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PASCOLI ENNIO
Ennio Pascoli nasce a Suzzara 1 (Mantova) il 20 luglio 1918,
terzogenito2 di Leonardo Luigi (1884-1940) della famiglia Çiandon
di Venzone e di Margherita Marini (1887-1970) di Gemona del
Friuli3.
Abitava nel centro storico di Venzone di fronte all’ingresso di
palazzo Orgnani Martina. Il padre4 era macellaio, aveva il
laboratorio dov’era l’ufficio postale in palazzo Orgnani Martina e la
macelleria al piano terra dell’attuale casa canonica. Egli ricorda la
sua famiglia: “Abitavano di fronte all’odierno palazzo Martina, di
proprietà del Comune. Come dicevo, le zie abitavano nella casa di
proprietà dei conti Orgnani-Martina, i quali erano proprietari di
molte campagne nei dintorni di Venzone. Si chiamavano:
Lucrezia5, Paolina6 e Luigia7; quest’ultima amministrava i beni dei
Conti e tutti gli anni, l’ 11 novembre, uno dei due fratelli, veniva a
riscuotere gli affitti dagli inquilini che mia zia Luigia aveva già
organizzato preparando i conteggi. In seguito, dopo la morte dei
due Conti, la sorella, contessa Elodia, sposata a un aristocratico
friulano Montegnacco, ha pensato di vendere tutte le proprietà
(pure la casa dove erano vissute da sempre le zie con la famiglia,
senza avvisarle, che avrebbero potuto comprare la loro) alla
famiglia Zinutti “Barbon”; così a malo modo le hanno sfrattate e
accomodate nella casa di fronte, dove sono morte dopo pochi
anni. La zia Luigia ha sofferto. Sono stato loro vicino anche quando, per paura dei bombardamenti, assieme
a quasi tutti gli abitanti di Venzone, erano andate a vivere nelle gallerie scavate sotto il piano di S. Caterina.
Come dicevo, la zia Luigia ha sofferto tanto. Ricordo che aveva dei dolori forti cui non poteva resistere. Una
infermiera che era anche lei nei rifugi, chiedeva a me l’autorizzazione di praticargli iniezioni di morfina. Ero
conscio che erano nocive alla salute, lo si faceva soltanto per non farla soffrire; dopo pochi giorni è morta.
Finita la guerra, sono morte le altre due “.
Completati gli studi tecnici (segretario d’azienda) a Tolmezzo, Ennio viene assunto dalla impresa Tomat di
Pietro Tomat Petolon di Venzone. Di carattere gioviale e collaborativo, si fa apprezzare per la partecipazione
attiva in molteplici sociali e ricreative paesane8.
Di quel periodo, annota: “Eravamo negli anni ’40 9, ed erano in corso le grandi manovre militari in Friuli. Per
assistere alla conclusione di dette manovre, alla stazione ferroviaria di Venzone giunsero re Vittorio
Emanuele III di Savoia e Benito Mussolini capo del Governo. Abitava a Venzone una persona singolare:
Bellina Antonio detto Burit. Antifascista, persona molto colta e incapace di mettersi contro qualsiasi politico,
ma ogni qualvolta vi erano raduni fascisti e in modo speciale per l’occasione di cui sopra, i carabinieri
provvedevano a trasportarlo in caserma. Ebbene quando anche questa volta puntualmente arrivarono, in
modo garbato disse loro: “ Sono Cavaliere della Corona d’Italia. Dovete venirmi a prendere in alta uniforme
e con i guanti bianchi “. Ebbene, sono rientrati in caserma per ottemperare alla sua richiesta.
Il fratello10 di questo Bellina. Si era laureato a Londra ingegnere navale. Aveva fatto costruire la villa nel
barbacane, sopra porta S. Giovanni. Questi venne eletto Sindaco di Venzone dopo la fine della guerra.
Viene chiamato alle armi nel gennaio 193811 al distretto di Sacile e arruolato nell’arma aeronautica a Foggia,
dove frequenta il corso piloti.
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La famiglia era profuga a Suzzara profuga a seguito dell’invasione austro-tedesca dell’ottobre 1917.
I fratelli sono: Luigi (1911-1994); Leonardo (1913-1963); in seguito: Anita Caterina Teresa (1923-2012).
Mia madre era una donna forte, ricordo che alzava un quarto di animale per appenderlo negli appositi ganci.
Mio padre aveva la macelleria, sempre nel palazzo Martina, subito dove oggi è l’ufficio postale. Evi era una tettoia sorretta da colonne
in cemento armato dove mio padre legava il manzo (o il toro) e con la rivoltella gli sparava alla testa uccidendolo, poi lo dissanguava,
scuoiava, squartava e lo portava in macelleria. Ricordo che la macelleria era dove oggi è la canonica.
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Lucrezia Teresa n. 15/01/1871 m. 22/5/1947
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Paolina Agata n. 26/8/1874 a Venzone
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Luigia Elisabetta n. 27/1/1876 m. 31/1/1946
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Ad es. era componente della Corale del Duomo, suonava il sax nell’orchestrina alla sala SOMS.
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Si conclusero nel luglio 1935 sul conoide di Rivoli Bianchi fra Gemona del Friuli e Venzone .
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Giovanni Bellina
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Annota: “in quel giorno moriva papa Pio IX ”.
Viene assegnato con il grado di sergente all’aeroporto Palese Macchie di Bari. Annota nel suo diario: “
Ricordo ancora l’entusiasmo che era in noi quando, alle dieci del mattino del 10 giugno 1940, eravamo tutti
riuniti per ascoltare il discordo del Duce diffuso dalla radio con auto-parlanti: annunciava la dichiarazione di
guerra. Fu un momento di euforia e grida di gioia. Non si immaginava quello che ci aspettava. Da quel
momento sono iniziati i disastri, i combattimenti, le incursioni. [...] Eravamo all’aeroporto di Bari e ci fecero
allineare tutti i velivoli in dotazione al nostro aeroporto: SM79 –SM82-BR20. Si aspettava la visita di
Mussolini, che venne e ci passò in rivista; dopo di che lui partiva per l’aeroporto di Capodichino a Napoli e
noi, immediatamente, siamo partiti per l’aeroporto di Grottaglie che il Duce doveva visitare dopo aver
ispezionato le forze aeree di Capodichino; perciò gli facevano vedere sempre gli stessi aerei; così avranno
fatto pure con le forze terrestri: un vero inganno!”.
Al termine del servizio militare viene raffermato e destinato all’aeroporto di Foggia, promosso sergente
maggiore. Annota ancora: “Durante gli anni dal 1940 all’8 settembre 1943 ne abbiamo passate di cotte e di
crude; certe volte salvi per miracolo, che non voglio neppure ricordare; tanti sacrifici con una disfatta così
vergognosa”.
All’8 settembre 1943 è a Mostar 12 dove si trova il suo reparto aereo 13. Rientrato in aereo a Susak 14, da qui
in auto prima 15 ed a piedi poi raggiunge fortunosamente Venzone 16 per rientrare a lavorare come assistente
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nella ditta edile Tomat 18 che era stata invitata ad appaltare i lavori dalla organizzazione TODT che aveva i
propri uffici a Osoppo.
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Mostar (Bosnia), in seguito dell’occupazione italiana della Jugoslavia.
Pochi giorni prima aveva preso parte a un salvataggio. Il comandante lo aveva proposto per una medaglia di bronzo al v.m., ma la
proposta non pervenne mai al Ministero dell’Aereonautica per i fatti intervenuti dopo l’armistizio. Due croci di guerra gli furono conferite
al termine del conflitto dal comandante dell’aeroporto di Campoformido.
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Sede della Seconda Zona Aerea Territoriale.
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In prossimità del Carso “visto che era pericoloso, ho preso la montagna. In una famiglia mi hanno fornito di abiti civili e, chiedendo
informazioni nei paesi, mi davano pure qualcosa da mangiare”. (E.Pascoli, Memoriale).
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Evitando tanto i tedeschi che i titini jugoslavi.
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Faceva l’assistente nei cantieri e, approfittando delle mansioni del suo ufficio, rilasciava falsi lasciapassare ai “ribelli”.
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L’impresa conterà più di mille dipendenti (ma arriverà anche a mille e cinquecento), metà dei quali erano partigiani. Provvedeva loro
la paga settimanale e il documento di riconoscimento Ausweis.
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Entra a far parte del movimento di liberazione clandestino 19 e nel C.L.N. di Venzone20. Avrà diretti contatti
con il maggiore scozzese Thomas Macpherson la cui missione aveva sede nella Val Venzonassa. Verrà
congedato il 24 giugno 1945.
La ditta edile Tomat per la quale lavorava 21, il 20 luglio 1945 sposta la sua sede a Udine 22.
Il 13 dicembre 1946, dalla prigionia rientra il fratello Luigi. Così ricorda Ennio: “Mio fratello Luigi23
partito per l’Africa nel gennaio 1935, è potuto rientrare nel 1946, ha appreso della morte di nostro padre
dopo due anni il giorno di Santa Lucia del 1946. L’aspettavo al “Leon”, l’ambiente che avevano aperto quasi
di fronte alla canonica di oggi; è stata una festa grande, assieme ad amici che avevo invitato. Lui aveva fatto
il militare a Osoppo, e sul forte aveva base il 3° Btg. artiglieria da montagna; mio fratello aveva fatto il corso
ufficiali, come sottotenente; come dicevo nel gennaio 1935 erano state costituite le armate Gavinara e
Peloritana. Luigi è stato richiamato alle armi, così ha raggiunto Siena ed è partito il 5 gennaio 1935 per
l’Africa, dove è stato a Decamerè 24 in Eritrea e dopo, come prigioniero; finalmente dopo le ostilità è potuto
rientrare e ho dovuto inviare i soldi per il viaggio. Quando è arrivato, aveva il cappello di artigliere da
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Nel Btg. Prealpi della Divisione Osoppo, il 19 agosto 1944, soldato semplice, nome di battaglia Giuro.
Riportiamo di seguito, in ordine cronologico, alcune sue memorie:
Gennaio 1945. La strada era ancora coperta di neve ghiacciata. Abitavo vicino alla stazione ferroviaria di Venzone, quando udii nella
notte gli echi di una sparatoria proveniente da un treno che stava giungendo alla stazione; qualcuno venne ad avvisarmi che c’era una
persona che invocava aiuto dalla scarpata oltre il casello ferroviario dove abitava la zia di Elio Valent (anche lui aveva perso un figlio in
Jugoslavia). Raggiungemmo lo sventurato, lo adagiammo su una scala a pioli e lo portammo all’ambulatorio del dott. Giacomo
Francescon sistemato in casa Tomat (sull’angolo nord, dove il viale della stazione ferroviaria si immette nella strada nazionale). Era
grave. All’alba, appena terminato il coprifuoco, presi una lôge (slitta per il trasporto in montagna) e dopo averlo adagiato e ben coperto,
con un operaio della Todt lo portai all’ospedale di Gemona. Ma era troppo grave ed è morto; così venne seppellito nel cimitero di
Gemona. Era originario di una località vicino Maniago e si chiamava Enrico Rosabian. Dopo la fine della guerra l’ho fatto esumare dalla
fossa per consegnare la salma ai famigliari, i quali mi sono stati tanto grati. Trascorsi pochi giorni, un’altra chiamata di notte per un caso
analogo. Preso il coraggio a due mani, sono salito con una lanterna violando il coprifuoco. Benché temessi mi sparassero, raggiunsi il
comando tedesco dov’ero conosciuto e mi arrangiavo a quei tempi con la lingua. Si sono bevuti la bugia, cioè che erano stati i cosacchi
a sparargli. Così con un camion l’abbiamo portato all’ospedale di Gemona, ma non era tanto grave: la pallottola aveva attraversato il
polmone senza ledere organi vitali. Appena guarito, d’accordo con la infermiera dell’ospedale, l’abbiamo fatto scendere da una finestra;
poi caricato sul cambron della bicicletta, lo portai a Osoppo per munirlo di documenti Todt. (E. Pascoli, Memoriale).
Marzo 1945. I tedeschi avevano allestito un aeroporto di fortuna nella zona di Rivoli di Osoppo e dato incarico alla nostra impresa
Tomat di eseguire delle perforazioni con una trivella del diametro di 20 cm. Allo scopo di renderlo inefficiente in caso di ritirata che
oramai ritenevano prossima. Gli operai, fatte le perforazioni, stavano completando il lavoro (di questo lavoro incoscientemente mi sono
interessato): erano da riempire le perforazioni con polvere da mina, coprirle con dei tappi speciali e collegare una perforazione all’altra
con una miccia. Tutto questo è stato fatto, ma invece di polvere esplosiva, insieme a Gianni Tamburlini i buchi li abbiamo riempiti di
segatura. (E. Pascoli, Memoriale).
28 aprile 1945 – Sabato, tarda serata – Alle ore 23 circa i Patrioti “COT ” [dott. Giacomo Francescon] e “GIURO” [Ennio Pascoli] si
sono recati al Comando dell’ENZIAN di Venzone, composto di 72 uomini, i quali invitati a deporre le armi, facendo presente loro che
700 partigiani ed un treno proveniente da Gemona carico di uomini stavano per circondare il paese; l’ingegnere capo di questo presidio
accettava il disarmo dei suoi uomini, versando tutto il materiale bellico a loro in consegna composto di: n.100 fucili in sorte; n.30
rivoltelle; n.19 cassette munizioni; n.1 fucile mitragliatore (mitra). Rimanendo gli uomini a nostra disposizione. F.to Il Com.te 1° Comp.
Cobra [Domenico Di Bernardo] - (Archivio Divisione partigiana Osoppo – H6, fasc. 150, 7 – Biblioteca Arcivescovile di Udine).
29 aprile 1945 – mattinata, ore 9.
Verso le ore 9,00 truppe tedesche obbligate dal combattimento a fermarsi ai Rivoli Bianchi, chiesero di trattare con Comandanti Patrioti
tramite il Monsignore di Venzone. Un capitano della Luftwaffe venne per questo motivo assieme a Monsignore in paese, pure lui
disarmato e promise di non entrare con le sue truppe in paese e di non interessarsi della sorte dei cosacchi se alla sua colonna fosse
stato garantito il passaggio. Tutto questo fu accertato dal Patriota COT ([Giacomo Francescon] e GIURO [Ennio Pascoli] in presenza
del Monsignore [Faustino Lucardi].
Da parte tedesca nella prima mattinata era stato chiesto l’intervento di un garante e si offrì mons. Faustino Lucardi (1897-1945).
All’ufficiale tedesco che gli venne incontro, nel presentarsi il pievano disse: “Non ho armi con me. Desidero che lei lasci l’arma che porta
e noi due precederemo le truppe verso Venzone”. L’ufficiale acconsentì.
29 aprile 1945 - Ore 12 –“ Mi nascondevo da [Bellina] Nae, nella casa posta in fondo al viale della stazione. Si riteneva che le truppe
sarebbero passate diritte senza interessarsi alla sorte dei cosacchi, invece hanno perlustrato casa per casa. Resomi conto di quanto
avveniva, mi nascosi dentro un grande armadio, mentre Anute, figlia di Antonio Bellina Nae riusciva a portarmi una vestaglia della
nonna e un fazzoletto in testa. Raggiunto il paese verso mezzogiorno, aprirono il fuoco contro i partigiani ritiratisi sul piano di S.
Caterina, e - fuori della porta occidentale delle mura - adunarono venti ostaggi (tra cui due donne) da fucilare per ritorsione. Ero fra
questi. Zamolo Giacomo des Bòcis, volendo orinare, si stava dirigendo verso il bordo del fossato dove il tenente tedesco ucciso giaceva
infilato a testa in giù nascosto dalla folta siepe di rovi. Allora ebbi la prontezza di chiamarlo indietro e – fortunatamente per noi –
nessuno se ne avvide della presenza del cadavere e fummo infine liberati verso le due- tre del pomeriggio quando la colonna riprese la
marcia “. (E. Pascoli, Memoriale).
“ Il 3 maggio 1945 veniva ucciso mons. Lucardi. Un ufficiale tedesco lo aveva condotto dietro la chiesa e poi gli ha sparato alla schiena.
Un particolare appreso subito dopo da una donna che usciva dalla chiesa poco prima dell’eccidio, vide il pievano passare davanti al
duomo insieme a me e al dottor Giacomo Francescon e vide lo stesso ufficiale omicida. “In particolare – me lo confermò la donna - vi
ha segnalati tutti e tre con il dito”. Avevo imboccato via Stella, camminando spedito verso il mio rifugio che si trovava nell’orto
sopraelevato dei Madrassi Melde, dove tenevo nascosto un mitra tedesco avuto in dotazione. Da quella posizione udii i passi e le voci
dei due tedeschi con Monsignore che provenivano da via Stella e svoltavano verso via Alberton Del Colle diretti alla porta sud.
Mons. Lucardi camminava davanti seguito da uno dei due ufficiali mentre l’altro si fermava. Dopo alcuni metri l’ufficiale sparava alle
spalle al prelato. Ero armato ma non ero preparato all’epilogo tragico. Dalla portone ovest del duomo erano uscite alcune donne che,
montagna col grado di capitano, che portava con orgoglio durante la ricorrenze militari o patriottiche.
Quando è morto, sua moglie 25, prima di chiudere il loculo, gli ha messo il cappello sulla bara, vicino per
sempre.
Nel gennaio 1948, la impresa Tomat da Udine si trasferisce in Venezuela. Anche Ennio si è trasferisce
oltreoceano per lavoro. Racconta: “ Sono partito dal porto di Genova con una nave da trasporto, dopo un
viaggio di peripezie, sono arrivato al porto venezuelano della Guaira, dopo oltre un mese, il giorno 17
febbraio (venerdì) del 1948. Da quel momento sono cominciati i sacrifici, privazioni ed umiliazioni. Ad ogni
modo tutto sopportato con spirito di adattamento in quanto ero partito con il proposito di fare qualcosa per
migliorare la situazione economica, avendo lasciato la mia patria e il nostro bel Friuli distrutto dalla guerra e
con miseria di “spacâ cui conis”.
Di quel periodo, annota: “Eravamo nel 1949; l’impresa dove lavoravo era venuta dall’Italia [l’ impresa Tomat
]e aveva avuto l’incarico di costruire un hotel con piscina, con un gruppo di personale ci siamo trasferiti a
600 km dalla capitale Caracas nello stato Lara, una zona deserta, vicino a un fiume chiamato Torre. Dunque
il racconto avrà per protagonista proprio il fiume. Vicino al nostro cantiere, mi dissero che quando il sole
tramontava sull’orlo del fiume si metteva a prendere gli ultimi raggi di sole un caimano, un po’ più piccolo del
coccodrillo. Dall’Italia avevo portato buone armi nascoste nei macchinari edili. Dunque cominciai la caccia al
caimano. Recatomi sul posto che mi era stato indicato, mi nascosi attendendo il tramonto del sole. Quando
vidi l’animale adagiato sulla sponda del fiume, mi avvicinai il più possibile, caricai l’arma, puntai con
precisione e feci fuoco. Il caimano, appena colpito, si gettò in acqua ma un banco di piranha lo tormentarono
costringendolo ad uscire dall’acqua e guadagnare la sponda, dove ho potuto finirlo con grosse pietre. Le
persone che mi avevano parlato dell’animale corsero verso di me quando udirono lo sparo, poi mi aiutarono
a portare la carcassa presso la tenda dove dimoravo. Il racconto potrebbe finire qui, ma debbo aggiungere
che ci siamo sbagliati nell’aprirlo. Si sarebbe dovuto aprire sulla schiena, invece abbiamo tagliato la pancia,
così abbiamo rovinato la pelle chi si poteva vendere “.
Dopo due anni sono riuscito a racimolare il necessario [costruendo l’hotel con piscina nella zona di Carora ,
stato del Lara e poi un altro su un valico andino a quattro mila metri s.l.m., confinante con la Columbia] per
rientrare in Friuli a sposarmi e a portarmi dietro mia moglie [ il 9 luglio 1950 sposa Maria Bassi di Reana del
Roiale], e siamo arrivati in una zona denominata “La Pastora” a 600 chilometri dalla capitale del Venezuela:
Caracas, ad occidente del paese. Durante il tragitto dal porto a dove siamo arrivati, per una strada di terra,
fra le montagne, mia moglie diceva: “ Questo viaggio non finisce mai: mi sembra Ennio che tu mi porti dove
finisce il mondo”. Nel posto dove siamo arrivati, ci siamo sistemati in una casa di campagna, con nessuna
comodità: l’acqua bisognava farla filtrare e poi bollire, luce con una lampada a benzina, servizi quasi
nessuno. Un po’ alla volta sono riuscito a costruire la casa, sempre nell’azienda dove sono stato incaricato
di montare una fabbrica di zucchero, con macchinari che provenivano dalla Scozia. Dopo un anno e mezzo
circa, la fabbrica ha incominciato a funzionare. La mia esperienza in questo campo era zero, forse lo
attraversato il sagrato, si affacciarono sulla stradina gridando alla vista del Monsignore ucciso. Rimasi paralizzato e il mio pensiero volò
subito a quanto era accaduto pochi giorni prima [29 aprile] davanti alla porta verso Pioverno. Ero ancora scosso da questa avventura.
Oramai per Monsignore non c’era nulla da fare, mentre una reazione sconsiderata da parte mia poteva provocare un eccidio. Ebbi
paura di essere scoperto, nascosi il mitra, e con una buona dose di imprudenza cercai rifugio nell’orto delle suore, in posizione
sopraelevata a ridosso delle mura occidentali. La notizia dell’uccisione era arrivata anche alle suore e io non feci altro che confermare
quanto accaduto. Subito dopo aver ucciso Monsignore, cercavano anche noi due. (E. Pascoli, Memoriale).
Seguì l’uccisione del nonzolo (Pascolo Antonio, 1883-1945). Un tedesco, appostato nelle vicinanze, ha aspettato che rientrasse a casa
(alla confluenza tra via Patriarca Bertrando con via Carlo Pasqualigo, a Venzone) per abbatterlo con una raffica di mitra dopo avergli
intimato inutilmente l’alt. (E. Pascoli, Memoriale).
Dopo la liberazione di Venzone -I tedeschi in ritirata cercavano di portare in Germania cavalli, mercanzia, veicoli ecc. Allora noi
requisivamo tutto quello che si poteva. Avevamo raccolto una quantità di cavalli in un recinto vicino ai casali Cracogna, sulla strada che
andava dai Lìs. Questi cavalli, un po’ alla volta, venivano caricati su autotreni sistemati in modo da poterli trasportare verso la Bassa
Friulana e barattarli con granoturco, frumento e altre cose. Per la lavorazione del mais e frumento, avevamo organizzato il mulino a
Sottomonte dove si macinava la farina di frumento per fare il pane e quella di mais da distribuire alle famiglie per cuocere la polenta.
Ricevevo poi anche soldi che adoperavo per fornire sussidi alla popolazione bisognosa. Per evitare critiche, rilasciavo tre ricevute: una
alla persona che riceveva l’aiuto, una rimaneva all’archivio ed infine una terza rimaneva a me.. (E. Pascoli, Memoriale).
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Fine maggio 1945. L’impresa Tomat ora si spostava per lavoro a Udine in via San Daniele così consegnai a quelli che mi sostituivano
20 milioni di lire, la moto e tutti i documenti. Tenevo i documenti dov’è ora il negozio Manifatture Della Marina, dietro la fontana della
piazza, nell’angolo c’era la farie di Dante Pascolo Cjòdio. Nel 1948 l’impresa da Udine si spostò per lavoro in Venezuela. (E. Pascoli,
Memoriale).
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In via San Daniele.
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Luigi n. 8/11/1911 m.22/3/1994
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Decamerè è una città dell' Eritrea, a sud-est di Asmara, detta anche Dekemhare, situata a 2060 metri sul livello del mare.
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Patat Ada n. 09/10/1919
zucchero l’avevo visto – quando c’era – per mettere nel caffè; ma con l’abnegazione, la volontà, propria di
noi friulani, sono riuscito a mandare avanti la fabbrica con ottimi risultati. A questo punto sono riuscito ad
ottenere prestigio e fiducia dai titolari dell’azienda, i quali mi hanno nominato direttore della fabbrica stessa
(è molto difficile per uno straniero ottenere questo incarico di dirigente in Venezuela perché sono molto
diffidenti dello straniero).
Ennio ricorda anche un fatto drammatico, fortunatamente risolto positivamente: “Era il [29] 30 giugno 1955,
giorno di San Pietro. Il giorno prima, avevo portato mia figlia da uno specialista pediatrico a Barquisimeto
(città a 150 km di distanza), perché aveva la diarrea. Lo specialista si chiamava Miguel Zubillaga. L’ha
visitata e le ha prescritto 3 pastiglie di Aralen. Nell’indomani, dunque, come s’è detto era il 29 giugno, nostra
figlia aveva tre anni (nata il 15 aprile 1952) ingerì le pastiglie e perse conoscenza. Mia moglie mi telefonò
subito in fabbrica dicendomi di venire a casa che la Giulietta stava male. Nel frattempo le aveva messo due
dita in bocca provocando il vomito della piccola. Per radiotelefono mi sono messo in contatto a Carora, la
città più vicina distante 60 km., con don Augusto uno dei tre soci della fabbrica perché chiamasse un medico
onde visitasse la bambina al nostro arrivo. Salimmo in macchina percorrendo una strada non asfaltata.
Avevamo appena percorso un chilometro che mia moglie gridò che la bambina era morta. Di fronte al luogo
dove ci eravamo fermati, c’era il cimitero del paesetto, trascurato e pieno di erbacce e cespugli. Dissi: “
Andiamo avanti ” votandoci a San Antonio. Mia moglie le teneva la mano in bocca. Percorsi circa 30 km, mia
moglie grido:” La bambina mi morde le dita” e si era in parte risvegliata. Giungemmo a Carora, dove don
Augusto ci attendeva a casa sua. Aveva convocato tre medici. Intanto la bambina si era svegliata, mia
moglie aveva portato con sé la ricetta con la quale lo specialista aveva prescritto le tre pastiglie di Aralen.
Letta la ricetta i medici concordi, dissero che una sola pastiglia di Aralen era sufficiente per un cavallo. Poi
conclusero che la bambina aveva cessato di vivere per quaranta minuti, fino a quando, durante il tragitto,
riaprì gli occhi. Per combinazione, uno dei tre medici, era figlio di don Augusto. Don Omero, che era stato
nominato direttore mondiale di pediatria con sede a Ginevra.
In casa era rimasto solo il figlio Ezio, nato il 22 marzo, aveva dunque tre mesi, sono andato a prenderlo,
perché la mamma potesse dargli da mangiare. Dormiva ancora, si è svegliato quando ho aperto la porta di
casa, gli ho cambiato i pannolini e ripartii per Carora, dove ho trovato la bambina sveglia che mi ha baciato.
Dunque questa brutta ed indimenticabile mancata tragedia.
Ricorda ancora: “Eravamo negli anni ’60, con il furgoncino pic-up andavo per affari a Barquisimeto, città a
150 km da dove vivevo. Ho incontrato l’autocisterna che trasportava il latte dalle aziende alla
pastorizzazione. L’ho fermata perché dovevo parlare con l’autista. Ho parcheggiato il furgoncino fuori della
strada, adiacente al bosco. Terminato il colloquio con l’autista, sono ripartito. Dopo pochi chilometri
passando davanti a una piccola frazione, sentii odore di carne alla griglia. Aperto il finestrino destro, dal lato
dal quale il profumo proveniva, girai l’occhio verso il finestrino posteriore scorgendovi un grosso pitone.
Durante la sosta, s’era avvicinato al furgone attorcigliandosi al tubo di scarico: così si spiegò l’odore di
griglia. Chiusi il finestrino dirigendomi a Carora, intanto pensavo come liberarmi di quell’ospite pericoloso.
Sostai presso un’azienda dove, con una gru, lo legarono ad una corda sollevandolo con cautela; mentre il
tubo di scarico si raffreddava il pitone si sfilava tranquillamente. Era lungo circa tre metri e aveva un
diametro di sette -otto centimetri. Messo in un grosso sacco, lo portarono in un rifugio per animale selvatici,
vicino al municipio. Anche questo episodio ebbe una conclusione felice.
[Una sera] rientravo a casa, verso le ore 23. Ad un certo punto vedo a pochi metri di distanza un grosso
animale che attraversava la strada. Era un puma, una specie felina. Frenai inchiodando le ruote e riuscii a
evitarlo. L’avessi investito sarebbero stati guai. L’animale saltò il reticolato del recinto dove pascolavano
delle mucche con il vitellino. Questo lo seppi il giorno dopo quando il personale addetto trovò una decina di
vitellini sbranati dal puma per succhiarne il sangue.
Il racconto continua:” Con l’andare del tempo la fabbrica era diventata piccola, per l’aumento delle
coltivazioni della canna, così si è deciso di acquistare una fabbrica più grande. I titolari mi hanno mandato
negli Stati Uniti a trattare con i proprietari di una fabbrica nuova, montata nelle isole Vergini nel mar dei
Caraibi. Questa fabbrica non aveva mai lavorato dopo montata: nei terreni dove avevano seminato la canna
hanno invece costruito ville. I macchinari sono smontati nell’isola di San Croix che, assieme alle isole San
John e San Thomas, facevano parte delle isole Vergini. Ho fatto la spola tra Venezuela e le isole Vergini per
un periodo di sedici mesi. In questo periodo ho provveduto a smontare i macchinari, caricarli su quattro navi
e trasportarli in Venezuela. Montati nuovamente nelle vicinanze della vecchia fabbrica, l’abbiamo inaugurata
il 13 agosto 1968. Con il montaggio di questo grande zuccherificio si è potuta aumentare la produzione, e
dopo due anni di lavoro iniziale siamo riusciti a elaborare cinque mila tonnellate di canne al giorno che
producevano circa 400 tonnellate di zucchero al giorno. Questa fabbrica richiede una trasformazione totale
dell’organigramma della precedente fabbrica; ho dovuto cercare una buona parte del personale tecnico in
altri paesi dell’America Latina; eravamo in tutto circa tremila persone tra la fabbrica ed il personale occupato
nei campi di canna. Il lavoro era divenuto ancora più impegnativo non vi erano ferie, domeniche, Natale,
Capodanno, Pasqua e via di seguito: si lavorava a circuito continuo, tre turni di otto ore. Dovevo essere
reperibile per 24 ore al giorno e quasi 365 giorni all’anno; se mi dovevo assentare per motivi di lavoro, ero
reperibile al radiotelefono installato sull’automobile; ultimamente avevamo costruito anche un piccolo
aeroporto vicino alla fabbrica, onde avere la possibilità di trasferire urgentemente un ferito ed altre cose
urgenti, perché il più vicino ospedale o cittadina importante era distante 150 chilometri. Questa mia
descrizione è succinta, avrei tante cose memorabili da descrivere, avvenute in questi 34 anni trascorsi
all’estero. Quando sono arrivato nel 1948, c’erano poche case di terra con 300 abitanti, zona malarica
(anche mia moglie ha preso la malaria). Mia moglie mi ha accompagnato per molti anni in questo calvario e
laggiù sono nati mio figlio e mia figlia 26. Con l’aumento del personale di cui dicevo sopra, ho dovuto
provvedere a costruire case, ho fatto costruire la chiesa (a celebrare veniva un sacerdote spagnolo da un
paese sulle Ande. Arrivava a cavallo), ho fatto costruire scuole, un cimitero ed altre strutture sociali. Il
piccolo paesetto di trecento abitanti, che ho trovato quando sono arrivato, quando l’ho lasciato aveva quasi
5000 abitanti che vivevano non più in case di terra ma in abitazioni decenti” 27.
Rientra in Friuli nel 1982 e si stabilisce a Udine 28. Racconta : “ Essendo socio dello Stabilimento Ortopedico
Variolo [di Udine] fui proposto quale amministratore delegato dal dott. Asti, presidente del collegio
sindacale. Al momento di assumere l’incarico dissi:“Siete incoscienti: non mi conoscete, non sapete se so
fare, non sapete se sono onesto”. La risposta fu: “ Ci aiuti ad attraversare questa crisi”. Ho accettato
pensando tra me stesso: “ Se in Venezuela dirigevo un’azienda di 2.500 dipendenti, mi sarà più agevole
dirigere trenta persone”. Non è stato facile mettere ordine alla situazione: ci sono comunque riuscito,
mettendovi tutto il mio impegno”.
Dalla Camera di Commercio di Udine, presieduta dall’on. prof. Vittorio Marangone, riceve un diploma di
benemerenza con medaglia d’oro 29.
A seguito del terremoto del 1976 in Friuli, fra i Venzonesi residenti nel Friuli Venezia Giulia, nel giugno 1980,
viene costituita l’Associazione “Antonio Bidernuccio” 30.
Nel 1982 egli entra a farne parte e viene eletto nel Consiglio Direttivo e, alla morte della presidente Emma
Pittino, sarà eletto presidente.
Il 17 giugno 1988 aderisce alla nostra Associazione.
Nel 1992, dal Ministro del Lavoro venezuelano 31 viene insignito della massima onorificenza al merito del
lavoro: la Croce al Merito del Lavoro di Prima Classe 32, mentre il Sindaco di Carora gli conferisce la
cittadinanza onoraria.
Nell’agosto 1999, ritorna ancora in Venezuela, dove gli è stato intitolato un villaggio che porta il nome di
“don” Ennio Pascoli 33.
In questi anni ha mantenuto un costante contatto verbale, telefonico ed epistolare con l’Associazione.
Ha collaborato attivamente a molteplici ricerche storiche delle quali fu diretto testimone, scrivendo e
rilasciando interviste giornalistiche e videoregistrate.
Muore improvvisamente a Udine, nella sua abitazione in via Fiducio, 13 – nelle prime ore di domenica 11
marzo 2012.
Il suo funerale viene celebrato mercoledì 14 marzo, alle ore 15,30 presso la chiesa parrocchiale di S. Marco
partendo dal cimitero urbano San Vito di Udine.
Ha lasciato un memoriale della sua vita 34, depositato nella Biblioteca Comunale di Venzone.
26
Giulietta (1952) ed Ezio (1955).
Una foto una storia – di Ennio Pascoli, tratto dall’opuscolo “ In ocasion dal incuintri cui emigranz ” realizzato dall’A.L.E.F. con le
ricerche svolte dagli allievi delle Scuole Elementari e Medie di Venzone per la mostra fotografica, nel 1989; coordinamento degli
insegnanti Carla Monai e Renato Pascolo.
28
In Chiavris. Sarà Consigliere Delegato dello Stabilimento Ortopedico Variolo Srl di Udine e, in seguito, Presidente emerito.
29
“..rilasciato al Signor Pascoli Ennio il quale, emigrato nel Venezuela nel 1948, nello Stato del Lara, ha collaborato alla creazione di
grossi complessi aziendali nel settore della agricoltura divenendone dirigente e, dimostrando grande spirito d’iniziativa e capacità, ha
favorito nella zona il sorgere di molteplici strutture sociali quali scuole, ambulatori ecc. – E’ un friulano che ha onorato all’estero l’Italia e
il Friuli “.
27
30
28 giugno 1980 – da La Vita Cattolica, pag. 7: Udine / Associazioni Venzonesi. “ Recentemente si sono riuniti in Udine, presso la
sala della scuola materna ai Rizzi, i soci dell’Associazione Antonio Bidernuccio che raccoglie gli oriundi e loro famigliari del Comune
di Venzone residenti nella città di Udine e negli altri comuni del Friuli-Venezia Giulia. L’Associazione, che è apolitica, si propone le
seguenti finalità: a) conservare ed incrementare nelle famiglie degli aderenti le tradizionali virtù e le usanze del luogo di origine; b)
tenere vivi i rapporti con i compaesani e invogliare le giovani generazioni alla conoscenza dell’importanza storica che Venzone ha
avuto nel suo glorioso passato ; c) indire incontri fra gli aderenti per realizzare le finalità dell’Associazione; d) promuovere attività
sociali, culturali, ricreative e assistenziali. I presenti, all’unanimità, hanno eletto presidente dell’Associazione la signorina Emma
Pittino, già assessore del Comune di Udine e per due legislature consigliere della regione Friuli-Venezia Giulia “.
31
Amparo Gonzales de Gimenez.
32
Corrispondente al cavalierato italiano. La notizia rimbalzerà in Friuli e sarà ripresa dal Messaggero Veneto del 19 dicembre 1992.
33
La cerimonia è incominciata proprio nella chiesa da lui costruita nel 1951. L’iscrizione all’entrata del villaggio recita: “ Un omaggio a
chi ha lasciato nella nostra comunità una riconosciuta opera sociale, dove occupava per lunghi anni l’incarico di gerente generale della
fabbrica Central Pastora e per lungo tempo ha vissuto con noi”.
34
Curato dallo scrivente, Pietro Bellina, segretario dell’Associazione “Amici di Venzone”.