Brutto anatroccolo

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Brutto anatroccolo
Venezia 26 Gennaio 2013
Quando uno ha il cuore buono: Il segreto del Brutto Anatroccolo.
Un progetto di scuola dell’Infanzia.
La scelta è stata fatta prima di tutto per la struttura narrativa semplice e ripetitiva della fiaba,
adeguata all’età dei bambini della scuola dell’infanzia, inoltre per la possibilità di sviluppare il tema
dell’umile e del suo riscatto sia dal punto di vista sociale che morale. Il progetto, infatti, nasce dalla
curiosità di trattare con i bambini questo tema, a partire dalle fiabe di Andersen. L’intento non è
quello di svilupparlo a pieno, ma creare un percorso emotivo e narrativo che consenta
un’immedesimazione ed una lettura personale, e di classe, della fiaba vertendo in specifico sui temi
proposti. La fiaba de “Il Brutto Anatroccolo” narra attraverso le vicende di un piccolo anatroccolo,
non solo il riscatto finale di questi, ma espone inoltre l’aspetto del desiderio e della ricerca di sé
caratteristico di questa fiaba.
Il libro scelto è l’edizione illustrata dell’editore Nord-Sud,
tradotto da L. Battistutta (vd immagine a lato). La scelta
del libro deriva soprattutto dalle illustrazioni chiare ed
aderenti alla realtà, che riprendono tutti i passaggi della
storia Anderseniana. Attraverso elaborati ed esperienze i
bambini rivivranno i tratti fondamentali della fiaba e
dell’umile. Il testo presentava però un’incongruenza
nell’illustrazione dell’anatroccolo durante l’inverno. Nelle
ultime pagine infatti ci sono due illustrazioni in cui
l’anatroccolo è già cigno prima ancora di vedere
effettivamente la trasformazione in primavera. Io ho
coperto queste immagini, disegnando sopra il profilo dell’anatroccolo ancora brutto. Questo è stato
poi utilizzato come accorgimento per far riflettere i bambini sul valore dell’umiltà nell’animo. Nella
parte della storia in cui l’anatroccolo incontra i cigni, la descrizione risultava scarna, è stata così da
me modificata col testo tratto dall’edizione delle fiabe di Andersen dell’Einaudi.1 La traduzione di
riferimento consigliata (nonché la più utilizzata) è quella di Alda Manghi e Marcella Rinaldi. La
prima traduzione in Italia delle novelle di Andersen si deve alla veneziana Maria Pezzè Pascolato
nel 1903 per la Hoepli Edizioni, traduzione nell’italiano di quel periodo, con modi di dire e vocaboli
obsoleti (es anitroccoli, giuochi, “ti abbiamo preso a ben volere”)2. Un'altra modifica relativa al
testo, riguarda il fatto che nel libro è omesso il racconto di ciò che succede all’anatroccolo
all’interno della casa del contadino; questa parte della storia viene omessa in questa edizione
illustrata.
La fiaba letta ai bambini presentava infine questo testo:
“L’estate era al suo culmine e la campagna era splendida. Il grano era dorato, l’avena
verdeggiante e sui prati spiccavano gialli covoni di fieno. Sulle rive di un fiume, ben nascosto tra
l’erba alta, mamma anatra aveva fatto il nido. Aveva covato le uova a lungo, e ora cominciava ad
essere un po’ impaziente. Infine, uno dopo l’altro, i gusci cominciarono a rompersi e i piccoli
pulcini gialli saltarono fuori.
«Quack, quack!» pigolavano.
Soltanto un uovo – l’ultimo – era ancora chiuso.
1
2
H.C.Andersen, Fiabe, Editore Einaudi, Torino 2005,
Le fiabe di Hans Christian Andersen, trad.M.P.Pascolato, Edizioni Ulrico Hoepli Milano 2004
Infine, anche il grande uovo si aprì e ne uscì a rotoloni un grosso pulcino grigio. L’anatra lo
osservò con sospetto. « Che razza di brutto anatroccolo è mai questo?» si domandò. «Non somiglia
per niente agli altri. Non sarà forse un pulcino di tacchino?»
Il giorno seguente, mamma anatra portò tutta la famiglia a fare il bagno. Gli anatroccolo si
tuffavano e sguazzavano, e il brutto anatroccolo nuotava meglio di tutti. «Nuota troppo bene, non
può essere un piccolo di tacchino» si disse l’anatra. «Dev’essere mio figlio, dopo tutto, perché in
acqua è un campione.»
Dopo la nuotata, mamma anatra portò i figlioli nell’aia della fattoria, per presentarli in società.
«Camminate impettiti» raccomandò loro. «Petto in fuori, pancia in dentro. Non masticate le parole,
pigolate forte e chiaro!»
Gli anatroccolo fecero come la mamma aveva detto, ed erano davvero i più bei pulcini del cortile.
Le altre anatre però ridacchiarono: «Guardate che buffo quello lì!»
Le galline starnazzarono: « Guardate quant’è brutto quell’anatroccolo! Non lo vogliamo nel nostro
cortile!» E una vecchia, grassa anatra arrivò a beccarlo sul collo.
«Lasciatelo in pace!» strillò mamma anatra. «Che male vi ha fatto?»
«Nessuno» rispose la vecchia comare bisbetica «Ma è brutto da far spavento! Merita di essere
picchiato!»3
Tutti gli animali dell’aia presero a spintonare, a beccare e a tormentare il brutto anatroccolo, che
da quel giorno non ebbe un attimo di pace.
Stanco di essere maltrattato, l’anatroccolo decise di andarsene e fuggì a rotta di collo lungo il
pendio della collina. Arrivò a una grande palude dove vivevano molte anatre selvatiche.
Forse era anche lui uno di loro? Ma…
«Che brutto anatroccolo!» esclamò la signora anatra.
«Ignoralo!» le suggerì il signor anatra.
Neanche gli altri uccelli che vivevano nella palude si tenevano al largo dal brutto anatroccolo, che
non aveva amici e rimaneva sempre da solo. Un brutto giorno: BANG! BANG! La palude intera
rimbombò e due oche selvatiche precipitarono giù dal cielo. Il brutto anatroccolo era terrorizzato.
Si nascose tra l’erba tutto tremante, mentre gli spari tuonavano ovunque.
Quando i colpi di fucile cessarono, l’anatroccolo era ancora troppo spaventato per muoversi.
Aspettò ore e ore nel suo nascondiglio, poi scappò via a gambe levate dalla palude.
Verso sera arrivò ad una casupola. Soffiava un vento gelido, ma per fortuna la porta era socchiusa
e l’anatroccolo sgusciò all’interno. Nella casa viveva una vecchia in compagnia di un gatto e una
gallina. Si stupì del piccolo anatroccolo che le era entrato in casa, ma siccome le uova d’anatra
sono una prelibatezza, lo tenne con sé. Prima o poi avrebbe deposto qualche bell’ovetto…
Aspetta e aspetta, dopo diverse settimane la vecchia perse la pazienza.
«Non sai fare nemmeno un uovo!» Lo derise la gallina, gonfiando il petto superba.
3
Questa frase è stata omessa dal racconto in quanto non presente in alcuna traduzione principale dell’autore ed in
quanto il termine “merita” si riferisce non ad uno sbaglio o un’azione del protagonista, ma rispetto a ciò che egli è.
Risulta quindi molto tagliente e disconfermante per i bambini.
«Che anatra inutile!» aggiunse il gatto, rizzando il pelo e soffiando contro il povero anatroccolo.
L’anatroccolo aspettò la prima occasione e fuggì approfittando della porta rimasta aperta. Vagò
senza meta fino alla sponda del lago, ma qui non c’era traccia di anatre. Nel frattempo era arrivato
l’autunno. Il cielo era grigio e le foglie cadevano dagli alberi. Le anatre selvatiche erano tutte
migrate verso i paesi caldi e il brutto anatroccolo si ritrovò tutto solo.
Una sera al tramonto l’anatroccolo scorse uno stormo di grandi uccelli bianchi, dai lunghi colli
eleganti.
Mai l’anatroccolo aveva visto uccelli così belli! Erano di un bianco abbagliante con corpi
flessuosi, erano cigni! Essi stesero le loro grandi ali bianche e partirono nel cielo verso i paesi
caldi. L’anatroccolo si sentì una strana nostalgia nel cuore,
Allungò il collo e fece per spiccare il volo,ma le sue alucce non erano abbastanza grandi e forti da
permettergli di alzarsi nel cielo.
Arrivò l’inverno. Le giornate si facevano sempre più fredde e la neve cadde a coprire i campi.
L’anatroccolo doveva sguazzare nello stagno per non congelarsi e ogni giorno, man mano che
l’acqua diventava ghiaccio, la buca nella quale nuotava diventava più piccola. Infine, esausto,
l’anatroccolo smise di nuotare. Durante la notte l’acqua gelò completamente imprigionandolo.
Il mattino un contadino di passaggio lo vide, ruppe il ghiaccio e se lo portò a casa. Così,
l’anatroccolo passò la brutta stagione nella stalla del contadino, in compagnia di mucche e galline.
A poco, a poco il sole cominciò a splendere sempre più caldo, i fiori sbocciarono nuovamente e
arrivò la primavera. L’anatroccolo alzava spesso lo sguardo verso il cielo e provava una strana
nostalgia.
Un giorno vide grandi uccelli bianchi tornare al lago. Come gli sarebbe piaciuto diventare loro
amico! Se solo fosse stato capace di volare…
Pensando a queste cose, l’anatroccolo dispiegò le ali che, durante l’inverno, erano cresciute e
diventate forti. E, con sua grande sorpresa si ritrovò in alto, nel cielo. Stava volando!
Il brutto anatroccolo planò sull’acqua del lago, a poca distanza dagli uccelli bianchi. Ma non
osava avvicinarsi: sapeva di essere brutto e si aspettava che lo cacciassero via. Perciò rimase in
disparte, tutto vergognoso, con il capo chino.
Sull’acqua limpida del lago vide riflessa la propria immagine e..che sorpresa! Non era più un
anatroccolo grigio e goffo, ma un grande uccello bianco. Era diventato un cigno!
Mentre gli altri si avvicinavano per salutarlo, il cuore dell’anatroccolo batteva all’impazzata.
Pensò a com’era stato maltrattato fino a poco tempo prima.
Ma se sei un cigno, poco importa che tu nasca in un nido di anatre!
Gli altri cigni lo riempivano di complimenti e gli dicevano che era il più bello di tutti!
Un cespuglio di lillà si chinava sul pelo dell’acqua, il sole splendeva accarezzando con i suoi
tiepidi raggi le sue piume candide.
Piegò elegantemente il lungo collo e pensò tra sè e sé: «Non avrei mai immaginato di poter essere
così felice, quand’ero il brutto anatroccolo!»”4
Ma se sei un uovo di cigno, poco importa che tu nasca in un nido di anatre!
Quando uno ha il cuore buono
non ha più paura di niente,
è felice di ogni cosa,
vuole amare solamente!5
Spiegazione dei tratti principali della fiaba.
La fiaba de “Il Brutto Anatroccolo” è una fiaba autobiografica dell’autore che si identifica con
l’anatroccolo oggetto di scherno e allontanamento, ma che alla fine si rivela bellissimo d’animo ed
aspetto, fino ad essere riconosciuto il più bello dagli altri cigni. Lo stesso nome An-(d)er-sen
significa “figlio di anatra”. La struttura della storia riprende le quattro stagioni, permettendo così di
poter dividerla in sequenze, anche nell’interpretazione. Il primo momento della storia avviene in
estate, presentando un ambiente rigoglioso, caldo, in cui però Andersen ci descrive una società che
rifugge l’anatroccolo , neo arrivato, a causa della sua bruttezza, della sua diversità. L’umile quindi
ci viene presentato subito come diverso dagli altri, nell’aspetto e, nel corso della storia, ci viene
svelato diverso anche nell’animo. La madre anatra vedendolo aveva pensato a un piccolo di
tacchino, ma quando l’anatroccolo comincia a nuotare nello stagno, mostra eleganza nel movimento
e velocità, attributi non tipici dei tacchini. L’umile ha quindi una qualità, eccelle nel nuoto. Al
debutto in società, le galline lo maltrattano, lo scherniscono e addirittura lo beccano. Inizialmente
l’anatra mamma cerca di proteggerlo, ma finisce anche lei a desiderarne l’assenza.6 Lei che l’aveva
lodato quando nuotava meglio di tutti. L’anatroccolo allora scappa, disperato in cerca di un altro
posto dove stare, in cerca di qualcuno che non lo allontani. Scappa, non reagisce e non si vendica.
Incontra le anatre della palude, le quali lo allontanano, mantenendo un comportamento indifferente
seguito da tutti gli abitanti della palude. L’arrivo dei cacciatori costringe l’anatroccolo a scappare
nuovamente trovando rifugio nella casa di una contadina. Scambiato per un’anatra, la donna se ne
prende cura in attesa delle uova. Abitano nella casa anche una gallina ed un gatto che si rivelano
specchi del moralismo saccente che non riconosce il valore degli altri se non in quello che fanno.
L’anatroccolo così fugge di nuovo. Giunge l’autunno e mentre guarda il tramonto scorge degli
animali bianchi, bellissimi, che emigrano verso i paesi caldi, i cigni. Questo momento è
importantissimo nella storia perché qui il brutto anatroccolo scoprirà che non gli basta “resistere”
alle ingiurie alle quali è sottoposto, ma desidera di più, desidera quella bellezza lì, li desidera amici.
Questo incontro è decisivo7. L’immagine del libro scelto è emblematica di questa “tensione”, in
quanto l’anatroccolo è disegnato in punta di “piedi”, con il becco teso verso lo stormo di quegli
eleganti uccelli. Il testo parla proprio di nostalgia del cuore:
4
Le parti sottolineate indicano il testo aggiunto o modificato.
Canzone Quando uno ha il cuore buono, Claudio Chieffo
6
È importante sottolinearne anche tutto il dolore che una madre può vivere nel vedere il proprio figlio schernito da tutti
e desiderarne la lontananza, anche per il bene del figlio. Molti libri illustrati mostrano nel finale l’anatroccolo ormai
cigno che torna da mamma Anatra per mostrarle che l’intuizione di bene della madre su di lui era proprio vera!
7
R. Filippetti Educare con le fiabe, Itaca, 2008, pp.50-51
5
“Mai l’anatroccolo aveva visto uccelli così belli! Erano di un bianco abbagliante con corpi
flessuosi, erano cigni! Essi stesero le loro grandi ali bianche e partirono nel cielo verso i paesi
caldi. L’anatroccolo si sentì una strana nostalgia nel cuore,”8
La nostalgia indica proprio questa tensione alla bellezza per sé, il desiderio di parteciparvi. Scrive
Filippetti:
“Nostalgia «strana»: dimora nel profondo dell’io, ma proviene da fuori(extra), da Altro. […] verso
questo Altro si protende con un’affezione nuova e totalizzante. E quando Lo incontrerà ne riceverà
proprio il dono del suo nome: l’identità.”9
Questo incontro ed l’accendersi di questo desiderio, di questa nostalgia rivelano la promessa del
Brutto Anatroccolo nel diventare un cigno. Il brutto anatroccolo infatti è un uovo di cigno, quindi
destinato a partecipare a quella bellezza fin da piccolo. È il suo destino.
Durante l’inverno l’anatroccolo prova la solitudine, il dolore. Nella storia letta ai bambini,
l’anatroccolo viene salvato dal contadino, il quale gli offre un riparo durante il freddo invernale.
Arriva la primavera. I fiori si aprono, torna il verde e scompare il bianco della neve. Da i paesi caldi
fanno ritorno i cigni. L’anatroccolo vedendoli, sente nuovamente quella morsa, quel dolore
nostalgico e decide di raggiungerli,
“«Io voglio andare da quegli uccelli reali! Ah! Mi uccideranno a forza di beccate, perché brutto
come sono oso avvicinarmi ad essi! Ma non importa! Meglio essere ucciso da loro che dalle anatre,
beccato dalle galline, pestato dalla ragazza che bada il pollaio, o soffrire le pene dell’inferno!»”10
Per avvicinarsi prova a volare e ci riesce! Vola, è cresciuto ed è forte. L’animo è pronto. Si avvicina
nuotando sull’acqua, abbassa il capo umilmente e scopre il suo nuovo aspetto. È diventato un cigno
anche lui!
La rinascita finale mostra la scoperta, da parte dell’anatroccolo, di essere egli fatto per quella
bellezza. Riscopre sé, scopre che il suo destino è legato a quell’incontro, ed all’adesione a ciò che
più desidera. L’umiltà è qui premiata sia moralmente, che socialmente. Socialmente in quanto la
bellezza dell’anatroccolo viene riconosciuta dai cigni come la più grande. Moralmente in quanto
tutta la storia narra proprio del cuore dell’anatroccolo, che umilmente cerca qualcuno che lo accetti.
In seguito all’incontro coi cigni, scopre che ha un desiderio ancora più grande, che consiste nel
desiderare non solo l’accettazione, ma anche un amore su di sé che lo renda bello, che lo faccia
grande e forte. Riscoprirsi oggetto di questo, vestito di questo amore, permette che egli acquisti
un’identità ed un valore che innalza l’umiltà.
“L’identità viene donata all’io […] dall’incontro col Tu: l’io abbassa la testa sullo specchio
d’acqua, e si riconosce fatto a «immagine e somiglianza» di quel Tu che ha di fronte.”11
Che importa dunque essere nato in un nido di anatre, se sei un uovo di cigno?
Commento
Il Brutto Anatroccolo da piccolo e brutto qual era si è trasformato in cigno. Questo piccolo
protagonista non riguarda solo i bambini, ma ognuno di noi, dice infatti Chesterton “È inutile
8
H.C.Andersen, Fiabe, op.cit., p. 188
R.Filippetti, Educare con le fiabe, op.cit., p.44
10
H.C.Andersen, Fiabe, op.cit.,p.189
11
Ivi, p.45
9
sostenere che l’uomo è piccolo di fronte al cosmo: l’uomo è sempre piccolo, anche se si paragona
all’albero più vicino.”12. Cosa rende grande l’uomo? Cosa rende grande e interessante la storia del
piccolo anatroccolo? Il suo desiderio di essere in mezzo a quei cigni, di avvicinarsi, di essere anche
lui così bello. Non ammirato, infatti appena accade abbassa il capo e si scopre cigno! È nell’atto
ultimo di umiltà che si scopre, e questo già ci svela come noi possiamo scoprire la nostra grandezza.
Ma quante volte noi vogliamo farci grandi da soli? Il desiderio di essere grande è insito nell’uomo
ma non è realizzabile attraverso le sue sole possibilità. Più tenta di controllare le sue cose più non ci
riesce. L’uomo è fatto per le cose grandi ma si apre a questa possibilità solo se si affida a chi
controlla e decide del mondo in cui è. Solo Dio è grande e può rendere grande l’uomo.
Paradossalmente più un individuo ci abbandona e si fa piccolo, più diventa grande perché cede al
progetto (e della persona parlando di Gesù Cristo) di Dio. Infatti il Brutto Anatroccolo cede al
desiderio di una bellezza che c’è, che è promessa a lui!
E noi insegnanti rispetto a questo siamo privilegiate.
Lo stesso Gesù ce lo dice “Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli”13,
non per un infantilismo ma per far comprendere quell’atteggiamento di stupore e di fiducia nella
realtà propria dei bambini. Un bambino percepisce il mondo come un posto di continua scoperta che
gli è dato, per il bambino ogni cosa ha senso per il fatto stesso che c’è e l’affidarsi alla mamma è
sicuro, sicuro perché attento ai segni che indicano il bene che la mamma gli vuole. L’ atteggiamento
del bambino sta “nel fatto di vedere tutto con un piacere semplice, persino le cose complesse.[…]Il
fiore con cui Dio incorona l’uno[l’albero]e la fiamma con cui Sam, il lampionaio, incorona
l’altro[il lampione], sono ugualmente dorati come nelle fiabe.”14
Il bambino ha la semplicità di lasciarsi guidare dalla curiosità, la stessa descritta nel capitolo
precedente. Chesterton scrive “[…]tutti amiamo le favole meravigliose perché esse toccano la
corda dell’antico istinto dello stupore. Ciò è comprovato dal fatto che, quando siamo molto piccoli
non abbiamo neanche bisogno delle favole: ci bastano le storie. La vita per se stessa ci pare
interessante”15 Il bambino è libero dalla monotonia e servo dello stupore, della meraviglia, trovando
in lui più vivo quest’istinto primordiale che lo porta non tanto ad appassionarsi alla fiaba quanto al
mondo che lo circonda, alle persone che lo circondano.
“Può darsi che Egli abbia l’eterno appetito dell’infanzia”16. Le fiabe di conseguenza richiamano a
dar voce a questo istinto primordiale di stupore, di meraviglia
Questo stupore però non è un atteggiamento né spontaneo né indotto. Ma occorre prima di tutto la
scoperta di essere voluti bene così, dopo di che occorre fidarsi. Prendiamo ad esempio uno dei
nostri bambini, egli scopre che noi gli vogliamo bene, gli proponiamo cose belle e che a lui possono
piacere. Ma deve fidarsi di noi, deve decidere se gustarsi le cose con noi o rinunciare a tutto. È una
questione di libertà. È il famoso rischio dell’educazione, che siamo di fronte a persone con una
libertà in gioco. Il Brutto Anatroccolo ha scelto di rischiare tutto su quell’intuizione di bellezza per
sé, scommettendo tutto sul suo desiderio.
Così come Aslan ne “Il principe Caspian” si mostra a Lucy che, seppur certa di averlo visto non lo
segue. Nel dialogo tra lei e il leone, il suo primo tentativo è dare “la colpa agli altri” finché guidata
dallo sguardo di Lui capisce:
12
K.Chesterton, Ortodossia, op.cit., p.64
Cfr. Mt 18, 3
14
G.K.Chesterton, Eretici,op.cit., p.112
15
G.K.Chesterton, Ortodossia, op.cit., p.55
16
G.K.Chesterton, Ortodossia, op.cit., p.63
13
“Aslan[…]vuoi dire che è colpa mia? Come potevo abbandonare gli altri e venire da sola? Ti
prego non guardarmi così. Sì avrei potuto e non sarei stata sola, perché tu saresti stato con me. Ma
cosa avremmo potuto fare?”17
Così la piccola Lucy -se certa di averlo visto, riconosciuto- è chiamata a lasciare tutto, anche i suoi
amici per seguirlo. “Nonostante tutto spero ardentemente che vogliate seguirmi – annunciò Lucy
con voce tremante – Perché…perché io devo andare con Aslan, con o senza di voi!”18
Perché lei è certa di averlo visto, non le è sembrato, come Susan era intenzionata a farle credere.
Interessante questo dialogo che identifica ancora di più la necessità di tornare bambini, i bambini
sanno quello che vedono, ne sono certi e con semplicità lo riconoscono. ”Ehi, non parlare come gli
adulti[…]Non ‘mi sembra di averlo visto’. Io l’ho visto!”19
Ma ricordiamo che la promessa di essere uovo di cigno è una promessa d’amore, non
dimentichiamoci l’uomo di neve e la sua stufa! Nella scena dell’incontro tra Lucy e Aslan si vede
tutta la tenerezza del leone nelle parole, nello sguardo descritto dalla bambina e nel lasciarsi
accarezzare. Questi giudica la scelta della bambina, ma non per questo le preclude la possibilità di
trovare in lui uno sguardo che l’accoglie, un abbraccio. Così che Lucy può immergersi “nella
criniera di Aslan” per sfuggire al suo sguardo e trovare la forza di ricominciare. Ma non basta
questa semplicità. Occorre che sia accolta. Occorre che l’anatroccolo riconosca che questa bellezza
è per lui.
E il destino? Quella promessa di essere cigno? Cosa promette a noi, cosa ci ricorda?
L’umile cerca quest’abbandono perché certo che “Tutto quello che sei, a parte i peccati, è destinato,
se lascerai compiere a Dio la Sua buona opera, a un appagamento assoluto”20, la felicità.
Finalmente il Brutto Anatroccolo è bello e non è più solo. Ha degli amici. Ed ora tutto ricomincia.
Infatti “Le Cronache di Narnia” non si pongono come un Altrove in cui vivere una parentesi, in cui
semplicemente perdersi, ma l’Altrove risulta in secondo piano rispetto al rapporto con il Leone.
Tanto che la Piccola Lucy, alla notizia di non poter più far ritorno a Narnia esordisce così:
“-Sai, non tanto per Narnia – singhiozzò Lucy. - È per te! Laggiù non ti vedremo più…come
potremo farne a meno?-“21
E il Leone ribatte:
“-Sì che mi incontrerai, amica mia- [con quella tenerezza, con quell’amica mia, abbraccia tutta la
semplicità e l’umiltà di Lucy][…]Solo che laggiù ho un altro nome e dovrete imparare a
conoscermi con quello. È questo il motivo per cui siete stati mandati a Narnia: adesso sapete
qualcosa di me, anche se non molto. Vi sarà più facile riconoscermi nel vostro mondo.”
Commento, in itinere, relativo ad elaborati e conversazioni dei bambini.
Emma Bacca
17
C.S.Lewis Le Cronache di Narnia, cit. pp.555-567-570
Ibidem
19
Ibidem
20
Ivi, p.126
21
C.S.Lewis Le Cronache di Narnia, op.cit. pp.820-821
18