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Università di Pisa Facoltà di Scienze Politiche Corso di laurea in Servizio Sociale Tesi di laurea IL DISABILE E IL CANE La promozione del benessere attraverso il progetto sperimentale AILA- “Santa Caterina”. Candidata Justine Puccioni Relatore Prof. Andrea Salvini Anno Accademico 2010- 2011 1 Indice Introduzione 4 Parte Prima. Il disabile e la società Capitolo I. Visione d’insieme 6 1.1 Chi è abile e chi non lo è 6 1.2 Disabilità ed handicap: una definizione che si evolve 7 Capitolo II. Parte Seconda. La prospettiva sociologica 11 2.1 Il soggetto deviante 11 2.2 T. Parsons: la malattia come devianza involontaria 12 2.3 E. Goffman: la stigmatizzazione 13 2.4 La teoria dei ruoli: disabilità come status dominante 13 2.5 Alcune osservazioni conclusive 14 Il caso: progetto di collaborazione sperimentale tra l’Associazione Italiana di Lavoro in Acqua (AILA) e il CdR- RSD “Santa Caterina” di Collesalvetti Capitolo III. Capitolo IV. La struttura della RSD “Santa Caterina” 15 3.1 L’utenza 16 3.2 Il ruolo dell’assistente sociale e il lavoro d’équipe 17 L’Associazione AILA 21 4.1 Gli attori : fusione tra i soci volontari ed i propri cani 22 4.2 Lo statuto: punto importante per la definizione delle attività 22 2 Capitolo V. L’esperienza tra volontari, cani da salvataggio e ragazzi disabili psicofisici 23 5.1 Gli obiettivi 23 5.2 L’esecuzione degli incontri 24 5.3 L’esito dell’esperienza: la raccolta dei dati e 5.4 i pareri professionali 28 I ragazzi disabili si esprimono 31 Osservazioni conclusive 33 Bibliografia 36 Sitografia 37 Allegato: lo strumento di rilevazione 38 3 Introduzione Questa tesi si pone come obiettivo quello di mostrare come dei soggetti affetti da disabilità fisica, psichica e sensoriale possano esprimersi attraverso attività di interazione tra uomo e animale. Non si parla di interventi di Pet-Therapy, ma di una serie di incontri ricreativi messi in atto in modo sperimentale, come momento di ritrovo e di condivisione di emozioni, senza nessuno scopo medico-riabilitativo. Gli attori partecipanti al progetto sono persone disabili a livello psicofisico, ospiti di una residenza sanitaria per disabili nella provincia di Livorno, e i cani dei volontari di un’associazione che collabora con la Croce Rossa Italiana per l’addestramento cinofilo al salvataggio in acqua della provincia di Pisa. La trattazione si divide in due parti: la prima fornisce un quadro di conoscenza della persona affetta da handicap, mettendo in evidenza il significato che porta in sé la parola «disabile» e da dove questa provenga, oltre che ad un inquadramento normativo di leggi, articoli costituzionali e documentazioni redatte da organi competenti in materia che, in questo ambito, hanno favorito alcuni passi in avanti nella regolarizzazione della posizione sociale nel tempo dei portatori di handicap, attraverso promozione di pari opportunità, tutela dei loro diritti e garanzie nell’assistenza e integrazione sociale. Successivamente, è illustrato un profilo di carattere sociologico, nel quale possiamo trovare una semplice chiave di lettura per comprendere il rapporto che hanno le persone affette da disabilità con la società che le circonda. Studiare la persona portatrice di handicap in termini sociologici significa considerare i fattori sociali, morali, economici e scientifici che le vengono attribuiti dalla società circostante, favorendo il fenomeno della stereotipizzazione1. Il termine «stereotipo» deriva dal greco stereos (rigido) e typos (immagine), quindi «immagine rigida». Questa parola può essere usata in modo pregiudizievole da un gruppo sociale verso un altro2 e porta gli individui a comportarsi in modi differenti nei confronti di chi viene giudicato diverso dalla maggior parte dei soggetti che fanno parte della società. Con l’analisi di certi approcci e metodi sociologici si ripercorre il pensiero e lo studio di alcuni importanti sociologi, i quali 1 Dott. G. SELLERI, ricercatore dell’Istituto di Psicologia- Facoltà di Medicina Università di Bologna, Per una psico-sociologia dell’handicap, da: www.iperbole.bologna.it/iperbole/cid/news_crh/perunapsicosociologia.rtf [visitato: 20/09/2011]. 2 Da Wikipedia, l’enciclopedia libera, http://it.wikipedia.org/wiki/Stereotipo [visitato: 20/09/2011]. 4 ricercano gli effetti e le cause determinanti certi comportamenti umani interni alla società, portando quindi a definire la posizione sociale che il disabile occupa, in quanto individuo soggetto a stereotipizzazione ed emarginazione sociale. Dopo questa cornice che racchiude alcune significative informazioni che aiutano ad individuare chi realmente sia la persona portatrice di handicap e quale sia stato il suo vissuto nel tempo attraverso la storia, lo studio sociologico e l’excursus normativo, si arriva allo sviluppo del caso che coinvolge questo tipo di utenza e l’ associazione di volontariato per l’ addestramento cinofilo per il salvataggio in acqua, già precedentemente citata. L’avvicinamento di cani adeguatamente addestrati a persone diversamente abili nasce dall’idea di sviluppare, in questa tipologia di utenza, un momento di espressione corporea ed emotiva che procuri loro una condizione di benessere. Attraverso la raccolta di informazioni mediante schede di valutazione, precedentemente distribuiti e successivamente compilati dai professionisti, si dimostrerà che certi tipi di collaborazione, come in questo caso tra disabili e volontari con i loro cani, può portare dei benefici e favorire l’espressione dei propri sentimenti, della propria soddisfazione o l’eventuale insoddisfazione anche in soggetti che versano in gravi situazioni di menomazione fisica o psichica. Semplici attività di gioco, intuizioni o associazioni di idee con l’ausilio di animali, come in questo caso dei cani che aiutano a rendere il lavoro curioso e divertente perché fuori dai normali schemi educativi, possono sviluppare in questi soggetti voglia di condividere le proprie emozioni con i compagni e chi hanno intorno, migliorando la propria capacità cognitiva, di movimento, di parola e di socializzazione. 5 PARTE PRIMA IL DISABILE E LA SOCIETÀ Capitolo I Visione d’insieme 1.1 Chi è abile e chi non lo è. «Vuoi il mio posto? Allora prendi il mio handicap!». Questa è una frase che ultimamente troviamo stampata su alcuni cartelli che indicano il posto auto riservato ai soggetti disabili. La necessità di sottolineare l’importanza di mantenere libero quel tipo di posteggio, supportata dal colore differente delle strisce che lo delimitano, nasce per sensibilizzare la comunità verso i diversamente abili ed agevolarli nelle azioni quotidiane che a persone abili, invece, risultano semplici e di routine. Le persone manifestano diversi atteggiamenti verso quello in cui si imbattono nel mondo sociale che le circonda; gli atteggiamenti sono costituiti da tre componenti che li caratterizzano, una componente affettiva, una cognitiva e una comportamentale. La prima consiste in reazioni emotive rivolte all’oggetto dell’atteggiamento; la seconda riguarda le idee e le credenze sull’oggetto; infine, la terza componente si dedica alle azioni osservabili verso l’oggetto. Benché tutti gli atteggiamenti includano le tre componenti sopradette, alcuni si basano prevalentemente su una componente piuttosto che sulle altre. Ad esempio, un atteggiamento basato su emozioni e valori prende il nome di «atteggiamento a base emotiva» e, come nel caso del messaggio stampato sui cartelli dei posteggi per disabili, gli individui che lo leggono sono portati ad atteggiarsi secondo le proprie credenze morali verso la questione dell’handicap.3 In conseguenza a ciò, il comportamento che ne scaturisce è dettato dall’eticità dell’individuo abile, il quale riconosce nell’affermazione sul cartello che «l’idoneità fisica (able-bodiedness) diventa il punto di riferimento in base al quale tracciare il confine che separa il disabile da chi non lo è»4. A questo proposito l’etimologia del termine “handicap” aiuta a comprendere questa sostanziale 3 E. ARONSON- T.D. WILSON- R.M. AKERT, Psicologia Sociale, Bologna, Il Mulino, 2006, cap VI, pp. 131-132. 4 F. FERRUCCI, La disabilità come relazione sociale. Gli approcci sociologici tra natura e cultura, Catanzaro, Rubettino, 2004, cap. I, p. 23. 6 differenza che sta nel ricoprire una posizione di svantaggio da parte del soggetto disabile. La parola “handicap” proviene dalla locuzione inglese hand in the cap, cioè la mano nel cappello, il quale sta ad indicare un antico gioco d’azzardo che si svolgeva estraendo a sorte da un cappello degli oggetti di diverso tipo. Successivamente, l’espressione hand in the cap viene usata nell’ippica per indicare la situazione di svantaggio iniziale inflitta ai fantini più capaci per porre tutti in una condizione eguale. 5 Il portatore di handicap, quindi, è un soggetto che nei confronti della società parte da una condizione sfavorevole data da una disabilità che lo ostacola nei comportamenti che si manifestano nella vita di tutti i giorni. Questa sua sconveniente posizione può essere data da diversi tipi di disabilità, come quella comportamentale, comunicativa, motoria, circostanziale, in particolari capacità, nella cura della propria persona.6 1.2 Disabilità ed handicap: una definizione che si evolve. Per dare una precisa definizione di disabilità ed handicap è necessario fare riferimento alla versione universale fornita dai due documenti dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS); in origine è necessario ricondursi al primo documento, denominato International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps (ICIDH) e successivamente prendere visione del suo superamento innovativo, definito International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF). La prima classificazione viene redatta nel 1980 ed illustra come concetto fondamentale un modello sequenziale: menomazione - disabilità – handicap (fig. 1.1). Per menomazione si intende un’anomalia o un’assenza organica e/o funzionale; con disabilità si indica una perdita delle capacità derivante da una menomazione; infine con la parola handicap si identifica uno svantaggio dato da una menomazione o da una disabilità. 7 5 D. RESICO, Diversabilità e integrazione. Orizzonti educativi e progettualità, FrancoAngeli, 2005, p.20. 6 F. FERRUCCI, La disabilità come relazione sociale. Gli approcci sociologici tra natura e cultura, Catanzaro, Rubettino, 2004, cap. I, p. 27. 7 Ivi, p. 26. 7 Fig. 1.1 Modello sequenziale dell’ICIDH. Fonte: www.handicapincifre.it/documenti/concettodisabilità.asp#par4 [visitato: 07/10/2011]. Quindi, come viene illustrato anche nella figura 1.1, un soggetto che viene colpito da menomazione di un organo o di un apparato funzionale, in seguito può risentirne anche a livello di persona come incapace a svolgere determinate attività, per poi raggiungere uno stato di handicap che gli impedisce il raggiungimento di una condizione sociale considerata normale. Nonostante la semplicità della sequenza, essa può comunque essere interrotta perché esistono condizioni di handicap direttamente conseguenti alla menomazione, ma non necessariamente mediate dalla disabilità; come pure è possibile essere disabile senza passare alla fase successiva dell’ handicap. 8 Nel 2002 avviene in questo campo un’importante innovazione attraverso la pubblicazione del secondo documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che vede l’ ICF come strumento per la classificazione del funzionamento, della disabilità e della salute. In questo atto l’attenzione si focalizza sulla salute e sul funzionamento della vita delle persone, cercando di individuare ciò di cui hanno bisogno per migliorare la loro condizione. Esistono alcuni principi su cui si basa questo modello: l’universalità, che mette in evidenza il fatto che l’ICF riguarda chiunque perché non solo chi è portatore di handicap può avere dei problemi di salute. Poi abbiamo il principio dell’integrazione che è uno dei più importanti perché vede il documento come un modello biopsicosociale, cioè che favorisce l’integrazione tra il campo medico, sanitario e sociale, mettendo in relazione la salute della persona con l’ambiente in cui vive. Un altro principio è quello dell’interazione, ovvero mettere in relazione tra di loro le persone, la loro salute e il loro ambiente. Questa interattività del nuovo modello porta ad una novità nella concezione della disabilità, in quanto essa si 8 Ibidem. 8 compone della condizione di salute unita ai fattori ambientali in cui si trova il soggetto, come il contesto sociale, familiare, abitativo e di lavoro. In base a questi fattori ambientali si parla di un’evoluzione rilevante dei termini, dove la disabilità viene vista come una limitazione delle attività e l’handicap come una restrizione alla partecipazione (fig. 1.2). Risulta indispensabile tenere sotto controllo questi fattori perché, se alterati, possono rappresentare un vero peso per l’individuo che non sa come farvi fronte e superarli. Per questo l’ICF è uno strumento indispensabile per monitorare più efficacemente gli interventi socio-sanitari da un punto di vista interdisciplinare e per ottimizzare le azioni adibite al miglioramento della qualità della vita del soggetto in difficoltà.9 Fig. 1.2 Modello concettuale dell’ICF. Fonte: www.darioianes.it/articolo7.htm [visitato: 07/10/2011]. Precedentemente a queste definizioni, in Italia, la Legge n. 118 del 30 Marzo del 1971, intitolata "Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili", dà un contributo importante all’inquadramento del soggetto considerato invalido civile, il quale può godere dei benefici previsti da suddetta legge. Con essa si estende la categoria di invalidi civili a tutti «i cittadini affetti da minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo o, se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età».10 9 Dott. S. GAROFALO, Il percorso evolutivo, i criteri e gli aspetti fondamentali dell’I.C.F., da: www.solcoct.it/siris/azioni/doc/Presentazionedell’I.C.F..pdf [visitato: 07/10/2011]. 10 Legge n. 118 del 30 marzo del 1971, art. 2, comma 1, da: www.handylex.org/stato/l300371.shtml [visitato: 23/10/2011]. 9 L’importante innovazione sta appunto nell’inserimento del malato psichico all’interno della categoria di invalido civile, riconoscendolo anche come soggetto inabile al lavoro. A questo proposito si può evidenziare con particolare attenzione l’articolo 38 della Costituzione della Repubblica Italiana, il quale valorizza il principio secondo il quale «ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale» e ancora che «gli inabili ed i minorati hanno il diritto all’educazione e all’avviamento professionale». 11 Ciò significa che ogni cittadino italiano che non può lavorare, perché fisicamente inabile, ha diritto costituzionale ad avere un'assistenza economica dallo Stato, il quale riserva particolare attenzione alle esigenze dei suoi cittadini. I diritti all’educazione e all’avviamento professionale sono sostenuti altresì dall’articolo 34 sempre della nostra Costituzione, dove in modo universalistico recita che «la scuola è aperta a tutti» 12, indicando che anche i cittadini in situazioni di svantaggio hanno il diritto di istruirsi, come chi non ha difficoltà, per raggiungere il più possibile un livello idoneo in base alle proprie capacità. Tutto questo presuppone una base di pari opportunità e pari dignità universali, eliminando le disuguaglianze tra gli individui, dove all’articolo 3 viene aggiunto il compito specifico della Repubblica di eliminare gli ostacoli che di fatto limiterebbero la possibilità di tutti i cittadini di godere dei diritti in egual misura.13 Questi diritti vengono ribaditi anche nella Legge n. 104 del 5 Febbraio del 1992 denominata “Legge- quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, con la quale si promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società del soggetto disabile, in modo da prevenire e rimuovere le condizioni invalidanti che ne impediscono lo sviluppo.14 Questa breve cornice che regola nella nostra società il soggetto affetto da disabilità ed handicap, lo inserisce in un contesto di diversità apparente che riguarda principalmente le sue capacità fisiche, cognitive, psichiche e sensoriali, ma ne evidenzia 11 Codice civile e leggi complementari, Costituzione della Repubblica Italiana , a cura di Fausto Izzo, edizioni giuridiche Simone, 2009, p.15. 12 Ivi, p.14. 13 Ministro M.S. GELMINI, Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, da: www.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/115c59e8-3164-409b-972b8488eec0a77b/prot4274_09_all.pdf [visitato: 08/10/2011]. 14 Legge n. 104 del 5 febbraio del 1992, art. 1, da: www.handylex.org/stato/l050292.shtml [visitato: 23/10/2011]. 10 fortemente la sua uguaglianza in termini di diritti rispetto a chi non presenta alcun svantaggio. L’inserimento della persona disabile nella società ha subìto nel tempo diversi passaggi che potrebbero essere riassunti in quattro fasi principali: la prima e più remota, quella dell’antichità, dove si dava enorme importante all’estetica dell’individuo ed un esempio storico calzante riguarda la tragica rupe Taigeto presso Sparta, famosa per la spiacevole ed antica usanza di farvi precipitare i bambini deformi e quindi imperfetti. Successivamente si individua un periodo caratterizzato dalla pietà cristiana, la quale tollera il diverso e l’handicappato anche se viene considerato un emarginato sociale. In luoghi come conventi, ospedali o centri di raccolta venivano accolti gli esclusi per dare un sostegno alla loro condizione degradata. La terza fase può essere definita moderna perché vengono scoperti e studiati attraverso la scienza i limiti psicofisici di alcuni individui affetti dalla malattia; viene, quindi, abbandonata l’idea di una colpa che l’individuo doveva scontare con o per la vita. L’ultima fase può essere definita quella odierna, dove il disabile e l’handicappato cercano di essere inserititi nella società, attraverso normative specifiche, istituzioni scolastiche, mondo del lavoro, associazioni di volontariato e terzo settore per raggiungere una totale integrazione ed inserimento sociale.15 Questo è un campo in continuo sviluppo, dove si cerca sempre più di considerare la disabilità come un fenomeno di diversità non più da nascondere, come succedeva in un passato anche non troppo remoto, bensì di farne un oggetto di studio, uno spunto per riflessioni ed eventuali sperimentazioni.16 Capitolo II La prospettiva sociologica 2.1 Il soggetto deviante. La sociologia offre un buon contributo per lo sviluppo di teorie e riflessioni sulla posizione che occupa una persona diversamente abile nella società in cui vive. La sociologia della devianza è un ramo che si occupa principalmente dell’analisi dei 15 Da: www.danna.it/web/guest/handicap-e-societa [visitato: 23/10/2011]. F. FERRUCCI, La disabilità come relazione sociale. Gli approcci sociologici tra natura e cultura, Catanzaro, Rubettino, 2004, p. 86. 16 11 fenomeni di allontanamento degli individui o dei gruppi dalle norme condivise della società. 17 Vengono distinte diverse categorie di tipi devianti, come i malati, i diversi, i traditori, i ribelli e i delinquenti. La classe che interessa la nostra analisi è la seconda, cioè quella dei diversi, della quale fanno parte gli handicappati fisici e psichici, oltre che gli omosessuali. Essi rappresentano la devianza come anormalità.18 La devianza racchiude un giudizio morale, l’opposizione a ciò che di norma risulta convenzionale. Il soggetto deviante è chi assume o a chi vengono attribuiti comportamenti devianti rispetto al suo ambiente sociale. La società tende a ricondurre la persona deviante nel percorso comune, o a neutralizzare le azioni oppure ad emarginarlo direttamente dalla normalità;19 per questo il soggetto deviante può essere identificato come «vittima di una situazione di ingiustizia sociale». 20 2.2 T. Parsons: la malattia come devianza involontaria. Talcott Parsons è uno dei maggiori esponenti dell’approccio strutturalfunzionalista; egli mette in evidenza la teoria del sistema sociale come un insieme di parti integrate basate su normative condivise grazie al processo di socializzazione. 21 L’individuo dipende, perciò, dalla società in cui vive perché ricopre in essa dei ruoli. A questo proposito Parsons inquadra la persona malata come persona deviante definendo la malattia come «uno stato di turbamento nel funzionamento “normale” dell’individuo umano nel suo complesso, in quanto comprende sia lo stato dell’organismo come sistema biologico sia i suoi adattamenti personali e sociali». 22 Il ruolo che la persona malata e di conseguenza deviante viene a occupare, prende il nome di sick-role, abbandonando gli altri ruoli sociali che non è in grado di ricoprire. Secondo Parsons, quindi, il malato investe la figura di soggetto deviante involontario, in quanto al momento della diagnosi di malattia è la figura professionale del medico che lo esonera 17 L. BERZANO- F. PRINA, Sociologia della devianza, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1995, p. 9. Ivi, p. 10. 19 G. JERVIS, Manuale critico di psichiatria, Milano, Feltrinelli, 1997, p. 67. 20 Ivi, p. 70. 21 L. BERZANO- F. PRINA, Sociologia della devianza, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1995, p. 89. 22 T. PARSONS, Il Sistema sociale, Edizioni di Comunità, 1981, p. 440. 18 12 dai ruoli sociali non più idonei alla sua situazione23 ed è impossibilitato a migliorarla con le sue stesse forze. 2.3 E. Goffman: la stigmatizzazione. Secondo l’approccio interazionista, il sociologo Erving Goffman analizza il carattere relazionale mettendo in evidenza il significato dello stigma come «un genere particolare di rapporto tra l’attributo e lo stereotipo che riproduce discredito di chi ne è portatore».24 Quindi è la società che etichetta il soggetto come deviante e Goffman, attraverso numerosi saggi, evidenzia tre caratteristiche dello stigmatizzato: deformazioni fisiche; carattere criticabile che può risultare come manchevole di volontà o pura disonestà; infine, l’attributo della razza, della nazionalità e della religione che vengono tramandati generazionalmente. Il problema di fondo della persona stigmatizzata dalla società, quindi, è quello di non esservi accettata perché non considerata normale; la società divide in categorie le persone diverse, ma esse si trovano in uno stato di incertezza perché non sanno in quale gruppo sono stati classificati. Secondo Goffman, questa attribuzione di identità sociale viene stabilita secondo la visibilità o meno di questa diversità: se visibile lo stigmatizzato viene screditato, mentre se lo stigma rimane nell’ombra esso si comporterà da screditabile. 25 2.4 La teoria dei ruoli: disabilità come status dominante. Secondo la teoria dei ruoli la condizione di disabilità è uno status sociale attribuito dalla società alle persone affette da deficit fisici o mentali, visibili o conosciuti. Nella società vengono individuati diversi status dominanti, quali il genere, l’etnia e anche la disabilità. Quest’ultima si differenza dagli altri due perché essi sono insiti nella persona fin dalla nascita, mentre lo status di disabile si può attribuire in qualsiasi momento della vita dell’individuo; questo determina un apprendimento da parte di chi è portato a 23 F. FERRUCCI, La disabilità come relazione sociale. Gli approcci sociologici tra natura e cultura, Catanzaro, Rubettino, 2004, pp. 32-33. 24 E. GOFFMAN, Stigma. L’identità negata, Milano, Giuffré, 1983, p. 4. 25 F. FERRUCCI, La disabilità come relazione sociale. Gli approcci sociologici tra natura e cultura, Catanzaro, Rubettino, 2004, pp. 35-36. 13 stigmatizzarlo. La disabilità diviene status dominante tenendo conto di due importanti fattori: la visibilità o non visibilità del deficit da parte della società e la rivelazione di esso da parte dell’interessato. Nell’incrociare tali fattori, la teoria attribuisce lo status dominante alla disabilità qualora ci sia rivelazione e visibilità e quando l’interessato riveli il proprio deficit, poiché esso non era visibile in precedenza. Nel caso in cui non ci sia rivelazione e neanche visibilità la condizione di status dominante non sussiste. Invece, qualora non ci sia rivelazione da parte dell’interessato, ma il suo deficit risulti visibile nasce una situazione conflittuale tra il soggetto e la società in cui è inserito. 26 2.5 Alcune osservazioni conclusive. In questa prima parte si pone particolare attenzione alla figura del soggetto portatore di handicap, sottolineando un semplice profilo che aiuti a comprendere la situazione nella quale vivono queste persone. Esistono molteplici normative e principi costituzionali che mirano a proteggere i diritti dei singoli che non riescono a fronteggiare situazioni di disagio e di inferiorità rispetto alla società che li circonda; questo campo è in continuo sviluppo per poter apportare benefici sempre maggiori a questi soggetti. Il tema della disabilità compare in diverse discipline, come è evidenziato brevemente in alcune delle teorie più rilevanti nello studio sociologico, dove si cerca di dare una spiegazione della diversità, affinché questo risulti utile per attuare nuove strategie ed opere di miglioramento per dare sollievo all’esistenza dei diversamente abili. Il fattore principale emerso è quello del continuo confronto tra l’ individuo e il contesto sociale in cui esso è inserito, dominato da pregiudizio e timore del diverso che porta alla sua esclusione ed emarginazione. 26 Ivi, pp. 46-48. 14 PARTE SECONDA IL CASO: progetto di collaborazione sperimentale tra l’Associazione Italiana di Lavoro in Acqua (AILA) e il CdR- RSD “Santa Caterina” di Collesalvetti. Capitolo III La struttura del CdR-RSD “Santa Caterina” La mia esperienza di tirocinio professionalizzante, avvenuta durante il secondo anno del corso di laurea triennale in Servizio Sociale della facoltà di Scienze Politiche di Pisa, si è svolta presso una delle sette unità operative della “Fondazione Casa Cardinale Maffi Onlus”, precisamente nel Centro di Riabilitazione- Residenza Sanitaria per Disabili (CdR- RSD) “Santa Caterina” di Collesalvetti. La struttura è operativa dal 1970 ed è stata gestita dal CIF (Centro Italiano Femminile) di Pisa fino al settembre 1999, quando agli inizi di ottobre dello stesso anno, la struttura entra a far parte della “Fondazione Casa Cardinale Maffi Onlus” come sua unità operativa. La Fondazione in origine era denominata “Casa della carità Cardinale Maffi” e fu realizzata dal sacerdote Pietro Parducci e in seguito costituita dall’allora Arcivescovo di Pisa il 10 febbraio 1947. Nell’aprile 1954 fu eretta in Ente morale, cosicché la “Casa della Carità Cardinale Maffi” prese, nel 1959, la nuova denominazione di “Casa Cardinale Maffi”.27 Vista la sua origine, la Fondazione è improntata su valori cristiani e ha finalità di solidarietà sociale e di svolgimento di attività educative, riabilitative, di assistenza sociale, sanitaria e socio-sanitaria. Da questa sua natura nasce l’iniziativa di mettere in atto una collaborazione tra questa struttura e l’Associazione Italiana di Lavoro in Acqua di Pisa, per favorire lo sviluppo della comunicazione e del benessere del disabile portatore di handicap fisico e mentale, attraverso attività ludico-ricreative con l’ausilio di cani da salvataggio. 27 dal Regolamento Interno della RSD- Istituto “Santa Caterina”, aggiornato all’anno 2010, premessa. 15 3.1 L’utenza. A livello organizzativo, il “Santa Caterina”, è suddiviso in cinque nuclei, ospitanti circa venti ospiti ciascuno di età compresa tra i 18 e i 65 anni con disabilità fisica, psichica e sensoriale, per permettere interventi socio-riabilitativi efficaci e finalizzati ai diversi livelli di disabilità. I nuclei 1-2 accolgono soggetti affetti da ritardo mentale grave- gravissimo, con disturbi autistici, comportamentali e neurologici e compromissione del funzionamento sensoriale e motorio. L’assistenza di questi ospiti è di intensità molto alta per favorire la riabilitazione sensoriale, psicomotoria e l’integrazione sociale. Il nucleo 3 è quello che ospita gli utenti con ritardo mentale grave e disturbi comportamentali di livello medio- grave; per il livello leggermente inferiore di gravità richiedono un assistenza minore rispetto agli ospiti dei nuclei precedenti. Questi soggetti sono in grado di adattarsi alla vita comunitaria e la riabilitazione punta a migliorare l’autonomia nelle relazioni sociali, le abilità scolastiche e della comunicazione. Il nucleo successivo è il numero quattro, dove alloggiano persone con ritardo mentale lieve- moderato, con disturbi psicotici e aree senso- motorie compromesse in modo lieve. Questi assistiti sono in grado di acquisire capacità occupazionali e sociali e per questo hanno bisogno di un’assistenza minima. Essi partecipano ad attività di terapia occupazionale per promuovere, mantenere e sviluppare l’integrazione socio- lavorativa. Infine, il nucleo numero cinque ospita soggetti con ritardo mentale grave e disabilità motoria che richiede un alto livello di assistenza da parte degli operatori. Questi assistiti necessitano di attenzioni incentrate sulla riabilitazione motoria, nonché sullo sviluppo delle funzioni cognitive di base. La struttura include anche il Centro Diurno “Il Mosaico ” che, con organizzazione semiresidenziale, offre attività socio-terapeutiche agli utenti in carico alle aziende USL limitrofe. Le persone che ne usufruiscono sono affetti da handicap di grave- media gravità con minima competenza sociale. I progetti di riabilitazione mirano a mantenere le loro capacità residue e al recupero sociale e funzionale.28 28 dalla Carta dei Servizi del CdR-RSD “Santa Caterina” di Collesalvetti, anno 2010, pp.13-14, par. 3.2.1. 16 3.2 Il ruolo dell’assistente sociale ed il lavoro d’équipe.29 All’interno del “Santa Caterina”, la figura dell’assistente sociale svolge il ruolo essenziale di mettere al centro il benessere della persona e il bene comune, attraverso attività di promozione di integrazione sociale, consulenza e assistenza agli utenti e alle famiglie degli ospiti e collaborazione con le altre figure professionali della struttura, con gruppi di volontariato, parrocchiali e non solo e, infine, con le istituzioni presenti nella rete territoriale.30 Analizzando i diversi compiti svolti dall’assistente sociale, troviamo innanzitutto le ammissioni, la presa in carico e le dimissioni degli ospiti. L’assistente sociale riceve la domanda di ammissione da parte o dell’utente stesso, o da parte dei familiari, o dei servizi territoriali, i quali hanno precedentemente ricevuto dovuta autorizzazione dall’ASL di residenza dell’assistito. Di norma, gli inserimenti in struttura avvengono dando la priorità alle richieste provenienti dalle ASL del territorio in cui si trova la RSD, successivamente avvengono gli inserimenti di utenti provenienti da altre ASL della regione Toscana e, infine, dalle ASL extraregionali. Una volta che l’assistente sociale ha ricevuto la domanda di inserimento in struttura è tenuto a compilare una scheda sociale di primo contatto, dove annota le informazioni anagrafiche del richiedente, le generalità dei familiari e/o dei servizi e/o di altre persone di riferimento, insieme ad altre informazioni di carattere sanitario e sociale. Attraverso questo strumento, il professionista ha un quadro generale del soggetto, utile per la valutazione generale del caso preso in considerazione. L’assistente sociale, facendo parte dell’équipe multidimensionale, partecipa ad un incontro diretto con i familiari e/o i servizi di riferimento per, successivamente, mettere in atto una valutazione congiunta con il servizio inviante. Una volta che il caso è ritenuto idoneo all’inserimento in regime residenziale o semiresidenziale dall’intera équipe multidimensionale, viene attuato un piano di accoglienza personalizzata, la cui durata è di circa tre mesi. Se, alla 29 Tutte le informazioni in merito alle attività svolte dall’assistente sociale della struttura e dall’équipe multidimensionale sono tratte dalla Carta dei Servizi del “Santa Caterina”, aggiornata all’anno 2010, e da ciò che ho appreso durante il mio tirocinio professionalizzante presso l’istituto. Ove fosse fatto riferimento a fonti differenti, come citazioni o simili, esse saranno opportunamente riportate. 30 Le diverse istituzioni territoriali a cui si fa riferimento sono le ASL, l’INPS e il Comune, con le quali l’assistente sociale intrattiene rapporti istituzionali- amministrativi per le pratiche riguardanti l’invalidità civile, le pensioni, la protezione giuridica, ed altro. L’assistente sociale della struttura è in contatto anche con i servizi territoriali e, per i casi più gravi, con il GOM (Gruppo Operativo Multidimensionale). 17 fine del suddetto periodo preliminare, gli obiettivi prefissati dall’équipe vengono soddisfatti, viene subito redatto il piano di trattamento riabilitativo personalizzato, secondo i bisogni e le risorse del ragazzo in questione; l’assistente sociale ha il compito di informare la ASL tramite la documentazione sociale e sanitaria del nuovo assistito. L’assistente sociale del “Santa Caterina”, per avere un quadro completo della situazione familiare, socio- ambientale e di relazione con i servizi di riferimento, si serve del genogramma e dell’ecomappa. Questi sono due strumenti che riassumono in modo diretto e subito visibile la situazione che circonda l’assistito: il genogramma 31 è un diagramma che illustra i legami biologici e parentali tra l’ospite e i familiari, ma anche tra i familiari stessi. Esso è molto utile per individuare se i genitori sono in vita o meno, se hanno un nuovo compagno/a, se il ragazzo ha fratelli o sorelle. Tutte queste informazioni sono reperibili attraverso i colloqui con i familiari o, se in grado, con l’assistito stesso. Compagna Sorella Padre Madre L’ospite ha un fratello e una sorella; la sorella è deceduta; il padre e la madre sono divorziati; il padre ha una nuova compagna Ospite Fratello Fig. 1.3 Esempio di genogramma Fonte: rielaborazione da genogrammi realmente redatti dall’assistente sociale dell’Istituto L’ecomappa32, invece, consiste in una serie di cerchi contenenti i ruoli relazionali ricoperti dalle persone vicine al ragazzo ed altri elementi presenti nella sua vita, come 31 Questo strumento è utilizzato dall’assistente sociale della struttura per tutti gli ospiti: i nomi dei familiari vengono racchiusi in cerchi se donne e in quadrati se uomini, con la data e il luogo di nascita, eventuale data di decesso ed eventuali annotazioni generali (es.: malato). Ogni membro della famiglia è collegato da una linea orizzontale continua se fratelli/ sorelle o se sposati, la quale viene barrata se separati o divorziati, e da una linea verticale continua se figli. Nel caso di nuovo/a compagno/a (o convivenza), la linea di unione orizzontale sarà tratteggiata. Il cerchio/quadrato dell’ospite viene messo in evidenza colorandolo di rosso. Nel caso di familiare deceduto, oltre alla data di decesso, si fa una croce su tutto il cerchio/quadrato. E’ uno strumento che viene utilizzato molto anche dai terapisti familiari. 32 L’ecomappa è uno strumento, anch’esso come il genogramma, utilizzato per tutti gli ospiti della struttura: le linee che collegano i vari cerchi esterni a quello centrale variano in base al tipo e alla qualità dei rapporti. Se il rapporto è forte, la linea sarà spessa e continua; se il rapporto è debole, la linea sarà 18 hobby, servizi, religione, i quali si collegano al cerchio centrale con il nome dell’ospite in evidenza. La sua impostazione semplice, ma allo stesso tempo efficace, permette all’assistente sociale di visualizzare in modo immediato i rapporti che l’assistito ha con la famiglia, le amicizie e ciò che lo circonda, delineando il suo profilo relazionale e di integrazione socio- familiare. L’assistente sociale ha anche adattato l’ecomappa alle relazioni tra l’assistito e le figure presenti nella struttura in cui è ospitato: personale di assistenza, altro personale, amicizie in residenza, servizi, ed altro. L’utilità dell’adattamento dell’ecomappa alla vita in struttura è importante per capire se l’ospite ha un buon rapporto con gli operatori che lo assistono, con i compagni del suo nucleo e degli altri, se predilige delle attività piuttosto che altre, se ha maturato dei rapporti con persone esterne come i volontari, oppure se tende ad isolarsi e si trova in una situazione di conflitto con chi gli sta intorno. Altri parenti Parenti Tipo e qualità rapporti: Forte Amicizie, vicini di casa Ospite Hobby Debole Conflittuale Servizi Religione Fig. 1.4 Esempio di ecomappa Fonte: rielaborazione da ecomappe realmente redatte dall’assistente sociale dell’Istituto Questi due strumenti vengono utilizzati principalmente durante le riunioni di èquipe per aggiornare la situazione di ogni assistito, rendendo partecipe tutte le figure professionali coinvolte. Tutta la documentazione viene archiviata in modo cartaceo nelle cartelle personali di ciascun ospite, altro strumento essenziale per l’assistente sociale che, attraverso tutti gli stampati che formano il fascicolo relativo all’assistito, compone il suo excursus completo. Un aspetto essenziale che l’assistente sociale del “Santa Caterina” non trascura è il coinvolgimento dei familiari nella vita degli ospiti: in primo luogo, per mantenere sottile e tratteggiata; se il rapporto è conflittuale, la linea di congiunzione sarà formata da pallini neri che si susseguono. La tipologia di linea di congiunzione può variare. 19 vivo il rapporto tra la famiglia e l’assistito; in secondo luogo, per instaurare un rapporto di fiducia e di confidenza tra i familiari e l’assistente sociale. Tutto questo segue i principi di partecipazione e promozione del benessere sociale di cui si parla nel Codice Deontologico dell’Assistente Sociale, in particolare all’articolo 33, dove si fa riferimento all’importanza della famiglia: “L’assistente sociale […] riconosce la famiglia nelle sue diverse forme ed espressioni come luogo privilegiato di relazioni stabili e significative per la persona e la sostiene quale risorsa primaria.”33 Seguendo questo principio, l’assistente sociale della RSD si rende sempre disponibile a sostenere incontri individuali su richiesta con i familiari o tutori dei ragazzi, promuovendo anche incontri collettivi di nucleo di tipo informativo o ricreativo- socializzante. L’istituto “Santa Caterina”, come tutte le altre unità operative della Fondazione, istituisce dei progetti con cadenza annuale di miglioramento continuo della qualità (MCQ), dei quali l’assistente sociale è il referente. Il loro scopo è quello di garantire il benessere dell’ospite come persona con delle esigenze specifiche, attraverso il miglioramento e l’aggiornamento continuo dei progetti e delle attività svolte in struttura. L’assistente sociale, ritiene essenziale per il miglioramento qualitativo dei piani di lavoro, sia individuali che collettivi, il giudizio degli ospiti stessi; tenendo conto delle difficoltà motorie e cognitive degli ospiti a diversi livelli di gravità, l’assistente sociale ha strutturato dei questionari di gradimento alla loro portata, per favorire la loro espressione comunicativa. Il questionario è stato strutturato con una grafica semplificata, composta da immagini immediatamente comprensibili, dove ogni domanda è stata raffigurata con una semplice immagine e poche parole di riferimento. Le risposte sono state rappresentate da smile grafici dai lineamenti felici per l’approvazione, lineamenti indifferenti per esprimere neutralità e lineamenti tristi per comunicare risposta negativa. Nonostante l’elementarità del questionario, è risultato essenziale l’aiuto di un operatore che affiancasse ogni ragazzo nella compilazione, vista l’assenza delle capacità di leggere e scrivere nella maggior parte degli ospiti. Il principio a cui si rifà l’assistente sociale, secondo il quale anche una persona affetta da disabilità lieve o grave che sia, ha il diritto di esprimersi come ogni persona capace, nasce dalla Carta dei Diritti alla 33 Da: www.oastoscana.it/normativa_codice.php?sez=8 [visitato: 30/11/2011]. 20 Comunicazione. Essa esprime a pieno l’esigenza del disabile di essere ascoltato, compreso e che gli venga garantita l’opportunità di esprimersi come persona. Questo è importante perché anche soggetti affetti da disabilità psichica hanno il diritto di ricevere informazioni per poter partecipare ai dialoghi e alle discussioni che lo riguardano, in quanto essere umano capace di influenzare le condizioni della sua vita attraverso la possibilità di poter comunicare. 34 La promozione di attività di integrazione sociale, in collaborazione con le figure professionali operanti in struttura e all’esterno, offre un’importante stimolo per la redazione di progetti di diversa entità che possono essere svolti con gli ospiti. Attraverso i contatti con i singoli, con i gruppi di volontariato o con le associazioni, l’assistente sociale ha il compito e gli strumenti per organizzare attività finalizzate allo sviluppo del benessere degli assistiti, consultandosi in modo assiduo con i professionisti dell’équipe per curare al meglio la stesura di piani di lavoro adatti all’utenza. Capitolo IV L’Associazione AILA L’Associazione Italiana di Lavoro in Acqua, denominata AILA e fondata il 9 settembre del 2009, è una scuola di addestramento per i cani da soccorso per il salvataggio in acqua che collabora con la Croce Rossa Italiana di Pisa, affidandosi ad essa per il soccorso, le emergenze e la Protezione Civile con l’ausilio di cani da salvataggio. L’associazione è anche riconosciuta dal CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano) e affiliata allo CSEN (Centro Sportivo Educativo Nazionale), organizzando prove sportive di abilitazione al soccorso nautico per il rilascio di brevetti.35 Personalmente, sono una socia attiva di AILA e mi sono avvicinata ad essa per intraprendere il percorso di addestramento al salvataggio in acqua del mio cane di razza Terranova. 34 Guidelines for Meeting the Communication Needs of Persons With Severe Disabilities, Philosophy Statement,1992, da: www.asha.org/docs/html/GL1992-00201.html [visitato: 30/11/2011]. 35 Da: www.lavoroinacqua.it/cgi-bin/chisiamo.php [visitato: 04/12/2011]. 21 4.1 Gli attori: fusione tra i soci volontari e i propri cani. «Quella necessaria presenza che per il cane è l’uomo e per l’uomo è il cane, non li tradiva mai, né l’uno né l’altro; e per quanto diversi da tutti gli uomini e cani del mondo potevan dirsi, come uomo e cane, felici».36 Da questa citazione, tratta da un romanzo del celebre Italo Calvino, emerge l’emblematico legame che unisce l’uomo con il proprio cane, qualcosa che appare indissolubile e che è in grado di creare un rapporto di piena fiducia e serenità. Tutti i soci volontari di AILA possiedono con il proprio cane una sorta di empatia essenziale per comprendersi nella vita di tutti i giorni e durante le attività svolte in associazione. Il gruppo conta di numerosi soci con i loro cani, i quali lavorano insieme agli istruttori cinofili competenti seguendo il cosiddetto metodo gentile, collaborando con il Dipartimento di Scienze Fisiologiche dell’ Università di Pisa, tramite i Veterinari comportamentalisti di Etovet.37 Il metodo gentile di addestramento è un punto focale per l’associazione, la quale crede nel compito del saper comunicare per insegnare al cane, senza punizioni per gli errori che nascono per la non consapevolezza e soprattutto dettati dal loro istinto. Per mettere in atto questo metodo il rapporto tra padrone e cane deve essere di assoluta affettività, in modo da capire i suoi pensieri e comportamenti, cosicché il cane arrivi a capire che il padrone è un efficace aiutante in tutte le occasioni, sia sociali che familiari.38 4.2 Lo statuto:punto importante per la definizione delle attività. Lo statuto dell’Associazione Italiana di Lavoro in Acqua si compone di diciannove articoli ed è stato approvato all’unanimità il 9 settembre del 2009. Esso riveste una guida importante per l’associazione, soprattutto per definire gli ambiti delle attività in cui essa può essere coinvolta. Essendo un gruppo nell’ambito della cinofilia, agirà con l’ausilio di cani addestrati al salvataggio in acqua. Le attività sono di carattere sportivo agonistico-ricreativo per lo sviluppo morale e psico-fisico dei soci, 36 I. CALVINO, Il barone rampante, Milano, Einaudi Scuola, 2000, cap. X, p.80. Gruppo di ricerca in Etologia e Fisiologia Veterinaria dell’Università di Pisa. 38 Da: www.lavoroinacqua.it/cgi-bin/gentile.php [visitato: 05/12/2011]. 37 22 specialmente nell’ addestramento al salvataggio, dove il cane può aiutare l’uomo ma non vi potrà mai sostituirsi. Le molteplici attività riguardano l’addestramento a terra e in acqua che prevedono anche il conseguimento di brevetti a livello nazionale e non; attività di volontariato e protezione civile per la salvaguardia della vita in mare svolte attraverso l’ausilio di Unità Cinofile opportunamente riconosciute; infine, e non per importanza, lo sviluppo di alcune attività in campo sociale e benefico a favore di persone portatrici di handicap e altri soggetti che vertono in una condizione di svantaggio (es.: anziani), in modo volontaristico attraverso un’azione libera e gratuita per ragioni di solidarietà, giustizia sociale, altruismo o di qualsiasi altra natura. 39 Capitolo V L’esperienza tra volontari, cani da salvataggio e ragazzi disabili psicofisici L’iniziativa di promuovere una serie di incontri tra gli ospiti dell’istituto “Santa Caterina” e i volontari con i loro cani dell’Associazione Italiana di Lavoro in Acqua nasce dall’idea di sperimentare come l’utenza della struttura potesse reagire all’incontro con il cane. Si tratta di semplici ritrovi, durante i quali i volontari di AILA insegnano agli assistiti come ci si approccia al cane e come si accudisce, nonché ad intraprendere alcuni giochi elementari impiegando colori ed immagini per insegnare loro a dare i comandi dell’obbedienza di base all’animale. Questo progetto sperimentale si focalizza principalmente sul far passare momenti diversi e di benessere agli ospiti affetti da disabilità psicofisica, mettendo anche in relazione i soci volontari dell’associazione con il personale interno dell’istituto, auspicando in un futuro prossimo la formalizzazione di una vera e propria collaborazione riconosciuta metodologicamente. 5.1 Gli obiettivi. L’esperienza si pone il semplice obiettivo di portare momenti di spensieratezza e divertimento ai ragazzi assistiti nell’istituto “Santa Caterina”, attraverso la conoscenza del cane ed il legame che si instaura tra l’uomo ed esso; inoltre, ha la finalità di sviluppare un senso solidale e di motivazione verso attività di volontariato da parte dei 39 Da: www.lavoroinacqua.it/cgi-bin/documenti/S T A T U T O AILA.pdf 23 soci volontari di AILA e di trarre da questa iniziativa la giusta positività e il giusto entusiasmo per rafforzare il legame con il proprio cane e affrontare con più serenità le normali azioni quotidiane. «A un cane non importa se sei ricco o povero, intelligente o stupido. Dagli il tuo cuore e lui ti darà il suo».40 Questo riferimento è tratto da un’autobiografia redatta da un giornalista americano dedicata al suo cane ed esprime l’aspetto non pregiudizievole dell’animale e la sua principale caratteristica del legame affettivo. Non giudicando per l’aspetto o le capacità, il cane mostra atteggiamenti che danno vita a diversi stimoli, utili anche a persone affette da handicap psicofisici. Attraverso un primo approccio al cane si insegna ad accudirlo attraverso semplici azioni, come la spazzolatura, il porgere il cibo o una ciotola d’acqua. Questi semplici gesti stimolano l’individuo all’autonomia perché si sentono importanti per il cane, passando per una volta dalla parte di chi dà assistenza e sviluppano un senso di sicurezza di sé. Il cane è capace di stimolare il soggetto anche a livello affettivo ed emotivo, grazie alla meraviglia e alla simpatia che è in grado di suscitare e sviluppa la capacità di identificarsi in esso, anche perché l’animale è capace di capire dove ci sono limitazioni e “difetti” che all’occhio umano non sono sempre accettabili e ne fa fonte di affettuosità ed ilarità. Attraverso quest’empatia il ragazzo disabile si sente a suo agio nello scambiare affetto con il cane, mostrando commozione e voglia di avere contatto con esso apprezzandone la morbidezza o l’odore del pelo, nonché il calore e il ritmo della respirazione che può portare ad uno stato di rilassamento. Un altro tipo di stimolo è quello motorio: il cane stimola azioni come camminare, correre, saltare e lanciare oggetti. Quest’ultimi comportamenti nascono attraverso la semplice condotta la guinzaglio, in modo da rendere consapevole il ragazzo dell’intensità e la forza necessaria nel condurlo, visto il chiaro linguaggio del cane in guaiti se si stringe troppo la presa, o il rimanere vicino al conduttore con docilità se tutto avviene in modo corretto e piacevole. Un altro obiettivo è quello di stimolare nel ragazzo disabile una coscienza causa-effetto, che consiste nel produrre gesti in modo coordinato nel momento opportuno per scatenare una precisa reazione nel 40 J. GROGAN, Io e Marley, Sperling Paperback, 2011, cap. 28, p. 321. 24 cane. Questo stimolo può nascere con lo svolgimento di semplici giochi caratterizzati dal movimento del ragazzo affiancato dal cane al guinzaglio verso bersagli definiti. 41 5.2 L’esecuzione degli incontri. I soci volontari dell’Associazione Italiana Lavoro in Acqua che si sono recati all’istituto “Santa Caterina” per il progetto sperimentale sono stati in totale cinque; i rispettivi cani erano tutte femmine, precisamente una Terranova, due Labrador dal pelo nero e due dal pelo biondo. I professionisti della RSD hanno scelto un gruppo di ospiti ritenuti idonei per gli incontri: quattro partecipanti dei nuclei 1, 2 e 5, tre partecipanti per il nucleo numero 3, cinque per il nucleo 4 e, infine, sette assistiti del Centro Diurno. Le diverse figure professionali della struttura, quali educatori, terapisti occupazionali e OSA hanno assistito agli incontri seguendo il loro turno lavorativo, accompagnando i partecipanti del nucleo a loro assegnato. L’assistente sociale e la psichiatra hanno sempre partecipato agli incontri per poter dare una valutazione su eventuali esiti positivi o negativi dell’esperienza. Il fattore importante, che si è cercato di non trascurare in nessuno degli incontri, è stato quello della gradualità nello svolgimento dei semplici compiti intrapresi. Lo schema delle attività era molto flessibile e ben adattabile alla giornata, senza grandi aspettative od obiettivi precisi: tutto stava nell’osservare le reazioni dei ragazzi disabili al contatto col cane e durante gli esercizi che venivano loro insegnati. Il primo giorno gli ospiti della struttura hanno dimostrato un forte entusiasmo iniziale, caratterizzato da una forte eccitazione suscitata dalla vista dei cani. Le attività si sono svolte in un ambiente molto idoneo e stimolante, quale il giardino della struttura, dove un grande gazebo permetteva lo svolgimento degli esercizi. La fase iniziale riguardava l’approccio al cane, parte essenziale per permettere la conoscenza e l’interazione tra l’animale e il ragazzo. Cercando di usare termini di facile comprensione e mostrando attivamente le manovre, una volontaria ha spiegato il modo in cui ci si avvicina al cane per la prima volta: avvicinarsi da un lato in modo tranquillo, avvicinare la mano al muso e farsi annusare, accarezzare dolcemente il cane 41 dal documento di presentazione del progetto sperimentale, redatto dal Presidente di AILA A. Zannini, Progetto di collaborazione tra AILA (Associazione Italiana di Lavoro in Acqua) e U.O. Cdr-RSD “Santa Caterina” di Collesalvetti. 25 di lato e possibilmente non sulla testa. Durante l’illustrazione i ragazzi erano stati disposti a sedere sulle panche in semicerchio per cercare di coinvolgerli il più possibile: gli ospiti un po’ più autonomi dei nuclei 3 e 4 erano abbastanza attenti nel guardare ciò che veniva spiegato; altri invece, essendo ragazzi con una disabilità più grave, erano più distratti e manifestavano sempre l’eccitazione dell’arrivo lasciandosi trasportare incondizionatamente dalle loro sensazioni senza essere in grado di controllarle. Gli ospiti che non si servono dell’ausilio di sedie a rotelle e quindi, in grado di camminare e di avere maggiore padronanza del proprio corpo, sono stati i primi ad avvicinarsi ai cani; ognuno di loro individuava il cane che più lo attraeva ( per dimensione, lunghezza del pelo, colore del pelo o semplice simpatia) e, con l’aiuto dei soci volontari di AILA, ripetevano le fasi di approccio, terminando con la carezza, gesto molto importante che favorisce il coordinamento oculo- manuale e porta ad avere padronanza dell’intensità del tocco. Con i ragazzi affetti da una disabilità più grave e che erano vincolati alla sedia a rotelle l’esercizio di approccio è stato diverso: innanzitutto, il cane veniva fatto posizionare di lato alla carrozzina e l’ospite, con l’aiuto dell’operatore della struttura, cercava di accarezzarlo nel modo in cui riusciva, vista la difficoltà che qualcuno aveva nell’aprire o ruotare in modo corretto la mano o il polso. Dopo che ogni ragazzo aveva avuto il suo primo contatto con il cane, ognuno con una reazione diversa, è stato possibile insegnare loro semplici esercizi di accudimento verso l’animale: portare la ciotola dell’acqua al cane prescelto, spazzolarlo o dare il premio attraverso un biscotto. La semplice procedura del porgere l’acqua al cane iniziava con l’andare a prendere la bottiglia dell’acqua e versarne un po’ nella ciotola e portargliela di fronte. Una volta che il cane aveva bevuto il ragazzo si faceva annusare la mano e lo accarezzava dolcemente, come precedentemente avevamo insegnato loro nella fase di approccio. Per i ragazzi impossibilitati a muoversi l’esercizio è stato adattato, saltando la fase della ciotola dell’acqua e passando direttamente al porgere il biscotto; sempre con l’aiuto di un operatore, i ragazzi porgevano il biscotto al cane e appena percepivano la sensazione di umido, data dalla saliva del cane e dalla lingua, le loro espressioni cambiavano: una è stata quella di rifiuto sottraendo la mano, l’altra è stata quella di sensazione piacevole data dal solletico. Nonostante le due reazioni opposte, anche chi dimostrava sensazione negativa, successivamente ha voluto continuare a porgere il biscotto al cane grazie alla forte ilarità data dal semplice 26 contatto. L’esercizio della spazzolatura ha avuto due finalità diverse: per chi aveva una disabilità meno grave e riusciva a camminare e ad avere padronanza del proprio corpo è servito per sviluppare una maggiore autonomia e sicurezza di sé; per chi era affetto da disabilità motoria grave è stato utile per lo sviluppo del movimento. Nel primo gruppo i ragazzi riuscivano da soli a capire quando il cane era ben spazzolato ed il pelo era liscio abbastanza per fermare l’operazione di spazzolatura; nel secondo gruppo i ragazzi, attraverso la semplice azione di prendere in mano la spazzola, si impegnavano a fare movimenti importanti per la loro limitata mobilità. Questi tre esercizi di accudimento del cane venivano ripetuti all’inizio di tutti gli incontri, diventando una sequenza che ogni ragazzo aveva acquisito, ripetendola in modo autonomo. Negli incontri successivi sono stati proposti dei giochi, insegnando ai ragazzi a dare i comandi dell’obbedienza di base ai cani. Per permettere un adeguato svolgimento delle attività è stato necessario sperimentare la condotta al guinzaglio che ha coinvolto non solo i ragazzi in grado di camminare, ma anche chi era sulla sedia a rotelle: chi riusciva teneva il guinzaglio in mano, altrimenti veniva messo a tracolla dell’ospite in modo che non cadesse. Questo esercizio ha prodotto reazioni positive perché ogni ragazzo si sentiva importante e responsabile nel portare a spasso il cane, il quale in quel momento era l’ “oggetto di accudimento” che era sotto il loro comando. Dopo che i ragazzi avevano preso maggiore confidenza con il cane che preferivano, è iniziato lo svolgimento dei semplici giochi: nel primo si utilizzano tre foto di cane rispettivamente seduto, a terra e in piedi, disposte su tre pareti diverse del gazebo. Il ragazzo, conducendo il cane al guinzaglio, doveva posizionarsi di fronte alla foto, riconoscere la posizione del cane che era raffigurata, dargli quel preciso comando e, per finire, premiarlo con un biscotto; questo per tutte e tre le foto. La sequenza di comandi è stata svolta con tutti i ragazzi che se la sentivano di provare e i risultati sono stati molto buoni: tutti hanno partecipato con entusiasmo e alla vista del cane che eseguiva il comando che loro stessi davano sviluppava in loro un grande senso di autostima e autorità, manifestata con grandi sorrisi, ricerca di approvazione dagli operatori, gesti come applausi o pollici alzati in segno di positività. In questo gioco la difficoltà per i ragazzi stava nel riconoscere la giusta posizione del cane nella foto e associarvi il comando giusto, ma è stata superata facilmente anche grazie all’aiuto dei volontari che hanno condotto l’esercizio, suggerendo sempre tutti e tre i comandi in 27 questione per dare modo ai ragazzi partecipanti di riflettere e arrivare alla risposta corretta. Il secondo gioco motorio puntava soprattutto sulla memoria: su tre pareti differenti erano stati appesi dei cerchi di colore diverso e ad ognuno di essi corrispondeva un comando da dare al cane: il colore verde corrispondeva al comando di seduto, il rosso al comando di posizione a terra e il blu al richiamo. Il volontario che affiancava il ragazzo nell’esercizio, prima di iniziare, gli spiegava lo svolgimento in modo che si ricordasse a quale comando corrispondeva il colore del cerchio che aveva di fronte; una volta iniziato il percorso, il ragazzo cercava di ricordarsi autonomamente l’associazione del colore al giusto comando e, una volta avuta la conferma dal volontario della risposta corretta, lo comandava al cane e lo premiava con il biscottino. La difficoltà di questo gioco era un po’ più alta rispetto a quello precedente perché metteva alla prova la concentrazione dei ragazzi e la loro capacità di recuperare le informazioni. Qualche assistito sapeva sia riconoscere i colori sia ricordarsi il comando associato, atri invece non sono stati in grado di fare l’attribuzione corretta a causa di problematiche più serie, ma si sono ugualmente divertiti nel vedere il cane che ubbidiva ai loro comandi. Una volta arrivati all’ultimo giorno prestabilito è stato necessario, anche sotto insistente richiesta da parte degli operatoti e dei ragazzi stessi, prolungare di altri due incontri l’attività, questo dettato sia dalla bella stagione che stava imperversando sia dalla positività che investiva l’ambiente grazie alla presenza dei cani. Con l’aggiunta di altri due incontri è stato possibile dare più spazio ai ragazzi del Centro Diurno, i quali dopo la chiusura del centro nel primo pomeriggio non sarebbero potuti rimanere con i cani fino alla fine delle attività. Dando anche a loro questa opportunità è stato possibile osservare più a lungo anche la reazione di questi assistiti ospitati in semiresidenziale, dimostrando ai professionisti che si occupano della loro riabilitazione ed educazione di avere capacità ed emozioni che non avevano ancora avuto modo di esprimere. 5.3 L’esito dell’esperienza: la raccolta dei dati e i pareri professionali. Il progetto sperimentale ha impiegato diversi strumenti; oltre agli oggetti utilizzati per l’esecuzione degli esercizi precedentemente descritti, è stato necessario preparare 28 una scheda di valutazione per incontro delle attività, da distribuire agli operatori di ogni nucleo per raccogliere le necessarie informazioni sulle impressioni e gli esiti dell’esperienza. La scheda si compone di una parte dove si chiede di indicare il ruolo del professionista che esegue la compilazione, barrare se si opera nel Centro Diurno o nella residenza e, nella seconda parte, si chiede si rispondere ai tre punti forniti: impressioni iniziali e generali sui ragazzi, l’organizzazione e i volontari di AILA, impressioni professionali sulle attività e, per ultimo, conclusioni professionali sull’incontro riguardanti eventuali risultati ottenuti oppure aspettative confermate, superate o non raggiunte. Queste schede di valutazione sono state distribuite alla fine del primo incontro, spiegandone la finalità a ciascun operatore e, successivamente, ritirate a progetto concluso. La compilazione della scheda valutativa per gli ospiti partecipanti all’esperienza del nucleo 1-2, che ricordiamo accolgono utenti affetti da ritardo mentale grave- gravissimo e compromissione del funzionamento sensoriale e motorio, è stata redatta da un operatore OSA e da un educatore. La prima di queste due figure professionali ha ritenuto l’esperienza stimolante anche per gli ospiti più apatici e isolati, con un quasi immediato superamento delle paure iniziali e il raggiungimento di ottimi risultati relazionali. L’interesse per i cani ha portato a svolgere operazioni in poco tempo, le quali solitamente si raggiungono con tempi di esecuzione molto più lunghi. Qualche ragazzo, nonostante la difficoltà di comunicazione, ha riferito il ricordo dell’esperienza anche a distanza di tempo. L’educatore ha valutato l’attività molto adatta e superiore alle aspettative: i ragazzi hanno chiesto in modo insistente i nomi dei cani e dei loro padroni e per questo già al secondo incontro li avevano imparati e in ogni momento della giornata aspettavano in modo impaziente la volta successiva. I volontari sono stati giudicati molto competenti e capaci a relazionarsi con questo tipo di utenza. Per quanto riguarda la valutazione da parte di un educatore operante nel nucleo 3, in cui vengono ospitati soggetti affetti da ritardo mentale grave e disturbi comportamentali di livello medio- gravi, è stata riscontrata una buona relazione fin da subito tra i ragazzi e i volontari dell’associazione che ha rafforzato l’autonomia e l’autostima data, appunto, dalla presenza di figure adulte di riferimento. Questo buon rapporto, che ha favorito tranquillità e aperto dialogo, ha reso possibile raggiungere gli obiettivi di socializzazione e di integrazione. Gli esercizi sull’accudimento del cane 29 sono risultati fondamentali per l’autonomia e la soddisfazione personale e le aspettative sono state soddisfatte in modo adeguato. Il nucleo 4, rammentando che accoglie persone con ritardo lieve-moderato e aree senso- motorie lievemente compromesse è stato valutato dagli educatori e dai terapisti occupazionali i quali hanno notato una buona capacità relazionale dei volontari che ha portato a un grande interesse da parte dei ragazzi. Essi si sono espressi anche in modo precisamente professionale, evidenziando il fatto che a livello riabilitativo le attività, se strutturate in modo specifico e individuale, si dimostrano un buono strumento di stimolazione affettivo- emotivo ed estremamente idonee al tipo di utenza. Gli educatori e i terapisti occupazionali di questo nucleo ritengono opportuno, in previsione di un probabile progetto definito e a scopi puramente medico-riabilitativi, intensificare l’attività vista la ridotta gravità di disabilità dei ragazzi di questo gruppo. Per gli assistiti del nucleo numero 5, i quali sono soggetti con ritardo mentale grave e disabilità motoria, l’educatore è il professionista che li ha seguiti nell’esperienza ed esso ha avuto risposte differenti dalle aspettative: alcuni ragazzi che credeva potessero coinvolgersi particolarmente si sono dimostrati indifferenti, mentre ragazzi che sono solitamente isolati e poco attivi hanno manifestato grande entusiasmo ed interesse. Data la grave disabilità motoria e linguistica, le attività si sono basate principalmente sulle stimolazioni sensoriali che hanno avuto dei risultati molto positivi a livello relazionale e di movimento, quindi formalizzando le attività con uno scopo riabilitativo si potrebbero raggiungere dei risultati soddisfacenti anche per questi ospiti impossibilitati nel movimento. Per quanto riguarda il Centro Diurno della struttura, si ricorda che esso accoglie persone che presentano handicap diversi di gravità medio- alta e pluridisabilità con minima competenza sociale. Secondo il parere professionale dell’educatore, il quale ha accompagnato i ragazzi negli incontri, l’influenza positiva dei cani ha permesso di superare alcuni limiti personali come paure, comportamenti provocatori, comportamenti aggressivi o scarsa attenzione a ciò che li circonda. La presenza e il contatto con i cani ha creato un’atmosfera di tranquillità e serenità anche per soggetti più agitati. Un’ altra professionista che ha compilato la scheda valutativa e in più ha redatto una piccola relazione finale sull’esperienza è l’assistente sociale. Essa valuta le attività proposte adatte a ragazzi con diversi gradi di disabilità; esse stimolano il contatto visivo 30 e tattile, l’area motoria, l’autonomia personale e l’autostima, nonché favoriscono la capacità di relazione e l’integrazione sociale. Secondo la sua attenta osservazione, nessuno si è sentito escluso dalle attività perché ognuno è stato coinvolto secondo le proprie capacità di movimento e cognitive, soprattutto i ragazzi più autonomi, che hanno eseguito esercizi graduali fino a raggiungere un buon risultato. Le sue aspettative sono state sia soddisfatte che superate nel vedere i benefici che i ragazzi traevano dalla stimolazione dell’attenzione, l’assiduità nello stabilire un contatto visivo continuo e nello stabilire un’interazione sia dal punto di vista comunicativo che emozionale. Essa ha riscontrato in alcuni soggetti una rara condizione di rilassamento e di autoregolazione emotiva. Alcune semplici azioni hanno esercitato la manualità anche per chi ha limitate capacità di movimento, favorendo la mobilitazione degli arti superiori, ad esempio accarezzando il cane o, tramite altre attività, di quelli inferiori attraverso la deambulazione con la conduzione al guinzaglio. L’assistente sociale, proprio per il ruolo che ricopre, è stata portata a valutare non solo gli aspetti riguardanti i ragazzi, ma in generale tutte le reazioni di chi ha assistito all’esperienza; infatti, è risultata importante e utile anche per gli operatori, i quali sono stati stimolati a condurre un lavoro di gruppo in modo più coeso, leggero e rilassato, favorendo collaborazione di gruppo tra colleghi e superiori. Le sue conclusioni risultano più che positive e determinate a definire la sperimentazione di questa attività con i cani e i volontari di AILA un valido riferimento per una programmazione futura delle attività socioriabilitative della struttura, improntando il lavoro su una metodologia riconosciuta e ben definita, fatta di percorsi individuali e di gruppo. L’assistente sociale ritiene che tali attività potrebbero costituire un’efficace terapia per i disabili con sensibili miglioramenti nelle aree cognitiva, emotiva e relazionale, attraverso interventi concordati tra le varie figure professionali. 5.4 I ragazzi disabili si esprimono. Come già precedentemente esposto nel capitolo 3 al paragrafo 3.2, il giudizio degli ospiti è molto importante e non è da sottovalutare; anche loro, nonostante la disabilità che limita la loro autonomia psicomotoria, hanno il diritto di esprimere le loro opinioni ed emozioni. Seguendo questo principio, ho costruito un questionario nella 31 stessa forma in cui lo ha costruito l’assistente sociale dell’istituto durante il periodo del mio tirocinio, per avere il giudizio degli ospiti sul progetto di miglioramento della qualità.42 Il questionario di gradimento delle attività,43 quindi, è stato strutturato in quattordici domande scritte con linguaggio elementare e illustrate con disegni colorati raffiguranti il contesto del quesito. Le risposte sono state rappresentate da smile grafici: una con un sorriso che esprime positività, una con un’espressione triste per la risposta negativa e una che manifesta neutralità e indifferenza; anch’esse sono state colorate di un giallo acceso per catturare l’attenzione, visto che l’impatto visivo è la chiave fondamentale per inviare direttamente il messaggio e suscitare la sensazione che spinge a dare la risposta scelta in pazienti di questo tipo. L’aiuto degli operatori è risultato essenziale, viste le ridotte o assenti capacità di lettura o scrittura degli utenti, per la compilazione delle preferenze, che sono state marcate con una x. I loro giudizi sono stati molto positivi, sia per quanto riguarda le attività svolte con piacere, sia per la voglia di ripetere nuovamente l’esperienza. Attraverso l’elaborazione delle risposte date, solo uno degli ospiti non ha reagito positivamente all’esperienza, dando risposte negative a tutte le domande relative al gradimento delle attività svolte; questo perché non è riuscito a superare il timore che ha verso il cane. Per il resto, gli altri ospiti hanno risposto in modo positivo a tutti i quesiti, compreso quello riguardante il rinnovo futuro dell’esperienza. Dal questionario sono emersi due fattori molto positivi: il primo, riguarda il fatto che, nonostante la maggior parte dei soggetti coinvolti non ha mai posseduto un cane in famiglia, essi non hanno avuto timore ad approcciarsi al cane per la prima volta; il secondo fattore è quello riguardante il fatto che la maggior parte di loro ha raccontato a qualcuno di esterno al progetto dei giochi e delle attività svolte con i cani. Questo significa che l’esperienza è rimasta impressa nei loro ricordi, procurando in loro la voglia di raccontare ad altri quello che hanno provato. Il fatto di aver coinvolto cani di razza, colore e pelo differente ha stimolato nei ragazzi le preferenze più varie verso i cani protagonisti: Skila o Laika sono state preferite per il colore chiaro del pelo o per l’ilarità causata dadi Skila per il suo modo di leccare in modo festoso le mani o le guance dei ragazzi; Kerry, essendo una Terranova, ha attirato i ragazzi per la dimensione, la morbidezza del pelo e la sua indole molto 42 43 rif. in questa tesi, Il ruolo dell’assistente sociale e il lavoro di équipe, cap. 3, par 3.2, p. 20. Allegato n° 1. 32 calma; Benny ha colpito molto per il colore nero lucido del pelo e la sua capacità di chiedere in modo continuativo le attenzioni dei ragazzi e le coccole. Essendo una sperimentazione, i giudizi sia dei professionisti, sia dei ragazzi, risultano il punto iniziale per gettare le basi per un progetto futuro che abbia degli obiettivi da raggiungere e soddisfare. Inoltre, questo esperimento è servito per individuare anche eventuali criticità, come capire chi dei ragazzi ha paura dei cani, per essere in grado di strutturare al meglio possibili interventi individuali. A questo proposito, quindi, tutte le risposte al questionario di gradimento dei ragazzi disabili risultano la chiave di partenza fondamentale per la costruzione di un vero e proprio progetto studiato a tavolino da un’équipe competente sia dal lato dei ragazzi, sia dal lato dei cani che si potranno prestare a tali attività future. Osservazioni conclusive Il 21 ottobre del 2005 viene approvato un documento intitolato «Problemi bioetici relativi all’impiego di animali in attività correlate alla salute e al benessere umani »44 redatto dal Comitato Nazionale di Bioetica, dove si sono volute prendere in considerazione le attività di cosiddetta Pet-Therapy, svolte con l’ausilio di animali a favore degli individui. Il termine Pet-Therapy racchiude in sé, senza distinguerle, le Attività Assistite da Animali (A.A.A.) e le Terapie Assistite da Animali (T.A.A.); le prime consistono in interventi ricreativi svolti con l’ausilio di animali con determinati requisiti, rivolti a persone che versano in uno stato di disagio fisico ed emotivo. Le T.A.A. invece, sono interventi che hanno obiettivi e organizzazione specifica, finalizzati ad essere trattamenti terapeutici, affiancando le normali terapie riabilitative senza, però, sostituirle. L’équipe dedicata a questo tipo di interventi deve comprendere sia professionisti che si occupano del beneficio degli individui, sia professionisti che si occupano del benessere dell’animale impiegato nelle attività. Secondo questo documento della Presidenza del Consiglio dei Ministri risalente all’anno 2005, ancora in Italia non esisteva una vera e propria normativa in materia di Pet-Therapy, tranne che un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2003, dove viene accettato l’accordo tra il Ministero della salute, le regioni e le province 44 Da: www.iss.it/binary/neco/cont/presidenza.1149077632.1202903589.pdf [visitato il: 06/12/2011]. 33 autonome di Trento e Bolzano, per il benessere degli animali da compagnia e PetTherapy. Il suddetto decreto però non ha dato alcuna definizione delle attività che caratterizzato gli interventi di Pet-Therapy e si è limitato soltanto a delineare la distinzione tra gli animali catalogati domestici e quelli selvatici. Fino al 2005, quindi, non veniva riconosciuta una vera metodologia scientifica per poter rendere ufficialmente riconosciuti gli interventi di Pet-Therapy, dandone anche una precisa definizione e facendo una distinzione precisa delle diverse attività in essa racchiuse. Un passo avanti si ha con la legge regionale n. 59 del 20 ottobre del 2009 denominata «Norme per la tutela degli animali», con la quale, all’articolo 16, si parla ufficialmente per la prima volta di attività e terapie assistite da animali. La svolta definitiva si è avuta di recente con il Regolamento di attuazione della legge regionale 20 ottobre 2009, n. 59 «Norme per la tutela degli animali», n. 38/R del 4 agosto del 2011; con esso viene regolamentata in modo ufficiale l’attività di PetTherapy divisa in Attività Assistite da Animali e Terapie Assistite da Animali. Deve essere individuato un responsabile di progetto che fa comunicazione alla ASL dell’inizio dello stesso, il quale deve essere redatto da operatori competenti e documentati. A questo proposito, esistono diversi corsi per operatori cinofili in PetTherapy, come quello presentato dal Centro Sportivo Educativo Nazionale (CSEN), che si sta svolgendo presso il Comitato Regionale del settore cinofilia della Regione Toscana a Grosseto ed avrà una durata di sei mesi, con termine a maggio 2012. Il corso si pone l’obiettivo di formare operatori capaci di condurre il cane in attività di PetTherapy e in grado di lavorare in un’équipe multidisciplinare. Il conseguimento del titolo avviene attraverso il superamento di un’ esame con il rilascio di un tesserino tecnico nazionale di qualifica, insieme al diploma e all’iscrizione all’albo nazionale CSEN.45 Grazie a questi corsi di formazione professionale e all’ufficiale riconoscimento normativo delle attività e terapie assistite da animali, si gettano le basi per poter redarre efficienti e validi progetti di Pet-Therapy per apportare in modo scientificamente riconosciuto dei benefici a persone che vertono in condizioni di disagio fisico e mentale. Visto il risultato positivo che il progetto sperimentale tra l’Associazione Italiana di Lavoro in Acqua e il CdR- RSD “Santa Caterina” di Collesalvetti ha avuto con i ragazzi affetti da disabilità psicofisica, l’associazione operante in ambito cinofilo si 45 Da: www.csencinofiliatoscana.it/corso_pet.htm [visitato il: 06/12/2011]. 34 auspica di poter formalizzare e studiare attività con obiettivi che seguano delle linee guida specifiche. 35 Bibliografia Aronson E., Wilson T.D., Akert R.M. (2006), Psicologia Sociale, Bologna, Il Mulino. Berzano L., Prina F. (1995), Sociologia della devianza, Roma, La Nuova Italia Scientifica. Calvino I. (2000), Il barone rampante, Milano, Einaudi Scuola. Ferrucci F. (2004) , La disabilità come relazione sociale. Gli approcci sociologici tra natura e cultura, Catanzaro, Rubettino. Goffman E. (1983), Stigma. L’identità negata, Milano, Giuffré. Grogan J. (2011), Io e Marley, Sperling Paperback. Izzo F. (a cura di) (2009), Codice civile e leggi complementari, Costituzione della Repubblica Italiana, edizioni giuridiche Simone. Jervis G. (1997), Manuale critico di psichiatria, Milano, Feltrinelli. Parsons T. (1981), Il Sistema sociale, Edizioni di Comunità. Resico D. (2005), Diversabilità e integrazione. Orizzonti educativi e progettualità, FrancoAngeli. Regolamenti Associazione AILA, (2011), Progetto di collaborazione tra AILA (Associazione Italiana di Lavoro in Acqua) e U.O. Cdr-RSD “Santa Caterina” di Collesalvetti. CdR-RSD “Santa Caterina” di Collesalvetti (2010), Carta dei Servizi. CdR-RSD “Santa Caterina” di Collesalvetti (2010), Regolamento Interno. 36 Sitografia www.asha.org, American Speech-Language-Hearing Association.. www.csencinofiliatoscana.it, Centro Sportivo Educativo Nazionale settore cinofilia Toscana. www.danna.it, Handicap e società. www.darioianes.it, Modello concettuale dell’ ICF. www.handicapincifre.it, Modello sequenziale dell’ICIDH. www.handylex.org, Persone con disabilità e diritti. www.iperbole.bologna.it, Per una psico-sociologia dell’handicap. www.iss.it, Istituto superiore di Sanità. www.istruzione.it, Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità. www.lavoroinacqua.it, Associazione Italiana di Lavoro in Acqua. www.oastoscana.it, Ordine Professionale degli Assistenti Sociali della Regione Toscana. www.solcoct.it, Il percorso evolutivo, i criteri e gli aspetti fondamentali dell’I.C.F. www.wikipedia.it, Wikipedia, l’enciclopedia libera. 37 Allegato: lo strumento di rilevazione Questionario di gradimento sulle attività svolte tra i ragazzi e i cani. Rispondere alle domande (con l’aiuto di un operatore, se necessario) barrando con una “X” la risposta scelta. Grazie per la collaborazione, BUON DIVERTIMENTO e BUON LAVORO!!! DOMANDA GIUDIZIO 1) TI È PIACIUTA L’ATTIVITÁ CON I CANI? SI’ NO NON LO SO SI’ NO NON LO SO 2) HAI AVUTO PAURA DEI CANI? 3) QUALE CANE TI È PIACIUTO DI PIU’? BENNY o MISTY SKILA o LAIKA KERRY -PERCHÉ? (l’operatore trascriva in due righe la risposta del ragazzo: preferenze di colore, di lunghezza del pelo, di grandezza del cane, altro…) 4) TI È PIACIUTO DARE DA BERE AL CANE? SI’ NO NON LO SO 38 5) TI È PIACIUTO ACCAREZZARE IL CANE? SI’ NO NON LO SO SI’ NO NON LO SO SI’ NO NON LO SO SI’ NO NON LO SO 6) TI È PIACIUTO PORTARE IL CANE AL GUINZAGLIO? 7) TI È PIACIUTO DARE IL BISCOTTINO AL CANE? 8) TI È PIACIUTO DARE COMANDI AL CANE? I 9) QUALE COMANDO TI È PIACIUTO DI PIU’ DARE AL CANE? SEDUTO TERRA SU / IN PIEDI 39 10) SE LO HAI FATTO E TE LO RICORDI, TI È PIACIUTO FARE IL GIOCO DEI COLORI? (C’era una colore ad ogni parete; ad ogni colore corrispondeva un comando; al verde dovevamo mettere il cane “seduto”, al rosso dovevamo mettere il cane “a terra” e al blu dovevamo richiamare il cane con “qua”) seduto terra SI’ NO NON LO SO qua 11) HAI RACCONTATO A QUALCUNO DEI GIOCHI FATTI CON I CANI? SI’ NO 12) TI SEI DIVERTITO INSIEME AI VOLONTARI CHE HANNO PORTATO I CANI A GIOCARE CON TE? SI’ NO NON LO SO 13) TU HAI MAI AVUTO UN CANE A CASA TUA? SI’ NO 14) TI PIACEREBBE FARE DI NUOVO QUEST’ ESPERIENZA? SI’ NO NON LO SO 40 41