Magia di maglia - Pari opportunità

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Magia di maglia - Pari opportunità
magiaDImaglia
Storia economia cultura del lavorare a maglia
Testi di Wolftraud de Concini
Torre Mirana
Trento
Via Belenzani 3
15-29 novembre 2007
Giunta della Provincia Autonoma di Trento
Trento, 2007
Un filo infinito...
Organizzazione:
Provincia Autonoma di Trento
Assessorato alle Pari Opportunità
in collaborazione con il
Comune di Trento
Assessorato alla Cultura
Coordinamento:
Lucia Trettel
Assessorato provinciale alle Pari Opportunità
Ideazione e progettazione:
Wolftraud de Concini
Hanno collaborato:
M. Teresa Andergassen (realizzazione campioni di punti)
Martina Benoni (illustrazioni fiaba)
Giovanni Cavagna (abiti Alta Moda)
Piero Cavagna (servizio fotografico)
Renata Mariotti e Milena Rigotti (realizzazione arazzi)
Grafica:
Paolo Manincor, Massimiliano Moser, Giancarlo Stefanati
Stampa:
Nuove Arti Grafiche, Trento
Finito di stampare: novembre 2007
Retro di copertina:
Castello di Stenico, Cappella, “L”Annunciazione”, particolare (cesto di gomitoli e fuso)
Archivio Restauri - Soprintendenza per i Beni Storico-artistici della Provincia Autonoma di Trento
Foto: Studio Lambda
© Provincia Autonoma di Trento
Assessorato all’emigrazione, solidarietà internazionale, sport e pari opportunità 2007
che lega storia, cultura, economia e arte, ma anche destini individuali, storie
personali e tradizioni.
Nell’Anno Europeo delle Pari Opportunità, l’Assessorato alle Pari Opportunità
della Provincia Autonoma di Trento ha deciso di dedicare un evento alla
valorizzazione del lavorare a maglia, un’attività manuale di lunga storia che
proprio ai giorni nostri sta ritornando in voga.
“Tricotare” ha rappresentato da sempre un contributo economico nella
vita familiare, ma spesso anche una fonte di guadagno, soprattutto per gli
abitanti delle zone di montagna - valenza economica che si manifesta tuttora
in alcune zone, remote o depresse, dell’Europa. Inoltre i lavori a maglia
rispecchiano, nella ricchezza o nella povertà dei materiali e dell’esecuzione,
l’andamento della storia e delle vicende sociali.
Ma non solo: l’abilità, la sapienza, la creatività delle donne hanno trovato
nel lavoro a maglia uno strumento di espressione, che a partire da manufatti
quotidiani e necessari ha permesso la realizzazione di vere e proprie opere
d’arte. Ne sono un significativo esempio gli arazzi esposti nella mostra, ma
anche le creazioni dell’Alta Moda che guarda alla maglia con crescente
attenzione.
È inoltre risaputo che il lavorare a maglia costituisce un’attività estremamente
socializzante. I “filò” del passato sono ritornati di moda nei Knit-cafè che
ultimamente si stanno diffondendo nel mondo: sono luoghi – caffè, alberghi,
librerie, musei - dove ci si può incontrare “nel nome della maglia”, luoghi
“inventati” anche da noi nel Trentino nei mesi precedenti alla mostra.
E ancora, l’attività manuale ripetitiva e semplice del tricotare, che richiede
concentrazione, lasciando contemporaneamente libera la mente, viene
considerata da medici, psicologi e terapeuti, per i suoi effetti rilassanti, come
una forma di meditazione che favorisce il recupero di ritmi lenti di vita.
Un’attività simbolo delle donne, metafora del loro contributo alla storia
e alla cultura: spesso privata, invisibile e silenziosa, ma sempre ricca di
potenzialità, di utilizzo multiforme, di sapienza e di umanità.
Iva Berasi
Assessore alle Pari Opportunità
della Provincia Autonoma di Trento
Ringraziamenti
Per aver realizzato tasselli in maglia e sciarpe ringraziamo ospiti,
animatrici / animatori e volontarie delle seguenti Case di riposo nel Trentino
à Bezzecca, animatrice Alma Trentini
à Bleggio Superiore-Santa Croce, animatrice Milena Fusari
à Folgaria, animatrice Tiziana Orsi
à Lavis, animatrice M. Elena Christiansen, volontarie Anna Andreatta, Alda Telch
à Primiero-Transacqua, animatrice Marialucia Orler
à Roncegno, animatrice Monica Borgogno
à Rovereto (Centro Diurno Tacchi), animatore Paolo Rigo
à Storo, animatrici Sonia Bazzoli, Anna Cherubini
à Tesero, animatrici Emanuela Silla, Serena Rosi
à Trento (Istituto Arcivescovile per Sordi RSA), animatrici Serena Viola,
Cristina Giovannini, Simona Moschetto
nonché l’Ospedale Santa Chiara di Trento, Reparto di Oncologia,
Primario Radioterapia dott. Luigi Tomio, caposala Emanuela Modena
ed inoltre:
à Barycentro, Trento
à Bar Dorian Gray, Trento
à Hotel Eden, Levico Terme
à Hotel Krone, Baselga di Piné
Per la fornitura gratuita di filati:
à Ecafil, Calenzano (FI)
à Filatura di Crosa, Pettinengo (BI)
à Filpucci, Capalle - Campi Bisenzio (FI)
à Kaserhof di Sabine e Walter Mair, Soprabolzano/Renon (BZ)
à Lane Mondial, Brescia
à Sabotex, Verrone (BI)
à Provincia Autonoma di Trento, Assessorato all’Agricoltura, progetto
“Valorizzazione lana del Trentino”
à Cooperativa Sociale Oltre, Castello di Fiemme (TN)
Per il prestito di libri e riviste:
à Biblioteca Comunale di Trento, Eusebia Parrotto
à Luciano Dellai, Pergine
Per il prestito di manichini:
à Abbigliamento Pretto, Trento
Per consigli e suggerimenti:
à Herlinde Menardi, Direttrice Tiroler Volkskunstmuseum Innsbruck
à Veronika Pichler, Ditta Aufburg, Bolzano
Tra leggenda
e realtà
La storia dell’aguglieria è antica, quasi,
quanto quella dell’umanità. Quando l’uomo
sentì il bisogno di sostituire le grezze pelli
con abiti più fini e raffinati, dovette creare
lui stesso un tessuto: ad intreccio, a rete, a
maglia. I ritrovamenti archeologici di tessuti
– dalle steppe della Mesopotamia alle paludi
del Nord e alle palafitte di Ledro, nel Trentino
– non ci svelano però il segreto delle origini del
tricotage.
Ci piace pensare che certi tessuti elastici
e malleabili, conosciuti già nell’Antichità,
siano stati lavorati a maglia. Pensiamo alle
calzemaglie aderenti delle amazzoni che
Donna in bikini, mosaico pavimentale romano,
vediamo raffigurate su molti vasi greci, ai
III/IV sec. Piazza Armerina, Villa del Casale
succinti bikini indossati dalle ragazze del grande
mosaico pavimentale della Villa del Casale, di epoca romana, a Piazza Armerina
in Sicilia. E Penelope? Come poteva fare di giorno e disfare di notte un tessuto
realizzato al telaio? Forse sapeva lavorare a maglia anche lei?
Sono tutte supposizioni, è vero, ma sono affascinanti perché danno al “nostro”
tricotare un fondamento storico. Tra i reperti archeologici meglio conservati
troviamo alcune calze copte, provenienti da tombe della città egiziana di Bahnasa e
realizzate attorno al V secolo dopo Cristo. Sono calzette a righe, in bellissimi colori. E
sembrano lavorate a maglia.
A questo punto la maglia si allaccia alla storia. Monaci copti, dopo l’invasione araba
dell’Egitto attorno all’anno 600, sfuggono dal loro paese e trovano rifugio
nei monasteri sulle coste e le isole irlandesi, commercianti arabi
portano merci ed idee dalle rive del Mediterraneo in tutta
l’Europa. Monaci e mercanti recano con sé anche metodi di
lavorazione tessile e disegni che si sovrappongono e si
mescolano a tradizioni e modi locali. E in questo
scenario di intrecci internazionali il lavorare a
Calza copta da bambino, V secolo d.C. ca.,
Bruxelles, Musées royaux d’Art et d’Histoire
La veste di
Gesù Bambino
Le Madonne tricotanti
Vitale degli Equi, il massimo
esponente della pittura bolognese del
Trecento, rappresenta la Madonna
in un atteggiamento dolcissimo,
con Santa Caterina sulla sinistra
e Sant’Agnese. Gesù bambino,
coperto da una camiciola leggera e
trasparente, sta giocando con uno dei
rocchetti dei filati usati da sua madre
per il lavoro a maglia.
”I soldati, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue
vesti e ne fecero quattro parti, una parte per ciascun soldato”,
si legge nel Vangelo secondo Giovanni. E l’evangelista
continua: “Presero anche la tunica, che era senza cuciture,
tessuta per intero dall’alto in basso”. Una tunica senza
cuciture, dunque, la famosa tunica che, confezionata da
Maria per Gesù ancora bambino, crescerà con lui per vestirlo
nei momenti più drammatici della Passione e della morte
sulla croce. E dato che non si sapeva, allora, tessere senza
cuciture, la tunica di Cristo doveva essere stata realizzata in
un tessuto a maglia.
Nel Trecento, improvvisamente, spunta tra i soggetti artistici
uno nuovo, originale ed insolito: è la Madonna che lavora a
maglia. I pittori
Vitale degli
Equi, Ambrogio Lorenzetti e Tommaso
da Modena in Italia, Bertram da
Minden (e più tardi lo scultore ed
incisore Veit Stoß) in Germania ci
mostrano Maria, in ambientazioni
familiari ed atteggiamenti teneri,
occupata a lavorare a maglia. La
Madonna crea – e lo si vede particolarmente bene
nell’opera di Bertram da Minden – una tunichetta
per il piccolo Gesù: quella famosa tunica che poi lo
accompagnerà fino alla morte.
Certamente non casuale, e non dettata da criteri
puramente estetici, è la scelta del colore della tunica. È
appariscente e vistosa nel suo bel color porpora, in un
rosso dunque che nella liturgia cristiana è il simbolo del
sangue, del martirio e della croce, è l’allegoria del venerdì
santo.
L’abbiamo già detto: anche il lavorare a maglia può
raccontare la storia.
Vitale degli Equi detto da Bologna,
Madonna dell’Umiltà, ca. 1340-45,
Milano, Museo Poldi Pezzoli
Tommaso da Modena,
Madonna che lavora a maglia,
particolare del polittico
“La cena, la Vergine e Sante”,
ca. 1345-55, Bologna,
Pinacoteca Nazionale
Il dipinto, attribuito al pittore senese
Ambrogio Lorenzetti, mostra la
Sacra Famiglia in un’ambientazione
domestica. Sulla sinistra la Madonna
con un lavoro a maglia (a cinque
ferri?) in mano, accanto a lei Gesù
bambino, di fronte a loro San
Giuseppe: una semplice scena
familiare d’altri tempi.
La Madonna, seduta – assieme a
Gesù – su un trono, ha iniziato un
lavoro a maglia a fiori in due colori,
probabilmente una veste per il
Bambino. Adopera cinque ferri, con il
filo attorcigliato all’indice della mano
destra.
È la più famosa delle “Madonne
tricotanti” trecentesche e fu eseguita
dal pittore tedesco quasi un mezzo
secolo dopo le rappresentazioni
italiane. In uno stile vicino al gotico
internazionale, l’artista mostra la
Madonna, il Bambino e due angeli
con gli strumenti della passione
di Cristo. La camiciola per Gesù,
nel simbolico color porporeo, è
praticamente finita.
Ambrogio Lorenzetti, La Sacra Famiglia,
anni ’40 del XIV sec.,
Riggisberg, Abegg-Stiftung
(Foto: K. Buri)
Bertram da Minden, La visita degli angeli,
particolare dell’Altare di Buxtehude,
fine XIV secolo, Hamburg, Kunsthalle
...a fare la
calza
Calza da bambino, XVII sec.
Brede, Museo Nazionale della Danimarca
Calze per figli e nipoti, per fratelli e mariti, soffici calzini per neonati, robusti
calzettoni per i soldati al fronte, calze finemente operate da portare con le ampie
gonne ed i pantaloni alla zuava dei costumi tradizionali: le donne nel passato,
appena avevano un attimo di “tempo libero” – in casa o nei campi - prendevano in
mano i ferri da calza e si mettevano a sferruzzare, a “fare la calza”. Che è una vera
impresa. Bisogna avviare il numero preciso di
maglie, calcolare la lunghezza della gamba, del
calcagno e del piede, sapere calare e riprendere
le maglie al punto giusto, contare bene le righe
per formare la punta. È un’arte di cui bisogna
conoscere tutti i segreti e di cui le donne erano, a
ragione, orgogliose. Mandare una persona “a fare
la calza” non è, dunque, un’offesa…
Per fare una calza ci vogliono gli appositi ferri
corti con due punte – quei ferri usati anche da
Giovanni Segantini, Ragazza che fa la calza,
1888
Maria “magliaia” ritratta nei dipinti trecenteschi.
Se ne usano quattro oppure cinque e si lavora in tondo, senza cuciture: in una tecnica
che è stata inventata, sembra, proprio nel Trecento in Italia. Nei secoli seguenti,
decine di migliaia di uomini, donne e bambini erano dediti anche in Italia, in città
come in campagna e montagna, alla produzione di calze agucchiate a mano: in seta
per i ricchi, in lana per i meno abbienti. Era un mercato fiorente e ben
organizzato che solo nell’Ottocento, con la crescente industrializzazione,
entrò in crisi. Ma nell’ambiente familiare le donne continuarono a fare le
calze. Che oggi, lavorate a mano, sono tornate di moda.
bordo: avviare le maglie necessarie
gamba: lavorare nella lunghezza voluta
calcagno: lavorare su metà delle maglie
tallone: lavorare secondo le istruzioni
tassello: riprendere le maglie lungo la lunghezza
del calcagno e calare secondo le istruzioni
piede: lavorare nella lunghezza voluta
punta: calando le maglie secondo le istruzioni
Il Made in Italy
della maglia
Sarebbe un errore associare il lavorare a maglia alle
sole calze. Già nel Cinquecento, re e regine inglesi,
francesi e spagnoli, conti tedeschi e principi danesi
amavano vestire in maglia, a condizione che fosse
bella e lussuosa. E preferivano il Made in Italy. Gli
agucchiaroli italiani erano famosi in tutto il mondo
per i loro prodotti raffinati. Con filati di seta, spesso
impreziositi da fili d’oro e d’argento, confezionavano
morbide camicie, eleganti giacche e sottili calzamaglie Giacca tricotata in seta con fili d’oro,
XVII sec.
(che gli uomini potevano esibire fieramente, mentre le Italia,
Norimberga, Germanisches
Nationalmuseum
donne le dovevano nascondere sotto lunghe sottane).
Il lavorare a maglia – e parliamo sempre dell’”aguglieria”, del lavoro a maglia
a mano – aveva nel corso dei secoli spesso un rilevante peso economico. Era
un’abilità diffusa, tra le donne come tra gli uomini, e delle volte costituiva una vera
“salvezza”. Quando, per esempio, le ricche miniere di Schwaz, nel Tirolo del Nord,
dovettero chiudere verso la fine del Settecento, non vi furono né miseria né crisi
nera: nientemeno che 400 donne e bambini salvarono la popolazione da fame ed
emigrazione, tricotando capi in maglia su commissione.
Ancora oggi, nel Paznaun tirolese e nella Val Sarentina sudtirolese, alcune donne
ricavano un guadagno accessorio con lavori in maglia: nel Paznaun confezionano
le caratteristiche calze, con motivi a rilievo, che vengono portate con i tradizionali
costumi, nel Sarentino realizzano, con lane grezze e grasse, i tipici Sarner resistenti
a pioggia, freddo e vento. In molte vallate
alpine – e una delle prime è stata la Val
Verzasca nel Ticino, nella ricca Svizzera
– le donne hanno cominciato a guardare
indietro per vivere meglio il presente:
filano, tingono e lavorano lane ed altri
filati come nel passato, per trovare, nel
prodotto realizzato a mano e nella sua nonperfezione, la bellezza e la soddisfazione
che un capo d’abbigliamento prodotto in
fabbrica non potrà mai dare.
Arazzo lavorato a maglia, Alsazia, 1690.
Norimberga, Germanisches Nationalmuseum
Dal passato al
futuro
Tricotare
come liberazione
”Cast off”, in inglese, significa “chiudere i punti di un lavoro a maglia”, ma anche
La gioia e la soddisfazione che
il lavoro a maglia possono dare
erano, probabilmente, sconosciute
alle nostre nonne. Confezionavano
maglie e maglioni, gilé e giacche,
Donne che filano nel paese trentino di Stenico. Archivio Fotografico
Storico - Soprintendenza per i Beni Storico-artistici della Provincia
calze, coperte e scarpine da
Autonoma di Trento
neonati per necessità e per
risparmio: per fornire alla famiglia indumenti che riscaldavano nei lunghi inverni
freddi della montagna trentina e per non spendere inutilmente dei soldi per un capo
d’abbigliamento che potevano realizzare da sole.
Forse anche per queste connotazioni di bisogno, prudenza e parsimonia, il lavorare
a maglia è considerato tuttora da taluni come un’attività arretrata e démodé. Invece
è più attuale che mai: non per l’attitudine trendy di personaggi del cinema e della
politica a mettersi in mostra tricotando, ma per una reale e sentita urgenza nostra di
recuperare sapienza e cultura di ieri.
Poi il riuso ed il riciclaggio di cui si parla tanto: pochi altri manufatti, infatti, possono
essere riutilizzati e riconvertiti così facilmente come una maglia: basta disfarla e
rifarla. Ecologia allo stato puro.
Per andare incontro a questa nuova voglia del fai-da-te in maglia, diffusa anche tra i
giovani, i lanifici immettono sul mercato dei filati nuovi e sempre più fantasiosi, fatti
di solida tradizione e sofisticata tecnologia che guarda al futuro: è difficile resistere
al loro fascino.
Anche artisti e designer del tricotage ne
sono stati sedotti. Citiamo tra i tanti l’inglese
Kaffe Fassett e il tedesco Horst Schulz che
si sono fatti notare per una inconsueta,
particolare tecnica: lavorano con 20, 30 o
più colori contemporaneamente senza che
i fili si ingarbuglino. E i risultati sono di un
effetto straordinario. Altro che anacronistico
e fuori moda.
Donna che lavora a maglia. Foto di Flavio Faganello. Archivio
Fotografico Storico - Soprintendenza per i Beni Storico-artistici
della Provincia Autonoma di Trento
“liberare”, “allentare le briglie”, “levare le ancore”. Gli aderenti ai “Cast-off-Clubs”
inglesi, per la maggior parte giovani dai 20 ai 30, 40 anni, si riuniscono nei luoghi
più impensati - musei e gallerie d’arte, ristoranti e locali notturni, metropolitane
e feste di matrimonio – per lavorare insieme a maglia. Con l’impeto dei giovani,
liberano il tricotare dall’immagine del vecchio, sorpassato, ma nello stesso tempo
liberano anche la mente e si rilassano. Medici, terapeuti, antropologi, sociologi
hanno, infatti, riconosciuto recentemente che il lavorare a maglia ha degli effetti
molto positivi sulla nostra salute psichica e fisica. Il ritmo lento, ripetitivo del tricotare
rassomiglia ad un mandala di meditazione, è distensivo come lo yoga, migliora la
motorica delle mani che fa bene al cervello, fa scendere la pressione sanguigna e
diminuire la velocità del polso, scioglie blocchi mentali ed aumenta la sensazione di
benessere: quasi un ormone della felicità.
Inoltre la soddisfazione di creare qualche
cosa che ci avvolge e riscalda: non più per
necessità e risparmio come nel passato, ma
per puro piacere e divertimento.
Di grande importanza poi, nel nostro mondo
di individui isolati, gli effetti socializzanti
sperimentati anche da noi, in molti luoghi
del Trentino, nella fase preparatoria di
questa mostra. Kathleen Jacobs, autrice
americana del bestseller The Friday Night
Knitting Club, da cui Julia Roberts trarrà nel
2008 un film, scrive nella prefazione al suo
libro: “… sembra incredibile che, mettendo
insieme vari elementi – il soffice filato, i ferri
appuntiti, i punti descritti … e le variabili
creatività, umanità e fantasia –, si possa
creare qualche cosa che conterrà un pezzo
della nostra anima. Ma è possibile”.
È questo, infatti, la “magiaDImaglia”:
creare tra le persone un legame forte ed
indistruttibile con un semplice, morbido filo
infinito.
U
Una
sciarpa,
tante
storie
na sciarpa lunghissima che, fatta di tante sciarpe
più corte cucite insieme, raggiunge quasi 150 metri
di lunghezza: 150 metri di passione per il tricotare,
ma soprattutto di entusiasmo per il partecipare
attivamente ad un evento, per lavorare insieme ad
un progetto condiviso e vedere valorizzata la propria
manualità e creatività.
Da Pinerolo a Lecce e da Roma a Padova ed a
Merano, dall’Italia alla Germania, all’Olanda,
all’Inghilterra e alla Scozia, dalle case di riposo
trentine alle terme di Levico e all’ospedale Santa
Chiara di Trento, dai filo-filò a Trento e a Baselga di Piné a
fiere e mercati a Trento e a Ronzo-Chienis: i nostri 150 metri di
sciarpa racchiudono l’abilità di donne di tutte le età, tutte le
estrazioni sociali, tutte le provenienze – di donne unite dal desiderio
di mostrare quanta gioia e allegria si possa creare e trasmettere
con un filo lavorato.
È una sciarpa fatta di tanti colori, di tanti punti diversi e di
grande entusiasmo: un entusiasmo incredibile e inatteso che
ha sorpreso e contagiato tutti. E con lo stesso entusiasmo
speriamo venga accolta anche la destinazione futura della
sciarpa. Essa, infatti, verrà messa in vendita – e lo stesso
vale per gli arazzi creati con i tasselli di maglia – per
finanziare progetti di solidarietà internazionale.
Non solo pecore
Parlando di lavori a maglia si pensa immediatamente alla lana e alle migliaia di
pecore tosate per fornire filati morbidi, caldi e facili da lavorare. Ma nel tricotage non
si usano solo le lane e non tutte le lane provengono dalle pecore.
Anzi: nel mondo esistono anche parecchi altri “animali della lana”. Ci sono le capre
del Tibet che forniscono la materia prima per il soffice, serico cashmere, le capre
d’Angora, che vivono in Turchia, in Nordamerica e in Sudafrica e danno il morbido
mohair. E poi quegli strani, un po’ buffi camelidi sudamericani come l’alpaca ed
il lama, “produttori” di filati molto pregiati. Ma nonostante questa concorrenza,
l’animale della lana per eccellenza rimane ancora la pecora che viene allevata in
tutto il mondo, dall’Australia alla Nuova Zelanda, dal Sudafrica all’Argentina ed alle
isole britanniche. E anche nel Trentino.
Di origine animale è anche la seta, da sempre considerata un simbolo di eleganza,
ricchezza e lusso. Nasce dai bozzoli del baco da seta che viene coltivato da migliaia
di anni. È un prodotto affascinante e magico, anche nella sua genesi: basti pensare
che un unico bozzolo è formato da un intreccio di 3000-4000 metri di fili che poi
saranno trasformati in filati di seta.
Anche il cotone e il lino sono filati naturali, ma – al contrario della lana e della seta
– di origine vegetale. Il cotone, forte ed antiallergico, viene ricavato dai lunghi peli
che rivestono i semi di questa pianta della famiglia delle Malvacee, mentre il lino,
fresco e resistente, è tratto dal fusto dell’omonima pianta appartenente alle Linacee.
Ai filati “storici”, di tradizione millenaria, si sono aggiunti in tempi più recenti fibre
artificiali come la viscosa e l’acetato, e sintetiche come il poliammide, l’acrilico, il
poliestere.
Tutti questi filati, a volte mischiati ad arte ed impreziositi da rame, argento ed oro,
permettono la realizzazione di capi pratici o eleganti, sobri o elaborati, robusti o
evanescenti: basta conoscere e scegliere il filato giusto.
Due diritti,
due rovesci
Maglia aumentata e diminuita, rasata, incrociata, allungata ed accavallata,
tubolare, vivagno e gettato, motivo a trecce semplici, doppie e triple, a legaccio
e a torciglione, punto traforato e punto in rilievo: il linguaggio del tricotage non
è comprensibile a tutti, quasi volesse designare un mondo a sé, speciale, un po’
segreto, in cui sono protagoniste le donne. Di
tutto il mondo, però. È troppo semplicistico voler
ridurre quest’abilità al “fare la calza” quando
esistono motivi fantasiosi, anche difficili, come il
punto pavone e il nido d’ape, la grana di riso, la
spina di pesce e le noccioline, il punto rombo e il
punto piccole pagode, la costa inglese e il punto
Mussolini.
Di origini nordiche sono – lo dice il nome
– i disegni irlandesi e norvegesi a jacquard
oggi conosciuti in tutto il mondo. Il punto Aran,
originario dalle Isole Aran situate di fronte alle coste
dell’Irlanda, è un motivo a rilievo intrecciato che
viene assimilato a certe illustrazioni di antichi codici
irlandesi precarolingi. Si ipotizza che questo punto
di maglia sia stato diffuso in Europa, assieme al
cristianesimo, da zelanti missionari irlandesi: anche
un semplice motivo di maglia può raccontare storia e
storie, può testimoniare cultura.
I vari materiali usati per la realizzazione dei ferri
– dall’avorio alla tartaruga, al legno e al bambù,
dall’acciaio all’ottone e dall’alluminio alla plastica –, i diversi modi di tenere
e muovere i ferri e di tendere il filo durante la
lavorazione (attorcigliato al dito, passato attorno
al collo): tutti questi elementi sono influenzati da
necessità e consuetudini locali. Però nonostante
le differenze nell’esecuzione non è oggi possibile
distinguere un capo in maglia lavorato a Pechino
o a Quito da uno creato a Bezzecca o a Tesero: un
mondo globalizzato già prima della tanto discussa
globalizzazione.
Sogni e poesie
fatti di
tasselli vissuti
Dalla tradizione all’avanguardia, dai saperi di ieri alla fantasiosa creatività
di oggi: con pazienza certosina, grande inventiva e collaudata professionalità
Renata Mariotti e Milena Rigotti hanno trasformato centinaia di tasselli di maglia
in opere d’arte. Gli arazzi esposti sono il risultato finale di una straordinaria
collaborazione e compartecipazione. Nelle case di riposo del Trentino e nei “filofilò” sono state realizzate,
secondo un progetto avviato
dall’Assessorato alle Pari
Opportunità della Provincia
di Trento già dalla primavera
scorsa, dei drappi in maglia,
quasi tessere di grandi
mosaici.
Traendo ispirazione dai colori,
dalla struttura, dalle forme
e dalle sagome dei tasselli,
le due artiste tessili li hanno
assemblati e sovrapposti,
girati, contorti e mossi, hanno
aggiunto frammenti di vetro
e pezzi di metallo. E senza
mai stravolgere e travisare la particolare natura delle tessere in maglia, hanno creato
poesie, fiabe e sogni dove il quotidiano e il magico si incontrano e si intrecciano.
“Attraverso il ‘fare artistico’ – spiegano Renata e Milena – un oggetto o materiale che
sembra aver terminato, o neppure iniziato, il suo percorso di utilizzo, può ri-prendere
vita attraverso le nostre mani. Valorizzare, rianimare, portare alla luce, arricchire,
trasformare un frammento pregno di un vissuto proprio, fino a realizzare un prodotto
artistico, frutto della creatività e caratterizzato dalla sua stessa espressività materica”.
Renata Mariotti e Milena Rigotti, entrambe diplomate all’Accademia di Belle Arti di
Venezia e con vasta esperienza in campo didattico, hanno fondato un laboratorio
sperimentale di arte tessile.
L’Alta Moda
e la maglia:
Giovanni
Cavagna
Nelle sfilate dell’Alta Moda, a Roma come a Parigi, a
Londra come a Tokio e New York, si nota ultimamente
un proliferare di creazioni in maglia, e stilisti come
Kenzo e Sonia Rykiel, Malo e Laura Biagiotti, Giles e
Daks – per citare solo alcuni stilisti delle passerelle
internazionali - invitano le donne a vestirsi in maglia
nel prossimo inverno.
La stilista francese Gabrielle “Coco” Chanel (18831971) e l’italiana Elsa Schiaparelli (1890-1973), che
valorizzava nei suoi abiti il lavoro di zelanti magliaie
armene, sono state le pioniere del tricot nell’Alta Moda.
Giovanni Cavagna, stilista milanese di cui presentiamo
in mostra tre creazioni recenti, crede da oltre vent’anni
nella maglia. Entrato giovanissimo nel mondo della
progettazione di moda, ha scelto per inclinazione
naturale il settore della maglieria. Suo primo e
continuativo amore di cui può dire ormai di conoscere
segreti, lavorazioni, astuzie ed ogni evoluzione tecnica.
La maglia perchè elemento duttile, malleabile, che si
presta a molteplici trasformazioni.
La maglia, come l’animo umano, vive in perpetua
evoluzione.
È grazie alle continue ricerche e sperimentazioni ed al
contatto con realtà in grande fermento creativo, che
riesce a trovare nuovi spunti e fonti di ispirazione; le
sue creazioni si distinguono per l’accurata cura nei
dettagli, lo studio delle forme e la ricercatezza delle
linee. Ed è proprio questa specializzazione che gli ha
permesso di intraprendere un percorso nel mondo
dell’ Alta Moda presentando collezioni interamente
realizzate in maglia; creazioni impreziosite dall’utilizzo
di materie nobili come cashmere e seta.
Il gattino e i ferri da calza
di Ludwig Bechstein - Illustrazioni di Martina Benoni
C’era una volta una povera donna che con due figlioli piccoli viveva in una misera
capanna al margine del paese. Ogni giorno si recava nel vicino bosco a raccogliere
legna per cucinare e per scaldare l’unica stanza della casa.
Un giorno, ritornando con il suo fardello verso casa, sentì un triste miagolìo e
vide dietro uno steccato di una radura un piccolo gattino malato e malnutrito. La
donna, mossa da pietà, se lo mise nel grembiule e lo portò verso casa. Giunta non
lontana da casa, le vennero incontro i suoi due figli: “Mamma, che cosa porti nel
grembiule?”, domandarono. Volevano prendere il gattino, ma la donna, per paura
che gli potessero fare del male, li allontanò. Arrivata a casa, pose il gattino in una
cesta, su un letto di vecchi stracci morbidi, e gli diede da bere del latte. Trascorsi
alcuni giorni il gattino, rifocillato e guarito, se ne andò di nascosto e non si fece più
vedere.
Qualche tempo dopo, la donna tornò nuovamente nel bosco. Arrivata con il suo
carico di legna nel posto dove aveva trovato il gattino, improvvisamente le si
presentò una bella, nobile signora che le fece segno di avvinarsi e che, senza dire
una parola, le gettò nel grembiule cinque ferri da calza. Pur non sapendo cosa
farsene, la donna, per non essere scortese, li portò a casa. E prima di andare a
dormire li mise sul tavolo della cucina.
Grande fu la sua sorpresa quando, al risveglio, trovò sul tavolo un paio di calze
nuove lavorate a maglia. Così la sera stessa lasciò di nuovo i ferri da calza sul
tavolo. E al mattino, con sua meraviglia, vi trovò un altro paio di calze. Allora la
donna capì che i ferri da calza erano la ricompensa perché si era curata del gattino
malato.
Da quel giorno, prima di andare a dormire, lasciò i ferri da calza sul tavolo. Fece
così la sera seguente e quella dopo e quella dopo ancora. Ebbe calze per vestire i
suoi figlioli per tutto l’anno, ma anche per rivenderli agli abitanti del vicino villaggio.
Con i guadagni fatti con le calze lavorate dai ferri poté sistemare la sua casetta,
vivere in prosperità e garantire ai suoi due figli un futuro migliore.
Sono numerose le fiabe che hanno per tema il ricamo e la tessitura, rare invece,
come questa, quelle che parlano del lavoro a maglia. Ne è autore Ludwig Bechstein
(1801-1860), scrittore ed etnografo tedesco, che raccolse molte fiabe e leggende.
Viscri, il villaggio
delle calze
Viscri / Deutschweisskirch è un villaggio sperduto tra le montagne della
Transilvania (Romania), abbandonato da molti dei suoi abitanti per le condizioni
precarie di vita e la mancanza di possibilità di lavoro (la città più vicina, Sighisoara, è
a 45 km, raggiungibile su strade non comode).
Pochi anni fa, una coppia di tedeschi, traferitasi in questa regione della Romania,
ha avviato a Viscri (450 abitanti) un progetto di auto-aiuto. Iniziando con un piccolo
commercio di calze, tricotate a mano da alcune donne del villaggio, sono riusciti a
coinvolgere 140 donne di tutte le età che riescono in questo modo a procurarsi un
piccolo, regolare guadagno. Vengono realizzate calze in pura lana (nel frattempo è
nato nel paese anche una piccola filanda) che, esportate soprattutto in Germania,
Austria e Svizzera, garantiscono alle famiglie una fonte di reddito.
Questo progetto è un esempio straordinario come il lavorare a maglia possa offrire
alle donne, di determinate regioni geografiche e in particolari condizioni di vita,
ancora oggi una possibilità di sostentamento e di guadagno, dando a loro anche
maggiore coscienza del proprio valore e delle proprie capacità (e un aiuto per uscire
dalla miseria): un progetto da far conoscere proprio nell’”Anno Europeo delle Pari
Opportunità 2007”.
Il documentario “Village of Socks” è stato realizzato, dopo lunghe ricerche, dalla
regista rumena Eleana Stanculescu.
Sono due cugine, Vaina e Faila, l’una di dodici e l’altra di tredici anni. Sono nate a Trento, vivono a Trento. Faila ha imparato
a lavorare a maglia da sua zia, Vaina durante uno dei “filo-filò”. Anche loro hanno collaborato, con grande entusiasmo,
alla realizzazione di una sciarpa: per dare un contributo ad un progetto a cui erano invitati tutti. L’aiuta a sentirsi uguali agli altri.
Ma nonostante tutti gli sforzi per dimostrare la loro voglia di partecipare, sono considerate “diverse”: sono due ragazze sinte.
Failae Vaina
filai tuoi giorni
5 donne 5 trame raccontate da Piero Cavagna
Racconta che, quando era piccola e viveva – come oggi – in
un paese del Bleggio, nel Trentino occidentale, sua madre non
le permetteva di andare a dormire se prima non aveva finito
un pezzo di maglia. Anche andando in campagna a lavorare
aveva i gomitoli di lana e i ferri da calza sempre con sé.
A 11 anni è andata a Milano a lavorare in una sartoria.
La passione per il tricotare le è rimasta ed oggi, a 72 anni,
aiuta le ospiti di una casa di riposo a tenere viva la mente,
muovendo le dita con ferri e lana.
Palma
Ludmilla, 32 anni, moldava, da alcuni mesi nel Trentino.
Ha imparato a lavorare a maglia da piccola. Il tricotare,
in Moldavia, è molto diffuso perché gli inverni sono freddi
e bisogna coprirsi con indumenti caldi. A casa tenevano
delle pecore, bianche, grigie, marron e nere. La madre
e la nonna sapevano filare la lana. La facevano tingere
fuori casa per poi ritirarla e confezionare dei capi
d’abbigliamento. E’ veloce nel tricotare. In un mese riesce
a fare anche tre pullover. E’ triste perché le mancano i figli.
Ludmilla
Daria è nata 68 anni fa a Roncegno. Non sente. Non parla. E’ su una carrozzella. Dall’età di 13 anni vive tra istituti e case di riposo.
Ha una grande passione per il lavorare a maglia, che ha imparato dalle suore. Realizza soprattutto sciarpe, in varie lunghezze
e dimensioni, ma sempre con colori e filati scelti da lei. Se non le piacciono le disfa e comincia da capo. Le esegue a punto legaccio,
lavorando però tutti i ferri a rovescio, invece che a diritto (come sarebbe più facile). E’ sempre sorridente.
Daria
Ha 102 anni. E’ nata a Folgaria dove è sempre vissuta, ora in una casa di riposo. Avendo fatta, da giovane, anche la sarta,
ama tuttora vestire in modo elegante e ricercato. Le piace giocare a carte e fare l’attrice. Più che il tricotare – di cui, a distanza,
riconosce motivi e tecniche di esecuzione – le piace lavorare all’uncinetto. Sa a memoria tutti i punti, anche i più complicati.
Con fili di cotone sottilissimi esegue, senza occhiali, dei veri capolavori da usare per centrini e tovaglie, cuscini e copriletti.
Tullia