i sensi e quindi
paradossalmente è più libera, ma anche più codificata, più legata a uno (o più)
modelli di riferimento
L’informazione è dunque solo una parte di quel
processo più vasto che chiamiamo “comunicazione”
PAUL
GRICE
PAUL
GRICE
In mezzo ci sono poi infinite sfumature: ad esempio,
i media di oggi - soprattutto la televisione - fanno
informazione o comunicazione? Nella maggior parte
dei casi né l’una né l’altra cosa, piuttosto fanno
“infotainment”, ma di questo parleremo più in là
La comunicazione, per essere tale, presuppone
alcune condizioni di base.
Chi vuole comunicare deve saper comunicare,
ovvero deve avere qualcosa da dire e saperlo
trasferire agli altri con la giuste modalità: le parole, le intonazioni, la gestualità, la
mimica facciale...
Anche chi riceve la comunicazione deve però avere dei requisiti di base: deve essere in
grado di capirla, deve essere interessato ad ascoltarla e, semmai, a rispondere, a dare
vita a un contraddittorio.
Deve, insomma, aderire a quello che il filosofo inglese e studioso del linguaggio Paul
Grice chiama il "principio di cooperazione", che è stato in seguito ripreso da Schulz
von Thun nel suo "quadrato della comunicazione"
Il principio di cooperazione si riassume in 4 regole dette «massime conversazionali»
massima della QUANTITÀ
massima della QUALITÀ
massima della RELAZIONE
massima del MODO
dare un contributo appropriato sotto il profilo della
quantità di informazioni
non dire cose che credi false o che non hai ragione per
credere vere
dare un contributo pertinente ad ogni stadio della
comunicazione
esprimersi in modo chiaro, breve, ordinato
Questo però non sempre avviene, come nel caso di quelle che in inglese vengono
chiamate “casual conversation”: ad esempio quelle che si svolgono in ascensore e,
non a caso, ci provocano sempre un certo imbarazzo. In quel caso, infatti, non
sussistono i requisiti di cui sopra: non c’è niente da dire (se non le solite banalità),
non c’è una reale volontà né di parlare né di ascoltare, si tratta di una comunicazione
forzata, resa obbligatoria dalle convenzioni sociali, dalle buone maniere
A QUALCUNO PIACE CALDO
https://www.youtube.com/watch?v=kaN8saN8yh8 (da 1.05)
Gli elementi della comunicazione
Gli elementi necessari per costruire un modello di comunicazione sono, sempre
secondo Grice:
l’emittente: il sistema (uomo, macchina, animale) che trasmette
un canale di comunicazione, necessario per trasferire
l'informazione (The medium is the message)
un contesto di riferimento, un “ambiente significativo”
all'interno del quale si situa l'atto comunicativo (vedi CLIL)
un messaggio, ovvero il contenuto della comunicazione
un ricevente, destinatario del messaggio, che può a sua volta
diventare emittente in caso di feedback (anzi, si ha vera
comunicazione quando gli individui coinvolti sono a un tempo
emittenti e riceventi messaggi)
un codice attraverso il quale viene data una forma - non
necessariamente linguistica - al messaggio, un significato. Questo
prevede una doppia operazione, di codifica e decodifica
E dunque, facendo propria la famosa massima di
Paul Watzlawick (1967) “Every behavior is a form of
communication. It is impossible not to
communicate” - o anche la frase di Tullio De Mauro
“Là dove c'è qualcosa che vive, c'è qualcosa che
comunica” - la comunicazione è al centro stesso
della nostra esistenza, da cui il paradosso che recita
“Rifiutarsi di comunicare è comunicare che non si
vuole comunicare”
La volontà di non comunicare può assumere anche
gravi condizioni patologiche, come ad esempio
l’autismo, definito “una marcata diminuzione
dell'integrazione socio-relazionale e della
comunicazione con gli altri” (eye-meeting)
Anche in un monologo chi parla ottiene dalla
controparte un feedback continuo, di tipo non
verbale, di interesse o disinteresse (come nelle
conversazioni al telefono, dove sopperiamo in modo
verbale alla mancanza di feedback non verbale con
una serie di fonemi, segnali fatici o di interiezioni a
mo’ di riempitivi verbali).
PAUL
WATZLAWICK
TULLIO
DE
MAURO
Non comunicare, dunque, è
impossibile e la comunicazione ha
avuto un’importanza colossale nel
determinare lo sviluppo della società
umana e la sua stessa Storia.
G. DORÉ
Basti pensare al mito della Torre di
Babele (2° millennio a.C.), che
troviamo nella Bibbia, per capire
come da sempre si desse enorme
importanza alla comunicazione:
senza di essa l’umanità sarebbe
dispersa e annullata nelle sue
capacità, proprio come si racconta
nel libro della Genesi
Ma perché, parlando del messaggio,
abbiamo sottolineato “una forma
non necessariamente linguistica”?
Perché in realtà esistono varie forme di comunicazione, di cui quella verbale
rappresenta solo una – sia pur significativa – parte
Vediamo un po’ queste forme:
- verbale: avviene attraverso l'uso del linguaggio, sia
scritto che orale, dipende da precise regole sintattiche
e grammaticali, con testi e sottotesti (sottintesi,
ammiccamenti, onomatopee-fumetto, ritmo, musicalità)
- paraverbale: riguarda tono, timbro, volume, ritmo e
impostazione della voce di chi parla, pause ed altre
espressioni sonore (come schiarirsi la voce) e non
- scritta
- per immagini, simboli oppure oggetti (abbigliamento,
symbol), o suoni (musica)
status
- non verbale: avviene senza l'uso delle parole, ma
attraverso canali diversificati, quali mimiche facciali,
sguardi, gesti, posture, linguaggio del corpo
Il primo a studiarla fu addirittura Charles Darwin nel 1872 con l’opera "The expression
of the emotions in Man and Animals"
LIE TO ME
https://www.youtube.com/watch?v=wkhRLbEGKdU
IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Addirittura secondo una certa scuola di
pensiero, influenzata dallo psicologo Usa
Albert Mehrabian (1967), il linguaggio del
corpo (non verbale) influirebbe nei
confronti dell’interlocutore per il 55%, la
voce (paraverbale) per il 38%, mentre il
contenuto (verbale) solamente per il 7%,
soprattutto nel caso in cui la
comunicazione riguardi sentimenti, stati
d’animo, atteggiamenti emozionali
In un certo senso, la comunicazione è dunque “dentro” di noi, nel nostro DNA, se è vero
che la nostra gestualità, la mimica facciale, il nostro modo di esternare con il corpo le
emozioni e le
sensazioni
è uguale per
tutti: uomini e
donne, anziani e
bambini, ricchi e
poveri...
Da dove deriva,
dunque?
NOAM CHOMSKY
Certamente alcuni comportanti comunicativi sono
innati nel bambino, del tutto istintivi e probabilmente
su base genetica, come la suzione o l’atto di afferrare
con la mano qualsiasi oggetto la tocchi. O la risata, che
nasce più o meno dai due mesi in poi (il sorriso viene
infatti definito come una “competenza innata”)
Altri, invece, nascono certamente da processi imitativi,
una specie di imprinting lorenziano, come dimostrato
dalla scoperta dei neuroni-specchio, che sono molto
importanti anche per lo sviluppo del linguaggio
Secondo l’eminente linguista Noam Chomsky, gli
esseri umani nascono con una “grammatica
universale” già inclusa nel loro cervello, adatta a poter
apprendere tutti i sistemi grammaticali di tutte le
lingue del mondo.
Di fatto ogni bambino impara la sua lingua madre a
perfezione senza possedere alcuna nozione di
grammatica o di sintassi, così come sappiamo quanto
sia facile apprendere una lingua straniera in tenera età
e quanto sia invece difficile da adulti!
La comunicazione interpersonale
Sempre Paul Watzlawick nel 1967 ha introdotto
un'importante approfondimento nello studio della
comunicazione umana.
Ogni processo comunicativo tra esseri umani possiede
infatti due dimensioni distinte, il contenuto (ciò che le
parole dicono) e la relazione (quello che i parlanti
lasciano intendere, sia a livello verbale che non, sulla
qualità della relazione che intercorre tra loro).
Questa interazione è stata rappresentata nel 1981 da
Friedemann Schulz von Thun con un famoso modello
di comunicazione interpersonale che distingue le
quattro diverse dimensioni, il cosiddetto "quadrato
della comunicazione".
Quadrato che nei suoi quattro lati ha le seguenti
voci: Contenuto (factual information), Relazione
(relationship), Rivelazione di sé (self revelation)
e Appello (appeal)
SCHULZ
VON
THUN
IL QUADRATO
DELLA COMUNICAZIONE
Contenuto
di che cosa si tratta?
Relazione
che cosa ti fa capire di
pensare di te colui che
parla?
Rivelazione di sé
ogni volta che qualcuno si
esprime, rivela consapevolmente o meno qualcosa di sé
Appello
quel che il parlante chiede,
esplicitamente o
implicitamente, alla
controparte di fare, dire,
pensare, sentire
La sommatoria di tutti questi fattori costituisce il messaggio,
che li reca in sé sia nella sua formulazione sia nell'ascolto,
nell'interpretazione dei messaggi altrui anche nel campo
dell’implicito, del sottinteso, del “tra-le-righe”
Secondo Schulz von Thun addirittura “è colui che riceve la
comunicazione ad assegnarle un significato, è la potenzialità
creativa dell'essere umano ad assegnare significati ad ogni
cosa, creando il "sistema comunicazione" con le sue due
caratteristiche: l'immaginazione e la creazione di simboli”
Diceva Abramo Lincoln, 16° presidente degli Stati Uniti:
“quando ragiono con un uomo, impiego un terzo del mio
tempo a pensare a quello che devo dire e due terzi a pensare a
lui e a quello che dirà”
Ancora von Thun e la "scuola di Amburgo" parlano delle
"quattro orecchie" necessarie per sintonizzarsi e decrittare
correttamente un messaggio nelle sue quattro dimensioni
(corrispondenti ai quattro lati del quadrato della
comunicazione).
Il modello visualizza come si sia
liberi di assegnare a qualsiasi
messaggio un significato
oppure un altro, evidenziando
così il potere di chi ascolta nel
contribuire a definire la qualità
di una interazione e questo è
certamente alla base delle
tante difficoltà di
comunicazione che tutti
quotidianamente
sperimentiamo
LE 4 ORECCHIE DI
SCHULZ VON THUN
Uno dei più eclatanti esempi
storici di queste difficoltà
comunicative sta nella
dichiarazione di resa che
l’imperatore giapponese Hirohito
pronunciò alla radio nell’agosto
1945, dopo i bombardamenti di
Hiroshima e Nagasaki.
Hirohito si espresse in un linguaggio molto contorto e rarefatto, incomprensibile ai più,
senza peraltro mai menzionare la parola “resa” (inconcepibile per l’esercito nipponico),
sostituita dalla ambigua locuzione “abbiamo deciso di sopportare l'insopportabile e soffrire
l'insoffribile”
La conseguenza fu che molti
militari non capirono cosa era
realmente successo e
continuarono a combattere in
proprio per decenni: gli ultimi
“soldati-fantasma” giapponesi si
arresero nel 1974, dopo aver
vissuto per anni nascosti nella
giungla delle isole del Pacifico
1974: LA RESA
(ma ancora oggi ogni tanto si ha
DI HIROO ONODA
notizia di qualche avvistamento)
La comunicazione efficace
Dunque, per essere davvero tale, una comunicazione deve essere
“efficace”. Ma cosa si intende con questo termine, quali sono gli
elementi che ci consentono di raggiungere questo livello
comunicativo?
Esiste una precisa formalizzazione di queste caratteristiche,
espressa nel 1952 dall’americano Scott Cutlip, psicologo ed
esperto di pubbliche relazioni, nel suo libro “Effective Public
Relations”, che ricalcano in buona sostanza le quattro Massime
del principio di cooperazione di Paul Grice.
SCOTT
CUTLIP
Questo insieme è noto come The 7 C's of Communication (le 7 C
della comunicazione) e costituisce un modello di comportamento
comunicativo utile e valido per tutti, ma in maggior misura per i
giornalisti e tutti quelli che ambiscono a lavorare nei vari settori
della comunicazione... insegnanti compresi!
Le famose 7 C sono dunque: Completezza , Concisione,
Considerazione, Concretezza, Cortesia, Chiarezza e Correttezza
cui possono essere associate altre tre: Credibilità, Contesto e Coerenza (quest’ultima
da intendersi anche come coerenza reciproca tra le varie forme, verbali e non)
1 COMPLETEZZA (Completeness)
La comunicazione è completa quando contiene tutte le informazioni necessarie per valutare
una situazione o risolvere un problema. La completezza permette di raggiungere gli obiettivi
di comunicazione in modo più rapido, poiché si hanno già a disposizione tutti i dati per
prendere le proprie decisioni e si riduce la quantità di domande e dubbi
2 CONCISIONE (Conciseness)
Un messaggio breve e un messaggio conciso non sono la stessa cosa. Essere concisi infatti
significa comunicare tutte le informazioni pertinenti al contenuto del messaggio senza
aggiungere dettagli inutili o ridondanti. È un elemento fondamentale della comunicazione
efficace, poiché permette di concentrarsi solo sulle informazioni essenziali
3 CONSIDERAZIONE (Consideration)
È necessario prendere in considerazione il punto di vista del ricevente, le sue necessità ed il
suo stato d'animo. Modulando la comunicazione sulla base dell'altro, si può trasmettere le
informazioni e i concetti in modo più efficace, utilizzando argomenti ed esempi più vicini
all'esperienza del ricevente e, di conseguenza, più facilmente assimilabili e comprensibili
4 CONCRETEZZA (Concreteness)
Comunicare in modo concreto significa basarsi su dati e fatti per supportare i contenuti del
messaggio, rispondere in modo puntuale alle domande, sviluppare le argomentazioni
partendo dal caso specifico e non da teorie e casi generali. Aumenta l'efficacia perché
permette di comprendere il messaggio in modo più circostanziato e completo
5 CORTESIA (Courtesy)
Comunicare in modo cortese, senza aggredire l'interlocutore e senza forzare una risposta,
migliora il clima della comunicazione e predispone a una conversazione positiva e
costruttiva. La cortesia implica anche il rispetto dei valori e della cultura dell'altro, nonché
l'uso di un registro linguistico adatto al pubblico di destinazione
6 CHIAREZZA (Clearness)
La specificità del messaggio: concentrarsi su un solo obiettivo, enfatizzandone così
l'importanza e rendendone più semplice l'assimilazione. Altro elemento importante è
l'uso di una terminologia appropriata che riduca le possibilità di confusione e di ambiguità
7 CORRETTEZZA (Correctness)
L'assenza di errori grammaticali o sintattici migliora la chiarezza del messaggio e ne
aumenta l'impatto. L'emittente acquista credibilità, aumenta la credibilità del messaggio
Esiste poi un ulteriore modello, sempre C-based (fondamentale per i prof), che vede:
Comprensione: il messaggio deve essere il più chiaro possibile, va rafforzato con esempi,
analogie, immagini, metafore
Credibilità: il mezzo è sempre il messaggio e nella comunicazione verbale il mezzo sei tu!
Connessione emotiva: se i primi due punti saranno soddisfatti, scatterà inevitabilmente
l’empatia tra chi parla e chi ascolta
Contagiosità: un messaggio efficace colpisce l’ascoltatore, che lo memorizza e,
all’occorrenza, può a suo volta comunicarlo ad altre persone (“viralità”)
Un esempio di come NON dovrebbe essere la
comunicazione lo troviamo nel filosofo italiano Massimo
Baldini, autore del libro “Storia della comunicazione”, che
riteneva che scopo della filosofia fosse essere chiari,
scagliandosi contro il filosofese.
MASSIMO
BALDINI
Prendendo a spunto un altro filosofo italiano, Armando
Verdiglione (inventore della Cifrematica, la cosiddetta
“scienza della parola”), Baldini cita questa illuminante frase, tratta da “Manifesto del
secondo Rinascimento”:
Sono tratto da un demone a dire, a fare, a scrivere sempre fra oriente e occidente e fra
nord e sud. Senza luogo della parola. Questo demone è il colore del punto, dello specchio,
dello sguardo, della voce: la moneta stessa. Punto, sembiante, oggetto scientifico, è
indotto dalla pulsione, dall'instaurazione della domanda, dove l'offerta è il pleonasmo. (...)
Il primo rinascimento è primo in quanto procede dal secondo, ovvero dall'originario.
Secondo dunque non in senso ordinale, non in nome del nome. Non è neppure nuovo,
perché non parte dalla corruzione per arrivare all'utopia.
Per Baldini, Verdiglione volutamente tende a non farsi capire, a sopraffare
linguisticamente (“fra applausi di ammirazione”) i suoi ascoltatori, definendo il suo modo
di comunicare come "oscuro superlinguaggio", "gargarismi linguistici e semantici".
Vero è che, come scrive Italo
Calvino nel libro “Le città
invisibili” (Le città e i segni:
Ipazia), “Non c’è linguaggio
senza inganno”, ma qui si
esagera!
È ovvio infatti che nel brano
proposto non vi è alcun
messaggio, se non il fascino
della parola fine a se stessa.
ITALO CALVINO
Non dà informazioni, magari sensazioni sì, ma questo attiene più al linguaggio della poesia
che delle scienze sociali.
Se andiamo a esaminare le 7 C della comunicazione efficace, non vi troveremo né
Completezza né Concisione, e nemmeno Considerazione, Concretezza, Cortesia, Chiarezza.
Quanto alla Correttezza, questa c’è - è ovvio - ma in un senso distorto, deformato, subdolo:
come dice Baldini, al fine di “sopraffare linguisticamente” il malcapitato ascoltatore.
Se poi volessimo analizzarlo sotto il profilo delle 4 Massime di Grice, apriti cielo: Quantità,
Qualità, Relazione e Modo non appartengono certo al “verdiglionese”...
Al contrario, troviamo esempi lampanti di
comunicazione efficace in molti altri ambiti
comunicativi, come nel linguaggio della politica,
del marketing, della pubblicità, laddove lo slogan
è essenziale per cogliere nel segno.
“Veni, vidi, vici”: l’emblema stesso della sintesi e
dell’ellissi narrativa
“Credere, obbedire, combattere!” (i dittatori,
sappiatelo, sono sempre stati grandi comunicatori)
“Today, Tomorrow, Toyota”: perfetto!
“Dove c’è Barilla, c’è casa”: geniale, rassicurante, che dà
un senso di appartenenza, di fidelizzazione
“Piace alla gente che piace” (Y10): solletica il narcisismo,
crea uno status symbol, garantendo l’identificazione con
il prodotto: io sono quello che ho e quello che mostro
“I have a dream” e “Stay hungry, stay foolish”:
romantici, immaginifici, ideali per diventare il motto
di una generazione
Come potete vedere, esiste una regola
aurea nel formulare uno slogan, che è
quella delle 3P, tre parole, la forma
ideale per far imprimere un messaggio
nella mente di chi ascolta.
Oltre ai casi già citati - iconici e icastici al
tempo stesso - se ne potrebbero citare
infiniti altri: Cogito, ergo sum; Yes, we
can; Just do it (Nike); Impossible is
nothing (Adidas); I’m lovin’ it
Tre parole sono l’essenziale, cioè quel che comunica l’essenza e va dritto al cuore e alla
mente, anche se non sempre. “Ci sono cose che non si possono comprare, per tutto il
resto c'è MasterCard”: questo è un ottimo slogan, più lungo ma non per questo meno
efficace.
Questo, invece, è un altro claim, volutamente sinestesico, che alla fine – per eccessiva
raffinatezza ed eleganza, tanto da risultare ai più certamente criptico – perde il suo
appeal, il suo valore di comunicazione: “Bang&Olufsen. Chi ha occhi per toccare, ascolti”.
La letteratura è piena di autori di famosi epigrammi e aforismi (Marziale, Campanile,
Wilde, Flajano...) e anche nella poesia stessa troviamo, a volte, dei casi fulminanti di
concisione creativa: “Mi illumino di immenso” è uno di questi.
Per non parlare della scienza, che fa della concisione la sua stessa essenza, la summa del
sapere, capace di concentrare in pochi segni una realtà universale: E=mc2, ad esempio.
Un ultimo esempio di comunicazione efficace lo possiamo riscontrare senza dubbio nei
proverbi (di cui parleremo a lungo anche nelle prossime lezioni), che sono una delle
forme più antiche di comunicazione e costituiscono un ottimo esempio di questo
processo, in quanto espressione della cultura (e della saggezza) popolare e quindi ricchi
di pregnanza quanto di coerenza e di sintesi
Un proverbio è una massima che contiene, in forma
breve, norme e consigli pratici, spesso in metafora e in
rima, derivanti dall'esperienza. In essi vi è davvero un
concentrato di vita, tanto facile da ricordare e da tenere a
mente quanto utile per affrontare la quotidianità
Chi cerca trova – Chi dorme non piglia pesci – Chi fa da sé
fa per tre – Chi va piano va sano e va lontano - Chi la dura
la vince - Chi la fa l’aspetti - Chi non risica non rosica, e
così via...