Storia dell`allevamento del maiale in Provincia di Rieti

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Storia dell`allevamento del maiale in Provincia di Rieti
Storia dell’allevamento del maiale in provincia di Rieti
Storia
dell’allevamento del maiale
in Provincia di Rieti
a cura di Massimo Tanca e Paola Cirioni
Arsial Area Studi e Progetti
Legge Reg.le 15/2000 tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario
Proprietà di ARSIAL (Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura del Lazio)
Il presente documento può essere riprodotto liberamente con qualsiasi mezzo a condizione di citarne la fonte
Storia dell’allevamento del maiale in provincia di Rieti
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Questo lavoro è stato possibile grazie anche al contributo di:
Istituzioni
Arsial sede di Rieti; Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di
Rieti; Provincia di Rieti: Assessorato alla Cultura, Assessorato all’Agricoltura; Museo
della Mezzadria di Buonconvento (Siena); Istituto di Studi Romani (Roma);
Assessorato Cultura Regione Lazio; Biblioteca Senato della Repubblica; Biblioteca
Nazionale Centrale di Roma; Università di Cagliari Dipartimento di Filosofia; Archivio
Centrale dello Stato; Archivio di stato di Rieti; Archivio di Stato dell’Aquila; Abbazia
di Farfa: Biblioteca, Archivio Storico; Comunità Montana Montepiano Reatino;
Comunità Montana del Velino; Università Agraria Colle di Tora; Comunità Montana
del Turano; Comunità Montana del Salto Cicolano; Museo civico di arti e tradizioni
popolari di Micigliano; Museo civico sezione etnografica di Borgo Velino; Museo della
nostra terra (Leonessa); Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana;
Università Roma III Facoltà di Lettere Laboratorio Geocartografico; Ministero Beni
Culturali Ufficio Centrale per i Beni Archivistici; Ecole Francaise de Rome Biblioteca;
INARS (Istituto Nazionale Regioni Storiche); Regione Lazio SDA Rieti; Comune di
Posta; Comune di Petrella Salto; Comune di Pescorocchiano; Comune di Micigliano;
Comune di Fiamigniano; Comune di Leonessa; Comune di Cittareale; Comune di
Cittaducale; Comune di Castel Sant’Angelo; Comune di Cantalice; Comune di
Borgovelino; Comune di Borgorose; Comune di Amatrice; Comune di Antrodoco;
Comune di Accumoli; Comune di Borbona; Biblioteca Naz.le Centrale di Napoli;
Biblioteca Bruno Malajoli di Napoli; Biblioteca provinciale Scipione e Giulio Capone
di Avellino; Biblioteca provinciale Salvatore Tommasi dell’Aquila; Biblioteca
Casanatense di Roma; Biblioteca Società Romana di Storia Patria; Archivio di Stato di
Caserta; Biblioteca Comunale Cantalupo in Sabina-Rieti; Biblioteca Comunale
Contigliano-Rieti; Biblioteca Comunale Forano-Rieti; Biblioteca Comunale Magliano
Sabina-Rieti; Biblioteca Comunale Montopoli Sabina-Rieti; Biblioteca Comunale
Poggio Mirteto-Rieti; Biblioteca Comunale Paroniana Rieti.
Persone
Prof. Persilio Leggio (Assessore alla Cultura Prov.cia di Rieti); Dr.ssa Emilia Cento
(Assessorato alla Cultura Regione Lazio); Prof.ssa M.G. Da Ré (Antropologia
Culturale, Università di Cagliari Dipartimento di Filosofia); Prof.ssa Cristina Amoroso
(Istituto Nazionale Regioni Storiche); Dr.ssa Antonella Grillo (Regione Lazio SDA
Rieti); Dr.ssa Roberta Rezzi (Assessorato alla Cultura della regione Lazio);
Dott.Roberto Lorenzetti (Archivio di stato di Rieti).
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Introduzione storico geografica
La provincia di Rieti come oggi la rappresentiamo è il risultato di apporti di
territori che nel corso della storia sono appartenuti rispettivamente al Lazio,
all’Abruzzo, al Molise e all’Umbria. Questa unione più o meno forzata ci consente di
intravedere delle diversità culturali lontane con conseguenti zone omogenee che
continuano a mantenere, malgrado l’evolversi più veloce e standardizzato della società,
loro caratteristiche peculiari.
Il reatino è stato per secoli una zona di confine. I suoi monti hanno rappresentato
il limite naturale del Lazio verso l’Abruzzo, le Marche e l’Umbria ed il confine tra
Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa. Ancora oggi, secondo quanto riportato da Ines
Millesimi nel suo libro sulla Sabina1 , sono ben definibili sette aree etniche: quella della
Valle del Tronto a Nord, con Amatrice ed Accumoli, tra le Marche e l’Abruzzo; quella
che unisce l’Altopiano di Leonessa con la montagna di Poggio Bustone, fino a
Rivodutri e Labro e che si qualifica come zona “umbra”; la media e l’alta Valle del
Velino, ad est, dalla parte di Rieti e Cittàducale, Antrodoco, fino a Cittàreale area per
così dire “aquilana”; la Valle del Salto, il Cicolano, a sudest, zona “abbruzzese”; la
Valle del Turano, con Rocca Sinibalda, Ascrea e Poggio Moiano, area di transizione tra
la parte abbruzzese e la bassa Valle del Tevere, ossia la Sabina propriamente detta, con
Poggio Mirteto, Magliano, e Fara Sabina.
Ma anche sulla delimitazione geografica della Sabina poche aree regionali
italiane risultano ancora oggi così indefinite. Un aiuto alla comprensione delle diverse
posizioni ci viene da Roberto Lorenzetti nel suo libro Il Territorio di carta la Sabina2 .
“Il senso comune”, riporta testualmente il Lorenzetti,
“identifica oggi questo termine
con gli attuali limiti della provincia di Rieti, anche se non pochi lo vogliono riservato
per quella sola parte che si estende dai Monti Sabini al Tevere, escludendo quindi il
reatino e ovviamente l’ex circondario di Cittaducale, il primo considerato come area
storicamente umbra, il secondo come territorio abruzzese forzatamente traslato nel
Lazio solo nel 1927 all’atto della nascita della provincia di Rieti, e non mancano coloro
1
2
Millesimi Ines, “Sabina”, editalia, anno 1997.
Roberto Lorenzetti Il Territorio di carta la Sabina, Editalia, Roma, 1994.
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che, richiamandosi alla più antica tradizione storica, ricorrono a questa definizione
geografica per indicare una regione decisamente più estesa, che arriva ad includere
territori oggi appartenenti a province e regioni diverse. A seconda dei punti di
osservazione un pò tutti hanno ragione. Se si vuole identificare il territorio della Sabina
con quello occupato per un lungo arco cronologico dai Sabini dobbiamo abbandonare
l’attuale delimitazione provinciale ed addentrarci verso larghe fasce dell’Abbruzzo,
dell’Umbria e dell’attuale provincia di Roma. In base alle testimonianze dei classici i
limiti del territorio sabino seguivano a sud-est il Tevere oltre Magliano per proseguire
lungo la via Flaminia fino a Narni, e ancora lungo il Nera fino a Piediluco, limite
estremo dell’antico Lacus Velinus che un tempo ricopriva per intero l’Agro reatino. Da
qui il confine proseguiva verso Nord fino a Triponzo per poi iniziare a salire verso
Norcia e tagliando il Tronto prima di Arquanta, includeva Accumoli da dove proseguiva
verso Est per Amiterno. Da questa antica città il limite di confine scendeva fino a
Preturo e Sella di Corno, per poi tornare a lambire il Nuria e quindi proseguire
linearmente verso Fiamignano e Carsoli da dove raggiungeva l’Aniene che lambiva fino
alla sua confluenza con il Tevere inglobando nel proprio territorio Tivoli, Preneste e
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Fidene e altri centri dell’attuale area romana come Monterotondo, Palombara e
Montelibretti, ma anche insediamenti umbri come Cascia, Norcia e Narni. Tutte le carte
realizzate fino alla fine del cinquecento, ma in alcuni casi anche oltre, raffigurano la
Sabina tenendo conto più dei limiti del suo antico territorio che della organizzazione
amministrativa del loro tempo”.
L’ex Circondario di Cittaducale
Il Circondario di Cittaducale costituiva una parte di quei territori abitati
anticamente dai Sabini e dagli Equi era collocato nel centro d’Italia in mezzo
all’Appennino, costituiva la parte estrema di quello che veniva chiamato Abruzzo
Ulteriore II° (Provincia e dipartimento dell’Aquila) verso l’Umbria. Confinava a Nord
con la Provincia dell’Umbria, Ascoli e Teramo; a Est col distretto del capoluogo della
Provincia, a Sud col Circondario di Avezzano, a Ovest colla Provincia dell’Umbria e
precisamente col circondario di Rieti, Foligno e Spoleto.
“Nell’insieme”, per dirla con le parole del Professor Antonio Piccinini3 : “ha la
forma di una cornamusa, colla punta dalla parte di mezzogiorno e rivolta all’est …
abbraccia 17 comuni … la parte coltivabile conserva ancora un certo grado di fertilità e
produce cereali di ogni genere … La pastorizia è forse una delle sue risorse …
principali per i numerosi pascoli della parte montana … Il territorio del Circondario di
Cittaducale è pressoché tutto montuoso, i suoi 4/5 possono considerarsi occupati dai
rilievi del suolo più o meno considerevoli. In qualche parte sono colline deliziose, in
altre montagne elevate, la superficie pianeggiante è in piccole proporzioni, tenendo
anche a calcolo il fondo delle vallate. In questo Abruzzo ulteriore l’Appennino
raggiunge le maggiori altezze … e senza contare il Gran sasso d’Italia …Cittaducale
capoluogo del Circondario siede sopra di un monte, circondato da boschi e a poca
distanza dalla destra del fiume Velino; dista dall’Aquila circa Km 41. Il suo territorio
fertile somministra vini, ulivi …vi si fa pure buona caccia e buona pesca. Nei suoi
dintorni … esistono varie sorgenti di acque sulfuree, acidule e minerali (descrizione dei
comuni che fanno parte del Circondario) segue Pescorocchiano, nel cui territorio si
3
A. Piccinini, “Monografia sul Circondario di Cittaducale”, Parlamento Italiano, Atti della Giunta per la Inchiesta agraria e sulle
condizioni della classe agricola in Italia (Inchiesta Jacini), 1877 – 1885.
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allevano molti maiali …Il punto più basso del Circondario, in cui l’uomo ha stabilito la
sua dimora è di circa m. 500 sul livello del mare; ed il più elevato a circa 1100 … le
sorgenti d’acqua sono frequenti …chiunque penetra in questo territorio non può a meno
di restare meravigliato della estesa distribuzione dei bacini acquiferi e della varietà delle
rocce ... Il rapporto ... tra la popolazione urbana e la rurale mostra all’evidenza il
carattere eminentemente agricolo e pastorale di questo circondario ... l’istinto di
possedere, sia pure pochi metri quadrati di terra, da cui ottiene prodotti poco
renumerativi ma è soddisfatto perché l’ottiene dalla sua piccola proprietà, e non si vede
costretto ad acquistarlo da altri anche migliori fatti. La proprietà è molto divisa e questa
è una ragione per cui si ha quel rapporto ... vi ha poi influito la vendita di beni demaniali
a piccoli lotti ... con la facilitazione del pagamento rateale ... la facile cessione dei
proprietari di appezzamenti in affitto e a mezzadria ... la mancanza di capitali forti. Il
numero di proprietari di fondi rustici nel Circondario è di 18.065. E’ vario per ogni
comune. Prendendo in esame la superficie catastale in relazione ai proprietari, sarebbe
maggiore in Cittareale ettari 7,19 ... per ultimo Borgovelino ... con ettari 0,42 ... che la
proprietà sia molto divisa ci si persuade dando una occhiata al numero rilevante di
proprietari ... il 54,9 per cento della popolazione; ma è molto frazionata per numero non
lo è per importanza, essendovi due estremi e mancando le medie ... vi sono vastissime
proprietà dei comuni e dei privati, mentre le altre sono quasi generalmente
piccolissime”.
Popolazione agricola e proprietà della terra a fine ‘800 nel Circondario di Rieti
Nel 1853 gli abitanti del circondario di Rieti erano 73.683 raggruppati in 14.668
nuclei famigliari dei quali oltre il 90% fondava la propria esistenza sul lavoro agricolo.
Il censimento del 1881 ci fa conoscere anche la ripartizione professionale della
popolazione agricola ed indica il circondario di Rieti come quello con il maggior
numero di contadini che coltivano terreni propri dell’intera provincia di Perugia di cui
Rieti faceva parte (vedi allegato).
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Nel 1873 R. Gamba rilevava nel solo agro reatino 4 la presenza di 2.182
mezzadri, 153 affittuari, 111 terzaruoli e 92 quartaroli5 .
La
grande
maggioranza
della
proprietà
era
costituita
da
piccolissimi
appezzamenti di terreno, il più delle volte posseduti in comune da più persone. Il
50,11% di coloro che dal censimento del 1881 vennero classificati come proprietari,
possedeva poderi la cui estensione era inferiore ad un ettaro, mentre sullo 0.001% di
essi, erano concentrati fondi che si estendevano dai 1.000 agli oltre 5.000 ettari.
La “cultura del maiale” in provincia di Rieti
In una provincia come quella reatina, fortemente ancorata alle origini contadine
dove i grandi allevamenti suinicoli intensivi sono scarsamente rappresentati la
consistenza media è di circa due capi in allevamento per azienda agricola. La “cultura
del maiale”, continua ad avere nel tempo una sua consistenza, esiste ancora oggi
l’abitudine anche in molte famiglie che vivono nei centri urbani di farsi allevare il
maiale o comprarlo presso aziende di conoscenti, provvedendo alla macellazione e alla
lavorazione delle carni, che solitamente si effettuano nel periodo delle feste natalizie,
per poter poi mangiare prosciutto ed insaccati “caserecci”.
La presenza di questa “cultura” è dimostrata da uno studio demologico sul ciclo
del maiale in Sabina6 , realizzato a fine anni ’70 in tre zone7 che malgrado il forte
dinamismo sociale e la conseguente standardizzazione di usi e linguaggi, conservano
ancora una struttura culturale relativamente autonoma.
4
Sull’agro reatino gravitano i comuni di Rieti, Rivodundri, S. Elia, Contigliano, Labro, Morro, Poggio Bustone, Cerchiara,
Collebeccaro, S. Benedetto, S. Giovanni Reatino, Greccio, Poggio Fidoni, Montenero, Monte S. Giovanni.
5
R. Gamba, Monografia statistico-economica sull’agro reatino e suo mandamento, Terni, 1873, 2 voll., vol. 1, p.202.
6
Roberto Lorenzetti e Roberto Marinelli, “Il ciclo del maiale in Sabina”, estratto da Brads, n. 9, Cagliari, 1980.
7
Zona A: La Valle Superiore del Velino e del Tronto che si estende dalla parte nord-orientale della provincia di Rieti e comprende i
Comuni di Accumoli, Cittareale, Borbona, Posta, Micigliano, Borgovelino e Castel S. Angelo. La zona si disloca nell’Appennino
centrale e presenta pertanto caratteristiche morfologiche tipicamente montane con quote che superano i 2.400 metri. La valle ha una
superficie ha boschi, a prati e prati-pascoli pari al 68% dell’intera area zonale. Fondamentale per l’economia della zona è quindi il
patrimonio zootecnico costituito da 32.000 capi ovini, 2.000 capi equini, 6.000 capi bovini, e 3.000 capi suini, (l’allevamento
suinicolo è esclusivamente a conduzione familiare ). Zona B: Montepiano Reatino, è localizzata nella zona centro settentrinale della
provincia, in questa zona è inclusa anche l’area della pianura reatina. L’attività agricola è ampiamente diffusa e l’ottima produzione
foraggera consente una buona produzione zootecnica (13.000 capi bovini e 8.000 capi suini). Zona C: comprende la “Valle del
Salto” ed occupa la parte sud-orientale della provincia; risulta caratterizzata dalla presenza di catene montuose, l’attività prevalente
è quella agro-silvo-pastorale. Il patrimonio zootecnico comprende 3.000 capi bovini, 1.300 capi equini, 45.000 capi ovini e caprini,
e 6.000 capi suini. L’allevamento suino anche in questo caso soddisfa le esigenze familiari.
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Le parole per indicare il porcile8 , dove il maiale beve9 e dove mangia10 sono
diverse a seconda della zona. E’ possibile individuare due tipologie costruttive del
porcile a seconda che ci troviamo nella zona montana od in quella piana.
ubicazione
costruzione
Zona piana
isolato
In muratura su ordinazione
Zona montana
Annesso ad altri elementi
In proprio materiale da scarto
I maiali si comprano ancora piccoli, “di latte”, nelle fiere di marzo, aprile e
maggio; fino a circa quaranta anni fa, invece, nella zona di Amatrice venivano acquistati
nelle fiere di settembre-ottobre, prima cioè che quelli vecchi venissero uccisi (periodo
dicembre-gennaio). Allora il maiale raggiungeva l’età di quindici, sedici mesi, adesso
invece arrivano a non più di dieci, undici mesi.
Le bestie ancora piccole chiamate lattarini, sono allevate con un miscuglio di
semola, acqua e in qualche caso anche farina e latte che nella zona di Amatrice è
chiamato u papparozzu11 , Mano a mano che l’animale cresce il pappone si infittisce,
fino a diventare più sostanzioso: patate cotte mescolate con acqua e semola, orzo,
polenta, erbe di vario tipo e barbabietole. In autunno, un mese prima dell’uccisione, gli
si dà granturco e ghianda, l’alimento più nutriente che nell’amatriciano è detto il vago.
Si chiama porcareccia nella zona A, sterillu nella zona B e stopigliu nella zona C.
n droccu o troccu in tutte e tre le zone.
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u troccu nella zona A, mandriu nella zona B, u scifu nella zona C.
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In famiglia un pò tutti sono addetti all’allevamento del maiale che è sempre
tenuto nella stalla, anche se in genere se ne occupano più le donne. Ancora quindici o
venti anni fa esisteva il porcaro che portava al pascolo per tutta l’estate i maiali entrati
nel secondo stadio dell’alimentazione. All’inizio dell’autunno poi, le bestie erano
ritirate nelle stalle e fatte ingrassare.
L’uccisione avviene nel periodo dicembre-gennaio, quando l’animale è arrivato
al massimo dell’ingrassamento; essa comunque si effettua quando è luna piena perchè
solo così si è sicuri che poi la carne si mantenga bene. Il sistema è ancora quello
dell’accoratura che si effettua con un lungo coltello che si conficca all’altezza della
spalla. In genere il maiale viene tenuto a braccia su un tavolino apposito, di cui nei paesi
più piccoli esiste un unico esemplare usato a turno da tutte le famiglie. In alcuni paesi
dell’amatriciano, invece, la bestia viene legata alla traja, una grossa slitta trainata da
buoi che normalmente è usata per il trasporto nei campi durante i mesi estivi e come
spazzaneve in inverno. Di solito ogni famiglia ammazza il proprio maiale; se qualcuno
lo fa per altri gruppi familiari è previsto un compenso che è fissato dalle diverse
consuetudini, ma che consiste sempre in alcune parti del maiale ucciso. Il maiale ucciso
si pela in acqua bollente, poi si appende per le zampe posteriori, quindi si squarta e si
spacca in due parti, e prima di passare a ricavare i vari pezzi si lascia la carne “a gelare”
per qualche giorno12 .
Dalle cosce e dalle spalle si ricavano i prosciutti, dalla parte esterna del ventre la
pancetta o ventresca, dal sottomento il guanciale. I prosciutti si premono con lo
stenderello
per far uscire il sangue residuo, si arrotondano togliendo il grasso in
eccesso, si mettono sotto sale per un periodo che varia dai venti ai venticinque giorni,
fino ad un massimo di un mese e mezzo; poi, coperti di pepe, si appendono in un
ambiente riscaldato dal camino. Quando il prosciutto è asciutto forma delle crepe che si
chiudono, per non farci andare gli insetti, con la spugna o con la cenere del camino
impastata con la semola, oppure con grasso e peperoncino fatti bollire preventivamente;
fatta questa operazione il prosciutto viene messo in ambiente fresco e asciutto a
stagionare per circa un anno.
A Corvaro u papparozzu e a Contigliano a lavatura .
A Corvaro la bestia uccisa viene lasciata appesa al fresco prima ancora d’essere squartata; in alcune zone dell’amatriciano invece
la carne non si lascia riposare e si passa immediatamente a ricavare i vari pezzi.
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La prassi di conservazione della carne di maiale è molto più seguita nelle zone
montane che nelle zone della pianura. Le motivazioni possono essere ricercate nei
seguenti motivi: a) nella esigenza di scorte alimentari delle popolazioni montane che,
fino a non molto tempo fa e per alcuni aspetti ancora oggi, erano costrette
all’emarginazione invernale a causa della neve; b) nella precarietà socio-economica
della condizione contadina montana che spinge verso la ricerca di forme alimentari
autarchiche.
Nel discorso sul ciclo del maiale non è possibile non introdurre i collegamenti
più o meno vistosi con la figura di S. Antonio Abate, considerato il protettore degli
animali domestici ed in particolar modo del maiale. In alcune zone dell’antica Sabina,
esiste una credenza che può essere ricondotta a quella mitica esistente nell’area
abruzzese dove, ad esempio, quando qualcuno non trovava cibo da offrire al porcello
era solito dire Antuò, vattènne.
Un elemento molto appariscente e singolare è Lu porchette de S. Andonie;
l’usanza, ormai quasi del tutto scomparsa, consisteva nell’acquistare un maialino il
giorno di S. Antonio Abate (17 gennaio) e di lasciarlo libero nel paese dove riceveva
cibo da tutte le famiglie. Il 17 gennaio dell’anno successivo veniva venduto all’asta e
secondo la tradizione chi mangiava i suoi prodotti veniva accompagnato dalla fortuna
per tutto l’anno.
Le origini
L’allevamento del maiale in provincia di Rieti ha origini molto antiche. Già
negli insediamenti dell’età del bronzo sono presenti ossa di suino che attestano la sua
utilizzazione nella dieta alimentare umana dell’epoca13 . Le testimonianze archeologiche
o documentarie da allora in avanti sono sempre più frequenti, in particolare per l’età
romana, quando il paesaggio della Sabina era connotato dalla fitta presenza di boschi di
querce14 le cui ghiande costituivano il principale nutrimento per i maiali. In alcuni casi,
poi, per ingrassarli si utilizzava il letame degli allevamenti di tordi15 .
G. Filippi, M. Pacciarelli, Materiali protostorici dalla Sabina tiberina. L’età del bronzo e la prima età del ferro tra il Farfa ed il
Nera, Magliano Sabina 1991, pp. 150-152.
14
Strabo, Geo., V, 228.
15
Varro, R.R., I, 38, 2.
13
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A partire dall’alto medioevo, le fonti sono molto più ricche ed attestano la
presenza sempre più fitta e costante dei maiali nell’economia agraria della Sabina.
Diffusa anche la presenza nei documenti dell’abbazia benedettina di Farfa di porcari ed
anche di arciporcari16 , ricordati intorno alla metà del secolo VIII, destinati a governare
la conduzione dei suini al pascolo brado.
Nel secolo IX, ad esempio, il monastero di S. Giulia di Brescia possedeva lungo
la valle del Velino un’azienda agraria, nella quale oltre 15 ettari erano destinati ad
ingrassare i maiali17 .
Non conosciamo per questo periodo i modi e le forme nei quali il maiale era
macellato e conservato, anche se non vi sono molti dubbi sul fatto che la salagione fosse
il sistema fosse il sistema più diffuso di conservazione18 , in considerazione del fatto
stesso che la via più importante che attraversava la Sabina aveva da antico tempo il
nome di Salaria, derivato dal prodotto che vi era ampiamente commerciato ed importato
a partire dalle saline tirreniche di Ostia e di Porto e da quelle meno importanti poste
sull’Adriatico.
Soltanto a partire dal secolo X conosciamo con qualche dettaglio maggiore il
sistema di partizione dei suini. Ad esempio i monaci dell’abbazia di Farfa ricevevano
come regalie annuali dai loro livellari soprattutto lombi e spalle19 . Ed è a partire dal
tardo medioevo che le fonti ci consentono di avere un quadro più dettagliato sullo
specializzarsi delle produzioni ed in particolare con l’avviarsi di importanti flussi
commerciali. Nel 1327 infatti gli abitanti di Capradosso, castello posto a cavaliere tra la
Valle del Velino e quella del Salto, gli abitanti promisero ad alcuni signori del posto, i
de Romania, tra l’altro, ben 60 paia di prosciutti l’anno se li avessero aiutati a liberarsi
dalla signoria dell’abbazia benedettina di S. Salvatore Maggiore che li opprimeva
pesantemente20 .
Sempre nel Cicolano, dove le fonti scritte sono maggiormente conservate, è
attestata la consuetudine signorile di prelevare dai vassalli i prosciutti, spalle e lombi,
16
17
18
19
20
Codice diplomatico longobardo, a cura di C.Bruhl, IV/1, Roma 1981, pp. 13-15 n. 5 del 746 e 46-48 n. 16 del 761.
S. Giulia di Brescia, a cura di G. Pasquali, in Inventari altomedievali di terre, coloni e redditi, Roma 1979, pp. 93-94.
M. Baruzzi e M. Montanari, Porci e porcari nel Medioevo, Clueb, Bologna, 1981
Liber Largitarius vel Notarius Monasterii Pharphensis, ed. G. Zucchetti, I, Roma 1913, p. 379, n. 806 del 1011.
R. Caggese, Roberto d’Angiò e i suoi tempi, I, Firenze, 1922, p. 465.
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così come ricordano i cosiddetti Statuti del Cicolano redatti sullo scorcio del XIV
secolo, quando ne era signore Lippo Mareri21
Nel Quattrocento i libri di introiti ed esiti del Comune di Rieti22 ricordano
importazioni cospicue di maiali dalle zone limitrofe con particolare frequenza da
Porcigliano (oggi Sala), Capradosso, Roccaranieri ad attestare un consumo importante
di carni di maiale lavorate nella città sabina. Le Riformanze della città sabina, a loro
volta, riportano i prezzi delle carni che erano vendute al mercato. Agli inizi del
Quattrocento una libbra di carne di capriolo aveva un prezzo imposto di 12 denari, pari
a quella del maiale, ma inferiore a quella del castrato venduta a 15 denari, mentre una
libbra di carne di cinghiale costava 10 denari, soltanto 6 quella di cervo. Nel corso del
secolo il prezzo delle carni degli animali selvatici venne lievitando, probabilmente a
causa di una loro rarefazione sul mercato, dovuta ad un prelievo troppo accentuato che
preludeva all’incipiente estinzione di alcune specie. Alla metà del secolo, infatti, la
carne di capriolo si stabilizzò ad un prezzo più o meno equivalente a quella del castrato,
14 denari la libbra, quella del cinghiale a quella del maiale, 12 denari, mentre la carne di
cervo raggiunse il costo di 10 denari23 . Una tendenza di mercato questa che non
caratterizzava soltanto ed esclusivamente la città di Rieti, ma che, nelle linee essenziali,
doveva riverberarsi anche nelle zone più adatte alla cattura della selvaggina ed
all’allevamento brado dei maiali.
Periodo pre-unitario
Per la zona di Amatrice in particolare, la Statistica del Regno di Napoli fatta
stilare da Gioacchino Murat nel 1811 attesta in modo puntuale la presenza di una
importante industria per la lavorazione delle carni suine che venivano esportate in larga
misura nelle città circostanti. Il segreto del successo dei prodotti amatriciani derivava
principalmente da due fattori: il clima, particolarmente adatto alla lavorazione delle
Statuti del Cicolano (acc. XIII-XIV), a cura di P. Sella, in Atti del convegno storico abruzzese-molisano, III, Casalbordino, 1940,
pp.863-899.
22
Archivio di Stato di Rieti, archivio storico del Comune di Rieti, carmelengato, introitus et exitus, nn. 321-328 degli anni 14331456.
23
Archivio di Stato di Rieti, archivio storico del Comune di Rieti, Riformanze, 1407-1411, cc. 71r e 82r; 1419-1424, cc. 35r e 80r;
1425, c. 80v; 1438-1440, c. 63r; 1444-1446, c. 37r; 1453-1454 c. 75r.
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carni suine, e la natura delle carni adoperate. Se infatti i maiali non fossero stati nutriti
esclusivamente con ghianda i prodotti non sarebbero stati di buona qualità24 .
Il 2 gennaio 1864 in Rieti quaranta persone si associavano allo scopo di
promuovere il miglioramento dell’agricoltura nel Circondario della Sabina prendendo il
nome di Comizio Agrario di Rieti
Nella relazione sul concorso e sulla esposizione organizzata da Comizio Agrario
di Rieti nel 1866 notiamo la presenza nel caso specifico del prosciutto, alla Sezione II
Industria Agraria (classe 2 Manipolazione dei prodotti animali, per quanto spetta al
coltivatore), punto A Carni salate:
1.
Celli Bartolomeo di Morro per Prosciutto di squisiti sapore del 1865. La carne
salata di Morro non lascia altro a desiderare che la certezza di avere costantemente
prodotti consimili e di averne in copia perché se si potesse mettere in commercio, non
temerebbe la concorrenza di altri salati accreditatissimi;(Medaglia di Bronzo).
2.
Ciancarelli Vincenzo di Rieti per lardo e Prosciutto assai grandi e quest’ultimo
di molto buon sapore. La carne porcina di Ciancarelli lodevole per sapore e grandezza
è un felice principio dell’introdurre i maiali di grandi razze che senza andare all’estero
si trovano in talune provincie Italiane; (Medaglia di Bronzo).
“Pochi ma veramente buoni furono trovati i prosciutti, ma dispiacque di non
vedere le carni suine insaccate, di cui non comparve alcun campione, mentre sappiamo
che nella parte alta del Reatino territorio si confezionano assai bene.”
E per quanto riguarda l’allevamento del maiale nella Sezione IV Pastorizia
(classe 4 specie suina):
1.
Falconi Giovanni per un maiale Collelungo;
2.
Ficorilli Antonio per un maiale Rieti;
3.
Fusacchia Niccola per un maiale Rieti;
4.
Fusacchia Pietro per due maiali Rieti;
5.
Pitorri Claudio per un maiale Collelungo;
6.
Potenziani Marchese Giovanni, verre, 3 troie, 4 porcelli. Questa razza, viene
testualmente riportato, discende da due coppie di maiali venuti molti anni sono di
Francia ora un poco degenerati dalle forme primitive ... Per gli animali indigeni di
specie suina la Commissione ha conferito il Primo Premio al sig. C. Pitorri di Colle
24
La statistica del regno di Napoli nel1811, a cura di D. Demarco, I, Roma, 1988.
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Lungo. Per gli animali distinti si è reputato meritevole del Primo premio il sig. N.
Fusacchia di Rieti. Si sono finalmente reputati degni di Menzione Onorevole per gli
animali riproduttori ed allievi il sig. Mse Giovanni Potenziani per razza incrociata
coll’Indiana.
L’esposizione del bestiame non riuscì molto bene a motivo delle disposizioni
sanitarie prese contro il colera, in ogni caso è interessante riportate una statistica del
bestiame limitata al solo Comune di Rieti fatta dallo stesso municipio nel 1864
Vacche
148
Bovi
606
Giovenchi
369
Cavalli e cavalle
670
Capre
471
Castrati
34
Pecore
1833
Troje
79
Majali
1162
Presenza del maiale nei contratti di mezzadria
Da una attenta lettura dei contratti di mezzadria stipulati in Sabina tra l’ottocento
ed il novecento in particolare tra le forme di soggiacenza che si ripropongono tali e
quali dall’età medievale notiamo come il maiale ed i suoi prodotti mantengono nei
secoli la loro importanza. Ad esempio si porta
Ø
Il contratto stipulato nel 1325 tra Anthonius Muctii Casella e Gianni di Pietro
Paolo relativo ad un fondo dell’Agro reatino, si legge che il colono doveva
obbligatoriamente corrispondere al padrone a titolo di regalia “unum par pollastrum et
bonorum gallinorum in feste carnisprimi, item unum par presutiorum unu anco et alio ut
sequitur unam lonzam de porco”25 ;
Ø
L’Apoca di Colonia in vigore nelle proprietà Potenziani nel 1815: “Colla
presente privata scrittura ... art. 25 Ogni colono dovrà anche ritenere due Majali da leva,
che verranno a tempo debito comprati dal colono coll’intervento del Ministro di
campagna e per la compra dei medesimi i Sigg. Marchesi metteranno scudo uno, e baj
quaranta di antiparte, ed il resto del prezzo sarà pagato metà per ciascuno. Il
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mantenimento, e l’ingrasso dei medesimi sarà interamente a carico del colono,
ingrassati che saranno se ne farà la divisione entro il mese di Dicembre a piacimento del
Padrone, che scegliendo il Majale di maggior peso dovrà dare un compenso al colono a
sentimento di due periti, e così viceversa fatta la divisione dovrà il colono nel termine di
tre giorni o uccidere il Majale assegnatogli, o mandarlo fuori del Predio, ed in caso di
contravenzione si assoggetta alla multa di Scudo uno, al giorno, a profitto dei Guardiani
delli Sig. Marchesi. La stessa multa, è applicabile nel caso si ritenghino altri Majali oltre
i due di sopra espressi, quantunque non siano di loro proprietà”;
Ø
Il Capitolato Generale per la Colonia dei terreni del Colle S. Mauro e della
Pianura Reatina dell’Eccellentissima Casa Potenziani redatto lo stesso anno. Art.23 “Il
Colono dovrà ritenere il numero di Troie e Maiali che sarà prescritto dal Fattore, ed a
piacimento del fattore sarà obbligato a venderli od a dividerli. Il loro mantenimento
come quello degli altri bestiami è a totale carico dei Coloni”, di seguito all’art. 24 “Il
Colono dovrà ingrassare a tutte sue spese il numero di Majali, che sarà prescritto dal
Fattore, e conservarli sino al 31 dicembre di ogni anno. Fatta la divisione il Colono
dovrà entro tre giorni uccidere i maiali che gli saranno toccati in porzione od altrimenti
portarli via dal podere”, e inoltre all’art. 25 “Il capitale impiegato nei suini dovrà essere
fornito metà dal Padrone, e metà dal Colono. Tutti gli utili e perdite che si
verificheranno saranno divisi a metà tra il Padrone ed il Colono”;
Ø
Ancora in riferimento alla riforma dei patti agrari nel Reatino, nel foglio a
stampa diffuso dalla Lega di Rieti nel 1902, al punto 4 delle rivendicazioni: “Che non si
tiene calcolo degli aggravi, che molti padroni impongono, cioè a dire: a) L’uva divisa al
terzo, b) Opere di bovi e di persona, gratuite fuori del campo, c) La regalia di un maiale
ogni anno ... “;
Ø
Il Patto colonico per l’Agro Reatino concordato tra l’Associazione dei
proprietari e l’Unione di miglioramento dei contadini di Rieti, con l’assistenza della
Federazione Umbra dei lavoratori della terra, 25 agosto 1920, art. 24 “La spesa per
l’acquisto dei suini è sopportata a metà; però il proprietario anticiperà la parte del
colono senza interessi addebitandogliela nel conto colonico. Saranno acquistati, allevati
ed ingrassati due o più suini a seconda delle esigenze delle rispettive famiglie colonica e
padronale. La spesa d’ingrasso dei medesimi è sopportata a metà: a titolo di contributo
25
ASR, bib., A. Bellucci, Inventario dell’archivio comunale di Rieti, Istrumento del 2 gennaio 1325, p. 130.
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per l’allevamento di essi e della maialessa per allevamento, per tutto il tempo che
precede
rispettivamente
l’epoca
dell’ingrasso
e la figliatura di quest’ultima, il
proprietario corrisponderà al colono chilogrammi venticinque di crusca per ogni capo di
bestiame suino. Per ogni figliatura della maialessa il proprietario concorre con due
misure di crusca e due di vago. Quanto all’allevamento dei suini d’industria si
concorderanno volta per volta colono e proprietario”.
Ø
Fino ad arrivare al modello di contratto di mezzadria approvato per la Provincia
di Rieti nel 1927, che prevedeva all’art. 26 “Per l’ingrasso dei suini tutta la ghianda
prodotta dalla colonia verrà utilizzata senza stima”.
Il periodo post-unitario
Nel 1870 Riccardo Gamba26 analizzando la situazione agraria dell’Agro Reatino,
in merito alle condizioni alimentari dei contadini elaborò un bilancio economico di una
famiglia colonica di 5 persone in un fondo di 8 ettari condotto con rotazione biennale
senza maggese. Secondo il Gamba questa forma era “la più comune in cui trovasi
soggetta e divisa la proprietà rurale affittata alla mezzadria”. Rispetto ai prodotti: “Il
proprietario col colono allevano annualmente due maiali, i quali ingrassati, potranno
pesare due quintali: al prezzo di lire cento al quintale”. Sempre il Gamba sottolineava
che l’utilizzo della carne era esclusivamente limitato alla domenica e agli altri giorni
festivi quando era possibile mangiare carne di maiale conservata con vari sistemi.
Questo animale offriva anche l’unico condimento per i cibi cucinati quotidianamente,
cioè il grasso estratto dal tessuto adiposo e insaccato nella membrana intestinale, il
quale era usato come surrogato dell’olio e del burro. Infatti per quanto riguarda la parte
passiva della famiglia colonica, punto B Spese di alimentazione, in media all’anno ogni
giorno consumasi per i seguenti pasti: “Colazione, due uomini abbisognano almeno di
due pagnotte a testa ... la donna 1/3 dell’uomo ... due ragazzi come un adulto. Il
companatico consistendo specialmente in cacio pecorino o caprino, sardine, aringhe,
carni salate di maiale ecc”. “Pranzo: Minestra al brodo. Questa minestra consiste in
pasta fatta in casa, cotta in brodo fatto comunemente con grasso di maiale sfritto ad olio;
rarissime volte con carne fresca di pecora, capra o vaccina. Pane, condimento al pane.
26
Ricardo Gamba, Monografia statistico-economica dell’agro reatino e suo mendaamento, Terni 1872-73, 2 voll., v.1.
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Quando la minestra non è fatta con carne, il condimento consiste in legumi conditi, o
carni salate in piccola proporzione”.
Dall’Inchiesta sulle condizioni igienico-sanitarie del territorio comunale di Rieti
redatta nel 1885 dal Sindaco F. D. Raccuini. Alla questione XII. Bestiame e stalle,
risultava dai ruoli delle tasse sul bestiame che nel Comune di Rieti c’erano i seguenti
animali:
Buoi
801
Giovenche
575
Vacche
485
Cavalli e muli
672
Asini
466
Maiali
2.319
Pecore
3.463
Capre
2.036
Mentre alla questione XIII. Alimentazione, al punto due: “Il consumo di carni
fresche è fortissimo, ma la bassa gente ricorre spesso alle carni salate, ossami e fianchi
di maiale, aringhe, saracche, baccalà”.
Circondariato di Cittaducale
Il Professor Antonio Piccinini27 , Direttore in scienze agrarie dell’Istituto Tecnico
di Reggio Calabria, nella sua “Monografia sul Circondario di Cittaducale”, redatta per
la Giunta per la Inchiesta Agraria e sulle condizioni della classe agricola in Italia,
promossa dal Parlamento Italiano, meglio nota come Inchiesta Jacini, tra il 1877 – 1885,
descrivendo i 17 comuni che fanno parte del Circondario così si esprimeva: “… la parte
coltivabile conserva ancora un certo grado di fertilità e produce cereali di ogni genere
… La pastorizia è forse una delle sue risorse … principali per i numerosi pascoli della
parte montana … Si fanno dappertutto ottimi prosciutti anche disossati nel Cicolano …
salsicce fresche e secche, salami e mortadelle, le quali ultime formano un capo di
27
A. Piccinini, “Monografia sul Circondario di Cittaducale”, Parlamento Italiano, Atti della Giunta per la Inchiesta agraria e sulle
condizioni della classe agricola in Italia (Inchiesta Jacini), 1877 – 1885.
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commercio in Amatrice”. Un capitolo specifico riguarda le razze suine presenti nel
Circondario che si riporta integralmente di seguto:
Razze Suine
a)
Loro importanza in ciascuna zona
b)
Razze e sistema di allevamento
c)
Ibridismi e introduzione di nuove razze per opera del governo, di comizi agrari e
dei privati e risultati ottenuti
d)
a)
In che consiste principalmente l’alimentazione degli animali di questa specie.
I suini per la loro diffusione hanno una media importanza ma potrebbero averne
una maggiore qualora si curasse di più dal lato industriale . Nella 3° zona assume poca
importanza, poichè la maggior parte dei maiali si alleva presso le famiglie delle due
zone coltivate. Infatti quasi tutte le famiglie allevano uno o più animali suini a esclusivo
uso dei bisogni propri. Vi sono di quelli che li tengono per esclusivo uso della
riproduzione, ed i migliori si riscontrano nel comune di Cittareale.
b)
La figura C nel quadro n.6 rappresenta un tipo dei nostri maiali dei quali mi
risparmio di dare i caratteri esteriori che meglio appariscono dalla figura medesima.
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Il pelame è nero qualche volta pezzato di bianco o fasciati sul ventre. Il pelo è lungo nel
dorso e sulle altre parti del corpo, il ventre è sempre nudo, e in altre varietà la ... è
quasi sprovvista, ma in questo caso sono più sensibili al freddo. Appena nati i maiali si
tengono in apposite stalle con le madri le quali si nutrono con crusca infusa nell’acqua
o con patate cotte o con sostanze farinacee. Fatti più grandi i porcelli, nella stagione
estiva si mandano al pascolo durante il giorno nelle campagne e la sera si riducono
alle stalle. Anche qui abbiamo un apposito porcaro, come per le pecore e per le capre
si avevano appositi pastori. L’ingrassamento si fa nelle case in piccola proporzione nei
boschi dove raccolgono le ghiande, le fagioline, le radici e le erbe. In qualche luogo
vengono in autunno individui dalla vicina Umbria, i quali prendono i maiali dalle
famiglie pattuiscono una corrisposta e assumono l’obbligo di condurli nei loro boschi
per ingrassarli dopo di che li restituiscono ai rispettivi proprietari. La corrisposta varia
col tempo che dura l’ingrassamento e collo stato dell’animale in quel momento, sia
rispetto alle carni sia rispetto alla grandezza. Ordinariamente va dalle tre alle venti
lire.
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c)
I verri sono tutti indigeni.
d)
I suini vengono governati alla mattina e alla sera dopo il pascolo con beveroni
di crusca. Si utilizza l’acqua con cui sono lavate le stoviglie, il siero dopo estrattane la
ricotta. In qualche luogo si aggiunge del sale quale accondimento. Questo è il genere di
alimento più generalmente adottato in principio dello allevamento, si somministra per
lo più caldo e spesso si continua anche per l’epoca dell’ingrassamento. Dall’ottobre in
poi si governano con patate, granturco, ghianda, castagne, granone, oppure si
mandano a pascolare le ghiande cadute nei mesi di novembre e dicembre in boschi ove
abbondano. In alcuni luoghi i beveroni si fanno anche con farine di granone, di sorgo
da spazzole, che fa le carni sode e asciutte. Le patate fanno le carni flosce, il che si
verifica pure con la somministrazione di carni o altre sostanze animali, di cui i suini
vanno assai ghiotti. Le zucche cotte somministrate con molto brodo in cui sia mischiata
della farina di fromentone, compongono un ottimo alimento, come pure è buono il
beverone fatto con acqua in cui siano state cotte la pasta o altra sostanza come crusca.
Qualcuno sugli ultimi giorni dell’ingrassamento somministra anche favetta se ne ha a
disposizione. L’ingrassamento però d’ordinario non si spinge tanto oltre quantunque i
nostri maiali quasi in genere godano della proprietà di impinguare in modo molto
spiccato; anzi molto spesso i maiali si mattano quando hanno appena raggiunto una
mezza carne. Dei porci si utilizza tutto e la consumazione avviene tanto alla stato fresco
che salato. Se ne fanno prosciutti, salami magri, mortadelle in Amatrice, salsicce di
carne, col fegato e col polmone, mescolando ad essi del grasso e qualche volta dando
un ... aglio. Colla pasta grassa e glandolari che sono ai lati della mascella inferiore
estendendosi più vicino al collo si fanno le barbozze che asciugate si tagliano a fette e
si cuociono in padella con aceto e salvia, colle parti grasse del ventre si fanno le
ventresche, con quelle dei fianchi e del dorso i lardi. Colla sugna o grasso attorno ai
reni e con tutto quello che è nella parte intestinale, dopo qualche giorno del sacrificio
dell’animale si fa dello strutto o distrutto, cioè si separa la vera parte grassa dalla
membranosa che costituisce gli sfrizzoli con cui si fanno le pizze. Ancor caldo il
distrutto si pone entro vesciche, budelli o vasi di terra, in cui si conserva fino a che
deve consumarsi. L’uso di questi grassi è assai diffuso e non vi è cucina che questi
quotidianamente non ne adoperi una certa do, mancando il burro e poco uso facendosi
dell’olio. L’allevamento dei suini va subendo un certo aumento progressivo che però
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non è di grande entità, ma i miglioramenti non gran cosa sensibili. Il numero
complessivo dei maiali si può oggi ritenere di 11.541, divisi nelle seguenti categorie:
Quadro statistico dimostrante l’allevamento suino nei suoi rapporti con le superfici col
numero degli abitanti e dei proprietari.
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Il Circondariato di Rieti
Dalla memoria sulle condizioni dall’Agricoltura e della Classe Agricola nel
Circondario di Rieti, compilata per incarico del Presidente del Comizio Agrario Sabino
Sig. Conte Pietro Vincentini da Palmegiani Giuseppe e Fallerini Pietro conforme al
programma stabilito dalla Giunta per l’Inchiesta agraria istituita per legge del dì 15
marzo 1877, paragrafo titolato Razza suina: “Notevole importanza ha l’allevamento
degli animali suini in questo Circondario. Nel piano di Rieti vengono allevati tre o
quattro maiali in ogni podere dell’estensione di circa dieci ettari. Nella parte montuosa
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se ne allevano anche piccole mandrie che vengono ingrassate coi prodotti delle quercie
e dei cerri. Maggiore importanza potrebbe avere questo allevamento se si avesse più
cura dei luoghi e non dominasse la mania di tagliare piante per legname da costruzione.
Nel piano di Rieti i porci sono tenuti la notte in stalla, ed il giorno sono condotti al
pascolo ... sotto la scorta di ragazzi. Nei monti e nei colli si tengono ordinatamente
all’aperto, si fanno pascere di ghianda nelle macchie di quercia. La produzione di siffatti
animali non pure è bastevole per ... il Circondario, ma parecchi ... se ne esportano nel
mercato di Roma, dove vengono vendute con vantaggio”.
Statistica approssimativa della razza suina del Circondari di Rieti
Verri
146
Troie
1772
Maiali da ingrasso
10055
Maiali lattanti
3475
Totale
15448
Gli usi le consuetudini le trasformazioni il commercio
Nella tradizione locale, dai maiali allevati in azienda e finissati si prelevano le
cosce che una volta rifilate vengono prima spremute per far fuoriuscire il sangue
dall’arteria femorale, poi poste a salatura per un tempo variabile a seconda della
pezzatura; completata la salatura si ripuliscono bene e si pongono per circa 10 giorni ad
asciugare in un ambiente con camino, si trasferiscono poi a stagionare in una cantina
ben aereata.
Oggi accanto alla produzione casalinga e a quella dei piccoli laboratori
artigianali ritroviamo anche quella effettuata su scala industriale da aziende che vantano
lunga tradizione nel settore delle trasformazioni norcine.
Nella raccolta degli usi e delle consuetudini commerciali ed agrarie della
Provincia di Rieti pubblicata nel 1934 dal Consiglio Provinciale dell’Economia
Corporativa di Rieti, si ritrovano notizie sugli usi legati alla compravendita dei suini sia
vivi che morti. Riguardo all’acquisto dell’animale da vita o da ingrasso, l’acquirente
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viene garantito da eventuali vizi occulti dalla possibilità di annullare il contratto qualora
si verificassero malattie infettive che formano oggetto di polizia sanitaria.
Per quanto riguarda il bestiame da macello è uso che i suini vengano contrattati
sia a peso vivo che a peso morto. In quest’ultimo caso si considera un abbuono del 2%
sul peso per il cosiddetto sfreddo. La frittaglia non si conteggia nel peso pure andando a
beneficio del compratore.
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25
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25. Migliorini, Bibliografia del Lazio;
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37. R. Caggese, “Roberto d’Angiò e i suoi tempi”, Firenze, 1922;
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40. Strabo, Geo., V, 228;
41. Varro, R.R., I, 38, 2;
42. S. Carocci,“C’è una miniera nel bosco”, da Medioevo, n. 5, giugno 1997;
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Proprietà di ARSIAL (Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura del Lazio)
Il presente documento può essere riprodotto liberamente con qualsiasi mezzo a condizione di citarne la fonte
Storia dell’allevamento del maiale in provincia di Rieti
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50. “Le cucine nella memoria, testimonianze bibliografiche ed iconografiche dei cibi
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52. Tersilio Leggio, “L’olivo e la Sabina”, provincia di Rieti, anno 2003;
53. Archivio di Stato di Rieti, Archivio storico del Comune di Rieti, “Carmelengato,
introitus et exitus”, nn. 321-328 degli anni 1433-1456;
54. Archivio di Stato di Rieti, Archivio storico del Comune di Rieti, Riformanze,
1407-1411, cc. 71r e 82r; 1419-1424, cc. 35r e 80r; 1425, c. 80v; 1438-1440, c.
63r; 1444-1446, c. 37r; 1453-1454 c. 75r;
Proprietà di ARSIAL (Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura del Lazio)
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