Leggi il Pdf - Sindacato Cronisti Romani

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Leggi il Pdf - Sindacato Cronisti Romani
MERCOLEDÌ 23 SETTEMBRE 2015
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FONDATO NEL 1876
Il progetto
L’anticipo di serie A
«Per il dopo Expo
serve un dominus»
Il Milan vince a Udine
Balotelli subito in gol
di Giuliano Pisapia
a pagina 34
di Alessandro Bocci, Guido De Carolis
e Mario Sconcerti a pagina 54
Sondaggi e voto
L’INTERVISTA IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO
Kerry: il Papa un argine
contro le forze del caos
E l’America è con lui
IL DEBITO
DI RENZI
CON GRILLO
di Angelo Panebianco
di Massimo Franco
I
Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004 art. 1, c1, DCB Milano
SUL VOLO PER WASHINGTON
«Io comunista?
Seguo la Chiesa»
di Gian Guido Vecchi
I
REUTERS / KEVIN LAMARQUE
sondaggi sulle intenzioni
di voto attribuiscono al
movimento Cinque Stelle
percentuali da capogiro,
lo indicano come il
secondo partito in Italia. La
rilevazione di Pagnoncelli,
pubblicata sabato scorso dal
Corriere, conferma: i Cinque
Stelle sono al momento scelti
dal 27% degli elettori
potenziali contro il 33% di
preferenze per il Partito
democratico. Tenuto conto
dell’altissimo numero di
indecisi rilevati, però, è
difficile credere al momento
che in elezioni politiche
«vere» i Cinque Stelle possano
conquistare una così elevata
percentuale di votanti.
Tuttavia, gli orientamenti
fotografati oggi dai sondaggi
hanno l’effetto di tenere sotto
pressione la classe politica. E
dovrebbero anche ricordare a
Matteo Renzi quanto grande
sia il debito di gratitudine che
egli ha contratto con Beppe
Grillo. Per due ragioni.
La prima è che senza il
clamoroso successo elettorale
dei Cinque Stelle nelle elezioni
del 2013 e la conseguente
sconfitta (perché di una
sconfitta si trattò) di Pier Luigi
Bersani e del partito da lui
guidato, Matteo Renzi non
avrebbe potuto vincere le
successive primarie, non
sarebbe diventato segretario
del Pd, non sarebbe al governo.
Furono la crisi e lo
sbandamento indotti fra i
militanti e gli elettori
democratici da quel risultato a
spianargli la strada. Tolto il
caso dei true believers, dei veri
credenti (quelli che credevano
e credono nei Cinque Stelle e
nei loro programmi), è un fatto
che coloro che, in quelle
elezioni, votarono Grillo con il
solo scopo di scatenare una
reazione all’interno della classe
politica tradizionale, ottennero
il risultato voluto: l’arrivo di
Renzi ne fu una diretta
conseguenza.
a pagina 2
I
l Segretario di Stato americano, John Kerry, al Corriere:
«Il Papa si trova in una posizione davvero unica per richiamare le parti in conflitto alla pace
e alla riconciliazione. E facendolo dimostra che gli attori religiosi possono giocare un ruolo fondamentale nel contenere
le forze del caos e stabilire un
ordine mondiale più giusto».
Kerry è «profondamente e favorevolmente colpito dalla
simmetria tra le priorità diplomatiche del santo Padre e quelle dell’Amministrazione Usa».
a pagina 3 Gaggi
INTERCETTAZIONI
L’informazione
che può battere
il Far West
Un documento accusa il governo sui test truccati. Coinvolte 11 milioni di auto dei segreti
«Volkswagen, Berlino sapeva»
di Francesco Verderami
Il governo tedesco sapeva del dieselgate, lo
scandalo delle emissioni di gas truccate negli
Usa che abbatte per il secondo giorno
Volkswagen in Borsa. Lo dimostrerebbe la risposta del ministro dei Trasporti a una interrogazione dei Verdi del 28 luglio scorso. Nel
mondo sarebbero 11 milioni le auto con il software per aggirare i test sull’inquinamento.
alle pagine 5, 6 e 9 Borrillo, Carretto
Donelli, Ferraino, Sparisci, Stringa
È
FORTEZZA GERMANIA
IL COLLOQUIO
Confalonieri visita
Dell’Utri in carcere:
«Dategli giustizia»
andato a trovarlo e non era la
prima volta, solo che stavolta si è
saputo. Non è strano incontrare un
amico, se non fosse Marcello
Dell’Utri, ed è per lui che venerdì
scorso Fedele Confalonieri è entrato
nel carcere di massima sicurezza di
Parma, lo stesso dov’è rinchiuso Totò
Riina. Il patron di Mediaset vorrebbe
evitare di parlarne, «perché la cosa
mi fa star male e perché non vorrei
fargli del male». Poi però accetta di
raccontare qualcosa del colloquio
«che è stato diverso rispetto ai
precedenti»: «Marcello, che finora si
sentiva un carcerato, adesso si sente
un sequestrato».
continua a pagina 15

GIANNELLI
Trema la Grosse Koalition
tra industria e politici
di Danilo Taino
N
LA RIFORMA DEL SENATO
Primo accordo nel Pd
di Monica Guerzoni
NELL’ITALIA CHE HA PAURA
Migranti, un parco giochi scuote Padova
di Aldo Cazzullo
VIA AL PIANO UE, NO DAI PAESI DELL’EST
L’
9 771120 498008
l Papa ieri sera è arrivato negli Stati Uniti, Barack e Michelle Obama lo hanno accolto
all’aeroporto (foto). Sul volo da
Cuba verso Washington, Francesco ha detto: «Io comunista?
Non ho detto una cosa in più rispetto a ciò che c’è nella Dottrina sociale della Chiesa».
Lo scandalo Il titolo perde un altro 20% e trascina al ribasso le Borse europee. Merkel: faremo chiarezza
continua a pagina 35
50 9 2 3>
ANNO 140 - N. 225
altalena ha due posti. Sul primo c’è un bambino dell’asilo, sul secondo c’è un migrante
della caserma. L’asilo con duecento bambini è
dietro il muro giallo a sinistra, la caserma con
quattrocento migranti è dietro il muro con il filo
spinato a destra. L’area giochi è in mezzo.
Dicono le mamme che «i primi sono arrivati a
luglio. Un pomeriggio abbiamo trovato il parco
pieno. Finché andavano sull’altalena e giocavano a pallone, passi: in fondo non hanno niente
da fare. Poi hanno cominciato a girare in bicicletta a tutta velocità, anche a sgommare, con il
rischio di far male a qualcuno».
continua a pagina 21
Trasferiti in 120 mila
dall’Italia e dalla Grecia
di Ivo Caizzi
C
risi migranti, l’Ue ha approvato il piano per il
ricollocamento di 120 mila rifugiati. I Paesi di
primo arrivo (Italia e Grecia) devono impegnarsi a
rafforzare le strutture di identificazione e registrazione. Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania e Ungheria hanno votato contro, astenuta la Finlandia.
a pagina 20 con il commento di Giuseppe Sarcina
a pagina 10
on è dato sapere se il governo di Berlino
fosse consapevole di essere in presenza di
un raggiro. Se si tratti di connivenza o di leggerezza sarà da vedere. Ma entrambi i casi rivelano
una tendenza a volere la Germania come sistema chiuso e protetto, nel quale i grandi gruppi
industriali (e dei servizi) godono come minimo
dell’occhio benevolo del sistema politico.
a pagina 9
di Luigi Ferrarella
I
n politica vince chi impone la
propria agenda, e perde chi se
la fa imporre. Perciò Renzi sta
riuscendo a fare sulle intercettazioni quello che non era riuscito
a Berlusconi: perché, proprio
come l’ex Cavaliere ma senza il
suo fardello di processi, sta
riuscendo a schiacciare i giornalisti sulla distorta immagine di
spioni dal buco della serratura
giudiziaria, voyeur sciacalli delle
vite degli altri. Aiutato, per paradosso, proprio da chi alimenta
questa distorta visione inneggiando all’«intercettateci tutti»,
flirta con il totalitarismo mentale del «nulla teme chi nulla ha
da nascondere», inflaziona il retorico riflesso condizionato della legge-bavaglio, o corre come
un bambino dell’asilo a piagnucolare sotto la gonna dei magistrati che «è colpa loro inserire le intercettazioni negli atti».
continua a pagina 35
a pagina 15 Martirano
35
Corriere della Sera Mercoledì 23 Settembre 2015
INFORMAZIONE E GIUSTIZIA
TRASPARENZA UNICO RIMEDIO
AI GUASTI DELLE INTERCETTAZIONI

COMMENTI
DAL MONDO
di Luigi Ferrarella
Confronto Decidere cosa è una
notizia spetta non alla legge ma
ai giornalisti, segnala la Corte di
Strasburgo. Se la delega in bianco
al governo promette male, peggio
ancora è l’assenza di un diritto
di accesso diretto agli atti
SEGUE DALLA PRIMA
E
più ci si impigrisce a
scrivere «spunta il nome di Tizio» o «nelle
carte il nome di Caio»,
e meno risulta credibile la difesa – prima contro i
progetti legislativi di Prodi/
Mastella, poi di Berlusconi/Alfano e adesso di Renzi/Orlando - del diritto dei lettori di essere informati anche sui contenuti di intercettazioni e atti
non più coperti da segreto, regolarmente depositati, e di rilevanza pubblica non necessariamente solo giudiziaria nè legata soltanto alla posizione degli indagati.
Informare significa non limitarsi al copiaincolla di atti,
sforzarsi di restituire al lettore
anche il contesto di alcune frasi, estrarre i temi imprescindibili e nel contempo minimizzare i danni per le persone coinvolte, distinguere chi “fa” qualcosa da chi “dice” qualcosa, ed
entrambi da chi invece è soltanto evocato da altri.
Ma in questa operazione è
esclusivamente il giornalista a
doversi assumere la responsabilità (sociale dinanzi ai lettori,
prima ancora che penale davanti alle querele) di decidere
che cosa sia notizia di interesse
pubblico da trattare secondo
deontologia e già vigenti regole
della privacy: senza che il con-
Cambiare verso
Va ribaltata l’agenda
pubblica sottostante al
primo voto che si è
avuto in Parlamento
cetto di rilevanza di una notizia
possa essere fatto dipendere
solo dal suo peso giudiziario, e
tantomeno delegato alla selezione della politica tramite una
legge, o al filtro dei procuratori
tramite una procedura, o al setaccio degli avvocati attraverso
le relazioni con le imprese, i
partiti e le persone loro clienti
(con il risultato pratico di creare se va bene una casta di “iniziati”, e se va male un potenziale arsenale di piccoli e grandi
segreti scambiati al mercato
nero dei ricatti).
Che questa non sia una arrogante pretesa dei giornalisti lo
si ricava dalla casistica delle
sentenze della Corte europea
dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Per essa, infatti, il diritto di dare e di ricevere informazioni – in bilanciamento con i
diritti all’onore, alla reputazione, alla riservatezza e al giusto
processo – è certamente un diritto condizionato, che cioè
ammette interferenze da parte
di uno Stato, ma solo alla du-
plice condizione che esse siano
«necessarie in una società democratica» e «proporzionate»:
nel contributo a temi di dibattito generale, «ciò che è di interesse generale dipende dalle
circostanze del caso concreto»
(sentenza Axel Springer contro
Germania 2012), non spetta ai
giudici nazionali sostituirsi ai
giornalisti nell’indicare le modalità con le quali scrivere gli
articoli (Marques da Silva contro Portogallo 2010), e un Paese
può essere condannato nel caso in cui i suoi giudici nazionali
«in modo sorprendente» riversino sul giornalista l’onere di
provare l’interesse pubblico di
una notizia (Kydonis contro
Grecia 2009).
Ha dunque poco senso as-
serragliarsi nella trincea del
rintuzzare preventivamente
l’incongruenza spicciola di
questa o quella norma futuribile, peraltro a tutt’oggi confusamente destinata a riempire una
legge-delega ieri data dalla Camera totalmente e assurdamente in bianco al governo,
mentre da ribaltare è l’agenda
pubblica sottostante a questo
primo voto in Parlamento:
espresso peraltro con l’autorevolezza che contraddistingue
partiti appena autoabbuffatisi
di finanziamenti pubblici 20132014, nonostante l’apposita
Commissione di Garanzia abbia attestato di non essere stata
messa in condizione di verificare la trasparenza minima di
molti dei precedenti bilanci di
partito.
Rovesciare l’agenda: a cominciare dal fatto che Parlamento e Governo - tanto smaniosi di discettare di privacy
quanto curiosamente àfoni ad
esempio sui finanziatori di cene elettorali dietro il ridicolo
alibi proprio della privacy dei
donatori - mettono mano alle
intercettazioni ma ancora non
dotano l’Italia di un effettivo diritto di accesso generalizzato
alle informazioni pubbliche
(anche in assenza di un interesse giuridicamente legittimante
richiesto invece come requisito
dalla legge 241 del 1990): lo statunitense «Freedom of Information Act» è un modello or-
mai patrimonio di moltissime
nazioni dalla Finlandia sino al
Rwanda, ma lontano anni luce
dalla finta imitazione del governo Monti nel 2013 o dal pallido emendamento alla riforma
Madia della P.A. pensato solo
per gli archivi pubblici di cui
però sia già prevista come obbligatoria la pubblicazione.
Più informazioni diventasse
legittimo attingere, infatti, e
più si sgonfierebbe l’esasperata
attenzione a quei brandelli di
verità afferrati talvolta tra le righe delle intercettazioni. Perché anche per esse, come più
in generale per gli atti giudiziari, l’unico realistico efficace rimedio ai guasti del «Far West»
giornalistico sarebbe non
iniettare una maggiore dose di
segreto, ma al contrario riconoscere ai giornalisti e disciplinare un accesso diretto e trasparente ai medesimi atti man
mano già depositati alle parti:
le quali verrebbero tutelate nella loro dignità di persone e
nella loro posizione di indagati/testimoni/vittime - da un
meccanismo di lecita e sorvegliata disponibilità, alla luce
del sole, molto più che dagli
spizzichi e bocconi dell’odierna clandestinità, del (finto)
proibizionismo, e della babele
di pseudo-fonti giornalistiche
tutte per definizione non disinteressate.
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SONDAGGI
I DEBITI
DI RENZI
CON GRILLO
E I 5 STELLE
SEGUE DALLA PRIMA
La svolta autoritaria
del partito islamico
di Erdogan
partito islamico
 Ilconservatore
al potere
in Turchia ha cambiato pelle:
da formazione politica di
tipo europeo, con una
connotazione morale e
religiosa, sul modello dei
cristiano-democratici, a
partito di stampo
mediorientale con un leader
unico e «onnipotente» e
nessun dibattito, considera
Marie Jégo su Le Monde. Si
è passati dal partito del “noi”
al partito dell’”io”, polemizza
dall’«interno» il vicepremier
Bülent Arınç. Questa deriva
autoritaria non sta portando
i frutti sperati dal suo leader:
Erdogan, sotto accusa per il
riaccendersi delle tensioni
con i curdi e la stretta sui
media, ha poche possibilità
di recuperare alle elezioni
anticipate del 1° novembre
la maggioranza perduta alle
legislative di giugno.
a cura di Alessandra Muglia
M
a c’è anche una
seconda ragione
per cui Renzi deve essere grato a
Beppe Grillo. Ha
precisamente a che fare con i
sondaggi testè ricordati. Fin
quando il movimento Cinque
Stelle continuerà ad essere
percepito come il più temibile
competitor del Partito democratico, Renzi potrà rivendicare la propria indispensabilità:
una variante aggiornata della
«diga» incarnata dalla Democrazia Cristiana agli occhi degli elettori ai tempi della Guerra fredda: vade retro Partito
comunista allora, vade retro
Cinque Stelle oggi.
Si noti che quei sondaggi
tolgono anche un po’ di credibilità ai propositi scissionisti
della sinistra del Pd. Se il grosso degli elettori di sinistra che
odia Renzi si indirizzerà davvero verso i Cinque Stelle, gli
eventuali scissionisti potrebbero trovarsi a dare vita a un
piccolo «partito dei pensionati» (magari iscritti alla Cgil)
destinato all’irrilevanza.
Sembra che il Paese non riesca a sfuggire a una maledizione, non riesca a fare a meno di
trovarsi di fronte a due alternative, nessuna delle quali davvero allettante. La prima è
quella che abbiamo conosciuto nel periodo 1994 — 2011
(anno della caduta dell’ultimo
governo Berlusconi): un bipolarismo «immoderato», fondato sulla delegittimazione reciproca fra gli schieramenti. Il
vantaggio di quell’assetto era
che permetteva l’alternanza al
governo. Lo svantaggio era che
il clima da guerra civile rendeva la democrazia assai mal
funzionante.
La seconda alternativa è
quella conosciuta nel cinquantennio democristiano e
che, con tutti gli adattamenti
del caso, potrebbe trovare una
parziale replica nell’era Renzi:
un partito elettoralmente
grande che si colloca al centro
dello schieramento, in grado
di fare incetta di voti sia a destra che a sinistra, e che è anche il più credibile ostacolo al
dilagare di forze anti-sistema o
percepite come tali. In tale assetto, molto o poco che duri,
l’alternanza al governo è di fatto impossibile.
Se Renzi supererà lo scoglio
della riforma del Senato e se
non sarà costretto a fare concessioni alle minoranze sulla
legge elettorale, le sue probabilità di vittoria alle prossime
elezioni politiche saranno assai alte. Per l’assenza di alternative plausibili. Naturalmente, devono realizzarsi due condizioni. La prima è che la ripresa economica si consolidi.
La seconda è che egli abbia
dall’Europa aiuti adeguati per
governare (o per dare l’impressione di governare) l’immigrazione. Se queste due
condizioni si realizzeranno,
Renzi avrà vinto la sua scommessa. Continueranno in tanti, come hanno fatto fin qui, a
dargli del «democristiano».
Anche se, per la verità, sia le
condizioni storiche generali
che le stesse caratteristiche di
Renzi, rendono improprio
quell’accostamento. Tranne
che per la questione della «diga».
Angelo Panebianco
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