Una parola d`incoraggiamento

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Una parola
d’incoraggiamento
Lettera ai vescovi e ai sacerdoti
nella Cina continentale
A conclusione dell’anno sacerdotale il
card. Ivan Dias, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli,
manda una Lettera ai vescovi e ai sacerdoti nella Cina continentale, pubblicata
dall’agenzia Fides il 29 luglio scorso e firmata anche dal segretario, mons. Robert
Sarah, del dicastero missionario. L’intento è quello di rivolgere ai vescovi e ai
sacerdoti cinesi «un cordiale e fraterno
saluto e… una parola d’incoraggiamento
nell’arduo impegno pastorale che state
compiendo come pastori del gregge che il
Signore vi ha affidato in codesta nobile
nazione». Dopo la Lettera alla Chiesa cattolica nella Repubblica popolare cinese di
Benedetto XVI (EV 24/888), il successivo
Compendio (Regno-doc. 13,2009,402) e la
Lettera ai sacerdoti nella Repubblica popolare cinese del segretario di stato card.
Tarcisio Bertone (Regno-doc. 3,2010,82),
viene messa in risalto, in una prospettiva
pastorale, la figura del sacerdote come
«uomo di Dio» e «uomo per gli altri», sottolineando l’importanza della comunione col papa – «l’esemplare fedeltà e
l’ammirevole coraggio, dimostrati dai
cattolici in Cina verso la sede di Pietro,
sono un dono prezioso del Signore» – e
l’importante sfida di rafforzare l’unità in
seno alla Chiesa, «che state già affrontando».
C
Stampa (25.8.2010) da sito web www.fides.org. Titoli e sottotitoli redazionali.
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arissimi confratelli nell’episcopato e nel sacerdozio di Gesù Cristo, sommo ed eterno
sacerdote, la pace sia con voi!
Le celebrazioni dell’anno sacerdotale,
che si è recentemente concluso, mi spronano
a mandarvi un cordiale e fraterno saluto e a rivolgervi
una parola d’incoraggiamento nell’arduo impegno pastorale che state compiendo come pastori del gregge che
il Signore vi ha affidato in codesta nobile nazione. Avrei
tanto desiderato dirvi queste cose personalmente e ascoltare anche le vostre gioie e i vostri dolori, nonché le speranze che nutrite e le sfide che affrontate ogni giorno. Le
vostre testimonianze e i vostri messaggi, che giungono a
questa congregazione missionaria, ci danno molta consolazione e ci spingono a innalzare fervide preghiere affinché il Signore vi renda sempre più forti nella fede e vi
sostenga nei vostri sforzi per propagare la buona novella
di Gesù Cristo in codesta diletta nazione.
Uomo di Dio e uomo per gli altri
Avendo davanti alla mente l’insigne figura di san Giovanni Maria Vianney, curato d’Ars, che è stato molto ricordato durante l’anno sacerdotale, riconosciamo
anzitutto – con tutta umiltà – che siamo stati chiamati da
Gesù per essere non più servi, ma amici (cf. Gv 15,15)
non per i nostri meriti, ma per la sua infinita misericordia. Egli ci ha conferito l’insigne dignità di essere alter
Christus e ministri della sua Parola, del suo corpo e sangue, e del suo perdono. Ricordiamo sempre le sue parole:
«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15,16).
Proprio perché un sacerdote è un alter Christus – anzi,
ipse Christus –, egli deve essere un uomo di Dio e uomo
per gli altri.
Anzitutto, uomo di Dio: uno, cioè, che porta gli uomini a Dio e porta Dio agli uomini. Egli deve pertanto
distinguersi come uomo di preghiera e di vita austera,
profondamente innamorato di Gesù Cristo e, come Giovanni Battista, fiero di proclamare la sua presenza in
mezzo a noi, particolarmente nella santa eucaristia.
Un sacerdote deve essere poi anche un uomo per gli
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altri: uno, cioè, interamente dedito ai fedeli giovani e
adulti, affidati alle sue cure pastorali, e a tutti coloro con
cui il Signore Gesù ha voluto identificarsi o verso i quali
ha mostrato benevolenza: i peccatori, anzitutto, e i poveri, gli ammalati ed emarginati, le vedove, i bambini,
nonché le pecore che non sono ancora del suo ovile (cf.
Gv 10,16). Un ecclesiastico avrà, quindi, cura di resistere
a ogni desiderio di arricchirsi di beni materiali o di cercare favori per la propria famiglia o etnia, o di nutrire una
malsana ambizione di fare carriera nella società o nella
politica. Tutto questo è estraneo alla sua vocazione sacerdotale e lo distrae gravemente dalla sua missione di
condurre i suoi fedeli, da buon pastore, sulla via della santità, della giustizia e della pace.
Operatore dell’unità nella Chiesa di Dio
Permettete, carissimi confratelli, che mi soffermi ora
sull’importante ruolo di un vescovo o di un sacerdote
come operatore dell’unità in seno alla Chiesa di Dio.
Questo compito ha una duplice dimensione e comporta
la comunione con il papa, la «pietra» sulla quale Gesù ha
voluto edificare la sua Chiesa, e l’unione dei membri che
ne fanno parte.
In primo luogo: comunione con il santo padre. Sappiamo bene quanto alcuni di voi hanno dovuto soffrire
nel recente passato a causa della loro fedeltà alla Santa
Sede. Rendiamo omaggio a ciascuno di loro, nella certezza che, come afferma papa Benedetto XVI, «la comunione con Pietro e i suoi successori è garanzia di
libertà per i pastori della Chiesa e per le stesse comunità
loro affidate»: infatti, «il ministero petrino è garanzia di
libertà nel senso della piena adesione alla verità, all’autentica tradizione, così che il popolo di Dio sia preservato da errori concernenti la fede e la morale»
(BENEDETTO XVI, Omelia nella solennità dei ss. Pietro e
Paolo, 29.6.2010; Regno-doc. 13,2010,390). L’esemplare
fedeltà e l’ammirevole coraggio, dimostrati dai cattolici
in Cina verso la sede di Pietro, sono un dono prezioso
del Signore.
L’altra dimensione dell’unità dei cristiani è l’unione
tra i membri della comunità ecclesiale. È questa l’importante sfida che state già affrontando, cercando di rafforzare l’unità in seno alla Chiesa medesima. Sarebbe
utile entrare spesso in spirito nel cenacolo dove il Signore
Gesù, dopo aver celebrato l’Ultima cena insieme ai suoi
apostoli e averli ordinati sacerdoti della nuova ed eterna
alleanza, pregò il Padre «perché tutti siano una sola cosa;
come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in
noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv
17,21). Per tre volte Gesù insistette sull’unità dei suoi seguaci come segno di credibilità che il Padre lo aveva
mandato nel mondo. Carissimi confratelli, prendiamo a
cuore questo accorato appello all’unità dei pastori che
viene dal cuore di colui che li ha tanto amati, li ha chiamati e li ha inviati a lavorare nella sua vigna.
Nella succitata omelia, il santo padre ha affermato:
«Se pensiamo ai due millenni di storia della Chiesa, possiamo osservare che – come aveva preannunciato il Si-
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gnore Gesù (cf. Mt 10,16-33) – non sono mai mancate
per i cristiani le prove, che in alcuni periodi e luoghi
hanno assunto il carattere di vere e proprie persecuzioni.
Queste, però, malgrado le sofferenze che provocano, non
costituiscono il pericolo più grave per la Chiesa. Il danno
maggiore, infatti, essa lo subisce da ciò che inquina la
fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza,
appannando la bellezza del suo volto». E il papa indica
l’istigatore di tale nefasta situazione quando asserisce:
«Uno degli effetti tipici dell’azione del Maligno è proprio la divisione all’interno della comunità ecclesiale. Le
divisioni, infatti, sono sintomi della forza del peccato, che
continua ad agire nei membri della Chiesa anche dopo
la redenzione. Ma la parola di Cristo è chiara: “Non
praevalebunt – non prevarranno” (Mt 16,18). L’unità
della Chiesa è radicata nella sua unione con Cristo, e la
causa della piena unità dei cristiani – sempre da ricercare e da rinnovare, di generazione in generazione – è
pure sostenuta dalla sua preghiera e dalla sua promessa»
(BENEDETTO XVI, Omelia nella solennità dei ss. Pietro e
Paolo, 29.6.2010; Regno-doc. 13,2010,390).
Lodiamo il Signore per gli sforzi già compiuti o in
atto a riguardo dell’unità in seno alla Chiesa, anche in fedele ottemperanza alle indicazioni date dal santo padre
nella lettera che egli vi ha indirizzato il 27 maggio 2007
(cf. BENEDETTO XVI, Lettera ai cattolici della Repubblica
popolare cinese; EV 24/888ss), e per i risultati ottenuti finora. Voglia Iddio benedire le vostre iniziative affinché
l’unità dei pastori tra di loro e tra i loro greggi sia sempre più salda in Cristo e nella Chiesa «ad maiorem Dei
gloriam».
In questa quanto mai propizia circostanza mi onoro
di assicurarvi della spirituale vicinanza di sua santità il
papa Benedetto XVI, il quale vi benedice con affetto paterno insieme a coloro che sono affidati alle vostre cure
pastorali e vi invita a proseguire intrepidi sul cammino
della santità, dell’unità e della comunione, come hanno
fatto le generazioni che vi hanno preceduto.
Che Maria santissima, ausiliatrice dei cristiani, che
la Chiesa in Cina venera a Sheshan con filiale e tenera
devozione, vi protegga e faccia fruttificare ogni vostro
proposito per spargere il bel profumo del Vangelo del
suo Figlio Gesù in ogni angolo della vostra amata patria.
In questo importante e impegnativo compito vi assista il
luminoso esempio dell’indimenticabile missionario in
Cina, padre Matteo Ricci si, del quale ricordiamo, con
riconoscente affetto, il 400° anniversario (cf. Regno-att.
8,2010,231) della sua dipartita verso il Regno del «Signore del cielo».
Con la rinnovata assicurazione delle nostre preghiere
e con fraterni saluti in corde Mariae.
Vaticano, 5 luglio 2010.
IVAN card. DIAS,
prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli,
✠ ROBERT SARAH,
segretario