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MERCOLEDÌ 23 SETTEMBRE 2015 In Italia EURO 1,50 www.corriere.it Milano, Via Solferino 28 - Tel. 02 62821 Roma, Via Campania 59/C - Tel. 06 688281 Servizio Clienti - Tel. 02 63797510 mail: [email protected] FONDATO NEL 1876 Il progetto L’anticipo di serie A «Per il dopo Expo serve un dominus» Il Milan vince a Udine Balotelli subito in gol di Giuliano Pisapia a pagina 34 di Alessandro Bocci, Guido De Carolis e Mario Sconcerti a pagina 54 Sondaggi e voto L’INTERVISTA IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO Kerry: il Papa un argine contro le forze del caos E l’America è con lui IL DEBITO DI RENZI CON GRILLO di Angelo Panebianco di Massimo Franco I Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004 art. 1, c1, DCB Milano SUL VOLO PER WASHINGTON «Io comunista? Seguo la Chiesa» di Gian Guido Vecchi I REUTERS / KEVIN LAMARQUE sondaggi sulle intenzioni di voto attribuiscono al movimento Cinque Stelle percentuali da capogiro, lo indicano come il secondo partito in Italia. La rilevazione di Pagnoncelli, pubblicata sabato scorso dal Corriere, conferma: i Cinque Stelle sono al momento scelti dal 27% degli elettori potenziali contro il 33% di preferenze per il Partito democratico. Tenuto conto dell’altissimo numero di indecisi rilevati, però, è difficile credere al momento che in elezioni politiche «vere» i Cinque Stelle possano conquistare una così elevata percentuale di votanti. Tuttavia, gli orientamenti fotografati oggi dai sondaggi hanno l’effetto di tenere sotto pressione la classe politica. E dovrebbero anche ricordare a Matteo Renzi quanto grande sia il debito di gratitudine che egli ha contratto con Beppe Grillo. Per due ragioni. La prima è che senza il clamoroso successo elettorale dei Cinque Stelle nelle elezioni del 2013 e la conseguente sconfitta (perché di una sconfitta si trattò) di Pier Luigi Bersani e del partito da lui guidato, Matteo Renzi non avrebbe potuto vincere le successive primarie, non sarebbe diventato segretario del Pd, non sarebbe al governo. Furono la crisi e lo sbandamento indotti fra i militanti e gli elettori democratici da quel risultato a spianargli la strada. Tolto il caso dei true believers, dei veri credenti (quelli che credevano e credono nei Cinque Stelle e nei loro programmi), è un fatto che coloro che, in quelle elezioni, votarono Grillo con il solo scopo di scatenare una reazione all’interno della classe politica tradizionale, ottennero il risultato voluto: l’arrivo di Renzi ne fu una diretta conseguenza. a pagina 2 I l Segretario di Stato americano, John Kerry, al Corriere: «Il Papa si trova in una posizione davvero unica per richiamare le parti in conflitto alla pace e alla riconciliazione. E facendolo dimostra che gli attori religiosi possono giocare un ruolo fondamentale nel contenere le forze del caos e stabilire un ordine mondiale più giusto». Kerry è «profondamente e favorevolmente colpito dalla simmetria tra le priorità diplomatiche del santo Padre e quelle dell’Amministrazione Usa». a pagina 3 Gaggi INTERCETTAZIONI L’informazione che può battere il Far West Un documento accusa il governo sui test truccati. Coinvolte 11 milioni di auto dei segreti «Volkswagen, Berlino sapeva» di Francesco Verderami Il governo tedesco sapeva del dieselgate, lo scandalo delle emissioni di gas truccate negli Usa che abbatte per il secondo giorno Volkswagen in Borsa. Lo dimostrerebbe la risposta del ministro dei Trasporti a una interrogazione dei Verdi del 28 luglio scorso. Nel mondo sarebbero 11 milioni le auto con il software per aggirare i test sull’inquinamento. alle pagine 5, 6 e 9 Borrillo, Carretto Donelli, Ferraino, Sparisci, Stringa È FORTEZZA GERMANIA IL COLLOQUIO Confalonieri visita Dell’Utri in carcere: «Dategli giustizia» andato a trovarlo e non era la prima volta, solo che stavolta si è saputo. Non è strano incontrare un amico, se non fosse Marcello Dell’Utri, ed è per lui che venerdì scorso Fedele Confalonieri è entrato nel carcere di massima sicurezza di Parma, lo stesso dov’è rinchiuso Totò Riina. Il patron di Mediaset vorrebbe evitare di parlarne, «perché la cosa mi fa star male e perché non vorrei fargli del male». Poi però accetta di raccontare qualcosa del colloquio «che è stato diverso rispetto ai precedenti»: «Marcello, che finora si sentiva un carcerato, adesso si sente un sequestrato». continua a pagina 15 GIANNELLI Trema la Grosse Koalition tra industria e politici di Danilo Taino N LA RIFORMA DEL SENATO Primo accordo nel Pd di Monica Guerzoni NELL’ITALIA CHE HA PAURA Migranti, un parco giochi scuote Padova di Aldo Cazzullo VIA AL PIANO UE, NO DAI PAESI DELL’EST L’ 9 771120 498008 l Papa ieri sera è arrivato negli Stati Uniti, Barack e Michelle Obama lo hanno accolto all’aeroporto (foto). Sul volo da Cuba verso Washington, Francesco ha detto: «Io comunista? Non ho detto una cosa in più rispetto a ciò che c’è nella Dottrina sociale della Chiesa». Lo scandalo Il titolo perde un altro 20% e trascina al ribasso le Borse europee. Merkel: faremo chiarezza continua a pagina 35 50 9 2 3> ANNO 140 - N. 225 altalena ha due posti. Sul primo c’è un bambino dell’asilo, sul secondo c’è un migrante della caserma. L’asilo con duecento bambini è dietro il muro giallo a sinistra, la caserma con quattrocento migranti è dietro il muro con il filo spinato a destra. L’area giochi è in mezzo. Dicono le mamme che «i primi sono arrivati a luglio. Un pomeriggio abbiamo trovato il parco pieno. Finché andavano sull’altalena e giocavano a pallone, passi: in fondo non hanno niente da fare. Poi hanno cominciato a girare in bicicletta a tutta velocità, anche a sgommare, con il rischio di far male a qualcuno». continua a pagina 21 Trasferiti in 120 mila dall’Italia e dalla Grecia di Ivo Caizzi C risi migranti, l’Ue ha approvato il piano per il ricollocamento di 120 mila rifugiati. I Paesi di primo arrivo (Italia e Grecia) devono impegnarsi a rafforzare le strutture di identificazione e registrazione. Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania e Ungheria hanno votato contro, astenuta la Finlandia. a pagina 20 con il commento di Giuseppe Sarcina a pagina 10 on è dato sapere se il governo di Berlino fosse consapevole di essere in presenza di un raggiro. Se si tratti di connivenza o di leggerezza sarà da vedere. Ma entrambi i casi rivelano una tendenza a volere la Germania come sistema chiuso e protetto, nel quale i grandi gruppi industriali (e dei servizi) godono come minimo dell’occhio benevolo del sistema politico. a pagina 9 di Luigi Ferrarella I n politica vince chi impone la propria agenda, e perde chi se la fa imporre. Perciò Renzi sta riuscendo a fare sulle intercettazioni quello che non era riuscito a Berlusconi: perché, proprio come l’ex Cavaliere ma senza il suo fardello di processi, sta riuscendo a schiacciare i giornalisti sulla distorta immagine di spioni dal buco della serratura giudiziaria, voyeur sciacalli delle vite degli altri. Aiutato, per paradosso, proprio da chi alimenta questa distorta visione inneggiando all’«intercettateci tutti», flirta con il totalitarismo mentale del «nulla teme chi nulla ha da nascondere», inflaziona il retorico riflesso condizionato della legge-bavaglio, o corre come un bambino dell’asilo a piagnucolare sotto la gonna dei magistrati che «è colpa loro inserire le intercettazioni negli atti». continua a pagina 35 a pagina 15 Martirano 35 Corriere della Sera Mercoledì 23 Settembre 2015 INFORMAZIONE E GIUSTIZIA TRASPARENZA UNICO RIMEDIO AI GUASTI DELLE INTERCETTAZIONI COMMENTI DAL MONDO di Luigi Ferrarella Confronto Decidere cosa è una notizia spetta non alla legge ma ai giornalisti, segnala la Corte di Strasburgo. Se la delega in bianco al governo promette male, peggio ancora è l’assenza di un diritto di accesso diretto agli atti SEGUE DALLA PRIMA E più ci si impigrisce a scrivere «spunta il nome di Tizio» o «nelle carte il nome di Caio», e meno risulta credibile la difesa – prima contro i progetti legislativi di Prodi/ Mastella, poi di Berlusconi/Alfano e adesso di Renzi/Orlando - del diritto dei lettori di essere informati anche sui contenuti di intercettazioni e atti non più coperti da segreto, regolarmente depositati, e di rilevanza pubblica non necessariamente solo giudiziaria nè legata soltanto alla posizione degli indagati. Informare significa non limitarsi al copiaincolla di atti, sforzarsi di restituire al lettore anche il contesto di alcune frasi, estrarre i temi imprescindibili e nel contempo minimizzare i danni per le persone coinvolte, distinguere chi “fa” qualcosa da chi “dice” qualcosa, ed entrambi da chi invece è soltanto evocato da altri. Ma in questa operazione è esclusivamente il giornalista a doversi assumere la responsabilità (sociale dinanzi ai lettori, prima ancora che penale davanti alle querele) di decidere che cosa sia notizia di interesse pubblico da trattare secondo deontologia e già vigenti regole della privacy: senza che il con- Cambiare verso Va ribaltata l’agenda pubblica sottostante al primo voto che si è avuto in Parlamento cetto di rilevanza di una notizia possa essere fatto dipendere solo dal suo peso giudiziario, e tantomeno delegato alla selezione della politica tramite una legge, o al filtro dei procuratori tramite una procedura, o al setaccio degli avvocati attraverso le relazioni con le imprese, i partiti e le persone loro clienti (con il risultato pratico di creare se va bene una casta di “iniziati”, e se va male un potenziale arsenale di piccoli e grandi segreti scambiati al mercato nero dei ricatti). Che questa non sia una arrogante pretesa dei giornalisti lo si ricava dalla casistica delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Per essa, infatti, il diritto di dare e di ricevere informazioni – in bilanciamento con i diritti all’onore, alla reputazione, alla riservatezza e al giusto processo – è certamente un diritto condizionato, che cioè ammette interferenze da parte di uno Stato, ma solo alla du- plice condizione che esse siano «necessarie in una società democratica» e «proporzionate»: nel contributo a temi di dibattito generale, «ciò che è di interesse generale dipende dalle circostanze del caso concreto» (sentenza Axel Springer contro Germania 2012), non spetta ai giudici nazionali sostituirsi ai giornalisti nell’indicare le modalità con le quali scrivere gli articoli (Marques da Silva contro Portogallo 2010), e un Paese può essere condannato nel caso in cui i suoi giudici nazionali «in modo sorprendente» riversino sul giornalista l’onere di provare l’interesse pubblico di una notizia (Kydonis contro Grecia 2009). Ha dunque poco senso as- serragliarsi nella trincea del rintuzzare preventivamente l’incongruenza spicciola di questa o quella norma futuribile, peraltro a tutt’oggi confusamente destinata a riempire una legge-delega ieri data dalla Camera totalmente e assurdamente in bianco al governo, mentre da ribaltare è l’agenda pubblica sottostante a questo primo voto in Parlamento: espresso peraltro con l’autorevolezza che contraddistingue partiti appena autoabbuffatisi di finanziamenti pubblici 20132014, nonostante l’apposita Commissione di Garanzia abbia attestato di non essere stata messa in condizione di verificare la trasparenza minima di molti dei precedenti bilanci di partito. Rovesciare l’agenda: a cominciare dal fatto che Parlamento e Governo - tanto smaniosi di discettare di privacy quanto curiosamente àfoni ad esempio sui finanziatori di cene elettorali dietro il ridicolo alibi proprio della privacy dei donatori - mettono mano alle intercettazioni ma ancora non dotano l’Italia di un effettivo diritto di accesso generalizzato alle informazioni pubbliche (anche in assenza di un interesse giuridicamente legittimante richiesto invece come requisito dalla legge 241 del 1990): lo statunitense «Freedom of Information Act» è un modello or- mai patrimonio di moltissime nazioni dalla Finlandia sino al Rwanda, ma lontano anni luce dalla finta imitazione del governo Monti nel 2013 o dal pallido emendamento alla riforma Madia della P.A. pensato solo per gli archivi pubblici di cui però sia già prevista come obbligatoria la pubblicazione. Più informazioni diventasse legittimo attingere, infatti, e più si sgonfierebbe l’esasperata attenzione a quei brandelli di verità afferrati talvolta tra le righe delle intercettazioni. Perché anche per esse, come più in generale per gli atti giudiziari, l’unico realistico efficace rimedio ai guasti del «Far West» giornalistico sarebbe non iniettare una maggiore dose di segreto, ma al contrario riconoscere ai giornalisti e disciplinare un accesso diretto e trasparente ai medesimi atti man mano già depositati alle parti: le quali verrebbero tutelate nella loro dignità di persone e nella loro posizione di indagati/testimoni/vittime - da un meccanismo di lecita e sorvegliata disponibilità, alla luce del sole, molto più che dagli spizzichi e bocconi dell’odierna clandestinità, del (finto) proibizionismo, e della babele di pseudo-fonti giornalistiche tutte per definizione non disinteressate. [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA SONDAGGI I DEBITI DI RENZI CON GRILLO E I 5 STELLE SEGUE DALLA PRIMA La svolta autoritaria del partito islamico di Erdogan partito islamico Ilconservatore al potere in Turchia ha cambiato pelle: da formazione politica di tipo europeo, con una connotazione morale e religiosa, sul modello dei cristiano-democratici, a partito di stampo mediorientale con un leader unico e «onnipotente» e nessun dibattito, considera Marie Jégo su Le Monde. Si è passati dal partito del “noi” al partito dell’”io”, polemizza dall’«interno» il vicepremier Bülent Arınç. Questa deriva autoritaria non sta portando i frutti sperati dal suo leader: Erdogan, sotto accusa per il riaccendersi delle tensioni con i curdi e la stretta sui media, ha poche possibilità di recuperare alle elezioni anticipate del 1° novembre la maggioranza perduta alle legislative di giugno. a cura di Alessandra Muglia M a c’è anche una seconda ragione per cui Renzi deve essere grato a Beppe Grillo. Ha precisamente a che fare con i sondaggi testè ricordati. Fin quando il movimento Cinque Stelle continuerà ad essere percepito come il più temibile competitor del Partito democratico, Renzi potrà rivendicare la propria indispensabilità: una variante aggiornata della «diga» incarnata dalla Democrazia Cristiana agli occhi degli elettori ai tempi della Guerra fredda: vade retro Partito comunista allora, vade retro Cinque Stelle oggi. Si noti che quei sondaggi tolgono anche un po’ di credibilità ai propositi scissionisti della sinistra del Pd. Se il grosso degli elettori di sinistra che odia Renzi si indirizzerà davvero verso i Cinque Stelle, gli eventuali scissionisti potrebbero trovarsi a dare vita a un piccolo «partito dei pensionati» (magari iscritti alla Cgil) destinato all’irrilevanza. Sembra che il Paese non riesca a sfuggire a una maledizione, non riesca a fare a meno di trovarsi di fronte a due alternative, nessuna delle quali davvero allettante. La prima è quella che abbiamo conosciuto nel periodo 1994 — 2011 (anno della caduta dell’ultimo governo Berlusconi): un bipolarismo «immoderato», fondato sulla delegittimazione reciproca fra gli schieramenti. Il vantaggio di quell’assetto era che permetteva l’alternanza al governo. Lo svantaggio era che il clima da guerra civile rendeva la democrazia assai mal funzionante. La seconda alternativa è quella conosciuta nel cinquantennio democristiano e che, con tutti gli adattamenti del caso, potrebbe trovare una parziale replica nell’era Renzi: un partito elettoralmente grande che si colloca al centro dello schieramento, in grado di fare incetta di voti sia a destra che a sinistra, e che è anche il più credibile ostacolo al dilagare di forze anti-sistema o percepite come tali. In tale assetto, molto o poco che duri, l’alternanza al governo è di fatto impossibile. Se Renzi supererà lo scoglio della riforma del Senato e se non sarà costretto a fare concessioni alle minoranze sulla legge elettorale, le sue probabilità di vittoria alle prossime elezioni politiche saranno assai alte. Per l’assenza di alternative plausibili. Naturalmente, devono realizzarsi due condizioni. La prima è che la ripresa economica si consolidi. La seconda è che egli abbia dall’Europa aiuti adeguati per governare (o per dare l’impressione di governare) l’immigrazione. Se queste due condizioni si realizzeranno, Renzi avrà vinto la sua scommessa. Continueranno in tanti, come hanno fatto fin qui, a dargli del «democristiano». Anche se, per la verità, sia le condizioni storiche generali che le stesse caratteristiche di Renzi, rendono improprio quell’accostamento. Tranne che per la questione della «diga». Angelo Panebianco © RIPRODUZIONE RISERVATA