Untitled - Comune di Crotone

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Indagine inerente la mitigazione
del rischio sismico
TOMO 1
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Sabino Vetta
Il progetto PIC Urban II e la Misura 1.1
“Messa in sicurezza dei siti urbani a rischio”
La ricerca sulla mitigazione del rischio sismico per il comune di Crotone
è stata finanziata da fondi comunitari 2000-2006, Misura 1.1 - Messa in sicurezza dei siti urbani a rischio del Complemento di Programmazione del PIC
URBAN II di Crotone.
Le attività della ricerca sono state programmate in attuazione di quanto
previsto nell’Accordo di programma, siglato il 19 dicembre 2002 ai sensi dell’art. 15 della legge 7 agosto 1990 n. 241, tra la Presidenza del Consiglio dei
Ministri, Dipartimento della Protezione Civile, Ufficio Servizio Sismico Nazionale, e il comune di Crotone. In ottemperanza a tale accordo il Programma
è il risultato di diversi incontri tra rappresentanti dell’Ufficio Servizio Sismico e del comune di Crotone rivolti a definire, attraverso la rimodulazione di
prestazioni, fasi e tempi, gli aspetti tecnico-operativi e procedurali delle attività previste.
L’accordo citato ha visto l’impegno dell’Ufficio Servizio Sismico, nell’ambito delle proprie competenze istituzionali, in una collaborazione ispirata
ai principi di partenariato per il raggiungimento degli obiettivi generali di prevenzione sismica e della concreta attuazione delle attività, curando il coordinamento tecnico e scientifico e prevedendo interventi di programmazione e
analisi, finalizzati a migliorare la conoscenza del rischio sismico e gli strumenti per la loro mitigazione.
In base a quanto programmato, gli obiettivi principali della ricerca sono
stati i seguenti:
● la diagnosi delle condizioni di rischio;
● la elaborazione di un sistema di priorità di intervento;
● la formazione di strutture specializzate esportabili in altre zone sismiche.
Il lavoro è stato suddiviso in tre fasi:
1. Nella prima fase della ricerca ci si è concentrati sull’impostazione metodologica e sulla raccolta dei materiali essenziali alle elaborazioni avviate
nella seconda fase al fine di individuare l’attuale configurazione della pe-
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ricolosità, della vulnerabilità e dell’esposizione al rischio sismico del comune di Crotone.
A tal proposito sono stati concordati il tipo e la versione del software idoneo per implementare il Sistema Informativo Territoriale (SIT).
2. La seconda fase della ricerca è stata finalizzata, quindi, alle analisi delle
pericolosità, strutturali ed urbane integrate da un gruppo di rilevatori, appositamente selezionati, formati e seguiti nell’attività di rilievo, secondo
un approccio sperimentale e incrementale, al fine di ottimizzare i tempi e
il contenuto informativo delle elaborazioni prodotte.
3. La terza, conclusiva, si è basata sulla caratterizzazione del tessuto urbano,
sia in termini quantitativi che qualitativi, del sistema insediativo, del sistema delle attrezzature e delle reti tecnologiche in chiave strategica ai fini della prevenzione del rischio sismico.
L’obiettivo della ricerca è l’individuazione di interventi prioritari (di tipo
normativo, gestionale e programmatico) intimamente connessi agli esiti delle
analisi condotte e mirati, contemporaneamente, alla mitigazione del rischio e,
indirettamente, alla massimizzazione di efficienza ed efficacia dei soccorsi in
caso di emergenza.
L’ambito urbano oggetto della ricerca è stato quello relativo al capoluogo
crotonese, con alcune analisi al contorno e, per quanto concerne l’ambito urbanistico, estese anche all’intero territorio comunale.
Affinché si potesse giungere ad un inquadramento completo dell’area in
esame dal punto di vista sismico, il team di ricercatori ha proceduto in stretta
collaborazione nella fase di definizione delle attività di ricerca, per poi proseguire in parallelo nella caratterizzazione dei parametri fondamentali dell’analisi del rischio.
L’analisi del rischio1
La tematica del rischio è da tempo relazionata a problematiche connesse
alla società ed alla gestione della città e, pur essendo presente nel campo del
governo del territorio, è spesso semplicemente sovrapposta al processo di pianificazione, piuttosto che integrata nello stesso. Ciò avviene perché a volte si
crede che la maggior parte dei problemi possa essere risolta solo migliorando
le metodologie esistenti attraverso l’evoluzione della strumentazione, per
maggiori e più accurate informazioni, che possano migliorare il controllo della qualità dei processi di pianificazione: modernizzazione ecologica (Asmervik, 1997). Bisogna comunque dire che la riduzione dell’incertezza, insita nei
modelli previsionali presenti, è sicuramente molto importante e doverosa se at1
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L’analisi del rischio è tratta da de Tullio G., 2006, cfr. Bibliografia tomo III.
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tuabile, ma migliora solo la conoscenza di un particolare fenomeno, e spesso
necessita, per l’attuazione di interventi mitigativi del danno probabile, dell’integrazione di esperienze più localmente basate, con maggiore partecipazione
dei diversi gruppi interessati. Si richiede pertanto cooperazione continua tra
due tipi di conoscenze, consapevoli dei rispettivi limiti, una metrico-calcolativa, finalizzata all’ottimizzazione dei modelli matematici, e l’altra antropologico-culturale, orientata ad incrementare la consapevolezza del contesto sociopolitico in cui si opera, anche intervenendo per migliorare l’informazione e le
modalità di reazione al problema.
Per meglio comprendere le possibili azioni che i risultati della ricerca sono in grado di generare è bene riprendere una schematizzazione d’approccio
al problema del rischio urbano di scuola olandese:
MITIGAZIONE
(tempo ordinario)
EMERGENZA
norma e controllo
norma e controllo
approccio consensuale
informazione
norma e controllo
approccio liberale
informazione
informazione
approccio normativo
Si va da un approccio estremamente impositivo, possibile solo con un cambiamento culturale, mantenendo in agenda governativa sempre il tema della sicurezza, ad uno liberale che non assume carattere dirigista nemmeno in fase
emergenziale, delegando la totale responsabilità all’individuo e supportato solo
da una costante ed ampia informazione in grado di generare, in ciascuno, gradi
di consapevole accettabilità del rischio che si corre. A tal proposito Henk Voogd,
suggerendo l’approccio consensuale, ricorda l’importanza del coinvolgimento
degli attori interessati dal pericolo, ribadendo che la prevenzione dei disastri non
è solo un esercizio accademico, ma anche un processo di apprendimento amministrativo. Si richiede quindi una pianificazione orientata al rischio, basata sulla
conoscenza delle vulnerabilità nelle singole situazioni e, non essendo realistico
pretendere che tutti gli attori obbediscano a regole, è necessario un loro opportuno coinvolgimento nella mitigazione dei disastri. Tale formulazione si avvale
dell’esempio di un devastante incidente dovuto a fuochi d’artificio a Enschede
in Olanda nel 1999, sottolineando che, anche in un paese tradizionalmente noto
per l’osservanza delle sue regole, un approccio basato sul “command and control” non è stato efficace (Voogd, 2004, p.11-12).
Per quanto concerne l’approccio tecnico-ingegneristico2 al tema del rischio, esso si basa sulla risk analysis fondata sulla nota formula
2 L’aggettivo “ingegneristico” è generalmente utilizzato nei processi di ingegnerizzazione,
ovvero quando si mettono in pratica i risultati forniti da fisica o matematica teoriche.
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R=H×V×E
dove V × E = D è il danno atteso, ottenuto come prodotto tra il valore esposto
al pericolo E per la sua vulnerabilità V, fattore praticamente opposto al concetto di “resistenza”.
La pericolosità (H da hazard), in merito ai fenomeni naturali, è l’attributo
che questi ricevono quando rappresentano, direttamente o indirettamente, una
minaccia per la vita, la salute o gli interessi degli uomini.
Si comprende come ogni elemento della suddetta formula richieda competenze diverse, per un’adeguata caratterizzazione della condizione di rischio,
scomponibile in tre fasi preliminari:
● l’individuazione della pericolosità;
● la definizione del quadro di vulnerabilità (strutturale ed urbana);
● la stima del valore esposto, prevalentemente in termini di vite umane coinvolte.
L’ambito della pericolosità
L’analisi di pericolosità è stata effettuata sia sulla base di dati di terremoti storici sia mediante rilievi sul campo. Non ci si è basati, quindi, soltanto sulle principali strutture sismogenetiche del Meridione nel contesto geodinamico
di riferimento, ma si sono valutati i possibili “effetti di sito”, in quanto il danno in zone urbanizzate può seguire schemi di distribuzione molto complessi,
anche nei casi in cui siano presenti edifici con caratteristiche costruttive simili.
Sono state analizzate, pertanto, le condizioni geologiche e geotecniche degli strati più superficiali che influiscono significativamente sul livello e sulla
composizione spettrale dello scuotimento sismico in superficie, per caratterizzare l’area mediante microzonazione sismica.
L’ambito strutturale
L’ambito strutturale della ricerca ha riguardato la valutazione dell’inventario del costruito e della relativa vulnerabilità sismica. Si comprende come
una tale operazione possa risultare molto costosa ed assorba, pertanto, gran
parte dei fondi della ricerca (il 24% del costo dell’intero progetto e il 32% del
costo del progetto escludendo il costo del piano di valorizzazione).
I compiti precipui dell’analisi strutturale hanno riguardato la valutazione
della vulnerabilità sismica degli edifici in muratura e in cemento armato sia
pubblici che privati e delle infrastrutture con caratterizzazione della vulnerabilità delle opere d’arte.
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Per quanto concerne gli edifici pubblici (compresi gli edifici di culto e di
valore storico-architettonico) si è proceduto mediante la caratterizzazione della vulnerabilità del singolo edificio con approcci approssimati e specifici modelli numerici e georeferenziazione dei manufatti. In merito agli edifici privati,
invece, vista la numerosità degli stessi si è deciso di procedere con una caratterizzazione della vulnerabilità sismica per ambiti omogenei, tramite un numero
limitato di modelli numerici, con georeferenziazione degli edifici.
A valle delle analisi condotte sono stati considerati scenari sismici in funzione del tempo di ritorno, al cui crescere corrisponde un’intensità sismica crescente.
Dalle analisi dei sistemi insediativi, degli edifici strategici e della popolazione è stato possibile inquadrare gli assetti emergenziali probabili, secondo
un’analisi statica senza simulare i mutamenti derivanti dai flussi dei sistemi a
rete, sistemi che tuttavia caratterizzano, in parte, la vulnerabilità urbana, in ambito urbanistico.
La simulazione ha individuato le aree maggiormente critiche rapportando
i danni alle possibili presenze di persone ed individuando, così i potenziali senzatetto.
L’ambito urbanistico
La contestualizzazione del metodo di ricerca elaborato parte dall’incrocio
delle esperienze pregresse, paragonabili a quella crotonese, quindi prevalentemente nazionali, ottenendo, successivamente, un approccio più complesso.
L’analisi del costruito ha consentito di articolare la città in parti, in rapporto alle diverse configurazioni dei tessuti, delle regole di organizzazione
spaziale e di aggregazione. L’obiettivo è stato quello di parametrizzare gli ambiti insediativi per individuare i livelli qualitativi confrontabili al fine di orientare le successive analisi di vulnerabilità e quindi di rischio.
Gli spazi aperti sono stati analizzati in relazione ai diversi ruoli che assumono nel sistema insediativo. In particolare viene analizzato il ruolo di tali
spazi in termini di accessibilità, ne viene analizzata la funzione di deflusso e
ricovero in caso di emergenza e infine vengono analizzati come elementi aggreganti rispetto alle funzioni urbane, in cui assumono una valenza simbolica
e di identificazione sociale.
Grazie alla collaborazione interna al comune di Crotone è stato possibile
censire le attrezzature con funzioni strategiche per la vita sociale e per l’emergenza, mediante una ricognizione e valutazione delle attrezzature pubbliche o ad
uso pubblico che rivestono un ruolo sensibile nell’organizzazione funzionale
della città, e hanno un carattere strategico ai fini della gestione dell’emergenza.
L’attività di ricerca ha utilizzato tutti i molteplici dati derivanti dalla campagna di rilevazione diretta sul campo, effettuata da tecnici rilevatori. Bisogna
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tuttavia sottolineare che, nonostante sia stata svolta un’intensa attività di formazione, le schede di rilievo pervenute hanno necessariamente richiesto un lavoro, seppur minimo, di “riallineamento”, dovuto sia alle differenti competenze dei tecnici rilevatori che alla particolarità ed empiricità del lavoro richiesto.
Per quanto concerne lo scenario ordinario, nell’incrementare la contestualizzazione sociale, sono stati utilizzati i dati ISTAT 2001 per sezioni di censimento, acquistati dal Dipartimento di Pianificazione Territoriale dell’UNICAL, per incrementare e aggiornare le informazioni relative allo stato della
popolazione residente, del patrimonio edilizio, delle condizioni sociali connesse agli aggregati insediativi, dati ed elaborazioni utili sia per ogni politica
di sviluppo urbano che per gli obiettivi di mitigazione del rischio.
La contestualizzazione fisica, riguarda anche la ricostruzione storica del
tessuto insediativo crotonese, che consente di valutare sia il valore esposto che
la vulnerabilità indiretta, causata dalla distribuzione di vuoti e pieni nel sottosuolo.
La contestualizzazione normativa è partita dallo strumento urbanistico comunale principale, ovvero dal Piano Regolatore Generale, il cui elaborato prescrittivo fondamentale, le norme tecniche d’attuazione, è stato analizzato negli aspetti riguardanti le possibilità di variazione del valore esposto e, naturalmente, gli indirizzi sul rischio sismico e di esondazione. Un tale lavoro risulterà doppiamente utile al comune di Crotone che, come tutti i comuni calabresi, dovrà adeguare il proprio strumento urbanistico alla L.R. 19/2002, quando
entreranno in vigore le Linee guida applicative della legge stessa, ma potrà farlo con un’analisi del rischio, che suggerirà interventi strutturali e programmatici mitiganti il rischio sismico e, contemporaneamente, consolidanti la struttura urbana.
Quello che è utile sottolineare, in premessa, è che da oggi il comune di Crotone è dotato di uno strumento che consente di programmare, in tutte le sue articolazioni, una complessa ma praticabile attività di adeguamento del tessuto
urbano alle esigenze della riduzione (minimizzazione) del rischio derivante da
eventi sismici.
Le azioni che sarà possibile mettere in campo potranno interrelarsi ad una
politica di riqualificazione urbana diffusa in modo da associare alla prevenzione un più visibile effetto di miglioramento qualitativo del sistema insediativo.
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P. Galli, A. Lucantoni*
La pericolosità sismica di Crotone
1. Introduzione
Questo contributo illustra le diverse procedure utilizzate per valutare la pericolosità sismica nel comune di Crotone, prendendo spunto e comparando i risultati pubblicati sia dal Servizio Sismico Nazionale (ora Ufficio Rischio Sismico del Dipartimento della Protezione Civile; vedi Albarello et al., 2000;
2002) che dall’Istituto Nazionale di geofisica e Vulcanologia (Gruppo di Lavoro, 2004). Nelle figg. 1-4 sono riportati alcuni stralci dei risultati di questi gruppi di lavoro, nella forma di mappe in PGA, spettri di risposta e curve di hazard,
a rappresentare lo stato delle conoscenze nell’area prima di questo lavoro.
Fig. 1 - Grid con valori campionati passo 0,05 g (da Albarello et al., 2000)
* Dipartimento della Protezione Civile, Via Vitorchiano 4, 00189 Roma.
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Fig. 2 - Grid con valori campionati passo 0,05 g (da Gruppo di Lavoro, 2004)
Fig. 3 - Spettri a pericolosità uniforme per il comune di Crotone per diversi periodi di ritorno (da Lucantoni et al., 2001)
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Fig. 4 - Curva di hazard per il comune di Crotone (da Lucantoni et al., 2001)
La metodologia di base utilizzata in questo lavoro per la determinazione
della pericolosità è quella sviluppata da Cornell (1968) e si basa, in prima approssimazione, sull’impiego delle sole zone a sismicità uniforme.
Tuttavia, potendo disporre per la Calabria di una discreta conoscenza sismotettonica regionale ed anche delle singole faglie attive, in una seconda fase è stata utilizzata anche una zonazione ibrida, considerando, oltre alle zone
areali uniformi (già considerate col metodo classico di Cornell, 1968), anche
il contributo delle singole strutture sismogenetiche note.
Per poter confrontare i risultati ottenuti con altri ottenuti attraverso una differente procedura, si è infine utilizzato il metodo al sito, sia in termini di PGA
che di intensità MCS, tralasciando metodi alternativi, quali il metodo a sismicità diffusa alla Frankel et al. (2000) ed i modelli dipendenti dal tempo alla Kagan e Jackson (2000) con kernel. Questo obiettivo specifico è stato raggiunto
grazie alla definizione di un catalogo sismico di sito per Crotone, costruito sulla base dei risultati inediti di ricerche storiche.
Nel seguito di questo contributo si farà sempre riferimento a mappe di
scuotimento su suolo rigido, non considerando fenomeni di amplificazione locale.
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2. Le basi dati: il catalogo sismico e la zonazione sismotettonica
I lavori precedenti di pericolosità di base del territorio nazionale, quali i due
summenzionati, utilizzano, come database, il catalogo sismico NT4 (Camassi e
Stucchi, 1996) in associazione alla zonazione ZS4 (Scandone et al., 1997) ed il
catalogo CPTI99 (Gruppo di Lavoro CPTI, 1999) in associazione alla zonazione ZS9 (Gruppo di Lavoro, 2004). Come noto, entrambi non tengono conto del
contributo delle singole faglie presenti all’interno delle zone.
In questo lavoro, invece, si è creduto di applicare - oltre al metodo classico
- un modello ibrido che considerasse il contributo delle singole strutture sismogenetiche e che avesse, alla base, una zonazione sismotettonica costruita ad hoc.
Sono stati quindi considerati i parametri di quelle faglie per le quali esistesse una
caratterizzazione paleosismologica robusta (vedi Galli et al., 2008), mentre - per
quanto riguarda il catalogo sismico - è stata utilizzata la versione 2004 del catalogo CPTI (Gruppo di Lavoro CPTI, 2004), aggiornata però sulla base degli studi di sismicità storica, di archeosismologia e di paleosismologia condotti in questi ultimi anni nella regione (Cinti et al., 2002; Galli e Bosi, 2002; 2003; Galli e
Scionti, 2006; Galli et al., 2006a; 2006b; 2007; 2008; Scionti e Galli, 2005;
Scionti et al., 2006).
2.1 Zonazione sismotettonica della Calabria
Come accennato, nel corso dell’ultimo quinquennio, la conoscenza sulla sismicità e sulle strutture sismogenetiche della Calabria è discretamente aumentata, grazie sia a nuove ricerche di archivio sulla sismicità storica della regione che
a studi di carattere paleosismologico ed archeosismologico (Fig. 5).
In particolare Cinti et al. (2002) hanno condotto studi di dettaglio sulla faglia silente del Pollino, mentre in Galli e Bosi (2003; 2003) si è investigata, tramite analisi paleosismologiche, sia la struttura responsabile del catastrofico terremoto del 5 febbraio 1783 (Faglia di Cittanova; fig. 6) sia di quello del 9 giugno 1638 (Faglia dei Laghi; fig. 7). Più di recente, Galli et al. (2007) hanno svolto analisi paleosismologiche anche sulla struttura responsabile del terremoto del
7 febbraio 1783 (Faglia delle Serre), oltre ad analisi suppletive sulla Faglia dei
Laghi. Inoltre, ricerche di sismicità storica compiute ad hoc (Scionti e Galli,
2005) e/o contestualmente ai lavori paleosismologici citati hanno consentito di
aggiornare, revisionare e inserire alcuni eventi sismici, anche di elevata magnitudo, precedentemente poco caratterizzati o assenti nelle compilazioni esistenti.
Tali eventi sono indicati con l’acronimo USSN (Ufficio Servizio Sismico Nazionale) nelle tabelle qui accluse.
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Fig. 5 - Immagine riassuntiva delle conoscenza sulla sismotettonica della Calabria (mod. da Galli et al., 2007). Sono riportate le principali strutture sismogenetiche studiate tramite analisi paleosismologiche (in grassetto) e gli associati box sismogenetici (in grassetto). All’interno dei box sono evidenziate le date degli ultimi terremoti certi generati dalla struttura. A tratto sottile le restanti faglie primarie con evidenze di attività quaternaria e relativi box sismogenetici degli ultimi possibili terremoti associati. I box “solitari” sono invece tracciati sulla base della distribuzione delle
massime intensità macrosismiche (ad esempio usando Gasperini 2002). Le frecce ombreggiate indicano la direzione di estensione desunta da lavori paleosismologici su faglie (i valori sono ratei
minimi). I meccanismi focali sono mutuati da Galli e Bosi (2003) e/o tratti da Vannucci e Gasperini (2004). Nell’inserto (A) sono visualizzate le velocità GPS calcolate da D’Agostino e Selvaggi (2004). La differenza tra le velocità della Puglia e della Calabria centro-meridionale evidenziano un’estensione intermedia di ~1,5 mm/anno, di cui ~2/3 potrebbero essere accomodati dal sistema di faglie Silane e del Pollino.
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Fig. 6 - Faglia di Cittanova (Piana di Gioia Tauro, RC). Veduta della parete sud di una delle trincee scavate attraverso la faglia (frecce gialle). I depositi colluviali con lenti ghiaiose nella parte
rialzata della faglia (sinistra = est) sono stati datati all’ultimo massimo glaciale (~24 ka); quelli
nella parte ribassata (destra) hanno fornito età radiocarbonio tra i 10 ka ed il recente. In questa ed
in altre trincee le analisi paleosismologiche hanno consentito di riconoscere il terremoto del 1783
ed altri precedenti, come il ~372 AD (reticolo di 0.5 m).
Nel complesso, i nuovi dati – uniti alla grande quantità di quelli pregressi –
hanno permesso di formulare una zonazione sismotettonica diversa dalle esistenti e citate ZS4 e ZS9 (Scandone, 1997; Gruppo di Lavoro, 2004, rispettivamente). Questa zonazione non ha la presunzione di essere migliore delle precedenti o definitiva, ma – a detta degli scriventi – è quella che meglio rappresenta
lo stato attuale delle conoscenze. Come è possibile evincere in fig. 8, la zonazione trae effettivamente spunto da ZS4 (Scandone, 1997) e – passando attraverso le modifiche discusse in Bosi e Galli (2004) – approda in una suddivisio-
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ne della Calabria in 6 diverse zone (contro le due sole di ZS9; Gruppo di Lavoro, 2004). Da nord verso sud esse sono la zona del Pollino, della Sila, del Crati,
della Stretta di Catanzaro, delle Serre-Aspromonte e della Ionica.
Fig. 7 - Faglia dei Laghi (Località Cagno, Lago Ampollino-Sila); veduta della parete nord della trincea paleosismologica scavata da Galli et al. (2007). Le analisi paleosismologiche effettuate lungo
questa faglia hanno permesso di individuare l’evento del 9 giugno 1638, un analogo precedente sconosciuto del VII secolo d.C. ed altri due terremoti sconosciuti occorsi all’incirca intorno al 1000
a.C. ed al 2000 a.C. La freccia gialla indica il piano di faglia che disloca depositi di età storica (datati col metodo del radiocarbonio); il livello indicato dagli indicatori bianchi (parte rialzata della faglia) corrisponde alle pomici dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. (reticolo con maglie di 1 m).
Le zone sono state tracciate in modo da comprendere le strutture e le aree ad
omogeneo comportamento e caratteristiche cinematico/strutturali, nonché cercando di inviluppare la sismicità attribuibile a strutture dallo stesso significato
sismotettonico. In fig. 8 sono riportate anche le tracce delle faglie e le box sismogenetiche (sensu Gasperini, 2002) per le quali sono disponibili dati utili alle analisi di pericolosità.
Molto sinteticamente, la principale differenza con ZS4 (Scandone, 1997) –
a parte la diversa geometria delle zone – risiede nell’esistenza di una ben defi-
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nita zona (Sila) laddove ZS4 contemplava un’area di background (tra le zone 66
e 67; zona 81 in Bosi e Galli, 2004). Questa zona, che sostituisce anche la zona
67 di ZS4, è stata tracciata in base ai nuovi studi (Galli e Bosi, 2003; Galli e
Scionti, 2005; Galli et al., 2006b). Detti studi individuano una serie di strutture
allungate in direzione NW-SE, presumibilmente responsabili di tutti i terremoti
di maggiore energia occorsi nell’area.
Sorgente
box 3
box 4
box 5
box 6
Faglia 1 Cittanova
Faglia 2 Serre sud
Faglia 3 Serre nord
Faglia 4 Serre centrale
Faglia 5 Feroleto-Sant'Eufemia
Faglia 6 Savuto
Faglia 7 Laghi
Anno
1744
1832
1905
1908
1783
1783
1791
1659
1783
1743
1638
1609
1624
1638
1870
1854
1638
Me
3
3
9
12
2
2
10
11
3
12
3
7
2
3
10
2
6
Gi
21
8
8
28
5
7
13
5
1
7
28
20
3
27
4
12
9
AE
Marchesato
Crotonese
Calabria
Calabria meridionale
Calabria
Calabria
Calabria centrale
Calabria centrale
Calabria centrale
Serre centrali
Serre nord
Valle dell'Amato
Reventino
Alto Crati-Savuto
Cosentino
Cosentino
Sila
Rt
USSN
CFTI
CFTI
CFTI
CFTI
CFTI
CFTI
CFTI
CFTI
USSN
USSN
USSN
USSN
USSN
CFTI
CFTI
USSN
Io
80
95
110
110
110
105
90
100
90
75
100
85
75
110
95
95
95
Lat
39.084
39.07
38.67
38.15
38.3
38.58
38.63
38.7
38.77
38.637
38.68
38.924
38.989
39.11
39.22
39.25
39.22
Lon
16.78
16.9
16.07
15.68
15.97
16.2
16.27
16.25
16.3
16.265
16.23
16.372
16.384
16.27
16.33
16.3
16.57
Ms Ma
6.1
6.48
7.5 7.06
7.3 7.24
6.91
6.59
5.91
6.5
5.92
5.79
6.6
5.84
5.5
7
6.16
6.15
6.7
Tabella 1 - Eventi del catalogo CPTI04 (modificato; vedi testo) associati alle faglie e/o strutture
sismogenetiche.
3. Il calcolo dei tassi medi di sismicità, i codici di calcolo
Il modello di ricorrenza della magnitudo utilizzato in questo lavoro è lo stesso di quello alla base del codice FRISK (Risk Engineering, Inc., 2001) e cioè l’esponenziale troncata che è definita dai parametri MMIN, MMAX, Rate, beta. Il coefficiente beta è stato calcolato con una regressione ai minimi quadrati sulle frequenze semplici determinate col metodo utilizzato in Albarello et al. (2000).
Le leggi di attenuazione usate sono state quella proposta da Ambraseys et
al. (1996) e quella in Sabetta e Pugliese (1996), con peso 0.5. Per quest’ultima
sono state utilizzate le due diverse formulazioni per distanza epicentrale per le
zone e distanza dalla faglia per le faglie.
Nelle tabelle 2-5 sono riportati i valori usati nel calcolo sia per le zone che
per le faglie ed i box. Per quanto concerne la parametrizzazione delle faglie, la
frequenza λMAX relativa a MMAX è stata determinata definendo, per via paleosismologica, il periodo di ritorno Tr associato all’evento di magnitudo massima ammissibile e poi calcolando λMAX=1/Tr,.
Usando la relazione Gutenberg Richter, noto β, campionando le magnitudo con passo DM si calcola:ln(λi) = ln(λMAX) – β* ΔM*i. Di conseguenza si ha
Rate = ∑λi
18
11E0226_Crotone_uno:11E0226_Crotone_uno
23-05-2011
10:36
Pagina 19
Fig. 8 - Rappresentazione schematica delle zone sismogenetiche elaborate ad hoc per questo lavoro, delle faglie riconosciute come attive e sismogenetiche nella regione Calabria e delle box sismogenetiche di alcuni terremoti per i quali non siano ancora certe le strutture sorgenti.
19
11E0226_Crotone_uno:11E0226_Crotone_uno
23-05-2011
10:36
Pagina 20
Fig. 9 - Eventi CPTI associati
alle zone: istogramma frequenze
Catalogo CPTI
60
50
50
nr. eventi
40
30
24
23
20
14
6
10
9
7
3
1
0
3
0
4
4.3 4.6 4.9 5.2 5.5 5.8 6.1 6.4 6.7
7
classe magnitudo Ma
Fig. 10 - Eventi CPTI associati
alle faglie: calcolo coefficiente
beta
Eventi associati alle faglie
-3
Freq. semplice
-3.5
Regressione
ln(Freq)
-4
-4.5
-5
-5.5
y = -1.4317x + 4.9383
R2 = 0.8714
-6
-6.5
5.5
5.8
6.1
6.4
6.7
7
7.3
magnitudo Ma
Parametri lunghezza
di rottura (Wells e
Coppersmith Errore.
L'origine riferimento
non è stata trovata.)
Parametri immersione:
profondità ed angoli
Faglia
Cittanova
Serre Sud
Serre Centrale
Serre Nord
Feroleto-Sant'Eufemia
Savuto
Laghi
z1
3
3
3
3
3
3
3
alfa1
105
105
105
105
95
105
95
z2
5
5
5
5
5
5
5
alfa2
115
115
115
115
105
115
105
z3
18
18
18
18
18
18
18
Al
-2.01
-2.01
-2.01
-2.01
-3.22
-2.01
-3.22
Tabella 2 - Parametri geodinamici delle faglie considerate
20
Bl
0.5
0.5
0.5
0.5
0.69
0.5
0.69
sigma
0.21
0.21
0.21
0.21
0.22
0.21
0.22
Slip-rate
(mm/anno)
0.6
0.6
0.5
0.5
0.5
0.5
1
Tr
(anni)
1400
1400
1400
1400
1300
1300
1200
11E0226_Crotone_uno:11E0226_Crotone_uno
Faglia
Cittanova
Serre Sud-Centrale-Nord
Feroleto-Sant'Eufemia
Savuto
Laghi
23-05-2011
10:36
MMAX
6.91
6.59
6.6
7
6.7
MMIN
MAX
0.000714286
0.000714286
0.000769231
0.000769231
0.000833333
Pagina 21
5.79
5.5
6.15
6.1
Rate
0.000714
0.006083
0.010829
0.006551
0.004078
1.43
1.43
1.43
1.43
1.43
Tabella 3 - Tassi di sismicità associati alle faglie considerate
Box
Evento 1744
Evento 1832
Evento 1905
Evento 1908
MAX Rate
0.0008333
0.0008333
0.0007143
0.0007143
MMIN-MAX
6.1 ± 0.15
6.5 ± 0.15
7.5 ± 0.15
7.3 ± 0.15
1.43
1.43
1.43
1.43
Nr.
1
2
3
4
5
6
Zona
Pollino
Sila
Crati
Stretta
Gioia
Ionica
Mmin
4.0
4.0
4.0
4.0
4.0
4.0
Mmax
5.5
5.5
6
6.9
6.1
5.9
Rate
0.03595
0.0893
0.09487
0.03878
0.22386
0.04896
Beta
1.150972
1.885537
1.924602
0.76894
1.677443
1.154237
Tabella 4 - Tassi di sismicità associati ai box e alle zone considerate
4. Il metodo al sito: formulazione in PGA
Poiché non sono disponibili registrazioni accelerometriche per il sito di Crotone, sono stati calcolati i possibili risentimenti degli eventi sismici riportati nel
catalogo CPTI04 (modificato) utilizzando una legge di attenuazione. In particolare, è stata usata la relazione Sabetta e Pugliese (1996), considerando la componente orizzontale delle accelerazioni la distanza epicentrale.
In fig. 11 si riportano i risentimenti ottenuti attraverso tale metodologia (il
diagramma è tagliato a 0.02 g).
Considerando completa l’informazione storica per il periodo 1600-1992 (ad
esempio, Gruppo di Lavoro, 2004), si ottiene un valore del Dt = 393 anni, da cui
si può ottenere il calcolo delle frequenze di superamento (assumendo un processo stazionario della sismicità) riportate in tab. 5. Nella stessa tabella è riportata la matrice in frequenza relativa al campionamento in PGA riportato.
Risentimenti (attenuati) dovuti agli eventi storici
0.17
0.16
0.15
0.14
0.13
0.12
0.11
0.10
0.09
0.08
0.07
0.06
0.05
0.04
0.03
0.02
1600
1650
1700
1750
1800 1850
1900
1950
2000
Anno
Fig. 11 - Risentimenti determinati attraverso
il metodo al sito per il comune di Crotone
Classi PGA (g)
PGA
Num.
Eventi
Num. Cum.
Eventi
0.02
2156
2183
0.03
10
27
0.068702
0.04
9
17
0.043257
0.05
1
8
0.020356
0.06
2
7
0.017812
0.07
1
5
0.012723
0.08
1
4
0.010178
0.09
1
3
0.007634
0.1
0
2
0.005089
0.11
1
2
0.005089
0.12
0
1
0.002545
0.13
0
1
0.002545
0.14
0
1
0.002545
0.15
0
1
0.002545
0.16
1
1
0.002545
Freq ecc.
Tabella 5 - Matrice delle frequenze di superamento per
classi di PGA
21
11E0226_Crotone_uno:11E0226_Crotone_uno
23-05-2011
10:36
Pagina 22
In fig. 12 e in tab. 6 sono riportati, invece, la curva di hazard con il metodo al sito e la relativa regressione per avere una formulazione analitica; inoltre viene tabulata la funzione valore atteso calcolata come descritto nel paragrafo seguente.
Curva di hazard
Frequenza di superamento
0.1
PGA (g)
Frequenza cumulata eventi
Regressione
0.01
-2.139379
y = 0.000040x
2
R = 0.977604
0.001
0.02
0.05
0.08
0.11
0.14
0.17
0.2
PGA (g)
Fig. 12 - Metodo al sito per il Comune di Crotone: regressione su curva delle frequenze di
eccedenza
valor
medio
hazard
valore
atteso della
funzione di
hazard
0.02
0.172505
0.279924
0.04
0.039155
0.063537
0.06
0.016446
0.026687
0.08
0.008887
0.014421
0.1
0.005514
0.008947
0.12
0.003733
0.006057
0.14
0.002684
0.004356
0.16
0.002017
0.18
0.001568
0.002544
0.2
0.001251
0.002031
0.22
0.001021
0.001656
0.24
0.000847
0.001375
0.26
0.000714
0.28
0.000609
0.000989
0.3
0.000526
0.000853
0.32
0.000458
0.000743
Tabella 3 - Frequenze
di superamento per
classi di PGA:
calcolo del valore
atteso della funzione
di hazard
0.003273
0.001158
0.34
0.000402
0.000653
0.36
0.000356
0.000577
0.38
0.000317
0.000514
0.4
0.000284
0.000461
4.1 Calcolo del valore atteso della funzione di hazard
Nella procedura descritta in precedenza, per attenuare al sito gli eventi,
viene usato il valor medio della relazione di attenuazione del PGA, che è però
una variabile aleatoria lognormale: ln( PGA) ~ N ( μ , σ ) .
Poiché data la funzione Y=g(X) con X variabile aleatoria con funzione
densità
il valore atteso di
vale:
Essendo nel nostro caso
la curva di hazard
ed X il PGA si ha quindi:
dove
22
è la funzione di distribuzione normale standard.
11E0226_Crotone_uno:11E0226_Crotone_uno
23-05-2011
10:36
Pagina 23
4.2 Analisi delle curve di hazard e disaggregazione: eventi di riferimento
In fig. 13 sono riportate le diverse curve di hazard ottenute in funzione delle diverse scelte. In particolare, è possibile confrontare i risultati derivanti dalle
elaborazioni contenute in Albarello et al. (2000), con quelli ottenuti con il metodo ibrido e con il metodo al sito.
È stata anche riportata la soluzione senza faglie, con tutti gli eventi associati alle sole zone. Infine, per confronto, è riportata anche la curva di hazard pubblicata in Gruppo di Lavoro (2004).
Fig. 13 - Confronto tra curve di hazard in termini di PGA con le diverse metodologie.
Dal confronto tra le diverse metodologie applicate, è evidente che quella che
contempla l’utilizzo delle faglie e dei box sismogenetici (metodo “ibrido”) è la
meno conservativa, almeno per valori di PGA più elevati, ricalcando per i valori più bassi i risultati ottenuti da Gruppo di Lavoro (2004). Questo fatto si spiega principalmente con l’aver introdotto – per le classi di magnitudo più elevate
–tempi di ritorno molto più lunghi di quelli assunti nel metodo probabilistico
classico; in altre parole, sono stati utilizzati i tempi di ritorno “reali” – desunti da
analisi paleosismologiche – invece che assumere il tempo di ritorno pari all’intervallo di completezza di quella classe di magnitudo.
23
11E0226_Crotone_uno:11E0226_Crotone_uno
23-05-2011
10:36
Pagina 24
Il metodo più conservativo è, invece, quello al sito, che non contempla – lo
ricordiamo – l’utilizzo della zonazione, la cui geometria influenza molto i risultati in tutte le altre metodologie. Considerando il periodo di ritorno di 1000 anni, l’intevallo di variazione del PGA è tra 0,20 g e 0,28 g pari al 40%.
Per completezza d’informazione, nelle tabelle 7 e 8 sono riportati i valori
analitici dei risultati di disaggregazione per diversi tempi di ritorno (Tr) dei valori di hazard in funzione dei valor medi di magnitudo, distanza ed epsilon calcolata con il programma FRISK, sia relativi al metodo probabilistico classico
(solo zone sismogenetiche), sia a quello “ibrido” (zone sismogenetiche, faglie e
box sismogenetici).
Risultati dell'analisi di disaggregazione
(solo zone)
Risultati dell'analisi di disaggregazione
(zone+faglie+box)
PGA=
Total
Prob.
1.17E-02
1.45E-03
6.89E-04
6.54E-04
0.0822
mean
magnit.
5.1
6.0
6.7
7.0
Tr= 72
mean
distance
13.6
36.3
77.1
101.9
mean
epsilon
-0.033
0.654
1.171
1.218
perc.
contrib.
79.86%
9.91%
4.72%
4.48%
PGA=
Total
Prob.
1.05E-02
1.02E-03
7.46E-04
5.36E-04
4.70E-04
0.0716
mean
magnit.
4.6
6.3
6.5
6.6
6.7
Tr= 72
mean
distance
10.8
58.3
17.3
72.1
36.5
mean
epsilon
0.08
0.903
-1.653
1.238
-0.224
perc.
contrib
72.0%
7.0%
5.1%
3.7%
3.2%
PGA=
Total
Prob.
2.11E-03
1.04E-04
0.1826
mean
magnit.
5.4
6.297
Tr= 475
mean
distance
9.1
31.2
mean
epsilon
0.574
1.628
perc.
contrib.
93.62%
4.61%
PGA=
Total
Prob.
3.71E-04
0.3376
mean
magnit.
5.6
Tr= 2475
mean
mean perc.
distance epsilon contrib.
6.4
1.045 98.45%
PGA=
Total
Prob.
1.55E-03
3.97E-04
5.52E-05
0.161
mean
magnit.
4.7
6.5
6.7
Tr= 475
mean
distance
6.7
15.9
35.9
mean
epsilon
0.899
-0.22
1.445
perc.
contrib
72.5%
18.6%
2.6%
PGA=
Total
Prob.
2.67E-04
1.35E-04
5.08E-06
0.274
Mean
magnit.
4.8
6.5
6.7
Tr= 2475
mean
distance
4.9
14.5
35.7
mean
epsilon
1.474
0.697
2.351
perc.
contrib
64.4%
32.6%
1.2%
Tabella 7 - Valori medi di magnitudo, distanza ed epsilon determinati attraverso l’applicazione del metodo storico probabilistico “classico”.
Tabella 8 - Valori medi di magnitudo, distanza ed epsilon determinati attraverso l’applicazione del metodo “ibrido”.
5. Il metodo al sito: formulazione in intensità macrosismica MCS
Per l’applicazione di questa metodologia vengono utilizzati direttamente i risentimenti al sito valutati attraverso la lettura delle fonti storiche e/o interpolati
da altre informazioni macrosismiche, senza utilizzare, cioè, l’attenuazione dell’intensità epicentrale. Di conseguenza, si è reso necessario implementare un catalogo sismico di sito ad hoc su Crotone, utilizzando la metodologia descritta in
Galli e Molin (2004).
24
11E0226_Crotone_uno:11E0226_Crotone_uno
23-05-2011
10:36
Cronologia risentimenti
8.5
Pagina 25
Fig. 14 - Distribuzione dei
32 risentimenti su Crotone
considerati dal 1605 al 1974
8
7.5
I_mcs
7
6.5
6
5.5
5
4.5
4
1600 1650 1700 1750 1800 1850 1900 1950 2000
Anno
5.1 Il catalogo sismico di Crotone (in collaborazione con A. Tolone)
Al fine di ricostruire il catalogo di sito di Crotone, si è utilizzato uno studio
inedito sull’argomento (Galli et al., 2006a). In breve, in tale lavoro, a partire dalle informazioni contenute nei cataloghi sismici nazionali di riferimento, come il
Catalogo dei Forti Terremoti CFT (Boschi et al., 1995; 1997; 2000) e il Database di Osservazioni Macrosismiche (Stucchi et al., 2007), sono state svolte ricerche specifiche presso l’Archivio di Stato di Catanzaro, l’Archivio Vescovile di
Crotone, le relative biblioteche, la Biblioteca comunale di Crotone, l’Archivio
comunale di Crotone e la Biblioteca civica di Cosenza. La ricerca ha permesso
di individuare, per ogni diverso terremoto esaminato1, notizie di danneggiamento relativo ad un numero di singoli edifici (pubblici, privati ed ecclesiastici); inediti sono risultati i terremoti del 1605, 1614, 1691 e del 1744.
Alla luce della letteratura sismologia esistente e di quanto di nuovo è stato
reperito nella documentazione archivistica e nei saggi di storiografia locale, è
possibile affermare che la storia sismica di Crotone è relativamente di basso livello (fig. 14), almeno se comparata a quella di altri insediamenti della Calabria.
Basti pensare che, in tutte le fonti consultate, non è stata rinvenuta alcuna notizia riguardante vittime direttamente causate dal terremoto e che, per nessun
evento, è noto il crollo totale
di edifici di una certa importanza (civile, religiosa o militare), sebbene numerose siano le segnalazioni di lesioni gravi e diffuse e di crolli parziali.
I massimi effetti risentiti storicamente sono quelli relativi al vicino terremoto del 1832 (Is=VIII MCS). Effetti analoghi (Is=VIII MCS), anche se meno cir1 In particolare: 26 maggio 1605, 24 novembre 1614, 27 marzo-9 giugno 1638, 6 novembre
1659, 1691, 21 marzo 1744, 28 marzo 1783, 8 marzo 1832 e 8 settembre 1905.
25
11E0226_Crotone_uno:11E0226_Crotone_uno
23-05-2011
10:36
Pagina 26
costanziate sono le fonti che li descrivono, sembrano quelli occorsi in occasione dell’evento del 9 giugno 1638, che impattò - come tutti gli altri - su un tessuto edilizio di cattiva qualità, ma già provato dalla scossa del 27 marzo dello stesso anno. Effetti complessivamente minori sono stati indotti dai terremoti del 21
marzo 1744 e del 28 marzo 1783, entrambi stimabili a VII-VIII MCS.
È opportuno sottolineare che le conoscenze sulla sismicità della Calabria
possono ritenersi parzialmente complete solo per gli ultimi cinque secoli di storia (Scionti e Galli, 2005). Prima dei secoli XVI-XVII non sappiamo se effettivamente non si verificarono terremoti o se essi, invece, siano avvenuti, ma le fonti che eventualmente li descrissero siano andate perdute (o non siano state ancora rinvenute).
Da studi di carattere archeosismologico, è quasi certo, ad esempio, che nel
terzo secolo d.C. un terremoto molto forte colpì e distrusse definitivamente l’insediamento romano di Capo Colonna (fig. 15; Galli et al., 2006b). Questo evento, stimato con un’intensità di ~X MCS, data la vicinanza, sicuramente colpì
Crotone con effetti ben più devastanti di tutti gli eventi di cui sopra.
5.2 Analisi delle curve di hazard
Considerando quindi completa l’informazione storica per il periodo 16042007, si ottiene un valore di Dt=403 anni. Assumendo un processo stazionario
della sismicità, questo intervallo permette di calcolare le frequenze di supera-
Fig. 15 - Capo Colonna; terremoto del III secolo d.C. Veduta del crollo di uno degli edifici romani. In fase di caduta primaria sui pavimenti in uso, in primo piano una delle colonne in laterizio
del portico e, in secondo piano, dietro le basi delle colonne, la copertura in coppi del tetto del portico.
26
11E0226_Crotone_uno:11E0226_Crotone_uno
23-05-2011
10:36
Pagina 27
mento, così come riportate in tab. 9, dove è anche riportata la matrice in frequenza relativa al campionamento in intensità riportato. I risultati sono osservabili in fig. 16 che riporta anche la curva di hazard costruita tramite il metodo classico di Cornell (1968).
Metodo al sito
Periodo completezza t = 403
I_mcs
5
5.5
6
6.5
7
7.5
8
Metodo
Cornell
Tr
MCS
Fig. 16 - Confronto tra il metodo standard alla Cornell
(Albarello et al., 2002) ed il metodo al sito in termini
di intensità macrosismica MCS (questo lavoro).
N.
eventi
20
1
3
1
2
2
48
6.0
Freq
0.0496
0.0025
0.0074
0.0074
0.0025
0.0050
0.0050
Freq.
cum
Tr
0.0794
0.0298
0.0273
0.0199
0.0124
0.0099
0.0050
13
34
37
50
1
101
202
(Albarello et al. 2002)
98 475 975 2475
6.7 8.1 8.8 9.5
Tabella 9 - Matrice delle frequenze di
superamento per classi di intensità
MCS (Tr = periodo di ritorno) e valori
ottenuti col metodo classico
Dal confronto tra le due metodologie, si può notare che la curva di hazard
costruita con i risentimenti al sito evidenzia una differenza di circa 1 grado MCS
rispetto al metodo classico per i gradi VII ed VIII. Tale effetto può essere attribuito ad effetti di amplificazione locale nel centro storico di Crotone (al quale si
riferiscono, ovviamente, i dati storici macrosismici), come confermato da studi
di microzonazione condotti mediante modelli 1D e 2D con parametri strong motion (vedi contributo di Giordano e Naso, in questo volume).
Conclusioni
La pericolosità sismica di Crotone è stata valutata attraverso differenti metodologie, da quella classica di Cornell (1968), a quella “ibrida” con faglie e box
sismogenetici, a quella di sito.
I risultati ottenuti mostrano che utilizzando sia il parametro PGA (con attenuazione epicentrale da catalogo) che l’intensità macrosismica MCS (valutata
direttamente al sito da fonti storiche primarie), il metodo al sito fornisce sempre
valori di scuotimento superiori a quelli ottenuti col metodo classico di Cornell
(1968) e/o col metodo ibrido.
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Ciò è dovuto al fatto che nel calcolo dell’hazard è determinante la zonazione, intesa come geometria delle zone e tassi di sismicità associati. Questi ultimi
sono poi molto sensibili al livello di completezza del catalogo, tant’è che l’hazard calcolato con il metodo ibrido è il più basso in assoluto, essendo i tempi di
ritorno degli eventi più energetici considerati per il calcolo quelli più lunghi (essi sono legati ai valori “reali” stimati per via paleosismologica sulle faglie).
Anche nel presente lavoro, di fondamentale importanza si è quindi rivelata
la definizione di un catalogo sismico al sito - aggiornato con fonti storiche inedite per diversi terremoti - la cui elaborazione in chiave statistica ha portato alla
stima dei valori più elevati di pericolosità. Quest’ultima circostanza è probabilmente da mettere in relazione al reale verificarsi di effetti di amplificazione di
sito nel centro storico di Crotone.
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I. Guerra
Inquadramento sismotettonico
1. Introduzione
Fino a pochi anni fa, le coste ioniche della Calabria, e in particolare l’area
circostante Crotone, venivano ritenute meno soggette a risentimenti sismici di
elevata intensità rispetto al rimanente territorio regionale.
In effetti, dei dieci grandi terremoti di intensità maggiore o uguale al decimo grado della Scala MCS che hanno colpito la Calabria negli ultimi 4 secoli
(fig. 1)1, solamente due (quelli del 9 giugno 1638 e dell’8 marzo 1832) sono stati risentiti nella città di Crotone con intensità locale equivalente all’ottavo grado.
Per tale area inoltre non sono note segnalazioni storiche o tracce geologiche di
maremoti, quali quelli che hanno colpito il Golfo di S. Eufemia nel 1638 e nel
1905, lo Stretto di Messina nel 1783 e 1908 e le coste rossanesi nel 1836.
La recente evidenziazione delle tracce di un fortissimo terremoto di età romana (III-IV sec. D.C.) rilevate nell’area archeologica di Capo Colonna, al
quale è da attribuire l’improvviso crollo del tempio di Hera Lacinia e l’abbandono dell’area da parte della popolazione (Galli et al., 2005; 2006), impone la
necessità di rivedere le conoscenze sulla sismicità del sito.
In effetti la documentazione storica scritta raggiunge una sufficiente completezza solo a partire dal secolo XVI, un intervallo certamente significativo
ma ancora troppo breve per permettere di escludere eventi legati a sorgenti sismogenetiche a lungo o lunghissimo tempo di ritorno.
Nella presente analisi quindi, dopo una breve sintesi delle conoscenze finora disponibili sull’evoluzione geodinamica recente dell’Arco Calabro, saranno prese in esame le sorgenti sismogenetiche, note od ipotizzabili in base a
dati geologici, che hanno causato o potrebbero causare risentimenti significativi nell’area di studio, al fine di definire il possibile risentimento massimo nella città di Crotone ed il relativo meccanismo di rottura.
1 Per le notizie macrosismiche storiche, qui e nel seguito si fa riferimento a quanto riportato da Boschi et al. (2000), Bottino (1991) e Scaccianoce (1993).
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2.Inquadramento geodinamico
Come è noto, la Calabria fa parte di
un tipico sistema di subduzione E-vergente (fig. 2), composto da tre elementi principali:
a) una zona esterna ionica, formata
da crosta oceanica di età cretacica, in
fase di flessura e subduzione, secondo
un piano di Benioff da sub-verticale a
molto inclinato con immersione verso
W, che si estende in profondità fino al
largo delle coste tirreniche;
b) un arco cristallino-metamorfico
(Arco Calabro-Peloritano) formato da
elementi di crosta continentale paleozoica e mesozoica in parte accavallati
su elementi di piattaforma appenninica-panormide;
c) un’area di espansione oceanica
Fig. 1 - Epicentri dei terremoti con I0 > VIII
(da Boschi et al., 2000)
attiva nel Tirreno meridionale in posizione di bacino di retro-arco.
L’età del sistema geodinamico Tirreno - Arco Calabro - Ionio è relativamente recente e può essere stimata in circa 9 milioni di anni, a partire cioè dall’apertura, nel Tortoniano medio-superiore, del bacino tirrenico e dal conseguente distacco della microplacca Calabro-Peloritana dal margine meridionale del blocco Sardo-Corso fino a raggiungere la posizione attuale (fig. 3).
Il rapido arretramento della linea di flessura della litosfera ionica in subduzione ha guidato il roll-back dell’Arco verso la zona di avanfossa e la conseguente espansione di retro-arco del Bacino Tirrenico, il quale è andato a col-
Fig. 2 - (da Doglioni, 1991)
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mare lo spazio lasciato libero dalla microplacca calabro-peloritana nel suo avanzamento verso SE (Malinverno & Ryan, 1986).
Dal punto di vista geodinamico l’evoluzione del
sistema è controllata dalla
subduzione passiva della litosfera oceanica ionica, di
età stimata tra 80 e 100 ma,
la quale a spese del proprio
potenziale gravitazionale
fornisce al sistema l’energia Fig. 3 - (da Patacca e Scandone, 1989)
necessaria al mantenimento
nell’area tirrenica delle
deformazioni nell’Arco Calabro e del flusso di calore, con i fenomeni vulcanici associati (Moretti & Guerra, 1997, cum bib.).
Nell’intervallo temporale compreso tra il Tortoniano superiore ed il Pleistocene medio (9-0.7 ma), la velocità di deriva dell’Arco Calabro-Peloritano
verso SE viene stimata in circa 4-5 cm/anno. In questo periodo nel Bacino Crotonese, come in gran parte delle aree litorali ioniche e nella bassa valle del Crati, rimane attiva una modesta subsidenza, controllata da sistemi di faglie normali orientate circa NW-SE, che permette ripetute ingressioni marine con la
conseguente deposizione di una serie di cunei detritici i quali, organizzati in
più sequenze deposizionali, si alimentano dalla catena cristallina già emersa
ed in fase di smantellamento, situata circa in corrispondenza dell’attuale area
silana a nord, delle Serre e dell’Aspromonte a sud.
Nel periodo Pliocene-Pleistocene inferiore i movimenti orogenetici ed il
sollevamento della catena
rimangono relativamente
quiescenti fino al quasi
completo smantellamento
dell’area emersa, di cui rimangono evidenti testimonianze negli ampi altopiani
calabri (Piani di Aspromonte, Serre, Altopiano della
Sila, ecc., rappresentati in
rosa in fig. 4), nei suoli molto evoluti ad essi associati e
nei tratti fossili di molti corsi di acqua che, ora profon- Fig. 4
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damente incassati, conservano tuttavia
l’andamento meandriforme tipico delle morfologie pianeggianti.
In questo periodo di relativa calma
tettonica, la Calabria continua comunque la sua migrazione verso SE. A testimonianza di una ben diversa posizione paleogeografia della regione nel
Pliocene inferiore rimangono, nel Bacino Crotonese, i conglomerati fluviali
della Formazione delle Carvane (Roda,
Fig. 5
1964; Moretti, 1993) alimentati da elementi calcarei o quarzo-arenitici provenienti dall’attuale Appennino meridionale.
Contemporaneamente il paleo-bacino ionico, una volta esteso almeno fino a nord dell’area Lagonegrese (Finetti et al., 1996) viene progressivamente consumato nei suoi settori settentrionali e meridionali fino alla collisione ed all’accavallamento delle unità
appenniniche sopra la piattaforma
Fig. 6
Apula, verso nord, e quella Sicana verso sud.
Si individuano quindi due grandi “binari” litosferici a scorrimento trascorrente (fig. 5) che consentono l’avanzamento differenziale verso E-SE dell’Arco rispetto sia alla catena appenninica (linea del Pollino e linea di Palinuro) che al blocco siculo-maghrebide (linea di Taormina).
All’inizio del Pleistocene superiore (0.7 ma) la dinamica dell’Arco Calabro
cambia in maniera significativa: si attivano forti movimenti verticali (fino a 2
mm/a) che portano la regione ad emergere nella sua configurazione attuale mentre molte delle faglie più antiche, orientate NW-SE vengono sostituite da elementi orientati N-S (Valle del Crati, Faglia del Marchesato, fig. 4). A causa della progressiva chiusura del residuo oceano ionico-lagonegrese verso nord e del
conseguente rallentamento del movimento nei settori settentrionali, la Calabria
si scompone in una serie di grandi elementi crostali (fig. 6) che mostrano, nel
complesso, un avanzamento verso E maggiore nei settori meridionali, dove la
flessura litosferica e la subduzione sono ancora attive, rispetto a quelli settentrionali, dove la placca calabra è oramai giunta, nel Golfo di Sibari, a contatto
con il blocco Apulo.
In questo quadro generale vanno quindi inserite l’evoluzione, la struttura
e l’attività attuale del Bacino Crotonese, al fine di individuare e caratterizzare
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Fig. 7 - Fig. 7 (da Van Dyik et al., 2000)
le possibili sorgenti sismogenetiche in grado di dare risentimenti nell’area, in
generale, e nella città di Crotone in particolare.
3. Il Bacino Crotonese
L’unità geologica nota come Bacino Crotonese (Ogniben, 1955; Roda,
1964; Moretti, 1993) costituisce il blocco maggiormente avanzato verso E della microplacca Calabro-Peloritana, e si configura come un bacino di avanti-arco interposto tra l’asse N-S della catena cristallina ed il sistema dei trust esterni che compongono il cuneo di accrezione attivo nell’off-shore ionico (Finetti & Del Ben, 1986; Van Dyik et al., 2000, vedi fig. 7).
Strutturalmente il Bacino Crotonese è formato da un esteso sistema di semigraben a ribassamento orientale con geometria tipo piggy back, interposto
tra la catena cristallina della Sila ed il sistema dei trust frontali del settore settentrionale dell’Arco Calabro.
Il Bacino si estende sull’area emersa per circa 1.200 km2 e corrisponde circa alla metà meridionale dell’area del Marchesato, ad ovest della città di Crotone. Il suo margine occidentale coincide con la Faglia del Marchesato (fig. 8),
importante elemento crostale N-S attivo a partire dal Pleistocene medio fino
all’Attuale, con geometria normale e ribassamenti verso W fino a 1.000 m.
Lateralmente esso è delimitato,
verso N, dall’imponente sistema di faglie trascorrenti E-W di S.Nicola dell’Alto, attive con rigetti di molte centinaia di metri dopo il Messiniano e, con
ogni evidenza, ancora nel Pleistocene.
Verso sud il limite è meno definito
(fig. 8) in quanto cade nell’area marina; molto spesso esso viene fatto coincidere con l’importante faglia trasforme della Stretta di Catanzaro (Finetti &
Del Ben, 1986; Finetti et al., 1996) che
separa il blocco della Calabria setten- Fig. 8 - (da Moretti, 1993)
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Fig. 9 - Schema stratigrafico del Bacino Crotonese tra la Sila e la foce del Neto (A. Moretti, rilevamenti inediti per la nuova Cartografia
Geologica d’Italia in scala 1:50.000).
trionale da quello meridionale, ed alla cui attività potrebbero essere attribuiti alcuni dei terremoti disastrosi
degli ultimi secoli nell’area.
La stratigrafia del Bacino Crotonese è molto complessa e comprende
una spessa successione di depositi
clastici terrigeni, marnosi, calcarei e
pelitici di età compresa tra il Tortoniano superiore ed il Pleistocene superiore, organizzati in sei sequenze
deposizionali di ordine maggiore,
cinque delle quali corrispondono ad
altrettante fasi di riattivazione tettonica ed una è legata alla crisi di salinità messiniana.
A grande scala la successione
stratigrafica (fig. 9) è composta da
una serie di cunei detritici formati da
5
materiale cristallino e metamorfico Fig. 10 - Evoluzione stratigrafica dei depositi
alimentato dall’area silana, che sfu- neogenici del Bacino Crotonese (da Moretti,
mano progressivamente, procedendo 1993)
verso le coste ioniche, in successioni
arenacee e calcoarenitiche, quindi
marnoso-calcaree ed infine francamente pelitiche nei settori sud-orientali (Cutro, Penisola di Crotone, ecc.).
Le diverse sequenze sedimentarie sono separate da evidenti superfici di
erosione e non-conformità (Unconformity Bounded Sedimentary Units, UBSU) che sfumano, procedendo verso il mare aperto, in alternanze di depositi
arenacei e pelitico-marnosi (fig. 10).
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Nell’estremità sud-orientale del
Bacino, in corrispondenza della Penisola di Crotone, le formazioni pliopleistoceniche sono costituite da una
potente successione di marne argillose,
ciclicamente interrotte da livelli tripolacei e sapropelitici (Colalongo et al.,
1981; Negri et al., 2003, cum bib.); la
sedimentazione è qui evidentemente
continua e solo alcuni livelli arenacei
di origine terrigena segnalano le fasi
erosive e di ringiovanimento tettonico
attive sul bordo occidentale del bacino
(Ogniben, 1973, cum bib.).
Il cuneo sedimentario raggiunge il
suo massimo spessore in corrispondenza del litorale crotonese (fig. 7) e comprende oltre alle argille marnose pliopleistoceniche anche una spessa successione evaporitica, nella quale sono
intercalate grandi falde alloctone di argille scagliose cretaciche messe in posto durante la fase tettonica intramessiniana (Ogniben, 1955 e 1973; Brozini,
1959; Crescenti, 1972).
10:37
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a
b
Fig. 11 - Mappa delle faglie capaci della Calabria. a: tracce degli elementi strutturali in superficie. b: tracce delle sorgenti con attività
certa (rosse) o dubbia (azzurre) nell’Olocene
(da Moretti, 2000).
4. Strutture tettoniche potenzialmente sismogenetiche
La città di Crotone si colloca in posizione quasi equidistante dalle maggiori strutture tettoniche, certamente o potenzialmente sismogenetiche, già note per la regione e riportate nel data-base delle faglie capaci della Calabria (Galadini et al., 2000; Moretti, 2000; figg. 11a e 11b). Nel seguito saranno analizzate le sorgenti più prossime alla città di Crotone in funzione del loro possibile risentimento nell’area urbana.
Faglia del Marchesato (CS8 in fig. 11)
lunghezza: 40 km;
rigetto max: 1.500 m;
slip-rate: 1-2 mm/a;
geometria: dip-slip;
ultima attività nota: Olocene.
Riattivata in occasione dell’evento del 9 giugno 1638.
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È probabilmente la struttura di maggiori dimensioni e più spiccata evidenza sia morfologica che geologica del margine orientale della Calabria.
È di tipo normale, con orientazione circa N-S con rigetto orientale che si
estende per almeno 40 km tra gli abitati di Petilia Policastro e Caccuri-Pallagorio, dove interseca l’elemento trascorrente di S. Nicola dell’Alto (vedi oltre)
perdendo progressivamente evidenza ed importanza cartografica.
Essa mette a contatto le rocce cristalline silane con le peliti di piattaforma
plio-pleistoceniche, con un rigetto complessivo che raggiunge i 1.500 m nella
zona compresa tra gli abitati di Mesoraca e Caccuri. La sua attività inizia non
prima del Pleistocene medio e continua verosimilmente per tutto l’Olocene,
con uno slip-rate medio compreso tra 1 e 2 mm/anno.
Evidenze di movimento lungo questa struttura sono riportate da più fonti
storiche in occasione del grande terremoto del 9 giugno 1638 (Imax = X-XI
MCS, Mw = 6.7). Questa scossa ha infatti riattivato praticamente tutta la struttura in direzione N-S (Di Somma, 1641); in tale occasione sono stati osservati rigetti in superficie di oltre 60 cm; l’evento ha causato anche deformazioni
permanenti e riattivazione di strutture tettoniche tanto nell’area silana (Faglia
dei Laghi, Galli e Bosi, 2003) che nel bacino crotonese (Faglia di M. Fuscaldo, CS9 in fig. 11).
La stessa struttura è verosimilmente all’origine anche del terremoto del 21
marzo 1744 recentemente rivalutato da Scionti e Galli (2005) i quali gli attribuiscono una Mw = 6.2 ed una intensità epicentrale I0= VIII MCS. Le fonti
storiche non riportano comunque fenomeni di riattivazione delle faglie superficiali, ed il sisma fu risentito in Crotone con un’intensità locale del VII-VIII
grado MCS. Il fatto stesso che questo terremoto sia stato “riscoperto” solo molto recentemente dimostra che le fonti originali sono meno abbondanti e note
rispetto ad altri terremoti di energia equivalente, sintomo questo di un’attivazione dell’interesse dell’amministrazione borbonica solo in caso di eventi disastrosi.
L’evento sismico del 9 giugno 1638, pur essendo stato certamente il più
violento tra quelli che hanno colpito il Crotonese dopo il 1600, è stato risentito nella città di Crotone con intensità non superiore all’VIII grado MCS. La
scossa causò il crollo di buona parte delle murature esterne del Castello (già in
cattivo stato) e di molti edifici sia pubblici che privati. Al terremoto seguì dopo breve tempo l’invasione ed il saccheggio dell’area da parte dei pirati ottomani che aggiunsero ulteriori danni a quelli causati dall’evento sismico e contribuirono a confondere le fonti storiche (Valente, 2004, cum bib.).
Il danneggiamento relativamente moderato subito dalla città in quell’occasione (ricordato ancora oggi nella Processione della Madonna di Capo Colonna) e, più in generale, la rapida attenuazione dell’intensità danno procedendo dall’area epicentrale (margini orientali della Sila) verso est, ben evidente dall’osservazione del piano quotato macrosismico, può essere ricondotto a valori molto bassi del fattore di qualità.
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Al terremoto viene attribuito (Gruppo di Lavoro CPTI, ) un valore di magnitudo equivalente Me = 6.8, compatibile con quelli massimi ipotizzabili per
una struttura sismogenetica delle stesse dimensioni. È quindi probabile che il
danno storicamente osservato corrisponda al massimo prevedibile per la sorgente sismogenetica in esame.
Faglia di S. Nicola (CS12 in fig. 11)
lunghezza: 20 km;
rigetto max: 500 m;
slip-rate: ?;
geometria: strike-slip;
ultima attività certa: Pleistocene inf.
Non sono note riattivazioni in epoca storica.
Nonostante sia evidente la sua attività durante il Pleistocene e, probabilmente, l’Olocene, non esistono notizie storiche su terremoti di un certo rilievo
associabili a questa struttura. La sismicità strumentale rilevata nell’area negli ultimi 25 anni d’altra parte non aiuta ad individuare particolari trend che servano
a definire una relazione tra sismicità attuale e struttura geologica (figg. 12-14).
In ogni caso, sia per dimensioni (e conseguente potenziale sismogenetico)
che per localizzazione difficilmente questa struttura potrebbe dare risentimenti significativi a Crotone.
Fig. 12 - Mappa degli epicentri registrati nell’area dal 1986 al 2006
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Fig. 13 - Mappa degli epicentri registrati dal 1986 al 2006 con n. dati >8 ed rms < 1.0
Fig. 14 - Fig. 14: Mappa degli epicentri registrati dal 1986 al 2006 con n. dati >8, rms < 1.0 e
m > 3.0
“Struttura di Cutro”
Tra tutti i terremoti forti in epoca storica, solo quello dell’8 marzo 1832
(fig.15) si localizza in una zona non direttamente interessata da sistemi di faglie evidenti in superficie (fig. 16).
In effetti, l’unica struttura recente di una certa entità ricadente nell’area
mesososmica (alto di Steccato, fig. 11a) non sembra sufficiente da sola a giustificare un evento di così elevata energia.
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L’area di massimo danneggiamento ricade in quella vasta estensione di
plaghe argillose plio-pleistoceniche,
note con il nome formazionale di Argille di Cutro (Roda, 1955), che copre
l’intera penisola di Crotone fino all’altezza del margine silano (figg. 8-10),
dove i depositi neogenici si appoggiano in trasgressione, con geometria onlap, sul basamento cristallino.
Fig. 15 - Distribuzione delle intensità per il terNel settore centrale questa coltre
remoto dell’8 marzo 1832 (da Boschi et al
2000) rivista in base all’analisi di alcune fonti plio-pleistocenica raggiunge circa
1000 m di potenza (Roda, 1964 e 1970;
storiche originali
Moretti, 1994; Moretti, rilevamenti
inediti CARG) fino a un massimo di
1743 m attraversati nel pozzo Scandale 1 (Crescenti, 1972).
La sottostante successione tortoniano-messiniana, formata da unità
terrigene, pelitiche ed evaporitiche,
spesso interessate da vaste impregnazioni di idrocarburi e ricoperte tettonicamente dalle falde alloctone delle
argille scagliose cretacee, è stata attraversata per circa 1200 m nel pozzo
Capo Cimiti 1, cui seguono oltre 800
m di marne ed arenarie serravalliane;
Fig. 16
la base pozzo, situata alla progressiva
2972, non raggiunge il substrato.
Al largo delle coste crotonesi i depositi plio-pleistocenici raggiungono i
3000 m. di profondità e sono coinvolti nelle estese deformazioni e trust del cuneo di accrezione ionico insieme alle potenti successioni evaporitiche, alle falde alloctone cretacee (liguridi) ed ai sedimenti della copertura ionica.
Si tratta nel complesso di una copertura di sedimenti relativamente plastici (soprattutto le argille scagliose e le evaporiti messiniane) in grado di assorbire buona parte delle eventuali deformazioni profonde, mascherandone la
traccia sul terreno. È anche da considerare la possibilità che fenomeni di rifrazione e scollamento in corrispondenza dei livelli evaporatici portino il piano
di faglia ad emergere, con giacitura molto inclinata, nell’area marina del Golfo
di Squillace.
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5. Struttura di sottosuolo
La più recente sintesi dei dati di sottosuolo relativi all’area crotonese è dovuta a Van Dijk et al. (2000). La sezione riportata in fig. 17, evidenzia la presenza in profondità di un elemento crostale appenninico-panormide, sormontato ad ovest dalle successioni ofiolitifere liguridi e dalle falde cristalline Calabridi, ed accavallato a sua volta verso est sopra la placca ionica in sottoscorrimento, con una evidente rampa frontale.
Fig. 17 - Sezione stratigrafica (da Van Dijk et al., 2000).
In corrispondenza di quest’ultima è evidente una marcata struttura positiva (pozzo Campana 1), che emerge in corrispondenza delle coste ioniche. Il
prisma di accrezione esterno, formato da depositi terrigeni mio-pleistocenici e
sedimenti pelagici scollati dal substrato oceanico ionico, raggiunge i 15 km di
profondità.
La sezione riportata in fig. 17 è stata tracciata alcuni km a nord dell’area
di maggiore interesse specifico, ma la sua struttura è estrapolabile fino ai margini meridionali della Penisola Crotonese. Brozini (1959) evidenzia infatti la
presenza in sottosuolo di due strutture positive, allungate in direzione N-S, corrispondenti all’allineamento Capo Cimiti-Capo Colonna-Crotone la più esterna, all’allineamento S. Leonardo di Cutro-Cutro la più interna, in corrispondenza delle quali il top della serie evaporitica raggiunge la profondità di poche
centinaia di metri.
6. Analisi della sismicità strumentale
Per tentare di individuare e caratterizzare la possibile sorgente del terremoto in esame e correlarla con strutture tettoniche di sottosuolo, si è utilizzata la sismicità strumentale registrata nell’ultimo ventennio (fig. 14). Le informazioni rappresentate sono quelle presenti nell’archivio della Rete Sismica
Regionale della Calabria gestita dal Dipartimento di Fisica dell’UniCal. Le lo-
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calizzazioni vengono eseguite utilizzando oltre alle registrazioni di tale rete,
anche quelle rese disponibili da altre organizzazioni scientifiche, prima delle
quali è ovviamente l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
L’andamento in Calabria delle strutture crostali è difficilmente schematizzabile con la stratificazione piana-parallela che negli algoritmi più frequentemente utilizzati per le localizzazioni ipocentrali rappresenta il mezzo interessato dalla propagazione delle onde sismiche. All’Università della Calabria è
stato quindi messo a punto il codice di calcolo LME97 (Guerra, 1998) che consente di costruire per ciascun allineamento sorgente – stazione sismica un differente modello a velocità costante e con strati delimitati da interfacce piane
con inclinazione variabile. Il modello di velocità è stato costruito con un laborioso processo trial and error. È da tener presente che indipendentemente dai
dati e dai mezzi di calcolo utilizzati, un vincolo abbastanza pesante alla qualità ed affidabilità dei risultati deriva dalla configurazione geometrica della rete dei punti osservazione che, nelle situazioni ottimali dovrebbero circondare
la sorgente. È abbastanza facile convincersi che in Calabria, ed in particolare
nell’area del Crotonese, una tale configurazione è, allo stato, impossibile da
realizzare.
Recentemente Barberi et al. (2004) hanno messo a punto mediante tecniche tomografiche un modello tridimensionale di velocità valido per tutto l’Arco Calabro-Peloritano e per i mari adiacenti. Per le motivazioni geometriche
sopra richiamate, la crosta sotto il Crotonese risulta essere scarsamente campionata dai raggi sismici di cui sono stati utilizzati i tempi di percorso per cui
in tale area l’affidabilità anche del modello tomografico risulta al di sotto del
livello che caratterizza la parte assiale della regione indagata. Il confronto tra
il catalogo sismico ottenuta con le tecniche classiche e quelle tomografiche più
moderne non comporta differenze sostanziali.
Di particolare utilità riesce ai fini del discorso in atto una sequenza sismica verificatasi tra il 22 ed il 30 ottobre 2002, la cui localizzazione risulta praticamente in perfetta sovrapposizione con l’area mesosismica del terremoto
del 1832 (fig. 18).
In tale periodo sono state registrate in totale alcune centinaia di scosse, solo per 44 delle quali è stato possibile effettuare la rilocalizzazione dell’ipocentro, utilizzando sia le registrazioni digitali delle stazioni della Rete Sismica dell’Università della Calabria, sia quelle, disponibili in rete, dell’INGV.
Allo scopo specifico, con la rinuncia ai dati provenienti dalle stazioni più
lontane e la definizione di un modello di velocità locale di maggiore dettaglio,
è stato possibile ridurre in maniera significativa scarti sui tempi di percorso ed
incertezza sulle localizzazioni. Tutte le scosse utilizzate per le analisi hanno
rms inferiore a 0.5 sec (mediamente 0.2); al solito, le maggiori incertezze sulle localizzazioni derivano dalla geometria della rete locale, per cui la maggior
parte delle scosse presenta un gap nella copertura angolare superiore a 200°;
solamente nella fase finale della sequenza sismica è stato possibile installare
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una stazione temporanea nella città
di Crotone; le poche scosse registrate hanno confermato la sostanziale coerenza e l’ottima qualità
a
delle localizzazioni effettuate.
La sequenza inizia il giorno 22
ottobre 2002 alle ore 04:49 (TUC)
con una scossa di magnitudo 2.8,
seguita da alcune minori. Alle ore
09:03 si verifica l’evento principale, di magnitudo 3.4, avvertito viob
lentemente nella città di Crotone;
Fig. 18
l’ipocentro viene localizzato al di
sotto dell’area urbana, ad una
profondità di circa 7 km. L’attività si esaurisce rapidamente nel pomeriggio
dello stesso giorno, con epicentri che si spostano progressivamente verso W,
fino a raggiungere i versanti della Sila (in rosso in fig. 16).
Il giorno 25 Ottobre 2002, alle ore 08.44, sempre nell’area silana e sul prolungamento dello stesso allineamento, si verifica una scossa isolata (mL = 2.9),
localizzata ad una profondità di 25 km. L’attività riprende energicamente alle
ore 20.42 dello stesso giorno, con una scossa di magnitudo 3.5, localizzata alcuni km a SW di Crotone, in prossimità dell’abitato di Cutro, seguita da numerosissime repliche: in poco più di due ore si verificano oltre 80 scosse, quattro delle quali di magnitudo superiore a 3 e 12 superiore a 2.5. La sequenza (in
azzurro in fig. 16) ricalca l’andamento spaziale e temporale delle scosse avvenute il giorno 22, esaurendosi rapidamente nel pomeriggio del 26 e spostandosi progressivamente verso W. Nei giorni successivi si verificano alcune
piccole scosse nell’area marina antistante le coste crotonesi.
Fig. 18
7. Distribuzione della sismicità
Le due sequenze (22 e 25-26 ottobre) si localizzano praticamente secondo
le stesse coordinate spaziali, tanto da giustificarne l’attribuzione alla stessa
sorgente sismogenetica; nel seguito saranno quindi trattate come una sequenza unica, continuando solo a distinguerne i fuochi con colori diversi; è da notare, genericamente, una minore profondità media dei fuochi del 22 (in rosso)
rispetto a quelli del 25-26 ottobre (in azzurro).
La distribuzione degli epicentri evidenzia chiaramente un allineamento circa E-W che si estende per circa 50 km dalle coste ioniche fino al massiccio silano. La maggiore concentrazione di epicentri, coincidente con gli eventi di più elevata energia, si verifica nell’area compresa tra le città di Cutro e Crotone, in perfetta corrispondenza con l’area di massima distruzione del terremoto del 1832.
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La struttura sismogenetica, proiettata secondo un piano circa N-S (fig.
18a), evidenzia un andamento sub-verticale con una distribuzione in profondità compresa tra 7 e 32 km; la maggior frequenza di ipocentri si ha a profondità superiori a 15 km.
A causa della sua relativamente notevole estensione longitudinale (50 km)
e della profondità degli ipocentri, che raggiunge verosimilmente la Moho, è evidente che la struttura sede della sequenza svolge il ruolo di elemento crostale di
importanza regionale, ed appare dimensionalmente in grado di produrre rilasci
di energia compatibili con quello del terremoto del 1832 (Me = 6.6).
In base alla sua orientazione circa E-W ed alla giacitura subverticale è ragionevole interpretare la struttura con un elemento tettonico con cinematica
trascorrente, analogo e sub-parallelo alla grande faglia trasforme della Stretta
di Catanzaro e ad altri elementi trasversali all’Arco Calabro da tempo ben noti in letteratura (Finetti e Del Ben, 1986). La cinematica trascorrente ipotizzabile per la struttura sulla base della geologia di superficie e del contesto geodinamico può giustificare anche la mancanza di evidenti dislocazioni verticali in corrispondenza dell’area mesosismica.
Ancora più interessante è la distribuzione verticale dei fuochi dei terremoti, evidenziata in fig. 18b: dalla sezione si evincono immediatamente due principali concentrazioni di ipocentri, riattivate entrambe nel corso sia del 22 che
del 25-26 ottobre. Le due concentrazioni delineano due strutture immergenti
verso W di cui la maggiore, orientale, che si estende in continuità tra la città
di Crotone e l’abitato di Cutro, varia tra le profondità di 7 e 32 km con una inclinazione di circa 40°.
È interessante osservare che l’andamento degli ipocentri del 2002 ricalca
quello di un’altra sequenza sismica avvenuta in un’area, poco a N da quella descritta, che pure è stata rianalizzata. In questo caso non è stato possibile rileggere le registrazioni originali, in quanto essa si è verificata prima dell’introduzione del digitale nel sistema di registrazione della Rete Sismica della Calabria. Allo stesso modo non sono disponibili le registrazioni digitali dell’INGV. Essa infatti (fig. 19) risale al 24-30 gennaio 1990: Ebbe inizio alle ore
04.45 con una scossa principale di magnitudo 4.0, localizzata a notevole
profondità (29 km), che venne avvertita nettamente in tutto l’entroterra crotonese, leggermente a Cosenza e Catanzaro; mancano notizie di risentimenti nella città di Crotone, il che non esclude che vi siano stati.
Come nel 2002 la scossa principale è stata preceduta da un foreshock di magnitudo 2.9 circa un’ora prima, con epicentro localizzato al di fuori dell’allineamento visibile in fig. 20, circa 12 km a SW del mainshock; in questo stesso punto si sono succedute altre repliche, inframmezzate a quelle dell’allineamento.
Malgrado l’assenza di registrazioni digitali, è stato possibile rilocalizzare
21 scosse di buona qualità, in genere con rms inferiore a 0.5 secondi. La distribuzione degli epicentri evidenzia anche in questo caso un marcato allineamento in direzione circa E-W, con profondità ipocentrali variabili tra 17 e 35
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km. Proiettando gli ipocentri su di una
sezione verticale EW, colpisce immediatamente l’analogia con la precedente, salvo la maggiore estensione
delle barre di errore riportate: anche in
questo caso sono presenti due concentrazioni di fuochi, ed in particolare
quella più orientale mostra una geometria inclinata di circa 40° verso ovest sorprendentemente simile a quella
della sequenza del 2002.
Il meccanismo focale, se pur otteFig. 19
nuto con 21 polarità, evidenzia nettamente un movimento trascorrente secondo un piano subverticale circa EFig. 19
W, facilmente correlabile con quello
su cui giacciono i fuochi dei microterremoti.
Sembra ragionevole interpretare gli
allineamenti evidenziati dalla sequenza
del 2002 come strutture a maggiore
coefficiente di attrito, in grado di nucleare gli ipocentri degli eventi sismici
nel corso dello scorrimento progressivo. Come ipotesi di lavoro, tali strutture, per la loro posizione e per l’assenza
di altri evidenti allineamenti dopo quaFig. 20
si 30 anni di osservazioni strumentali
Fig. 20
potrebbero essere assunte come sorgenti del terremoto di Cutro del 1832.
Dal punto di vista spaziale (fig. 20), la struttura lineare evidenziata in sezione dagli ipocentri si colloca in corrispondenza del fronte di accavallamento delle falde cristalline e metamorfiche calabre sopra il prisma di accrezione
ionico (Van Dijk et al., 2000; Moretti & Guerra, 1997); essa quindi potrebbe
essere correlata con un netto cambiamento litologico.
8. Considerazioni ed individuazione del terremoto di riferimento
In base ai dati e alle considerazioni esposte, l’energia liberata in occasione del terremoto del 9 giugno 1638 (m = 6.8) è verosimilmente prossima a
quella massima ipotizzabile per una struttura delle dimensioni e con la cinematica descritta: sono quindi improbabili per la città di Crotone risentimenti
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di intensità maggiore del grado VIII-IX provenienti dalle strutture localizzate
sul margine silano.
Al contrario, non è da escludere che la riattivazione di strutture analoghe
a quelle che distrussero Cutro nel 1832 o, in epoca romana, Hera Lacinia, probabilmente identificabili con la sede della sismicità strumentale precedentemente descritta, possano esprimersi anche con eventi di più elevata energia, la
cui magnitudo può essere ipotizzata fino a circa 7.0.
In fase di modellazione numerica è pertanto opportuno prendere in considerazione entrambe queste possibili sorgenti.
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A. Scerra
Il modello geologico-tecnico del sottosuolo di Crotone
1. Introduzione
Nell’ambito del programma per la messa in sicurezza dei siti urbani a rischio
sismico, il Comune di Crotone ha avviato delle azioni per la microzonazione sismica del centro urbano. A tal riguardo è stato eseguito un programma di indagini geognostiche concentrato in definiti punti di monitoraggio del centro urbano, ritenuti significativi per l’analisi della pericolosità sismica di base. Per la definizione della risposta sismica locale sono stati eseguiti indagini specifiche per
la ricerca delle caratteristiche geologico-tecniche dei terreni di riferimento.
Questi vengono riassunti negli aspetti di seguito trattati:
– rilevamento di superficie per la descrizione morfologica, la geologia delle
formazioni in affioramento e andamento dei limiti delle stesse formazioni;
– individuazione e definizione delle unità litotecniche sulla base delle conoscenze geologico-tecniche acquisite.
Nel seguito si analizzano i risultati ottenuti dai 10 punti di monitoraggio,
opportunamente interpretati e sintetizzati a supporto della costruzione di un
database di riferimento per l’individuazione e delimitazione di zone sismicamente omogenee.
2. Il territorio di analisi
L’area di analisi coincide con una porzione del territorio comunale di Crotone compresa tra la strada SS 106 posta ad ovest ed il mare posto ad est.
Il nucleo storico della città di Crotone ricade in aree prevalentemente collinari, mentre lo sviluppo urbanistico dal dopoguerra ad oggi ha interessato
prevalentemente aree pianeggianti della valle del fiume Esaro (foto 1).
L’apparato urbanistico si sviluppa su quote altimetriche comprese tra 2 m
(S. Antonio, Vvia Acquabona) e 45 m s.l.m. (Via Libertà). Le quote più ele-
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Foto 1 - Il paesaggio e l’abitato di Crotone
vate corrispondono ai rilievi collinari argillosi, mentre la parte pianeggiante ne
rappresenta i depositi alluvionali dell’Esaro e dei fossi minori. L’attuale
conformazione geografica è il risultato in una intensa attività tettonica che,
partendo dal Pliocene medio, porta ad una ingressione marina su buona parte
del bacino di sedimentazione Crotonese con conseguente deposizione delle argille marnose della formazione di Cutro; questa costituisce i rilievi collinari e
il substrato su cui poggiano i depositi alluvionali recenti di fondo valle; successivamente, nel Pleistocene superiore, si depositano le sabbie di litorale e costiere, segnando l’inizio dell’ultima regressione marina che porta alla formazione delle superfici terrazzate di abrasione marina.
Il territorio di Crotone è interessato da uno stile tettonico determinato da
direttrici prevalenti NE-SO e SE-NO, in linea con le grandi dislocazioni della Calabria e dell’Appennino Meridionale. I veloci movimenti verticali PostCalabriani, risultando attivi anche dopo il Tirreniano, portano alla formazione di linee di dislocazione tettonica, interessando sia i termini pliocenici che
i termini pleistocenici della formazione di Cutro nonché i terrazzi morfologici di abrasione marina, posti in trasgressione sulle stesse argille. Il Bacino
Crotonese è stato interessato in un recente passato da eventi sismici distruttivi. Le osservazioni sismiche più significative e abbastanza conosciute dalla
popolazione si sono verificate rispettivamente la notte del 9 giugno 1638 (scala MCS IX) e la sera del 8 marzo 1832 (scala MCS IX). Gli episodi confer-
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mano che il territorio di Crotone è abbastanza interessato a crisi geosismiche
di una certa intensità.
3. Inquadramento geomorfologico
Il centro urbano di Crotone è situato in una fascia di territorio compresa tra
i rilievi argillosi plio-calabriani della dorsale di Vrica e il mare interessando,
inoltre, ampie porzioni di territorio del fondo valle del fiume Esaro e degli affluenti minori. La configurazione del territorio di studio è da collegare principalmente a processi morfogenetici connessi all’attività tettonica a valenza locale e regionale, oltre a processi morfogenetici secondari, tipici dei litotipi in
affioramento.
L’attività tettonica ha determinato, in particolare, dislocazioni a blocchi
dei termini pliocenici, formando ampie depressioni sulle quali si sono successivamente impostate le valli principali; tra queste la valle del fiume Esaro si
imposta su di una faglia ad andamento circa N-S, costituendo un elemento di
debolezza strutturale del territorio essendo una struttura sismogenetica e, nel
contempo, linea preferenziale di approfondimento dell’azione erosiva delle acque; a nord, la grande pianura costiera che si protrae fino alla foce del Neto ha
origine dal colmamento per l’accumulo dei sedimenti di una paleoscarpata che
delimitava una antica linea di costa posizionata lungo l’allineamento NNOSSE (allineamento in direzione borgo Bucchi-case Tre Chiese-MargheritaMutrò-Cuvelli).
Verso sud, l’alto strutturale della monoclinale di Vrica, si imposta a formare una dorsale che separa il mare dalla valle del fiume Esaro. La tettonica
ha determinato, nelle grandi linee, l’attuale configurazione morfologica sulla
quale l’azione di modellamento degli agenti esogeni in genere ha sovrimposto le forme e i processi morfogenetici secondari. I processi erosivi locali si
impostano sui rilievi collinari argillosi che degradano dai costoni della dorsale di Vrica, verso l’ampia pianura alluvionale che si protrae fino alla litoranea e, inoltre, sul terrazzo marino caratterizzato da ampi pianori (Pianoro di
Vrica - 160 m s.l.m.). Il paesaggio è interessato da forme tipiche, proprie delle argille azzurre soggette ad intensa erosione e da forme associate a depositi di fondo valle, con fossi e canali dei corsi d’acqua incassati sulla pianura
alluvionale. A monte si impostano costoni a forte pendenza dai quali si diramano con fitte incisioni le forme calanchifere, mentre procedendo più a valle, le forme evolvono in cupole o forme mammellonate, a volte associate e disposte a gradinata. Ai piedi di queste morfosculture si formano piattaforme
argillose di depositi colluviali, generalmente incisi da piccoli rivi. Le forme
rilevate verso il fondo valle si addolciscono formando superfici piane a debole pendenza che degradano verso forme pianeggianti molto ampie in prossimità dei principali corsi fluviali; qui, le superfici sono interessate da un de-
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dalo di piccole incisioni che convergono a valle nei fossi principali. I tratti
vallivi, invece, risultano caratterizzati da un fondovalle relativamente piatto
con pendenze d‘insieme regolate dai corsi d’acqua, di ampiezza molto variabile a seconda dei fattori morfologici e/o antropici. I processi erosivi più spinti e le forme che ne derivano sono maggiormente localizzati nella parte più rilevata dei versanti; ciò è da mettere in relazione al comportamento plastico
dell’argilla in coincidenza degli eventi piovosi, in funzione della pendenza,
oltre all’esposizione e alla stratificazione presente all’interno dell’ammasso
argilloso più compatto.
La litologia argillosa influenza i fenomeni gravitativi di versante; i materiali argillosi, spesso, possono diventare molto plastici e dare luogo a fenomeni di soliflusso diffusi soil creep. La dinamica gravitativa si concentra nelle fasce collinari di versante, interessando entità volumetriche di terreno molto
contenute e limitate solamente alle parti più superficiali; movimenti gravitativi profondi, invece, sono concentrati principalmente lontano dal centro abitato (es. loc. Carbonara) e sono riconducibili al sollevamento neotettonico che
ha portato all’attuale configurazione del territorio.
Infine, nei litotipi calcarenitici del terrazzo marino i fenomeni di dissesto
sono rappresentati da distacchi anche di grosse dimensioni che generano accumuli detritici lungo i versanti.
Foto 2 - Il centro urbano di Crotone visto dal culmine delle colline di Vrica
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4. La geologia
Il centro urbano di Crotone occupa geologicamente la porzione sud orientale del bacino sedimentario Crotonese in cui sono presenti formazioni argillose e sabbiose giovanissime d’origine marina e, in minima parte, continentale da ascrivere al Pliocene e al Calabriano e, in parte, al Pleistocene superiore
e all’Olocene. I terreni più antichi affiorano come rilievi collinari e costituiscono la formazione argillosa di Cutro, la più estesa del territorio, di cui vasti
affioramenti sono presenti a sud del centro urbano. Al culmine dei rilievi collinari si trovano, trasgressivi sulle argille, i depositi arenacei del terrazzo marino di Vrica. La parte pianeggiante, invece, è rappresentata dai depositi alluvionali recenti del fiume Esaro e dei torrenti Pignataro e Passovecchio.
Il substrato profondo presenta fino a 400 m argille grigio-azzurre della formazione di Cutro (Pliocene medio), da 400 m fino a 1.200 m argille grigio-azzurre con rare intercalazioni di sabbie della formazione dei Cavalieri, (Pliocene inferiore), da 1.200 m a 1.280 m il conglomerato delle Carvane, da 1.280
m a 1.500 m arenarie, argille sabbiose e gessi del Messiniano.
La struttura geologica è rappresentata da una monoclinale, con principali
linee di dislocazione tettonica che interessano i termini plio-pleistocenici della formazione di Cutro fin dentro i terrazzi morfologici di abrasione marina.
In alcuni casi, le unità litologiche e, in modo particolare quelle terrazzate,
risultano ampiamente dislocate in due o più superfici da diversi sistemi di faglie di tipo distensivo con rigetti variabili da pochi centimetri a 1-2 m e da fratture distensive con direttrici tettoniche principali: ENE-WSW, NNE-SSW e,
subordinatamente, E-W, NW-SE e NNW-SSE; tra queste, la direttrice NNESSW è rappresentata dalla Faglia di Parasinaci, posta a sud del centro urbano;
questa presenta un rigetto dell’ordine di decine di metri, andando a ribassare
il settore sud orientale, portando a NW in affioramento le argille plio-pleistoceniche del basamento.
La Faglia dell’Esaro, con direttrice NNW-SSE, ribassa i termini pliocenici portandoli a contatto con i termini pleistocenici del terrazzo di S. Biagio. La
visione delle unità litologiche principali è dal più antico al più recente:
Formazione delle argille marnose di Cutro (Pliocene inf.-Calabriano)
L’unità litologica è rappresentata da una potente ed estesa formazione di argille siltose e/o marnose da grigio chiaro a grigio azzurro con a volte intercalati
livelli sabbiosi e laminitici. Nelle intercalazioni laminitiche la stratificazione è
abbastanza evidente presentando direzione N 5°-10° E ed immersione 8°-15°
NO. La formazione, in tutta la sua completezza dei termini pliocenici (località
Semaforo - Stuni) e calabriani (rilievi collinari del centro cittadino) è rappresentato da uno spessore complessivo di circa 500 m e affiora a formare i rilievi collinari della dorsale principale di Vrica, lungo la direttrice Crotone-Capocolonna,
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mentre nella parte pianeggiante della città il litotipo costituisce il substrato
profondo, obliterato dalla coltre detritica alluvionale. I dati rilevati evidenziano
un andamento irregolare del top del substrato argilloso, con approfondimento
dello stesso verso NNW, molto probabilmente collegato alla presenza di allineamenti tettonici. Nella carta geolitologica (fig. 1) la formazione è contrassegnata con la sigla AL, campitura a tratti e colorazione grigio chiaro.
Membro limoso argilloso di alterazione superficiale
Negli spessori posti in superficie la formazione delle argille marnose a volte presenta sfumature di colore avana, associata alla degradazione (eluvium) e/o
rideposizione dello spessore dilavato (colluvium). La sua composizione granulometrica è prevalentemente argilloso limosa; presenta una colorazione variabile dal grigio, al nocciola, al marrone scuro e, a volte, presenta intercalazioni
sabbiose. Lo spessore aumenta procedendo verso valle e, generalmente, nei
punti dove le pendenze sono basse; il dato è stato accertato nei sondaggi eseguiti dove si sono evidenziati spessori max di 6 m, prima di intercettare la roccia argillosa integra; lateralmente, il passaggio alla formazione detritica della
pianura alluvionale avviene in modo graduale con interdigitazioni degli strati e
aumento della frazione sabbiosa. Nella carta geolitologica (fig. 1) il litotipo è
evidenziato con la sigla LA - AL, campitura a tratti e colorazione grigia;
Membro sabbioso intercalato alle argille marnose
In alcuni punti il passaggio alle argille del substrato è preceduto da spessori di sabbie argillose e/o argille sabbiose intercalati nelle argille compatte,
rappresentando lo spessore un membro della formazione in eteropia di facies;
il litotipo si presenta con alternanze di sabbie e argille di spessori anche superiori ai 10 m. Nella carta geolitologica (fig. 1) il litotipo è evidenziato con la
sigla SA, campitura a tratti e colorazione grigio chiara;
Depositi arenacei dei terrazzi marini (Pleistocene superiore)
Al culmine dei rilievi del territorio di Crotone a volte affiorano, trasgressivi sulle sottostanti argille grigio azzurre, estesi depositi arenacei di terrazzo
marino ascrivibili sia al Crotoniano (Terrazzi di Vrica, Parasinaci, Semaforo,
S. Biagio-I ordine, 242-125 m s.l.m.) che al Neotirreniano (Terrazzo del Bastione Castello, V ordine di terrazzamento 40-10 m s.l.m.), questo rappresentato dal lembo di terrazzo che coincide con il culmine del Bastione Castello,
per tutta la sua estensione obliterato dalle costruzioni del centro storico. Il deposito risulta essere costituito da una successione di sabbie e conglomerati con
a volte livelli arenacei fortemente cementati nei termini sia arenacei bioclastici che nei termini calcarenitici biocostruiti a cemento calcareo. Lo spessore
dell’unità litologica è variabile e, comunque, compreso tra 5-7 m (Vrica-S.
Biagio-Semaforo) e i 15 m (Bastione Castello, Piazza Albani); nella cartogra-
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Fig. 1 - Carta geolitologica
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fia allegata l’unità litologica è rappresentata dalla sigla SC con una campitura
puntinata e una colorazione marrone. Il litotipo arenaceo si presenta per un certo spessore a comportamento litoide. È stato attraversato nel sottosuolo del
centro storico (Piazza Castello, Piazza Albani)
Membro arenaceo di alterazione
Superiormente alla parte litoide del litotipo si sovrappone il termine poco
o mediamente addensato del deposito costituito da una successione di sabbie
con livelli arenacei. Nella carta geolitologica (fig. 1) è individuata all’interno
della SC che costituisce la formazione principale.
Depositi alluvionali di fondo valle (Recente)
L’unità litologica corrisponde ai terreni di colmata, trasgressivi sul substrato argilloso; affiora nell’intera superficie comunale, occupando ampie porzioni
di territorio pianeggiante dei fondo valle. La sua origine è da collegare all’erosione e rideposizione delle argille azzurre plio – calabriane dei rilievi e dei terrazzi arenacei. Il litotipo è costituito da una successione di limi, argille e sabbie
(spessore >3 m), con il termine prevalentemente argilloso presente generalmente a monte, a ridosso delle zone pedecollinari, costituendo generalmente lo spessore superficiale della successione. Più a valle, dove la pianura si apre verso il
litorale, il deposito si arricchisce della componente sabbiosa, per poi passare in
prossimità del mare ad un deposito sabbioso sciolto. Lo spessore di questi depositi alluvionali varia in funzione della distanza dai rilievi argillosi, passando
dai 2 m in prossimità dei rilievi collinari agli oltre 20 m al centro della pianura
per passare poi, in alcuni casi, anche ad oltre 30 m in prossimità della foce del
fiume Esaro. Nella carta geolitologica (fig. 1) è indicato con la sigla L-LA, S-SL
a seconda della prevalenza nello spessore rispettivamente di argille o sabbie.
Membro limo argilloso, subordinatamente sabbioso
Il litotipo corrisponde allo spessore di terreno alluvionale, a prevalente frazione argillosa (L-LA), soprastante il substrato argilloso. Lo spessore rilevato
nei sondaggi eseguiti varia a seconda della posizione della verticale ispezionata rispetto al bacino di sedimentazione e sembrano essere presenti in corrispondenza delle aste dei principali corsi d’acqua Generalmente aumenta procedendo verso la pianura e verso mare, dove nella parte più superficiale passa
al litotipo alluvionale S-SL a prevalente componente sabbiosa. Lo spessore max
attraversato nei sondaggi eseguiti è stato riscontrato in S42 (piazzetta Pescheria), dove lo spessore di circa 9 m è chiuso in superficie da 6 m di alluvioni SSL. Nel territorio comunale, nella parte centrale della pianura dell’Esaro (loc.
Lampanaro) sono stati attraversati fino a 14 m di alluvioni limose, prima di passare alle sottostanti sabbie (S38). Nella carta geolitologica (fig. 1) è contrassegnato dalla sigla L-LA con una campitura a righe e una colorazione grigia
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Membro sabbioso, subordinatamente limo sabbioso
il litotipo corrisponde al termine prevalentemente sabbioso presente nelle
alluvioni di fondo valle. Lo spessore aumenta procedendo verso mare e, a volte, costituisce lo strato a diretto contatto con le argille azzurre del substrato,
come riscontrato nei sondaggi S44 Fossato S. Francesco, S47 Via interna marina, S48 Vaglio Cavaliere; in questo ultimo lo spessore trasgressivo sulle sottostanti argille è di 10 m; Nella carta geolitologica (fig. 1) è contrassegnato dalla sigla S-SL con una campitura a puntini e una colorazione arancione.
Depositi di litorale, alluvioni mobili e riporti (Attuali)
L’unità litologica comprende i depositi attuali di spiaggia, le dune costiere oltre alle alluvioni ed ai vari riporti antropici; i sedimenti di spiaggia e le dune corrono parallelamente alla linea di costa e, occasionalmente, sono obliterati dalla sovrapposizione dei depositi alluvionali recenti. La granulometria del
deposito varia dalle ghiaie, alle sabbie, risultando molto spesso monogranulare con presenza, a volte, di frammenti fossili. Il loro spessore è variabile e, comunque, non superiore ai 3 m. Nella cartografia allegata il deposito di litorale
è contrassegnato da una campitura a puntini e colorazione gialla. Le alluvioni
mobili rappresentano i sedimenti legati all’attuale regime idrogeologico; sono
presenti lungo gli alvei degli attuali corsi d’acqua; sono costituiti da sedimenti dei terreni erosi di recente e trasportati verso valle e verso mare. La loro natura granulometrica varia dalle argille, alle sabbie, alle ghiaie. Nella cartografia allegata il deposito di litorale è contrassegnato da una campitura a foglie e
colorazione verde. I riporti, infine, costituisco il prodotto dei materiali di risulta delle varie attività umane; in genere, sono costituiti da terreni per lo più
sciolti di natura prevalentemente argillosa oppure costituito da materiale di risulta frammisto a rifiuti di diversa composizione merceologica. Nella carta
geolitologica (fig. 1) è contrassegnato con una campitura a foglie e colore verde scuro. Lo spessore, in alcuni casi, supera anche i 10 m e coincide con aree
di stoccaggio abbastanza riconosciute.
5. Caratterizzazione delle classi litotecniche
Per la mappatura di microzonazione sismica del centro urbano sono state
condotte indagini in situ e di laboratorio con l’obiettivo di determinare le caratteristiche geotecniche dei terreni investigati, utili alla definizione delle classi litotecniche per l’individuazione delle zone omogenee dal punto di vista della risposta sismica. Dopo aver scelto n. 10 punti stazione di monitoraggio distribuiti in varie zone del centro urbano, sono stati eseguiti n. 10 carotaggi
spinti ciascuno fino alla profondità di 30 m, n. 30 prove SPT (standard penetration test, n. 3 per ogni foro di sondaggio) n. 20 prelievi di campioni indi-
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sturbati (n. 2 per ogni foro), successivamente conferiti al laboratorio terre specializzato per l’effettuazione di prove dinamiche e, l’installazione di n. 10 tubi di ispezione sui fori di sondaggio sui quali successivamente sono state eseguite n. 10 prove down hole. L’ubicazione dei sondaggi esistenti e dei nuovi
sondaggi è riportata in fig. 2. Nella tabella successiva si riportano le caratteristiche dei terreni associate a due sondaggi, uno esistente (S12) ed uno realizzato nell’ambito del progetto (S43).
Le indagini hanno permesso di definire i terreni investigati tramite i principali parametri geotecnici, individuando così n. 4 classi litotecniche in base
alle differenti caratteristiche geotecniche e sismiche tra gli strati di copertura
ed il bedrock. Per ogni classe possono ritenersi costanti o comunque variabili
entro definiti valori i seguenti parametri:
● velocità delle onde trasversali (Vs)
● modulo di taglio per piccole deformazioni (G0)
● modulo di elasticità dinamico (Ed)
● rigidità sismica (R)
● frequenza (f)
Tab. 1 - Proprietà dei terreni associate a sondaggi nuovi ed esistenti
Sondaggio S12
Via Curiel, Quartiere Fondo Gesù
Sondaggio S43
PiazzaCastello
Classi litotecniche
3-4
Classi
litologiche
Descrizione
Spessori (m)
NSPT
prof. (m)
( g/cmc)
Vs (m/sec)
Go (MPa)
Rmed(m/sec
kN/mc)
Ed (MPa)
F (Hz)
Campione
prelevato a
prof. (m)
W(%)
LL(%)
LP(%)
IP(%)
IC
GHI(%)
SAB(%)
LIM(%)
ARG(%)
c(kg/cmq)
(°)
cu(kg/cmq)
u(°)
Eed (1-2)
(kg/cmq)
Pc
60
Classe litotecnica
2
L – LA; S - SL
Limo argilloso, sabbia, sabbia
limosa
5.0; max attr. 10
8
6
44
2.5
3.8
8
1.9 – 2.0
1
C2
2.0 – 2.5
3.0 – 3.5
31
44
20
24
0.5
28
40
18
22
0.5
5
53
42
0.3
6
0.85
0
16
6
17
0.10
30
0.80
0
44
99
C3
Classe
litologica
Descrizione
Spessore (m)
NSPT
prof. (m)
( g/cmc)
Vs (m/sec)
Go (MPa)
Rmed(m/sec
kN/mc)
Ed (MPa)
F (Hz)
Campione
prelevato a
prof. (m)
W(%)
LL(%)
LP(%)
IP(%)
IC
GHI(%)
SAB(%)
LIM(%)
ARG(%)
c(kg/cmq)
(°)
cu(kg/cmq)
u(°)
Eed (1-2)
(kg/cmq)
Pc
Classe litotecnica
1
SC
AL
Sabbia
19
85
89
4.0
12.0
1.8 – 2.0
287 - 1000
Argilla lim sa
max attr. 11.0
98
21.5
2.03 – 2.08
800
174 - 227
5166 - 20000
16240
426 - 7300
C1
C2
4412
C3
C1
18
52
21
31
C2
28.0
–
28.5
20
52
24
28
13
59
28
12
59
29
21.0 –
21.6
C3
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Fig. 2 - Ubicazione dei nuovi sondaggi e dei sondaggi esistenti
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Nella tabella 2 vengono messe a confronto le unità formazionali con le n.
4 classi litotecniche individuate, così distinte e caratterizzate:
1. Roccia argillosa compatta del substrato (bedrock)
Il litotipo rappresenta il substrato argilloso compatto sul quale si sovrappongono in trasgressione i litotipi presenti sul territorio. Affiora sotto forma di
rilievi collinari con spessori fino a 500 m mentre, al di sotto della coltre detritica di ricoprimento alluvionale, è stato caratterizzato su di una vasta superficie di investigazione rilevandosi nel territorio urbano a profondità max di 37
m (S4, loc. Armeria, litorale nord) mentre nel centro urbano a 27 m (S41, piazza Albani). Il max spessore attraversato è risultato nel sondaggio S45, via Generale Tellini, dove si sono attraversati 28 m della roccia argillosa.
La sua consistenza cresce con la profondità, fino a risultare elevatissima.
Può essere classificata come una roccia a consistenza variabile da dura a durisTab. 2 - Classi litotecniche a confronto con le unità formazionali presenti
FORMAZIONI
SIGLA
AL
Argille marnose di Cutro
(Pliocene inf.- Calabriano)
LA-AL
SA
Depositi arenacei dei terrazzi marini
(Pleistocene superiore)
Depositi alluvionali di fondo valle (Recente)
Depositi di litorale, alluvioni mobili e riporti
(Attuale)
SC
SCA
L-LA
S-SL
SG
AM
R
CLASSE LITOLOGICA
Argille limose del substrato argilloso
Membro limoso argilloso di alterazione
superficiale
Membro sabbioso intercalato alle argille
marnose
Sabbie e conglomerati con livelli arenacei
fortemente cementati
Membro arenaceo di alterazione
Membro limo argilloso, subordinatamente
sabbioso
Membro sabbioso, subordinatamente limo
sabbioso
Sabbie di litorale
Alluvioni mobili limo sabbiose
Riporti
SIGLA
CLASSE LITOLOGICA
SIGLA
CLASSE LITOTECNICA
AL
Argille limose del substrato argilloso
1
Roccia argillosa compatta del
substrato (bedrock)
SC
Sabbie e conglomerati con livelli arenacei
fortemente cementati
2
Roccia arenacea litoide
3
Roccia argillosa con intercalazioni
sabbiose
4
Roccia sabbiosa con
intercalazioni limo argillose
L-LA
LA-AL
R
AM
S-SL
SA
SCA
SG
R
62
Membro limo argilloso, subordinatamente
sabbioso
Membro limoso argilloso di alterazione
superficiale
Riporti argillosi
Alluvioni mobili limo sabbiose
Membro sabbioso, subordinatamente limo
sabbioso
Membro sabbioso intercalato alle argille
marnose
Membro arenaceo di alterazione
Sabbie di litorale
Riporti sabbiosi
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sima, con valori NSPT compresi tra 30 e il valore di rifiuto (es. S39, S43, S47).
La roccia presenta una velocità delle Vp comprese tra i 1.200 m/sec e i 1.600
m/sec e una velocità delle Vs compresa tra 500 m/sec e 800 m/sec con gradiente
crescente con la profondità, aumentando peraltro lo stato di consistenza.
2. Roccia arenacea litoide
Il litotipo arenaceo corrisponde alla panchina soprastante le argille basamentali. Si estende nella parte sommitale della collina del centro storico (Piazza Castello). Lo spessore max rilevato (S43, Piazza Castello) è di 16 m. Dal
punto di vista granulometrico si presenta sabbioso a vario grado di cementazione calcarea, denotando mediamente uno stato di addensamento elevatissimo; infatti, si tratta di una roccia molto compatta ad alta resistenza con valori
di SPT che presentano rifiuto alla penetrazione.
Per tutto il suo spessore le onde Vp variano tra i 1.500 m/sec e i 2.000
m/sec, mentre le onde Vs variano aumentando con la profondità tra 800 m/sec
e 1.000 m/sec.
3. Roccia argillosa con intercalazioni sabbiose
L’unità litotecnica rappresenta lo spessore di terreno argilloso di copertura delle sabbie sottostanti, lo strato di alterazione superficiale delle argille azzurre, i riporti e le alluvioni mobili; affiora diffusamente nelle aree morfologicamente più depresse o nel caso di riporti può costituire delle sopraelevazioni rispetto al piano campagna; nelle parti di bacino più interne poggia direttamente sul basamento argilloso, dove presenta in media spessori di 3 m,
mentre verso la pianura e verso mare, specialmente in prossimità dei corsi
d’acqua, lo spessore evidenziato raggiunge i 15 m (S38 loc. Lampanaro).
La presenza della frazione argillosa nello spessore decresce procedendo
dai rilievi collinari verso la pianura; qui, risulta caoticamente frammista alla
frazione sabbiosa rappresentata da intercalazioni che, comunque, non superano i 3 m di spessore.
A seconda dello stato di consistenza variabile da molto molle a duro e della frazione granulometrica predominante, le onde longitudinali variano tra i
400 m/sec e i 1.000 m/sec, mentre le onde Vs variano tra i 150 m/sec. e 400
m/sec. Il gradiente di velocità generalmente è crescente con la profondità
4. Roccia sabbiosa con intercalazioni limo argillose
L’unità litotecnica comprende i terreni rappresentati dallo strato di copertura alluvionale a prevalente componente sabbiosa, lo strato arenaceo di
alterazione calcarenitico del terrazzo (Bastione Castello-Piazza Albani), i riporti sabbiosi localizzati, le alluvioni mobili e le sabbie di litorale. La roccia
si presenta con una granulometria generalmente crescente con la profondità,
passando dalle sabbie miste e uniformi in alcuni punti a orizzonti ghiaiosi
ciottolosi in prossimità del passaggio alle argille basamentali. La frazione li-
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moso argillosa prevale generalmente verso la superficie, per passare allo strato alluvionale limoso. Le intercalazioni argillose presenti non superano i 3 m
di spessore. L’unità litotecnica presenta una estensione rilevante sul territorio comunale, interessando la pianura a ridosso della litoranea, dove rappresenta l’unità a diretto contatto con il basamento argilloso. Lo spessore è variabile tra i 3 m e i 20 m (loc. Trappeto, sondaggio S7 della raccolta stratigrafica rappresentativa del territorio), presentando uno stato di addensamento tipico dei terreni incoerenti, variabile sia con la profondità che lateralmente da molto sciolto (es. S2, S7, S17, S25) a molto addensato (es. S3, S4). Gli
spessori di riporto a prevalente natura sabbiosa denotano uno stato di addensamento variabile da sciolto (es. S22) a mediamente addensato (es. S40). La
roccia presenta una velocità delle onde Vp che a seconda dello stato di addensamento è compreso tra i 500 m/sec e i 1.200 m/sec, mentre le onde Vs
sono comprese tra 200 m/sec e 500 m/sec con gradiente generalmente crescente con la profondità.
Nella tab. 3 vengono evidenziati i valori dei parametri geotecnici del centro urbano di Crotone, raggruppati per classi litotecniche, ottenuti da prove in
situ e di laboratorio.
6. Conclusioni
Le indagini in situ e le prove di laboratorio eseguite nel centro urbano di
Crotone hanno messo in evidenza che i terreni presenti possono essere suddivisi in n. 4 classi litotecniche.
Tab. 3 - Parametri geotecnici delle classi litotecniche
Parametri
Sigla
Classi litotecniche
1
Roccia argillosa
compatta del
substrato (bedrock)
2
3
4
Roccia arenacea
litoide
Roccia argillosa
con intercalazioni
sabbiose
Roccia sabbiosa
con intercalazioni
argillose
H (m)
g
(kN/mc)
NSPT
Vp (m/s)
Vs (m/s)
E
(MPa)
G
(MPa)
R med
(m/s.kN/mc)
Attr.
28
20.1–20.8
30-R
1200-1600
500-800
2900–5600
64–227
13000
16
20.0
R
1500-2000
800-1000
7300
270
18000
3-15
17.0–20.4
3-45
400-1000
150-400
400-2500
49-73
5200
4-26
17.0–19.2
4-88
500-1200
200-500
1400-4800
82-234
6400
H (m) - spessore
g (kN/mc) - peso di volume
NSPT – numero di colpi (standard penetration test)
Vp (m/s) - velocità di propagazione delle onde di compressione
Vs (m/s) - velocità di propagazione delle onde di taglio
E (MPa) - modulo di Young della roccia
G (MPa) - modulo di taglio dinamico
R (m/s.kN/mc) - rigidità Sismica
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Per ogni classe sono state definite le proprietà meccaniche e la geometria,
suddividendo così il centro urbano in zone dalla diversa sensibilità alla risposta sismica.
Le ricerche eseguite hanno permesso l’elaborazione della carta geologica
estesa al perimetro PIC Urban II, della carta litotecnica del centro urbano a
supporto della microzonazione e della pericolosità sismica di base.
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M. Mucciarelli, D. Albarello
Profili di Vs da misure di microtremori
1. Introduzione
Come noto già da secoli e confermato anche da molti forti terremoti recenti
(e.g. Loma Prieta, Kobe, Izmit), il livello di danno e devastazione in zone urbanizzate può seguire schemi di distribuzione molto complessi, anche nei casi in cui siano presenti edifici con caratteristiche costruttive simili. Tale variabilità viene attribuita al contributo combinato in misura variabile di una molteplicità di fattori che complessivamente determinano delle condizioni locali
alle quali si dà il nome di “effetto di sito”. I fattori determinanti possono essere ricondotti alle condizioni geologiche e geotecniche degli strati più superficiali che influiscono significativamente sul livello e sulla composizione spettrale dello scuotimento sismico in superficie. Allo scopo di individuare con
adeguato dettaglio (microzonazione) le aree in cui gli effetti di sito possono
aggravare la severità dei danni provocati dai terremoti, sono stati sviluppati recentemente diverse procedure per la caratterizzazione delle proprietà meccaniche dei materiali presenti nel primo sottosuolo.
Negli studi di microzonazione, lo spessore complessivo della copertura sedimentaria e la struttura locale in termini di velocità delle onde di taglio (onde S) sono parametri essenziali. Infatti, essi consentono la stima della possibile amplificazione del moto sismico dovuta alla presenza dei sedimenti soffici.
Tali parametri possono essere ottenuti a partire da analisi di rumore sismico
ambientale con costi limitati e una buona copertura areale. In particolare, studi recenti hanno mostrato come le curve dei rapporti spettrali tra le componenti
orizzontale e verticale del moto sismico (HVSR, Horizontal to Vertical Spectral Ratios) forniscono un contributo significativo per l’identificazione dei periodi di risonanza degli strati più superficiali e per la stima dei fattori di amplificazione. Antenne sismiche (array) a piccola scala (ad esempio, Scherbaum et al., 2003) permettano di risolvere la struttura locale di velocità delle
onde S attraverso l’inversione delle curve di dispersione delle onde di Rayleigh.
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2. Il rumore sismico ambientale
La superficie topografica del pianeta Terra è costantemente sede di vibrazioni con ampiezza dell’ordine di grandezza di 10-4¸10-2 mm, molto inferiore
a quelle delle vibrazioni che costituiscono i fenomeni noti come terremoto. Tale moto continuo del suolo viene perciò denominato microtremore o rumore
sismico ambientale.
Il rumore sismico ambientale è legato a una molteplicità di possibili cause sia naturali (onde oceaniche, perturbazioni atmosferiche, vento ecc.) che artificiali (traffico veicolare, produzione industriale, ecc.) (per una rassegna
esaustiva si veda Bonnefoy-Claudet et al., 2004). In generale, questo ha dal
punto di vista spettrale una struttura molto complessa. Infatti, le ampiezze del
rumore locale relative ai periodi inferiori al secondo mostrano variazioni sistematiche fra il giorno e la notte mentre quelle relative ai periodi superiori
(comunemente noti come microsismi) rimangono costanti. Questi ultimi mostrano invece una certa variabilità in funzione della struttura locale del substrato. In estrema sintesi, gli studi condotti suggeriscono che:
1. Rumore in bassa frequenza (<0.5 Hz, Periodo (T) >2 sec) è generato da onde oceaniche a grande distanza; è un rumore stabile e coerente ed è composto essenzialmente da onde superficiali
2. A frequenze intermedie (0.5-1 Hz, 1<T<2 sec) è generato da onde sulla riva a breve distanza, dal vento o, in particolari circostanze, da attività umane; la stabilità è assai minore e il contenuto in termini di onde superficiali
è variabile
3. Oltre 1 Hz (T<1 sec) è essenzialmente originato localmente ed è legato alle attività antropiche; è fortemente instabile sia in termini di ampiezza che
come rapporto di energia fra onde di volume e onde superficiali.
Come si vede, le onde superficiali giocano un ruolo importante nella struttura del rumore sismico, ruolo che nelle varie bande di frequenza può avere
una importanza maggiore o minore ma che rimane comunque significativo. Di
fatto, la maggior parte dei tentativi per la modellazione del rumore a fini di
prospezione geofisica sono basati sullo studio della componente relativa alle
onde superficiali. Sebbene rimangano ancora da chiarire diversi aspetti sulla
natura dei microtremori, nel corso degli ultimi decenni sono stati sviluppati
diversi metodi d’analisi per estrarre da esso informazioni utili circa la struttura del sottosuolo. Tuttavia, a causa della mancanza di un quadro univoco della struttura del rumore sismico ambientale e della sua dipendenza sia dalla
struttura meccanica del sito che della distribuzione e intensità delle sorgenti
sismiche, tali tecniche prevedono una serie di assunzioni di base. La principale di queste è che il fenomeno dei microtremori sia essenzialmente assimilabile a un processo stocastico. Nel seguito vengono brevemente descritte due
procedure sperimentali (una a stazione singola ed una basata su antenne si-
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smiche) che sfruttano questo tipo di approccio per ricostruire la struttura meccanica del sottosuolo.
3. Il metodo dei rapporti spettrali
Nogoshi e Igarashi (1971) furono i primi a proporre la normalizzazione
delle ampiezze spettrali del moto del suolo registrato sulle componenti orizzontali attraverso quelle della componente verticale. In pratica, il metodo dei
rapporti spettrali, HVSR, consiste nel combinare le ampiezze spettrali delle
due componenti orizzontali del moto in una componente (H) e, successivamente, nel calcolare il rapporto tra quest’ultima e quella relativa al moto verticale (V) del suolo. Tale operazione può essere svolta combinando le ampiezze spettrali delle componenti orizzontali ANS(f) e AEW(f) attraverso la media geometrica dei moduli
H /V ( f ) =
ANS ( f ) ⋅ AEW ( f )
AZ ( f )
.
Fin dalle prime applicazioni di questa metodologia d’indagine in contesti
in cui erano presenti dei sedimenti soffici su un basamento roccioso, vari autori hanno trovato una buona corrispondenza tra il massimo delle curve HVSR e la frequenza fondamentale di risonanza per le onde S. Per questa ragione, l’applicazione di tale tipo d’indagine è andata incontro negli ultimi anni ad
un’ampia diffusione ai fini della caratterizzazione delle principali strutture
geologiche presenti in un sito (identificazione dei maggiori contrasti d’impedenza sismica) e per una rapida identificazione di possibili effetti di sito.
Secondo la spiegazione oggi più accreditata (ad esempio, Tokimatsu,
1997), le curve HVSR del rumore ambientale sono controllate principalmente
dalle onde superficiali. In particolare, la presenza di massimi pronunciati nell’andamento della funzione HVSR è legato all’annullarsi della componente
verticale delle onde di Rayleigh in corrispondenza della frequenza di risonanza delle onde S nei sedimenti soffici. In pratica, sarebbe l’ellitticità delle onde
di Rayleigh a determinare la presenza di massimi nella funzione H/V.
Dal punto di vista sperimentale, la metodologia richiede l’esecuzione di
misure di rumore mediante un sistema di acquisizione tridirezionale su un intervallo di frequenze di interesse per l’ingegneria sismica (0.1-10 Hz).
Nelle attività descritte nel seguito, il protocollo sperimentale seguito per la
definizione delle curve H/V è il seguente (D’Amico et al., 2003):
1. Il rumore ambientale viene registrato per 30 minuti con un campionamento a 128 Hz.
2. La registrazione viene scomposta in finestre da 20 secondi, ciascuna delle
quali verrà analizzata separatamente.
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3. Per ogni finestra, la serie temporale relativa a ciascuna componente del
moto viene pre-elaborata (detrend lineare e tapering con finestra coseno al
5%) ed analizzata per la determinazione dello spettro (FFT e lisciamento
mediante una finestra mobile triangolare di larghezza pari al 10% della frequenza centrale); per ciascuna frequenza, l’ampiezza spettrale della componente orizzontale viene mediata (media geometrica) e divisa per l’ampiezza della componente verticale ottenendo così una stima della funzione
HVSR; viene quindi identificata la frequenza per la quale il rapporto HVSR è massimo;
4. I rapporti HVSR ottenuti per ciascuna finestra temporale e per ogni frequenza vengono analizzati statisticamente ottenendo una curva HVSR media con il relativo intervallo di confidenza; viene anche stimato l’intervallo di confidenza relativo alla frequenza corrispondente al massimo della
funzione H/V; inoltre possono essere valutate la stabilità nel tempo delle
stime HVSR e la direzionalità dei suoi valori (fig. 1).
Fig. 1 - Pannello sinistro: Curva HVSR media (linea rossa) e relativo intervallo di confidenza
al 95% (linee nere); Pannello destro: stazionarietà e direzionalità dei rapporti HVSR
I risultati ottenuti vengono poi analizzati alla luce dei criteri proposti nell’ambito del SESAME European Project (2005).
4. Misure HVSR nel territorio urbano di Crotone
Sono state effettuate 41 misure di vibrazioni ambientali, elaborate con la
tecnica dei rapporti spettrali orizzontali/verticali, secondo il protocollo precedentemente illustrato.
La localizzazione di punti di misura è fornita dalla tabella I, mentre la loro posizione sulla base topografica della pianta di Crotone è in fig. 2
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Fig. 2 - Ubicazione dei punti di misura HVSR nell’abitato di Crotone
N°
Lat.
Long.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
41
39.07979
39.07989
39.07803
39.07689
39.07639
39.07569
39.07736
39.07881
39.07972
39.08028
39.08119
39.08061
39.08198
39.08132
39.08084
39.08162
39.08123
39.08338
39.08366
39.08318
39.08
39.08027
39.0787
39.07687
39.07817
39.07948
39.07901
39.07837
39.07692
39.07703
39.06195
39.07513
39.08131
39.083
39.08525
39.08748
39.08571
39.08257
39.07734
39.07845
39.07871
17.12505
17.12525
17.12658
17.12708
17.12808
17.12892
17.12811
17.1275
17.12886
17.12772
17.12836
17.12725
17.13303
17.13353
17.13154
17.13092
17.12973
17.12785
17.12846
17.13138
17.13606
17.1333
17.13274
17.13157
17.13047
17.13001
17.12216
17.12006
17.12186
17.12348
17.11831
17.12661
17.1228
17.12253
17.11711
17.11352
17.11361
17.11516
17.11062
17.11584
17.11856
Max HVSR Max Amp.
2.44
2.31
1.97
0.53
3.22
3.69
3.31
3.09
3.5
0.5
0.41
2.47
3.28
2.13
3.31
0.88
0.5
2.94
0.41
1.91
2.44
3.66
2.22
0.34
2.69
3.47
0.38
1.75
3.72
1.81
0.34
2.06
0.78
2.47
2.34
1.84
0.34
0.28
1.09
0.28
2.16
2.23
1.88
1.92
2.14
2.58
2.02
1.7
2.36
0.66
1.51
2.83
2.28
1.75
2.87
1.96
1.57
1.64
2.51
3.66
2.14
2.24
1.88
2.17
2.83
1.66
1.91
1.94
2.12
2.53
2.46
9.71
1.41
2.06
2.34
2.81
2.91
4.2
1.97
1.63
3.41
2.47
r1
r2
3
3
3
2
3
3
3
3
3
2
1
3
3
3
3
3
1
3
1
3
3
3
3
1
3
3
1
3
3
3
2
3
3
3
3
3
1
1
3
2
3
6
3
5
5
4
6
5
4
3
5
5
3
2
4
3
3
4
4
6
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3
2
4
5
2
2
4
5
6
6
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2
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Tab. 1
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Le misure sono state eseguite con un tromometro digitale (Tromino Micromed, fig. 3), ed elaborate con il software fornito a corredo dello stesso strumento (Grilla Micromed, per ulteriori dettagli si veda il sito www.tromino.it).
Tutte le misure sono state sottoposte ai test statistici previsti dal protocollo SESAME. Per ciascuna delle 41 postazioni di misura è stata redatta l’apposita scheda di interpretazione standard, riportata nell’App. B, da cui è agevole
dedurre le caratteristiche salienti del rapporto spettrale.
La caratteristica principale rilevata a Crotone è una forte amplificazione
alle basse frequenze (0.3-0.4 Hz) che si apprezza meglio nella zona di nuova
urbanizzazione SW presso i calanchi e che tende a diminuire spostandosi verso il centro città, dove sporadicamente si osservano picchi nella banda compresa tra 1.5 e 4 Hz.
L’interpretazione preliminare delle misure riconduce alla presenza dello strato di centinaia di metri di argille affioranti nei calanchi, ritenuto responsabile della amplificazione alle basse frequenze. In alta frequenza si ravvisano invece i rimaneggiamenti antropici, mentre lo strato di depositi più superficiali non presenta amplificazioni significative probabilmente a causa del basso contrasto di impedenza con le argille. L’aspetto a plateau delle misure tra 1.5 e 4 Hz suggerisce
la presenza di lenti ed intercalazioni, nessuna delle quali con forte contrasto.
Fig. 3 - Stazione singola a sensore tridirezionale (Tromino)
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A titolo di esempio si riportano nella fig. 4 i grafici di quattro misure: la
numero 31 eseguita nella zona di espansione SW, la 40 tra ospedale e stadio,
la 8 nel centro città e la 26 nel centro storico.
Fig. 4 - Confronti rapporti spettrali H/V per le postazioni di misura 31- 40 8 26
Nelle figg. 5 e 6 sono riportate le isolinee dei valori delle frequenze di risonanza e dei valori di amplificazione estrapolate con tecniche numeriche dai
valori riportate nelle schede di interpretazione.
5. Misure con antenna sismica (array)
Sono state anche effettuate registrazioni di microtremori lungo stendimenti superficiali (array) di velocimetri in cinque diversi siti nell’abitato crotonese al fine di valutare l’andamento in profondità della velocità delle onde
S. Negli stessi siti, sono state anche eseguite misure dell’HVSR.
L’antenna sismica (array) è una configurazione di sensori sismici distribuiti
secondo geometrie variabili sull’area di indagine. In generale, il principio alla
base delle tecniche d’analisi finalizzate alla determinazione della velocità delle onde di Rayleigh consiste semplicemente nella misura della differenza di fase associata ad una certa onda sismica che viaggia tra coppie di sensori.
Una delle principali tecniche di array sviluppate nel corso degli ultimi decenni è il metodo SPAC (Spatial Autocorrelation Analysis of Signal), o della
correlazione spaziale, proposto da Aki (1957). Tale autore propose la strategia
d’analisi SPAC al fine di risolvere sia la natura delle onde presenti nelle regi-
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Fig. 5 - Isolinee dei valori di frequenza di risonanza
Fig. 6 - Isolinee dei valori di amplificazione
strazioni di microtremori, sia la natura del mezzo in cui esse si propagano. Il metodo in questione si caratterizza per un approccio statistico nello studio del rumore sismico ambientale. Infatti, l’assunzione di base è che quest’ultimo sia assimilabile ad un processo stocastico e stazionario sia nel tempo che nello spazio.
In funzione di tale approccio emergono altre due importanti assunzioni: 1) il ru-
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more sismico è il risultato della somma di onde sismiche con varia intensità che
si propagano isotropicamente nel piano orizzontale, ma con la stessa velocità di
fase per una data frequenza; 2) onde sismiche con differente direzione di propagazione e differente frequenza sono statisticamente indipendenti.
Una delle principali limitazioni di tale approccio consiste nel dover utilizzare forzatamente array di forma circolare. Al fine di superare tale vincolo
operativo, Ling e Okada (1993) hanno recentemente proposto una versione più
versatile del metodo SPAC originario. Tale approccio, denominato ESAC (Extended Spatial Autocorrelation), è basato sullo stesso principio della misura
della correlazione spaziale associata ad ogni onda sismica, ma è adatto ad essere applicato con array di qualsiasi forma.
In pratica, il nucleo della procedura consiste nel calcolo della funzione di correlazione spaziale, , mediata per ogni possibile azimut di provenienza delle onde
superficiali. Il valore di associato ad ogni possibile coppia di sensori può essere
calcolato nel dominio delle frequenze attraverso la relazione (Ohori et al., 2002):
1 M
Real( m S jn (ω ))
M m =1
,
M
1 M
m S jj (ω )
m S nn (ω )
M 2 m =1
m =1
ρ jn ( f ) =
dove mSjn è il cross-spettro tra i sensori j-esimo e n-esimo per ogni finestra temporale m analizzata, M è il numero complessivo di segmenti temporali analizzati, mSjj e mSnn sono gli spettri di potenza relativi ai sensori j-esimo e n-esimo
per la stessa finestra temporale m. Al fine di ottimizzare la successiva analisi
di velocità è poi necessario procedere al lisciamento della funzione con una
delle procedure esistenti in letteratura (ad esempio, la finestra di Konno e Ohmachi [Konno e Ohmachi, 1998]).
Nella successiva fase di analisi viene determinata la velocità di fase delle
onde di Rayleigh attraverso il confronto tra la funzione di correlazione spaziale
media e le funzioni teoriche di Bessel di ordine zero (Jo). Queste ultime sono
funzione di una serie di parametri che esprimono proprio la propagazione delle onde nel mezzo [frequenza (fo), velocità di fase c(fo) e distanza tra i sensori
di misura (rn)]. Quindi, l’analisi di velocità consiste nell’esecuzione di una procedura iterativa d’inversione che permetta d’identificare, per ogni frequenza,
i valori delle velocità di fase capaci di minimizzare la RMS (Root Mean Square) delle differenze tra gli N dati della funzione sperimentale e quelli delle funzioni teoriche di Bessel (fig. 7). Tale procedura è espressa dalla relazione:
2πf o rn
ρ (rn , f o ) − J o n =1 c( f o )
N
N
RMS =
2
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Fig. 7 - Schema della procedura d’analisi del metodo ESAC (da
Okada, 2003).
Infine, il calcolo della radice quadrata della matrice di covarianza associata alla suddetta funzione di errore RMS (Menke, 1984), consente la stima dell’incertezza associata ai valori di velocità di fase.
Una volta determinata la curva di dispersione delle onde di Rayleigh, non
resta che attuare una procedura d’inversione per la stima del profilo di velocità delle onde di S.
Stima dei profili di velocità delle onde S
La curva di dispersione delle onde di Rayleigh rappresenta la variazione di
velocità di fase che tali onde hanno al variare della frequenza. Tali valori di
velocità sono intimamente legati alle proprietà meccaniche del mezzo in cui
l’onda si propaga (velocità delle onde S, delle onde P e densità). Tuttavia, diversi studi (ad esempio, Xia et al., 1999; Arai e Tokimatsu, 2004) hanno in
realtà messo in evidenza che la velocità delle onde P e la densità sono parametri di second’ordine rispetto alle onde S nel determinare la velocità di fase
delle onde di Rayleigh. Quindi, dato che le onde superficiali campionano una
porzione di sottosuolo che cresce in funzione del periodo dell’onda e che la loro velocità di fase è fortemente condizionata in massima parte dalle velocità
delle onde S dello strato campionato, la forma di questa curva è essenzialmente
condizionata dalla struttura del sottosuolo ed in particolare dalle variazioni con
al profondità delle velocità delle onde S. Pertanto, utilizzando appositi formalismi (Tokimatsu, 1997) è possibile stabilire una relazione (analiticamente
complessa ma diretta) fra la forma della curva di dispersione e la velocità delle onde S nel sottosuolo. Tale relazione consente il calcolo di curve di dispersione teoriche a partire da modelli del sottosuolo a strati piano-paralleli.
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L’operazione d’inversione, quindi, consiste nella minimizzazione, attraverso una procedura iterativa, degli scarti tra i valori di velocità di fase sperimentali della curve di dispersione e quelli teorici relativi a una serie di modelli di prova “velocità delle onde S-profondità”.
In linea di principio, non esistono limiti alla profondità di esplorazione di
questo metodo di analisi. In realtà, le condizioni sperimentali e/o le caratteristiche strumentali impongono inevitabili limitazioni.
1. La sensibilità delle velocità di fase delle onde superficiali alla struttura
di velocità delle onde S nel sottosuolo dipende dalla lunghezza d’onda della
fase di volta in volta considerata. In generale, la profondità campionata h da
un’onda superficiale è dell’ordine di 1/2-1/3 della sua lunghezza d’onda
(pari al rapporto fra la velocità di fase e la frequenza relativa). Si ha anche
che la massima lunghezza d’onda campionabile con uno stendimento di dimensioni massime L può variare da circa 2L fino anche a 4-5 volte L, in funzione dell’intensità del microtremore e della struttura di velocità del sottosuolo. Quindi si desume che
L <≈ hmax <≈ 2÷2.5L
2. Altro limite è dato dalla risposta dei geofoni impiegati per il campionamento del rumore. L’uso di sensori da 4.5 Hz di frequenza propria implica che
la minima frequenza campionabile risulti dell’ordine di qualche Hz (2-3 Hz),
cui corrispondono, per le velocità dell’ordine di qualche centinaio di metri al
secondo generalmente osservate, lunghezze d’onda massime comprese tra 100
e 300 m.
In definitiva, la massima profondità di esplorazione attesa da questo tipo
d’indagine risulta variabile tra circa 50 e 150 metri.
6. Stima dei profili di Vs nei siti indagati nell’abitato di Crotone
Nei giorni 14 e 15 luglio 2005 sono state eseguite misure di rumore sismico ambientale per mezzo di array e di stazione singola tridirezionale nei seguenti 5 siti della Città di Crotone (Fig. 8):
● Parco Pignera (sito 1);
● Capo Colonna (sito 2);
● Parco delle Rose (sito 3) [punto GPS: 017°07.1676 E, 39°04.8415 N];
● Scuola Principe di Piemonte (sito 4) [punto GPS: 017°07.8670 E,
39°04.8200 N] ;
● Quartiere Fondo Gesù (sito 5) [punto GPS: 017°06.9630 E, 39°05.1333 N].
I siti d’indagine sono stati scelti tenendo conto della necessità di caratterizzare le unità geologiche presenti nell’abitato di Crotone e dei vincoli impo-
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Fig. 8 - Ubicazione dei siti indagati nella Città di Crotone
sti dai problemi logistici e di accessibilità, sulla base di informazioni generali
sull’assetto geologico dell’area.
Le misure di rumore sismico ambientale tramite array sono state realizzate usando 16 geofoni verticali da 4.5 Hz, connessi ad un acquisitore con conversione A/D a 24 bit equivalente (fig. 9).
I geofoni sono stati posizionati lungo due differenti allineamenti (possibilmente perpendicolari tra loro) con spaziatura non regolare.
Tale geometria consente di effettuare un adeguato campionamento dell’intervallo di lunghezze d’onda d’interesse e delle varie direzioni di propagazione del segnale nonchè di minimizzare (in rapporto al numero di canali disponibili) gli effetti spuri dell’aliasing spaziale.
Le registrazioni del microtremore per la determinazione dell’HVSR sono state effettuate usando un sistema di acquisizione Tromino (Grilla Micromed) con sensore tridirezionale identico a quello descritto per le misure
della serie principale. Durante la fase iterativa d’inversione dei dati sperimentali raccolti, oltre alla velocità delle onde di taglio (Vs), obiettivo dell’indagine, il modello di prova elaborato richiede altri 3 parametri per ciascuno strato che lo compone: spessore, velocità delle onde P, densità. Gli
spessori sono stati scelti in base ad una opportuna discretizzazione delle
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informazioni sull’andamento delle velocità con la profondità fornite dalla
curva di dispersione.
Le velocità delle onde P sono state assunte fissandone il rapporto con le Vs
in base ad un coefficiente di Poisson pari a 0.45. Questo valore è idoneo alle
condizioni di saturazione e/o di consolidazione delle unità stratigrafiche nei siti indagati. I valori di densità sono stati desunti dalle informazioni geologiche
sull’area di Crotone. Le formazioni geologiche presenti nel primo sottosuolo
dell’area hanno densità che variano tra 1.9 e 2 kg/dm3.
Fig. 9 - Acquisitore per gli array.
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Le schede delle analisi delle misure eseguite con array in ciascun sito sono riportate nel rapporto finale delle attività. In esse si mostrano:
● la geometria dell’array;
● la curva di dispersione sperimentale delle onde di Rayleigh;
● il confronto tra la curva di dispersione teorica e quella sperimentale;
● il profilo di velocità delle onde S.
7. Considerazioni conclusive
I profili delle onde S ottenuti nei siti 1, 3, 4 e 5 (fig. 10) sono in buon accordo reciproco e mostrano un andamento delle velocità gradualmente crescente (profili normalmente dispersivi). Le Vs variano tra 145 e 215 m/s in superficie e raggiungono in profondità valori compresi tra 550 e 650 m/s. La
profondità d’indagine è di 80 m nel sito 4 (Scuola Principe di Piemonte) e di
110-120 m negli altri tre.
Fig. 10 - Confronto tra i Profili di Vs ottenuti nei siti indagati.
Nel sito 2 (Capo Colonna) si evidenzia un’inversione delle Vs che interessa i primi 40 m di sottosuolo; poi il trend delle velocità torna ad essere coerente con quello degli altri siti. Qui la Vs ha un valore superficiale di 450 m/s
e di circa 300 m/s tra i 20 e i 30 m, per raggiungere poi i 570 m/s a 155 m di
profondità.
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8. Bibliografia
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America, vol. 94, n. 1, pp. 53-63.
Bonnefoy-Claudet S., Cornou C., Kristek J., Ohrnberger M., Wathelet M., Bard
P.-Y., Moczo P., Fäh D., Cotton, F., 2004, Simulation of Seismic Ambient Noise: I. Results of H/V and Array Techniques on Canonical Models. Proceedings of the 13th WCEE, 1-6 Aug. 2004, Vancouver, Canada, paper n. 1120.
D’Amico V., Picozzi M., Albarello D., Naso G., Tropenscovino S., 2004,
Quick Estimates of Soft Sediment Thickness from Ambient Noise Horizontal to Vertical Spectral Ratios: A Case Study in Southern Italy, in «Journal
of Earthquake Engineering», vol. 8, n. 6, pp. 895-908.
Konno K., Ohmachi T., 1998, Ground-Motion Characteristic Estimated from
Spectral Ratio between Horizontal and Vertical Components of Microtremor, in «Bulletin of the Seismological Society of America», vol. 88, n. 1,
pp. 228-241.
Ling S., Okada H., 1993, An Extended Use of the Spatial Autocorrelation
Method for the Estimation of Geological Structure Using Microtremors,
Proceedings of the 89th Conference of the Society of Exploration Geophysics of Japan, 44-48 (in Japanese).
Menke W., 1984, Geophysical Data Analysis: Discrete Inverse Theory, Academic Press, New York.
Nogoshi M., Igarashi T., 1971, On the Amplitude Characteristics of Microtremor (Part 2), in «Journal of Seismological Society of Japan», n. 24, pp.
26-40 (in Japanese with English abstract).
Ohori, M., Nobata A., Wakamatsu K., 2002, A Comparison of ESAC and FK
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vol. 92, n. 6, pp. 2323-2332.
Scherbaum F., Hinzen K.-G., Ohrnberger M., 2003, Determinations of Shallow Shear Wave Velocity Profile in the Cologne, Germany Area Using Ambient Vibrations, in «Geophys. J. Int.», vol. 152, n. 3, pp. 597-612.
SESAME European Project, 2005, Guidelines for the Implementation of the
H/V Spectral Ratio Technique on Ambient Vibrations Measurements, Processing and Interpretation, Deliverable D23.12. Reperibile sul sito:
http://sesame-fp5.obs.ujf-grenoble.fr/SES_TechnicalDoc.htm
Tokimatsu K., 1997, Geotechnical Site Characterization Using Surface Waves, in Ishihara (ed.), Earthquake Geotechnical Engineering, Balkema,
Rotterdam, pp. 1333-1368.
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Xia J., Miller R. D., Park C. B., 1999, Estimation of Near-Surface Shear-Wave Velocity by Inversion of Rayleigh Waves, in «Geophysics», vol. 64, n.
3, pp. 691-700.
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F. Giordano* & G. Naso**
Risposta sismica locale del centro storico di Crotone
Con il termine “microzonazione sismica” si intende la valutazione della
pericolosità sismica locale attraverso l’individuazione di sottozone del territorio caratterizzate da un comportamento sismico omogeneo, che differiscono
tra loro per il livello di pericolosità sismica locale.
Tale suddivisione deve necessariamente considerare tutti i parametri rientranti nella sismicità di base (tipologie delle sorgenti sismogenetiche, distanza
dalle sorgenti, energia dei terremoti attesi, etc.), sia dalle caratteristiche geologiche e morfologiche locali
Col termine condizioni geologico-tecniche locali, infine, si intende indicare la morfologia dell’area in esame e le caratteristiche geotecniche e geofisiche delle litologie che compongono gli strati più superficiali del sottosuolo:
la stratigrafia (costituzione e disposizione dei terreni nel sottosuolo), le proprietà fisiche e meccaniche statiche e dinamiche dei terreni, la presenza o l’assenza di falda. In diversi casi si è osservato che queste caratteristiche producono significative modifiche in termini di ampiezza, frequenza e durata dello
scuotimento sismico. Gli studi di tali modificazioni sono definite Risposta Sismica Locale (da qui RSL). La RSL, in via del tutto generale (vedi figura 1),
si può quantificare mediante il rapporto tra il moto sismico alla superficie del
sito e quello che si osserverebbe per lo stesso evento sismico su un’ affioramento di roccia rigida con morfologia orizzontale.
Per il centro storico di Crotone è stata determinata la risposta sismica locale, una volta definito il modello del sottosuolo, ricostruito con una gran
quantità di dati geologici, geomorfologici, geotecnici e geofisici. Per definire l’entità dello scuotimento in superficie sono stati utilizzati i seguenti stimatori:
* DiSGG, Dipartimento di Strutture, Geotecnica, Geologia applicata all’ingegneria, Università della Basilicata, via dell’Ateneo Lucano - 85100 Potenza.
**DPC, Dipartimento della Protezione Civile, Uff. Rischio Sismico, Via Vitorchiano, 4 00189 Roma.
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Affioramento rigido
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Superficie
Fig. 1 - Schema rappresentante una successione litostratigrafica di terreni (deposito) ed un affioramento rigido (roccia). L’input sismico, attraversando i pacchetti di terreni più superficiali,
viene modificato. La RSL è lo studio di queste modificazioni.
● Funzioni di amplificazione, sono una chiara ed efficace rappresentazione
dell’effetto filtrante di un deposito di terreno nei riguardi delle onde sismiche. Attraverso tali funzioni si evidenzia in quale campo di frequenze
il deposito di terreno attraversato è in grado di indurre effetti di amplificazione o di attenuazione del moto (Lanzo e Silvestri, 1999).
● Spettri di risposta elastici in termini di pseudo-accelerazione (in seguito
spettri di risposta): sono dei diagrammi le cui ordinate rappresentano la
massima ampiezza della pseudo-accelerazione in funzione del periodo
proprio e dello smorzamento relativo di un sistema elastico ad un grado di
libertà. Si rilevano utili nel campo dell’ingegneria strutturale per la valutazione dell’azione sismica sulle strutture civili, utilizzando il Response
Spectrum Method (RSM) introdotto da Biot nel 1932 (Trifunac, 2006;
Chopra, 2006).
● Fattore di amplificazione determinato attraverso l’Indice di Housner (Kramer, 1996):
2.5
SI (ξ ) = PSV (ξ , T ) dT 1
0.1
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(1)
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Dove:
PSV: Spettro di risposta in termini di pseudo-velocità
x:
Smorzamento
T:
Periodo
Dal rapporto dell’Indice di Housner tra lo spettro di risposta in pseudo-velocità su superficie e quello su affioramento rigido (in seguito outcrop) si ottiene un indice per stimare sinteticamente l’amplificazione locale:
Tf
PSVSuperficie dT
FA =
Ti
Tf
PSVoutcrop dT
(2)
Ti
L’Indice di Housner rappresenta l’integrale dello spettro di pseudo-velocità su un intervallo periodico che, in genere, viene scelto in modo da contenere i periodi fondamentali di vibrazione delle strutture in esame in una data
area. In termini pratici, l’indice di Housner è una misura integrale del “potere
distruttivo” di un terremoto definita da un valore numerico. Il rapporto tra l’Indice di Housner sulla superficie considerata rispetto a quello su affioramento
rigido (equazione 2), definisce una misura sintetica di come tale potere distruttivo si amplifica quando le onde sismiche attraversano gli strati di terreno
più superficiali. In definitiva, con tale parametro è possibile creare una gerarchia nelle aree in esame, per cui ad un valore più alto di tale fattore corrisponde globalmente un valore più elevato dello scuotimento sismico.
L’impiego degli stimatori sopra elencati permette di definire una carta di
microzonazione sismica.
1. Modello del sottosuolo
Sulla base del modello geologico elaborato per questo stesso progetto (vedi Scerra, 2008) e dei dati pregressi di carotaggi e indagini geotecniche (fig.
2), è stata stabilita una campagna di indagine ex novo (fig.3). In ciascuno dei
siti di indagine sono state eseguite perforazioni a carotaggio continuo e a distruzione di nucleo. Per quanto concerne le indagini in sito sono stati eseguiti
5 array di sismica passiva tipo NASW (fig. 4), 10 nuovi sondaggi per prove
down hole (fig. 5) e 30 prove penetrometriche dinamiche SPT (3 per foro). Durante le perforazioni, inoltre, sono stati prelevati complessivamente 20 cam1 L’Indice di Housner fa riferimento (come si evince dalla relazione) ad una finestra temporale i cui limiti, inferiore e superiore, sono rispettivamente Ti=0.1 s, Ts=2.5 s, spesso però non
mancano esempi di applicazione su finestre periodiche diverse. In questo lavoro sono stati considerati tre intervalli periodici il primo [0.1-0.5 ], un secondo [0.1-1], [0.1-2.5].
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Fig. 2 - Carta litologica del centro di Crotone. Con i punti celesti sono indicati i siti indagati con
sismica passiva, con i punti rossi numerati sono indicati i sondaggi sui quali sono stati fatti studi di RSL.
pioni di terreno indisturbati. Sui campioni indisturbati che al momento dell’estrusione in laboratorio hanno presentato caratteristiche idonee, sono state eseguite prove meccaniche statiche e dinamiche del tipo:
● Prove di identificazione e classificazione;
● Prove di colonna risonante (figg. 6 e 7);
● Prove triassiali cicliche.
La non linearità dei terreni è stata espressa attraverso la variazione del modulo di elasticità trasversale (o di taglio) G, e dal fattore di smorzamento D, in funzione del livello di deformazione tangenziale del terreno. Diagrammando i due parametri sopracitati in scala logaritmica rispetto alle deformazioni, si ottiene la curva di decadimento del modulo di elasticità tangenziale G e la curva di incremento del fattore di smorzamento D (Kramer, 1996). In figg. 7a e 7b sono rappresentate tali curve, determinate sperimentalmente attraverso prove di colonna risonante. Il peso per unità di volume, per ogni terreno componente il modello geologico tecnico, è stato considerato costante al variare della profondità. In effetti, non
è stata evidenziata una stretta correlazione tra tale parametro e la profondità (vedi fig. 7). In pratica, per ogni terreno, è stato considerato il valore medio del peso
per unità di volume determinato dai campioni prelevati a diverse profondità.
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Fig. 3 - Ubicazione dei sondaggi considerati per la determinazione della RSL. (7 di 10, tre fuori mappa)
Fig. 4 - Risultati di alcune prove NASW. Delle cinque prove quattro ricadono all’interno dell’area in esame (tutti eccetto Capo Colonna).
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Fig. 5 - Esempio di confronto tra i profili di velocità ricavati attraverso la prova down hole, la
prova NASW relativa al sito 4 ed i valori di Vs, ricavati attraverso le prove di laboratorio.
Fig. 6 - Curve di decadimento del modulo di elasticità trasversale G (a) e di curva di incremento del modulo di smorzamento D (b) ricavate dalle prove di colonna risonante.
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Fig. 7 - Peso per unità di volume per l’argilla di base a) e per i depositi superficiali b). Si riportano
attraverso linee nell’intero banco i valori medi calcolati ed utilizzati nel modello numerico.
2. Modello per la determinazione della Risposta Sismica Locale
Il problema della valutazione del moto in superficie è stato affrontato attraverso l’impiego di modellazioni numeriche che simulano la propagazione
dell’onda sismica dagli strati più profondi (in seguito bedrock) verso la superficie, in primo luogo si è fatto riferimento a un modello di “propagazione
mono-dimensionale”. In pratica, sulla scorta del modello geologico tecnico,
l’area in esame è stata suddivisa in diverse sub-zone con caratteristiche geologiche alquanto omogenee (spessore degli strati e proprietà meccaniche dei
terreni simili). Per ognuna delle sub-zone è stato formulato un modello numerico perché, in linea di principio, si può ritenere valida l’ipotesi che la risposta sismica locale, data l’omogeneità dell’area può essere considerata costante. Tale modello simula la propagazione mono-dimensionale dell’onda sismica sulla base delle interpretazioni dei test precedentemente descritti, condotti sui terreni prelevati nei diversi sondaggi ricadenti all’interno della subzona stessa. Per tale modello, poi, si determina la RSL determinando gli stimatori descritti precedentemente. È stata effettuata, inoltre, un’analisi bidimensionale partendo delle sezioni geologiche determinate per il sito in esame. (vedi Scerra, 2008).
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Simulazioni 1D
Le modellazioni numeriche che simulano la “propagazione mono-dimensionale” dell’onda sismica dal bedrock verso la superficie, si effettuano considerando un mezzo composto da una “serie di strati visco-elastici continui”. Per
ogni strato omogeneo vale la seguente equazione differenziale:
ρi ⋅
∂ 2ui
∂ 3ui
∂ 2u
−ηi ⋅
− Gi ⋅ 2 i = 0
2
2
∂t
∂t ⋅ ∂z
∂z
(3)
Dove:
r: densità dell’ i-simo strato di terreno.
Gi: modulo di rigidezza a taglio di materiale relativo all’i-esimo strato di
terreno.
ui: componente orizzontale dello spostamento relativo all’i-esimo strato
di terreno.
hi: coefficiente di smorzamento.
L’equazione (3) presenta una soluzione in forma chiusa nel caso in cui si
possa fare riferimento ad un deposito di terreno con comportamento linearmente elastico. In genere tale ipotesi non è veritiera in quanto i terreni hanno
un comportamento non lineare già a piccole deformazioni. Ciò comporta che
l’equazione (3), non essendo definita univocamente nei parametri Gi ed hi, perché dipendenti dalla deformazione g legata alla funzione incognita ui, non presenta soluzioni in forma chiusa. Tale equazione andrà risolta numericamente.
In questo lavoro la relazione precedente viene implementata numericamente
con il l’ausilio del software ProShake (Aa.Vv., Proskake, 1998). Il funzionamento del ProShake è analogo al codice Shake91 (Schnabel et al., 1972), entrambi compiono un’analisi del tipo “lineare equivalente”.
In pratica, questi codici di calcolo effettuano una discretizzazione del terreno attraverso una successione di strati continui (definito come mezzo-multistrato) poggianti su un semispazio. L’analisi viene condotta nel dominio delle
frequenze, si calcola la funzione di trasferimento (il cui modulo rappresenta la
Funzione di Amplificazione) per i diversi strati. La non linearità del terreno è
portata in conto attraverso la curva di degrado del modulo di elasticità trasversale curva G(g), e la curva di incremento del fattore di smorzamento D(g)
(vedi figg. 6-7). L’input di riferimento è rappresentato dal moto sismico (time
histories) che può essere applicato in linea di principio su qualsiasi strato, in
questo lavoro viene applicato al semispazio alla base del multistrato (Giordano, 2005).
Nella tabella 1 sono sintetizzati i risultati degli studi di pericolosità (Galli
e Lucantoni, 2008) che hanno permesso di definire gli input sismici per le simulazioni numeriche 1D (e 2D).
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Tab 1 - Valori di PGA (g) degli input sismici utilizzati nelle simulazioni numeriche.
PGA =
Probabilità
Totale
1.05E-02
1.02E-03
7.46E-04
5.36E-04
4.70E-04
0.072 g
Tr = 72
magnitudo
distanza
media
media
4.6
10.8
6.3
58.3
6.5
17.3
6.6
72.1
6.7
36.5
epsilon
media
0.080
0.903
-1.653
1.238
-0.224
%
contrib
72.0%
7.0%
5.1%
3.7%
3.2%
PGA =
Probabilità
Totale
1.55E-03
3.97E-04
5.52E-05
0.161 g
Tr = 475
magnitudo
distanza
media
media
4.7
6.7
6.5
15.9
6.7
35.9
epsilon
media
0.899
-0.220
1.445
%
contrib
72.5%
18.6%
2.6%
PGA =
Probabilità
Totale
2.67E-04
1.35E-04
5.08E-06
0.274 g
Tr = 2475
magnitudo
distanza
media
media
4.8
4.9
6.5
14.5
6.7
35.7
epsilon
media
1.474
0.697
2.351
%
contrib
64.4%
32.6%
1.2%
Simulazioni 2D
L’analisi bi-dimensionale è stata eseguita col programma Quake/W
(AA.VV., Quake/W, 2005) sviluppato per la determinazione della risposta dinamica delle strutture in terra soggette ad azione sismica (Giordano, 2006).
L’analisi viene condotta in maniera lineare equivalente, le caratteristiche
dinamiche sono mantenute costanti per l’intera durata del sisma; al termine di
ogni iterazione, le matrici di rigidezza e di smorzamento vengono aggiornate
con un criterio del tutto simile a quello adoperato dallo Shake 91. In pratica il
programma determina il massimo valore dello spostamento tra due successive
iterazioni definito come:
Dove a sono gli spostamenti al nodo n, i è il numero di iterazione e np è il
valore massimo di nodi. Il programma utilizza una relazione per la convergenza del tipo:
Dove e è una prefissata soglia di convergenza.
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Gli aspetti fondamentali della modellazione agli elementi finiti sono tre: la ripartizione del continuo in elementi finiti (o meshing; figg. 8 e 9), la definizione
dei legami costitutivi dei materiali, e la definizione delle condizioni a contorno.
Fig. 8 - Esempi di sezioni 2D per le quali si sono calcolati gli spettri in superficie.
Fig. 9 - Esempio di meshing per la sezione A-B di fig. 8. I box su superficie definiti con la nomenclatura ABx, 2ABx, con x valore numerico, indicano i punti dove sono stati determinati gli
spettri di risposta in termini di pseudo-accelerazione.
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Attraverso l’operazione di meshing si definiscono le dimensioni del dominio che si vuole analizzare. La caratterizzazione dei legami costitutivi, come è
stato fatto in precedenza (modellazione 1D), si ottiene dalla conoscenza delle
caratteristiche di rigidezza (G) e di smorzamento (D) del singolo materiale e
di come variano rispetto alla deformazione tangenziale imposta. Gli input sismici sono gli stessi utilizzati per le simulazioni 1D previa un’operazione di
deconvoluzione del segnale spiegata in breve in seguito.
In Quake/W, l’azione sismica va inserita come registrazione accelerometrica applicata sul contorno inferiore del dominio che rappresenta il bedrock.
Tuttavia gli accelerogrammi artificiali spettro compatibili sono determinati
sulla scorta di registrazioni accelerometriche riferite ad affioramenti in roccia
(outcrop). È stata, quindi, utilizzata una procedura di deconvoluzione al bedrock attraverso il programma monodimensionale (ProShake) articolata nelle
seguenti fasi:
● si è costruita una colonna stratigrafica in ProShake del substrato rigido fatta completamente di argilla;
● sono stati applicati in superficie le time histories da utilizzare per l’analisi
2D utilizzando in superficie l’opzione del programma: outcrop;
● sono state ricavate ad una data profondità le registrazioni accelerometriche.
La profondità entro la quale bisogna effettuare la deconvoluzione non è nota a priori, in quanto il tipo di vincoli utilizzati nel modello e la presenza di una
frontiera rigida, influenza tale profondità. Questo problema è stato risolto attraverso una procedura di confronto con le simulazioni numeriche 1D in alcune zone dove erano valide le ipotesi che governano simultaneamente sia il problema mono-dimensionale che quello bi-dimensionale tali aree sono state definite in seguito Test sites. I risultati di tale operazione hanno mostrato che: inserire uno spessore non superiore a 50 metri di argilla di base comportava una
sovrastima dell’input sismico giustificabile solo con un effetto di intrappolamento dell’energia sismica, che in realtà, per come è configurato il sottosuolo
del comune di Crotone, non dovrebbe esistere.
Quindi nei, test sites, è stata effettuata un’analisi di sensibilità spostando
la frontiera di calcolo inferiore oltre i 50 per 10 metri alla volta. Dal confronto degli spettri di risposta tra il modello 1D ed il 2D è stato osservato che la
profondità di 70 metri risulta essere quella più idonea per le simulazioni 2D.
3. Carta di microzonazione sismica e spettri di risposta in superficie
Sulla base del modello geologico e geofisico del sottosuolo e delle modellazioni numeriche è stata ricostruita una mappa di microzonazione sismica del
centro storico (fig. 10). L’area è stata divisa in 6 zone, con pericolosità sismi-
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Fig. 10 - Microzonazione sismica del centro storico.
ca crescente (colori grigio-verde-giallo-arancio chiaro-arancio scuro-rosso in
fig. 10). Ogni zona è caratterizzata da uno spettro di risposta elastico.
Nelle figg. da 11 a 16 sono riportati gli spettri di risposta elastici in termini di pseudo-accelerazione per ogni zona e il confronto con gli spettri di norma (Opcm 3.274). Sono riportati anche i valori di Vs30 che, come si noterà, con
questi valori non sarebbe possibile una classificazione (tutti i siti, tranne quelli sul bedrock sismico, sarebbero in categoria C), come quella ottenuta con i
dati e le elaborazioni sperimentali.
Zona 1 (grigia in fig. 10). Lo spettro è relativo all’affioramento rigido; Vs30> 800 m/s
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Zona 2 (verde in fig. 10); Vs30=278 m/
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Zona 3 (gialla in fig. 10); Vs30=244 m/s
Zona 4 (arancio chiaro in fig. 10); Vs30=259 m/s
Zona 5 (arancio scuro in fig. 10) Vs30=265 m/s
Zona 6 (rossa in fig. 10); Vs30=278 m/s
Fi. 11 - Confronto tra gli spettri di risposta per le diverse aree omogenee.
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Bibliografia di riferimento
Galli, P. e Lucantoni, A. (2009), La pericolosità sismica di Crotone. Questo
volume
Trifunac M.D. (2006), Biot response spectrum, Soil Dynamics and Earthquake
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AA.VV. (2004), Dynamic Modeling with QUAKE/W, An Engineering
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Scerra, A. (2009), Il modello geologico-tecnico del sottosuolo di Crotone.
Questo volume.
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Indice
Sabino Vetta
Il progetto PIC Urban II e la Misura 1.1
“Messa in sicurezza dei siti urbani a rischio”
00
P. Galli, A. Lucantoni
La pericolosità sismica di Crotone
00
I. Guerra
Inquadramento sismotettonico
00
A. Scerra
Il modello geologico-tecnico del sottosuolo di Crotone
00
M. Mucciarelli, D. Albarello
Profili di Vs da misure di microtremori
00
F. Giordano, G. Naso
Risposta sismica locale del centro storico di Crotone
00
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