tesi con bibliografia introduzione e conclusioni definitiva

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tesi con bibliografia introduzione e conclusioni definitiva
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CAPITOLO 2
Svolta verso una vera Leadership Etica
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2.1 La Pratica Filosofica
Per predisporre l'analisi tesa a delineare una alternativa di leadership
aziendale in grado di diversificarsi dalle definizioni provenienti dai manuali di
management è necessario definire e spiegare la pratica filosofica.
La pratica filosofica o consulenza filosofica nasce grazie al lavoro di
Gerd B. Achenbach, considerato il padre di questa disciplina. La prima
associazione mondiale di consulenza filosofica viene fondata in Germania
nel 1982. La consulenza filosofica o counseling filosofico può essere definito
come quella metodologia di intervento riflessivo riguardo i problemi
quotidiani delle persone ed attraverso la riflessione sull'esistenza reale di
ogni singolo individuo cercare, utilizzando gli strumenti della filosofia di
trovare alternative di pensiero rispetto a modelli di comportamento altrimenti
standardizzati. Achenbach definendo la pratica filosofica voleva, in qualche
modo, dare una risposta alla crisi dell'uomo moderno. Come analizzato in
precedenza l'uomo è stato ridotto ad esecutore di tecnicismi standardizzati.
Ogni persona viene considerata e valutata esclusivamente per le
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competenze tecniche possedute. Questo ha portato nel tempo alla perdita di
unicità e singolarità tipiche invece dell'essere umano. La pratica filosofica in
questo ambito vuole spingere le persone a riflettere sulla propria vita o sulla
propria posizione non in termini psicanalitici o psicologici ma esclusivamente
in termini filosofici. Non si tratta infatti di curare una patologia ma al contrario
di aumentare ed ampliare le capacità di ogni singolo soggetto per
permettergli di acquisire significato in un'epoca dove l'esistenza individuale
perde senso e rischia di omologarsi e spersonalizzarsi. La pratica filosofica
vuole
instaurare
un
dialogo
libero
e
aperto
con
l'individuo
per
accompagnarlo nella riflessione cercando in qualche modo di “ravvivarne” il
pensiero. L'esperienza comune, nella maggior parte dei casi ci permette di
vedere un problema sotto una sola prospettiva. Il consulente filosofico
tramite la riflessione permette al soggetto di cercare un “secondo pensare”
in modo da permettergli di ampliare le proprie prospettive. Questa forma di
intervento inoltre una volta introdotta diventa bagaglio del soggetto che la
applicherà ad ogni situazione. Non si tratta di una forma di psicanalisi sotto
altro nome ma semplicemente si cerca di rendere l'uomo come qualcosa di
più di sè stesso. Vuole rendere l'uomo per quello che deve essere, non
come mezzo ma trasformandolo in fine. La consulenza filosofica mira perciò
ad una applicazione pratica della filosofia per fare in modo che il pensiero e
la ricchezza dell'individuo torni ad essere il centro della persona e non solo
un contorno come l'età della tecnica ha voluto imporre. Utilizzare la filosofia
permette, in un certo senso, di recuperare una parte degli insegnamenti di
Socrate che provocava i suoi concittadini per risvegliarli dal torpore etico ed
intellettuale con domande sul loro “credo” e sulla loro vita.
In questi termini la consulenza filosofica diventa importante anche per
la filosofia stessa in quanto, per troppo tempo, è stata relegata a semplice
analisi retorica su pensieri troppo astratti per poter essere applicati in
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concreto.
La filosofia è nata dal bisogno di orientarsi nel mondo, dall’esigenza di
trovare un principio che consentisse di ridurre la molteplicità priva di
connessione a unità composita. 35 Se molti problemi filosofici sono stati risolti
dalla scienza e dalla tecnica prosegue Galimberti, che senso ha oggi
occuparsi di filosofia. Si potrebbe tentare un salvataggio della filosofia,
prosegue il professore, quasi si trattasse di salvare un’opera d’arte, una
tradizione poetica ma in questo senso la filosofia finirebbe del tutto di essere
“attuale”, di svolgere cioè una funzione del nostro tempo, per ridursi a
materiale d’archivio. Per diventare attuale la filosofia dovrebbe definire gli
ambiti in cui le varie scienze possiedono i loro oggetti e, collaborando con
esse, diventare epistemologia. Potrebbe diventare nuovamente e finalmente
quella regolamentazione tra etica e tecnica come attività distinta dal mondo
scientificamente conosciuto e tecnicamente dominato, ponendosi come suo
ordinamento e sua stabilità. In questo senso la filosofia ritorna alla sua
funzione originaria, quella di orientare il mondo. La filosofia nella storia ha
sempre liberato l’uomo dal terrore dell’imprevedibile. L'essere umano oggi
più che mai, dove tutto è ordinato e calcolato, previsto e conosciuto viene
posto di fronte a scenari agghiaccianti dell’età della tecnica come visto in
precedenza e ha bisogno della filosofia che segnali i limiti di ogni
ordinamento. Ritorna cioè a offrire all’uomo la libertà che,
coincide con
l’indicazione dello spazio disponibile. La filosofia perciò come etica, la
scienza come tecnica.
Di certo parlare di filosofia ed etica come strumenti guida ai giorni
nostri può sembrare grottesco per molti. Analizzando però nello specifico è
indubbio che in ogni momento della giornata una persona si trova a dover
35 Galimberti U.: La casa di psiche, FELTRINELLI, MILANO
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compiere scelte che riguardano aspetti di carattere tecnico ma anche e
specialmente di carattere etico, aspetti di “senso” dell’agire che sono
propriamente filosofici anche se in realtà la persona non ne è consapevole.
Si pensi ad esempio al ruolo che un consulente bancario può avere nel
momento in cui, proponendo un prodotto finanziario non fa esclusivamente
riferimento all'analisi della forma di investimento proposta, ma cerca di
proporre una formula che non sia esclusivamente a vantaggio dell'istituto di
credito ma anche delle persona, utilizzando un principio fondamentale,
l'empatia. Avere una formazione tale da poter discernere in modo corretto i
comportamenti e le alternative può migliorare non solo le decisioni assunte
dalle persone ma anche la morale di chi al giorno d'oggi, propone beni e
servizi.
Applicare la pratica filosofica nelle organizzazione economiche e
specialmente tentare un approccio alla teoria della leadership in chiave di
consulenza filosofica presuppone che si cancelli definitivamente ogni altra
teoria sviluppata dai manuali di management riguardo alle dinamiche di
leadership, in quanto, appartengono ad un piano diametralmente differente
rispetto ad una lettura in chiave filosofica.
Credere però che non esista un metodo applicabile di intervento
nell'ambito della consulenza filosofica è sbagliato. Peter Raabe, classe
1949, consulente filosofico canadese ha delineato quattro stadi di intervento
pratico in ambito filosofico:
1. libera fluttuazione: prevale l’ascolto empatico del cliente, si cerca di
liberarsi totalmente dai propri pregiudizi, si focalizza la visione del
mondo dell’interlocutore;
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2. soluzione di un problema circoscritto: si aiuta il cliente a prendere una
decisione su un aspetto limitato della sua vita, mostrandogli più
chiaramente le diverse opzioni. Spesso le sedute s’interrompono a
questo stadio, quando non c’è un interesse da parte del cliente a
ridiscutere tutto il proprio modo di essere.
3. Fase didattica, cuore del counseling filosofico per P. Raabe, in cui
vengono trasmesse quelle nozioni del pensiero razionale che servono
a esaminare meglio ogni problema, passato o futuro, che si è
presentato o presenterà nella storia personale del consultante.
4. Trascendenza: allargare i propri orizzonti, accostarsi ad altre
prospettive, pensare filosoficamente facendosi domande sul senso e
il significato.36
Si tratta ovviamente di una traccia che può diventare uno strumento
utile anche in ambito lavorativo con i dovuti adattamenti.
36 Peter Raabe: Teoria e pratica della consulenza filosofica, APOGEO, MILANO, 2006
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2.2. Reinterpretare il Leader
La figura del leader nelle organizzazioni produttive deve essere
profondamente rivalutata secondo la prospettiva della consulenza filosofica.
Il leader nelle aziende prende il nome di titolare o manager. In una
prospettiva di pratica filosofica è importante che quest'ultimo guardi il mondo
lavorativo attraverso punti di vista alternativi per permettergli di modificare
molte delle idee preconcette, e le visioni del mondo erroneamente
consolidate.
Reinterpretare di continuo sè stessi e il mondo risulta il primo scoglio
da superare per il manager che intende applicare dei principi filosofici in
azienda.
Fare filosofia pratica in azienda significa coltivare nuove domande per
arricchire e approfondire la comprensione di una questione, fermo restando
che in ambito produttivo è necessario analizzare con gli strumenti appositi
l'andamento economico. La consulenza filosofica non si sostituisce a questi
strumenti ma con il suo agire modifica il modo in cui il soggetto opera con gli
strumenti in ambito lavorativo.
Avere una mente aperta che non finisce mai di porsi alternative o
domande e che non ha paura di cambiare diventa importante in contingenze
economiche come quelle che stiamo vivendo in questi ultimi tempi.
Pensare alla consulenza filosofica come ad una pratica terapeutica
come spesso viene inteso il couseling filosofico è sbagliato. Il consulente
filosofico non è uno psicologo nè una psicoterapeuta. Non si parla nè di
diagnosi nè di cura ma si vuole creare appunto uno spazio libero dove le
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idee possano scorrere e delineare percorsi che in luogo di troppo sapere
tecnico rischiano di non essere presi in considerazione.
Si tratta in un certo modo di cambiare visione del mondo. Gestire la
soggettività in ambito lavorativo diventa efficace nel lavoro anche in una
visione clientecentrica. Le richieste che fanno i lavoratori ai loro manager e
superiori è l'aspirazione individuale che prende il nome di autostima e
benessere. Quello che non viene pienamente compreso dai manager non
guidati da una formazione filosofica è che la realizzazione personale va di
pari
passo
con
la
crescita
e
lo
sviluppo
dell'efficacia
personale
nell'organizzazione.
Già nel 2004 Valérie Brunel con un saggio dedicato alle pratiche del
sé nelle organizzazioni aveva considerato che è possibile far fronte a un
ambiente difficile, ad un lavoro che diventa sempre più complesso
semplicemente sviluppando il potenziale individuale. Ogni singolo soggetto
diventa un elemento in grado di contribuire al lavoro con tutta la competenza
tecnica acquisita ma anche con tutto il potenziale emotivo. Si sviluppa una
nuova forma di consapevolezza professionale che va oltre la posizione che
un soggetto ricopre in ambito produttivo.
L’azienda potrebbe perciò diventare un luogo di sviluppo personale ed
il lavoro una possibilità concreta di esprimere e realizzare sè stessi. L’uomo
dovrebbe essere messo al centro della cooperazione manageriale. Le
informazioni potrebbero circolare, il sapere dovrebbe essere distribuito e
fare in modo che i coordinamenti possano essere realmente trasversali sia
in senso verticale che orizzontale fra i gradi aziendali. In aziende così
organizzate si dovrebbe lavorare per progetti e non per competenze,
tenendo sempre presente che tutto è definito per il cliente come essere
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umano. Non dovrebbe esistere gerarchia così come dovrebbero essere tolte
tutte le logiche legate alla stessa. In quest'ottica non dobbiamo pensare ad
un'attività produttiva fondata sull'anarchia ma tesa ad eliminare tutte quelle
forme di “baronie”, e nelle aziende ce ne sono fin troppe, che distruggono il
tessuto sociale dell’azienda.
Il leader deve diventare un promotore che svolga un profondo lavoro
su sé stesso e sul suo ruolo in azienda. Richiede capacità di ascolto, di
esplorazione, di condivisione di valori oltre che di conoscente tecniche per
permettere al lavoro di proseguire. Pensare ad un progetto di sviluppo
personale e morale della persona: sia per sè stessi ma anche per gli altri.
Lavorare per obiettivi ma contribuire a scegliere i mezzi con i quali
raggiungerli.
In questo modo è possibile coniugare due logiche che sono tutt’ora
considerare incompatibili in azienda: logiche individuali e logiche d’impresa.
Proprio in questi giorni, nella rivista “TIME” Bryan Walsh si è occupato
di due particolari caratteristiche che normalmente non sono associate allo
stereotipo di leader. Si tratta della timidezza e della mitezza. Secondo la
teoria di Walsh, gli introversi, quasi il 30% della popolazione mondiale,
hanno meno amici, ma le loro relazioni tendono ad “essere più profonde e
durature”. Inoltre “essere più cauti per natura spinge questi individui a
decisioni sagge e ponderate”. Secondo questa teoria di conseguenza
dovrebbe essere possibile sostenere che sviluppando una maggiore
capacità di ascolto questi soggetti incarnano quello che dovrebbe essere un
ideale di leader. Secondo le stime proposte nella ricerca sembrerebbe che il
40% dei manager oggi in circolazione sia appartenente a questa categoria.
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Secondo lo studio effettuato dallo psicologo Adam Grant della
Wharton Business School i leader estroversi, oggetto della prima parte della
tesi “si circondano al contrario di collaboratori ubbidienti e servili” quelli che
normalmente indichiamo come assertivi. Questo secondo Wharton può
rivelarsi fatale per un’azienda “for profit” incentrata su innovazione e
meritocrazia. Questa teoria è stata sviluppata in quanto dagli studi di
Wharton si è rilevato che i leader introversi sanno attrarre individui
indipendenti e creativi. Questa tesi può essere in qualche modo confermata
dal principio secondo cui i collaboratori di un leader sono per la maggiore
costretti a sottostare alle sue direttive senza avere nè la possibilità nè la
volontà di dissentire.
In conclusione i leader che probabilmente nell’immediato futuro
saranno alla guida delle società saranno dei “geni solitari e visionari”. La loro
caratteristica principale sarà quella di avere sostanza strumentale e morale
anziché parole in un mondo che si rivela essere sempre più competitivo e
veloce. Preme a questo punto sottolineare che la leadership non può solo
essere una caratteristica esclusiva di “geni”. Il dato che conferma quanto
affermato riguarda proprio il fatto che un leader che non imponga
esclusivamente le sue teorie o ipotesi e in modo corretto gestisce i rapporti
tra i colleghi, collaborando nella realizzazione degli scopi aziendali, si
troverà di fronte a dei risultati di business migliori. L’accenno alla genialità
del leader risulta esagerata in quanto essere timidi ed introversi non è
sempre e solo una caratteristica del genio. Un ottimo leader introverso non
deve per forza essere un uomo dotato di genio. Il rischio, infatti, di mitizzare
troppo le figure di questo tipo può portare a forme di leadership carismatiche
che non sempre, come si è visto in precedenza, hanno risvolti positivi. Ai fini
del lavoro risulta utile analizzare questo genere di ricerca perché ci permette
di individuare una caratteristica, l'introversione o capacità riflessiva che non
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trovava posto nell'immaginario delle forme di leadership a cui siamo stati
abituati.
Diventa indispensabile ridare un senso a quello che è il leader
d’impresa sotto questo punto di vista, partendo dal presupposto che,
mantenendo fermo il target aziendale, e possibile anche lavorare e ottenere
dei benefici ulteriori grazie ad una logica che metta l'individuo non più solo
come mezzo ma anche come fine da parte dei leader che chiameremo
“etici”.
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2.3 Dal filosofo al Leader Etico
Il leader analizzato secondo la prospettiva della consulenza filosofica
non deve diventare un filosofo nel senso comune. Deve ragionare ed
operare secondo logiche non soltanto economiche ma anche seguendo dei
principi etici e morali. Affrontare in questo ambito le dinamiche economiche
che determinano le scelte aziendali rischierebbe di essere fuori tema. Quello
che invece interessa all'analisi è individuare quale deve essere la
formazione mentale del leader secondo una prospettiva di pratica filosofica.
Una volta stabiliti gli obiettivi a livello produttivo, è importante progettare il
modo in cui questi vengono raggiunti e soprattutto definire quali figure
professionali dovranno collaborare ed offrire il loro contributo sul lavoro
svolto. Pensare la gestione aziendale partendo da un approccio etico
diventa non solo un lavoro per traguardi ma un progetto di sviluppo di tutte le
figure appartenenti all'organizzazione produttiva. Le decisioni inoltre, nel
momento in cui vengono condivise dai responsabili, creano degli effetti che
in certi casi possono essere verificati immediatamente, in altri gli effetti
possono essere valutati solo nel lungo periodo. Molte aziende hanno
“venduto” le carte etiche come impegno per il miglioramento della qualità
aziendale con il solo scopo di aumentare popolarità e consenso. Ogni
decisione, secondo una prospettiva di counseling filosofico, richiede una
analisi approfondita delle conseguenze, in particolar modo quelle di impatto
sociale in relazione alle azioni intraprese nel tempo. Soluzioni estreme,
normalmente, vengono scelte dai vari CEO in momenti di estrema crisi e
difficoltà economica per rimediare a strategie sbagliate e non soltanto per
sfavorevoli contingenze di mercato.
Una prospettiva che vuole il leader guidato da principi etici avrebbe
agito a monte della crisi. Avrebbe pensato alle possibili problematiche future
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nel momento di maggior sviluppo economico, mettendo al sicuro sia il
capitale economico ma anche le figure professionali e i singoli individui
occupati nell'azienda. Simili osservazioni possono essere considerate ovvie
per quanto scontate, ma se consideriamo l'ampio uso che è stato fatto di
“carte etiche” da parte delle aziende in momenti di crescita economica, certe
decisioni di tagli al personale contraddicono palesemente il termine “etica
lavorativa”. La lungimiranza contiene in sé tanto l'accortezza e la
previdenza, quanto l'ottimismo e la predizione. Rappresenta perciò la
capacità di accelerare i tempi e anticipare problemi e questioni che poi si
prefigureranno. La lungimiranza non è tale se non accompagnata dal
coraggio e dalla perseveranza, e dunque non possiamo ravvisarla se non in
un percorso prolungato che va dalla dichiarazione di una teoria alla sua
dimostrazione.
Diventare veicolo di una reale coscienza etica lavorativa significa che
ogni lavoratore è un elemento indispensabile per i manager che gestiscono
una attività produttiva. Diventa fondamentale distinguere l'etica reale da
quella dichiarata. Questo per evitare di cadere in una contraddizione palese,
in relazione alle opposte decisioni dirigenziali.
Per fare in modo che il manager possa “cambiare” il modo di vedere
gli altri, deve prima di tutto cambiare “se stesso”. Deve avere la capacità di
riconoscere e comprendere le proprie emozioni, i propri punti di forza e le
proprie debolezze. Un corretta conoscenza di sé porta inevitabilmente ad
una profonda consapevolezza dei propri sentimenti, del proprio sentire. In
questo modo diventa molto più facile canalizzarli in una direzione adeguata,
nel momento in cui il leader si trova a collaborare con i lavoratori.
E’ indispensabile in sintesi ridurre al minimo la distanza tra una
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persona e il suo ruolo di attore nell’organizzazione. Si deve creare invece
una dialettica continua tra il soggetto autentico, nel nostro caso il dipendente
e l’attore organizzativo, il manager.
Attualmente a sostegno della tesi secondo la quale il leader o
manager etico è preferibile a qualunque altra forma di dirigenza è uno studio
effettuato da Kpmg (una società di servizi per le imprese che fondata nel
1958 offre servizi basati su valori come integrità, trasparenza indipendenza e
obiettività sulle possibilità di sviluppo delle singole aziende) sui grandi gruppi
in merito ad una nuova professione chiamata in Inglese corporate social
responsibility Csr. Il CSR manager è una figura che gestisce la
responsabilità d’impresa riguardo al suo impatto nella società. Questa
professione ritenuta oggi di nicchia ma per la quale si prevede una crescita
netta nei prossimi cinque anni, era ritenuta fino a qualche anno fa come una
punizione inferta dai superiori a dipendenti ritenuti poco produttivi. Di solito si
trattava di dipendenti messi in ruoli defilati molto spesso di sola facciata, con
possibilità di crescita pari a zero da parte delle multinazionali che come è
stato già ampiamente dimostrato, hanno creato ad hoc tutta un serie di carte
etiche per aggiudicarsi l’opinione pubblica, sempre più esigente oramai di
soluzioni di questo tipo. Oggi sembra che le cose siano cambiate e lo
dimostra questo studio di KPMG. Le aziende stanno prendendo sul serio
questa figura professionale. In questo senso la Kpmg che guarda i bilanci
aziendali in tema di sostenibilità (quelli cioè che integrano la dimensione
economica, sociale ed ambientale) di trentaquattro paesi: tra le cento
maggiori società di ciascuno stato considerato (Italia inclusa), chi fa il
reporting di sostenibilità è passato dal 53% del 2008 al 64% del 2010. Quella
che però sembra essere la vera novità almeno per quanto riguarda il caso
italiano lo spiega a seguito di questi risultati la Presidente di CSR manager
Network Caterina Torcia: L’Italia ha la tendenza a considerare il ruolo di CSR
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come parte necessaria della strategia non solo a livello di azienda di grandi
dimensioni ma anche di medie dimensioni. Questo nuovo ruolo ovviamente
ha delle caratteristiche precise tra le quali: deve essere l’antenna
dell’azienda nella società, deve essere un conoscitore del mondo della
sostenibilità che in questo senso non riguarda solo gli standard ambientali
ma anche quelli sociali, deve essere a conoscenza delle attese delle
associazioni dei consumatori a quelle degli ambientalisti, senza però
dimenticare che deve essere un individuo capace di dialogare con i
responsabili delle funzioni aziendali. Diventa perciò un suggeritore di
progetti. Ripensare anche in questo senso il ruolo di un leader attento
realmente alla sostenibilità fa intravedere come il potenziale manager
dell’etica inizi ad essere realmente una figura importante. Quello che diventa
essenziale è che anche l’opinione pubblica è diventata più esigente nei
confronti delle realtà aziendali che fanno uso di dichiarazioni etiche. Allo
stesso tempo però si è dotata anche di sufficiente capacità critica per
individuare i casi in cui l’etica viene utilizzata esclusivamente come
copertura.
L'etica
aziendale,
perciò,
intesa
come
considerazione
della
sostenibilità ambientale e individuale, riconosce a questi il ruolo di mezzo e
fine anche per un sviluppo della redditività che sta diventando una reale
alternativa rispetto al passato. Di seguito è stato descritto il caso della
società Illycaffè SPA di Trieste dove si è cercato di far fronte a situazioni,
anche critiche, con modalità etiche.
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2.3.1 ILLY
L'azienda di Trieste, in base alle dichiarazioni dell'amministratore
delegato Andrea Illy, nonostante il periodo di crisi che si è abbattuto anche a
livello nazionale, può tranquillamente dichiarare di essere una società che
ha scelto di non licenziare nessun dipendente: “Ci facciamo vanto di non
aver licenziato nessuno, nonostante l'ultima terribile frenata dell'economia
mondiale”37. Successivamente l'amministratore delegato afferma che ogni
decisione aziendale è frutto di un approccio di lungo periodo che permette la
sostenibilità del business ed un mantenimento dei valori etici che vengono
applicati. La realizzazione di una visione etica del lavoro dove venga
riconosciuto che un comportamento corretto e rispettoso nei confronti dei
dipendenti ma soprattutto una concreta attenzione a quelli che sono i valori
umani in ambito aziendale, può portare soltanto ad una migliore qualità del
lavoro. Probabilmente l'A.D. di Illy non ha avuto bisogno di un consulente
filosofico per applicare questa visione etica ma sicuramente come dichiara
nel proseguio, l'atteggiamento assunto è quello che proviene da una pratica
consolidata da parte della famiglia che nella persona del fondatore
Francesco Illy ha portato avanti nel tempo l'attenzione alle persone in
azienda: “Mio nonno, il fondatore Francesco, invitava sua nuora, mia madre
ad andare a trovare le famiglie dei dipendenti ammalati”38. Una simile
considerazione spiega come il benessere dell'azienda e perciò degli azionisti
è legato al benessere dei lavoratori. Il leader/manager in questo caso vede
consolidato il rapporto che si viene a creare tra lui ed i dipendenti.
Questa scelta ha consentito nel tempo alla società di mirare ad un
alto grado di qualità del prodotto offerto in virtù della lealtà riposta dai
37 Corriere della Sera STYLE: “Asilo, caffè e cappuccio. Gratis”, Novembre 2011 n° 11 p.55
38 idem
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lavoratori verso i loro responsabili ed ha concesso negli ultimi due anni la
possibilità alla Illy di ricevere la certificazione della Det Norske Veritas (Dnv)
per essere una impresa con un alto potenziale di qualità ma seguendo un
approccio sostenibile. A questo proposito, è utile specificare che genere di
certificazione questa azienda ha ottenuto, in quanto, molte società di
managing come pure le aziende, promuovono come abbiamo avuto modo di
constatare, dichiarazioni per una produzione ed un'attenzione allo sviluppo
sostenibile ed alla tutela dei lavoratori ma molte volte utilizzano concezioni
etiche per celare le vere intenzioni.
Nello specifico la società di Trieste ha aderito alla certificazione ISO
14001. La logica volontaristica di questo tipo di certificazione lascia
all'azienda piena libertà di scegliere i propri obiettivi di miglioramento, anche
in funzione delle possibilità di investimento e del livello tecnologico
dell'azienda stessa. Tuttavia ci sono alcuni presupposti imprescindibili, quali
l'impegno del management verso il rispetto degli standard sull'ambiente e il
miglioramento continuo su questo fronte.39
In questo senso viene certificata e tutelata non solo la qualità dei
prodotti venduti, per la quale esistono già altre certificazioni conosciute
come la ISO 9001 riguardante gli standard di eccellenza del prodotto, ma
anche la salvaguardia ambientale.
La convinzione che in questo caso viene veicolata è che quando c'è
sostenibilità ed etica lavorativa ci può essere un vero cambiamento e
progresso sociale. Le parole di un amministratore delegato che in questo
caso rappresenta in un'unica persona il manager e il leader diventano
salvaguardia di tutela sia per le persone impiegate nell'attività produttiva ma
39 Fonte: http://www.iso.org/iso/iso_14000_essentials
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anche per coloro i quali collaborano esternamente. Parlare di etica e trovare
visibilità pubblica è facile in momenti di crescita economica. Scegliere di
operare decisioni etiche in periodi di crisi è molto più impegnativo. La
consapevolezza inoltre, che scelte eticamente valide producono un aumento
del benessere e soprattutto un aumento della qualità del lavoro trovano
corrispondenza nella realtà economica. In questo senso viene dato un primo
piano di quale dovrebbe essere il carattere di un leader manager secondo
una prospettiva etica.
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