tadao ando 4x4 house
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ISSN 2385-0884 04-2015 09 LEARNING ARCHITECTURE & BUILDING SPAZI DEL SILENZIO LOUIS KAHN ASCOSI LASCITI SANTA MARIA DELLA PRESENTAZIONE TADAO ANDO CAPPADOCIA CRETTO DI GIBELLINA GRIDSHELL MURI CIECHI LAB 2.0 MAGAZINE- ISSN 2385-0884 E’ un supplemento di dailySTORM ISSN 2421-1168 (www.dailystorm.it) Testata giornalistica iscritta al Registro della Stampa del Tribunale di Roma, autorizzazione n. 12 del 15-01-2013 lab2.0 Magazine è gestita dall’associazione culturale lab2.0 con sede in: viale Liegi, 7 – Roma, 00198 Italia www.lab2dot0.com Direttore responsabile / Editor in chief Patrizia Licata Coordinamento editoriale / Deputy editor Lorenzo Carrino Ines Cilenti Staff di redazione / Editor staff Antonio Amendola Gabriele Berti Luca Bonci Pasquale Caliandro Veronica Carlutti Simone Censi Elvira Cerratti Andrea Filippo Certomà Francesca De Dominicis Maria Teresa Della Fera Dario Feliciangeli Riccardo Franchellucci Gilda Messini Martina Pacifici Lisa Patricelli Giandonato Reino Tommaso Zijno Hanno collaborato / Contributions Piera Bongiorni Vinicio Bonometto Tamar Gachechiladze Davide Lucia Roberto Mazzarelli Traduzioni / Translations Elisabetta Fiorucci Martina Mancini Agnese Oddi Lucrezia Parboni Arquati Maria Letizia Pazzi Martina Regis Daria Verde Grafica / Graphic & Editing Andrea Bonamore Editore Triade Edizioni Srl Contatti di redazione / Editorial Staff [email protected] Responsabilità. 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Parallelamente all’attività editoriale lab 2.0 si propone di: - Organizzare mostre, eventi e conferenze, con l’obiettivo di promuovere e stimolare l’interdisciplinarietà tra architettura e altre forme di espressione visiva quali arte, fotografia, grafica, design, cinema - Organizzare workshop e promuovere concorsi rivolti a studenti universitari e neolaureati, così da fornire uno strumento di crescita e visibilità ai giovani progettisti e creare una piattaforma a servizio della società, volta all’individuazione e all’approfondimento di tematiche di carattere architettonico e di sviluppo socio-culturale Per conoscere tutte le nostre attività visitate il sito internet www.lab2dot0.com o seguiteci sui nostri profili social: www.facebook.com/lab2dot0 www.pinterest.com/lab2dot0/ www.twitter.com/lab2dot0 Lab 2.0 is a non-profit cultural association, founded in Rome by a group of young people interested in Architecture. The aim of the association is to encourage the debate and intellectual confrontation on the territory and on the web. It has founded and manages, on behalf of DailySTORM (www.dailystorm.it), the magazine “lab 2.0 Magazine” and is in charge for its online distribution. Lab 2.0, simultaneously with its editorial activity, offers: - To organize exhibits, events, and conferences, with the objective to promote and encourage an interdisciplinary approach between architecture and other forms of visual expression like art, photography, graphics, design, cinema - To organize workshops and promote contests aimed at university students and graduates, as to supply a tool to enhance visibility and growth for young designers, and to create a platform about architectural contents for society To learn more about our activities, visit our website at www.lab2dot0.com, or follow us our social networks profiles: www.facebook.com/lab2dot0 www.pinterest.com/lab2dot0/ www.twitter.com/lab2dot0 Indice Index 4 Editoriale Editorial - di Andrea Certomà 6 10 14 18 24 28 32 Derinkuyu, il tempo si ferma nella città sotterranea turca - di Lisa Patricelli Derinkuyu, where age is lost inside turkish underground city 37 IMMAGINI SILENTI - di Roberto Mazzarelli 48 Strutture lignee complesse delimitano lo spazio: Intervista a Sergio Pone - di Giandonato Reino Complex wooden structures define space. Interview with Sergio Pone 54 CONTENUTO SPECIALE SPECIAL CONTENT Capire e controllare il silenzio - di Simone Censi Understanding and controlling silence Louis Kahn, il passaggio tra silenzio e luce - di Piera Bongiorni e Davide Lucia Louis Kahn, the passage between the silence and light “Santa Maria della Presentazione”, la forma della quiete - di Antonio Amendola e Elvira Cerratti “Santa maria della presentazione”, the form of quietness Muri ciechi e cemento a vista, l’architettura di Tadao Ando - di Tamar Gachechiladze e Martina Mancini Blind walls and fair-faced concrete, Tadao Ando’s architecture Urban Exploration. Ascosi lasciti di spazi in rovina - di Luca Bonci Urban exploration. Ascosi Lasciti of spaces in ruins Il Grande Cretto di Burri, un ricordo che vive nel cemento - di Gilda Messina e Tommaso Zijno The Great Cretto by Burri. The memory that lives in concrete Dispense di supporto alla rappresentazione architettonica - di Vinicio Bonometto Handhouts to support architectural representation Errata corrige: Lab2.0 Magazine #08 - “Marco Milia e la trasparenza della scultura”- pagina 62 e 63 - fotografie in basso di: Claudio Abate, courtesy Takeawaygallery”. Editoriale di Andrea Filippo Certomà «Di fatto, ogni silenzio consiste nella rete di rumori minuti che l’avvolge: il silenzio dell’isola si staccava da quello del calmo mare circostante perché era percorso da fruscii vegetali, da versi d’uccelli o da un improvviso frullo d’ali» - Italo Calvino L ’architettura raccontata sulla carta è purtroppo sempre silenziosa. È veramente complesso (seppur non impossibile) trasmettere il gorgogliante intrigo sensoriale dell’udito. È un limite immenso e costantemente ignorato. Anni fa un amico mi raccontò della sua visita a Casa Kaufmann, aggiungendo un dettaglio fondamentale al dipinto della casa sulla cascata, che avevo tracciato nella mia mente con le molte letture sull’argomento. Una casa sopra una cascata, coesiste con il rumore di una cascata. Una banalità che nessuno dei testi che avevo letto si preoccupava di raccontare. Oltre ad essere un eccellente esempio del sempre valido avviso che l’architettura è un’arte da esplorare dal vivo, è stato anche un monito per i miei ragionamenti successivi. Così quando anni dopo visitai il Villaggio Olimpico di Monaco, parlando della torre che domina tutto il panorama, non mi soffermai tanto sull’incredibile vista che si poteva ammirare, quanto della “cecità” uditiva dovuta alle forti raffiche di vento. In un certo senso c’era un silenzio imposto, un rumore che sovrastava ogni altro e calava un’atmosfera surreale. Mi sono domandato spesso, dopo essermi confrontato con opere come la Tomba Brion di Carlo Scarpa, un complesso funebre monumentale vicino al cimitero di San Vito, come si possa intridere dell’attributo “silenzio” un’architettura. C’è oltre ogni dubbio un connubio tra tecnica e intenzione. Il gemellaggio dello studio acustico con la destinazione d’uso può essere inteso con una biunivoca casualità dove l’uno implica l’altro. Chiese, biblioteche, musei, cimiteri. Il trait d’union di questi luoghi è la spiritualità laica o religiosa che implica l’ossequioso atteggiamento raccolto del fruitore. Tutta una serie di credenze e comportamenti consolidati impongono un’etica del silenzio in luoghi appositi. L’eco del tonfo di un libro che cade nella British Museum Reading Room, o di un passo troppo pesante che disturba i fedeli raccolti in preghiera nella grande aula di un qualche duomo, ha un valore di disturbo (o una violazione sociale) maggiore di molti gesti più rumorosi in un ambito differente. Il rumore rimarca il silenzio tanto più è tranquillo l’ambiente in cui è generato. Uniamo i puntini e definiamo il valore del silenzio come l’attributo di un luogo designato per la funzione esigente silenzio. Fatte salve le derivazioni lapalissiane di questo ragionamento, possiamo dedurre, dal differente valore attribuito al silenzio nei diversi spazi, un attributo fondamentale: una relatività antropica del silenzio. Il mondo non è un luogo silenzioso, allo stesso modo in cui il mondo non nasce buio. Non si tratta del carattere intrinseco, ma di una relazione antropica degli ambienti: «che rumore fa un albero che cade nella foresta, se non c’è nessuno a sentirlo?». Una serie di lineari associazioni indirizzano l’architettura del silenzio verso l’isolamento, la riscoperta del contesto naturale, l’allontanamento dalle fonti primarie del rumore, gli altri uomini. D’altro canto rimane un cimento davvero arduo quello di maneggiare una materia che non solo è difficile da lavorare ma persino da concepire. Progettare il silenzio è un lavoro di privazione, sottrazione, negazione, perché, parafrasando un vecchio indovinello, il silenzio è quella cosa che quando la dici non c’è più. «Forse solo il silenzio esiste davvero» - José Saramago 4 «As a matter of fact, every silence exists in the net of small noises that surround it: the silence of the island was separated from that of the calm sea around it because it was broken by the rustle of the greenery, birds’ calls or a sudden whirr of wings» - Italo Calvino Editorial A rchitecture told on paper is unfortunately always silent. It’s very complex (but not impossible) to get the gurgling sensory heap of hearing across. It’s a huge and constantly ignored limit. Years ago a friend told me about his visit to Casa Kaufmann, adding a fundamental detail to the painting of the house on the waterfall, which I had traced in my mind after reading about it. A house on a waterfall coexists with the noise of the waterfall. A banal detail that none of the things I read bothered to tell. Other than being an excellent example of the fact that architecture is an art that should be explored live, it was also a warning for my following thinking. So, when I visited the Olympic Village in Monaco years later, talking about the tower that dominates the view, I didn’t think much about the view, but the auditory “blindness” owed to the strong winds. In a way there was an imposed silence, a noise that overwhelms all others and makes way for a surreal atmosphere. I’ve often wondered, after being confronted with works such as Carlo Scarpa’s Tomba Brion, a monumental funerary complex near San Vito’s cemetery, how to make an architecture “silent”. There’s obviously a link between technique and intention. The association between the acoustic study and the destination of use can be understood with a clear causality where one implies the other. Churches, libraries, museums, cemeteries. The trait d’union of these places is their spirituality, either laic or religious, which implies the obsequious attitude of the beholder. The set of beliefs and social behaviours determine an ethic of silence in certain places. The echo of the thump of a book falling in the British Museum Reading Room, or of a too-heavy step that disturbs the believers reunited in prayer between the pews in a dome, all these elements have a degree of disturb (or of social violation) higher than many louder actions in a different setting. Noise underlines silence the more quiet is the place from which it is generated. We connect the dots and define the value of silence as the characteristic of a place designed for silence. Aside from the self-evident derivations of the line of thinking, we can deduce, from the different value assigned to silence in different places, a fundamental quality: an anthropic relativity of silence. The world is not a quiet place, in the same way that the world isn’t born in darkness. It’s not about the intrinsic character, but an anthropic relation of places: «If a tree falls in a forest and no one is around to hear it, does it make a sound?». A series of linear associations direct architecture of silence toward isolation, the rediscovery of natural context, the estrangement from primary sources of noise and other man. On the other hand it’s a very hard task, that of managing a material that is not only hard to work, but even to conceive. Designing silence is a work of deprivation, subtraction, denial, because, paraphrasing an old riddle, silence is that thing that disappears when you call its name. «Maybe only silence really exists» –José Saramago 5 Capire e controllare il silenzio Testo di Simone Censi Traduzione di Elisabetta Fiorucci Fotografia di Francesca De Dominicis (Progetto Corpomacchina) N ella riflessione architettonica gli obiettivi e gli oggetti d’indagine sono molteplici e variabili. La loro alternanza e le loro possibilità combinatorie sono in grado di dare vita ad una grandissima quantità di risultati i quali differiscono per il senso ultimo dell’espressione architettonica, oltre che per l’attitudine personale dell’autore. È da qui che si origina l’identità architettonica di una corrente e ponendo a confronto, al fine di fare un esempio, l’architettura greca con quella romana, si può notare che nella prima vi è una centralità dei caratteri plastici mentre, nella seconda, la finalità politica e sociale delle costruzioni, ne costituisce il tema centrale. Ogni corrente architettonica pone al centro della propria ricerca un’accurata e generalmente coerente selezione di temi per cui alcuni di essi risultano ricorrenti mentre altri vengono presi in considerazione più sporadicamente. Tuttavia essi risultano condizionati estrinsecamente dall’insieme al quale vengono integrati o comunque da condizioni esterne ad essi. E’ per questo che il concetto di silenzio in architettura può essere declinato in molteplici modalità: in primo luogo può riguardare la dimensione spaziale ed ambientale dell’abitare; in secondo luogo è possibile parlare di rumorosità di un’architettura in base alla forza con cui essa cerca di imporsi su chi la osserva o su chi la abita; infine è possibile indagare il comportamento più o meno rumoroso dei fruitori di uno spazio a seconda delle caratteristiche dello spazio stesso. Nel primo caso occorre evidenziare che spesso il silenzio rappresenta un valore e non una semplice condizione: l’architettura sacra ad esempio tenta di riprodurre il silenzio in maniera artificiale, annullando cioè i rumori dell’ambiente urbano. L’artificialità è esaltata anche dal contrasto con il caotico contesto urbano, 6 cosa che non accade negli ambienti rurali per i quali l’importanza del silenzio è minore data la sua costante presenza. Tale condizione di assenza di disturbi è ritenuta necessaria per poter riflettere sulla presenza che la religione identifica nella divinità. Per quanto riguarda l’architettura sacra occorre notare come la meditazione personale venga stimolata non solamente dall’aspetto acustico ma anche da quello luminoso ed entrambi sono in genere legati e analogamente proporzionati. Tuttavia, al di là dell’esempio riguardante lo spazio sacro, il silenzio può essere considerato in molti casi come una condizione privilegiata per rivolgere l’attenzione a cose che altrimenti sarebbero travolte da un marasma di rumori. Se la paura generata dall’Horror Vacui stimola a riempire ogni vuoto, è in una condizione di calma che si riesce ad apprezzare ciò che ha davvero un valore: un silenzio può dunque essere pieno, saturato di significati più di quanto non possa esserlo un contesto caotico, come accade quando due persone si guardano e si capiscono senza bisogno di parlare. Proponendo inoltre un’analogia tra il linguaggio architettonico e quello musicale, è possibile notare come in musica la pausa, ovvero il silenzio, costituisca a tutti gli effetti un elemento che, alternandosi ai suoni con una metrica e un ritmo ben precisi, partecipa alla realizzazione della composizione. La seconda condizione del silenzio permea l’intimità del progetto architettonico e riguarda le modalità secondo le quali l’edificio si manifesta. Si potrebbe dire che il silenzio è una condizione che permette la chiara e gerarchica manifestazione dei temi e degli elementi dell’edificio. La scelta compositiva di selezionare una tra le possibili idee di progetto ed esprimerla in tutta la sua chiarezza suppone un’eliminazione di interferenze che danneggerebbero la lettura dell’opera. Il silenzio è dunque il risultato di una selezione che permette di prendere in considerazione solo alcuni temi di progetto i quali possono quindi manifestarsi con tutta la propria forza. Ad esempio, il processo progettuale di Alberto Campo Baeza si basa su un lungo processo di “distillazione” che, eliminando il superfluo, esalta principi come quelli di proporzioni, luce, gravità, sui quali si costruisce l’opera architettonica. Un’altra caratteristica del silenzio nel progetto riguarda le modalità con cui un’architettura si relaziona con il fruitore: vi sono edifici che si impongono e altri che invece tendono a non risaltare nel tessuto urbano, che tendono a non catturare l’attenzione umana se non per chiara volontà dell’osservatore; alcuni che cercano di incidere profondamente sul comportamento degli utenti e altri che si aprono a contaminazioni. Basandosi su un concetto di fiducia nei confronti degli abitanti, alcuni spazi si propongono silenziosamente all’abitante, stimolando, oltre ad un uso polifunzionale, la maturazione di una presa di coscienza intima e personale di quello spazio. Questa caratteristica del silenzio si manifesta sia nel rapporto tra l’edificio e chi lo abita, sia con l’ambiente circostante, urbano o naturale che sia. La terza condizione del silenzio riguarda un legame indiretto tra l’abitante e il suo spazio. In particolare è interessante notare come la rumorosità di un ambiente possa non intaccare la silenziosità personale: è ciò che avviene in una società in cui le conoscenze personali si sviluppano sul modello della rete per cui il grado di vicinanza fisica non incide sul grado di intimità personale. Di conseguenza è possibile essere soli (e quindi silenziosi) in mezzo alla folla. Una condizione di silenzio è quella che si genera quando individui non personalmente legati si trovano a condividere lo stesso spazio per un tempo breve: è ciò che accade nelle metropolitane, ambienti generalmente molto rumorosi in cui è possibile isolarsi da ciò che sta intorno. Inoltre l’uso di alcuni oggetti di vita quotidiana modifica la fruizione dello spazio pubblico (e di conseguenza lo spazio pubblico stesso). La lettura di libri o riviste, l’uso di auricolari o di smartphone, ha condizionato il modo di relazionarsi con lo spazio urbano, incidendo sulla possibilità di prenderne coscienza e generando nuovi significati. Utilizzare uno spazio come quello della metropolitana per attività che esulano dalla sua funzione, come la lettura, permette da un lato di percepirne ed apprezzarne alcuni caratteri, verso i quali non si sarebbe altrimenti prestata attenzione, dall’altro consente di isolarsi parzialmente da esso attraverso una inibizione parziale dei sensi, come la lettura per la vista o l’ascolto di musica per l’udito. Tuttavia non è possibile e sarebbe peraltro sbagliato formulare un giudizio morale su tale fenomeno del quale va invece preso atto, va considerato in tutta la propria estensione ed importanza per poter formulare risposte progettuali adeguate. Sono qui state analizzate varie declinazioni del silenzio ed è significativo notare come l’estensione del suo uso vada dalla sacralità dello spazio templare alla condizione di l’isolamento personale in spazi rumorosi. Inoltre il silenzio nelle fasi di costruzione di un progetto architettonico è un tema che suggerisce numerosi spunti di riflessione, in particolare in una società che preferisce architetture rumorose, immediatamente comprensibili e rapidamente consumabili. 7 Understanding and controlling silence I n architectural reflexion objectives and objects of research are many and variable. Their succession and their combinatory possibilities can give life to a vast quantity of results which differ for ultimate sense of architectural expression, and for the author’s personal attitude. It’s form here that the identity of a type of architecture is born and by putting side by side Roman and Greek architecture, for example, we can notice that in the latter there is a centrality of plastic characteristics while is in the other the politic and social aim of the work makes up their central theme. Every architectural trend puts at the centre of its research a careful and generally coherent selection of themes. For this reason some of them appear to be recurring while others are sporadically taken into consideration. However they appear to be outwardly conditioned by the whole to which they are integrated or by outside factors. This is why the concept of silence in architecture can take many forms: firstly it can concern the spatial and environmental dimension of inhabiting; secondly it’s possible to speak of noise of an architecture in the measure in which that architecture tries to impose itself on the beholder and on whom inhabits it; lastly, it’s possible to research the behaviour, more or less noisy, of the inhabitants of a space according to the characteristics of the space itself. In the first case we have to stress that often silence represents a value and not just a simple condition: sacred architecture for example tries to reproduce silence in an artificial 8 manner, cancelling the noises from the urban surrounding. Artificiality is exalted also by the contrast with the chaotic urban context, which doesn’t happen in rural spaces in which the importance of silence is diminished by its continuous presence. This condition of lack of disturbances is considered necessary to think about the presence that religion identifies with the divinity. For what concerns sacred architecture, it’s important to notice how personal mediation is stimulated not only in the acoustic aspect, but only on the lighting one. Both are usually connected and proportioned. However, aside from the example of the sacred space, silence can be considered in many instances as a privileged way to focus attention on things that would otherwise be swamped by noise. If the fear generated by the Horror Vacui is a push to fill every void, it is in a situation of calm that one can appreciate what really has value: a silence can thus be full of significance, more so than a chaotic context, as when two people can understand each other with a look and no need to speak. Proposing also a link between architectural language and musical language, it’s possible to notice how pause in music, aka silence, constitutes an element which, alternating sound with rhythm, participates at the realization of the composition. The second condition of silence is about the intimacy of the architectural project, and concerns the modalities according to which the building is manifested. It could be said that silence is a condition that allows for a clear hierarchic manifestation of the themes and elements of the building. The choice to pick one of the possible ideas of planning and expressing it in all its clarity supposes an elimination of interferences that could damage the reading of the work. Silence then becomes the result of a selection that allows us to take into consideration only a few themes of planning, which can then manifest themselves in all their strength. For example, Alberto Campo Baeza’s planning project is based on a long process of “distillation” which, by eliminating the unnecessary, exalts principles such as proportion, light, gravity, building te architectural work on them. Another characteristic of silence in planning concerns the ways in which an architecture relates with the user: there are buildings that stand out and others that don’t, if not for the express will of those who see them; some try to make a mark in the behaviour of their users and other that are open to contaminations. Some spaces, starting from a place of trust toward their inhabitants, appear silently to the inhabitant, stimulating the maturity of an awareness of the space. This characteristic of silence manifests itself both in the relationship between the building and the person living there, and in the relationship with the building’s surroundings, urban of natural. The third condition of silence concerns an indirect link between inhabitant and space. In particular it’s interesting to notice how nosiness in an environment can leave personal silence untouched: it’s what happens in a society in which personal knowledge develops with the model of the net, where physical nearness doesn’t coincide with personal intimacy. As a consequence it’s possible to be alone (and in silence) in a crowd. A condition of silence happens when people who don’t know each other find themselves sharing the same space for a brief time: it’s what happens on the metro, generally noisy surroundings where it’s possible to isolate oneself. Moreover the use of certain everyday objects changes the use of public space (and public space itself). Reading books or magazines, listening to music, or using a smartphone, has conditioned our way to relate with urban space, affecting the possibility of awareness of space and generating new meanings. Using a space such as the metro for activities not tied to its function, such as reading, allows on one hand to perceive and appreciate some of its characteristics, that we wouldn’t have noticed otherwise, on the other hand it allows to partially isolate oneself through the partial inhibition of a sense. However, it’s not possible to formulate a moral judgment on this phenomenon, which should be considered on all its reach and importance, as a way to formulate adequate planning answers. We’ve analyzed several declinations of silence, and it’s important to point out how the extension of its use goes from the sacredness of templar space to the condition of personal isolation in loud spaces. Moreover, silence in different phases of construction of an architectural project is a theme that gives food for thought, in particular in a society that prefers loud architectures, immediately comprehensible and consumed rapidly. 9 10 Il passaggio tra silenzio e luce nelle opere di Louis Kahn Dove la dicotomia tra il mondo delle idee e quello dell’architettura si risolve nell’opera architettonica Testo di Piera Bongiorni e Davide Lucia Traduzione di Martina Regis V i è un ‘inspiegabile sacralità nell’architettura kahaniana. Un potere mistico che va ben oltre il legame razionalista e meccanico tra forma e funzione. Un potere che comunica con l’anima. E’ una forza latente che pervade il progetto sin dalle sue origini, dal momento in cui questo è stato generato, da quando è stato idea. Poi il silenzio. E la luce, generatrice di quella stessa idea, le dà forma, plasma la materia, ne definisce la massa, i vuoti, le ombre. Affida alla sua architettura quella condizione di universalità che il progetto comunicherà per sempre. Anche quando smetterà di esercitare la sua funzione, anche quando diverrà rovina. E’ in quella soglia tra umano e trascendentale, in quel salto di scala dalla dimensione dell’uomo alla silenziosa monumentalità che Kahn racchiude la forza evocativa della sua architettura. E’ un silenzio che non indica l’assenza dell’umano ma che al contrario penetra dentro ogni uomo a cercare e smuovere il proprio senso di sacralità e di esistenza. Ciò avviene attraverso il riferimento alla spazialità delle grandi architetture del passato, che per Kahn, sono eterne. Nelle opere di Kahn l’infinito senso poetico e spiriturale sono la causa e la conseguenza dei caratteri comuni che danno vita alle sue architetture: ordine e regolarità, assialità e geometria. L’ordine regna nel progetto per il Dominican Sister (1965-1968): un convento costituito da una corte aperta che contiene le celle delle monache e abbraccia, riordinandoli, l’insieme dei volumi che ospitano i luoghi della vita collettiva. Spazi semplici, di forme elementari ma di diversa giacitura, che si comprenetrano vicendevolmente. La geometria dell’elemento della corte sembra ristabilire l’equilibrio. Ancora la Biblioteca della Philip Exeter Academy (1965-1972) nel New Hampshire, una delle più straordinarie opere dell’architettura moderna, è portavoce dell’ordine The passage between the silence and light T here is an inexplicable sacredness in the kahanian architecture. A mystical power over and above the rationalistic and mechanical link between the form and the function. A power able to talk to the souls. A latent strenght upfront permeating the project, since it was created, since it was just an idea. Then, silence. And the light, the creator of that idea, gives it a shape, moulds the substance, narrows the matter, its voids, its shadows. It devolves upon its architecure that condition of universality which will be the message for ever coming from the project. Even when its function will be over, even when it will be nothing but ruins. It is in that gateway between the human and the trascendental, in that jump from the ladder, from the human dimension to the quiet monumental nature the point where Kahn keeps all the summoning strenght of his architecture. His silence does not show the absence of the human, on the contrary it penetrates in each human beeing in order to seek and to sensitize its own sense of sacredness and existance. This happes trough the reference to the spaces of the great architectures of the past which are eternal, for Kahn. In the works of Kahn the infinite poetical and spiritual sense are the cause and the consequence of the common characters which give life to his designes: order and regularity, axiality and geometry. Order is the key word in the project for the Dominican Sister (1965-1968): a convent constitued by an open court containing the cells for the nuns and holding all the volumes which host the places of the collective life, giving them an order. Simple spaces, with elementary shapes, penetrating each other. The geometry of the court seems to establish the equilibrium again. Also, the Philip Exeter Academy Library (1965-1972) in the New Hampshire, one of the most stunning works of the modern architecture, is the symbol of the kahanian order achieved by basic forms: a squared plant with a large central void gives life to a prismatic building with a pure geometry. In Kahn the use of basic shapes is the result of the knowledge and the awareness of their trascendental value: the perfection of the circle and the sphere, the solidity of the cube, the directionality of the triangle. Here the geometrical laws are the first 11 Nella pagina precedente: Biblioteca di Exeter, foto di Trent Bell; in basso: Yale University Art Gallery, 1954, foto di Lionel Feininger e di Fabio Giantini. On the first page: Exeter’s Library, ph. Trent Bell; below: Yale University Art Gallery, 1954, ph.Lionel Feininger and ph. Fabio Giantini. 12 kahaniano ottenuto con forme semplici: una pianta quadrata con un grande vuoto centrale dà vita ad un edificio prismatico dalla stereometria pura. In Kahn, l’uso delle forme semplici avviene con la conoscenza e la consapevolezza di tutto il loro valore trascendentale: la perfezione del circolo e della sfera, la solidità del cubo e la direzionalità del triangolo. Qui le leggi della geometria sono quindi la prima ed ultima giustificazione del progetto di Louis Kahn dall’idea iniziale sino alla composizione finale. La forma, la spazialità, l’uso sapiente dei materiali fanno della Biblioteca un’architettura monumentale ed eterna così come la Sede del Governo del Bangladesh, a Dacca: un’opera magistrale, realizzata negli anni ‘60, in cui possono essere riassunti e ritrovati tutti i leit motiv dell’architettura kahniana. In questa architettura, il corpo centrale, quasi circolare e altre parti periferiche ed autonome, di forma propria, vengono integrate in un insieme unitario e ordinato grazie all’utilizzo di forme come la sfera ed il cilindro nella parti più significative e prismatiche nelle parti di servizio. Sembra governare la dittatura della forma architettonica che esprime la sua supremazia attraverso l’appartenenza ad un mondo perfetto e monumentale. Analizzare queste opere, appartenti alla fase matura di Kahn, consente di sottolineare l’importanza che l’architetto ha attribuito al valore rappresentativo di ciascun ambiente, senza sacrificarne mai alcuno. Il Parlamento di Dacca, per esempio, è un’architettura della società che riesce a consacrare lo sforzo dell’uomo grazie allo studio approfondito dell’espressività di ogni singolo elemento. Grazie ad un fondamentale senso di responsabilità nei confronti dell’umano Kahn risolve con l’architettura la frattura tra la natura e l’uomo. Qui come nella Biblioteca ad Exeter, Kahn riesce ad esprimere un altro degli aspetti della sua architettura: contrapporre alla monumentalità dell’esterno, un interno accogliente, destinato ad essere vissuto. La monumentalità in Kahn è rappresentata dalla volontà di durata della sua opera. Egli si prefigge l’obiettivo di creare una struttura che trasmetta la sensazione della sua eternità a cui non si deve aggiungere nè togliere nulla, allineandosi dunque alle Piramidi, al Pantheon o ancora al Partenone. Questi spazi permettono di parlare di “luogo” e non di “spazio”. Se Kahn ha detto di essersi abituato a pensare in termini di luce e di silenzio, certo le sue architetture ne sono una dimostrazione: gli interni sono sempre qualificati da una silenziosa e profonda luce naturale. Il Parlamento di Dacca è, infatti, uno spazio cangiante, trasformato dalla diversa incidenza della luce che lo modella tanto da poterlo paragonare alle Carceri di Piranesi nell’enfasi degli effetti luminosi. La luce naturale entra da grandi aperture che, ancora una volta, si articolano secondo delle geometrie elementari: compaiono, infatti, il quadrato, il triangolo ed il cerchio. Sembra dunque chiaro il motivo per cui qualcuno ha volto chiamare Kahn il Bach dell’architettura e non possiamo smettere di pensarlo se i nostri occhi si trovano di fronte all’ immensità e all’eternità della sua opera. and last justification of the Louis Kahn’s project, from the initial idea to its final composition. The shape, the space, the wise use of the materials make the Library a monumental and eternal piece of architecture as the Seat of Goverment of Bangladesh, in Dacca: a masterpiece realized in the ‘60s, where all the kahanian leit motiv can be recapped and found once again. In this architecture the main body, almost circular, and other peripheral and autonomous parts with their own shapes, are integrated in a uniform and neat whole thanks to the use of forms such as the sphere and the cylinder. The dictatorship of the architectural form seems to dominate expressing its supremacy trough the belonging to a monumental and perfect world. Analyzing this works, belonging to the Kahn’s maturity, allows us to underline the importance that the architect has given to the representative value of each space without never sacrificing none of them. The Parliament of Dacca, for instance, is an architecture of the society able to consecrate the human effort thanks to the deep study of the expressiveness of each single element. Thanks to a fundamental sense of responsibility towards the human, Kahn solves the rift between natura and man with the architecture. Here, like in the Exeter’s Library, Kahn can express another of the aspects of his architecture: counterposing a welcoming inner space, destined to be experiencesd, to the monumental nature of the exterior part. This monumental nature in Kahn is represented by the longlasting will of his work. His pourpose is to create a structure able to give the sensation of its eternity and which is not necessary to add something to or remove something from, aliging with the Pyramids, the Pantheon or the Parthenon. This spaces allow us to talk about “place” rather than “space”. Kahn has said to be used to think in terms of light and silence and his works do prove it: the inner spaces are always characterized by a deep and quiet natural light. The Parliament of Dacca, indeed, is a shimmering space, changed by the different impact of the light, which shapes it so as to make it similar to the Prisons of Piranesi for what concerns the emphasis of the lighting effects. It seems pretty clear then why someone called Kahn the “Architecture’s Bach”, and we cannot avoid to agree when we find ourselves in front of the immensity and the eternity of his work. 13 14 Santa Maria della Presentazione, la forma della quiete Il progetto di Nemesi Studio stravolge il rapporto tra architettura e liturgia, generando un forte senso di spiritualità attraverso una ricerca sull’essenza della materia, con un linguaggio agli antipodi delle decorazioni fastose ricorrenti in molti luoghi di culto. Stupore e meraviglia lasciano spazio al silenzio del raccoglimento Testo e fotografie di Antonio Amendola e Elvira Cerratti Traduzione di Maria Letizia Pazzi P ercorrere le strade della periferia ed imbattersi in episodi architettonici di qualificazione urbana è tutt’altro che consuetudine. Monotonia e reiterazione disegnano il paesaggio nella calma apparente di quartieri ridotti a dormitorio. Le rare architetture dirompenti sono spesso riconducibili all’attività religiosa, data la proliferazione di nuovi centri in cui attraverso la socializzazione e la pratica liturgica si tenta di alleviare il peso di un forte disagio ai molti cittadini che vivono ai margini delle città. Un caso di notevole interesse, dove l’architettura supera ogni tipo di convenzione, è quello del Nuovo centro civico e religioso di Santa Maria della Presentazione al Quartaccio, estremo nord-ovest di Roma. Realizzata su progetto dello studio romano Nemesi di Michele Molè e dell’allora socia Maria Claudia Clemente nell’ambito di “50 chiese per Roma 2000”, iniziativa promossa dal Vicariato della città per offrire nuovi complessi parrocchiali alle periferie della Capitale in occasione dell’ultimo Grande Giubileo, l’opera va ben oltre i dettami sulla progettazione degli spazi di preghiera definiti dal Concilio Vaticano II. Liberandosi dagli approcci metodologici ricorrenti in molte strutture similari, incentrate quasi “Santa maria della presentazione”, the form of quietness W andering through suburban streets and ranning into urban architecture is not common. An apparent quitness of districts reduced to dormitory is characterised by monotony and reiteration. Rare disruptive architecture is often connected to religion, due to the spread of new centers where many citizens living at the edge of cities are helped easing off their discomfort through socialisation and liturgy. An interesting case is the New civic and religious center of Santa Maria della Presentazione in Quartaccio, in the north-west of Rome. Designed by the roman study Nemesi, expecially by Michele Molè and the former partner Maria Claudia Clemente for the project “50 chiese per Roma 2000” (50 churches for Rome 2000), promoted by the Vicariate of the city to provide new parish structures at the suburban Capital for the last Great Jubilee, the complex does not respect the rules imposed by the Second Vatican Council on religious spaces. Nemesi architects aimed at creating a new aggregation center in the district, in order to give Quartaccio a multifunctional and collective space with mixing civil and religious functions enhancing the mysticism needed by a contemplation place. In order to accomplish this project, the archtects freed the structure from the methodological approaches, exclusively focused on spreading the worship. Looking at the widening opposite to the manufactured complex, it indeed would not look like a liturgical structure: an architecture with high-technology elements and no archetypal reference, originated by an articulated interpenetration between volumes, points realised with different materials (compact concrete in some cases, soft and transparent perforated sheet metal in others) revealing its identity only by placing a cross at the top. The general space reveals a deep 15 16 esclusivamente sulla diffusione del culto, gli architetti di Nemesi hanno puntato al più ampio obiettivo di creare un nuovo polo d’aggregazione nel quartiere, regalando alla comunità di Quartaccio una perla multifunzionale, uno spazio della collettività dove funzioni civili e religiose si amalgamano, talvolta sovrapponendosi, senza mai interferire ed enfatizzando il senso mistico di cui necessita un luogo di contemplazione. Giunti nello slargo antistante il manufatto, invero, la prima lettura non rimanda certo ad un complesso di tipo liturgico: un’architettura dalle sfumature high-tech priva di qualsiasi riferimento archetipico, originata da un articolato gioco di compenetrazione tra volumi, piani ed elementi puntuali di diverse consistenze materiche (compatto cemento in alcuni casi, leggera e trasparente lamiera traforata in altri), rivela la sua identità solo con una croce posta in sommità. La configurazione spaziale generale è frutto di una profonda interpretazione concettuale, per effetto della quale i servizi civici e parrocchiali sono definiti da volumi formalmente compiuti, mentre gli spazi dedicati prettamente al culto derivano da un accurato lavoro di modellazione del vuoto. Il progetto è impostato su tre livelli principali: il primo, a quota -5.00 m, asseconda la pendenza del terreno verso la valle retrostante, su cui emerge l’intera struttura; il secondo, in quota con gli edifici del quartiere, atto a mantenere una continuità con lo slargo antistante, così ricondotto alla condizione di piazza; il terzo, a circa +5.00, sopraelevato su pilotis. Domina la scena una grande copertura piana caratterizzata da un pronunciato sbalzo e sorretta da esili pilastri cilindrici che ne esaltano la leggerezza, collocata come un mantello sui corpi sottostanti. Al di sotto di essa, un volume centrale cubico semitrasparente, ruotato rispetto all’allineamento compositivo generale, intorno al quale si dirama un sistema di passerelle sospese di collegamento, funge da cerniera di raccordo tra la grande sala rettangolare polifunzionale ed il grande corpo perimetrale triangolare cavo degli uffici parrocchiali. Addentrandosi nella selva di colonne, si viene accompagnati in una discesa di circa 5 metri che conduce al centro attivo dell’organismo, in uno spazio di relazione all’aperto servente le due aule principali, da cui si ha la massima percezione della sensazionalità dell’opera. Accanto al volume ruotato del corpo scala, tranciato a quota 0.00, tra i pilastri si fa spazio una sfera in cemento incastonata in una vetrata inclinata e parzialmente avvolta da una parete curva continua che definisce lo spazio della cappella feriale. Nonostante le ridotte dimensioni, l’unicità formale dell’elemento genera un forte impatto figurale, accresciuto simbolicamente dalla scelta di localizzare l’altare della cappella feriale al suo interno. Dal lato opposto, la grande sala per le celebrazioni, la cui ampia parete vetrata consente di stabilire un’immediata relazione tra l’interno e lo spazio ricreativo esterno, è organizzata in modo tale da poter ospitare tanto gli eventi sportivi quanto le celebrazioni religiose più importanti. Il carattere introspettivo del complesso, già captabile nella compattezza delle pareti cieche rivolte verso l’intorno, contrapposta alla trasparenza delle vetrate rivolte nella piazzetta interna, si manifesta pienamente accedendo nelle sale. La completa assenza di decorazioni ed icone ridotte all’essenziale sembrano voler suggerire all’utente che la preghiera è raccoglimento in se stessi prima ancora che adorazione. Del fasto chiassoso non v’è traccia. Toni neutri, volumi puri ed una luce diffusa e fioca sono l’unica forma di ornamento in ambienti intrisi di ordine e quiete nonostante la complessità globale dell’opera. conceptual interpretation which generates civic and parish services with formally effective volumes, while religious spaces derive from emptiness modelling. The project is organised on three main levels: the first, placed on -16.4 feet of height, stands on a sloped area next to the valley; the second, at the same height of the surrounding buildings, is supposed maintain the continuity with the preceding widening, reduced to a square; the third, at around 16.4 feet of height has the function of an upper pilotis. A great flat roof with sharp rises sustained by slender pillars dominates the scene like a mantle over the lower parts. A semitransparent cubic central volume, placed on the lower part, is turned with respect to the general compositive alignment, whith surrounding suspended connecting walkways and it serves as a connector between the huge rectangular polifunctional room and the hollow perimetral triangular parish spaces. Entering into columns, a 16 feet descend leads to the active center of the structure, in an outer relational space hosting the two main halls in an astonishing atmosphere. In the weekday chapel a concrete sphere, embedded in a sloped glazing enveloped by a curved wall, stands next to the turned staircase, sliced at 0.00 feet. Though poor dimentions, the formal uniqueness of the element creates a deep figurative impact, simbolically enhanced by the inner altar of the weekday chapel. On the opposite side, the huge celebrational hall can host both sport events and important religious celebrations, since a large glazing wall creates an immediate relationship between the inside and the outside. The introspective nature of the complex is revealed by compact bling walls contrasting with transparent glazing facing the inner square and by accessing to the stairs. Poor decorations and icons seem to associate prayer as isolation that comes before religious adoration. The structure, although globally complex, is characterised by neutral tones, pure volumes and dim and diffused light without any trace of splendour. 17 Muri ciechi e cemento a vista, l’architettura di Tadao Ando Spazi destinati alla meditazione metafisica. Tradizione orientale e architettura contemporanea Testo di Tamar Gachechiladze e Martina Mancini 18 Blind walls and fair-faced concrete, Tadao Ando’s architecture S ince 1969 Tadao Ando and his office are designing worldwide recognisable architecture. Their work is deeply rooted in local culture, but is at the same time very universal. The creation of an introspective microcosm, obtained through the separation between modern world and urban chaos, is a permanent feature of his work. D al 1969 Tadao Ando e il suo studio hanno realizzato in tutto il mondo un’architettura dai tratti distintivi e immediatamente riconoscibili, un lavoro che trova radici profonde nella cultura locale ma al tempo stesso dal carattere universale. Costante nelle sue opere è la creazione di un microcosmo introspettivo ottenuto attraverso la separazione tra mondo contemporaneo e caos urbano. «Come diventare moderni rimanendo però legati alla tradizione?» la risposta a questa domanda risiede nell’opera di Tadao Ando. D’accordo con i teorici dell’architettura Alexander Tzonis, Liane Lefaivre e Kenneth Frampton, Ando può essere considerato il portavoce del Regionalismo Critico. Il termine architettonico “Regionalismo Critico” appare per la prima volta nel 1980 e mette in relazione l’opera di architettura con il luogo, la storia e la cultura del territorio in cui è collocata, opponendosi alla globalizzazione e ai problemi che nascono dallo sviluppo contemporaneo. Secondo Kenneth Frampton, il lavoro di Ando è concettualmente “essenziale”, perché si oppone all’atteggiamento del «sempre maggior consumismo della città moderna» e la sua architettura aspira ad un «livello di astrazione e di assoluto» tenendo a mente le caratteristiche distintive della cultura regionale. L’architettura di Tadao Ando combina cultura e tradizioni giapponesi con forme e materiali contemporanei. Molti sono i riferimenti transculturali nei lavori sviluppati tra il 1979 e il 1980/84, come la Koshino’s House”a Kobe. Nell’edificio ritroviamo caratteristiche tipiche dell’architettura occidentale come la geometria ortogonale, la «How to become modern and remain connected to the roots?”» answer to this question is in Tadao Ando’s architecture. According to the theorists of architecture Alexander Tzonis and Liane Lefaivre along with Kenneth Frampton, Ando is considered as a spokesman of Critical Regionalism. Architectural term “Critical Regionalism” first came up in 1980’s. Critical regionalism is about putting together modern architecture with the area’s location, history and culture. This movement is opposing globalization and with the problems that came with contemporary global development. According to Kenneth Frampton, Ando’s work is conceptually “critical”, because it is opposing the stance of the “everescalating consumerism of the modern city”. Architect aspires to “a level of abstract and universal” while taking in sight how distinctive the regional culture is. Tadao Ando’s architecture combines Japanese culture and traditions with contemporary shapes and materials. Many are the trans-cultural references in his work developed in 1979-1980/84 as, for example, the Koshino’s House in Kobe, Japan. On the one hand the building uses orthogonal geometry, vertical compositions of Western architecture and concrete as a basic material combined with long, dark corridors and interior, poorly illuminated by natural light, and the horizontal lines which can be associated with Japanese traditional architecture. 19 20 composizione verticale e il cemento, che funge da materiale base, ma, a questi aspetti, si associano i lunghi corridoi scuri, gli interni scarsamente illuminati e le linee orizzontali che possono invece essere associate all’architettura tradizionale giapponese. L’armonia con la natura, tema primario per l’architettura orientale, è una conquista in più per Ando. La relazione tra interno ed esterno nella Koshino House è una manifestazione di tutto questo: il terreno, ininterrotto, entra nella composizione e l’edificio diventa parte della natura che lo circonda. La Koshino House consiste di due volumi, realizzati in cemento, di differenti dimensioni, seminterrati e paralleli. La parte curva a nord è l’estensione del complesso. L’architetto non utilizza spesso linee curve, ma queste appaiono, in alcuni casi, per enfatizzare la composizione, per renderla più dinamica, e quando un nuovo “tratto” risulta necessario. Le strette aperture, poste in facciata, consentono il passaggio di luce naturale. La sensazione, nel percorrere questi spazi di semioscurità, è quella di essere confinati e al tempo stesso protetti. Il suo metodo è semplice: Ando “gioca” con i muri, a volte piegandoli, altre volte intersecandoli, ed in questo modo crea l’ingresso alla scatola chiusa. Tutti i progetti si focalizzano sul “centro-cuore”, gli spazi sono introversi e chiusi in se stessi. Lo spazio privato è fisicamente e psicologicamente isolato dal mondo esterno il muro cieco isola dal caos urbano e separa dai vicini. L’autore Kevin Nute nel suo libro Place, time and being in Japanese architecture, nota: «Come nella massima espressione degli ideali Zen, l’austerità e l’introspezione della casa da tè Wabi possono aver ispirato Ando e i suoi spazi minimi ed introversi. Come nella casa da tè, è l’eterno, più che il momento trascorso, che Ando cerca di catturare nel suo lavoro». L’architettura residenziale di Ando ha molto in comune con la tradizione giapponese delle case da tè; tuttavia in contrasto con i materiali tradizionali, come il bamboo o tipi diversi di legno, Tadao Ando utilizza il cemento come unico materiale. Egli considera il cemento come un materiale da costruzione sicuro ed Harmony with nature, primary theme in Japanese architecture, is one more achievement of Ando. The relationship between the interior and exterior of the Koshino House is manifestation for this - terrain seamlessly flows into the structure and the building becomes the part of the nature. The Koshino House consists of two concrete volumes of different sizes, which are located parallel, half buried into the ground. Northern curved part is the extension of the complex. Architect not very often uses curved lines in his compositions, but they appear in case when emphasizing composition, dynamics and when the ‘new word’ is needed. The narrow openings that are located on the facade are providing crossing of natural light and shadow in the interior. The feeling, one gets in a semi-dark interiors, is that you are delimited and, at the same time, protected. His methods are the simplest: the architect is playing with walls, in some cases he bends them, or just creates intersections, and in this way he creates the entrance to the closed box. All Ando’s projects are focusing on its “center- core”, the spaces he creates, are introverted and self-enclosed. Private space is physically and psychologically isolated from the outside world. The exterior blind wall secludes from the urban chaos and turns away from the neighbours (Kidosaki house, Tokyo, Japan 1986). Author Kevin Nute in his book Place, time and being in Japanese architecture, notices: «As the ultimate built expression of Zen ideals, the austerity and introspection of the Wabi tearoom may also have provided part of the inspiration for Ando’s similarly minimal, introverted spaces. As in the tearoom, it is the eternal now, more than the passing moment, which Ando is seeking to capture in his work». Nelle pagine precedenti: Koshino house, Kobe, 1980-84. On the first page and on the left: Koshino house, Kobe, 1980-84. Ando’s residential architecture has much in common with traditional Japanese tea houses. Ando tries to preserve the spirit of traditional Japanese architecture. However, in contrast to the traditional materials used in the Japanese teahouses, such as bamboo or different types of wood, Tadao Ando uses concrete 21 In basso: Azuma house; a destra: 4x4 House. Below: Azuma House; on the right: 4x4 House. 22 autonomo. Lo stesso Ando afferma: «il corpo articola il mondo. Allo stesso tempo, il corpo è articolato dal mondo. Quando considero il cemento come qualcosa di freddo e duro, percepisco il corpo come qualcosa di caldo e morbido. In questo modo il corpo, nella sua relazione dinamica con il mondo, diviene lo Shintai. E solo lo Shintai in questo senso costruisce o comprende l’architettura. Lo Shintai è un essere senziente che risponde al mondo». Tom Heneghan osserva: «Dobbiamo giudicare la predilezione di Ando per le forme semplici e la desolazione del cemento a vista non come una pura preferenza estetica, ma innanzitutto come affermazione della sua posizione etica». La posizione etica di Ando implica una rigida opposizione nei confronti del consumismo senza fine, tipico del mondo moderno. Quando si è sul punto di considerare il cemento come unico materiale usato dall’architetto giapponese si inserisce la luce, il vento ed altri elementi fisici che “entrano”, in diversi modi, nella sua architettura. «Quando l’architettura trasforma la natura attraverso l’astrazione, cambiando il suo significato. Quando l’acqua, il vento, la luce, la pioggia ed altri elementi della natura sono astratti nell’architettura, l’architettura diventa il luogo in cui le persone e la natura si confrontano in un prolungato senso di tensione. Io credo che questo senso di tensione susciterà le sensibilità spirituali latenti nell’umanità contemporanea». Nel mondo moderno sopraffatto dal consumismo, Ando crea spazi distinti, separati da pareti cieche, utilizzando il cemento, solido e indipendente, ed ottenendo, come risultato di ciò, un microcosmo introspettivo. Riprendendo la famosa citazione di Ando: «se si regala alle persone il nulla, loro rifletteranno su ciò che può essere ottenuto dal nulla», diventa più chiaro il motivo per cui l’architetto crea spazi per la meditazione trascendentale, offrendo l’opportunità di risvegliare la sensibilità, di stimolarla e di rivitalizzarla. as the only material. Ando is using sole concrete in his buildings, that is a bold statement, this is the only way to express himself and his ideas. As Ando himself argues, «the body articulates the world. At the same time, the body is articulated by the world. When I perceive the concrete to be something cold and hard, I recognize the body as something warm and soft. In this way the body in its dynamic relationship with the world becomes the Shintai. It is only the Shintai in this sense that build or understands architecture. The Shintai is a sentient being that responds to the world». Tom Heneghan observes: «We must judge Ando’s predilection for simple form and the starkness of bare concrete not merely as an aesthetic preference, but primarily as a statement of his ethical position». Ethical position of Ando implies strict opposition to the endless consumerism of the modern world. While one might assume that concrete is the only material, that Ando uses, at this time he indicates a light, wind and other physical elements. and lets them in, in his architecture, in different ways. «When architecture transforms nature through abstraction, changing its meaning. When water, wind, light, rain and other elements of nature are abstracted within architecture, the architecture becomes a place where people and nature confront each other under a sustained sense of tension. I believe it is this feeling of tension that will awaken the spiritual sensibilities latent in contemporary humanity». In the modern world, overwhelmed with consumerism, Ando creates detached spaces with blind walls using stable and self-reliant concrete, as a result of which, introspective microcosm is created. Following the famous quote of Ando, «if you give people nothingness, they can ponder what can be achieved from that nothingness». With these words it becomes clearer why the architect is creating spaces for transcendental meditation. With his architecture Ando is giving opportunity to awake sensibility, to inspire, to revitalize. 23 Urban Exploration. Ascosi lasciti di spazi in rovina Il lavoro di ricerca e scoperta del gruppo Ascosi Lasciti, mille declinazione di un’attività nata dal fascino e dalla curiosità verso un passato in abbandono Testo di Luca Bonci Traduzione di Agnese Oddi 24 Urban exploration. Ascosi Lasciti of spaces in ruins «Da sempre coltivo l’amore per i luoghi in rovina, vissuti e poi dimenticati dall’uomo. Fin da piccolo mi introducevo nelle cantine, nelle case abbandonate e in tutti quei posti in cui la natura tornava pian piano padrona e la presenza dell’uomo era evanescente. Crescendo, affacciandomi al mondo dell’arte, della letteratura e della fotografia, ho capito che quell’insana passione che faceva drizzare i capelli a mia madre e che non si era sopita durante gli anni, cresceva di pari passo alla maggior possibilità di viaggiare, ed era in realtà un amore per l’essere umano, la cui essenza si svela solo nelle sue vestigia, nel momento in cui la natura torna a reclamarle, e le rende piene, complesse e cariche di significato. A volte questi resti umani si fanno padroni della scena e mettono in moto forze che suggestionano gli ignari visitatori che capitano in quei luoghi. Ecco le storie di fantasmi e fenomeni paranormali di cui mi sono nutrito fino a qualche anno fa e che ho sempre riconosciuto come ulteriori segni della presenza umana. Ho così iniziato la mia ricerca, spero che questo viaggio nel fascino del decadente vi possa far innamorare così come è successo a me» Alessandro Tesei sull’attività del gruppo Ascosi Lasciti. Da dove nasce la suggestione per i luoghi in rovina e gli edifici abbandonati? Potrebbe sembrare macabro provare piacere nell’accedere e visitare quei posti creati dall’uomo, vissuti e poi lasciati alla decadenza, alla riappropriazione quasi giustificata da parte della natura. Ma cosa c’è dietro tutto questo? Meravigliosa è la sensibilità di chi non resiste al fascino del passato, alla volontà di scoprire e di far irruzione silenziosamente in una fabbrica in disuso, in una villa abbandonata, in un ospedale psichiatrico dell’epoca antecedente alla legge Basaglia. L’ingresso in questi luoghi è spesso «It has always cultivate love for places in ruins, experienced and then forgotten by man. Since when I was a child I went into cellars, in the abandoned houses and in all those places where nature was returning slowly mistress and the presence of man was evanescent. Growing up, looking out to the world of the art, literature and photography, I realized that the passion that made the hairs stand up to my mother and that she had not died down over the years, rose in tandem with most opportunity to travel, and it was actually a love for the human being, the essence of which is revealed only in its ruins, when nature comes back to claim them, and makes them full, complex and full of meaning. Sometimes these human remains are masters of the scene and set in motion forces that suggestive for the unsuspecting visitors what happens in those places. Here we are the stories of ghosts and paranormal phenomena that I am fed up to a few years ago and I have always been recognized as more signs of human presence. So I started my research, I hope this fascinating journey of decadent you can fall in love as has happened to me» Alessandro Tesei on the activities of the group Ascosi Lasciti. Where does the suggestion for the sites in ruins and abandoned buildings come from? It might seem macabre to feel the pleasure in going in and visit those places created by man, experienced and then left to decay, the reappropriation almost justified by the nature. But what is behind all this? It is wonderful that the sensitivity of those who can not resist the charm of the past, the desire to discover and to burst quietly in a disused factory, in an abandoned house, in a psychiatric hospital of the time before the law Basaglia. The entrance to these places is often stealthy, not for the illegality of the act but to a kind of respect the peace that governs them and that allows the visitor to stop and 25 Nella pagina precedente: foto di Alessandro Tesei; in alto: foto di Gianni Pastorino, a destra: foto di Stefano Barattini, Jonathan Della Giacoma, Emanuele Bai. On the first page: ph. Alessandro Tesei; above: ph. Gianni Pastorino; on the right: ph. Stefano Barattini, ph. Jonathan Della Giacoma, ph. Emanuele Bai. 26 furtivo, non per l’illegalità del gesto ma per una sorta di rispetto della quiete che li governa e che permette al visitatore di fermarsi ad ascoltare le storie che hanno da raccontare, nonostante l’immobilità intimidatoria di ogni oggetto, che appare come in un fermo immagine di una scena in movimento, come se l’improvviso ingresso dell’uomo bloccasse un incantesimo che li rende vivi. Può esser così ritrovato il senso evocativo dell’architettura o, più in generale, degli spazi costruiti, che potremmo definire vivi nel momento in cui sono abitati e fruiti, e morti quando ormai dell’uomo ne trasmettono solo l’avvenuto passaggio. In pochissimi anni è diventato uno dei gruppi più grandi ed attivi in Italia ed Europa di “Urban Explorers”. I motivi che spingono questi “esploratori” sono i più disparati: c’è chi cerca un set evocativo da fotografare, chi si addentra tra questi spazi in rovina per godere dell’estetica della decadenza, chi per ascoltare ciò che il luogo, in silenzio, ha da raccontare. Eppure, dopo numerose esplorazioni, molti si sono accorti che le sensazioni provate, a prescindere da tutto, mutano verso una sorta di misantropia, che deriva dal riconoscere come l’uomo sia poca cosa in confronto al tempo e alla natura. Nel caso di edifici abbandonati, questa sensazione cresce ancor di più, come un urlo disperato confinato tra le pareti che sembra essere ascoltato solo da questi “esploratori urbani”. Sono loro che fanno rivivere e riportano alla luce questi preziosi resti del passato, soffiando sulla polvere di questi libri dimenticati. Sono loro che palesano questi “ascosi lasciti”. Inizia qui l’attività dell’omonimo gruppo italiano Ascosi Lasciti Urbex, fondato nei pressi di Jesi (AN) per mano di Alessandro Tesei (videomaker, fotografo e graphic designer). Il portale online di Ascosi Lasciti è un vero e proprio database di esperienze comuni, una raccolta di racconti vissuti in prima persona. Racconti che danno voce e respiro, a questi luoghi, facendoli rivivere nella mente di quanti ci sono passati o ne hanno semplicemente sentito parlare. Automaticamente il rantolo di rabbia si trasforma in speranza di salvezza, in una richiesta di aiuto udita da molti e accolta da pochi, ma che si manifesta nella coscienza comune come un peso. Un grande volerci essere dell’architettura, del costruito e della storia del nostro paese. listen to the stories they have to tell, despite the immobility of intimidation each object, which appears as a still image of a moving scene, as if the sudden entrance of man would stop a spell that makes them alive. It can be found so the evocative sense of architecture or, more generally, of the built spaces, that could be called alive when they are inhabited and enjoyed, and now the man dead when they transmit only the transition occurred. In the case of abandoned buildings, this feeling grows even more, as a desperate scream confined within the walls that seem to be heard only by these “urban explorers”. It is they who are reviving and bring to light these precious relics of the past, blowing the dust of these forgotten books. They are the ones that reveal these “ascosi lasciti”. So It starts here the activities of the group of Italian Ascosi Bequests Urbex, founded near Jesi (AN) by the hands of Alexander Tesei (filmmaker, photographer and graphic designer). In a few short years he has become one of the largest and most active groups in Italy and Europe of “Urban Explorers”. The reasons for these “explorers” are extremely varied: there are those who look for a set of the evocative photographs, those winds its way through these spaces in ruins to enjoy the aesthetics of decadence, who listen to what the place, in silence , it has to tell. Yet, after numerous explorations, many have realized that the feelings, no matter what, change toward a kind of misanthropy, which comes from recognizing that man is nothing compared to the time and nature. The online portal of Ascosi Legacies is a real database of common experiences, a collection of short stories personally experienced. Stories that give voice and breath, in these places, making them relive in the mind of those who are gone or have just heard. Automatically the gasp of anger becomes an expectation for salvation, in a request for help heard by many and accepted by few, but that is manifested in the common consciousness as a burden. Wanting to be a great architecture, and built in the history of our country. 27 Il Grande Cretto di Burri, un ricordo che vive nel cemento L’opera di land art realizzata dall’artista umbro negli anni ‘80 a Gibellina, ripensa l’area devastata dal terremoto, ripartendo dal silenzio delle macerie Testo di Gilda Messini e Tommaso Zijno Traduzione di Lucrezia Parboni Arquati 28 The Great Cretto by Burri. The memory that lives in concrete I N ella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 un violento sisma, di magnitudo 6.0, colpì una vasta area della Sicilia occidentale distruggendo completamente l’antica cittadina di Gibellina e altri centri urbani, compresi tra le province di Palermo, Agrigento e Trapani. Ricostruita a circa venti chilometri dall’antico sito, Gibellina Nuova è un luogo dalla memoria limitata, proprio a causa della decisione di trasferire forzatamente un intero paese in una località immacolata, ad una distanza che sembra infinita. Professori universitari e architetti affermati quali Quaroni, Gregotti, Purini, Thermes, Venezia e artisti dalla fama internazionale come Schifano, Cascella, Pomodoro, Paladino, Angeli, Sciascia, Burri furono chiamati a ripensare il nuovo centro urbano. Gibellina Nuova non ha memoria anche perchè è stata progettata senza che gli abitanti fossero necessari: il sistema delle piazze progettato di Purini e Thermes, il Municipio di Samonà e Gregotti, la chiesa Madre di Quaroni, e molti altri “elementi urbani” prescindono dalla presenza degli abitanti; esistono come vedute tridimensionali, come luoghi dove il vuoto prende il sopravvento, proprio là dove il sole batte più forte e forse andrebbe cercata l’ombra. Burri fu l’unico a non voler realizzare la propria opera nella nuova città che si andava definendo, giustificando così la sua scelta: «Andammo a Gibellina con l’architetto Zanmatti, il quale era stato incaricato dal sindaco di occuparsi della cosa. Quando andai a visitare il posto, in Sicilia, il paese nuovo era stato quasi ultimato ed era pieno di opere. Qui non ci faccio niente di sicuro, dissi subito, andiamo a vedere dove sorgeva il vecchio paese. Era quasi a venti chilometri. Ne rimasi veramente colpito. Mi veniva quasi da piangere e subito mi venne l’idea: ecco, io qui sento che potrei fare qualcosa. Io n the night between 14 and 15 January 1968 a violent earthquake, with a magnitude of 6.0, struck a large area of western Sicily, destroying completely the ancient town of Gibellina and other urban centres, including the provinces of Palermo, Agrigento and Trapani. Rebuilt about twenty kilometres from the ancient site, Gibellina Nuova is a place of limited memory, precisely because of the decision to forcibly transferring an entire country in a place immaculate, at a distance that seems endless. University professors and established architects like Quaroni, Gregotti, Purini, Thermes, Venezia and internationally known artists such as Schifano, Cascella, Pomodoro, Paladino, Angeli, Sciascia, Burri were called to rethink the new urban centre. Gibellina Nuova has no memory because it is also designed without the necessary presence of the inhabitants: the system of squares designed by Purini and Thermes, the Town Hall by Samonà and Gregotti, the Mother Church by Quaroni, and many other “urban elements” are independent from the presence of the inhabitants; exist as three-dimensional views, as places where the void takes over, just where the sun shines more fierce and perhaps should be sought shadow. Burri was the only one who does not want to realize his work in the new city that was defining, justifying his choice: «We went to Gibellina with the architect Zanmatti, who had been appointed by the mayor to take care of the thing. When I visited the place, in Sicily, the new city had been largely completed, and was full of works. Here we do not do anything for sure, I said at once, let’s see where were the old city. It was almost twenty kilometres far. I was really impressed by that. I was almost crying and suddenly I got the idea: here I feel that I could do something. I would do so: we should compact the rubbles that are a problem for everyone, we arm them, and with the concrete make a huge white crackle, so that remains an eternal reminder of this event» - Alberto Burri, 1995 So Burri decided to build a massive veil over the old town, a concrete imprint cut by the paths of ancient streets. And 29 Nella pagina precedente: Grande Cretto di Gibbellina, foto di Gabriel Valentini; in basso: Grande Cretto di Gibbellina, foto di Ruggero Arena, Cretto Bianco. On the first page: Grande Cretto di Gibbellina, ph. Gabriel Valentini; below: Grande Cretto di Gibbellina, ph. Ruggero Arena, Cretto Bianco. 30 farei così: compattiamo le macerie che tanto sono un problema per tutti, le armiamo per bene, e con il cemento facciamo un immenso cretto bianco, così che resti perenne ricordo di quest’avvenimento» - Alberto Burri, 1995 Così Burri decise di costruire un velo massivo sopra la vecchia città, un’impronta di cemento tagliata dai tracciati delle antiche strade. Ed ecco “risorgere” Gibellina Vecchia, un coagulo di strade appiccicato alla collina, ma reso incorporeo da un trattamento continuo di cemento colato sul fianco di un territorio ferito. Il tracciato dei blocchi e delle fenditure ricalca in buona parte l’impianto urbanistico preesistente. Il risultato è assimilabile ad una grande texture frammentata, che segue la morfologia del territorio. Un’opera che annulla i limiti fra arte, architettura e urbanistica. «Preparammo le planimetrie perimetrando la zona dell’intervento con un rettangolo che copriva quasi tutta la superficie dei ruderi eliminando le sfrangiature perimetrali. Solo allora capimmo la grandezza del progetto, l’opera copriva più di dieci ettari di superficie, da stupire i Faraoni ma non Burri che impaziente, su un plastico del terreno, preparato in quattro e quattr’otto, distese nei limiti del rettangolo ipotizzato, la sua superficie di malta bianca per ottenere il cretto. Incise la rete viaria principale lasciando che il cretto si formasse spontaneamente. Si prepararono i disegni esecutivi che prevedevano l’abbattimento dei muri ancora in piedi e pericolanti, compattando poi le macerie e rivestendole con rete metallica, secondo le forme del progetto e il tutto ricoperto di cemento bianco» Alberto Zanmatti L’efficacia del progetto è data dall’opposizione visiva tra l’esterno: l’opera intesa come arte ambientale, che si può leggere a chilometri di distanza con un effetto quasi pittorico; e l’interno: l’opera come spazio percorribile, ad altezza d’uomo, un vasto e spettrale labirinto aperto fra le crettature, che diviene un percorso di smarrimento e di riflessione sulla nozione stessa di perdita. Il Grande Cretto di Gibellina è il coronamento del percorso artistico iniziato da Burri nei primi anni Settanta, incentrato sullo studio del rapporto tra energia e materia. Nei Cretti, in modo particolare, la materia risulta modificata, spaccata da una qualche forma di energia. Immagini suggestive di terre lesionate da arsure, crepe dovute all’azione del tempo, strati di crosta terrestre lacerati dalle scosse di un sisma. Rappresentazioni di materie quasi condannate ad apocalittici destini. Il Grande Cretto è un’opera da sentire, un monumento alla memoria di un luogo, da visitare in silenzio. Una cattedrale a cielo aperto, dove lasciarsi invadere dai pensieri. Un luogo dove meditare sulla brevità e precarietà della vita. L’antica città siciliana rivive così tra le crepe di questo Grande Cretto, disegnate su una superficie imperfetta, rigata dal ricordo di strade scomparse. here “resurrect” Gibellina Vecchia, a clot of streets stuck to the hill, but made bodiless by a continuous treatment of concrete casts on the side of a wounded land. The layout of blocks and fissures follows largely the existing city plan. The result is similar to a great texture fragmented, which follows the topography of the area. A work that cancels the boundaries between art, architecture and urbanism. «We prepared the plans delimiting the intervention area with a rectangle that covered almost the entire surface of the ruins eliminating fraying perimeter. Only then we realized the magnitude of the project, the work covered more than ten hectares, enough to impress the Pharaohs but not Burri that impatient, on a model of the terrain, prepared in a jiffy, stretches as far as the assumed rectangle its surface of white mortar to get the crackle. Carved the trunk road network letting the crackle was formed spontaneously. They prepared the drawings which included the demolition of the walls still standing, then compacting the debris and coating them with metal mesh, according to the forms of the project and then covering all with white concrete» - Alberto Zanmatti The effectiveness of the project is given by the opposition between the exterior visual: the opera as an art environment, which you can read in kilometres away with an almost painterly; and the interior: the work space as practicable, at eye level, a vast, spooky maze opened between the cracking, which becomes a path of loss, reflection on the notion of loss. The Great Cretto of Gibellina is the culmination of the artistic career started in the early seventies by Burri, which focuses on the study of the relationship between energy and matter. In the Cretti, in particular, the material is modified, split by some form of energy. Suggestive images of lands damaged by scorching heat, cracks due to the time, layers of the earth’s crust torn by an earthquake. Representations of materials almost condemned to apocalyptic fates. The Great Cretto is a work to feel, a monument to the memory of a place to visit in silence. An open air cathedral, where you can be invaded by thoughts. A place to meditate on the brevity and uncertainty of life. The ancient Sicilian city relives through the cracks of this Great Cretto, drawn on an imperfect surface, scratched by the memory of roads disappeared. 31 Derinkuyu, il tempo si ferma nella città sotterranea turca Il silenzio è il luogo del rifugio. Il rifugio è nello spazio ipogeo. A Derinkuyu il tempo nasconde e preserva i segni dei passati periodi dell’uomo nell’oblio della strategia compositiva e della consapevolezza costruttiva Testo e traduzione di Lisa Patricelli 32 Derinkuyu, where age is lost inside turkish underground city A È di recente scoperta una nuova città sotterranea nell’altopiano dell’Anatolia, secondo alcuni si tratta del più grande ritrovamento archeologico del 2014. Il dedalo di gallerie rinvenuto a Nevşehir si “inabissa” per molteplici livelli nelle profondità della terra. La conformazione morfologica del territorio, in questa parte della Turchia, ha dato la possibilità fin dai tempi antichi di sfruttare lo spazio ipogeo. Una delle caratteristiche della regione è, infatti, l’abbondanza di insediamenti sotterranei. La Cappadocia è stata meta di assalti nella storia e queste città furono costruite per fornire spazi dove poter rifugiarsi temporaneamente durante i periodi di pericolo. Scavate nelle rocce tenere di tufo, nella regione centrale dell’Anatolia, sono stimate circa 150-200 città sotterranee. Alcune grandi abbastanza da contenere 30.000 persone; altre, più piccole, potrebbero essere più propriamente definite “borghi sotterranei”. La nuova città rinvenuta nel 2014 non è il primo ritrovamento archeologico in materia di costruzioni sotterranee ad essere scoperto in Turchia. Infatti fin dal 1965 è possibile visitare il 10% della città sotterranea a Derinkuyu, situata a 29 km da Nevşehir. Questo sito, incluso nella lista del patrimonio dell’UNESCO, è approssimativamente profondo 85m e riscuote successo non solamente dal punto di vista turistico. Per quanto concerne un’analisi architetturale, le abitazioni troglodite rappresentano un esempio emblematico del concetto primordiale di organizzazione residenziale. Il bisogno di costruire “spazi del silenzio”. Spazi invisibili. Spazi sotterranei. Percorrendo i cunicoli, scavati nel tufo, si incontrano abitazioni rupestri, new underground city is recently found in Anatolia upland, according to someone it’s a matter of the biggest archeological finding in 2014. A maze of tunnels, found in Nevşehir, lowers several levels in the depths of the Earth. Morphological form of natural structures, in Turkey, gave from ancient times the possibility of exploit the hypogeum space. In fact, one of traits in this turkish region is a great abundance of underground settlements. Because historically, Cappadocia had been subjected to frequent raids, these cities were built to provide people with places where they could take temporary shelter during time of danger. In the central Anatolia region there are 150-200 underground cities, carved out of the soft tufa rock. A few of them were large enough to accommodate 30.000 people, while other settlements could more accurately be described as “underground villages”. The 2014 discovered city is not the first archeological-underground-site finding in Turkey. In fact from 1965 it’s possible to visit 10% of Deinkuyu Underground City, situated 29km from Nevşehir. It is on list of World Heritage by UNESCO and is approximately 85m deep, achieving resounding success not only as tourist attraction. Architecturally, troglodyte settlements represent a classical example of elementary concept about residential organization. The need to build “silence spaces”. Invisible spaces. Underground spaces. Within primitive settlements, carved out of tufa, there are stables, cellars, storage rooms, refectories, churches, wineries. Room are linked by mazes of tunnels, closed if necessary, with spherical stones, sliding on 33 Nella pagina precedente e in alto: foto di Lisa Patricelli; a destra: foto di Najlepszy Komentarz, Armas Brancas e Melissa Blevins. On the first page and above: ph. Lisa Patricelli; on the right: ph. Najlepszy Komentarz, Armas Brancas e Melissa Blevins. porte cilindriche, scale, camini d’aerazione, cucine, stalle, chiese, spazi per la pigiatura dell’uva, vani per l’illuminazione ad olio, refettori. Gli spazi sono collegati da labirinti di tunnel bloccati, all’occorrenza, da speciali pietre circolari scorrevoli su guide. In caso di necessità, venivano aggiunti nuovi ambienti scavati sotto i pavimenti delle camere esistenti, aumentando le dimensioni dell’insediamento sotterraneo. L’estrazione di materiale è la parola chiave: non si tratta di una metodologia costruttiva comune. Nella città sotterranea di Derinkuyu le cavità sono ricavate direttamente scavando la roccia. Questo comporta sia effetti a livello strutturale, ma soprattutto riduce dissipazioni acustiche e termiche. Dall’esterno è visibile solo la porta d’accesso, posposta alla biglietteria: oggi il sito archeologico è un museo, visitabile previo pagamento di un biglietto. Entrando si lascia alle spalle la luce, la pavimentazione e l’intonaco bianco dei materiali odierni per immergersi in uno spettacolo ancestrale. La temperatura è costante, attorno ai 18 gradi. Il silenzio è tombale. L’atmosfera è tetra. Le lanterne artificiali, con la loro luce calda, indicano la via ai visitatori, insieme ad insegne e frecce direzionali. Il ritmo è scandito dall’alternanza di pieni e vuoti, spazi serviti e serventi, corridoi e stanze. La 34 sorpresa è continua. La discesa nei piani sotterranei è proporzionale alle dimensioni dei passaggi, sempre più a misura “d’homo” e il silenzio diventa il protagonista assoluto. Ci si perde dunque in un luogo atemporale, dove tutto è fermo, dove non c’è vita, dove si respira polvere e oscurità. Il passaggio dell’uomo è netto. Il segno lasciato è preservato dal tempo che in superficie continua a correre, non curandosi del misterioso insediamento sotterraneo, figlio del passato periodo in cui vicende storiche e leggende si intrecciavano, favorendo la creazione di spazi trascendentali di un mondo sotterraneo sviluppato parallelamente a quello in superficie. Il rapporto tra il mondo della luce e quello delle tenebre si può considerare come il frutto di un incontro metafisico, di un ininterrotto dialogo tra la vita e la morte, tra rumore e silenzio. Qui il luogo del sottosuolo è la dimostrazione della riuscita progettazione compositiva, strategicamente pensata, e la costruzione, monolitica, estrusa dalla roccia. Derinkuyu, territorio per prove difficili ed essenziali. La città sotterranea è oggi il museo principale della regione Nevşehir e dimostra l’ingegno dell’uomo antico, l’abilità di costruzione, l’assimilazione delle tecniche, la risposta al bisogno della difesa, il rispetto della religione. guides. When needed, new rooms carved out under existent spaces floor, improving underground settlement dimensions. Carve out tufa is the key word: it’s not a common constructive method. In Derinkuyu underground city, that is on the way to Niğde, caves are carved out directly from rock. This entails structural effects and also to improve acoustic and thermal resistances. On the outside it is visible just the access point, ticket office rear area: in fact this archeological site is a museum, to visit upon ticket payment. Going inside, a visitor leaves behind sun light, flooring, white plaster of contemporary building materials to sinks ancestral context. Here setting is fixestemperature, 18 Celsius degrees. Silence is austere. Setting is gloomy. Warn lighted electric signs and arrow-shaped objects signpost to visitors. Rhythm is expressed by succession of full and empty spaces. Unexpected astonishment is everywhere. Underground floors descent is in proportion to tunnels size, more and more shrink, the silence has the starring role. With this feeling, visitor lost in an atemporal place, where everything is stationary, where there isn’t life and breaths dust and darkness. Human track are clear. Left mark preserved by time, which on surface keeps going on, don’t taking care of arcane underground settlement, son of past age, in which it mingled urban legend with history, supporting establishment of increasingly spaces in a underground world, developed parallel to the one on the surface. The ratio between light sphere and darkness one can be considerate as result of metaphysical combine, a continuous exchange between life and death, between noise and silence. Underground settlement is a strong example of succeeded system design, strategically conceived, and building construction awareness, monolithic, carved out of rock. Derinkuyu, unexplored territory to hard and required tasks. Underground city is now the main museum in Nevşehir region and shows ancient human talent, construction ability, outwork in the time of need and religion respect. 35 IMMAGINI SILENTI DI ROBERTO MAZZARELLI A ttimi congelati di realtà che si susseguono. Piccoli particolari che raccontano l’assenza di una storia; orme sulla sabbia diventano protagoniste assolute della composizione. Scatti che racchiudono uno stato psichico inconscio che l’artista mette in mostra quasi inconsapevolmente. Paragonare la fotografia di Roberto Mazzarelli a qualcosa di preciso risulta complicato, ciò che essa “narra” è molto simile al “silenzio”. Ritrae quell’attimo prima o quell’attimo subito dopo; un attimo che ha come protagonista il rumore assordante del nulla. Così queste foto, apparentemente immobili e silenti, trascrivono un continuo evolversi di pensieri e di emozioni; istanti particolari di una realtà in continuo movimento. CURATOR FR A N C ESC A DE DOMI NI CI S PHOTOGRAPHY R O B ERTO M AZZ AR ELLI TEXT FR AN C ESC A DE DOM I NI CI S TRANSLATION LU CREZI A PARBONI ARQUATI GRAPHIC AN D R EA B ON AMORE “Immagini Silenti” è una produzione lab2.0 distribuita in allegato a “lab2.0 Magazine” Roberto Mazzarelli - Vive a Roma, dove si laurea in cinema e arti visive presso il Dams di Roma Tre. Nel 2012 lavora per la XIII edizione del Lucania Film Festival. Dal 2012 è anche curatore di (Cine)Visioni Magazine rivista on line di analisi e critica cinematografica. F rozen following moments of reality. Small details that tell the absence of a history; footprints in the sand become the centrepiece of the composition. Shots that contain an unconscious mental state that the artist shows almost unconsciously. Compare the photography of Roberto Mazzarelli to something definite is complicated, what it “tells” is very similar to the “silence”. He portrays the moment before or after; a moment that features the deafening sound of nothing. So these pictures, apparently motionless and silent, transcribe a continuous evolution of thoughts and emotions; special moments of a reality constantly in motion. Roberto Mazzarelli - He lives in Rome, where he graduated in film and visual arts at the Dams of Roma Tre University. In 2012 he works for the XIII edition of the Lucania Film Festival. Since 2012 it is also the editor of (Cine) Visioni Magazine, an online magazine of film criticism and analysis. Strutture lignee complesse delimitano lo spazio: Intervista a Sergio Pone Testo di Giandonato Reino e Daria Verde Translated by Daria Verde S ergio Pone, esperto d’innovazione tecnologica, conduce ricerche e sperimentazioni sulle Gridshell (gusci a graticcio di legno ecosostenibile) e sulla loro capacità di generare lo spazio, di modellare il vuoto. Sull’argomento è relatore in numerosi convegni nazionali e internazionali, l’ultimo dei quali svoltosi in Australia. Il leit motiv della sua ricerca è la sperimentazione: nelle forme esplorate dal suo lavoro, si ritrova la volontà di indagare a tutto campo tra gli strumenti tecnologici della costruzione per riportare l’architettura a strumento della fantasia collettiva, guardando oltre i limiti di tradizioni consolidate. Non è un caso che l’insegnamento svolga un ruolo fondamentale nella sua attività: coordinatore di numerosi workshop, coinvolge infaticabilmente giovani e studenti che hanno così la possibilità di confrontarsi con il mondo del lavoro e di vivere un cantiere. Dalla prima faticosa realizzazione, l’ampliamento di una casa di villeggiatura a Ostuni, in Puglia, a oggi è stato tracciato un percorso di ricerca che è anche un percorso di formazione. «E – usando le sue parole – per una volta non si tratta della formazione di chi è chiamato ad apprendere, ma di quella di chi è chiamato a insegnare». Che cos’è una gridshell? Una gridshell è una struttura che ibrida il comportamento delle strutture reticolari “grid” con il comportamento dei gusci, cioè le “shell”. Il guscio tradizionale che 48 noi conosciamo è quello fatto in calcestruzzo armato caratterizzate da una grande rigidezza e la scarsa penetrabilità dalla luce in particolare quando gli spazi sono molto grandi. Per questo motivo nasce il guscio a graticcio, il guscio a griglia, cioè la gridshell, che essendo fatta con asticelle lascia questi spazi vuoti e attraverso questi spazi può penetrare la luce, inoltre il ruolo del sistema reticolare è proprio quello di attribuire la rigidezza nel piano. Le gridshell sono di due grandi famiglie: quelle preformate e quelle postformate. Le gridshell preformate hanno una forma precostituita già dalla messa in opera. L’esempio classico è la struttura di Massimiliano Fuksas alla Fiera di Rho. I grandi interpreti mondiali di questa tipologia sono lo studio tedesco di ingegneria Schlaich e Bergermann; dall’altro lato invece ci sono le gridshell postformate in legno. Queste strutture si assemblano in piano e successivamente si forzano per raggiungere una conformazione a doppia curvatura che è quella che poi effettivamente la rende resistente, cioè il guscio. Attraverso queste curvature si da forma a degli spazi che possono essere molto diversi tra loro. Quali sono quindi le qualità spaziali di una gridshell? Io assimilo alla costruzione della gridshell la realizzazione di un vestito. C’è la tessitura e il suo processo creativo che è un attività industriale, ripetitiva e seriale dove trama e ordito possono essere assimilati ad una sovrapposizione cartesiana in qualche modo. Il sarto poi riceve il tessuto e lo adegua in base a una funzione: lo taglia, lo cuce, lo piega, lo curva. Trama e ordito consento al tessuto di assumere le sue rotondità che poi sono quelle del nostro corpo. Noi creiamo un tessuto di legno. Proprio questa stessa rotazione delle maglie tra di loro fa la gridshell. La sua caratteristica è la forma concavo-convessa ed è quella che nasce proprio dal suo modo di essere costruita. Quindi si inserisce naturalmente in quel filone di architettura organica che si riferisce a questo tipo di curve fino ad arrivare potenzialmente anche all’architettura dell’informale. A mio avviso la gridshell non è mai informale. Ha sempre delle forme dettate da necessità formali, figurative, costruttive e del materiale. Considerando la particolare adattabilità della gridshell come si relaziona al vuoto urbano? L’archetipo della gridshell è la Multihalle di Mannheim di Frei Otto. Questa è stata cucita all’interno di un parco, rispettandone gli elementi naturali: gli alberi, il bordo del laghetto. Frei Otto si è divertito a dare a questa struttura una forma che discendeva dalla volontà di rispettare gli elementi naturali presenti. Quindi ha questa caratteristica straordinaria di personalizzazione fino a livello di dettaglio sulla forma che la città chiede. Oggi si stanno realizzando grandi strutture urbane, mi viene in mente il Parasol di Siviglia, che servono per immaginare un tipo di benessere degli spazi aperti che in qualche misura approssimi quello a cui siamo abituati negli spazi chiusi. Io credo molto che bisogni lavorare sul benessere urbano e secondo me la gridshell, specialmente nei paesi caldi, ma anche nei paesi con climi freddi, dove fondamentalmente c’è la necessità di sostare senza bagnarsi in un’attesa, è molto adatta. La sua flessibilità le conferisce una forte adattabilità negli spazi a cui si somma la suggestione di queste forme che non sono mai banali. Può assumere quindi le caratteristiche di una galleria, di una sala e di una serie di gallerie che la connettono. In realtà è assolutamente plasmabile in questo senso. Posso fare quello che voglio. Come mai non è un sistema costruttivo diffuso? Non è un sistema diffuso perché è essenzialmente un sistema complesso da progettare. Mi spiego. La forma che noi diamo alle strutture è derivante dalla flessione del legno. Quindi è una forma che più che essere imposta al materiale, va calcolata. Noi infatti utilizziamo, per una prima fase del nostro lavoro di progettazione, procedimenti di calcolo per capire che forma prenderà il legno. Come si può immaginare è un sistema estremamente complesso. La forma è molto complessa. Il comportamento è molto complesso. Il sistema progettuale è molto complesso: cioè devi pensare dove e quanto spingi per dargli la forma che lei assume. Nei nostri lavori abbiamo usato sempre legno di conifera per due motivi: il primo è che le conifere sono più adatte per le applicazioni in esterno. Il secondo è quella di avere un quantitativo consistente di resina e quindi un livello di flessibilità e deformabilità maggiore rispetto al legno dei latifoglie. Tra queste il principe delle conifere è il larice. Un ottimo legno che si produce in discrete quantità anche qui in Italia. 49 Perchè preferire la gridshell ad altri sistemi costruttivi? Questo sitema costruttivo è preferibile ad altri perchè consente una leggerezza straordinaria, confrontabile con strutture che non si fondano, ma si zavorrano. Una gridshell in legno arriva a pesare anche 7 kg a metro quadro. Questo consente quindi di minimizzare le opere di fondazione. Quella in legno ha inoltre questa caratteristica che anche se è estremamente complessa da progettare poi è abbastanza semplice da realizzare. C’è una fase, che è quella della formatura, in cui l’esperienza è indispensabile, però tutte le altre sono operazioni molto semplici che si fanno con materiali che stanno nella stanza degli attrezzi di tutte le case in realtà. Chiunque ci può lavorare ed è una costruzione appropriata anche in condizioni difficili. Per un guscio in cemento armato ho bisogno di spazi per la gru, per la betoniera. Per una gridshell non ho bisogno di niente: ho bisogno di arrivare con la mia automobile e portare quattro bacchette. Posso realizzarla in paesi che vivono condizioni disagiate senza grandi forzature. Come alcuni paesi del terzo mondo dove tra le tecnologie tradizionali troviamo spesso l’uso del legno. Quindi non vai a forzare le loro abitudini. Possiamo dire che queste strutture hanno un livello di sostenibilità pari al 100% perché a bassissima energia grigia. In fase di demolizione inoltre se non si applicano particolari trattamenti chimici il legno si trasforma in risorsa: tramite il pellet può diventare combustibile. Per quanto riguarda la manutenzione, tutte le parti sono 50 sostituibili come in qualsiasi costruzione di legno. Il materiale eterno non esiste, o meglio, pare che ci siamo andati vicini tant’è che la ditta produttrice ha deciso di chiamarlo eternit. Fortunatamente abbiamo capito che non è questo il modo con cui approcciare a questo pianeta. Le costruzioni hanno bisogno di manutenzione. Questa cosa si può sicuramente minimizzare con dei particolari trattamenti, oggi sempre meno legati all’industria petrolchimica. Per la gridshell la manutenzione serve né più né meno che in qualsiasi altro sistema costruttivo. Quanto è importante per lei il coinvolgimento dei giovani? Fino ad oggi il coinvolgimento dei giovani è stato molto importante. Io ho una squadra fantastica di ragazzi che mi aiuta e mi segue nei nostri workshop o sperimentazioni in giro per l’Italia. I giovani sono una risorsa. Nella mia esperienza didattica ho verificato che è molto utile usare queste strutture perché, in qualche misura, ti rende consapevole delle tue capacità a costruire una cosa tua. Questo accorcia la distanza rispetto al mondo mitologico delle archistar. Riuscire a fare un oggetto non completamente diverso da alcune cose che si vedono sulle riviste di architettura costruito con le proprie mani dà molta soddisfazione. Dall’altra parte ci sono io che vengo caricato dal loro entusiasmo, in cambio io aiuto loro perché attraverso questo passaggio c’è un acquisizione di consapevolezza che alla fine, con un po’ di legnetti e un trapano, si possono realizzare delle cose veramente belle. Complex wooden structures define space. Interview with Sergio Pone S ergio Pone, an expert in technological innovation, conducts research and experiments on Gridshells (timberframed shells made of sustainable wood) and their ability to create space, to shape the void. On the subject he is a speaker in numerous national and international conferences, the last of which took place in Australia. The leitmotiv of his research is experimentation: in the shapes explored by his work, we find the will to investigate through technological tools of construction to make architecture an instrument of collective imagination, looking beyond the limits of established traditions. It is no coincidence that teaching plays a vital role in his activity: coordinator of numerous workshops, he engages young people and students who have the opportunity to face the world of work and to live on a construction site. From the first hard realization, the expansion of a summer house in Ostuni, Puglia, up to date what has been traced is a path of research, which is also a training course. «And - in his words - for once it is not the education of those called to learn, but that of those who are called to teach». What is a gridshell? A gridshell is a structure that interbreeds the behaviour of “grid” structures with that of “shells”. The traditional shell is made of reinforced concrete and is characterized by high stiffness and lack of light, particularly in very large spaces. For this reason, the timber-framed shell was born, the gridshell, that, thanks to the rods it is made of, has these empty spaces and through these spaces the sunlight can penetrate; besides the role of the reticular system is precisely to confer stiffness. The gridshells belong to two large families: the pre-formed and the post-formed ones. The preformed gridshells have a shape that is imposed since their installation. The classic example is the structure by Massimiliano Fuksas at the Rho exhibition. The world’s greatest interpreter of this type is the German engineering studio Schlaich and Bergermann; on the other side, there are post formed gridshell made of wood. These structures are assembled on the ground and then we force them to reach a doublecurved conformation, which is what actually makes them resistant. Thanks to these curvatures it is possible to create spaces that can be very different from each other. So what are the spatial qualities of a gridshell? I assimilate the construction of gridshell to the realization of a dress. There is the weaving which is an industrial, repetitive and serial activity, where the warp and the weft can be somehow considered as a Cartesian superimposition. Then the tailor receives the cloth and adapts it according to a function: he cuts it, sews it, folds it, and bends it. The warp and the weft allow the fabric to assume its roundness which is that of our body. We create a wooden texture. Precisely this same rotation of the links between them makes the gridshell. Its characteristic is the concave 51 and convex shape which originates from its building technique. So it naturally fits in the line of organic architecture that refers to this type of curves up to informal architecture. In my opinion a gridshell is never informal. Its shape is always dictated by formal, figurative, constructive and material necessities. Considering the particular adaptability of a gridshell, how does it relate to the urban void? The archetype of the gridshell is the Multihalle Mannheim by Frei Otto. It was sewed up inside a park, respecting its natural elements: the trees, the edge of the pond. Frei Otto had fun giving this structure a shape descending from the desire to respect natural elements. So it has this extraordinary feature of customtailoring up to the level of detail on the form that the city requires. Today large urban structures are built, I am thinking of the Parasol in Seville; they help imagining a kind of wellness of open spaces that somehow approximates the one we are used to in enclosed spaces. I deeply believe that we need to work on urban wellness and, in my opinion, the gridshell, especially in hot countries, but also in countries with cold climates, where there is the essential need to stand while waiting without getting wet, is very suitable. Not only its flexibility gives it a strong adaptability inside spaces, but also the suggestion of these forms is never banal. It can therefore assume the characteristics of a tunnel, a hall, and a series of tunnels that connect it. It actually is absolutely mouldable in this sense. I can do what I want with it. 52 Why isn’t it a popular construction system? It is not a popular system because it essentially is a complex system to be designed. Let me explain. The shape we give to the structures derives from the bending of the wood. So it’s a shape that, more than being imposed on the material, should be calculated. We use, in the first phase of our design work, computational procedures in order to understand what shape the wood will assume. As you can imagine, it is an extremely complex system. The shape is very complex. The behaviour is very complex. The design system is very complex: that is to say, you have to think about where and how to push it to give it a particular shape. In our work we have always used softwood for two reasons: the first is that conifers are more suitable for outdoor applications. The second is it has a significant amount of resin, and so a greater level of flexibility and deformability than the wood of deciduous trees. Between those, the prince of softwood is larch wood. A great wood that is produced in adequate quantities here in Italy. Why should we prefer a gridshell to other constructive systems? This constructive system is to be preferred because it allows an extraordinary lightness, comparable to structures that are not grounded, but loaded. A wooded gridshell can weigh up to 7 kg per square meter. This allows us to minimize the work of foundation. The wooden structure also has this characteristic: even though it is extremely complex to design, it is quite simple to realize. There is a stage, which is that of moulding, in which experience is essential; however, all the other stages are very simple and can be done with the same materials and tools we all have in our houses. Anyone can work on it and it is an appropriate construction even in difficult conditions. For a shell made of reinforced concrete I need space for the crane and the mixer. For a gridshell I don’t need anything: I only need to get there with my car and to bring four rods. I can build it in poor countries without difficulties. As a matter of fact, in some third world countries wood is traditionally used. So you do not go there and change their habits. We can say that these structures have a level of sustainability of 100% because of their very low grey energy. Moreover during its demolition, if you do not apply chemical treatments, wood becomes a resource: through pellet it can become flammable. As regards maintenance, all parts are replaceable as in any wooden construction. The eternal material does not exist, or maybe, it seems that we came so close to it for the manufacturer decided to call this material eternit. Fortunately we realized that this is not the way to approach this planet. Buildings need maintenance. This is something you can definitely minimize with particular treatments, today less and less related to the petrochemical industry. So gridshells maintenance is neither more nor less necessary than in any other building system. How important is the participation of young people to you? Until today, the participation of young people has been very important. I have a fantastic team of guys who help me and follow me in our workshops or experiments all around Italy. Young people are a resource. In my teaching experience, I have noticed how helpful it is to use these structures because, to some extent, they make you aware of your ability to build something by yourself. This shortens the distance from the mythological world of Archistars. Being able to build an object, that is not completely different from some things you see in architecture magazines, with your own hands gives you a boost. On the other side, here I am, excited by their enthusiasm. In return, I help them because they acknowledge that, all in all, with a few sticks and a drill, you can accomplish really beautiful things. 53 Contenuto speciale • Special content 54 55 Contenuto speciale • Special content 56 57 | Art & Architecture Lovers | | Fermo • Italy | | On Air on September 04.05.06 | | www.stripefestival.com | | Facebook | Twitter | Google+ | | Instagram | Pinterest | Vimeo | Con il patrocinio di: | Art & Architecture Lovers | | Fermo . Italy | | On Air on May 29.30.31 | | Twitter | Google+ | Instagram | | Pinterest | Vimeo | PPARTENENZA RG O GO B LU ETI C O LO I O RI FIORDIPIAZZA V OCILBBUP OIZ WORKSHO TR AC C RN I C E PS C O N TA M I N AT I O N S E’ un supplemento di lab2.0 Magazine (ISSN 2385-0884) appartenente al gruppo editoriale dailySTORM (testata giornalistica iscritta al Registro della Stampa del Tribunale di Roma, autorizzazione n. 12 del 15 Gennaio 2013) A cura di / Edited by Lorenzo Carrino Testi/ Text Renato Vivaldi Tesser Giada Caterina Zerboni Traduzioni/ Translations Martina Regis Fotografie/Photography Fabio Cappello Ermanno Cavaliere Susanna Emili Giada Caterina Zerboni Grafica/ Graphic & Editing Andrea Bonamore Contatti di redazione/ Editorial staff [email protected] Responsabilità. La riproduzione delle illustrazioni e degli articoli pubblicati sulla rivista, nonché la loro traduzione è riservata e non può avvenire senza espressa autorizzazione. Alcune delle immagini pubblicate sono tratti da internet. In caso di involontaria violazione dei diritti d’autore vi preghiamo di contattarci per indicare, nel numero successivo, il nome/link del proprietario in base al modello di copyright utilizzato. I manoscritti e le illustrazioni inviati alla redazione non saranno restituiti, anche se non pubblicati. CONTAMINATIONS è una produzione lab 2.0 distribuita in allegato a “lab2.0 Magazine” Contaminations - inserto della rivista lab2.0 - nasce come “contenitore” di esperienze, esperienze da condividere e che “viralmente” possano alimentare il dibattito sul ruolo che l’architettura ricopre nella società contemporanea. Contaminations - lab2.0 magazine’s insert - arises as an experiences binder, experiences to share and that, in a viral way, could incite the debate on the role that today the architecture has on the society’s development. INDICE 01 FIOR DI PIAZZA 03 METODOLOG IA “ 1 + 1 = 1 1 ” 05 R A C C O N T O FOTOG RAFICO F I O R D I P I A Z Z A Fior di Piazza: un progetto partecipato di rivalutazione territoriale. In Sabina si sperimenta la metodologia “1+1=11” A pochi chilometri da Roma, nel territorio della Sabina, si stanno realizzando una serie di progetti partecipati, il cui filo conduttore è quello di recuperare e valorizzare i luoghi che danno un senso di appartenenza alle comunità. L’obiettivo è di potenziare le capacità creative che nascono dalle esigenze delle persone e si consolidano fortemente nella vita dei luoghi in cui s’inseriscono. Micro-interventi “agopunturali”, promossi dall’Associazione Culturale Sabinarti, basati sulla metodologia definita “1+1=1_Partecipare”. Nel mese di aprile il progetto, coordinato dall’architetto Renato Vivaldi Tesser, ha riguardato la piazza del borgo di Collelungo Sabino (RI) e ha coinvolto laureandi e laureati in architettura di Torino, Napoli e Roma, insieme ai ragazzi e alle donne del paese. Gli abitanti di Collelungo Sabino volevano una piazza “bella”. Ma che cosa significa avere una piazza bella? Per gli abitanti voleva dire una piazza dalla pavimentazione regolare, pulita, definita, con delle fioriere e delle sedute. Ma per fare una “bella” piazza in questo senso servivano soldi che non erano disponibili. Bisognava trovare la maniera di riprendersi lo spazio pubblico e cambiarlo insieme, e per questo sono state coinvolte le donne e i giovani locali. La piazza, all’ingresso del borgo, era un luogo non definito, dove le macchine parcheggiavano alla rinfusa nonostante il divieto di sosta e poco era lo spazio completamente pedonale, con la pavimentazione asfaltata segnata dalle tracce di diversi interventi. Fondamentale è stato quindi definire l’area pedonale attraverso un reticolo, creato con delle strisce dipinte con la vernice di colore verde acceso, in modo da risaltare rispetto alla pavimentazione promiscua, unificando tutte le diverse pavimentazioni sottostanti. Ma per farla diventare una vera piazza si è deciso di utilizzare uno strumento che le donne del luogo conoscono bene: i fiori. Infatti, tutto il paese di Collelungo è abbellito dai fiori che le stesse donne piantano e curano costantemente tutto l’anno. Si è trattato solamente di aggiungere una postazione in più. Sono stati disposti nella piazza vasi con fiori scelti, piantati e curati personalmente dalle donne. I fiori diventano quindi l’elemento fondamentale della piazza: fiori vivi e colorati nei vasi, nomi di fiori scritti per terra, sculture di fiori, create dall’artista Gianluca Rondina, appese sul muro di pietra. Il successo riscosso dalla sistemazione della piazza dimostra che uno spazio urbano può essere recuperato e rimesso in valore facendo leva sul capitale sociale costituito dalle persone del luogo, coinvolte seriamente nelle decisioni e nell’organizzazione dei lavori, come in questo caso: dalla preparazione dei pasti per i volontari, alla scelta dei fiori e l’organizzazione della festa finale in piazza. La piazza non è conclusa: i fiori dovranno essere costantemente curati e le persone che vanno al bar di fronte dovranno capire che è un danno verso tutta la comunità se continueranno a parcheggiare la macchina in quest’area. I futuri interventi che si possono fare spettano unicamente agli abitanti di Collelungo e ci si augura che non verranno imposti dall’esterno con i finanziamenti a pioggia che ogni tanto compaiono nel territorio. Perché i principali responsabili di un luogo sono i suoi abitanti e solo con la loro costante attenzione uno spazio può essere veramente considerato “bello”. FIOR DI PIAZZA 02 “Fior di Piazza”: a shared project of local revalutation. Experimenting the methodology “1+1=11” in Sabina. A few kilometres far from Rome, in the Sabina, there is a work in progress for various shared projects linked each other by the idea of recycling e evaluating those places that give a sense of belonging to the community. The aim is to enforce the creative potentialities which come from the people’s needs and are strongly stabilized in the life of the places they are inserted in. Micro-interventions of “acopuncture” promoted by the Sabinati Cultural Association and based on the so called “1+1=11_Partecipation” methodology. In April the project, coordinated by the architect Renato Vivaldi Tesser, has concerned the square of the Collelungo Sabino’s village(RI) and has involved graduand and graduate students in Architecture in the Turin’s, Naples’ and Rome’s universities, along with the young people and the women of the village. The people of Collelungo Sabino wanted a “nice” square. What does it really mean, tough? For them it meant a square with a regular paving, clean, well-defined, with some flower boxes, with benches. In order to achieve this they needed money actually unavailable at that moment. Hence they had to find another way to take a public space back and to change it all toghether, and thi is why the women and the young people had been involved. The square, at the village’s gate, was a not-defined place where the cars were casually parked even tough it was illegal, and where the pedestrian area was just a little part with the cement paving marked with the traces of different interntions. Then, defining the pedestrian area trough a network of lines of bright green varnish in order to make it stand out against the paving and unifing all the different underlying paving was a fundamental action. Tough, to make it a real square they have decided to use an a well-known intrument for the local women: the flowers. Indeed all the village of Collelungo is now adorned with flowers planted and looked after them for the whole year. It was juts about adding one more post. The flowers become the fundamental element of the square: they stay lively and colorful in their flowerboxes, there are their names written on the floor, there are even sculptures of flowers made by the artist Gianluca Rondina hanging on the stone wall. The square’s arrengement was a success, and this proves that a urban space can be recovered and re-evalued trough the use of the social capital of the local people seriously involved in the decisions and in the work’s organization, as happened here: from the preparation of the meals for the volunteers to the choice of the flowers and the final party’s organization inthe square. It has not been finished yet: someone will constantly have to see to the flowers and those who go to the pub will have to understand that parking in this area is a damage for the whole community. The future possible interventions are up to the Collelungo’s people and we can only hope that they will not be imposed by others with the random funds that sometimes pup up in this area. And this because the principal managers of a place are its own citizens and just with their constant attention a space can be considered “nice” for real. 1 + 1 = 1 1 _ PA R T E C I PA R E METODOLOGIA “1+1=11” M E T H O D O LO G Y “ 1 + 1 = 1 1 ” •Ricerca-azione: utente e architetto insieme identificano azioni per affrontare e risolvere problemi sul costruito. •Research-action: the user and the architect identify toghether actions in order to face and solve problems about the built •L’architetto, come attivista culturale, interviene a livello locale ma con un occhio al pianeta, facendosi carico dei problemi globali della vita contemporanea: il riscaldamento climatico, la crescente diseguaglianza tra ricchi e poveri, i grandi flussi migratori. Un approccio bottom up entro una riflessione top down. •The Architect, as a cultural activist, intervenes at a local level but with the planet in mind, taking charge of the global issues of the contemporary life: the global warming, the increasing inequality between riches and poors, the huge migration flows. A bottom up approach in a top down reflection. •Promuove una maggiore “immersione” dell’architetto nelle dinamiche culturali di ogni luogo, il che implica un’architettura capace di inventarsi ogni volta materiali e linguaggi adatti, in cui tutti gli attori abbiano un ruolo importante. •Adotta un sistema lifelong learning. Lavorando in piccoli gruppi, costruendo una rete internazionale, senza escludere nessuno strumento materiale o immateriale che possa essere di aiuto. •Si occupa dell’abbandono, del precario, della scarsità, della povertà, della ricchezza con un nuovo sguardo. Ove possibile. •It promotes a deeper immersion of the architect in the cultural dynamics of each place, which entails an architecture able to creat every time materials and a suitable and inclusive language, where each actor has an important role. •It adopts a lifelong learning system. Working in small groups, building up an international network, without excluding any useful material or intangible instrument •It looks after the abandon, the scarcity, the poverty, the richness… with a new gaze. Where it’s possibile. •Propone una sintesi tra “storie formali” (azioni, iniziative, provvedimenti e proposte dei Municipi) e “storie informali” (iniziative, suggerimenti e proposte, provenienti da reti di amicizia o di vicinato, gruppi e comunità). •It proposes a summary of “formal stories” (actions, initiatives, provisions and proposals of the Municipalities) and “informal stories” (initiatives, advices and proposals coming from friends or neighbours, groups or communities). •Promuove il recupero di edifici e luoghi abbandonati o in processo di abbandono attraverso interventi “sentiti” dalle popolazioni locali, ripristinando flussi culturali e sociali interrotti nei territori, che forniscono un senso di appartenenza: “agopuntura territoriale”. •It promotes the recycling of abandoned – or almost abandoned – buildings and places trough “hearth-felt” interventions of local populations, reactivating cultural and social flows which had been interrupted in such territories and which give a sense of belonging: “territorial acupuncture”. METODOLOGIA Tutor: Giada Caterina Zerboni (Torino) Laureandi e laureati in architettura / Graduand and Graduate in Architecture: Fabio Cappello (Napoli) Ermanno Cavaliere (Napoli) Lorenzo D’Apuzzo (Napoli) Camilla Falchetti (Torino) Chiara Maggi (Torino) Tobias Alexander Schmidt (Roma) Ragazzi di Collelungo Sabino / Guys from Collelungo Sabino: Silvia Benedetti Manuele Carapacchio Annagloria Falconi Alec Mezzadri Scuoltore / Sculptor: Gianluca Rondina Le donne di Collelungo Sabino The women of Collelungo Sabino 04 Sabinarti Associazione Culturale / Sabinarti Cultural Association: Arch. Renato Vivaldi Tesser Susanna Emili FIOR 06 RACCONTO FOTOGRAFICO R DI P OR D DI P 08 RACCONTO FOTOGRAFICO I PIA 10 RACCONTO FOTOGRAFICO ZZA FIOR R DI 12 RACCONTO FOTOGRAFICO | Art & Architecture Lovers | | Fermo • Italy | | On Air on September 04.05.06 | | www.stripefestival.com | | Facebook | Twitter | Google+ | | Instagram | Pinterest | Vimeo | Con il patrocinio di: | Art & Architecture Lovers | | Fermo . Italy | | On Air on May 29.30.31 | | Twitter | Google+ | Instagram | | Pinterest | Vimeo |