tadao ando 4x4 house

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tadao ando 4x4 house
ISSN 2385-0884
04-2015
09
LEARNING ARCHITECTURE & BUILDING
SPAZI DEL SILENZIO LOUIS KAHN ASCOSI LASCITI
SANTA MARIA DELLA PRESENTAZIONE TADAO ANDO CAPPADOCIA
CRETTO DI GIBELLINA GRIDSHELL MURI CIECHI
LAB 2.0 MAGAZINE- ISSN 2385-0884
E’ un supplemento di dailySTORM ISSN 2421-1168 (www.dailystorm.it)
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Learning Architecture & Building
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Indice Index
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Editoriale Editorial - di Andrea Certomà
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Derinkuyu, il tempo si ferma nella città sotterranea turca - di Lisa Patricelli
Derinkuyu, where age is lost inside turkish underground city
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IMMAGINI SILENTI - di Roberto Mazzarelli
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Strutture lignee complesse delimitano lo spazio: Intervista a Sergio Pone - di Giandonato Reino
Complex wooden structures define space. Interview with Sergio Pone
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CONTENUTO SPECIALE SPECIAL CONTENT
Capire e controllare il silenzio - di Simone Censi
Understanding and controlling silence
Louis Kahn, il passaggio tra silenzio e luce - di Piera Bongiorni e Davide Lucia
Louis Kahn, the passage between the silence and light
“Santa Maria della Presentazione”, la forma della quiete - di Antonio Amendola e Elvira Cerratti
“Santa maria della presentazione”, the form of quietness
Muri ciechi e cemento a vista, l’architettura di Tadao Ando - di Tamar Gachechiladze e Martina Mancini
Blind walls and fair-faced concrete, Tadao Ando’s architecture
Urban Exploration. Ascosi lasciti di spazi in rovina - di Luca Bonci
Urban exploration. Ascosi Lasciti of spaces in ruins
Il Grande Cretto di Burri, un ricordo che vive nel cemento - di Gilda Messina e Tommaso Zijno
The Great Cretto by Burri. The memory that lives in concrete
Dispense di supporto alla rappresentazione architettonica - di Vinicio Bonometto
Handhouts to support architectural representation
Errata corrige: Lab2.0 Magazine #08 - “Marco Milia e la trasparenza della scultura”- pagina 62 e 63 - fotografie in basso di:
Claudio Abate, courtesy Takeawaygallery”.
Editoriale
di Andrea Filippo Certomà
«Di fatto, ogni silenzio consiste nella rete di rumori minuti che l’avvolge: il
silenzio dell’isola si staccava da quello del calmo mare circostante perché
era percorso da fruscii vegetali, da versi d’uccelli o da un improvviso frullo
d’ali» - Italo Calvino
L
’architettura raccontata sulla carta è purtroppo sempre silenziosa. È
veramente complesso (seppur non impossibile) trasmettere il gorgogliante
intrigo sensoriale dell’udito. È un limite immenso e costantemente ignorato.
Anni fa un amico mi raccontò della sua visita a Casa Kaufmann, aggiungendo un
dettaglio fondamentale al dipinto della casa sulla cascata, che avevo tracciato
nella mia mente con le molte letture sull’argomento. Una casa sopra una
cascata, coesiste con il rumore di una cascata. Una banalità che nessuno dei
testi che avevo letto si preoccupava di raccontare. Oltre ad essere un eccellente
esempio del sempre valido avviso che l’architettura è un’arte da esplorare dal
vivo, è stato anche un monito per i miei ragionamenti successivi. Così quando
anni dopo visitai il Villaggio Olimpico di Monaco, parlando della torre che domina
tutto il panorama, non mi soffermai tanto sull’incredibile vista che si poteva
ammirare, quanto della “cecità” uditiva dovuta alle forti raffiche di vento. In un
certo senso c’era un silenzio imposto, un rumore che sovrastava ogni altro e
calava un’atmosfera surreale. Mi sono domandato spesso, dopo essermi
confrontato con opere come la Tomba Brion di Carlo Scarpa, un complesso
funebre monumentale vicino al cimitero di San Vito, come si possa intridere
dell’attributo “silenzio” un’architettura. C’è oltre ogni dubbio un connubio tra
tecnica e intenzione.
Il gemellaggio dello studio acustico con la destinazione d’uso può essere inteso
con una biunivoca casualità dove l’uno implica l’altro. Chiese, biblioteche,
musei, cimiteri. Il trait d’union di questi luoghi è la spiritualità laica o religiosa
che implica l’ossequioso atteggiamento raccolto del fruitore. Tutta una serie
di credenze e comportamenti consolidati impongono un’etica del silenzio
in luoghi appositi. L’eco del tonfo di un libro che cade nella British Museum
Reading Room, o di un passo troppo pesante che disturba i fedeli raccolti in
preghiera nella grande aula di un qualche duomo, ha un valore di disturbo
(o una violazione sociale) maggiore di molti gesti più rumorosi in un ambito
differente. Il rumore rimarca il silenzio tanto più è tranquillo l’ambiente in cui è
generato. Uniamo i puntini e definiamo il valore del silenzio come l’attributo di
un luogo designato per la funzione esigente silenzio. Fatte salve le derivazioni
lapalissiane di questo ragionamento, possiamo dedurre, dal differente valore
attribuito al silenzio nei diversi spazi, un attributo fondamentale: una relatività
antropica del silenzio. Il mondo non è un luogo silenzioso, allo stesso modo in
cui il mondo non nasce buio. Non si tratta del carattere intrinseco, ma di una
relazione antropica degli ambienti: «che rumore fa un albero che cade nella
foresta, se non c’è nessuno a sentirlo?».
Una serie di lineari associazioni indirizzano l’architettura del silenzio verso
l’isolamento, la riscoperta del contesto naturale, l’allontanamento dalle fonti
primarie del rumore, gli altri uomini. D’altro canto rimane un cimento davvero
arduo quello di maneggiare una materia che non solo è difficile da lavorare
ma persino da concepire. Progettare il silenzio è un lavoro di privazione,
sottrazione, negazione, perché, parafrasando un vecchio indovinello, il silenzio
è quella cosa che quando la dici non c’è più.
«Forse solo il silenzio esiste davvero» - José Saramago
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«As a matter of fact, every silence exists in the net of small noises that surround
it: the silence of the island was separated from that of the calm sea around it
because it was broken by the rustle of the greenery, birds’ calls or a sudden whirr
of wings» - Italo Calvino
Editorial
A
rchitecture told on paper is unfortunately always silent. It’s very
complex (but not impossible) to get the gurgling sensory heap of
hearing across. It’s a huge and constantly ignored limit.
Years ago a friend told me about his visit to Casa Kaufmann, adding a
fundamental detail to the painting of the house on the waterfall, which I had
traced in my mind after reading about it. A house on a waterfall coexists
with the noise of the waterfall. A banal detail that none of the things I read
bothered to tell. Other than being an excellent example of the fact that
architecture is an art that should be explored live, it was also a warning for
my following thinking.
So, when I visited the Olympic Village in Monaco years later, talking about
the tower that dominates the view, I didn’t think much about the view, but
the auditory “blindness” owed to the strong winds. In a way there was an
imposed silence, a noise that overwhelms all others and makes way for a
surreal atmosphere.
I’ve often wondered, after being confronted with works such as Carlo
Scarpa’s Tomba Brion, a monumental funerary complex near San Vito’s
cemetery, how to make an architecture “silent”. There’s obviously a link
between technique and intention.
The association between the acoustic study and the destination of use can
be understood with a clear causality where one implies the other. Churches,
libraries, museums, cemeteries. The trait d’union of these places is their
spirituality, either laic or religious, which implies the obsequious attitude of
the beholder. The set of beliefs and social behaviours determine an ethic
of silence in certain places. The echo of the thump of a book falling in
the British Museum Reading Room, or of a too-heavy step that disturbs the
believers reunited in prayer between the pews in a dome, all these elements
have a degree of disturb (or of social violation) higher than many louder
actions in a different setting. Noise underlines silence the more quiet is the
place from which it is generated. We connect the dots and define the value
of silence as the characteristic of a place designed for silence. Aside from
the self-evident derivations of the line of thinking, we can deduce, from
the different value assigned to silence in different places, a fundamental
quality: an anthropic relativity of silence. The world is not a quiet place,
in the same way that the world isn’t born in darkness. It’s not about the
intrinsic character, but an anthropic relation of places: «If a tree falls in a
forest and no one is around to hear it, does it make a sound?».
A series of linear associations direct architecture of silence toward isolation,
the rediscovery of natural context, the estrangement from primary sources
of noise and other man. On the other hand it’s a very hard task, that of
managing a material that is not only hard to work, but even to conceive.
Designing silence is a work of deprivation, subtraction, denial, because,
paraphrasing an old riddle, silence is that thing that disappears when you
call its name.
«Maybe only silence really exists» –José Saramago
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Capire e controllare il
silenzio
Testo di Simone Censi
Traduzione di Elisabetta Fiorucci
Fotografia di Francesca De Dominicis (Progetto Corpomacchina)
N
ella riflessione architettonica gli
obiettivi e gli oggetti d’indagine
sono molteplici e variabili.
La loro alternanza e le loro possibilità
combinatorie sono in grado di dare
vita ad una grandissima quantità di
risultati i quali differiscono per il senso
ultimo dell’espressione architettonica,
oltre che per l’attitudine personale
dell’autore. È da qui che si origina
l’identità architettonica di una corrente
e ponendo a confronto, al fine di fare
un esempio, l’architettura greca con
quella romana, si può notare che nella
prima vi è una centralità dei caratteri
plastici mentre, nella seconda, la finalità
politica e sociale delle costruzioni, ne
costituisce il tema centrale.
Ogni corrente architettonica pone al
centro della propria ricerca un’accurata
e generalmente coerente selezione
di temi per cui alcuni di essi risultano
ricorrenti mentre altri vengono presi in
considerazione più sporadicamente.
Tuttavia essi risultano condizionati
estrinsecamente dall’insieme al quale
vengono integrati o comunque da
condizioni esterne ad essi. E’ per questo
che il concetto di silenzio in architettura
può essere declinato in molteplici
modalità: in primo luogo può riguardare
la dimensione spaziale ed ambientale
dell’abitare; in secondo luogo è possibile
parlare di rumorosità di un’architettura
in base alla forza con cui essa cerca
di imporsi su chi la osserva o su chi
la abita; infine è possibile indagare il
comportamento più o meno rumoroso
dei fruitori di uno spazio a seconda delle
caratteristiche dello spazio stesso.
Nel primo caso occorre evidenziare
che spesso il silenzio rappresenta un
valore e non una semplice condizione:
l’architettura sacra ad esempio tenta di
riprodurre il silenzio in maniera artificiale,
annullando cioè i rumori dell’ambiente
urbano. L’artificialità è esaltata anche dal
contrasto con il caotico contesto urbano,
6
cosa che non accade negli ambienti
rurali per i quali l’importanza del silenzio
è minore data la sua costante presenza.
Tale condizione di assenza di disturbi è
ritenuta necessaria per poter riflettere
sulla presenza che la religione identifica
nella divinità. Per quanto riguarda
l’architettura sacra occorre notare
come la meditazione personale venga
stimolata non solamente dall’aspetto
acustico ma anche da quello luminoso
ed entrambi sono in genere legati e
analogamente proporzionati. Tuttavia,
al di là dell’esempio riguardante lo
spazio sacro, il silenzio può essere
considerato in molti casi come una
condizione privilegiata per rivolgere
l’attenzione a cose che altrimenti
sarebbero travolte da un marasma di
rumori. Se la paura generata dall’Horror
Vacui stimola a riempire ogni vuoto, è in
una condizione di calma che si riesce ad
apprezzare ciò che ha davvero un valore:
un silenzio può dunque essere pieno,
saturato di significati più di quanto non
possa esserlo un contesto caotico,
come accade quando due persone si
guardano e si capiscono senza bisogno
di parlare.
Proponendo inoltre un’analogia tra
il linguaggio architettonico e quello
musicale, è possibile notare come in
musica la pausa, ovvero il silenzio,
costituisca a tutti gli effetti un elemento
che, alternandosi ai suoni con una
metrica e un ritmo ben precisi, partecipa
alla realizzazione della composizione.
La seconda condizione del silenzio
permea
l’intimità
del
progetto
architettonico e riguarda le modalità
secondo le quali l’edificio si manifesta.
Si potrebbe dire che il silenzio è una
condizione che permette la chiara e
gerarchica manifestazione dei temi e
degli elementi dell’edificio. La scelta
compositiva di selezionare una tra le
possibili idee di progetto ed esprimerla
in tutta la sua chiarezza suppone
un’eliminazione di interferenze che
danneggerebbero la lettura dell’opera.
Il silenzio è dunque il risultato di una
selezione che permette di prendere
in considerazione solo alcuni temi
di progetto i quali possono quindi
manifestarsi con tutta la propria forza.
Ad esempio, il processo progettuale
di Alberto Campo Baeza si basa su
un lungo processo di “distillazione”
che, eliminando il superfluo, esalta
principi come quelli di proporzioni, luce,
gravità, sui quali si costruisce l’opera
architettonica.
Un’altra caratteristica del silenzio nel
progetto riguarda le modalità con cui
un’architettura si relaziona con il fruitore:
vi sono edifici che si impongono e altri
che invece tendono a non risaltare nel
tessuto urbano, che tendono a non
catturare l’attenzione umana se non per
chiara volontà dell’osservatore; alcuni
che cercano di incidere profondamente
sul comportamento degli utenti e
altri che si aprono a contaminazioni.
Basandosi su un concetto di fiducia
nei confronti degli abitanti, alcuni
spazi si propongono silenziosamente
all’abitante, stimolando, oltre ad un uso
polifunzionale, la maturazione di una
presa di coscienza intima e personale di
quello spazio. Questa caratteristica del
silenzio si manifesta sia nel rapporto tra
l’edificio e chi lo abita, sia con l’ambiente
circostante, urbano o naturale che sia.
La terza condizione del silenzio
riguarda un legame indiretto tra
l’abitante e il suo spazio. In particolare è
interessante notare come la rumorosità
di un ambiente possa non intaccare la
silenziosità personale: è ciò che avviene
in una società in cui le conoscenze
personali si sviluppano sul modello
della rete per cui il grado di vicinanza
fisica non incide sul grado di intimità
personale. Di conseguenza è possibile
essere soli (e quindi silenziosi) in mezzo
alla folla. Una condizione di silenzio è
quella che si genera quando individui
non personalmente legati si trovano
a condividere lo stesso spazio per un
tempo breve: è ciò che accade nelle
metropolitane, ambienti generalmente
molto rumorosi in cui è possibile isolarsi
da ciò che sta intorno.
Inoltre l’uso di alcuni oggetti di vita
quotidiana modifica la fruizione dello
spazio pubblico (e di conseguenza
lo spazio pubblico stesso). La lettura
di libri o riviste, l’uso di auricolari o di
smartphone, ha condizionato il modo
di relazionarsi con lo spazio urbano,
incidendo sulla possibilità di prenderne
coscienza e generando nuovi significati.
Utilizzare uno spazio come quello della
metropolitana per attività che esulano
dalla sua funzione, come la lettura,
permette da un lato di percepirne ed
apprezzarne alcuni caratteri, verso i
quali non si sarebbe altrimenti prestata
attenzione, dall’altro consente di isolarsi
parzialmente da esso attraverso una
inibizione parziale dei sensi, come la
lettura per la vista o l’ascolto di musica
per l’udito. Tuttavia non è possibile e
sarebbe peraltro sbagliato formulare
un giudizio morale su tale fenomeno
del quale va invece preso atto, va
considerato in tutta la propria estensione
ed importanza per poter formulare
risposte progettuali adeguate.
Sono qui state analizzate varie
declinazioni del silenzio ed è significativo
notare come l’estensione del suo
uso vada dalla sacralità dello spazio
templare alla condizione di l’isolamento
personale in spazi rumorosi. Inoltre
il silenzio nelle fasi di costruzione di
un progetto architettonico è un tema
che suggerisce numerosi spunti di
riflessione, in particolare in una società
che preferisce architetture rumorose,
immediatamente
comprensibili
e
rapidamente consumabili.
7
Understanding and controlling silence
I
n architectural reflexion objectives
and objects of research are many
and variable.
Their
succession
and
their
combinatory possibilities can give
life to a vast quantity of results
which differ for ultimate sense of
architectural expression, and for the
author’s personal attitude. It’s form
here that the identity of a type of
architecture is born and by putting
side by side Roman and Greek
architecture, for example, we can
notice that in the latter there is a
centrality of plastic characteristics
while is in the other the politic and
social aim of the work makes up
their central theme.
Every architectural trend puts at
the centre of its research a careful
and generally coherent selection of
themes. For this reason some of
them appear to be recurring while
others are sporadically taken into
consideration. However they appear
to be outwardly conditioned by the
whole to which they are integrated
or by outside factors.
This is why the concept of silence in
architecture can take many forms:
firstly it can concern the spatial
and environmental dimension of
inhabiting; secondly it’s possible to
speak of noise of an architecture
in the measure in which that
architecture tries to impose itself on
the beholder and on whom inhabits
it; lastly, it’s possible to research the
behaviour, more or less noisy, of the
inhabitants of a space according
to the characteristics of the space
itself.
In the first case we have to stress
that often silence represents a value
and not just a simple condition:
sacred architecture for example tries
to reproduce silence in an artificial
8
manner, cancelling the noises from
the urban surrounding. Artificiality is
exalted also by the contrast with the
chaotic urban context, which doesn’t
happen in rural spaces in which the
importance of silence is diminished
by its continuous presence. This
condition of lack of disturbances is
considered necessary to think about
the presence that religion identifies
with the divinity. For what concerns
sacred architecture, it’s important
to notice how personal mediation is
stimulated not only in the acoustic
aspect, but only on the lighting one.
Both are usually connected and
proportioned.
However, aside from the example
of the sacred space, silence can
be considered in many instances
as a privileged way to focus
attention on things that would
otherwise be swamped by noise.
If the fear generated by the Horror
Vacui is a push to fill every void, it
is in a situation of calm that one
can appreciate what really has
value: a silence can thus be full of
significance, more so than a chaotic
context, as when two people can
understand each other with a look
and no need to speak.
Proposing also a link between
architectural language and musical
language, it’s possible to notice
how pause in music, aka silence,
constitutes an element which,
alternating sound with rhythm,
participates at the realization of the
composition.
The second condition of silence
is about the intimacy of the
architectural project, and concerns
the modalities according to which
the building is manifested.
It could be said that silence is a
condition that allows for a clear
hierarchic manifestation of the
themes and elements of the
building. The choice to pick one
of the possible ideas of planning
and expressing it in all its clarity
supposes
an
elimination
of
interferences that could damage
the reading of the work. Silence
then becomes the result of a
selection that allows us to take into
consideration only a few themes of
planning, which can then manifest
themselves in all their strength. For
example, Alberto Campo Baeza’s
planning project is based on a long
process of “distillation” which, by
eliminating the unnecessary, exalts
principles such as proportion, light,
gravity, building te architectural
work on them.
Another characteristic of silence in
planning concerns the ways in which
an architecture relates with the user:
there are buildings that stand out
and others that don’t, if not for the
express will of those who see them;
some try to make a mark in the
behaviour of their users and other
that are open to contaminations.
Some spaces, starting from a place
of trust toward their inhabitants,
appear silently to the inhabitant,
stimulating the maturity of an
awareness of the space. This
characteristic of silence manifests
itself both in the relationship
between the building and the person
living there, and in the relationship
with the building’s surroundings,
urban of natural.
The third condition of silence
concerns an indirect link between
inhabitant and space. In particular
it’s interesting to notice how
nosiness in an environment can
leave personal silence untouched:
it’s what happens in a society in
which personal knowledge develops
with the model of the net, where
physical nearness doesn’t coincide
with personal intimacy.
As a consequence it’s possible to be
alone (and in silence) in a crowd. A
condition of silence happens when
people who don’t know each other
find themselves sharing the same
space for a brief time: it’s what
happens on the metro, generally
noisy surroundings where it’s
possible to isolate oneself.
Moreover the use of certain
everyday objects changes the use
of public space (and public space
itself). Reading books or magazines,
listening to music, or using a
smartphone,
has
conditioned
our way to relate with urban
space, affecting the possibility of
awareness of space and generating
new meanings.
Using a space such as the metro
for activities not tied to its function,
such as reading, allows on one hand
to perceive and appreciate some of
its characteristics, that we wouldn’t
have noticed otherwise, on the other
hand it allows to partially isolate
oneself through the partial inhibition
of a sense. However, it’s not possible
to formulate a moral judgment on
this phenomenon, which should
be considered on all its reach and
importance, as a way to formulate
adequate planning answers.
We’ve analyzed several declinations
of silence, and it’s important to
point out how the extension of its
use goes from the sacredness of
templar space to the condition of
personal isolation in loud spaces.
Moreover, silence in different phases
of construction of an architectural
project is a theme that gives food
for thought, in particular in a society
that prefers loud architectures,
immediately comprehensible and
consumed rapidly.
9
10
Il passaggio tra
silenzio e luce
nelle opere di
Louis Kahn
Dove la dicotomia tra il mondo delle idee e
quello dell’architettura si risolve nell’opera
architettonica
Testo di Piera Bongiorni e Davide Lucia
Traduzione di Martina Regis
V
i è un ‘inspiegabile sacralità
nell’architettura kahaniana. Un
potere mistico che va ben oltre
il legame razionalista e meccanico
tra forma e funzione. Un potere che
comunica con l’anima. E’ una forza
latente che pervade il progetto sin
dalle sue origini, dal momento in cui
questo è stato generato, da quando
è stato idea.
Poi il silenzio. E la luce, generatrice
di quella stessa idea, le dà forma,
plasma la materia, ne definisce la
massa, i vuoti, le ombre. Affida alla
sua architettura quella condizione
di universalità che il progetto
comunicherà per sempre. Anche
quando smetterà di esercitare la
sua funzione, anche quando diverrà
rovina.
E’ in quella soglia tra umano e
trascendentale, in quel salto di scala
dalla dimensione dell’uomo alla
silenziosa monumentalità che Kahn
racchiude la forza evocativa della
sua architettura. E’ un silenzio che
non indica l’assenza dell’umano ma
che al contrario penetra dentro ogni
uomo a cercare e smuovere il proprio
senso di sacralità e di esistenza. Ciò
avviene attraverso il riferimento alla
spazialità delle grandi architetture
del passato, che per Kahn, sono
eterne. Nelle opere di Kahn l’infinito
senso poetico e spiriturale sono la
causa e la conseguenza dei caratteri
comuni che danno vita alle sue
architetture: ordine e regolarità,
assialità e geometria.
L’ordine regna nel progetto per il
Dominican Sister (1965-1968): un
convento costituito da una corte
aperta che contiene le celle delle
monache e abbraccia, riordinandoli,
l’insieme dei volumi che ospitano
i luoghi della vita collettiva. Spazi
semplici, di forme elementari
ma di diversa giacitura, che si
comprenetrano vicendevolmente. La
geometria dell’elemento della corte
sembra ristabilire l’equilibrio.
Ancora la Biblioteca della Philip
Exeter Academy (1965-1972) nel
New Hampshire, una delle più
straordinarie opere dell’architettura
moderna, è portavoce dell’ordine
The passage
between the silence
and light
T
here is an inexplicable sacredness in
the kahanian architecture. A mystical
power over and above the rationalistic
and mechanical link between the form
and the function. A power able to talk
to the souls. A latent strenght upfront
permeating the project, since it was
created, since it was just an idea.
Then, silence. And the light, the creator
of that idea, gives it a shape, moulds
the substance, narrows the matter, its
voids, its shadows. It devolves upon its
architecure that condition of universality
which will be the message for ever
coming from the project. Even when
its function will be over, even when it
will be nothing but ruins. It is in that
gateway between the human and the
trascendental, in that jump from the
ladder, from the human dimension to
the quiet monumental nature the point
where Kahn keeps all the summoning
strenght of his architecture. His silence
does not show the absence of the
human, on the contrary it penetrates in
each human beeing in order to seek and
to sensitize its own sense of sacredness
and existance. This happes trough the
reference to the spaces of the great
architectures of the past which are
eternal, for Kahn. In the works of Kahn
the infinite poetical and spiritual sense
are the cause and the consequence
of the common characters which give
life to his designes: order and regularity,
axiality and geometry. Order is the key
word in the project for the Dominican
Sister (1965-1968): a convent constitued
by an open court containing the cells for
the nuns and holding all the volumes
which host the places of the collective
life, giving them an order. Simple spaces,
with elementary shapes, penetrating
each other. The geometry of the court
seems to establish the equilibrium
again. Also, the Philip Exeter Academy
Library (1965-1972) in the New
Hampshire, one of the most stunning
works of the modern architecture, is the
symbol of the kahanian order achieved
by basic forms: a squared plant with a
large central void gives life to a prismatic
building with a pure geometry. In Kahn
the use of basic shapes is the result of
the knowledge and the awareness of
their trascendental value: the perfection
of the circle and the sphere, the solidity of
the cube, the directionality of the triangle.
Here the geometrical laws are the first
11
Nella pagina
precedente:
Biblioteca di
Exeter, foto di
Trent Bell;
in basso: Yale
University Art
Gallery, 1954, foto
di Lionel Feininger
e di Fabio Giantini.
On the first page:
Exeter’s Library,
ph. Trent Bell;
below: Yale
University Art
Gallery, 1954,
ph.Lionel
Feininger and ph.
Fabio Giantini.
12
kahaniano ottenuto con forme
semplici: una pianta quadrata con
un grande vuoto centrale dà vita
ad un edificio prismatico dalla
stereometria pura. In Kahn, l’uso
delle forme semplici avviene con la
conoscenza e la consapevolezza di
tutto il loro valore trascendentale: la
perfezione del circolo e della sfera,
la solidità del cubo e la direzionalità
del triangolo. Qui le leggi della
geometria sono quindi la prima ed
ultima giustificazione del progetto
di Louis Kahn dall’idea iniziale
sino alla composizione finale. La
forma, la spazialità, l’uso sapiente
dei materiali fanno della Biblioteca
un’architettura
monumentale
ed eterna così come la Sede del
Governo del Bangladesh, a Dacca:
un’opera magistrale, realizzata negli
anni ‘60, in cui possono essere
riassunti e ritrovati tutti i leit motiv
dell’architettura kahniana.
In questa architettura, il corpo
centrale, quasi circolare e altre parti
periferiche ed autonome, di forma
propria, vengono integrate in un
insieme unitario e ordinato grazie
all’utilizzo di forme come la sfera ed
il cilindro nella parti più significative
e prismatiche nelle parti di servizio.
Sembra governare la dittatura della
forma architettonica che esprime
la sua supremazia attraverso
l’appartenenza ad un mondo perfetto
e monumentale.
Analizzare queste opere, appartenti
alla fase matura di Kahn, consente
di
sottolineare
l’importanza
che l’architetto ha attribuito al
valore rappresentativo di ciascun
ambiente, senza sacrificarne mai
alcuno. Il Parlamento di Dacca, per
esempio, è un’architettura della
società che riesce a consacrare lo
sforzo dell’uomo grazie allo studio
approfondito dell’espressività di
ogni singolo elemento. Grazie ad un
fondamentale senso di responsabilità
nei confronti dell’umano Kahn
risolve con l’architettura la frattura
tra la natura e l’uomo. Qui come nella
Biblioteca ad Exeter, Kahn riesce
ad esprimere un altro degli aspetti
della sua architettura: contrapporre
alla monumentalità dell’esterno, un
interno accogliente, destinato ad
essere vissuto. La monumentalità in
Kahn è rappresentata dalla volontà di
durata della sua opera. Egli si prefigge
l’obiettivo di creare una struttura che
trasmetta la sensazione della sua
eternità a cui non si deve aggiungere
nè togliere nulla, allineandosi dunque
alle Piramidi, al Pantheon o ancora al
Partenone.
Questi spazi permettono di parlare
di “luogo” e non di “spazio”. Se
Kahn ha detto di essersi abituato
a pensare in termini di luce e di
silenzio, certo le sue architetture ne
sono una dimostrazione: gli interni
sono sempre qualificati da una
silenziosa e profonda luce naturale.
Il Parlamento di Dacca è, infatti, uno
spazio cangiante, trasformato dalla
diversa incidenza della luce che lo
modella tanto da poterlo paragonare
alle Carceri di Piranesi nell’enfasi
degli effetti luminosi. La luce
naturale entra da grandi aperture
che, ancora una volta, si articolano
secondo delle geometrie elementari:
compaiono, infatti, il quadrato, il
triangolo ed il cerchio.
Sembra dunque chiaro il motivo
per cui qualcuno ha volto chiamare
Kahn il Bach dell’architettura e non
possiamo smettere di pensarlo se i
nostri occhi si trovano di fronte all’
immensità e all’eternità della sua
opera.
and last justification of the Louis Kahn’s
project, from the initial idea to its final
composition. The shape, the space,
the wise use of the materials make the
Library a monumental and eternal piece
of architecture as the Seat of Goverment
of Bangladesh, in Dacca: a masterpiece
realized in the ‘60s, where all the
kahanian leit motiv can be recapped and
found once again. In this architecture
the main body, almost circular, and
other peripheral and autonomous parts
with their own shapes, are integrated
in a uniform and neat whole thanks to
the use of forms such as the sphere
and the cylinder. The dictatorship of the
architectural form seems to dominate
expressing its supremacy trough
the belonging to a monumental and
perfect world. Analyzing this works,
belonging to the Kahn’s maturity, allows
us to underline the importance that the
architect has given to the representative
value of each space without never
sacrificing none of them. The Parliament
of Dacca, for instance, is an architecture
of the society able to consecrate the
human effort thanks to the deep study
of the expressiveness of each single
element. Thanks to a fundamental
sense of responsibility towards the
human, Kahn solves the rift between
natura and man with the architecture.
Here, like in the Exeter’s Library, Kahn
can express another of the aspects
of his architecture: counterposing a
welcoming inner space, destined to be
experiencesd, to the monumental nature
of the exterior part. This monumental
nature in Kahn is represented by the
longlasting will of his work. His pourpose
is to create a structure able to give the
sensation of its eternity and which is
not necessary to add something to
or remove something from, aliging
with the Pyramids, the Pantheon or the
Parthenon.
This spaces allow us to talk about
“place” rather than “space”. Kahn has
said to be used to think in terms of light
and silence and his works do prove it: the
inner spaces are always characterized
by a deep and quiet natural light.
The Parliament of Dacca, indeed, is a
shimmering space, changed by the
different impact of the light, which
shapes it so as to make it similar to the
Prisons of Piranesi for what concerns
the emphasis of the lighting effects.
It seems pretty clear then why someone
called Kahn the “Architecture’s Bach”,
and we cannot avoid to agree when we
find ourselves in front of the immensity
and the eternity of his work.
13
14
Santa Maria della
Presentazione,
la forma della
quiete
Il progetto di Nemesi Studio stravolge
il rapporto tra architettura e liturgia,
generando un forte senso di spiritualità
attraverso una ricerca sull’essenza della
materia, con un linguaggio agli antipodi
delle decorazioni fastose ricorrenti
in molti luoghi di culto. Stupore e
meraviglia lasciano spazio al silenzio del
raccoglimento
Testo e fotografie di Antonio Amendola e Elvira Cerratti
Traduzione di Maria Letizia Pazzi
P
ercorrere
le
strade
della
periferia ed imbattersi in episodi
architettonici di qualificazione
urbana è tutt’altro che consuetudine.
Monotonia e reiterazione disegnano
il paesaggio nella calma apparente di
quartieri ridotti a dormitorio.
Le rare architetture dirompenti sono
spesso riconducibili all’attività religiosa,
data la proliferazione di nuovi centri in
cui attraverso la socializzazione e la
pratica liturgica si tenta di alleviare il
peso di un forte disagio ai molti cittadini
che vivono ai margini delle città.
Un caso di notevole interesse, dove
l’architettura supera ogni tipo di
convenzione, è quello del Nuovo centro
civico e religioso di Santa Maria della
Presentazione al Quartaccio, estremo
nord-ovest di Roma.
Realizzata su progetto dello studio
romano Nemesi di Michele Molè
e dell’allora socia Maria Claudia
Clemente nell’ambito di “50 chiese per
Roma 2000”, iniziativa promossa dal
Vicariato della città per offrire nuovi
complessi parrocchiali alle periferie
della Capitale in occasione dell’ultimo
Grande Giubileo, l’opera va ben oltre
i dettami sulla progettazione degli
spazi di preghiera definiti dal Concilio
Vaticano II.
Liberandosi
dagli
approcci
metodologici ricorrenti in molte
strutture similari, incentrate quasi
“Santa maria della
presentazione”, the
form of quietness
W
andering through suburban
streets and ranning into
urban architecture is not common.
An apparent quitness of districts
reduced to dormitory is characterised
by monotony and reiteration.
Rare disruptive architecture is often
connected to religion, due to the
spread of new centers where many
citizens living at the edge of cities are
helped easing off their discomfort
through socialisation and liturgy.
An interesting case is the New civic
and religious center of Santa Maria
della Presentazione in Quartaccio, in
the north-west of Rome.
Designed by the roman study
Nemesi, expecially by Michele
Molè and the former partner Maria
Claudia Clemente for the project “50
chiese per Roma 2000” (50 churches
for Rome 2000), promoted by the
Vicariate of the city to provide new
parish structures at the suburban
Capital for the last Great Jubilee, the
complex does not respect the rules
imposed by the Second Vatican
Council on religious spaces.
Nemesi architects aimed at creating
a new aggregation center in the
district, in order to give Quartaccio
a multifunctional and collective
space with mixing civil and religious
functions enhancing the mysticism
needed by a contemplation place. In
order to accomplish this project, the
archtects freed the structure from
the methodological approaches,
exclusively focused on spreading the
worship.
Looking at the widening opposite
to the manufactured complex,
it indeed would not look like a
liturgical structure: an architecture
with high-technology elements and
no archetypal reference, originated
by an articulated interpenetration
between volumes, points realised
with different materials (compact
concrete in some cases, soft and
transparent perforated sheet metal
in others) revealing its identity only
by placing a cross at the top.
The general space reveals a deep
15
16
esclusivamente sulla diffusione del
culto, gli architetti di Nemesi hanno
puntato al più ampio obiettivo di creare
un nuovo polo d’aggregazione nel
quartiere, regalando alla comunità di
Quartaccio una perla multifunzionale,
uno spazio della collettività dove
funzioni civili e religiose si amalgamano,
talvolta sovrapponendosi, senza mai
interferire ed enfatizzando il senso
mistico di cui necessita un luogo di
contemplazione.
Giunti nello slargo antistante il
manufatto, invero, la prima lettura
non rimanda certo ad un complesso
di tipo liturgico: un’architettura dalle
sfumature high-tech priva di qualsiasi
riferimento archetipico, originata da un
articolato gioco di compenetrazione
tra volumi, piani ed elementi puntuali
di diverse consistenze materiche
(compatto cemento in alcuni casi,
leggera e trasparente lamiera traforata
in altri), rivela la sua identità solo con
una croce posta in sommità.
La configurazione spaziale generale è
frutto di una profonda interpretazione
concettuale, per effetto della quale i
servizi civici e parrocchiali sono definiti
da volumi formalmente compiuti,
mentre gli spazi dedicati prettamente
al culto derivano da un accurato lavoro
di modellazione del vuoto.
Il progetto è impostato su tre livelli
principali: il primo, a quota -5.00 m,
asseconda la pendenza del terreno
verso la valle retrostante, su cui
emerge l’intera struttura; il secondo, in
quota con gli edifici del quartiere, atto
a mantenere una continuità con lo
slargo antistante, così ricondotto alla
condizione di piazza; il terzo, a circa
+5.00, sopraelevato su pilotis.
Domina la scena una grande copertura
piana caratterizzata da un pronunciato
sbalzo e sorretta da esili pilastri cilindrici
che ne esaltano la leggerezza, collocata
come un mantello sui corpi sottostanti.
Al di sotto di essa, un volume centrale
cubico
semitrasparente,
ruotato
rispetto all’allineamento compositivo
generale, intorno al quale si dirama
un sistema di passerelle sospese di
collegamento, funge da cerniera di
raccordo tra la grande sala rettangolare
polifunzionale ed il grande corpo
perimetrale triangolare cavo degli uffici
parrocchiali.
Addentrandosi nella selva di colonne,
si viene accompagnati in una discesa
di circa 5 metri che conduce al centro
attivo dell’organismo, in uno spazio
di relazione all’aperto servente le due
aule principali, da cui si ha la massima
percezione
della
sensazionalità
dell’opera.
Accanto al volume ruotato del corpo
scala, tranciato a quota 0.00, tra i pilastri
si fa spazio una sfera in cemento
incastonata in una vetrata inclinata e
parzialmente avvolta da una parete
curva continua che definisce lo spazio
della cappella feriale. Nonostante le
ridotte dimensioni, l’unicità formale
dell’elemento genera un forte impatto
figurale, accresciuto simbolicamente
dalla scelta di localizzare l’altare della
cappella feriale al suo interno.
Dal lato opposto, la grande sala per le
celebrazioni, la cui ampia parete vetrata
consente di stabilire un’immediata
relazione tra l’interno e lo spazio
ricreativo esterno, è organizzata in
modo tale da poter ospitare tanto gli
eventi sportivi quanto le celebrazioni
religiose più importanti.
Il carattere introspettivo del complesso,
già captabile nella compattezza delle
pareti cieche rivolte verso l’intorno,
contrapposta alla trasparenza delle
vetrate rivolte nella piazzetta interna,
si manifesta pienamente accedendo
nelle sale.
La completa assenza di decorazioni ed
icone ridotte all’essenziale sembrano
voler suggerire all’utente che la
preghiera è raccoglimento in se stessi
prima ancora che adorazione. Del
fasto chiassoso non v’è traccia. Toni
neutri, volumi puri ed una luce diffusa e
fioca sono l’unica forma di ornamento
in ambienti intrisi di ordine e quiete
nonostante la complessità globale
dell’opera.
conceptual interpretation which
generates civic and parish services
with formally effective volumes,
while religious spaces derive from
emptiness modelling.
The project is organised on three
main levels: the first, placed on -16.4
feet of height, stands on a sloped
area next to the valley; the second, at
the same height of the surrounding
buildings, is supposed maintain
the continuity with the preceding
widening, reduced to a square; the
third, at around 16.4 feet of height
has the function of an upper pilotis.
A great flat roof with sharp rises
sustained by slender pillars
dominates the scene like a
mantle over the lower parts. A
semitransparent
cubic
central
volume, placed on the lower
part, is turned with respect to the
general compositive alignment,
whith
surrounding
suspended
connecting walkways and it serves
as a connector between the huge
rectangular polifunctional room
and the hollow perimetral triangular
parish spaces. Entering into
columns, a 16 feet descend leads
to the active center of the structure,
in an outer relational space hosting
the two main halls in an astonishing
atmosphere. In the weekday chapel
a concrete sphere, embedded in
a sloped glazing enveloped by a
curved wall, stands next to the
turned staircase, sliced at 0.00 feet.
Though poor dimentions, the formal
uniqueness of the element creates a
deep figurative impact, simbolically
enhanced by the inner altar of the
weekday chapel. On the opposite
side, the huge celebrational hall can
host both sport events and important
religious celebrations, since a large
glazing wall creates an immediate
relationship between the inside and
the outside.
The introspective nature of the
complex is revealed by compact bling
walls contrasting with transparent
glazing facing the inner square and
by accessing to the stairs. Poor
decorations and icons seem to
associate prayer as isolation that
comes before religious adoration.
The structure, although globally
complex, is characterised by neutral
tones, pure volumes and dim and
diffused light without any trace of
splendour.
17
Muri ciechi e
cemento a vista,
l’architettura di
Tadao Ando
Spazi destinati alla meditazione metafisica.
Tradizione orientale e architettura
contemporanea
Testo di Tamar Gachechiladze e Martina Mancini
18
Blind walls and
fair-faced concrete,
Tadao Ando’s
architecture
S
ince 1969 Tadao Ando and
his office are designing worldwide recognisable architecture.
Their work is deeply rooted in local
culture, but is at the same time
very universal. The creation of an
introspective microcosm, obtained
through the separation between
modern world and urban chaos, is a
permanent feature of his work.
D
al 1969 Tadao Ando e il suo
studio hanno realizzato in tutto
il mondo un’architettura dai
tratti distintivi e immediatamente
riconoscibili, un lavoro che trova
radici
profonde
nella
cultura
locale ma al tempo stesso dal
carattere
universale.
Costante
nelle sue opere è la creazione di un
microcosmo introspettivo ottenuto
attraverso la separazione tra mondo
contemporaneo e caos urbano.
«Come diventare moderni rimanendo
però legati alla tradizione?» la risposta
a questa domanda risiede nell’opera
di Tadao Ando. D’accordo con i teorici
dell’architettura Alexander Tzonis,
Liane Lefaivre e Kenneth Frampton,
Ando può essere considerato il
portavoce del Regionalismo Critico.
Il
termine
architettonico
“Regionalismo Critico” appare per
la prima volta nel 1980 e mette in
relazione l’opera di architettura
con il luogo, la storia e la cultura
del territorio in cui è collocata,
opponendosi alla globalizzazione
e ai problemi che nascono dallo
sviluppo contemporaneo. Secondo
Kenneth Frampton, il lavoro di Ando è
concettualmente “essenziale”, perché
si oppone all’atteggiamento del
«sempre maggior consumismo della
città moderna» e la sua architettura
aspira ad un «livello di astrazione
e di assoluto» tenendo a mente le
caratteristiche distintive della cultura
regionale.
L’architettura di Tadao Ando combina
cultura e tradizioni giapponesi con
forme e materiali contemporanei.
Molti sono i riferimenti transculturali nei lavori sviluppati tra
il 1979 e il 1980/84, come la
Koshino’s House”a Kobe. Nell’edificio
ritroviamo caratteristiche
tipiche
dell’architettura
occidentale
come la geometria ortogonale, la
«How to become modern and
remain connected to the roots?”»
answer to this question is in Tadao
Ando’s architecture. According
to the theorists of architecture
Alexander Tzonis and Liane Lefaivre
along with Kenneth Frampton, Ando
is considered as a spokesman of
Critical Regionalism.
Architectural
term
“Critical
Regionalism” first came up in 1980’s.
Critical regionalism is about putting
together modern architecture with
the area’s location, history and
culture. This movement is opposing
globalization and with the problems
that came with contemporary
global development. According to
Kenneth Frampton, Ando’s work is
conceptually “critical”, because it
is opposing the stance of the “everescalating consumerism of the
modern city”. Architect aspires to “a
level of abstract and universal” while
taking in sight how distinctive the
regional culture is.
Tadao
Ando’s
architecture
combines Japanese culture and
traditions
with
contemporary
shapes and materials. Many are
the trans-cultural references in his
work developed in 1979-1980/84
as, for example, the Koshino’s
House in Kobe, Japan. On the one
hand the building uses orthogonal
geometry, vertical compositions of
Western architecture and concrete
as a basic material combined with
long, dark corridors and interior,
poorly illuminated by natural light,
and the horizontal lines which
can be associated with Japanese
traditional architecture.
19
20
composizione verticale e il cemento,
che funge da materiale base, ma, a
questi aspetti, si associano i lunghi
corridoi scuri, gli interni scarsamente
illuminati e le linee orizzontali che
possono invece essere associate
all’architettura
tradizionale
giapponese.
L’armonia con la natura, tema
primario per l’architettura orientale,
è una conquista in più per Ando. La
relazione tra interno ed esterno nella
Koshino House è una manifestazione
di tutto questo: il terreno, ininterrotto,
entra nella composizione e l’edificio
diventa parte della natura che
lo circonda. La Koshino House
consiste di due volumi, realizzati in
cemento, di differenti dimensioni,
seminterrati e paralleli. La parte curva
a nord è l’estensione del complesso.
L’architetto non utilizza spesso linee
curve, ma queste appaiono, in alcuni
casi, per enfatizzare la composizione,
per renderla più dinamica, e quando
un nuovo “tratto” risulta necessario.
Le strette aperture, poste in
facciata, consentono il passaggio
di luce naturale. La sensazione,
nel percorrere questi spazi di semioscurità, è quella di essere confinati
e al tempo stesso protetti.
Il suo metodo è semplice: Ando
“gioca” con i muri, a volte piegandoli,
altre volte intersecandoli, ed in questo
modo crea l’ingresso alla scatola
chiusa. Tutti i progetti si focalizzano
sul “centro-cuore”, gli spazi sono
introversi e chiusi in se stessi.
Lo spazio privato è fisicamente e
psicologicamente isolato dal mondo
esterno il muro cieco isola dal caos
urbano e separa dai vicini.
L’autore Kevin Nute nel suo libro
Place, time and being in Japanese
architecture, nota: «Come nella
massima espressione degli ideali
Zen, l’austerità e l’introspezione
della casa da tè Wabi possono aver
ispirato Ando e i suoi spazi minimi
ed introversi. Come nella casa da
tè, è l’eterno, più che il momento
trascorso, che Ando cerca di catturare
nel suo lavoro».
L’architettura residenziale di Ando ha
molto in comune con la tradizione
giapponese delle case
da tè;
tuttavia in contrasto con i materiali
tradizionali, come il bamboo o tipi
diversi di legno, Tadao Ando utilizza il
cemento come unico materiale.
Egli considera il cemento come un
materiale da costruzione sicuro ed
Harmony with nature, primary theme
in Japanese architecture, is one
more achievement of Ando. The
relationship between the interior
and exterior of the Koshino House
is manifestation for this - terrain
seamlessly flows into the structure
and the building becomes the part
of the nature.
The Koshino House consists of two
concrete volumes of different sizes,
which are located parallel, half buried
into the ground. Northern curved
part is the extension of the complex.
Architect not very often uses curved
lines in his compositions, but they
appear in case when emphasizing
composition, dynamics and when
the ‘new word’ is needed. The
narrow openings that are located on
the facade are providing crossing
of natural light and shadow in the
interior. The feeling, one gets in a
semi-dark interiors, is that you are
delimited and, at the same time,
protected.
His methods are the simplest: the
architect is playing with walls, in
some cases he bends them, or just
creates intersections, and in this
way he creates the entrance to the
closed box. All Ando’s projects are
focusing on its “center- core”, the
spaces he creates, are introverted
and self-enclosed. Private space
is physically and psychologically
isolated from the outside world. The
exterior blind wall secludes from the
urban chaos and turns away from
the neighbours (Kidosaki house,
Tokyo, Japan 1986).
Author Kevin Nute in his book
Place, time and being in Japanese
architecture, notices: «As the ultimate
built expression of Zen ideals,
the austerity and introspection of
the Wabi tearoom may also have
provided part of the inspiration for
Ando’s similarly minimal, introverted
spaces. As in the tearoom, it is the
eternal now, more than the passing
moment, which Ando is seeking to
capture in his work».
Nelle pagine
precedenti:
Koshino house,
Kobe, 1980-84.
On the first page
and on the left:
Koshino house,
Kobe, 1980-84.
Ando’s residential architecture has
much in common with traditional
Japanese tea houses. Ando tries
to preserve the spirit of traditional
Japanese architecture. However, in
contrast to the traditional materials
used in the Japanese teahouses,
such as bamboo or different types
of wood, Tadao Ando uses concrete
21
In basso: Azuma
house;
a destra: 4x4
House.
Below: Azuma
House;
on the right: 4x4
House.
22
autonomo. Lo stesso Ando afferma:
«il corpo articola il mondo. Allo
stesso tempo, il corpo è articolato dal
mondo. Quando considero il cemento
come qualcosa di freddo e duro,
percepisco il corpo come qualcosa
di caldo e morbido. In questo modo
il corpo, nella sua relazione dinamica
con il mondo, diviene lo Shintai. E solo
lo Shintai in questo senso costruisce
o comprende l’architettura. Lo Shintai
è un essere senziente che risponde al
mondo».
Tom Heneghan osserva: «Dobbiamo
giudicare la predilezione di Ando per
le forme semplici e la desolazione del
cemento a vista non come una pura
preferenza estetica, ma innanzitutto
come affermazione della sua
posizione etica». La posizione etica di
Ando implica una rigida opposizione
nei confronti del consumismo senza
fine, tipico del mondo moderno.
Quando si è sul punto di considerare il
cemento come unico materiale usato
dall’architetto giapponese si inserisce
la luce, il vento ed altri elementi fisici
che “entrano”, in diversi modi, nella
sua architettura.
«Quando l’architettura trasforma
la natura attraverso l’astrazione,
cambiando il suo significato. Quando
l’acqua, il vento, la luce, la pioggia
ed altri elementi della natura sono
astratti nell’architettura, l’architettura
diventa il luogo in cui le persone
e la natura si confrontano in un
prolungato senso di tensione. Io
credo che questo senso di tensione
susciterà le sensibilità spirituali
latenti nell’umanità contemporanea».
Nel mondo moderno sopraffatto dal
consumismo, Ando crea spazi distinti,
separati da pareti cieche, utilizzando
il cemento, solido e indipendente, ed
ottenendo, come risultato di ciò, un
microcosmo introspettivo.
Riprendendo la famosa citazione di
Ando: «se si regala alle persone il
nulla, loro rifletteranno su ciò che può
essere ottenuto dal nulla», diventa
più chiaro il motivo per cui l’architetto
crea spazi per la meditazione
trascendentale, offrendo l’opportunità
di risvegliare la sensibilità, di
stimolarla e di rivitalizzarla.
as the only material.
Ando is using
sole concrete
in his buildings, that is a bold
statement, this is the only way to
express himself and his ideas. As
Ando himself argues, «the body
articulates the world. At the same
time, the body is articulated by the
world. When I perceive the concrete
to be something cold and hard, I
recognize the body as something
warm and soft. In this way the body
in its dynamic relationship with the
world becomes the Shintai. It is
only the Shintai in this sense that
build or understands architecture.
The Shintai is a sentient being that
responds to the world».
Tom Heneghan observes: «We must
judge Ando’s predilection for simple
form and the starkness of bare
concrete not merely as an aesthetic
preference, but primarily as a
statement of his ethical position».
Ethical position of Ando implies
strict opposition to the endless
consumerism of the modern world.
While one might assume that
concrete is the only material, that
Ando uses, at this time he indicates
a light, wind and other physical
elements. and lets them in, in his
architecture, in different ways.
«When architecture transforms
nature through abstraction, changing
its meaning. When water, wind, light,
rain and other elements of nature
are abstracted within architecture,
the architecture becomes a place
where people and nature confront
each other under a sustained sense
of tension. I believe it is this feeling of
tension that will awaken the spiritual
sensibilities latent in contemporary
humanity».
In the modern world, overwhelmed
with consumerism, Ando creates
detached spaces with blind walls
using stable and self-reliant
concrete, as a result of which,
introspective microcosm is created.
Following the famous quote of Ando,
«if you give people nothingness, they
can ponder what can be achieved
from that nothingness». With these
words it becomes clearer why the
architect is creating spaces for
transcendental meditation. With
his architecture Ando is giving
opportunity to awake sensibility, to
inspire, to revitalize.
23
Urban
Exploration.
Ascosi lasciti di
spazi in rovina
Il lavoro di ricerca e scoperta del gruppo
Ascosi Lasciti, mille declinazione di
un’attività nata dal fascino e dalla curiosità
verso un passato in abbandono
Testo di Luca Bonci
Traduzione di Agnese Oddi
24
Urban exploration.
Ascosi Lasciti of
spaces in ruins
«Da sempre coltivo l’amore per
i luoghi in rovina, vissuti e poi
dimenticati dall’uomo. Fin da piccolo
mi introducevo nelle cantine, nelle
case abbandonate e in tutti quei posti
in cui la natura tornava pian piano
padrona e la presenza dell’uomo
era
evanescente.
Crescendo,
affacciandomi al mondo dell’arte,
della letteratura e della fotografia, ho
capito che quell’insana passione che
faceva drizzare i capelli a mia madre e
che non si era sopita durante gli anni,
cresceva di pari passo alla maggior
possibilità di viaggiare, ed era in
realtà un amore per l’essere umano,
la cui essenza si svela solo nelle sue
vestigia, nel momento in cui la natura
torna a reclamarle, e le rende piene,
complesse e cariche di significato.
A volte questi resti umani si fanno
padroni della scena e mettono in
moto forze che suggestionano gli
ignari visitatori che capitano in quei
luoghi. Ecco le storie di fantasmi
e fenomeni paranormali di cui mi
sono nutrito fino a qualche anno fa
e che ho sempre riconosciuto come
ulteriori segni della presenza umana.
Ho così iniziato la mia ricerca, spero
che questo viaggio nel fascino del
decadente vi possa far innamorare
così come è successo a me» Alessandro Tesei sull’attività del
gruppo Ascosi Lasciti.
Da dove nasce la suggestione
per i luoghi in rovina e gli edifici
abbandonati? Potrebbe sembrare
macabro
provare
piacere
nell’accedere e visitare quei posti
creati dall’uomo, vissuti e poi lasciati
alla decadenza, alla riappropriazione
quasi giustificata da parte della
natura. Ma cosa c’è dietro tutto
questo?
Meravigliosa è la sensibilità di chi non
resiste al fascino del passato, alla
volontà di scoprire e di far irruzione
silenziosamente in una fabbrica in
disuso, in una villa abbandonata, in
un ospedale psichiatrico dell’epoca
antecedente alla legge Basaglia.
L’ingresso in questi luoghi è spesso
«It has always cultivate love for
places in ruins, experienced and
then forgotten by man. Since when I
was a child I went into cellars, in the
abandoned houses and in all those
places where nature was returning
slowly mistress and the presence
of man was evanescent. Growing
up, looking out to the world of the
art, literature and photography, I
realized that the passion that made
the hairs stand up to my mother
and that she had not died down
over the years, rose in tandem
with most opportunity to travel,
and it was actually a love for the
human being, the essence of which
is revealed only in its ruins, when
nature comes back to claim them,
and makes them full, complex and
full of meaning. Sometimes these
human remains are masters of the
scene and set in motion forces that
suggestive for the unsuspecting
visitors what happens in those
places. Here we are the stories
of ghosts and paranormal
phenomena that I am fed up to a
few years ago and I have always
been recognized as more signs of
human presence. So I started my
research, I hope this fascinating
journey of decadent you can fall
in love as has happened to me» Alessandro Tesei on the activities
of the group Ascosi Lasciti. Where
does the suggestion for the sites
in ruins and abandoned buildings
come from? It might seem macabre
to feel the pleasure in going in and
visit those places created by man,
experienced and then left to decay,
the reappropriation almost justified
by the nature. But what is behind all
this?
It is wonderful that the sensitivity
of those who can not resist the
charm of the past, the desire to
discover and to burst quietly in a
disused factory, in an abandoned
house, in a psychiatric hospital of
the time before the law Basaglia.
The entrance to these places is
often stealthy, not for the illegality
of the act but to a kind of respect
the peace that governs them and
that allows the visitor to stop and
25
Nella pagina
precedente: foto
di Alessandro
Tesei;
in alto: foto di
Gianni Pastorino,
a destra: foto di
Stefano Barattini,
Jonathan
Della Giacoma,
Emanuele Bai.
On the first page:
ph. Alessandro
Tesei;
above: ph. Gianni
Pastorino;
on the right: ph.
Stefano Barattini,
ph. Jonathan
Della Giacoma, ph.
Emanuele Bai.
26
furtivo, non per l’illegalità del gesto
ma per una sorta di rispetto della
quiete che li governa e che permette
al visitatore di fermarsi ad ascoltare
le storie che hanno da raccontare,
nonostante l’immobilità intimidatoria
di ogni oggetto, che appare come in
un fermo immagine di una scena in
movimento, come se l’improvviso
ingresso dell’uomo bloccasse un
incantesimo che li rende vivi.
Può esser così ritrovato il senso
evocativo dell’architettura o, più in
generale, degli spazi costruiti, che
potremmo definire vivi nel momento in
cui sono abitati e fruiti, e morti quando
ormai dell’uomo ne trasmettono solo
l’avvenuto passaggio.
In pochissimi anni è diventato uno dei
gruppi più grandi ed attivi in Italia ed
Europa di “Urban Explorers”.
I motivi che spingono questi
“esploratori” sono i più disparati:
c’è chi cerca un set evocativo da
fotografare, chi si addentra tra
questi spazi in rovina per godere
dell’estetica della decadenza, chi per
ascoltare ciò che il luogo, in silenzio,
ha da raccontare. Eppure, dopo
numerose esplorazioni, molti si sono
accorti che le sensazioni provate, a
prescindere da tutto, mutano verso
una sorta di misantropia, che deriva
dal riconoscere come l’uomo sia
poca cosa in confronto al tempo e
alla natura.
Nel caso di edifici abbandonati,
questa sensazione cresce ancor di
più, come un urlo disperato confinato
tra le pareti che sembra essere
ascoltato solo da questi “esploratori
urbani”. Sono loro che fanno rivivere e
riportano alla luce questi preziosi resti
del passato, soffiando sulla polvere di
questi libri dimenticati. Sono loro che
palesano questi “ascosi lasciti”.
Inizia qui l’attività dell’omonimo
gruppo italiano Ascosi Lasciti
Urbex, fondato nei pressi di Jesi
(AN) per mano di Alessandro Tesei
(videomaker, fotografo e graphic
designer).
Il portale online di Ascosi Lasciti è un
vero e proprio database di esperienze
comuni, una raccolta di racconti
vissuti in prima persona. Racconti
che danno voce e respiro, a questi
luoghi, facendoli rivivere nella mente
di quanti ci sono passati o ne hanno
semplicemente sentito parlare.
Automaticamente il rantolo di rabbia
si trasforma in speranza di salvezza,
in una richiesta di aiuto udita da
molti e accolta da pochi, ma che si
manifesta nella coscienza comune
come un peso. Un grande volerci
essere dell’architettura, del costruito
e della storia del nostro paese.
listen to the stories they have
to tell, despite the immobility of
intimidation each object, which
appears as a still image of a moving
scene, as if the sudden entrance of
man would stop a spell that makes
them alive.
It can be found so the evocative
sense of architecture or, more
generally, of the built spaces, that
could be called alive when they are
inhabited and enjoyed, and now the
man dead when they transmit only
the transition occurred.
In the case of abandoned buildings,
this feeling grows even more, as a
desperate scream confined within
the walls that seem to be heard
only by these “urban explorers”. It
is they who are reviving and bring
to light these precious relics of the
past, blowing the dust of these
forgotten books. They are the ones
that reveal these “ascosi lasciti”.
So It starts here the activities of the
group of Italian Ascosi Bequests
Urbex, founded near Jesi (AN)
by the hands of Alexander Tesei
(filmmaker, photographer and
graphic designer). In a few short
years he has become one of the
largest and most active groups
in Italy and Europe of “Urban
Explorers”. The reasons for these
“explorers” are extremely varied:
there are those who look for a set of
the evocative photographs, those
winds its way through these spaces
in ruins to enjoy the aesthetics of
decadence, who listen to what the
place, in silence , it has to tell. Yet,
after numerous explorations, many
have realized that the feelings, no
matter what, change toward a kind
of misanthropy, which comes from
recognizing that man is nothing
compared to the time and nature.
The online portal of Ascosi
Legacies is a real database of
common experiences, a collection
of short stories personally
experienced. Stories that give
voice and breath, in these places,
making them relive in the mind of
those who are gone or have just
heard. Automatically the gasp of
anger becomes an expectation
for salvation, in a request for help
heard by many and accepted
by few, but that is manifested in
the common consciousness as
a burden. Wanting to be a great
architecture, and built in the history
of our country.
27
Il Grande Cretto
di Burri, un
ricordo che vive
nel cemento
L’opera di land art realizzata dall’artista
umbro negli anni ‘80 a Gibellina, ripensa
l’area devastata dal terremoto, ripartendo
dal silenzio delle macerie
Testo di Gilda Messini e Tommaso Zijno
Traduzione di Lucrezia Parboni Arquati
28
The Great Cretto
by Burri. The
memory that lives in
concrete
I
N
ella notte tra il 14 e il 15 gennaio
1968 un violento sisma, di
magnitudo 6.0, colpì una
vasta area della Sicilia occidentale
distruggendo
completamente
l’antica cittadina di Gibellina e altri
centri urbani, compresi tra le province
di Palermo, Agrigento e Trapani.
Ricostruita a circa venti chilometri
dall’antico sito, Gibellina Nuova è
un luogo dalla memoria limitata,
proprio a causa della decisione di
trasferire forzatamente un intero
paese in una località immacolata,
ad una distanza che sembra infinita.
Professori universitari e architetti
affermati quali Quaroni, Gregotti,
Purini, Thermes, Venezia e artisti
dalla fama internazionale come
Schifano,
Cascella, Pomodoro,
Paladino, Angeli, Sciascia, Burri
furono chiamati a ripensare il nuovo
centro urbano.
Gibellina Nuova non ha memoria
anche perchè è stata progettata
senza che gli abitanti fossero
necessari: il sistema delle piazze
progettato di Purini e Thermes, il
Municipio di Samonà e Gregotti, la
chiesa Madre di Quaroni, e molti altri
“elementi urbani” prescindono dalla
presenza degli abitanti; esistono
come
vedute
tridimensionali,
come luoghi dove il vuoto prende il
sopravvento, proprio là dove il sole
batte più forte e forse andrebbe
cercata l’ombra.
Burri fu l’unico a non voler realizzare
la propria opera nella nuova città che
si andava definendo, giustificando
così la sua scelta: «Andammo a
Gibellina con l’architetto Zanmatti,
il quale era stato incaricato dal
sindaco di occuparsi della cosa.
Quando andai a visitare il posto,
in Sicilia, il paese nuovo era stato
quasi ultimato ed era pieno di opere.
Qui non ci faccio niente di sicuro,
dissi subito, andiamo a vedere dove
sorgeva il vecchio paese. Era quasi a
venti chilometri. Ne rimasi veramente
colpito. Mi veniva quasi da piangere
e subito mi venne l’idea: ecco, io qui
sento che potrei fare qualcosa. Io
n the night between 14 and 15 January
1968 a violent earthquake, with a
magnitude of 6.0, struck a large area
of western Sicily, destroying completely
the ancient town of Gibellina and other
urban centres, including the provinces
of Palermo, Agrigento and Trapani.
Rebuilt about twenty kilometres from
the ancient site, Gibellina Nuova is a
place of limited memory, precisely
because of the decision to forcibly
transferring an entire country in a place
immaculate, at a distance that seems
endless. University professors and
established architects like Quaroni,
Gregotti, Purini, Thermes, Venezia and
internationally known artists such
as Schifano, Cascella, Pomodoro,
Paladino, Angeli, Sciascia, Burri were
called to rethink the new urban centre.
Gibellina Nuova has no memory
because it is also designed without the
necessary presence of the inhabitants:
the system of squares designed by
Purini and Thermes, the Town Hall
by Samonà and Gregotti, the Mother
Church by Quaroni, and many other
“urban elements” are independent
from the presence of the inhabitants;
exist as three-dimensional views, as
places where the void takes over, just
where the sun shines more fierce and
perhaps should be sought shadow.
Burri was the only one who does not
want to realize his work in the new city
that was defining, justifying his choice:
«We went to Gibellina with the architect
Zanmatti, who had been appointed
by the mayor to take care of the thing.
When I visited the place, in Sicily, the
new city had been largely completed,
and was full of works. Here we do not
do anything for sure, I said at once,
let’s see where were the old city. It was
almost twenty kilometres far. I was
really impressed by that. I was almost
crying and suddenly I got the idea: here
I feel that I could do something. I would
do so: we should compact the rubbles
that are a problem for everyone, we arm
them, and with the concrete make a
huge white crackle, so that remains an
eternal reminder of this event» - Alberto
Burri, 1995
So Burri decided to build a massive veil
over the old town, a concrete imprint
cut by the paths of ancient streets. And
29
Nella pagina
precedente:
Grande Cretto di
Gibbellina, foto di
Gabriel Valentini;
in basso:
Grande Cretto di
Gibbellina, foto di
Ruggero Arena,
Cretto Bianco.
On the first page:
Grande Cretto di
Gibbellina, ph.
Gabriel Valentini;
below: Grande
Cretto di
Gibbellina, ph.
Ruggero Arena,
Cretto Bianco.
30
farei così: compattiamo le macerie
che tanto sono un problema per tutti,
le armiamo per bene, e con il cemento
facciamo un immenso cretto bianco,
così che resti perenne ricordo di
quest’avvenimento» - Alberto Burri,
1995
Così Burri decise di costruire un
velo massivo sopra la vecchia città,
un’impronta di cemento tagliata dai
tracciati delle antiche strade.
Ed ecco “risorgere” Gibellina Vecchia,
un coagulo di strade appiccicato alla
collina, ma reso incorporeo da un
trattamento continuo di cemento
colato sul fianco di un territorio
ferito. Il tracciato dei blocchi e delle
fenditure ricalca in buona parte
l’impianto urbanistico preesistente.
Il risultato è assimilabile ad una
grande texture frammentata, che
segue la morfologia del territorio.
Un’opera che annulla i limiti fra arte,
architettura e urbanistica.
«Preparammo
le
planimetrie
perimetrando la zona dell’intervento
con un rettangolo che copriva
quasi tutta la superficie dei
ruderi eliminando le sfrangiature
perimetrali. Solo allora capimmo
la grandezza del progetto, l’opera
copriva più di dieci ettari di superficie,
da stupire i Faraoni ma non Burri che
impaziente, su un plastico del terreno,
preparato in quattro e quattr’otto,
distese nei limiti del rettangolo
ipotizzato, la sua superficie di malta
bianca per ottenere il cretto. Incise la
rete viaria principale lasciando che il
cretto si formasse spontaneamente.
Si prepararono i disegni esecutivi
che prevedevano l’abbattimento dei
muri ancora in piedi e pericolanti,
compattando poi le macerie e
rivestendole con rete metallica,
secondo le forme del progetto e il
tutto ricoperto di cemento bianco» Alberto Zanmatti
L’efficacia del progetto è data
dall’opposizione visiva tra l’esterno:
l’opera intesa come arte ambientale,
che si può leggere a chilometri
di distanza con un effetto quasi
pittorico; e l’interno: l’opera come
spazio percorribile, ad altezza
d’uomo, un vasto e spettrale labirinto
aperto fra le crettature, che diviene
un percorso di smarrimento e di
riflessione sulla nozione stessa di
perdita. Il Grande Cretto di Gibellina
è il coronamento del percorso
artistico iniziato da Burri nei primi
anni Settanta, incentrato sullo studio
del rapporto tra energia e materia.
Nei Cretti, in modo particolare, la
materia risulta modificata, spaccata
da una qualche forma di energia.
Immagini
suggestive
di
terre
lesionate da arsure, crepe dovute
all’azione del tempo, strati di crosta
terrestre lacerati dalle scosse di un
sisma. Rappresentazioni di materie
quasi condannate ad apocalittici
destini.
Il Grande Cretto è un’opera da sentire,
un monumento alla memoria di
un luogo, da visitare in silenzio.
Una cattedrale a cielo aperto, dove
lasciarsi invadere dai pensieri. Un
luogo dove meditare sulla brevità e
precarietà della vita. L’antica città
siciliana rivive così tra le crepe di
questo Grande Cretto, disegnate su
una superficie imperfetta, rigata dal
ricordo di strade scomparse.
here “resurrect” Gibellina Vecchia, a clot
of streets stuck to the hill, but made
bodiless by a continuous treatment
of concrete casts on the side of a
wounded land. The layout of blocks
and fissures follows largely the existing
city plan. The result is similar to a great
texture fragmented, which follows the
topography of the area. A work that
cancels the boundaries between art,
architecture and urbanism.
«We prepared the plans delimiting the
intervention area with a rectangle that
covered almost the entire surface of
the ruins eliminating fraying perimeter.
Only then we realized the magnitude
of the project, the work covered more
than ten hectares, enough to impress
the Pharaohs but not Burri that
impatient, on a model of the terrain,
prepared in a jiffy, stretches as far as
the assumed rectangle its surface of
white mortar to get the crackle. Carved
the trunk road network letting the
crackle was formed spontaneously.
They prepared the drawings which
included the demolition of the walls
still standing, then compacting the
debris and coating them with metal
mesh, according to the forms of the
project and then covering all with white
concrete» - Alberto Zanmatti
The effectiveness of the project is given
by the opposition between the exterior
visual: the opera as an art environment,
which you can read in kilometres away
with an almost painterly; and the interior:
the work space as practicable, at eye
level, a vast, spooky maze opened
between the cracking, which becomes
a path of loss, reflection on the notion
of loss. The Great Cretto of Gibellina is
the culmination of the artistic career
started in the early seventies by Burri,
which focuses on the study of the
relationship between energy and
matter. In the Cretti, in particular, the
material is modified, split by some
form of energy. Suggestive images
of lands damaged by scorching heat,
cracks due to the time, layers of the
earth’s crust torn by an earthquake.
Representations of materials almost
condemned to apocalyptic fates.
The Great Cretto is a work to feel, a
monument to the memory of a place
to visit in silence. An open air cathedral,
where you can be invaded by thoughts.
A place to meditate on the brevity and
uncertainty of life. The ancient Sicilian
city relives through the cracks of this
Great Cretto, drawn on an imperfect
surface, scratched by the memory of
roads disappeared.
31
Derinkuyu, il tempo
si ferma nella città
sotterranea turca
Il silenzio è il luogo del rifugio. Il rifugio è nello
spazio ipogeo. A Derinkuyu il tempo nasconde e
preserva i segni dei passati periodi dell’uomo
nell’oblio della strategia compositiva e
della consapevolezza costruttiva
Testo e traduzione di Lisa Patricelli
32
Derinkuyu,
where age is lost
inside turkish
underground city
A
È
di recente scoperta una nuova
città sotterranea nell’altopiano
dell’Anatolia, secondo alcuni si
tratta del più grande ritrovamento
archeologico del 2014. Il dedalo
di gallerie rinvenuto a Nevşehir si
“inabissa” per molteplici livelli nelle
profondità della terra.
La
conformazione
morfologica
del territorio, in questa parte della
Turchia, ha dato la possibilità fin dai
tempi antichi di sfruttare lo spazio
ipogeo. Una delle caratteristiche
della regione è, infatti, l’abbondanza
di insediamenti sotterranei. La
Cappadocia è stata meta di assalti
nella storia e queste città furono
costruite per fornire spazi dove poter
rifugiarsi temporaneamente durante i
periodi di pericolo.
Scavate nelle rocce tenere di tufo,
nella regione centrale dell’Anatolia,
sono
stimate
circa
150-200
città sotterranee. Alcune grandi
abbastanza da contenere 30.000
persone; altre, più piccole, potrebbero
essere più propriamente definite
“borghi sotterranei”.
La nuova città rinvenuta nel 2014 non
è il primo ritrovamento archeologico
in materia di costruzioni sotterranee
ad essere scoperto in Turchia. Infatti
fin dal 1965 è possibile visitare il 10%
della città sotterranea a Derinkuyu,
situata a 29 km da Nevşehir. Questo
sito, incluso nella lista del patrimonio
dell’UNESCO, è approssimativamente
profondo 85m e riscuote successo
non solamente dal punto di vista
turistico.
Per quanto concerne un’analisi
architetturale,
le
abitazioni
troglodite
rappresentano
un
esempio emblematico del concetto
primordiale
di
organizzazione
residenziale. Il bisogno di costruire
“spazi del silenzio”. Spazi invisibili.
Spazi sotterranei.
Percorrendo i cunicoli, scavati nel
tufo, si incontrano abitazioni rupestri,
new underground city is recently
found in Anatolia upland,
according to someone it’s a matter
of the biggest archeological finding
in 2014. A maze of tunnels, found
in Nevşehir, lowers several levels in
the depths of the Earth.
Morphological form of natural
structures, in Turkey, gave from
ancient times the possibility of
exploit the hypogeum space.
In fact, one of traits in this turkish
region is a great abundance of
underground settlements.
Because historically, Cappadocia
had been subjected to frequent
raids, these cities were built to
provide people with places where
they could take temporary shelter
during time of danger.
In the central Anatolia region there
are 150-200 underground cities,
carved out of the soft tufa rock.
A few of them were large enough
to accommodate 30.000 people,
while other settlements could
more accurately be described as
“underground villages”.
The 2014 discovered city is not the
first archeological-underground-site
finding in Turkey. In fact from 1965
it’s possible to visit 10% of Deinkuyu
Underground City, situated 29km
from Nevşehir. It is on list of
World Heritage by UNESCO and is
approximately 85m deep, achieving
resounding success not only as
tourist attraction.
Architecturally,
troglodyte
settlements represent a classical
example of elementary concept
about residential organization.
The need to build “silence spaces”.
Invisible spaces. Underground
spaces.
Within
primitive
settlements, carved out of tufa,
there are stables, cellars, storage
rooms,
refectories,
churches,
wineries. Room are linked by mazes
of tunnels, closed if necessary,
with spherical stones, sliding on
33
Nella pagina
precedente e in
alto: foto di Lisa
Patricelli;
a destra: foto
di Najlepszy
Komentarz, Armas
Brancas e Melissa
Blevins.
On the first page
and above: ph.
Lisa Patricelli;
on the right:
ph. Najlepszy
Komentarz, Armas
Brancas e Melissa
Blevins.
porte cilindriche, scale, camini
d’aerazione, cucine, stalle, chiese,
spazi per la pigiatura dell’uva, vani
per l’illuminazione ad olio, refettori.
Gli spazi sono collegati da labirinti
di tunnel bloccati, all’occorrenza, da
speciali pietre circolari scorrevoli su
guide. In caso di necessità, venivano
aggiunti nuovi ambienti scavati
sotto i pavimenti delle camere
esistenti, aumentando le dimensioni
dell’insediamento sotterraneo.
L’estrazione di materiale è la
parola chiave: non si tratta di una
metodologia costruttiva comune.
Nella città sotterranea di Derinkuyu
le cavità sono ricavate direttamente
scavando la roccia. Questo comporta
sia effetti a livello strutturale, ma
soprattutto
riduce
dissipazioni
acustiche e termiche.
Dall’esterno è visibile solo la porta
d’accesso, posposta alla biglietteria:
oggi il sito archeologico è un museo,
visitabile previo pagamento di un
biglietto. Entrando si lascia alle
spalle la luce, la pavimentazione e
l’intonaco bianco dei materiali odierni
per immergersi in uno spettacolo
ancestrale.
La
temperatura
è
costante, attorno ai 18 gradi. Il
silenzio è tombale. L’atmosfera
è tetra. Le lanterne artificiali, con
la loro luce calda, indicano la via
ai visitatori, insieme ad insegne e
frecce direzionali. Il ritmo è scandito
dall’alternanza di pieni e vuoti, spazi
serviti e serventi, corridoi e stanze. La
34
sorpresa è continua.
La discesa nei piani sotterranei è
proporzionale alle dimensioni dei
passaggi, sempre più a misura
“d’homo” e il silenzio diventa il
protagonista assoluto. Ci si perde
dunque in un luogo atemporale,
dove tutto è fermo, dove non c’è
vita, dove si respira polvere e
oscurità. Il passaggio dell’uomo è
netto. Il segno lasciato è preservato
dal tempo che in superficie
continua a correre, non curandosi
del
misterioso
insediamento
sotterraneo, figlio del passato
periodo in cui vicende storiche e
leggende si intrecciavano, favorendo
la creazione di spazi trascendentali
di un mondo sotterraneo sviluppato
parallelamente a quello in superficie.
Il rapporto tra il mondo della
luce e quello delle tenebre si può
considerare come il frutto di un
incontro metafisico, di un ininterrotto
dialogo tra la vita e la morte, tra
rumore e silenzio. Qui il luogo del
sottosuolo è la dimostrazione della
riuscita progettazione compositiva,
strategicamente pensata, e la
costruzione, monolitica, estrusa dalla
roccia.
Derinkuyu, territorio per prove difficili
ed essenziali. La città sotterranea
è oggi il museo principale della
regione
Nevşehir
e
dimostra
l’ingegno dell’uomo antico, l’abilità
di costruzione, l’assimilazione delle
tecniche, la risposta al bisogno della
difesa, il rispetto della religione.
guides. When needed, new rooms
carved out under existent spaces
floor,
improving
underground
settlement dimensions. Carve
out tufa is the key word: it’s not a
common constructive method. In
Derinkuyu underground city, that
is on the way to Niğde, caves are
carved out directly from rock. This
entails structural effects and also
to improve acoustic and thermal
resistances.
On the outside it is visible just the
access point, ticket office rear
area: in fact this archeological site
is a museum, to visit upon ticket
payment. Going inside, a visitor
leaves behind sun light, flooring,
white plaster of contemporary
building materials to sinks ancestral
context. Here setting is fixestemperature, 18 Celsius degrees.
Silence is austere. Setting is
gloomy. Warn lighted electric signs
and arrow-shaped objects signpost
to visitors. Rhythm is expressed
by succession of full and empty
spaces. Unexpected astonishment
is everywhere. Underground floors
descent is in proportion to tunnels
size, more and more shrink, the
silence has the starring role.
With this feeling, visitor lost in an
atemporal place, where everything
is stationary, where there isn’t life
and breaths dust and darkness.
Human track are clear. Left mark
preserved by time, which on
surface keeps going on, don’t
taking care of arcane underground
settlement, son of past age, in
which it mingled urban legend with
history, supporting establishment
of increasingly
spaces in a
underground world, developed
parallel to the one on the surface.
The ratio between light sphere and
darkness one can be considerate
as result of metaphysical combine,
a continuous exchange between
life and death, between noise and
silence. Underground settlement
is a strong example of succeeded
system
design,
strategically
conceived, and building construction
awareness, monolithic, carved
out of rock. Derinkuyu, unexplored
territory to hard and required
tasks. Underground city is now the
main museum in Nevşehir region
and shows ancient human talent,
construction ability, outwork in the
time of need and religion respect.
35
IMMAGINI SILENTI
DI ROBERTO MAZZARELLI
A
ttimi congelati di realtà che si
susseguono. Piccoli particolari
che
raccontano
l’assenza
di una storia; orme sulla sabbia
diventano protagoniste assolute della
composizione. Scatti che racchiudono
uno stato psichico inconscio che
l’artista mette in mostra quasi
inconsapevolmente.
Paragonare la fotografia di Roberto
Mazzarelli a qualcosa di preciso risulta
complicato, ciò che essa “narra” è molto
simile al “silenzio”. Ritrae quell’attimo
prima o quell’attimo subito dopo; un
attimo che ha come protagonista il
rumore assordante del nulla.
Così queste foto, apparentemente
immobili e silenti, trascrivono un
continuo evolversi di pensieri e di
emozioni; istanti particolari di una realtà
in continuo movimento.
CURATOR
FR A N C ESC A DE DOMI NI CI S
PHOTOGRAPHY
R O B ERTO M AZZ AR ELLI
TEXT
FR AN C ESC A DE DOM I NI CI S
TRANSLATION
LU CREZI A PARBONI ARQUATI
GRAPHIC
AN D R EA B ON AMORE
“Immagini Silenti” è una
produzione lab2.0 distribuita in
allegato a “lab2.0 Magazine”
Roberto Mazzarelli - Vive a Roma,
dove si laurea in cinema e arti visive
presso il Dams di Roma Tre.
Nel 2012 lavora per la XIII edizione
del Lucania Film Festival. Dal 2012
è anche curatore di (Cine)Visioni
Magazine rivista on line di analisi e
critica cinematografica.
F
rozen following moments
of reality. Small details that
tell the absence of a history;
footprints in the sand become the
centrepiece of the composition.
Shots that contain an unconscious
mental state that the artist shows
almost unconsciously.
Compare the photography of
Roberto Mazzarelli to something
definite is complicated, what
it “tells” is very similar to the
“silence”. He portrays the moment
before or after; a moment that
features the deafening sound of
nothing.
So these pictures, apparently
motionless and silent, transcribe a
continuous evolution of thoughts
and emotions; special moments
of a reality constantly in motion.
Roberto Mazzarelli - He lives in
Rome, where he graduated in film and
visual arts at the Dams of Roma Tre
University. In 2012 he works for the XIII
edition of the Lucania Film Festival.
Since 2012 it is also the editor of (Cine)
Visioni Magazine, an online magazine
of film criticism and analysis.
Strutture lignee complesse
delimitano lo spazio:
Intervista a Sergio Pone
Testo di Giandonato Reino e Daria Verde
Translated by Daria Verde
S
ergio
Pone,
esperto
d’innovazione
tecnologica,
conduce
ricerche
e
sperimentazioni sulle Gridshell
(gusci a graticcio di legno
ecosostenibile)
e
sulla
loro
capacità di generare lo spazio, di
modellare il vuoto. Sull’argomento
è relatore in numerosi convegni
nazionali e internazionali, l’ultimo
dei quali svoltosi in Australia. Il
leit motiv della sua ricerca è la
sperimentazione:
nelle
forme
esplorate dal suo lavoro, si ritrova
la volontà di indagare a tutto
campo tra gli strumenti tecnologici
della costruzione per riportare
l’architettura a strumento della
fantasia collettiva, guardando oltre
i limiti di tradizioni consolidate.
Non è un caso che l’insegnamento
svolga un ruolo fondamentale
nella sua attività: coordinatore di
numerosi workshop, coinvolge
infaticabilmente giovani e studenti
che hanno così la possibilità di
confrontarsi con il mondo del
lavoro e di vivere un cantiere.
Dalla prima faticosa realizzazione,
l’ampliamento di una casa di
villeggiatura a Ostuni, in Puglia, a
oggi è stato tracciato un percorso
di ricerca che è anche un percorso
di formazione. «E – usando le sue
parole – per una volta non si tratta
della formazione di chi è chiamato
ad apprendere, ma di quella di chi è
chiamato a insegnare».
Che cos’è una gridshell?
Una gridshell è una struttura che
ibrida il comportamento delle
strutture reticolari “grid” con il
comportamento dei gusci, cioè le
“shell”. Il guscio tradizionale che
48
noi conosciamo è quello fatto in
calcestruzzo armato caratterizzate
da una grande rigidezza e la scarsa
penetrabilità dalla luce in particolare
quando gli spazi sono molto grandi.
Per questo motivo nasce il guscio
a graticcio, il guscio a griglia, cioè
la gridshell, che essendo fatta
con asticelle lascia questi spazi
vuoti e attraverso questi spazi può
penetrare la luce, inoltre il ruolo del
sistema reticolare è proprio quello
di attribuire la rigidezza nel piano.
Le gridshell sono di due grandi
famiglie: quelle preformate e
quelle postformate. Le gridshell
preformate hanno una forma
precostituita già dalla messa in
opera. L’esempio classico è la
struttura di Massimiliano Fuksas
alla Fiera di Rho. I grandi interpreti
mondiali di questa tipologia sono
lo studio tedesco di ingegneria
Schlaich e Bergermann; dall’altro
lato invece ci sono le gridshell
postformate in legno. Queste
strutture si assemblano in piano
e successivamente si forzano per
raggiungere una conformazione
a doppia curvatura che è quella
che poi effettivamente la rende
resistente, cioè il guscio.
Attraverso queste curvature si da
forma a degli spazi che possono
essere molto diversi tra loro. Quali
sono quindi le qualità spaziali di
una gridshell?
Io assimilo alla costruzione della
gridshell la realizzazione di un
vestito. C’è la tessitura e il suo
processo creativo che è un attività
industriale, ripetitiva e seriale dove
trama e ordito possono essere
assimilati ad una sovrapposizione
cartesiana in qualche modo. Il sarto
poi riceve il tessuto e lo adegua
in base a una funzione: lo taglia,
lo cuce, lo piega, lo curva. Trama
e ordito consento al tessuto di
assumere le sue rotondità che poi
sono quelle del nostro corpo.
Noi creiamo un tessuto di legno.
Proprio questa stessa rotazione
delle maglie tra di loro fa la gridshell.
La sua caratteristica è la forma
concavo-convessa ed è quella che
nasce proprio dal suo modo di
essere costruita. Quindi si inserisce
naturalmente in quel filone di
architettura
organica
che
si
riferisce a questo tipo di curve fino
ad arrivare potenzialmente anche
all’architettura dell’informale. A
mio avviso la gridshell non è mai
informale. Ha sempre delle forme
dettate da necessità formali,
figurative,
costruttive
e
del
materiale.
Considerando
la
particolare
adattabilità della gridshell come si
relaziona al vuoto urbano?
L’archetipo della gridshell è la
Multihalle di Mannheim di Frei Otto.
Questa è stata cucita all’interno
di un parco, rispettandone gli
elementi naturali: gli alberi, il
bordo del laghetto. Frei Otto si è
divertito a dare a questa struttura
una forma che discendeva dalla
volontà di rispettare gli elementi
naturali presenti. Quindi ha questa
caratteristica
straordinaria
di
personalizzazione fino a livello di
dettaglio sulla forma che la città
chiede. Oggi si stanno realizzando
grandi strutture urbane, mi viene
in mente il Parasol di Siviglia, che
servono per immaginare un tipo di
benessere degli spazi aperti che in
qualche misura approssimi quello a
cui siamo abituati negli spazi chiusi.
Io credo molto che bisogni lavorare
sul benessere urbano e secondo me
la gridshell, specialmente nei paesi
caldi, ma anche nei paesi con climi
freddi, dove fondamentalmente
c’è la necessità di sostare senza
bagnarsi in un’attesa, è molto
adatta.
La sua flessibilità le conferisce una
forte adattabilità negli spazi a cui
si somma la suggestione di queste
forme che non sono mai banali.
Può
assumere
quindi
le
caratteristiche di una galleria, di
una sala e di una serie di gallerie
che la connettono. In realtà è
assolutamente
plasmabile
in
questo senso. Posso fare quello
che voglio.
Come mai non è un sistema
costruttivo diffuso?
Non è un sistema diffuso perché
è essenzialmente un sistema
complesso da progettare. Mi
spiego. La forma che noi diamo alle
strutture è derivante dalla flessione
del legno. Quindi è una forma
che più che essere imposta al
materiale, va calcolata. Noi infatti
utilizziamo, per una prima fase
del nostro lavoro di progettazione,
procedimenti di calcolo per capire
che forma prenderà il legno.
Come si può immaginare è un
sistema estremamente complesso.
La forma è molto complessa.
Il
comportamento
è
molto
complesso. Il sistema progettuale è
molto complesso: cioè devi pensare
dove e quanto spingi per dargli la
forma che lei assume.
Nei nostri lavori abbiamo usato
sempre legno di conifera per due
motivi: il primo è che le conifere
sono più adatte per le applicazioni in
esterno. Il secondo è quella di avere
un quantitativo consistente di resina
e quindi un livello di flessibilità e
deformabilità maggiore rispetto
al legno dei latifoglie. Tra queste
il principe delle conifere è il larice.
Un ottimo legno che si produce in
discrete quantità anche qui in Italia.
49
Perchè preferire la gridshell ad altri
sistemi costruttivi?
Questo sitema costruttivo è
preferibile ad altri perchè consente
una
leggerezza
straordinaria,
confrontabile con strutture che non
si fondano, ma si zavorrano. Una
gridshell in legno arriva a pesare
anche 7 kg a metro quadro. Questo
consente quindi di minimizzare le
opere di fondazione. Quella in legno
ha inoltre questa caratteristica
che anche se è estremamente
complessa da progettare poi è
abbastanza semplice da realizzare.
C’è una fase, che è quella della
formatura, in cui l’esperienza è
indispensabile, però tutte le altre
sono operazioni molto semplici
che si fanno con materiali che
stanno nella stanza degli attrezzi di
tutte le case in realtà. Chiunque ci
può lavorare ed è una costruzione
appropriata anche in condizioni
difficili. Per un guscio in cemento
armato ho bisogno di spazi per
la gru, per la betoniera. Per una
gridshell non ho bisogno di niente:
ho bisogno di arrivare con la mia
automobile e portare quattro
bacchette.
Posso realizzarla in paesi che
vivono condizioni disagiate senza
grandi forzature. Come alcuni
paesi del terzo mondo dove tra le
tecnologie tradizionali troviamo
spesso l’uso del legno. Quindi non
vai a forzare le loro abitudini.
Possiamo dire che queste strutture
hanno un livello di sostenibilità pari
al 100% perché a bassissima energia
grigia. In fase di demolizione inoltre
se non si applicano particolari
trattamenti chimici il legno si
trasforma in risorsa: tramite il pellet
può diventare combustibile.
Per
quanto
riguarda
la
manutenzione, tutte le parti sono
50
sostituibili come in qualsiasi
costruzione di legno. Il materiale
eterno non esiste, o meglio, pare
che ci siamo andati vicini tant’è
che la ditta produttrice ha deciso di
chiamarlo eternit. Fortunatamente
abbiamo capito che non è questo il
modo con cui approcciare a questo
pianeta.
Le costruzioni hanno bisogno di
manutenzione. Questa cosa si
può sicuramente minimizzare con
dei particolari trattamenti, oggi
sempre meno legati all’industria
petrolchimica. Per la gridshell la
manutenzione serve né più né
meno che in qualsiasi altro sistema
costruttivo.
Quanto è importante per lei il
coinvolgimento dei giovani?
Fino ad oggi il coinvolgimento dei
giovani è stato molto importante.
Io ho una squadra fantastica di
ragazzi che mi aiuta e mi segue nei
nostri workshop o sperimentazioni
in giro per l’Italia.
I giovani sono una risorsa. Nella mia
esperienza didattica ho verificato
che è molto utile usare queste
strutture perché, in qualche misura,
ti rende consapevole delle tue
capacità a costruire una cosa tua.
Questo accorcia la distanza rispetto
al mondo mitologico delle archistar.
Riuscire a fare un oggetto non
completamente diverso da alcune
cose che si vedono sulle riviste di
architettura costruito con le proprie
mani dà molta soddisfazione.
Dall’altra parte ci sono io che
vengo caricato dal loro entusiasmo,
in cambio io aiuto loro perché
attraverso questo passaggio c’è
un acquisizione di consapevolezza
che alla fine, con un po’ di legnetti
e un trapano, si possono realizzare
delle cose veramente belle.
Complex wooden structures define space.
Interview with Sergio Pone
S
ergio Pone, an expert in
technological
innovation,
conducts
research
and
experiments on Gridshells (timberframed shells made of sustainable
wood) and their ability to create
space, to shape the void. On the
subject he is a speaker in numerous
national
and
international
conferences, the last of which took
place in Australia. The leitmotiv of
his research is experimentation: in
the shapes explored by his work, we
find the will to investigate through
technological tools of construction
to make architecture an instrument
of collective imagination, looking
beyond the limits of established
traditions. It is no coincidence that
teaching plays a vital role in his
activity: coordinator of numerous
workshops, he engages young
people and students who have the
opportunity to face the world of
work and to live on a construction
site. From the first hard realization,
the expansion of a summer house in
Ostuni, Puglia, up to date what has
been traced is a path of research,
which is also a training course.
«And - in his words - for once it is
not the education of those called
to learn, but that of those who are
called to teach».
What is a gridshell?
A gridshell is a structure that
interbreeds the behaviour of “grid”
structures with that of “shells”.
The traditional shell is made
of reinforced concrete and is
characterized by high stiffness
and lack of light, particularly in
very large spaces. For this reason,
the timber-framed shell was born,
the gridshell, that, thanks to the
rods it is made of, has these empty
spaces and through these spaces
the sunlight can penetrate; besides
the role of the reticular system is
precisely to confer stiffness.
The gridshells belong to two large
families: the pre-formed and the
post-formed ones. The preformed
gridshells have a shape that is
imposed since their installation.
The classic example is the structure
by Massimiliano Fuksas at the Rho
exhibition. The world’s greatest
interpreter of this type is the German
engineering studio Schlaich and
Bergermann; on the other side,
there are post formed gridshell
made of wood. These structures are
assembled on the ground and then
we force them to reach a doublecurved conformation, which is what
actually makes them resistant.
Thanks to these curvatures it is
possible to create spaces that can
be very different from each other.
So what are the spatial qualities of
a gridshell?
I assimilate the construction of
gridshell to the realization of a
dress. There is the weaving which
is an industrial, repetitive and serial
activity, where the warp and the weft
can be somehow considered as a
Cartesian superimposition. Then
the tailor receives the cloth and
adapts it according to a function: he
cuts it, sews it, folds it, and bends
it. The warp and the weft allow the
fabric to assume its roundness
which is that of our body.
We create a wooden texture.
Precisely this same rotation of
the links between them makes the
gridshell.
Its characteristic is the concave
51
and convex shape which originates
from its building technique. So it
naturally fits in the line of organic
architecture that refers to this
type of curves up to informal
architecture. In my opinion a
gridshell is never informal. Its
shape is always dictated by formal,
figurative, constructive and material
necessities.
Considering
the
particular
adaptability of a gridshell, how
does it relate to the urban void?
The archetype of the gridshell is
the Multihalle Mannheim by Frei
Otto. It was sewed up inside a park,
respecting its natural elements: the
trees, the edge of the pond. Frei
Otto had fun giving this structure a
shape descending from the desire to
respect natural elements. So it has
this extraordinary feature of customtailoring up to the level of detail
on the form that the city requires.
Today large urban structures are
built, I am thinking of the Parasol in
Seville; they help imagining a kind
of wellness of open spaces that
somehow approximates the one
we are used to in enclosed spaces.
I deeply believe that we need to
work on urban wellness and, in my
opinion, the gridshell, especially in
hot countries, but also in countries
with cold climates, where there is
the essential need to stand while
waiting without getting wet, is very
suitable.
Not only its flexibility gives it a
strong adaptability inside spaces,
but also the suggestion of these
forms is never banal.
It can therefore assume the
characteristics of a tunnel, a
hall, and a series of tunnels that
connect it. It actually is absolutely
mouldable in this sense. I can do
what I want with it.
52
Why isn’t it a popular construction
system?
It is not a popular system because
it essentially is a complex system
to be designed. Let me explain. The
shape we give to the structures
derives from the bending of the
wood. So it’s a shape that, more
than being imposed on the material,
should be calculated. We use, in
the first phase of our design work,
computational procedures in order
to understand what shape the wood
will assume. As you can imagine,
it is an extremely complex system.
The shape is very complex. The
behaviour is very complex. The
design system is very complex: that
is to say, you have to think about
where and how to push it to give it a
particular shape.
In our work we have always used
softwood for two reasons: the first
is that conifers are more suitable for
outdoor applications. The second is
it has a significant amount of resin,
and so a greater level of flexibility
and deformability than the wood of
deciduous trees. Between those, the
prince of softwood is larch wood.
A great wood that is produced in
adequate quantities here in Italy.
Why should we prefer a gridshell to
other constructive systems?
This constructive system is to be
preferred because it allows an
extraordinary lightness, comparable
to structures that are not grounded,
but loaded. A wooded gridshell can
weigh up to 7 kg per square meter.
This allows us to minimize the work
of foundation. The wooden structure
also has this characteristic: even
though it is extremely complex to
design, it is quite simple to realize.
There is a stage, which is that of
moulding, in which experience is
essential; however, all the other
stages are very simple and can be
done with the same materials and
tools we all have in our houses.
Anyone can work on it and it is
an appropriate construction even
in difficult conditions. For a shell
made of reinforced concrete I need
space for the crane and the mixer.
For a gridshell I don’t need anything:
I only need to get there with my car
and to bring four rods.
I can build it in poor countries
without difficulties. As a matter of
fact, in some third world countries
wood is traditionally used. So you
do not go there and change their
habits.
We can say that these structures
have a level of sustainability of
100% because of their very low
grey energy. Moreover during its
demolition, if you do not apply
chemical
treatments,
wood
becomes a resource: through pellet
it can become flammable.
As regards maintenance, all parts
are replaceable as in any wooden
construction. The eternal material
does not exist, or maybe, it seems
that we came so close to it for the
manufacturer decided to call this
material eternit. Fortunately we
realized that this is not the way to
approach this planet.
Buildings need maintenance. This
is something you can definitely
minimize with particular treatments,
today less and less related to
the petrochemical industry. So
gridshells maintenance is neither
more nor less necessary than in any
other building system.
How important is the participation
of young people to you?
Until today, the participation
of young people has been very
important. I have a fantastic team
of guys who help me and follow me
in our workshops or experiments all
around Italy.
Young people are a resource. In my
teaching experience, I have noticed
how helpful it is to use these
structures because, to some extent,
they make you aware of your ability
to build something by yourself. This
shortens the distance from the
mythological world of Archistars.
Being able to build an object, that
is not completely different from
some things you see in architecture
magazines, with your own hands
gives you a boost. On the other
side, here I am, excited by their
enthusiasm. In return, I help them
because they acknowledge that, all
in all, with a few sticks and a drill,
you can accomplish really beautiful
things.
53
Contenuto speciale • Special content
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Contenuto speciale • Special content
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57
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E’ un supplemento di
lab2.0 Magazine (ISSN 2385-0884)
appartenente al gruppo editoriale
dailySTORM (testata giornalistica
iscritta al Registro della Stampa del
Tribunale di Roma, autorizzazione
n. 12 del 15 Gennaio 2013)
A cura di / Edited by
Lorenzo Carrino
Testi/ Text
Renato Vivaldi Tesser
Giada Caterina Zerboni
Traduzioni/ Translations
Martina Regis
Fotografie/Photography
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Ermanno Cavaliere
Susanna Emili
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Grafica/ Graphic & Editing
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CONTAMINATIONS
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una
produzione lab 2.0 distribuita in
allegato a “lab2.0 Magazine”
Contaminations - inserto
della rivista lab2.0 - nasce
come
“contenitore”
di
esperienze,
esperienze
da condividere e che
“viralmente”
possano
alimentare il dibattito sul
ruolo che l’architettura
ricopre
nella
società
contemporanea.
Contaminations - lab2.0
magazine’s insert - arises
as an experiences binder,
experiences to share and
that, in a viral way, could
incite the debate on the role
that today the architecture
has on the society’s
development.
INDICE
01
FIOR DI PIAZZA
03
METODOLOG IA
“ 1 + 1 = 1 1 ”
05
R A C C O N T O
FOTOG RAFICO
F I O R
D I
P I A Z Z A
Fior di Piazza: un progetto partecipato di rivalutazione territoriale.
In Sabina si sperimenta la metodologia “1+1=11”
A pochi chilometri da Roma, nel territorio della Sabina, si stanno realizzando una
serie di progetti partecipati, il cui filo conduttore è quello di recuperare e valorizzare i
luoghi che danno un senso di appartenenza alle comunità. L’obiettivo è di potenziare
le capacità creative che nascono dalle esigenze delle persone e si consolidano
fortemente nella vita dei luoghi in cui s’inseriscono. Micro-interventi “agopunturali”,
promossi dall’Associazione Culturale Sabinarti, basati sulla metodologia definita
“1+1=1_Partecipare”.
Nel mese di aprile il progetto, coordinato dall’architetto Renato Vivaldi Tesser, ha
riguardato la piazza del borgo di Collelungo Sabino (RI) e ha coinvolto laureandi e
laureati in architettura di Torino, Napoli e Roma, insieme ai ragazzi e alle donne del
paese.
Gli abitanti di Collelungo Sabino volevano una piazza “bella”. Ma che cosa significa
avere una piazza bella? Per gli abitanti voleva dire una piazza dalla pavimentazione
regolare, pulita, definita, con delle fioriere e delle sedute. Ma per fare una “bella” piazza
in questo senso servivano soldi che non erano disponibili. Bisognava trovare la maniera
di riprendersi lo spazio pubblico e cambiarlo insieme, e per questo sono state coinvolte
le donne e i giovani locali.
La piazza, all’ingresso del borgo, era un luogo non definito, dove le macchine
parcheggiavano alla rinfusa nonostante il divieto di sosta e poco era lo spazio
completamente pedonale, con la pavimentazione asfaltata segnata dalle tracce di
diversi interventi. Fondamentale è stato quindi definire l’area pedonale attraverso
un reticolo, creato con delle strisce dipinte con la vernice di colore verde acceso, in
modo da risaltare rispetto alla pavimentazione promiscua, unificando tutte le diverse
pavimentazioni sottostanti. Ma per farla diventare una vera piazza si è deciso di utilizzare
uno strumento che le donne del luogo conoscono bene: i fiori. Infatti, tutto il paese di
Collelungo è abbellito dai fiori che le stesse donne piantano e curano costantemente
tutto l’anno. Si è trattato solamente di aggiungere una postazione in più. Sono stati
disposti nella piazza vasi con fiori scelti, piantati e curati personalmente dalle donne.
I fiori diventano quindi l’elemento fondamentale della piazza: fiori vivi e colorati nei
vasi, nomi di fiori scritti per terra, sculture di fiori, create dall’artista Gianluca Rondina,
appese sul muro di pietra.
Il successo riscosso dalla sistemazione della piazza dimostra che uno spazio urbano
può essere recuperato e rimesso in valore facendo leva sul capitale sociale costituito
dalle persone del luogo, coinvolte seriamente nelle decisioni e nell’organizzazione dei
lavori, come in questo caso: dalla preparazione dei pasti per i volontari, alla scelta dei
fiori e l’organizzazione della festa finale in piazza.
La piazza non è conclusa: i fiori dovranno essere costantemente curati e le persone
che vanno al bar di fronte dovranno capire che è un danno verso tutta la comunità
se continueranno a parcheggiare la macchina in quest’area. I futuri interventi che si
possono fare spettano unicamente agli abitanti di Collelungo e ci si augura che non
verranno imposti dall’esterno con i finanziamenti a pioggia che ogni tanto compaiono
nel territorio. Perché i principali responsabili di un luogo sono i suoi abitanti e solo con
la loro costante attenzione uno spazio può essere veramente considerato “bello”.
FIOR DI PIAZZA
02
“Fior di Piazza”: a shared project of local revalutation.
Experimenting the methodology “1+1=11” in Sabina.
A few kilometres far from Rome, in the Sabina, there is a work in progress for
various shared projects linked each other by the idea of recycling e evaluating
those places that give a sense of belonging to the community. The aim is to
enforce the creative potentialities which come from the people’s needs and are
strongly stabilized in the life of the places they are inserted in. Micro-interventions
of “acopuncture” promoted by the Sabinati Cultural Association and based on the
so called “1+1=11_Partecipation” methodology.
In April the project, coordinated by the architect Renato Vivaldi Tesser, has
concerned the square of the Collelungo Sabino’s village(RI) and has involved
graduand and graduate students in Architecture in the Turin’s, Naples’ and Rome’s
universities, along with the young people and the women of the village.
The people of Collelungo Sabino wanted a “nice” square. What does it really mean,
tough? For them it meant a square with a regular paving, clean, well-defined, with
some flower boxes, with benches. In order to achieve this they needed money
actually unavailable at that moment. Hence they had to find another way to take
a public space back and to change it all toghether, and thi is why the women and
the young people had been involved.
The square, at the village’s gate, was a not-defined place where the cars were
casually parked even tough it was illegal, and where the pedestrian area was
just a little part with the cement paving marked with the traces of different
interntions. Then, defining the pedestrian area trough a network of lines of bright
green varnish in order to make it stand out against the paving and unifing all the
different underlying paving was a fundamental action. Tough, to make it a real
square they have decided to use an a well-known intrument for the local women:
the flowers. Indeed all the village of Collelungo is now adorned with flowers
planted and looked after them for the whole year. It was juts about adding one
more post. The flowers become the fundamental element of the square: they stay
lively and colorful in their flowerboxes, there are their names written on the floor,
there are even sculptures of flowers made by the artist Gianluca Rondina hanging
on the stone wall.
The square’s arrengement was a success, and this proves that a urban space can
be recovered and re-evalued trough the use of the social capital of the local people
seriously involved in the decisions and in the work’s organization, as happened
here: from the preparation of the meals for the volunteers to the choice of the
flowers and the final party’s organization inthe square.
It has not been finished yet: someone will constantly have to see to the flowers
and those who go to the pub will have to understand that parking in this area is a
damage for the whole community. The future possible interventions are up to the
Collelungo’s people and we can only hope that they will not be imposed by others
with the random funds that sometimes pup up in this area. And this because the
principal managers of a place are its own citizens and just with their constant
attention a space can be considered “nice” for real.
1 + 1 = 1 1 _ PA R T E C I PA R E
METODOLOGIA “1+1=11”
M E T H O D O LO G Y “ 1 + 1 = 1 1 ”
•Ricerca-azione: utente e architetto
insieme identificano azioni per
affrontare e risolvere problemi sul
costruito.
•Research-action: the user and
the architect identify toghether
actions in order to face and solve
problems about the built
•L’architetto,
come
attivista
culturale, interviene a livello locale
ma con un occhio al pianeta,
facendosi carico dei problemi
globali della vita contemporanea:
il riscaldamento climatico, la
crescente diseguaglianza tra ricchi
e poveri, i grandi flussi migratori.
Un approccio bottom up entro una
riflessione top down.
•The Architect, as a cultural
activist, intervenes at a local level
but with the planet in mind, taking
charge of the global issues of
the contemporary life: the global
warming, the increasing inequality
between riches and poors, the
huge migration flows. A bottom up
approach in a top down reflection.
•Promuove
una
maggiore
“immersione” dell’architetto nelle
dinamiche culturali di ogni luogo, il
che implica un’architettura capace
di inventarsi ogni volta materiali e
linguaggi adatti, in cui tutti gli attori
abbiano un ruolo importante.
•Adotta un sistema lifelong
learning. Lavorando in piccoli
gruppi, costruendo una rete
internazionale, senza escludere
nessuno strumento materiale o
immateriale che possa essere di
aiuto.
•Si occupa dell’abbandono, del
precario, della scarsità, della
povertà, della ricchezza con un
nuovo sguardo. Ove possibile.
•It promotes a deeper immersion
of the architect in the cultural
dynamics of each place, which
entails an architecture able to
creat every time materials and a
suitable and inclusive language,
where each actor has an important
role.
•It adopts a lifelong learning
system. Working in small groups,
building up an international
network, without excluding any
useful material or intangible
instrument
•It looks after the abandon, the
scarcity, the poverty, the richness…
with a new gaze. Where it’s
possibile.
•Propone una sintesi tra “storie
formali”
(azioni,
iniziative,
provvedimenti e proposte dei
Municipi) e “storie informali”
(iniziative, suggerimenti e proposte,
provenienti da reti di amicizia o di
vicinato, gruppi e comunità).
•It proposes a summary of “formal
stories”
(actions,
initiatives,
provisions and proposals of the
Municipalities) and “informal
stories”
(initiatives,
advices
and proposals coming from
friends or neighbours, groups or
communities).
•Promuove il recupero di edifici e
luoghi abbandonati o in processo
di abbandono attraverso interventi
“sentiti” dalle popolazioni locali,
ripristinando flussi culturali e
sociali interrotti nei territori,
che forniscono un senso di
appartenenza:
“agopuntura
territoriale”.
•It promotes the recycling of
abandoned – or almost abandoned
– buildings and places trough
“hearth-felt” interventions of local
populations, reactivating cultural
and social flows which had been
interrupted in such territories and
which give a sense of belonging:
“territorial acupuncture”.
METODOLOGIA
Tutor:
Giada Caterina Zerboni (Torino)
Laureandi e laureati in architettura /
Graduand and Graduate in Architecture:
Fabio Cappello (Napoli)
Ermanno Cavaliere (Napoli)
Lorenzo D’Apuzzo (Napoli)
Camilla Falchetti (Torino)
Chiara Maggi (Torino)
Tobias Alexander Schmidt (Roma)
Ragazzi di Collelungo Sabino /
Guys from Collelungo Sabino:
Silvia Benedetti
Manuele Carapacchio
Annagloria Falconi
Alec Mezzadri
Scuoltore / Sculptor:
Gianluca Rondina
Le donne di Collelungo Sabino
The women of Collelungo Sabino
04
Sabinarti Associazione Culturale /
Sabinarti Cultural Association:
Arch. Renato Vivaldi Tesser
Susanna Emili
FIOR
06
RACCONTO FOTOGRAFICO
R DI P
OR D
DI
P
08
RACCONTO FOTOGRAFICO
I PIA
10
RACCONTO FOTOGRAFICO
ZZA
FIOR
R DI
12
RACCONTO FOTOGRAFICO
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