tesi con bibliografia introduzione e conclusioni definitiva
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tesi con bibliografia introduzione e conclusioni definitiva
_____________________________________________ CAPITOLO 2 Svolta verso una vera Leadership Etica _____________________________________________ 2.1 La Pratica Filosofica Per predisporre l'analisi tesa a delineare una alternativa di leadership aziendale in grado di diversificarsi dalle definizioni provenienti dai manuali di management è necessario definire e spiegare la pratica filosofica. La pratica filosofica o consulenza filosofica nasce grazie al lavoro di Gerd B. Achenbach, considerato il padre di questa disciplina. La prima associazione mondiale di consulenza filosofica viene fondata in Germania nel 1982. La consulenza filosofica o counseling filosofico può essere definito come quella metodologia di intervento riflessivo riguardo i problemi quotidiani delle persone ed attraverso la riflessione sull'esistenza reale di ogni singolo individuo cercare, utilizzando gli strumenti della filosofia di trovare alternative di pensiero rispetto a modelli di comportamento altrimenti standardizzati. Achenbach definendo la pratica filosofica voleva, in qualche modo, dare una risposta alla crisi dell'uomo moderno. Come analizzato in precedenza l'uomo è stato ridotto ad esecutore di tecnicismi standardizzati. Ogni persona viene considerata e valutata esclusivamente per le 63 competenze tecniche possedute. Questo ha portato nel tempo alla perdita di unicità e singolarità tipiche invece dell'essere umano. La pratica filosofica in questo ambito vuole spingere le persone a riflettere sulla propria vita o sulla propria posizione non in termini psicanalitici o psicologici ma esclusivamente in termini filosofici. Non si tratta infatti di curare una patologia ma al contrario di aumentare ed ampliare le capacità di ogni singolo soggetto per permettergli di acquisire significato in un'epoca dove l'esistenza individuale perde senso e rischia di omologarsi e spersonalizzarsi. La pratica filosofica vuole instaurare un dialogo libero e aperto con l'individuo per accompagnarlo nella riflessione cercando in qualche modo di “ravvivarne” il pensiero. L'esperienza comune, nella maggior parte dei casi ci permette di vedere un problema sotto una sola prospettiva. Il consulente filosofico tramite la riflessione permette al soggetto di cercare un “secondo pensare” in modo da permettergli di ampliare le proprie prospettive. Questa forma di intervento inoltre una volta introdotta diventa bagaglio del soggetto che la applicherà ad ogni situazione. Non si tratta di una forma di psicanalisi sotto altro nome ma semplicemente si cerca di rendere l'uomo come qualcosa di più di sè stesso. Vuole rendere l'uomo per quello che deve essere, non come mezzo ma trasformandolo in fine. La consulenza filosofica mira perciò ad una applicazione pratica della filosofia per fare in modo che il pensiero e la ricchezza dell'individuo torni ad essere il centro della persona e non solo un contorno come l'età della tecnica ha voluto imporre. Utilizzare la filosofia permette, in un certo senso, di recuperare una parte degli insegnamenti di Socrate che provocava i suoi concittadini per risvegliarli dal torpore etico ed intellettuale con domande sul loro “credo” e sulla loro vita. In questi termini la consulenza filosofica diventa importante anche per la filosofia stessa in quanto, per troppo tempo, è stata relegata a semplice analisi retorica su pensieri troppo astratti per poter essere applicati in 64 concreto. La filosofia è nata dal bisogno di orientarsi nel mondo, dall’esigenza di trovare un principio che consentisse di ridurre la molteplicità priva di connessione a unità composita. 35 Se molti problemi filosofici sono stati risolti dalla scienza e dalla tecnica prosegue Galimberti, che senso ha oggi occuparsi di filosofia. Si potrebbe tentare un salvataggio della filosofia, prosegue il professore, quasi si trattasse di salvare un’opera d’arte, una tradizione poetica ma in questo senso la filosofia finirebbe del tutto di essere “attuale”, di svolgere cioè una funzione del nostro tempo, per ridursi a materiale d’archivio. Per diventare attuale la filosofia dovrebbe definire gli ambiti in cui le varie scienze possiedono i loro oggetti e, collaborando con esse, diventare epistemologia. Potrebbe diventare nuovamente e finalmente quella regolamentazione tra etica e tecnica come attività distinta dal mondo scientificamente conosciuto e tecnicamente dominato, ponendosi come suo ordinamento e sua stabilità. In questo senso la filosofia ritorna alla sua funzione originaria, quella di orientare il mondo. La filosofia nella storia ha sempre liberato l’uomo dal terrore dell’imprevedibile. L'essere umano oggi più che mai, dove tutto è ordinato e calcolato, previsto e conosciuto viene posto di fronte a scenari agghiaccianti dell’età della tecnica come visto in precedenza e ha bisogno della filosofia che segnali i limiti di ogni ordinamento. Ritorna cioè a offrire all’uomo la libertà che, coincide con l’indicazione dello spazio disponibile. La filosofia perciò come etica, la scienza come tecnica. Di certo parlare di filosofia ed etica come strumenti guida ai giorni nostri può sembrare grottesco per molti. Analizzando però nello specifico è indubbio che in ogni momento della giornata una persona si trova a dover 35 Galimberti U.: La casa di psiche, FELTRINELLI, MILANO 65 compiere scelte che riguardano aspetti di carattere tecnico ma anche e specialmente di carattere etico, aspetti di “senso” dell’agire che sono propriamente filosofici anche se in realtà la persona non ne è consapevole. Si pensi ad esempio al ruolo che un consulente bancario può avere nel momento in cui, proponendo un prodotto finanziario non fa esclusivamente riferimento all'analisi della forma di investimento proposta, ma cerca di proporre una formula che non sia esclusivamente a vantaggio dell'istituto di credito ma anche delle persona, utilizzando un principio fondamentale, l'empatia. Avere una formazione tale da poter discernere in modo corretto i comportamenti e le alternative può migliorare non solo le decisioni assunte dalle persone ma anche la morale di chi al giorno d'oggi, propone beni e servizi. Applicare la pratica filosofica nelle organizzazione economiche e specialmente tentare un approccio alla teoria della leadership in chiave di consulenza filosofica presuppone che si cancelli definitivamente ogni altra teoria sviluppata dai manuali di management riguardo alle dinamiche di leadership, in quanto, appartengono ad un piano diametralmente differente rispetto ad una lettura in chiave filosofica. Credere però che non esista un metodo applicabile di intervento nell'ambito della consulenza filosofica è sbagliato. Peter Raabe, classe 1949, consulente filosofico canadese ha delineato quattro stadi di intervento pratico in ambito filosofico: 1. libera fluttuazione: prevale l’ascolto empatico del cliente, si cerca di liberarsi totalmente dai propri pregiudizi, si focalizza la visione del mondo dell’interlocutore; 66 2. soluzione di un problema circoscritto: si aiuta il cliente a prendere una decisione su un aspetto limitato della sua vita, mostrandogli più chiaramente le diverse opzioni. Spesso le sedute s’interrompono a questo stadio, quando non c’è un interesse da parte del cliente a ridiscutere tutto il proprio modo di essere. 3. Fase didattica, cuore del counseling filosofico per P. Raabe, in cui vengono trasmesse quelle nozioni del pensiero razionale che servono a esaminare meglio ogni problema, passato o futuro, che si è presentato o presenterà nella storia personale del consultante. 4. Trascendenza: allargare i propri orizzonti, accostarsi ad altre prospettive, pensare filosoficamente facendosi domande sul senso e il significato.36 Si tratta ovviamente di una traccia che può diventare uno strumento utile anche in ambito lavorativo con i dovuti adattamenti. 36 Peter Raabe: Teoria e pratica della consulenza filosofica, APOGEO, MILANO, 2006 67 2.2. Reinterpretare il Leader La figura del leader nelle organizzazioni produttive deve essere profondamente rivalutata secondo la prospettiva della consulenza filosofica. Il leader nelle aziende prende il nome di titolare o manager. In una prospettiva di pratica filosofica è importante che quest'ultimo guardi il mondo lavorativo attraverso punti di vista alternativi per permettergli di modificare molte delle idee preconcette, e le visioni del mondo erroneamente consolidate. Reinterpretare di continuo sè stessi e il mondo risulta il primo scoglio da superare per il manager che intende applicare dei principi filosofici in azienda. Fare filosofia pratica in azienda significa coltivare nuove domande per arricchire e approfondire la comprensione di una questione, fermo restando che in ambito produttivo è necessario analizzare con gli strumenti appositi l'andamento economico. La consulenza filosofica non si sostituisce a questi strumenti ma con il suo agire modifica il modo in cui il soggetto opera con gli strumenti in ambito lavorativo. Avere una mente aperta che non finisce mai di porsi alternative o domande e che non ha paura di cambiare diventa importante in contingenze economiche come quelle che stiamo vivendo in questi ultimi tempi. Pensare alla consulenza filosofica come ad una pratica terapeutica come spesso viene inteso il couseling filosofico è sbagliato. Il consulente filosofico non è uno psicologo nè una psicoterapeuta. Non si parla nè di diagnosi nè di cura ma si vuole creare appunto uno spazio libero dove le 68 idee possano scorrere e delineare percorsi che in luogo di troppo sapere tecnico rischiano di non essere presi in considerazione. Si tratta in un certo modo di cambiare visione del mondo. Gestire la soggettività in ambito lavorativo diventa efficace nel lavoro anche in una visione clientecentrica. Le richieste che fanno i lavoratori ai loro manager e superiori è l'aspirazione individuale che prende il nome di autostima e benessere. Quello che non viene pienamente compreso dai manager non guidati da una formazione filosofica è che la realizzazione personale va di pari passo con la crescita e lo sviluppo dell'efficacia personale nell'organizzazione. Già nel 2004 Valérie Brunel con un saggio dedicato alle pratiche del sé nelle organizzazioni aveva considerato che è possibile far fronte a un ambiente difficile, ad un lavoro che diventa sempre più complesso semplicemente sviluppando il potenziale individuale. Ogni singolo soggetto diventa un elemento in grado di contribuire al lavoro con tutta la competenza tecnica acquisita ma anche con tutto il potenziale emotivo. Si sviluppa una nuova forma di consapevolezza professionale che va oltre la posizione che un soggetto ricopre in ambito produttivo. L’azienda potrebbe perciò diventare un luogo di sviluppo personale ed il lavoro una possibilità concreta di esprimere e realizzare sè stessi. L’uomo dovrebbe essere messo al centro della cooperazione manageriale. Le informazioni potrebbero circolare, il sapere dovrebbe essere distribuito e fare in modo che i coordinamenti possano essere realmente trasversali sia in senso verticale che orizzontale fra i gradi aziendali. In aziende così organizzate si dovrebbe lavorare per progetti e non per competenze, tenendo sempre presente che tutto è definito per il cliente come essere 69 umano. Non dovrebbe esistere gerarchia così come dovrebbero essere tolte tutte le logiche legate alla stessa. In quest'ottica non dobbiamo pensare ad un'attività produttiva fondata sull'anarchia ma tesa ad eliminare tutte quelle forme di “baronie”, e nelle aziende ce ne sono fin troppe, che distruggono il tessuto sociale dell’azienda. Il leader deve diventare un promotore che svolga un profondo lavoro su sé stesso e sul suo ruolo in azienda. Richiede capacità di ascolto, di esplorazione, di condivisione di valori oltre che di conoscente tecniche per permettere al lavoro di proseguire. Pensare ad un progetto di sviluppo personale e morale della persona: sia per sè stessi ma anche per gli altri. Lavorare per obiettivi ma contribuire a scegliere i mezzi con i quali raggiungerli. In questo modo è possibile coniugare due logiche che sono tutt’ora considerare incompatibili in azienda: logiche individuali e logiche d’impresa. Proprio in questi giorni, nella rivista “TIME” Bryan Walsh si è occupato di due particolari caratteristiche che normalmente non sono associate allo stereotipo di leader. Si tratta della timidezza e della mitezza. Secondo la teoria di Walsh, gli introversi, quasi il 30% della popolazione mondiale, hanno meno amici, ma le loro relazioni tendono ad “essere più profonde e durature”. Inoltre “essere più cauti per natura spinge questi individui a decisioni sagge e ponderate”. Secondo questa teoria di conseguenza dovrebbe essere possibile sostenere che sviluppando una maggiore capacità di ascolto questi soggetti incarnano quello che dovrebbe essere un ideale di leader. Secondo le stime proposte nella ricerca sembrerebbe che il 40% dei manager oggi in circolazione sia appartenente a questa categoria. 70 Secondo lo studio effettuato dallo psicologo Adam Grant della Wharton Business School i leader estroversi, oggetto della prima parte della tesi “si circondano al contrario di collaboratori ubbidienti e servili” quelli che normalmente indichiamo come assertivi. Questo secondo Wharton può rivelarsi fatale per un’azienda “for profit” incentrata su innovazione e meritocrazia. Questa teoria è stata sviluppata in quanto dagli studi di Wharton si è rilevato che i leader introversi sanno attrarre individui indipendenti e creativi. Questa tesi può essere in qualche modo confermata dal principio secondo cui i collaboratori di un leader sono per la maggiore costretti a sottostare alle sue direttive senza avere nè la possibilità nè la volontà di dissentire. In conclusione i leader che probabilmente nell’immediato futuro saranno alla guida delle società saranno dei “geni solitari e visionari”. La loro caratteristica principale sarà quella di avere sostanza strumentale e morale anziché parole in un mondo che si rivela essere sempre più competitivo e veloce. Preme a questo punto sottolineare che la leadership non può solo essere una caratteristica esclusiva di “geni”. Il dato che conferma quanto affermato riguarda proprio il fatto che un leader che non imponga esclusivamente le sue teorie o ipotesi e in modo corretto gestisce i rapporti tra i colleghi, collaborando nella realizzazione degli scopi aziendali, si troverà di fronte a dei risultati di business migliori. L’accenno alla genialità del leader risulta esagerata in quanto essere timidi ed introversi non è sempre e solo una caratteristica del genio. Un ottimo leader introverso non deve per forza essere un uomo dotato di genio. Il rischio, infatti, di mitizzare troppo le figure di questo tipo può portare a forme di leadership carismatiche che non sempre, come si è visto in precedenza, hanno risvolti positivi. Ai fini del lavoro risulta utile analizzare questo genere di ricerca perché ci permette di individuare una caratteristica, l'introversione o capacità riflessiva che non 71 trovava posto nell'immaginario delle forme di leadership a cui siamo stati abituati. Diventa indispensabile ridare un senso a quello che è il leader d’impresa sotto questo punto di vista, partendo dal presupposto che, mantenendo fermo il target aziendale, e possibile anche lavorare e ottenere dei benefici ulteriori grazie ad una logica che metta l'individuo non più solo come mezzo ma anche come fine da parte dei leader che chiameremo “etici”. 72 2.3 Dal filosofo al Leader Etico Il leader analizzato secondo la prospettiva della consulenza filosofica non deve diventare un filosofo nel senso comune. Deve ragionare ed operare secondo logiche non soltanto economiche ma anche seguendo dei principi etici e morali. Affrontare in questo ambito le dinamiche economiche che determinano le scelte aziendali rischierebbe di essere fuori tema. Quello che invece interessa all'analisi è individuare quale deve essere la formazione mentale del leader secondo una prospettiva di pratica filosofica. Una volta stabiliti gli obiettivi a livello produttivo, è importante progettare il modo in cui questi vengono raggiunti e soprattutto definire quali figure professionali dovranno collaborare ed offrire il loro contributo sul lavoro svolto. Pensare la gestione aziendale partendo da un approccio etico diventa non solo un lavoro per traguardi ma un progetto di sviluppo di tutte le figure appartenenti all'organizzazione produttiva. Le decisioni inoltre, nel momento in cui vengono condivise dai responsabili, creano degli effetti che in certi casi possono essere verificati immediatamente, in altri gli effetti possono essere valutati solo nel lungo periodo. Molte aziende hanno “venduto” le carte etiche come impegno per il miglioramento della qualità aziendale con il solo scopo di aumentare popolarità e consenso. Ogni decisione, secondo una prospettiva di counseling filosofico, richiede una analisi approfondita delle conseguenze, in particolar modo quelle di impatto sociale in relazione alle azioni intraprese nel tempo. Soluzioni estreme, normalmente, vengono scelte dai vari CEO in momenti di estrema crisi e difficoltà economica per rimediare a strategie sbagliate e non soltanto per sfavorevoli contingenze di mercato. Una prospettiva che vuole il leader guidato da principi etici avrebbe agito a monte della crisi. Avrebbe pensato alle possibili problematiche future 73 nel momento di maggior sviluppo economico, mettendo al sicuro sia il capitale economico ma anche le figure professionali e i singoli individui occupati nell'azienda. Simili osservazioni possono essere considerate ovvie per quanto scontate, ma se consideriamo l'ampio uso che è stato fatto di “carte etiche” da parte delle aziende in momenti di crescita economica, certe decisioni di tagli al personale contraddicono palesemente il termine “etica lavorativa”. La lungimiranza contiene in sé tanto l'accortezza e la previdenza, quanto l'ottimismo e la predizione. Rappresenta perciò la capacità di accelerare i tempi e anticipare problemi e questioni che poi si prefigureranno. La lungimiranza non è tale se non accompagnata dal coraggio e dalla perseveranza, e dunque non possiamo ravvisarla se non in un percorso prolungato che va dalla dichiarazione di una teoria alla sua dimostrazione. Diventare veicolo di una reale coscienza etica lavorativa significa che ogni lavoratore è un elemento indispensabile per i manager che gestiscono una attività produttiva. Diventa fondamentale distinguere l'etica reale da quella dichiarata. Questo per evitare di cadere in una contraddizione palese, in relazione alle opposte decisioni dirigenziali. Per fare in modo che il manager possa “cambiare” il modo di vedere gli altri, deve prima di tutto cambiare “se stesso”. Deve avere la capacità di riconoscere e comprendere le proprie emozioni, i propri punti di forza e le proprie debolezze. Un corretta conoscenza di sé porta inevitabilmente ad una profonda consapevolezza dei propri sentimenti, del proprio sentire. In questo modo diventa molto più facile canalizzarli in una direzione adeguata, nel momento in cui il leader si trova a collaborare con i lavoratori. E’ indispensabile in sintesi ridurre al minimo la distanza tra una 74 persona e il suo ruolo di attore nell’organizzazione. Si deve creare invece una dialettica continua tra il soggetto autentico, nel nostro caso il dipendente e l’attore organizzativo, il manager. Attualmente a sostegno della tesi secondo la quale il leader o manager etico è preferibile a qualunque altra forma di dirigenza è uno studio effettuato da Kpmg (una società di servizi per le imprese che fondata nel 1958 offre servizi basati su valori come integrità, trasparenza indipendenza e obiettività sulle possibilità di sviluppo delle singole aziende) sui grandi gruppi in merito ad una nuova professione chiamata in Inglese corporate social responsibility Csr. Il CSR manager è una figura che gestisce la responsabilità d’impresa riguardo al suo impatto nella società. Questa professione ritenuta oggi di nicchia ma per la quale si prevede una crescita netta nei prossimi cinque anni, era ritenuta fino a qualche anno fa come una punizione inferta dai superiori a dipendenti ritenuti poco produttivi. Di solito si trattava di dipendenti messi in ruoli defilati molto spesso di sola facciata, con possibilità di crescita pari a zero da parte delle multinazionali che come è stato già ampiamente dimostrato, hanno creato ad hoc tutta un serie di carte etiche per aggiudicarsi l’opinione pubblica, sempre più esigente oramai di soluzioni di questo tipo. Oggi sembra che le cose siano cambiate e lo dimostra questo studio di KPMG. Le aziende stanno prendendo sul serio questa figura professionale. In questo senso la Kpmg che guarda i bilanci aziendali in tema di sostenibilità (quelli cioè che integrano la dimensione economica, sociale ed ambientale) di trentaquattro paesi: tra le cento maggiori società di ciascuno stato considerato (Italia inclusa), chi fa il reporting di sostenibilità è passato dal 53% del 2008 al 64% del 2010. Quella che però sembra essere la vera novità almeno per quanto riguarda il caso italiano lo spiega a seguito di questi risultati la Presidente di CSR manager Network Caterina Torcia: L’Italia ha la tendenza a considerare il ruolo di CSR 75 come parte necessaria della strategia non solo a livello di azienda di grandi dimensioni ma anche di medie dimensioni. Questo nuovo ruolo ovviamente ha delle caratteristiche precise tra le quali: deve essere l’antenna dell’azienda nella società, deve essere un conoscitore del mondo della sostenibilità che in questo senso non riguarda solo gli standard ambientali ma anche quelli sociali, deve essere a conoscenza delle attese delle associazioni dei consumatori a quelle degli ambientalisti, senza però dimenticare che deve essere un individuo capace di dialogare con i responsabili delle funzioni aziendali. Diventa perciò un suggeritore di progetti. Ripensare anche in questo senso il ruolo di un leader attento realmente alla sostenibilità fa intravedere come il potenziale manager dell’etica inizi ad essere realmente una figura importante. Quello che diventa essenziale è che anche l’opinione pubblica è diventata più esigente nei confronti delle realtà aziendali che fanno uso di dichiarazioni etiche. Allo stesso tempo però si è dotata anche di sufficiente capacità critica per individuare i casi in cui l’etica viene utilizzata esclusivamente come copertura. L'etica aziendale, perciò, intesa come considerazione della sostenibilità ambientale e individuale, riconosce a questi il ruolo di mezzo e fine anche per un sviluppo della redditività che sta diventando una reale alternativa rispetto al passato. Di seguito è stato descritto il caso della società Illycaffè SPA di Trieste dove si è cercato di far fronte a situazioni, anche critiche, con modalità etiche. 76 2.3.1 ILLY L'azienda di Trieste, in base alle dichiarazioni dell'amministratore delegato Andrea Illy, nonostante il periodo di crisi che si è abbattuto anche a livello nazionale, può tranquillamente dichiarare di essere una società che ha scelto di non licenziare nessun dipendente: “Ci facciamo vanto di non aver licenziato nessuno, nonostante l'ultima terribile frenata dell'economia mondiale”37. Successivamente l'amministratore delegato afferma che ogni decisione aziendale è frutto di un approccio di lungo periodo che permette la sostenibilità del business ed un mantenimento dei valori etici che vengono applicati. La realizzazione di una visione etica del lavoro dove venga riconosciuto che un comportamento corretto e rispettoso nei confronti dei dipendenti ma soprattutto una concreta attenzione a quelli che sono i valori umani in ambito aziendale, può portare soltanto ad una migliore qualità del lavoro. Probabilmente l'A.D. di Illy non ha avuto bisogno di un consulente filosofico per applicare questa visione etica ma sicuramente come dichiara nel proseguio, l'atteggiamento assunto è quello che proviene da una pratica consolidata da parte della famiglia che nella persona del fondatore Francesco Illy ha portato avanti nel tempo l'attenzione alle persone in azienda: “Mio nonno, il fondatore Francesco, invitava sua nuora, mia madre ad andare a trovare le famiglie dei dipendenti ammalati”38. Una simile considerazione spiega come il benessere dell'azienda e perciò degli azionisti è legato al benessere dei lavoratori. Il leader/manager in questo caso vede consolidato il rapporto che si viene a creare tra lui ed i dipendenti. Questa scelta ha consentito nel tempo alla società di mirare ad un alto grado di qualità del prodotto offerto in virtù della lealtà riposta dai 37 Corriere della Sera STYLE: “Asilo, caffè e cappuccio. Gratis”, Novembre 2011 n° 11 p.55 38 idem 77 lavoratori verso i loro responsabili ed ha concesso negli ultimi due anni la possibilità alla Illy di ricevere la certificazione della Det Norske Veritas (Dnv) per essere una impresa con un alto potenziale di qualità ma seguendo un approccio sostenibile. A questo proposito, è utile specificare che genere di certificazione questa azienda ha ottenuto, in quanto, molte società di managing come pure le aziende, promuovono come abbiamo avuto modo di constatare, dichiarazioni per una produzione ed un'attenzione allo sviluppo sostenibile ed alla tutela dei lavoratori ma molte volte utilizzano concezioni etiche per celare le vere intenzioni. Nello specifico la società di Trieste ha aderito alla certificazione ISO 14001. La logica volontaristica di questo tipo di certificazione lascia all'azienda piena libertà di scegliere i propri obiettivi di miglioramento, anche in funzione delle possibilità di investimento e del livello tecnologico dell'azienda stessa. Tuttavia ci sono alcuni presupposti imprescindibili, quali l'impegno del management verso il rispetto degli standard sull'ambiente e il miglioramento continuo su questo fronte.39 In questo senso viene certificata e tutelata non solo la qualità dei prodotti venduti, per la quale esistono già altre certificazioni conosciute come la ISO 9001 riguardante gli standard di eccellenza del prodotto, ma anche la salvaguardia ambientale. La convinzione che in questo caso viene veicolata è che quando c'è sostenibilità ed etica lavorativa ci può essere un vero cambiamento e progresso sociale. Le parole di un amministratore delegato che in questo caso rappresenta in un'unica persona il manager e il leader diventano salvaguardia di tutela sia per le persone impiegate nell'attività produttiva ma 39 Fonte: http://www.iso.org/iso/iso_14000_essentials 78 anche per coloro i quali collaborano esternamente. Parlare di etica e trovare visibilità pubblica è facile in momenti di crescita economica. Scegliere di operare decisioni etiche in periodi di crisi è molto più impegnativo. La consapevolezza inoltre, che scelte eticamente valide producono un aumento del benessere e soprattutto un aumento della qualità del lavoro trovano corrispondenza nella realtà economica. In questo senso viene dato un primo piano di quale dovrebbe essere il carattere di un leader manager secondo una prospettiva etica. 79