Una volta non avrei mai usato un aggettivo come

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Una volta non avrei mai usato un aggettivo come
PATOLOGIZZARE E’ GERGALIZZARE!
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Una volta non avrei mai usato un aggettivo come “giusta”, così sedativo nell’appagare le
aspirazioni comuni alla perfezione. Ora invece adotto il linguaggio protettivo dei più, come accade
in ospedale, dove l’acquiescenza al gergo dei medici favorisce l’adesione all’anonimato dei malati e
rinsalda la dipendenza da un’autorità che ci assiste. Anche l’handicap è definito da un lessico che
placa l’ansia immediata, quella di sapere di che cosa si tratta. La tappa successiva sarà di scoprire
che non lo definisce, ma intanto un passo si è compiuto.
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Giuseppe Pontiggia. Nati due volte . !
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Jonathan Littell è un autore ebreo statunitense naturalizzato ispanofrancese.
Ha scritto un romanzo storico edito da Einaudi dal titolo Les Bienveillantes2, nel quale si legge
un’osservazione connessa alla natura del gergo.
Maximilien Aue, il protagonista, sostiene che il gergo è una caratteristica linguistica capace di
rendere diversi due testi scritti realizzati per la lettura pubblica: nel caso in questione due interventi
di un medesimo autore quale il Reichsführer in cui uno è “meno infarcito di gergo dell’altro
discorso”, ovvero quasi privo di un gergo di natura burocratica (il burocratese), politica (il
politichese) e militare.
Il gergo chiaramente differenzia.
In tal senso nel 2006 la traduttrice italiana e italofona Franca Cavagnoli nella sua ottima traduzione
per Gli Adelphi di uno dei migliori testi letterari statunitensi rappresentativi della beat generation,
Naked Lunch di William S. Burroughs, evidenzia dei ringraziamenti per chi l’ha aiutata a capire
meglio tali differenze gergali.
A pg. 11 si esprime un riconoscimento ‘di cuore’ a ‘Daniele De Santis e Luca Diegoli per la loro
disponibilità e per gli utili consigli nell’ambito del gergo giovanile, gay e della droga’3.
Il gergo evidentemente determina la qualità di una data traduzione testuale.
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Cfr. Giuseppe Pontiggia. Nati due volte. Oscar Mondadori. p.107.
! Cfr.
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Jonathan Littell. Le Benevole. Einaudi Et.
Cfr. William S. Burroughs. Pasto Nudo. Nota ringraziamenti. p. 11.
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La questione che ora sorge è se termini ed espressioni gergali siano da considerarsi tali nel
momento in cui vengono divulgati ad un dato gruppo di parlanti attraverso la letteratura.
E’ una questione sociolinguistica, semantica e lessicografica in primis che ha una matrice
psicologica, perché l’orientamento sessuale e l’identità di genere alla base di quel gergo gay
rilevato, ancora oggi infatti vengono socialmente connotate indifferentemente come malattia
mentale.
La questione è aperta.
Sicuramente abbiamo a che fare con un dato gruppo di parlanti che massificato e massificante
spesso non è strettamente consapevole dell’ambito semantico di referenza di un slang x, ma
comprende comunque almeno a grandi linee di cosa si stia parlando e in tal modo aumenta il
proprio repertorio lessicografico, magari coniando presto nuove formule proprie per rendere il
medesimo singolo termine A capace di far presa nell’intero insieme di parlanti.
Si tratta di un principio di imitazione che così come determina rapporti all’interno del gruppo
sociale che utilizza il gergo, così può determinare rapporti all’esterno del gruppo sociale che utilizza
il gergo, anche se con possibili modifiche semantiche del lemma.
La psicologia però, qui riemerge nella misura in cui parlanti con omofobia interiorizzata
determineranno continuamente luoghi dove usarli e luoghi dove non usarli liberatamente.
Una soluzione pratica e immediata per fare chiarezza sulla questione può essere quella suggerita dal
Prof. G. Iannaccaro nel corso del decimo congresso Altla presso la Libera Università di Bolzano/
Bozen il 18 e 19 febbraio 2010: ovvero bisogna ridefinire in primis di comune accordo tra
specialisti a monte quale significato attribuire alla parola gergo alla luce delle drastiche evoluzioni
socioculturali contemporanee.
E questo potrebbe non coinvolge solo il gergo gay ma anche altri gruppi sociali con i loro rispettivi
gerghi.
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La questione di una degergalizzazione vigente con una depatologizzazione e depenalizzazione
dell’omosessualità, della bisessualità e anche della transessualità, coinvolge molti sistemi linguistici
di area geografica euroamericana4.
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! Cfr:
Antonelli G, Ma cosa vuoi che sia una canzone. Mezzo secolo di italiano cantato, Bologna, Collana Intersezioni Il
Mulino, 2010.
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Il fenomeno infatti è rintracciabile oggi prevalentemente nelle democrazie liberali occidentali che
hanno promosso i diritti civili delle persone omosessuali e transessuali fino ad includere anche
matrimoni e adozioni.
Ma questo fenomeno d’altronde non coinvolge solo il gergo gay.
Analizzando i testi dei più noti pezzi di musica leggera italiana e la loro notevole influenza sul
pubblico di massa, Antonelli dimostra per esempio come attraverso la musica pop italiana è
possibile fare storia della lingua italiana della seconda metà del Novecento e contemporanea.
Questo significa che se in passato erano vigenti delle censure operate sui testi di Giuseppe Cristiano
Malgioglio per espliciti riferimenti gergali gay e anche pornografici, oggi tali censure non vengono
registrate per le medesime parole (nella puntata di venerdi 19 Marzo 2010 di Storie Diario Italiano
su Raitre con Corrado Augias, è l’autore stesso a parlarne per il suo studio)5.
Oltre al gergo pornografico, possiamo accennare (per la stessa area geografica e gli stessi sistemi
linguistici) ad un altro gergo quale quello televisivo: ad esempio, nella puntata de L’infedele del 4
Maggio 2009 dal titolo Berlusconi e le donne il conduttore Gad Lerner sostiene che il termine
italoinglese casting6, sia un termine da ‘gergo televisivo’, ma la sua stessa tesi esposta in diretta
televisiva evidenzia che da quel momento molti telespettatori che in televisione non lavorano,
conosceranno potenzialmente la stessa parola connessa al significato da ‘gergo televisivo’.
La natura di gergo torna ad essere nuovamente meno attendibile.
Gli eventi storici comunque da rilevare per comprendere le origini di tali dinamiche degergalizzanti
sono:
1) la definitiva depenalizzazione dell’omosessualità nei paesi occidentali (escluso il Nicaragua che
per le osservazioni sulla situazione sociolinguistica in lingua spagnola pone delle rilevanti
eccezioni)7,
5
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Cfr: William S. Burroghs: Pasto Nudo. Gli Adelphi. Pg.11 Nota dei ringraziamenti.
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Nella postfazione di Federico Chiara a ‘Come fidanzarsi con un uomo senza essere una donna’ di Alessandro Fullin
(Biblioteca Umoristica Mondadori 2008), si legge a pg. 108 al paragrafo Azione!, parlando di come organizzare un
perfetto matrimonio con il proprio uomo amato, quanto segue: “E’ il momento del casting e dell’allestimento della
scenografia per la celebrazione.”: l’uso originale per un contesto extratelevisivo del termine in questione (letteratura
umoristica) da parte del giornalista di Vogue Italia, esperto di cultura e spettacolo, dimostra un utilizzo essenzialmente
privo di connotati gergali nel lettore e in parte nell’autore, sebbene derivante da un uso propriamente gergale quale
diretto interessato nel campo dello spettacolo. L’effetto diventa, comunque, una totale assimilazione semantica del
termine attraverso la divulgazione mediatica per mezzo letterario.
7!
Cfr: Marzio Barbagli e Asher Colombo: Omosessuali moderni. Gay e Lesbiche in Italia. Il Mulino Contemporanea,
2007.
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2) l’altrettanto definitiva depatologizzazione dell’omosessualità da parte dell’OMS8 e
3) la conseguente maggiore visibilità sociale dell’omosessualità, grazie alla militanza dei
movimenti per i diritti civili che dalla rivolta newyorkese di Stonewall9 in poi hanno posto
all’opinione pubblica mondiale la necessità di un riconoscimento pubblico in ogni sua forma di
ciò che l’OMS definisce ‘una variante naturale del comportamento umano’.
Al gerghista, al sociolinguista e al traduttologo resta da approfondire ora la consistenza di questo
processo degergalizzante in ambito gay.
Se alcuni aspetti della natura del gergo restano, infatti, altri come la necessità di comunicare
segretamente, vengono meno.
Per capire questo flusso è necessario imparare cosa si intende in sociolinguistica per gruppo sociale
e comunità linguistica: capire in altre parole che un gruppo sociale è anche comunità linguistica ma
la comunità linguistica non è mai gruppo sociale.
E’ nell’assenza di questa reciprocità che si forma quindi tanto la gergalizzazione che la
degergalizzazione.
Nel caso del gergo gay, ci troviamo di fronte poi non solo alla promozione diretta del repertorio
lessicale di riferimento stesso ma anche alla sua possibile e diretta diffusione medesima nel
momento in cui a livello socioculturale è necessario raccontare chi siano queste persone
omosessuali, bisessuali, transessuali e intersessuali10.
I rischi di imprecisione nel campo in questione sono molteplici ed elencati brevemente potrebbero
essere definiti come segue:
A) escludere o emarginare la presenza di importanti casi originali ed innovativi in singoli parlanti
sia del gruppo sociale che della comunità linguistica ed
B) escludere o emarginare dati di natura troppo peculiare da non intendere come validi per tutti i
parlanti del gruppo sociale e della comunità linguistica.
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Nel DSM IV del 1994 viene ridefinita stabilmente la depatologizzazione dell’omosessualità.
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Cfr: Dennis Altman: Omosessuale, oppressione e liberazione, Arcana, Roma 1974;
David Carter: Stonewall: the riots that sparked the gay revolution', St. Martin's Press, New York 2004;
Massimo Consoli: Stonewall. Quando la rivoluzione è gay, Napoleone, Roma 1990;
John D'Emilio: Sexual politics, sexual communities, The University of Chicago Press, Chicago 1983;
Martin Duberman: Stonewall, Dutton, New York 1993;
Mariasilvia Spolato: I movimenti omosessuali di liberazione, Samonà e Savelli, Roma 1972;
Donn Teal: The gay militants, Stein and Day, New York 1971.
10
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Cfr: Barbagli M., Dalla Zuana G., Garelli F., La sessualità degli italiani, Collana Contemporanea Il Mulino, 2010:
“…presentando i risultati di un'imponente ricerca condotta con interviste e colloqui in profondità su un ampio
campione di popolazione, 7.000 soggetti dai 18 ai 70 anni, [il volume] mostra in maniera netta il diffondersi di una
visione più fluida, disinibita e individualistica del sesso, svincolato dalla riproduzione e centrato su emozione, affetto e
ricerca del piacere.”.
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Per questi problemi di analisi statistica, si propone l’uso di nuovi canoni di riferimento:
- la variante di orientamento sessuale11 e identità di genere12 e
- l’analfabetismo tematico.
Nel caso peculiare di analisi del gergo gay, con il primo punto si intende che a livello semantico se
il termine gay che usa la Cavagnoli ha una connotazione ampia in lingua italiana, nella misura in
cui viene usato di norma attualmente per indicare
1) in primis l’omosessualità maschile,
2) in parte l’omosessualità femminile, in contrasto con la bisessualità maschile e femminile (e
viceversa) e
3) in nessun caso per indicare la transessualità MvF-FvM e l’intersessualità,
dovremmo ora parlare direttamente di gergo queer.
E’ la prospettiva sessuologica potenzialmente più selettiva, applicata alla sociolinguistica che lo
richiede: di conseguenza, la precisione e la chiarezza vengono così determinate nel rispetto di due
11
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Cfr: Maurizio Palomba: Essere e vivere la diversità, Kappa ed., Roma 1999;
Gil Brum, Larry McKane, Gerry Karp: Biology - Exploring life, 2nd edition, John Wiley & Sons 1994, pag. 663.
(Sull'INAH-3.);
Dynes, Wayne (cur.), "Encyclopedia of homosexuality", Garland Publishing, New York and London 1990;
Sell, Randall L., Defining and measuring sexual orientation: a review, "Archives of sexual behavior", XXVI 1997 (= 6)
(december), pp. 643-658.
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Cfr: Disturbi dell’identità di genere. Manuale Merck
Il problema dell’identità di genere: una casistica clinica. Pubblicato su Medicina Psicosomatica, Vol. 43, n. 4, 1998,
Società Editrice Universo, Roma.
Orietta Radi: La determinazione genotipica del sesso nella specie umana.
Blackless Melanie: How sexually dimorphic are we? Review and synthesis, American Journal of Human Biology. 12
(2). 151-166
Se il sesso è a metà strada. Un bimbo su 2000 nasce con genitali diversi da quelli scritti nel Dna. Come intervenire? I
problemi medici ed etici. Corriere della Sera, 19 Marzo 2007.
Antonella Appetecchi: Identità di genere: differenze in età evolutiva e relazione con il gioco (2006).
Tamasailau Sua'ali'i,Samoans and Gender: Some Reflections on Male, Female and Fa'afafine Gender Identities, in
Tangata O Te Moana Nui: The Evolving Identities of Pacific Peoples in Aotearoa/New Zealand. Palmerston North
(Nuova Zelanda), Dunmore Press, 2001.
Uomo, donna, ragazzo, ragazza, a cura di Romano Forleo. Milano, Feltrinelli, 1976.
Donna Haraway, Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Feltrinelli, Milano, 1995.
Alcuni dei test usati per la diagnosi di "disforia di genere" sono: il "Cogiati", il S.A.G.E. (The Sex And Gender
Explorer Test) e il "Bem Sex Role Inventory".
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discipline coinvolte13 (d’altronde secondo un punto di vista di critica letteraria ed estetica del camp
omosessuale, lo stesso romanzo in questione Naked Lunch verso cui la Cavagnoli si riferisce,
affronta una gamma di personaggi (i parlanti di gergo gay) che dall’omosessualità maschile arriva
alla transessualità MvF non ancora definita in termini moderni fisiologici-anatomici ma sicuramente
psicologici con la disforia di genere, passando per il travestitismo come feticismo da applicare in
campo lavorativo della prostituzione e dello spettacolo).
Con analfabetismo tematico poi si intende che sempre prendendo spunto dai ringraziamenti della
Cavagnoli, la sua medesima consapevolezza di aver conosciuto un determinato repertorio
linguistico tematico, che ha nella medesima parola anglosassone ex ‘gergale’ gay il suo emblema,
spinge a constatare di più la mera presenza-assenza di una consapevolezza per l’appunto e
conoscenza del tema trattato.
La consapevolezza e la preparazione caratterizzano quindi la degergalizzazione: la Cavagnoli
quando traduce ora, sa cosa sta traducendo.
In particolare la questione è: cosa elaborano psicolinguisticamente nel parlante?
Permette di comprendere ad esempio la complessità di un fenomeno linguistico tipicamente queer:
il gender-bendering, ovvero l’utilizzo prevalentemente morfologico di un elemento linguistico
connesso ad un genere per indicare in realtà il sesso biologico opposto a quel genere.
A questo punto rilevante diventa anche la riformulazione e scissione semantica del concetto
laboviano di ‘comunità di parlanti’14 in una comunità di parlanti contrapposta a una società di
parlanti: tale osservazione deriva dalla constatazione che un parlante può contemporaneamente
appartenere a più gruppi sociali al punto da conoscere quindi più di un gergo.
La possibilità che un parlante conosca più di un gergo comporta potenzialmente quindi che:
1) un lemma è passato da un uso comunitario a uno sociale,
13
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Cfr: Tucker S.: “Gender, Fucking and Utopia”, Social Text, Vol. 9, N.1 (1992).
Katlin T. : Slant: Queer Nation. Artforum, 1990, pp. 21-23.
Silvia Antosa, a cura di: Omosapiens.2: spazi e identità queer Roma, Carocci, 2007.
Bellagamba P. Di Cori e M. Pustianaz (a cura di): Generi di traverso. Vercelli: Edizioni Mercurio, 2000.
Judith Butler: Bodies That Matter. On the Discursive Limits of "Sex". New York-Londra: Routledge, 1993.
Judith Butler: Gender Trouble New York - Londra: Routledge, 1990.
Patrick Califia: Feminism and Sadomasochism New York: Heresies,1982.
Teresa de Lauretis: "Queer Theory: Lesbian and Gay Sexualities. An Introduction", in Differences, 1991, 3 (II).
Teresa de Lauretis: Soggetti Eccentrici, Milano: Feltrinelli, 1999.
Eve Kosofsky Sedgwick: Between Men: English Literature and Male Homosocial desire. New York: Columbia
University Press, 1985.
Eve Kosofsky Sedgwick: Epistemology of the Closet Berkeley: University of California Press, 1990.
David Hugh: On queer street: a social history of British homosexuality, 1895-1995, Londra, HarperCollins, 1997.
14
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Cfr: Labov W: La motivazione sociale di un mutamento fonetico in Introduzione alla sociolinguistica di Stefania
Giannini e Stefania Scaglione, Carocci.
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2) un lemma è e resta di uso comunitario,
3) un lemma si trova sia in un gruppo sociale che in una comunità di parlanti,
4) un lemma sta tornando dal contesto sociale al contesto comunitario per una nuova
riformulazione semantica e/o per nuove condizioni socioculturali che hanno impedito ai fattori
precedenti di continuare a liberalizzare e smantellare il concetto di comunità di parlanti.
E’ chiaro quindi che in questo viaggio la degergalizzazione può non essere definita al punto da
ricostituire ex novo comunità di parlanti di riferimento.
Tutto questo fermo restando che bisogna avere sempre nell’analisi un lemma in un sistema
linguistico determinato e un’epoca storica determinata.
Infine, ultimo ma non meno importante elemento costitutivo è ciò che porta i parlanti del gruppo
sociale gay ad eterosessizzare il proprio gergo.
Questa caratteristica comporterà una difficoltà maggiore a comprendere fino a che punto esistono
dei confini di riferimento tra gruppi sociali in sociolinguistica e sessuologia.
Parliamo in altre parole di quella serie di cambiamenti che ad esempio portano a definire il proprio
partner dello stesso sesso ragazzo, fidanzato o marito e non più amico.
Oppure dalla scissione semantica con il repertorio biologico di riferimento della parola papà e
mamma per indicare anche il genitore non biologico partner del genitore biologico: i figli nati e
cresciuti in questi contesti omogenitoriali non essendo omosessuali, assorbono nel loro uso
linguistico caratteristiche sociolinguistiche nate in origine da parlanti omosessuali tout court.
Per questo motivo ogni risultato finora ottenuto è senza dubbio in divenire e tendente al
rafforzamento osservato della degergalizzazione queer.
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La modalità richiesta nell’approccio di questa tesi è essenzialmente e necessariamente
multidisciplinare.
L’approccio interdisciplinare (in particolare tra sessuologia, psicologia, sociolinguistica e
psicolinguistica) propone un rafforzamento di determinate tesi e uno smaltimento di altre tesi con
precisione statistica rilevante, al punto da non sottovalutare più l’apporto scientifico tout court delle
medesime.
L’approccio disciplinare affrontato in questo studio di dottorato d’altronde non esclude la possibilità
di far avanzare tesi radicalmente nuove per tutte le discipline coinvolte al fine di evitare agli
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studiosi dei settori di autoincastrarsi nelle parole del proprio linguaggio settoriale, al punto da
ridurre la complessità degli eventi in analisi.
Sarà quindi molto importante tenere sempre in considerazione nozioni derivate dalle seguenti
discipline:
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1) storia e cultura dell’omosessualità, della bisessualità, della transessualità e dell’intersessualità15,
2) psicologia,
3) sociologia,
4) antropologia,
5) sessuologia,
6) storia contemporanea,
7) giurisprudenza,
8) storia della letteratura,
9) storia del cinema e della televisione,
10) filosofia del linguaggio ed
11) estetica del camp omosessuale.
Questo vuol dire che se il Prof. Berruto16, da linguista, ricorda che un gergo in senso stretto è
caratterizzato
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- dall’uso di una lingua (ufficiale) o dialetto (locale) base,
- una notevole differenza rispetto alla lingua originale e
- la segretezza,
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un critico letterario o cinematografico, rileverà la presenza in ambito novecentesco di una crescente
mole di prodotti artistici esplicitamente omosessuali i quali
-prendono spunti da più di un sistema linguistico di riferimento in un mondo globalizzato,
-una differenza non necessariamente notevole rispetto alla lingua originale e sopratutto
15
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E’ importante ricordare come il ‘gergo’ queer che qui verrà sempre virgolettato, nasce in un contesto socioculturale
che non apprezzando la diversità umana in ambito sessuale, ha spesso grossolanamente accomunato omosessualità a
bisessualità, transessualità e intersessualità senza apprezzarne le differenze intermedie e confondendo elementi fisici
con elementi psichici che solo in taluni casi coincidono: quindi, la prospettiva sarà spesso quella di considerare appunto
l’intera comunità queer nella sua complessità e globalità proprio perché la sua storia nasce dalla sua persecuzione
discriminatoria.
!
16
Cfr: Berruto G., Sociolinguistica dell'italiano contemporaneo, Roma, Carocci, 2002.
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-l’assenza di segretezza, essendo questi lemmi individuati divulgati con mezzi massmediatici17.
Un esempio notevole può essere l’espressione coming out.
In lingua inglese il phrasal verb coming out18 (ovvero la dichiarazione del proprio orientamento
sessuale che l’uomo e/o la donna omosessuale compie verso parenti, amici e colleghi come passo
necessario per delineare la propria identità in contrapposizione a un modello socioculturale
circostante al singolo individuo fortemente eterosessista) come modello noto e promosso dalla
psicologia19, impedisce in partenza al sociolinguista di poter sostenere che il ‘gergo’ queer sia tale,
perché il gruppo sociale riconosciuto per un diverso orientamento sessuale e identità di genere ha
sempre meno interesse a vivere in clandestinità e omertà per la propria salute psicofisica.
Quindi a non farsi capire da parlanti estranei al gruppo medesimo.
Studiosi diversi, discipline diverse e tesi diverse, ma non necessariamente distanti e opposte.
Tra l’altro bisogna anche ricordare che molti lemmi del gergo gay non hanno mai avuto
un’intenzione criptica ma meramente ironica o da linguaggio specialistico, al punto che rivelarli
significherebbe meramente imparare ad apprezzare esteticamente dinamiche di camp omosessuale20
e nozioni di studi estremamente specialistici.
D’altronde, il principio elementare
1) che è alla base del parlante standard analizzato e
2) che accomuna le conclusioni di numerose delle discipline umanistiche summenzionate e non solo
(si pensi ai contributi dell’etologia) e
3) che è solo in minima parte un costrutto socioculturale,
è tragicamente umano, oltre che istintivo: quello di permettere per la prima volta ad una forma di
amore di osare dire il suo nome21.
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17
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Cfr: Rizzo D., Premessa a Omosapiens, Roma, Carocci, 2006.
18
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L’uso del corsivo in questo caso serve a isolare graficamente il termine per evidenziarlo all’attenzione del lettore: una
lettura scorretta del medesimo termine qui presente in corsivo, diversamente intendendosi, poteva essere interpretato
come termine non comprensibile al lettore medio che avrebbe avuto bisogno appunto del corsivo per sottolinearne a
livello percettivo una sorta di anomalia linguistica.
19
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Cfr: Vittorio Lingiardi: Citizen gay. Famiglie, diritti negati e salute mentale. Il Saggiatore Collana Pamphlet.
20
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Cfr: Susan Sontag: Notes on camp. 1964
21
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Questa conclusione è la rielaborazione in chiave positivistica dell’aforisma sul medesimo tema del compagno dello
scrittore irlandese Oscar Wilde, condannato alla prigionia per ciò che era allora il reato di omosessualità, Alfred
Douglas, noto anche come ‘Bosie’ (tratto da Due Amori del 1892).
!9
Lo studio dal titolo IL GERGO QUEER NELL’ITALIANO NOVECENTESCO E
CONTEMPORANEO TRA GERGALIZZAZIONE E DEGERGALIZZAZIONE, dunque, è
composto da tre sezioni.
La prima sezione è dedicata all’analisi storico-linguistica della nozione di gergo, la seconda sezione
è dedicata all’analisi filosofica della nozione di queer e la terza sezione è dedicata all’analisi del
repertorio linguistico queer reperito in lingua italiana novecentesca e contemporanea.
Tale repertorio è rintracciabile nel glossario finale del testo.
L’intento principale e innovativo di tale studio è stato quello di invertire la tendenza dei linguisti
italiani di focalizzare la propria attenzione solo su ciò che la comunità linguistica coniava per
delineare il gruppo sociale gay, dando prevalenza a ciò che il gruppo sociale gay italofono dà a sé
stesso per definirsi e comunicare.
Si tratta quindi dell’ultimo stadio degli studi di genere che dalla linguistica femminista si è evoluta
nella linguistica lavanda.
Gli spunti di riflessione sono stati di natura molteplice: il linguaggio pubblicitario, politico, murale,
etc…, perché il fine è stato quello di rilevare un dato uso di un dato lemma gergale in contesti
gergali e non gergali.
Monitorarne la degergalizzazione queer nelle sue più intime dinamiche.
E’ stato molto utile considerare poi nel parlante
- la variante di orientamento sessuale,
- la variante di identità di genere,
- la variante sessuale,
- la variante generazionale,
- la variante etnica,
- la variante socioeconomica.
Molti dati di psicologia, sociologia e antropologia esposti nella conferenza fiorentina del 20 e 21
giugno 2008 dal titolo Family Matters Sostenere le famiglie per prevenire la violenza contro
giovani gay e lesbiche sono senza dubbio confermati nella misura in cui ad esempio il contesto
familiare è un contesto nel quale i parlanti queer spesso non si esprimono gergalmente e non si
esprimono a volte neanche degergalmente.
E’ stato possibile dimostrare in modo particolare che non esiste corrispondenza alcuna tra
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GERGO X, GRUPPO SOCIALE X e PARLANTE X.
!10
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In tal senso i dati mostrati nella conferenza di Lubiana sulle famiglie omogenitoriali dal titolo Lgbt
Families: The new minority?, evidenzia tale discrepanza ormai attiva ed avviata.
La conferenza in questione evidenzia come la generazione nata e cresciuta in contesti
omogenitoriali dichiarati, hanno rimosso dall’uso linguistico termini come ‘patrigno’, ‘matrigna’,
‘sorellastra’, ‘fratellastro’ o l’uso eterosessista e familista di chiamare per nome proprio il nuovo o
la nuova partner del genitore biologico.
Caratteristica questa presente anche in contesti eterogenitoriali non biologici.
La prospettiva di questo studio contrasta con la tendenza glottodidattica di porre il gergo come
ultimo livello di insegnamento (eventuale) della lingua straniera: l’analisi dei campioni a Lubiana
infatti rilevano come termini ed espressioni gergali sono fasi primarie di apprendimento linguistico
e non ultime.
Dato questo che si esprime anche quando decidiamo di studiare parlanti queer che sono stranieri e si
prostituiscono in Italia.
E tutto questo mentre si osservano questioni irrisolte come
1) l’impossibilità di traduzione di determinati termini ed espressioni in idiomi con contesti
socioculturali omofobi, bifobi e transfobi e
2) problemi anche legali connessi all’intraducibilità di dati termini ed espressioni omofobe in
determinati contesti socioculturali.
Così come la storia e la critica del cinema conia l’espressione cult movie, in linguistica bisogna
parlare di cult language, nella misura in cui nell’epoca in corso i confini sono ancora presenti al
punto da delineare i parlanti tipo del gergo gay, ma sono progressivamente talmente inconsistenti
che di tale repertorio linguistico ne resta una mera iconicità.
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dominante della loro area e creare uno spazio per i propri interessi socioculturali22: la lingua sta
costantemente cambiando con vecchie frasi che diventano obsolete e nuove frasi che entrano
sempre più frequentemente nell’uso quotidiano, riflettendo cambiamenti nelle loro culture e anche
mantenendo l’esclusività: la natura dinamica della lingua rifiuta di cementificarsi in una singola
cultura e permette ai suoi parlanti una maggiore libertà di espressione.
Parole e frasi possono essere create per reagire ai trend popolari e creare alternative a stili di vita
strettamente definiti: da queste caratteristiche, lo sward crea un gruppo dissidente senza legami con
restrizioni culturali, linguistici e geografici, per questo motivo permette ai suoi parlanti di
condividere la lingua come appropriata ai tempi. In questo modo, la lingua non solo è ‘mobile’ e
parte di una comunità più grande ma si apre anche a significati più locali e specifici23.
Le persone omosessuali che parlano la lingua quasi esclusivamente sono chiamate in senso ironico
Bekimon (una contrazione di Baklang Jejemon, ‘jejemon gay’)24.
Lo sward è parlato anche da babaeng bakla, donne che si associano esclusivamente o per la maggior
parte dei casi con uomini omosessuali (letteralmente ‘donne omosessuali’, sebbene siano di fatto
eterosessuali)25.
22
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Cfr."swardspeak". http://www.doubletongued.org. http://www.doubletongued.org/index.php/dictionary/swardspeak/.
Ricuperate il 23 Dicembre 2010.
23
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Cfr. Cynthia Grace B. Suguitan. "A SEMANTIC LOOK AT FEMININE SEX AND GENDER TERMS IN
PHILIPPINE GAY LINGO". University of the Philippines. http://bangkok2005.anu.edu.au/papers/Suguitan.pdf.
Recuperate il 25 Dicembre 2010.
24
!
Cfr. Sharlyne Ang (July 7, 2010). "Ang Bekimon (Baklang Jejemon)". http://pinoylgbt.com. http://pinoylgbt.com/
ang-bekimon-baklang-jejemon/. Recuperate il 23 Dicembre 2010.
25
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Cfr. Jessica Salao (30 April 2010). "Gayspeak: Not for gays only". http://www.thepoc.net. http://www.thepoc.net/
thepoc-features/buhay-pinoy/buhay-pinoy-features/6340-gayspeak-not-gor-gays-only.html. Recuperate il 23 Dicembre.
!12
La parola Sward, secondo Jose Javier Reyes, fu coniata dal colonista e critico cinematografico
Nestor Torre negli anni Settanta: Reyes stesso scrisse un libro sull’argomento intitolato
‘Swardspeak: A Preliminary Study’26 dove ‘Sward’ sta per gergo per ‘uomini omosessuali’ delle
Filippine27.
L’origine delle singole parole e frasi, comunque, è esistita da più tempo e derivano da una varietà di
fonti28.
Per la precisione, lo Sward è una forma di gergo e per questo motivo altamente dinamico, come
opposto alle forme colloquiali, che è costruito su lingue preesistenti: si trasforma in maniera
deliberata o crea parole che si uniscono a parole di altre lingue, che non sono solo come si è visto
inglese, giapponese e spagnolo, ma anche cinese mandarino, francese e tedesco.
È colorita, ironica, arguta con vocaboli derivati dalla cultura popolare e variazioni regionali29.
È intellegibile con le persone che non hanno a che fare con la cultura omosessuale filippina o non
ne conoscono le regole d’uso30.
Non esiste una gamma standardizzata di regole, ma alcune delle convenzioni più comuni vengono
di seguito riportate31:
1. Ricollocare la prima lettera/sillaba delle parole con la lettera ‘J/Sh’ o ‘Ju/Shu’
SWARD
PAROLA ORIGINALE
J O WA ( d i m i n u t i v o d e l l a ASAWA (marito, fidanzato)
LINGUA D’ORIGINE
TAGALOG
variante Jowabelle)
JONTA
PUNTA (andare in un posto)
TAGALOG
26
!
Cfr. Reinerio A. Alba (June 5, 2006). "The Filipino Gayspeak (Filipino Gay Lingo)". http://www.ncca.gov.ph/. http://
www.ncca.gov.ph/about-culture-and-arts/articles-on-c-n-a/article.php?i=289&subcat=13. Recuperate il 24 Dicembre
2010.
27
!
Cfr. "GAY SPEAKS on "SWARDSPEAK"". http://badinggerzie.blogspot.com.+May 13, 2005. http://
badinggerzie.blogspot.com/2005/05/gay-speaks-on-swardspeak.html. Recuperate il 24 Dicembre 2010.
28
!
Cfr. Norberto V. Casabal (August 2008). "GAY LANGUAGE: DEFYING THE STRUCTURAL LIMITS OF
ENGLISH LANGUAGE IN THE PHILIPPINES". Kritika Kultura, Issue 11. Kritika Kultura. http://www.philjol.info/
index.php/KK/article/viewPDFInterstitial/754/699. Recuperate il 25 Dicembre 2010.
29
!
Cfr. Danton Remoto (2008-05-05). "On Philippine gay lingo". http://www.abs-cbnnews.com. http://www.abscbnnews.com/views-and-analysis/05/05/08/philippine-gay-lingo-danton-remoto. Recuperate il 25 Dicembre 2010.
30
!
Cfr. "Gay Lingo (Made in the Philippines)". http://www.doubletongued.org.+November 16, 2008. http://philippinesbutchokoy.blogspot.com/2008/11/gay-lingo-made-in-philippines.html. Recuperate il 23 Dicembre 2010.
31
! Cfr.
Empress Maruja (27 July 2007). "Deciphering Filipino Gay Lingo". United SEA. http://unitedsea.blogspot.com/
2007/07/deciphering-filipino-gay-lingo.html. Recuperate il 23 Dicembre 2010.
!13
S H U P A T I D ( c o r r o t t o KAPATID (fratello)
TAGALOG
ulteriormente in Jupiter)
JULAYLAY
ALALAY (assistente)
TAGALOG
!
2. Ricollocare la prima lettera/sillaba di parole con "-ash", "-is", "-iz", "-ish", "-itch", "-ech", "ush", o "-oosh"come un suffisso diminutivo o accrescitivo
SWARD
PAROLA ORIGINALE
LINGUA D’ORIGINE
JOTIS (una piccolissima DYOTAY (una piccola somma) CEBUANO
somma)
JUBIS (molto grasso)
TABA (grasso)
TAGALOG
WISH/WASH (niente)
WALA (niente)
TAGALOG
TAROOSH (molto promiscuo) TARAY (promiscuo)
TAGALOG
ITITCH (questo qui)
ITO (questo qui)
TAGALOG
A N E C H ( c h e c o s a , i n ANO (che cosa)
TAGALOG
particolare in senso
esclamativo)
!
3. Ricollocare i suoni di "a", "o", o "u" con "or", "er", o "ur", in particolare direttamente prima
o dopo la consonante "l".
SWARD
PAROLA D’ORIGINE
LINGUA D’ORIGINE
HELLER
HELLO (ciao)
INGLESE
CHURCHILL
SOSYAL (alta società)
TA G A L O G ( d a l s o c i a l
spagnolo)
KALURKEY
GANDER
KALOKA (matto, non sano, T A G A L O G ( d a l l o c a
fastidioso)
spagnolo)
GANDA (bello)
TAGALOG
!
!14
4. Invertendo l’ordine delle lettere di una parola, come il gergo tagalog che opera switching
sillabico. È usato in maniera predominante nello sward Cebuano.32
SWARD
PAROLA D’ORIGINE
LINGUA D’ORIGINE
ILIJ (no)
DILI (no)
CEBUANO
BAYU (amante, ragazzo)
UYAB (amante)
CEBUANO
NIAL (cattivo, scortese)
LAIN (cattivo, scortese)
CEBUANO
!
5. Gioco di parole, code-switching, forme onomatopeiche che riuniscono parole preesistenti,
errori, e anglicizizzazione incorretta nel suo essere deliberata di parole.
SWARD
PAROLA D’ORIGINE
CRAYOLA (piangere, essere CRY
LINGUA D’ORIGINE
INGLESE
triste)
ANTIBIOTIC (antipatico)
ANTIPATIKA (antipatico)
TAGALOG (dallo spagnolo
antipática)
LIBERTY (libero)
LIBRE (libero)
TAGALOG (dallo spagnolo
libre)
CAREER/KARIR (prendersi CAREER
INGLESE
sul serio-usato come verbo)
FILLET O’ FISH (essere FEEL (simpatizzare)
INGLESE
attratto da qualcuno)
K A P E / C A P U C C I N O / ‘WAKE UP AND SMELL INGLESE DELLE FILIPPINE
COFFEMATE (essere realista)
THE COFFEE’ (corruzione
ironica dell’inglese filippino
‘Wake up and smell the roses)
WRANGLER (anziano, in GURANG (vecchio)
HILIGAYNON
particolare uomini omosessuali
anziani)
32
!
Cfr. Reinerio A. Alba (June 5, 2006). "The Filipino Gayspeak (Filipino Gay Lingo)". http://www.ncca.gov.ph/. http://
www.ncca.gov.ph/about-culture-and-arts/articles-on-c-n-a/article.php?i=289&subcat=13. Recuperate il 24 Dicembre
2010.
!15
C H I M I N E Y C R I C K E T C H I M A Y ( c o r r u z i o n e TAGALOG
(domestica)
deliberata di Jiminy Cricket,
gergo tagalog per domestiche)
POCAHONTAS (prostituta)
P O K P O K ( g e r g o p e r TAGALOG
‘prostituta/o’)
PA G O D A C O L D WAV E Un marchio a livello locale di TAGALOG
LOTION (stanco, esausto)
lozioni, PAGOD (stanco,
esausto)
MUDRA (madre, usato anche MADRE (madre)
SPAGNOLO
per riferirsi ad amiche con
figli)
HAMMER (prostituta)
P O K P O K ( g e r g o p e r TAGALOG, INGLESE
prostituta), POKPOK (parola
onomatopeica del Tagalog per
‘ p e s t a r e ’ ,
‘martellare’-‘battere’)
BIYUTI/BEYOOTI (bello, BEAUTY, gioco di parole per INGLESE, CEBUANO
carino)
il Cebuano BAYOT (che
significa ‘gay’)
SILAHIS (uomo bisessuale)
SILAHIS (raggio di sole, TAGALOG
raggio)
BOYBAND (ragazzo grasso)
Gioco di parole su BABOY TAGALOG, INGLESE
(parola tagalog per ‘maiale’)
G.I. JOE (un amante straniero, Acronimo per ‘GENTLEMAN INGLESE
solitamente americano)
IDIOT’
O P P O S I T I O N PA RT Y G i o c o
di
p a r o l e INGLESE
(un’occasione sociale con sull’opposizione politica
molti attesi problemi)
!
!16
6. Riferimenti alla cultura popolare, solitamente celebrità o spettacoli televisivi. Possono
essere selezionati per ricollocare una parola in riferimento a cose per cui sono famosi,
semplicemente perché parti delle parole rimano o entrambi.
SWARD
P A R O L A / C O N C E T T O DERIVATO DA
ORIGINALE
Julie Yap-Daza (da catturare- Huli (Tagalog-essere catturato) 'Julie' rima con ‘Huli’ e Julie
barare)
Yap-Daza è uno scrittore
famoso a livello locale per aver
scritto il libro 'Etiquette for
Gelli de Belen
Gelli de Belen (geloso)
Geloso
Tommy Lee Jones (fame)
Tom-guts (gergo che alterna la Tommy Lee Jones
sillaba Tagalog per ‘gutom’,
fame)
X-men (all’inizio appariva ‘Ex-man’ ‘Ex-uomo’
X-men
essere eterosessuale, poi il
coming out, quindi il passaggio
dall’essere ipermascolino ad
Fayattolah Kumenis (magro)
Payat (Tagalog ‘magro’)
Ayatollah Khomeini
Barbra Streisand (essere Bara (Tagalog ‘bloccato’)
Barbara Streisand
respinta senza mezzi termini,
bloccato)
Murriah Carrey (economico)
Mura (Tagalog ‘economico’)
Mariah Carrey
Lupita Kashiwahara (crudele)
Lupit (Tagalog ‘crudele’)
Lupita Kashiwahara (un film
Carmi Martin (karma)
Karma
filippino e un regista tv)
Carmi Martin
Rita Gomez (irritante, noioso)
N a k a k a - i r i t a ( T a g a l o g Rita Gomez
Mahalia Jackson (caro)
‘irritante’)
M a h a l ( Ta g a l o g ‘ c a r o ’ , Mahalia Jackson
Anaconda (traditore, tradire)
‘prezioso’, ‘caro’)
Ahas (gergo Tagalog, ‘tradire’, Anaconda (film)
Badinger Z (omosessuale)
letteralmente ‘serpente’)
Bading (gergo dispregiativo Mazinger Z
Tagalog per ‘omosessuale’)
Taxina Hong Kingston (in Taxi
attesa un taxi)
!17
Maxine Hong Kingston
Noel Coward (No)
No
Noel Coward
Oprah Winfrey (promessa)
Promessa
Oprah Winfrey
Sharon Cuneta (sì, sicuro)
Sicuro
Sharon Cuneta
J e s u s C h r i s t S u p e r s t a r / Resurrezione/trasformazione
Jesus Christ Superstar/
Optimus Prime (il make-over
Optimus Prime
della moda, trasformare un
abbigliamento in qualcosa di
!
7. Prestiti linguistici da altre lingue, in particolare parole giapponesi, inglesi e spagnole in
disuso da molto tempo nelle Filippine con forme al femminile preferite in maniera opposta e
parallela nello Sward. A sua volta tali forme sono assenti nella maggior parte delle lingue
filippine33.
SWARD
DEFINIZIONE
ORIGINE
Drama
Melodramma, l’esagerazione, INGLESE
Carry/Keri
dramma (passiva-regina)
Contenersi per bene
INGLESE
Siete Pecados
Ficcanaso, malalingua
SPAGNOLO ‘sette peccati’
Puñeta
Espressione volgare generale, GERGO SPAGNOLO CON
più o meno equivalente a D I V E R S I G R A D I D I
‘cazzo’
OSCENITA’ PERCEPITA.
LETTERALMENTE SI
TRADUCE COME ‘IN UN
SPAGNOLO ‘PICCOLO’
Chiquito
Piccolo
Coño
Alta società in particolare G E R G O S P A G N O L O
ricchi
che
p a r l a n o ‘VAGINA’
Otoko
esclusivamente Taglish
Uomo virile
GIAPPONESE
Berru
Birra
GIAPPONESE
Watashi
Io, me
GIAPPONESE
!
33
!
Cfr. "Gay Lingo Collections". July 5, 2009. http://hoowanted.wordpress.com/2009/07/05/gay-lingo-collections/.
Recuperate il 23 Dicembre 2010.
!18
Esempio di traduzione della tradizionale filastrocca filippina ‘Ako ay may lobo’ (Ho un palloncino)
in Sward34.
VERSIONE ORIGINALE
TRADUZIONE IN SWARD
T R A D U Z I O N E
A P P R O S S I M ATA I N
ITALIANO
Ako ay may lobo
Aketch ai may lobing
Lumipad sa langit
Di ko na nakita
Pumutok na pala
Sayang lang ang pera,
Pinambili ng lobo
Sa pagkain sana,
Nabusog pa ako.
Flylalou sa heaven
Witchels ko na nasightness
Jumutok lang pala
Sayang lang ang anda
Pinang buysung ng lobing
Kung lafangertz sana
Nabusog pa aketch
Avevo un palloncino
È volato in cielo
Io non riesco a vederlo più
Non sapevo se fosse scoppiato
Sprecati sono i miei soldi
Nel comprare il palloncino
Se avessi comprato del cibo
invece
Almeno sarei stato soddisfatto
!
Esempio di traduzione della tradizionale filastrocca filippina ‘Bahay Kubo’ (Nipa hut) in Sward.
VERSIONE ORIGINALE
TRADUZIONE IN SWARD
T R A D U Z I O N E
A P P R O S S I M ATA I N
ITALIANO
34
!
Cfr. Norberto V. Casabal (August 2008). "GAY LANGUAGE: DEFYING THE STRUCTURAL LIMITS OF
ENGLISH LANGUAGE IN THE PHILIPPINES". Kritika Kultura, Issue 11. Kritika Kultura. http://www.philjol.info/
index.php/KK/article/viewPDFInterstitial/754/699. Recuperate il 25 Dicembre 2010.
!19
Bahay kubo, kahit munti
Valer kuberch, kahit jutay
Ang halaman duon,
Ay sari-sari
Singkamas, at talong,
Sigarilyas at mani
Sitaw, bataw, patani
Kundol, patola, upo’t kalabasa
At saka meron pa
Labanos, mustasa
Sibuyas, kamatis, bawang at
luya
Sa paligid-ligid
Ay puno ng linga
Ang julamantrax denchi,
Ay anek-anek.
Nyongkamas at nutring,
Nyogarilyas at kipay.
Nyipay, nyotaw, jutani.
Kundol, jotola, jupot
jolabastrax
At mega join-join pa
Jobanos, nyustasa,
Nyubuyak, nyomatis, nyowang
at luyax
And around the keme
Ay fulnes ng linga.
La capanna di Nina, anche se è
piccola
Le piante che ospita
Sono molteplici
Rape e melanzane
Fagioli alati e arachidi
Fagiolini, fagioli giacinto,
fagioli di Lima
Zucca della cera, luffa,
zucca bianca e zucca
e c’è anche il ravanello, la
senape,
la cipolla, il pomodoro,
aglio e zenzero.
E tutto intorno
Ci sono semi di sesamo
!
1.7.2. Il Bahasa Binan in Indonesia35
! Cfr. Boellstorff, Tom (2007). A coincidence of desires: anthropology, queer studies, Indonesia. Duke University
35
Press. ISBN 0822339919
Boellstorf, Tom (2005). The gay archipelago: sexuality and nation in Indonesia. Princeton University Press.
Boellstorff, Tom (2004). "Gay language and Indonesia: registering belonging". Journal of Linguistic Anthropology 14
(2): 248–268. doi:10.1525/jlin.2004.14.2.248. http://www.anthro.uci.edu/faculty_bios/boellstorff/Boellstorff-JLA.pdf.
Boellstorff, Tom (2004). "Playing Back the Nation: Waria, Indonesian Transvestites". Cultural Anthropology 19 (2):
159–195. doi:10.1525/can.2004.19.2.159. http://www3.interscience.wiley.com/journal/120178780/abstract.
Boellstorff, Tom (2003). '"Authentic, of course!": gay language in Indonesia and cultures of belonging'. Chapter 7,
pages 181–201 in William Leap, Tom Boellstorff (eds). Speaking in queer tongues: globalization and gay language.
University of Illinois Press. ISBN 0252071425
Offord, Baden and Leon Cantrell (2001). "Homosexual Rights as Human Rights in Indonesia". Pages 233–252 in
Gerard Sullivan and Peter A. Jackson (eds). Gay and lesbian Asia: culture, identity, community. Haworth Press. ISBN
1560231467
(Indonesiano) TYO (2005). "Bahasa 'Binan' dan Trendi". Lampung Post 23 January.
!20
Sebbene nuovamente non comprende l’area geografica che si intende qui approfondire, si accenna
anche al Bahasa Binan o Bahasa Béncong, che è un dialetto indonesiano con origine presso la
comunità gay e diversi schemi regolativi di formazione delle parole, oltre ad una documentazione
sia nello scritto che nell’orale36.
Uno schema di formazione delle parole modifica le radici standard indonesiane (normalmente
composte da due sillabe) per avere e come la prima vocale e ong che termina la seconda sillaba,
quindi fornendo un’assonanza regolare con la parola standard dell’indonesiano bencong, un uomo
omosessuale: un altro schema di formazione della parola aggiunge infisso –in- alle altre radici
indonesiane.
Il miglior esempio è la parola binan stessa, formata con la parola banci, ‘travestito di sesso
maschile’, a cui l’infisso –in- è stato aggiunto e da cui la seconda sillaba –ci è stata rimossa. Il
Bahasa Binan usa anche una gamma di parole standard dell’indonesiano con significato alterato,
come con la parola standard per ‘gatto’, kucing, che è usata in Bahasa Binan per denotare un
prostituto per clientela maschile.
Un’altra parola con una grande attualità nel Bahasa Binan ma attualmente tipica della formazione
delle parole informali nell’indonesiano standard, è waria da wanita (donna)+ pria (uomo), che
significa ‘travestito’.
!
1.8. Il gay lisp in lingua inglese37
Il gay lisp è un attributo di discorsività stereotipata associate con gli uomini omosessuali nei paesi
anglofoni38.
!
36
Cfr. Boellstorff, Tom (2004). "Gay language and Indonesia: registering belonging". Journal of Linguistic
Anthropology. 14. (2): 248–268. doi:10.1525/jlin.2004.14.2.248. http://www.anthro.uci.edu/faculty_bios/boellstorff/
Boellstorff-JLA.pdf.
! Mack, S., & Munson, B. (2008). Implicit Processing, Social Stereotypes, and the 'Gay Lisp'. Oral presentation given
37
at the annual meeting of the Linguistic Society of America, Chicago, IL.
38
!
Cfr. Bowen, Caroline (2002). "Beyond Lisping: Code Switching and Gay Speech Styles". http://www.speech-
language-therapy.com/codemix.htm. Retrieved January 19, 2011;
McKinstry, Oliver (March 1, 2002). "Queering Multiculturalism". The Mac Weekly. Macalester College. Archived from
the original on September 22, 2006. http://web.archive.org/web/20060922162200/http://www.macalester.edu/weekly/
030102/myworld.html. Retrieved January 19, 2011.
!21
Il fenomeno del ‘gay lisp’ e il suo studio sono affrontati in maniera non soddisfacente come accade
con gli altri attributi esterni secondari o i manierismi verbali e non verbali sia della persone
omosessuali che delle persone eterosessuali. Questi attributi sono stati difficili da definire e
quantificare ma appaiono come qualcosa di indipendente dalle altre variabili nella fonologia della
lingua inglese come l’accento e il registro. Lo stereotipo del gay lisp non è stato mai convalidati in
uno studio sperimentale39.
Due studi (Linville, 1998; Munson e altri, 2006)40 trovarono che un sottoinsieme di uomini
omosessuali producono /s/ in maniera distinta; comunque, il modo in cui la /s/ fu pronunciata,
ovvero con un’alta frequenza di punta e uno spettro asimmetrico altamente negativizzante, lo resero
più distinto dagli altri suoni simili e non meno, vale a dire che questa fu una /s/ ipercorretta in
maniera discutibile41.
Diverse caratteristiche discorsive sono stereotipate come marcatori di identità maschile
omosessuale: pronuncia attenta, ampia gamma di toni, tono alto e rapidamente alternante, tono
sospirante, suoni fricativi allungati e pronuncia di /t/ come /ts/ e /d/ come /dz/42.
Il ‘suono gay’ di alcuni, ma sicuramente non di tutti gli uomini omosessuali, appare ad alcuni udenti
comportare il caratteristico ‘lisp’ che comporta le sibilanti (/s/, /z/ /ʃ/, e simili) con stridore, con un
fischiettare, con una sibilazione e/o una ‘assibilation’43.
! Cfr.
39
Munson, B., & Zimmerman, L.J. (2006B). Perceptual Bias and the Myth of the ‘Gay Lisp’. Poster Presentation at
the Annual Meeting of the American Speech-Language-Hearing Association, Miami, FL.
!
40
Cfr. Crocker, L., & Munson, B. (2006). Speech Characteristics of Gender-Nonconforming Boys. Oral Presentation
given at the Conference on New Ways of Analyzing Variation in Language, Columbus, OH.
Munson, B., & Zimmerman, L.J. (2006a). The Perception of Sexual Orientation, Masculinity, and Femininity in
Formant-Resynthesized Speech. Oral Presentation given at the Conference on New Ways of Analyzing Variation in
Language, Columbus, OH.
!
41
Cfr. Linville, S. (1998). Acoustic correlates of perceived versus actual sexual orientation in men's speech. Pholia
Phoniatrica et Logopaedica, 50, 35-48;
Munson, B., McDonald, E.C., & DeBoe, N.L., & White, A.R. (2006). The acoustic and perceptual bases of judgments
of women and men's sexual orientation from read speech. Journal of Phonetics.
!
43
!
Cfr. Bowen, Caroline (2002). "Beyond Lisping: Code Switching and Gay Speech Styles". http://www.speechlanguage-therapy.com/codemix.htm. Retrieved January 19, 2011.
!22
I professori Henry Rogers e Ron Smyth dell’Università di Toronto hanno compiuto delle ricerche in
tal senso: secondo Rogers, le persone possono solitamente differenziare le voci che appaiono
omosessuali ed eterosessuali basati su dati schemi fonetici; Rogers afferma di aver identificato un
numero di caratteristiche fonetiche che appaiono rendere una voce di uomo come quella di un uomo
omosessuale e aggiunge di voler conoscere come gli uomini acquisiscono questo modo di parlare44.
Uno studio dell’Università di Stanford che include un piccolo gruppo campione indaga sulle
dichiarazioni per cui le persone possono identificarsi uomini omosessuali attraverso la loro
discorsività e che questi uditori usano una gamma tonale e una fluttuazione nel corso delle
decisioni45.
Da qui fu evidente che i risultati erano inconcludenti, perché, sebbene lui trovasse che gli ascoltatori
potevano distinguere gli uomini omosessuali da quelli eterosessuali, egli falliva nel trovare una
qualsiasi differenza empirica convincente nel tono tra questi due gruppi. Resta che questo studio è
rappresentativo degli altri, che hanno fallito nel trovare differenze concrete nella discorsività degli
uomini omosessuali ed eterosessuali46.
In uno studio simile di parlanti di sesso femminile, fu riscontrato che gli uditori non sapevano dire
se una parlante fosse omosessuale o eterosessuale: altri studi sull’identità omosessuale femminile
facevano riferimento all’uso della voce attraverso donne omosessuali in maniera tipica, usando un
tono più basso e stili comunicativi più diretti47.
!
1.9. Gergo omofobo o gergo queer: una questione semantica
James D. Armstrong ha notato come gli attacchi fisici su uomini omosessuali siano spesso
accompagnati da insulti verbali: egli rintraccia in particolare in Wolinsky e Sherill l’uso di epiteti
antiomosessuali nell’attacco verso due uomini omosessuali da parte di giovani adolescenti48.
44
!
Cfr. Rynor, Micah (February 18, 2002). "Researchers examine patterns in gay speech". News@UofT. University of
Toronto. Archived from the original on November 1, 2007. http://web.archive.org/web/20071101043238/http://
www.newsandevents.utoronto.ca/bin2/020218c.asp. Retrieved January 19, 2011.
45
!
Cfr. Gaudio, Rudolph (1994) "Sounding Gay: Pitch Properties in the Speech of Gay and Straight Men." American
Speech 69: 30-57.
46
!
Cfr. "Gayspeak". glbtq: an encyclopedia of gay, lesbian, bisexual, transgender, & queer culture. glbtq, inc.. 2004.
http://www.glbtq.com/social-sciences/gayspeak.html. Retrieved January 19, 2011.
47
!
Cfr. Atkins, Dawn (1998) "Looking Queer: Body Image and Identity in Lesbian, Bisexual, Gay, and Transgender
Communities"
48
!
Cfr: Wolinsky, Marc, e Kenneth Sherill: eds. (1993). Gays and the Military. Princeton. NJ: Princeton University
Press.
!23
Notando come il sistema linguistico qui viene ad essere coercitivo, violento ed esclusivo, egli
aggiunge che le associazioni per i diritti delle donne e della comunità queer evidenziano a volte gli
attacchi verbali degli astanti di sesso maschile che esprimono ostilità attraverso un linguaggio
omofobo.
Se da una parte egli ricorda come siano fattori extralinguistici ad aver sostenuto la
degergalizzazione di questo insieme di termini (storia di intolleranza religiosa, stigmatizzazione e
pregiudizio contro gli e le omosessuali), dall’altro recentemente in seguito ad un notevole
cambiamento socioculturale avvenuto nel corso degli anni Settanta, c’è stata una ripresa delle
ostilità verso persone glbt. L’ostilità va intesa come violenza crescente, rafforzata dalla
generalizzata paura della pandemia da Hiv (anni Ottanta) e dal potere politico del diritto canonico49.
Quindi, si inizi valutando la conformazione bidirezionale dell’atto omofobo che coinvolge violenza
fisica e verbale, anche se Armstrong ricorda come l’omofobia non sia solo questo: infatti, egli
registra come nelle interazioni pubbliche, le persone che non organizzerebbero mai un aperto
attacco fisico e verbale verso persone glbt, usano modulazioni linguistiche-semantiche che
denigrano la natura dell’omosessualità.
Spesso coloro che utilizzano tale linguaggio in pubblico sono uomini, di solito giovani e
presumibilmente eterosessuali: l’uso di tale insieme di termini crea un’atmosfera di accettazione
acritica dell’intolleranza verso l’omosessualità, costituendone modulatore di un bagaglio di
stereotipi verso l’omosessualità.
In aggiunta, tale uso stilistico di un dato repertorio lessicale comporta il sostegno e la riconferma
già esistente del dominio maschile eterosessuale confermando un sistema di valori maschilisti,
mentre il degradare si associa a supposti attributi di genere femminili: i sociolinguisti e le teoriche
femministe hanno notato che la lingua usata da uomini, incluso la maggior parte di termini gergali,
comporta implicazioni negative per lo status delle donne nella società e che gli stili discorsivi e
l’uso della lingua maschili hanno la funzione di rafforzare il dominio maschile50.
Armstrong procede a questo punto con l’analisi di alcuni termini gergali comuni che si riferiscono
ad omosessuali con il preciso intento di, non solo umiliare e negativizzare l’orientamento sessuale
effettivo o supposto del proprio interlocutore, ma di coercizare gli altri in un dato comportamento
49
!
Cfr: Blumenfeld, Warren J., e Diane Raymond (1989). Looking at Gay and Lesbian Life. Boston: Beacon Press;
Perrow, Charles, e Mauro, Guillen (1990). The Aids Disaster. New Heaven: Yale University Press;
Peters, Jeff (1991). ‘When Fear Turns To Hate and Hate to Violence’ Human Rights. 18:1.
50
!
Cfr: Lakoff, Robin (1975). Language and Women’s Place. New York: Harper & Row;
Schultz, Muriel R. (1975). ‘The Semantic Derogation of Women.’ In Barrie Thorne e Nancie Henley (eds.), Language
and Sex: Difference and Dominance. Roxbury, MA: Newbury House.
!24
ritenuto il migliore dai suoi artefici: tutti gli atti monitorati seguono il presente e non si sospetta il
proprio interlocutore di essere omosessuale; piuttosto l’uso è basato sul legame di alcuni atti o
soggetti che si presume essere connessi all’omosessualità.
Per questo motivo, questo tipo di uso equivale all’estensione connotativa dello schema di base
culturale che definisce l’omosessualità al referente: da un punto di vista semantico i tipi focali o gli
schemi prototipici sono definiti in termini di attributi o caratteristiche. Per applicare sensibilmente
(o estendere) un termine ad un oggetto o persona, l’utente evoca la relazione tra le caratteristiche
che definiscono un individuo e il comportamento, forma o funzione della persona o oggetto verso
cui il termine è applicato.
Nell’uso attuale le somiglianze tra gli individui e il target non sono assolute ma sono influenzate dai
contesti e dalle implicazioni culturali di un uso opposto ad un altro uso51: ad esempio esiste una
parola yiddish, feygele, che sta per ‘uccellino’- gli ebrei americani in maggioranza askenaziti
potrebbero usare questo termine per riferirsi a uomini omosessuali o effeminati.
Tale uso illustra il processo di estensione metaforica: questa classe di estensione è metaforica
perché un uomo effeminato o omosessuale non è un uccellino, ma l’uso presume che in qualche
modo il target possiede o esemplifica un attributo di essenza di uccello, come la delicatezza.
Al contrario, l’applicazione del termine gergale inglese, ma anche di altri sistemi linguistici come
l’ebraico israeliano, homo, ad un individuo è un’estensione connotativa perché una persona
potrebbe essere un omosessuale attualmente. L’estensione del termine in questo caso è basata sulla
presunzione dell’utente che il target condivide alcuni attributi connotativi con il prototipo della
categoria ‘homo’.
Segue quindi per Armstrong un elenco di termini considerati come equivalenti semantici, sebbene
esistono differenze nelle loro connotazioni: tutti questi termini, comunque, connotano effeminatezza
e non conformità al codice culturale dominante in proporzione alla scelta e al comportamento
sessuale appropriato.
Nella maggior parte dei casi, infatti, l’estensione di questi termini ad una persona è basata sul
legame tra il comportamento della persona e gli attributi effeminati o non conformi concernenti la
natura dell’omosessualità maschile: ne deriva che il gergo omofobo è qualsiasi adattamento ed
estensione di termini che si riferiscono agli omosessuali che potrebbero essere interpretati come
51
!
Cfr: Kronenfeld, D., J. Armstrong e S. Wilmoth (1985). ‘Exploring the Internal Structure of Linguistic Categories: An
Extensionist Semantic View.’ In Jane W. D. Dougherty (ed.), Directions in Cognitive Anthropology. Urbana: University
of Illinois Press.
!25
dispregiativi in rapporto alla qualità, azione, attributo o individuo al quale il termine utilizzato è
negativizzante52.
Per esempio l’uso del termine gergale inglese homo per riferirsi ad un individuo è il risultato
dell’adattamento ed estensione del termine homosexual: il suo uso è quasi inevitabilmente
dispregiativo.
Come ricorda John Boswell, noto storico dell’omosessualità, nel caso Joseph C. Steffan v. Richard
B. Cheney, Secretary of Defense: “[H]omo” became a widespread obloquy, espacially among
adolescents and those openly hostile to homosexuals. It is almost an exact lexical equivalent of the
anti-Semitic ‘Hebe’: both are abbreviations of terms applied by a suspicious majority to the
minority in question (‘homo’ from ‘homosexual’; ‘hebe’ from ‘Hebrew’), ad opposed to the terms
used by the groups themselves (‘gay’ and ‘Jewish’, respectively) and by those who are not hostile to
them. Apocation of names is a common mode of intensification:…for groups, especially suspect
groups, the foreshortening usually betrays intensified hostility (Boswell 1993: 51).
L’ostilità e la negativizzazione implicite nell’uso dei termini omofobi, quindi, come illustrato
dall’argomentazione di Boswell del termine homo, si pongono per via della supposta assenza di
correttezza di qualsiasi cosa non eterosessuale. Per questo motivo, associare qualsiasi cosa o
qualunque cosa con la categoria dell’altro automaticamente lo rende non conforme come il migliore
esistente.
A questo punto, per quanto riguarda la metodologia Armstrong con l’aiuto di diversi studenti,
raccoglie casi in cui i termini che comprendono la definizione di gergo omofobo sono stati usati in
presenza dei medesimi ricercatori: per ogni caso è stato descritto il contesto sociale dell’uso, dando
particolare attenzione alla relazione dell’utente con i suoi interlocutori presenti, in primis con il
referente.
Lo studio di Armstrong sul gergo omofobo, poi, derivano dalle conversazioni tra studenti liceali di
sesso maschile e di etnia caucasica di un dato liceo, sebbene fossero presenti in alcuni casi anche
donne e studenti appartenenti a minoranze etniche, linguistiche, sessuali, etc…
Alla base di tali approfondimenti, restano delle interviste con questi studenti per esplorare l’uso di
questa terminologia più in generale nella cultura studentesca del Suny Plattsburgh: gli
approfondimenti più interessanti lì dove sono stati possibili, ovviamente, sono quelli che puntano ad
52
!
Cfr: Pei, Mario, e Frank Gaynor (1975). Dictionary of Linguistics. Totowa, NJ: Littlefeld, Adams.
!26
osservare l’uso di tali termini tra uomini omosessuali e donne omosessuali rintracciati/e e la loro
percezione qualora l’uso ne derivasse da uomini e donne eterosessuali.
Inoltre, le interviste sono state usate per integrare altri dati e riempire le lacune presenti nei dati già
esistenti, non come una fonte primaria quindi di casistica: tutto deriva dalla constatazione che il
gergo omofobo è usato in una varietà di modi.
Per esempio, non è insolito sentire qualcuno usare un termine come fag per riferirsi ad un altro
individuo che non è a portata d’orecchio: uno studente di Armstrong afferma di aver sentito un
capoclasse riferirsi ai membri di una locale confraternità con l’espressione di ‘bunch of fags’. In
questi casi non è possibile per l’osservatore (o spesso anche per il parlante) sapere se questo
rappresenta un certo tipo di attribuzione accurata di denotazione sul referente e neanche se sia
l’attributo dell’individuo/i su cui l’estensione si basa.
Anche se i termini solitamente intendono essere denigratori in questi casi, non sono molto
interessanti da un punto di vista semantico, dacchè il referente non è presente e di solito esiste una
non chiara azione che suscita questi usi.
Per questo motivo, non vengono tenuti in considerazione da Armstrong, sebbene affermi di esserne
in possesso di un notevole numero di casi: quando il referente è presente, è relativamente facile
identificare sia l’intenzione dell’utente sia l’attributo sul quale l’estensione viene prodotta.
Nella ricerca di Armstrong, quindi, la maggior parte dell’uso omofobo registrato più
frequentemente è stato l’uso del termine gay per riferirsi a qualsiasi oggetto, possesso, attributo o
comportamento altrui, in loro presenza o no, ritenuti dall’utente essere non normativi. Per esempio,
Armstrong ricorda quando un amico di sua figlia si è riferito ad un altro amico, il quale era anche
presente, come ‘gay’ perché ha rovesciato del ketchup sulla sua maglietta; Armstrong ha chiesto a
questo punto chiarimenti in relazione a come viene concepita l’omosessualità.
L’artefice della frase, mettendosi sulle difensive, ha sostenuto che non intendeva riferirsi agli/alle
omosessuali, ma semplicemente all’atto erroneo che è stato praticato: da questi esempi dunque per
Armstrong appare che molti giovani anglofoni si riferiscono a quasi qualunque o chiunque come
‘gay’ se esiste una disapprovazione o se esiste l’idea che ci sia qualcosa di non interessante e/o
stravagante.
Per questo motivo nello studio condotto da Armstrong i giovani di questa regione anglofona hanno
espropriato l’elemento neutro e identificatore di identità sessuale preferita con un orientamento
omoerotico e, sebbene con estensione connotativa, dandone un valore negativo.
!27
Inoltre, oltre a questo uso della parola gay, il termine omofobo più spesso osservato in gruppi a
maggioranza maschile in cui un partecipante si riferisce ad un altro con un termine omofobo
sinonimo di uomo omosessuale: è un comportamento pervasivo.
Ogni studente intervistato ha testimoniato l’uso di questo tipo in più di un’occasione: si parte
dall’osservazione che generalmente il contesto è a maggioranza maschile ma non c’è il bisogno che
sia limitato a maschi.
Sono usi che si applicano a piccoli gruppi di amici a proposito di altri che non siano presenti: l’uso
di una terminologia semanticamente omofoba in questi contesti è spesso parte di ciò che è
denominato ‘busting’ o ‘ranking’.
Secondo Moffatt “In male lockerroom talk the term [to bust] was short for ‘to ust their chops’ or ‘to
bust their balls’53: questi atti discorsivi sono una forma di aggressione verbale in cui l’utente deride
la vittima, solitamente per provocare l’autorità della vittima o per indebolire le sue pretese.
È notoriamente un’attività fatta da uomini per uomini in cui i partecipanti si conoscono: inoltre,
nell’attuale cultura studentesca, alle donne viene permesso di parteciparvi, sebbene la loro
partecipazione è contigente al piantare i presenti ai ruoli maschili di genere del gioco54.
Nelle situazioni qui evidenziate, un partecipante si riferisce ad un altro come un ‘fag’, ‘homo’,
‘queer’, o altri termini che intendono essere anche più dispregiativi dal punto di vista dell’utente: la
referenza viene solitamente generata da qualche azione del target, come il rifiutare di godere di
un’attività omosociale.
Nelle interviste gli studenti dichiarono che questi scambi avvengono anche nelle interazioni tra
sessi, ma Armstrong ne registra solo un esempio di una persona di sesso femminile che usa un
termine in tal senso:
1. Un gruppo di quattro studenti maschi che siedono in una sala dormitorio sta discutendo dei
piani per la sera, che includono la solita bevuta e baldoria. Uno di loro dichiara che ha
bisogno di studiare. Gli altri lo ‘bust’. Il suo amico più intimo nel gruppo parla a favore:
‘Non essere un frocio (fag), può studiare in ogni momento’.
2. Uno studente è nell’ufficio di Armstrong in seguito ad una lezione pomeridiana con un altro
studente ed entrambi sono noti ad Armstrong. Si discute in maniera socievole. Il primo
invita Armstrong a ‘downtown’ per una birra. Armstrong declina questa offerta spiegando
!
53
Cfr: Moffat, Michael (1989). Coming of Age in New Jersey. New Brunswick: Rutgers University Press.
54
!
Cfr: Moffat, Michael (1989). Coming of Age in New Jersey. New Brunswick: Rutgers University Press.
!28
che deve andare a casa per cucinare la cena e tenere a bada i bimbi. In reazione al rifiuto di
Armstrong il primo studente afferma: ‘Forza ricchionazzo (big homo). Almeno una birra te
la puoi fare!’.
3. Un uomo in un vicinato residenziale relativamente tranquillo osserva un’automobile andare
ad alta velocità per la strada. L’uomo frena e sbraita di andare piano. L’autista frena
bruscamente e si mette a portata d’orecchio dell’uomo che in un tono severo dice all’autista
di stare più attento perché i bimbi giocano in quell’area. L’autista risponde: ‘Fottiti,
finocchio (faggot)!’
Questi esempi rappresentano di atti discorsivi che servono da corpus per i dati di Armstrong e da cui
si traggono due principali caratteristiche: in ogni caso e in ogni caso correlato, l’azione che è stata
etichettata dal termine dispregiativo non ha niente a che fare con il significato denotativo del
termine usato.
In ogni caso l’uso prende il suo significato dall’estensione alla connotazione effeminata del termine:
dal punto di vista del parlante le azioni rispettivamente dello studiare, cucinare ed essere attento per
la cura dei bimbi del vicinato non sono maschili (al contrario le azioni che loro stanno giustificando
sono virili e maschili).
Questi esempi indicano anche un mezzo attraverso il quale i giovani uomini affermano la loro
mascolinità: riferendosi ad altri in questi contesti come ‘homos’ o ‘fags’, i parlanti si stanno
riferendo alla loro propria eterosessualità e mascolinità, mentre costringono i referenti ad adottare le
stesse valutazioni.
Peggy Sanday, nel suo libro Fraternity Gang Rape, argomenta il processo da cui la confraternità
modella rituali simbolici per rendere i ragazzi uomini: Sanday dichiara ‘These rituals stamp the
pledge with two collective images: one image is of the cleansed and purified ‘manly’ self bonded to
the brotherhood; the second image is of the despised and dirty feminine, ‘nerdy’, and ‘faggot’ self
bonded to the mother’.
La maggior parte dei ragazzi e uomini giovani nella società statunitense devono avere a che fare
con questo tipo di processo di affermazione come parte rilevante per poter entrare in tutti i gruppi di
sesso maschile: coloro che si trovano all’interno del gruppo rioperano gli stessi meccanismi
costantemente verso coloro che sono all’esterno del gruppo, in maniera spesso rituale e frequente,
riferendosi allo status di perdente di coloro che non aderiscono al loro gruppo55.
55
!
Cfr: Sanday, Peggy R. (1990). Fraternity Gang Rape. New York: New York University Press.
!29
Dalle osservazioni di Armstrong, per esempio, scoprivamo che nei rituali di una delle confraternite
del campus studiato da Armstrong, i ‘fratelli’ si riferiscono comunemente agli impegnati come
‘faggot’ anche quando loro non sono presenti. Nel fare questo, i ‘fratelli’ non stanno solo indicando
gli altri non del gruppo, ma stanno anche annunciando a sé stessi che sono uomini eterosessuali.
Ciascun esempio, in particolare il primo, illustra come gli uomini giovani affermano la loro
mascolinità: i parlanti in ogni caso stanno dicendo a sé stessi e agli altri presenti ‘Sono un uomo
poiché il mio comportamento non è contaminato da caratteristiche femminili del ‘homos’ e
‘faggots’.
Nessuno dei primi due esempi è particolarmente dispregiativo: in nessuno dei due casi l’intento è
quello di insultare e/o denigrare, ma, piuttosto, gli studenti in entrambi i casi stavano cercando di
costringere i referenti appellandosi culturalmente alla paura saliente di essere femmina con la quale
la maggior parte dei maschi statunitensi sono cresciuti.
Gli studenti intervistati da Armstrong quindi sentivano che questi tipi di usi marcavano l’attitudine
che in inglese è nota come ‘take-it-for-granted’, ovvero di parole che sono giusto e solo parole
(prendetelo per quello che è), come si è visto nel caso dell’amico della figlia di Armstrong secondo
il quale la parola ‘gay’ non ha alcun valore dispregiativo.
In aggiunta, in entrambi i casi e in molti altri esempi di questo tipo, stanno indicando il loro affetto
e uguaglianza con il referente in un modo scherzoso che è comune specialmente nella discorsività
da camerata: in tutti e tre gli esempi l’uso deriva dall’associazione del comportamento femminile
stereotipato con l’omosessualità maschile.
Per questo motivo la base dell’estensione del termine, è la connotata qualità femminile del rifiuto di
fare baldoria, il bisogno di stare attenti verso i bambini e preoccuparsi della velocità: l’estensione in
ciascuno di questi casi rappresenta la confusione comune nella cultura americana di comportamento
di ruolo di genere (studiare, prendersi cura dei bimbi, fare attenzione) con l’orientamento sessuale
(l’omosessualità).
Il primo esempio è un classico ‘bust’ in cui è accettabile denigrare un amico. L’uso in questo
contesto quasi ritualistico rafforza le valutazioni del gruppo referente, divulga la virilità dell’utente,
definisce ciò che il gruppo si aspetta dai suoi membri e stabilisce i confini per il gruppo56.
Il secondo esempio che è per Armstrong alla base della sua ricerca ha spezzato le qualità ma
l’assimetria del potere tra lo studente e Armstrong lo rende interessanti per altre ragioni: lo studente
56
!
Cfr: Moffat, Michael (1989). Coming of Age in New Jersey. New Brunswick: Rutgers University Press.
!30
doveva assumersi un grado sufficiente di familiarità e uguaglianza con Armstrong per spezzare a
suo favore l’immagine superiore di Armstrong.
Il ‘busting’ è una forma di scalata, ma richiede un certo livello di uguaglianza tra coloro che ne sono
coinvolti: lo studente doveva anche assumersi che Armstrong non si sarebbe offeso, che Armstrong
fosse uno di loro e che Armstrong non avrebbe visto il suo modo di porsi come una sfida.
Nella caratteristica dello stile indiretto delle interazioni maschili, lo studente stava affermando di
voler bene ad Armstrong: questa assunzione indica l’etica eterosessista della cultura americana,
ovvero in altre parole se il destinatario è eterosessuale quindi è normativo, non ha da interpretare in
maniera scorretta le parole perché le farà passar oltre.
Tutto parte e termina nel presupposto che il legame maschile sarebbe stato affermato: se avesse
sospettato che il suo interlocutore fosse un omosessuale non lo avrebbe utilizzato.
L’esempio finale è invece chiaramente denigratorio: prende parte ad uno dei ipertoni violenti
posseduti dagli attacchi fisici e verbali verso uomini omosessuali. Il parlante intende colpire il
referente con la sua lingua. Presumibilmente non conosce il destinatario né apprezza la cautela
sebbene in rapporto all’osservatore ne esiste il bisogno.
Ancora, l’uso del termine faggot è generato dall’associazione tra il prender cura del benessere dei
bimbi e l’essere effeminato, in contrasto con la virilità del viaggiare veloci in una strada
residenziale.
Nelle interviste agli studenti è stato unanimamente accordato che i termini come homo, fag e queer
erano abitualmente usati per riferirsi a comportamenti che non conformano con ciò che era
considerato virile, come praticare sport, bere alcolici e comportamenti in genere che comportano un
rischio: in uno dei casi presentati, per esempio, preferire uscire con la propria ragazza piuttosto che
giocare a calcio con gli amici evoca una risposta omofoba.
In ogni caso, per tutti i gruppi a maggioranza maschile dipendere dai ragazzi è spesso considerato
come una forma di attività etero sociale tanto quanto avere un appuntamento: ciò che tutte queste
attività hanno in comune è l’implicazione che il comportamento virile è valutato (bere alcolici,
praticare attività sportive, guidare veloce), mentre il comportamento femminile per stereotipo
dovrebbe essere evitato.
Concludendo, la maggior parte degli esempi citati dimostrano come usi particolari (gergo omofobo)
o stili (‘busting’) segnalano inclusione in riferimento a dei gruppi: se gli individui valutano
l’inclusione nei gruppi in cui il gergo omofobo è comunemente utilizzato, dovranno utilizzarlo per
segnalare la loro inclusione.
!31
Mentre per i contesti sociali questo tipo di linguaggio funziona per definire secondo alcuni e
confermare per altri attributi e comportamenti di genere ritenuti appropriati.
Ultimo, ma non meno importante, questo linguaggio è coercitivo in diversi modi: il legame tra
l’omosessualità e la non conformità, il comportamento inappropriato di genere e la femminilità fa
pressione sui membri dei gruppi di riferimento per agire in modi che loro ritengono non si dovrebbe
agire per evitare di essere etichettati, anche se il tono attuato è amichevole.
Questa costrizione, d’altronde, non è limitata ai referenti ma include tutti i potenziali partecipanti in
questi scambi: l’uso del gergo omofobo è coercitivo anche in altri modi meno spontanei, ovvero, in
primis, per denigrare gli e le omosessuali in contesti pubblici.
Il denigrare persone omosessuali in contesti pubblici ha la funzione, infatti, di mantenere
l’invisibilità degli e delle omosessuali medesimi/e: tutti i gay e le lesbiche intervistati/e da
Armstrong hanno rilevato questa caratteristica in un modo o in un altro.
La principale reazione che ha avuto luogo è stata quella di rilevare come il gergo omofobo fa sentire
esclusi, negativizzati e invisibili: implicito in questi usi è l’assunzione che tutti i presenti sono
eterosessuali e hanno una concezione negativa dell’omosessualità.
La pervasività di tale gergalità è un altro indicatore per gay e lesbiche che la cultura americana
mainstream resta intollerante verso l’omosessualità: per i giovani uomini studenti liceali, che sono
spesso insicuri della loro sessualità e che di solito vogliono essere inclusi in gruppi di referenza, non
è facile se non pericoloso opporsi a queste affermazioni sulla valutazione dell’eterosessualità.
L’uso di questo tipo di lingua, per questo motivo, ignorando i problemi che potrebbero porre ad
alcune persone, rileva come non importanti i sentimenti che queste persone provano: il gergo
omofobo implicitamente per questo motivo ignora l’esistenza degli e delle omosessuali.
Inoltre, dacchè nella maggior parte dei contesti odierni i gay e le lesbiche non sono particolarmente
identificabili, la loro presenza non costringe l’uso di terminologia dispregiativa: infatti, nella
maggior parte dei contesti liceali gay e lesbiche nascondono il proprio orientamento sessuale ad
altri/e.
L’orientamento sessuale di alcuni attivisti potrebbe essere noto dai più, ma le identità sessuali della
maggior parte di gay e lesbiche sono note solo a coloro che sono relativamente a loro familiari:
all’opposto di gay e lesbiche, gli asiatici, gli afroamericani e le donne a causa della loro visibilitàidentificabilità subiscono l’uso di un linguaggio razzista e sessista in molti contesti57.
57
!
Cfr: Smith, Barbara (1993). ‘Homophobia: Why Bring it Up?’ In Henry Abelove, Michele Barale, e David Halperin
(eds.), The Lesbian and Gay Studies Reader. New York: Routledge.
!32
Il gergo omofobo per questo motivo afferma il dominio maschilee definisce i termini in particolare
per determinati contesti per l’uguaglianza di genere: questo ultimo punto viene a essere posto da un
caso studiato sempre da Armstrong, nel quale due sorelle adolescenti si stavano preparando per
andare a casa di amici in una giornata piovosa; una delle due sorelle era meno entusiasta dell’altra a
causa della pioggia, ma l’altra sorella l’ha definita ‘homo’ per non voler uscire.
Per questo motivo, come indica questo esempio, la partecipazione femminile in termini maschili
nelle sessioni di busting, conferma l’egemonia della lingua dei maschi per i termini di uguaglianza:
alle donne potrebbe essere permesso partecipare in gruppi maschili se loro parlassero come i
maschi, attaccassero volentieri l’omosessuali e di conseguenza le qualità associate con le donne per
tradizione.
Naturalmente, quando le donne aderiscono a tale ideologia, esse spesso sono denigrate in quanto
‘butch’: non a caso Armstrong sottolinea come i termini che sono stati trattati nei suoi studi hanno
differenze tra di loro, nonostante tutti evidenzino l’orientamento sessuale, per severità e per
contestualità con cui e in cui vengono utilizzati (più di cento per la parola ‘gay’ per esempio).
!
1.6.1. FEYGELEKH58: mutazione semantica di un lemma yiddish
Si rifletterà ora sulla parola yiddish feygele, che al plurale diventa feygelekh e che letteralmente sta
per ‘uccellino’ o ‘piccolo uccello’: questa parola viene usata nello yiddish nordamericano e
nell’ebraico-American English per denotare un uomo omosessuale effeminato (per la precisione tra
gli askenaziti della costa atlantica): Michael J. Sweet nel tentare di far luce sull’oscura storia di
questo termine e quindi nel tentare di mettere in luce i suoi significati, ha fatto riferimento anche
sulla valutazione della sessualità tra persone dello stesso sesso nella cultura ebraica e sulle parole
imparentate con feygelekh in yiddish e/o altre lingue ebraiche o non ebraiche.
Dunque, la tendenza normativa verso la sessualità tra persone dello stesso sesso nella cultura
religiosa ebraica ortodossa e in parte conservatrice (ma non riformata) è il negare e il rafforzarne
l’invisibilità: i noti passaggi di condanna del Levitico esprimono disgusto e ostilità verso la
sessualità tra uomini, in particolare con la violazione di ciò che vengono considerati i confini di
genere implicati.
58
! Lo spelling di feygele come tutte le altre parole in yiddish qui presenti sono state rese in caratteri latini secondo il
sistema di traslitterazione dello YIVO, senza considerare le parole con uno spelling anglofono ben comprese.
!33
I ruoli di genere normativizzati erano divisi in maniera molto marcata tra ebrei e il travestimento era
proibito fatta eccezione della festa carnevalesca del Purim59: d’altronde, è esistita anche una poesia
ebraica omoerotica nella Spagna musulmana, che parla in termini molto positivi dei lati spirituali ed
emozionali delle relazioni tra uomini, benché non espliciti nella loro componente carnale60.
Al di là di questi riferimenti e commenti rabbinici sui passagi del Levitico esistono davvero poche
menzioni sull’erotismo tra uomini nella letteratura secolare e scolastica ebraica: le relazioni tra
persone dello stesso sesso sono infatti così invisibili, almeno per le autorità elitarie, che gli ultimi
rabbini hanno sentito la necessità di abrogare le prime proibizioni talmudiche contro gli uomini non
sposati che insegnano ad altri uomini o le proibizioni di dormire sotto la stessa coperta, in quanto
gli ebrei erano considerati come essere superiori al sospetto della sessualità tra persone dello stesso
sesso.
Mentre la sessualità tra donne non viene per niente menzionata nelle scritture ebraiche, e molto
raramente anche nel vasto corpus commentario61, tale situazioni si riflette ovviamente in ambito
linguistico: l’ebraico infatti non ha una parola per indicare una donna che ha rapporti sessuali con
un’altra donna, fatta eccezione per l’ebraico israeliano e la parola contemporanea (scritta in caratteri
latini) lesbit, adattata dal termine internazionale e usata come una generale imprecazione verso le
donne sessualmente trasgressive62.
A dispetto della sua visione generalmente secolare e più cosmopolita, la letteratura in lingua yiddish
scarseggia molto nella rappresentazione della sessualità tra persone dello stesso sesso: alcuni casi a
sé includono l’importante tema lesbico del dramma controverso del 1907 di Sholem Asch Got fun
Nekome e storie esplicite di Isaac Bashevis Singer, come le versioni inglesi di Zeitl and Rickel, Two
e Disguised, ma anche Yentl the Yeshiva Boy.
Mentre l’amore tra persone dello stesso sesso potrebbe essere rappresentato in maniera cordiale, la
sua pratica è invariabilmente raccontata come portatrice di morte e degradazione: la parola feygele
non è stato trovata nel suo senso queer in nessuno di questi lavori.
59
!
Cfr: Sandrow, Nahma (1986). Vagabond Stars: A World History of Yiddish Theater. New York: Seth Press.
60
!
Cfr: Roth, Norman (1982). “Deal Gently with the Young Man’: Love of Boys in Medieval Hebrew Poetry of Spain.”.
Speculum 57, no. 1:20-51.
61
!
Cfr: Satlow, Michael L. (1994). “They Abused Him Like a Womna”: Homoeroticism, Gender Blurring and the Rabbis
of Late Antiquity”. Journal of the History of Sexuality 5: 1-25.
62
!
Freedman, Marcia (1989). ‘A Lesbian in the Promised Land.’ In Evelyn T. Beck (ed.), Nice Jewish Girls: A Lesbian
Anthology, rev. Ed. Boston: Beacon Press, pp. 230-240.
!34
L’oscurità che circonda le origini e lo sviluppo di questa parola è compatibile con il silenzio della
maggior parte degli ebrei parlanti di yiddish sulla sessualità tra uomini, che questa parola almeno
parzialmente indica: un linguista che ha seguito a proposito di questa parola alcuni intellettuali
secolari parlanti nativi di Yiddish, ha riassunto le loro risposte in due frasi prototipe
1. Non esisteva tra di noi- bay undz iz dos nit geven.
2. Non eravamo a conoscenza dell’esistenza di queste cose- intsome nish gevist fin azelkhe
zakhn.
La consapevolezza dell’omoerotismo potrebbe essere stata maggiore tra le masse meno colte, come
provato da un proverbio reperito da un folklorista del primi anni del ventesimo secolo: ‘A bokher
mit a zokher shayt zikh’ (un ragazzo è timido con un uomo), che lo studioso tratta come un possibile
riferimento all’omosessualità maschile, nota come (mishkav-zokher).
Note socioculturali e contestuali a parte, nei suoi usi più generali, feygele è il diminutivo di foygl
(uccello), ed è un termine che esprime tenerezza per un bimbo o una donna a cui si vuol bene: il
senso è spesso reperito in canzoni d’amore e ninnananne yiddish63.
Nel suo senso più antico, questa parola connota la libertà, per ovvie ragioni, in canzoni a proposito
delle persone in carcere per esempio64: è anche il diminutivo di Feyge, un nome che era comune tra
le donne ebree dell’Europa dell’Est.
Mentre la sua formazione come un diminutivo è qualcosa di irregolare, cambiamenti di simili vocali
avvengono nei diminutivi di altre parole yiddish: moyd<meydl, hoyz<heyzl65: nel suo significato
queer feygele denota un uomo effeminato e solitamente omosessuale, e tra le sue migliori traduzioni
in inglese c’è la parola fairy.
Feygele e fairy comprono una gamma semantica identica: la più recente è stata l’etichetta più
comunemente usata per una categoria di non conformità di genere e sesso, la quale è stata molto
attuale in America dal cambiamento del ventesimo secolo attraverso gli anni Quaranta ed è attestato
nella stampa fin dai primi anni del 189066.
Ciononostante l’autore di questo studio afferma di non aver trovato alcuna fonte stampata o
aneddoti che attestino l’uso di feygele quale sinonimo di fairy prima degli anni Trenta o in territorio
non nordamericano: un punto particolarmente espressivo di prova negativa è l’assenza di questo
!63
!64
!65
!66
!35
significato della parola nell’ancora validissimo Yiddish-English-Hebrew Dictionary di Harkay, in
particolare dal punto in cui Harkay era estremamente descrittivo nel suo approccio allo Yiddish,
completamente familiare con l’American Yiddish e arditamente inclusivo di termini per parti del
corpo e le funzioni sessuali che erano poi decisamente considerati non stampabili.
Per questo motivo, appare più logico considerare feygele come influenzato in primis dal presistente
e diffuso fairy, dal momento che si è sviluppato nei quartieri urbani di immigrati in cui le persone si
etichettavano come finocchi da sé e gli altri erano le più visibili impersonificazioni del ruolo di
genere e orientamento sessuale non normativizzato67: gli uomini effeminati nel loro ruolo sociale di
accompagnatori di donne sposate sono un problema di fatto descritti nel romanzo verista del 1918
di Sholem Asch a proposito della vita degli immigranti ebrei americani, Onkel Mozes.
Ne rileviamo infatti il seguente estratto di una scena ambientata in una località di mare della classe
media ebraica: “Qui e lì un giovane uomo era stato visto in un tumulto di donne, in ambiti da nuoto
per altro. Ma loro erano così grassi e abbigliati in tal maniera che erano anche visti come donne
matrone’.
Il più specifico riferimento a feygele è stato nel film yiddish del 1940 Der Amerikaner Shadkhn,
diretto da Edgar Ulmer68 : il protagonista di questo film è un ‘scapolo confermato’ il cui
maggiordomo scapolo in una scena si indirizza al suo canarino come feygele e compara il suo stato
da scapolo a quello del suo padrone e al suo, indicando la sua (e la loro) ambiguità di genere.
La scena chiaramente richiede la conoscenza da parte del pubblico del doppio significato di feygele:
un certo numero di informatori su Mendele e altro attestavano anche la profonda consapevolezza
della parola tra coloro che appartenevano alla seconda generazione di maschi ebrei dell’Est Europa
abitanti di quartieri urbani nordamericani dagli anni Trenta agli anni Sessanta.
Come ha affermato un informatore, era spesso usato come un diffamazione contro ogni ragazzo che
esibisce anche piccoli segni di devianza di ruolo di genere, come per esempio ‘camminare in
maniera buffa’: era anche usato in senso di orientamento omosessuale, una caratteristica altamente
saliente nell’assertare la possibilità di sposarsarsi di giovani uomini, come nella ricollezione di una
persona di sua madre che dice ad un parente che lei era felice che l’unico uomo gentile del gruppo
con cui sua figlia avrebbe visitato la Francia era ‘a feygele, got tsi dank (un finocchio, grazie a
dio)’.
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La denigrazione e la versogna sono spesso associate con l’uso di questo termine: questo è illustrato
nel dialogo da una scena di confronto in una serie a fumetti che mostra un uomo omosessuale ebreo
come personaggio principale69: da qui il fratello eterosessuale del protagonista omosessuale afferma
‘Io sicuramente non voglio consigliare a tutti i losangelini, a tutto il mondo e a tutti i membri della
mia sinagoga che il mio fratellino è un feygeleh!’.
Feygele dunque avrebbe un significato simile a fairy sotto la sua diretta influenza: esiste una parola
yiddish corrispondente a fairy ed è fee, ma è una parola letterale e rara, non sempre inclusa nel
lessico comprensivo come quello di Stutchkoff e Harkavy.
Per questo motivo, è improbabile che sia familiare alla media degli immigranti ebrei europei
dell’Est: inoltre, il fairy come specie di fauna folkloristica era ignota ai racconti popolari yiddish e
alle storie per bambini in yiddish70.
Comunque, queste creature sarebbero state conosciute alla generazione nata in America o portata lì
ad un’età precoce dalla pletora dei racconti omosessuali americani, altra letteratura e di folklore:
feygele sarebbe stato un candidato naturale per descrivere i ‘fairies’ che erano visibili per le strade
dei quartieri degli immigrati.
Le sue connotazioni non sessuali sono quasi identiche a quelle del fairy folcloristico tra gli uccelli,
probabilmente un canarino, un passero o anche un colibrì: gli uccelli stereotipizzati come virili
come le aquile, falchi, gufi ma potrebbero essere chiamati feygelekh.
Nell’affermare d’altronde la sensazione di conoscere la parola in questione da molto tempo a priori
ma di ignorarne l’esatto significato da bambino, Michael J. Sweet ne delinea comunque una forte e
palpabile carica negativa, che indica una contemporanea denigrazione di un fallimento ad incontrare
le aspettative culturali di mascolinità: il suo impatto è ben raccontato in ‘Caravans’, un breve
racconto di Lev Raphael in cui il protagonista adolescente origlia il suo duro padre dire di lui: ‘Hah’
ha detto. Si veste come una ragazza. Un feygele. Questa è la parola yiddish corrispondente della
parola inglese faggot (uccellino)…Piansi al feygele. Non era ciò che volevo che gli altri pensassero
di me’.
L’autore dello studio su questa parola da gergo omofobo aggiunge come con il passaggio del tempo
e la distanza geografica e socioculturale dall’ambiente proletario ebraico e dell’Europa dell’Est
della sua infanzia, raramente ha sentito o pensato alla parola feygele, sebbene l’ha vista stampata in
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un’ampia varietà di formulazioni, come fagola, feigele, faygeleh, etc…: lo stimolo a questa sua
ricerca specifica etimologica è derivata dall’inchiesta che ha proposto a Mendele, la discussion list
virtuale di lingua e cultura yiddish, in cui ha chiesto se questa parola potrebbe non essere utile come
un’autodesignazione di uomini omosessuali ebrei.
Questa inchiesta ha dimostrato che è una parola produttiva e produceva una filettatura
conversazionale interessante che risulta nella colonna linguistica che era devota a questo argomento
nel maggiore giornare nazionale di interessi ebraici, Forward71: la curiosità è stata stimolata nel
momento in cui la ricerca ha considerato fonti stampate sulla lingua yiddish e sull’American
English, sulla cultura omosessuale negli Stati Uniti ed altre aree rilevanti tanto quanto le discussioni
con altri interessati negli studi queer.
Il risultato include testimonianze personali, letterarie e non letterarie su questa parola: la ricerca
d’archivio tra diari e lettere potrebbe ancora portare alla luce riferimenti contemporanei che saranno
meglio classificati quando e come questa parola viene a stabilizzarsi nella sua essenza e i suoi
significati per coloro che la usano in maniera originale.
Dunque, esistono altre connessioni associative che potrebbero aver avuto un ruolo secondario nella
rivalutazione di feygele come fairy:
1. gli uccelli hanno associazioni sessuali e sensuali in molte lingue,
2. nello yiddish nakht-feygele (uccello notturno) può significare ‘colui che cammina per
strada’72.
Probabilmente l’associazione più forte e remota queer in yiddish è un diminutivo di uccello
imparentato, gendzl (papero/a) che è l’etimo probabile del termine gergale dei vagabondi parlanti di
American English e il termine della malavita gunsel, un termine che deride un uomo giovane come
un partner sessuale ricettivo, tra i diversi significati: questo uso della parola in questione è stato
attestato per la prima volta nella raccolta del gergo di prigione del 1918 ed era nota dagli anni
Trenta73, almeno nel contesto underground che era un ambiente importante per la trasmissione di
parole yiddish in inglese74; il suo senso queer alludeva ed era risaputo al romanzo mistery popolare
di Dashiel Hammet The Maltese Falcon e in due film che hanno seguito e si basavano sul
medesimo testo.
71
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Cfr: Philologos (1994). “An E-Mail Fairy Tale”. Forward, 11 March, p. 16.
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Un’altra analogia metaforica tra le creature volanti e gli uomini gay/nelly è naturalmente la farfalla,
associata in molte culture con la frivolezza e l’essere libertino- ‘svolazzare da un fiore all’altro’: nel
folcklore i fairy vengono a volte dipinti anche con ali di farfalla75.
Secondo i file dell’Atlante di lingu e cultura ebraica askenazita, la parola più ampiamente distribuita
nello yiddish parlato e corrispettivo di farfalla è zumerfeygele ‘uccello estivo’: a dispetto
dell’iniziale tesi dell’autore secondo la quale feygele era legata a zumerfeygele, l’autore ammette di
non essere capace di rintracciare alcuna connotazione queer per questa parola in yiddish o in alcuna
delle sue lingue coterritoriali.
Uccellino, colombina, farfalla [ptìchka, golùbka e bàbochka] sono stati riportati come termini da
uomini omosessuali in russo, ma questi sono recenti termini gergali da prigione, non di uso comune
e profondo: lo spagnolo del Messico usa mariposa come sinonimo per uomo omosessuale
effeminato, e nella parola ebraica per farfalla, parpar, è stato registrato lo stesso valore semantico.
Ma interessante è notare come lo spagnolo e l’ebraico non hanno la stessa origine, in quella del
Ladino (o più appropriato è parlare di Judezmo), che ha influenzato l’ebraico attraverso le comunità
sefardite in Israele, non usa alcun termine da lepidotteri in relazione a uomini omosessuali,
bisessuali, transessuali76: inoltre, è estremamente improbabile che ci fosse qualsiasi relazione diretta
tra l’ebraico israeliano o lo spagnolo messicano e lo yiddish americano.
Un’altra fonte molto più probabile di influenza è il tedesco, che era molto compreso dai parlanti
yiddish colti laicamente parlando: era anche coterritoriale con lo yiddish in Galicia, Latvia e in
qualsiasi parte dell’Europa dell’Est, e per questo motivo probabilmente noto ai parlanti ordinari di
yiddish occupati negli affari con fornitori o clienti non ebrei.
Il tedesco usa infatti parole coniate con feygele, Vogel e suoi derivati, in sensi molto sessuali, in
particolare vögeln ‘scopare’, vögelchen (equivalente tedesco di feygele) ‘colui che batte- let. Colui
che cammina per strada’, vogelhaus ‘bordello’ e così via77 : particolarmente interessante è
arschvögeln ‘sodomizzare’: queste espressioni potrebbero avere influenzato la presa di feygele su
un orientamento sessuale, in particolare in prospettiva della diffusa omologazione e prostituti
nell’immaginazione popolare78.
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A dispeto della sua profonda attualità tra gli americani ebrei, feygele è stato difficilmente notato da
diversi lessicografi di yiddish o American English: forse la sua prima menzione in un dizionario
inglese era la sua definizione come ‘un pervertito, frocio, omosessuale, fairy’ in un lavoro del 1966
di un lessicografo improvvisato79.
La parola difficilmente va oltre la sua prossima forma, nel libro molto popolare dello scrittore e
umorista Leo Rosten, La gioia dello Yiddish, in cui è data un’intera etimologia speciosa dalla parola
tedesca non esistente Vögele: è stato sostenuto timidamente essere abbastanza comune (=la parola)
nel vernacolare americano-ebraico e accuratamente definita come omosessuale- un sinonimo per
l’inglese ‘fairy’ o ‘fag’.
La falsa etimologia di Rosten da ripetuta in toto e di conseguenza dal lexicon del 1985 di Wayne
Dyne: nel suo ultimo libro Hooray for Yiddish, Rosten, questa volta senza errori, nota che feygele è
il diminutivo del foygl yiddish e aggiunge un’altra definizione, altrimenti non testata di ‘carcerato’.
In entrambi i libri Rosten nota che feygele era un modo discreto ed eufemistico di descrivere gli
omosessuali, in particolare quando gli altri stavano sentendo: il termine non appare in alcun
dizionario importante inglese non abbreviati o nei dizionari di slang o dialetto americano, con
l’eccezione del Dictionary of American Regional English, in cui si afferma sia ‘forse influenzato dal
frocio inglese80’, seguente all’ipotesi di Rosten.
La vicina assenza di uomini queer nella letteratura yiddish è rispecchiata dall’esclusione di feygele
dai lavori filologici yiddish: come affermato in precedenza, il senso queer di feygele non è stato
rintracciato nel dizionario del 1928 di Harkavy né è nel dizionario di Stutchkoff, pubblicato nel
1950, molto tempo dopo che questa parola ebbe conseguito alta attualità nello yiddish
nordamericano.
Non è registrato anche nell’ultimo dizionario altamente prescrittivo del 1968 di Uriel Weinreich;
altrimenti anche il lavoro eccellente di Steinmetz sullo yiddish americano e inglese ebraicoamericano ignora questa comune parola ebraico-americana: per cui i quesiti che restano in sospeso
sono
1. perché proprio feygele?
2. riempie una nicchia nella lingua che non potrebbe essere incontrata da un termine
presistente?
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L’ultimo quesito non è una richiesta assoluta dal momento che siccome lo yiddish americano adotta
numerose parole inglesi e ne calca le traduzioni, anche nei casi in cui perfettamente buoni, le parole
dello yiddish comuni erano state disponibili81: esistono per questo motivo due parole yiddish che
potrebbero essere idonee per designare la diversità sessuale e di genere, androginos e tumtum.
La prima di queste due, comunque, era una parola non comune appresa (dal greco androgynos) e
nello specifico denota un ermafrodito biologicamente parlando: il secondo tumtum (timtim in alcuni
dialetti) sembra una possibilità più verosimile per rendere fairy.
Tumtum è rintracciabile nella rubrica delle eccezioni del dizionario di Stutchkoff tra androginos e
un’espressione che significa ‘né carne né pesce’: è definita variamente come ‘una persona senza
sesso’82, ‘adolescente timido e senza barba o un ermafrodito’83; ‘una persona con caratteristiche
sessuali secondarie non sviluppate’84 ed è reso erroneamente di diverse traduzioni di brevi racconti
di Bashevis Singer come ‘eunuco’, lì dove la parola yiddish per un vero eunuco è soris.
Tumtum è una parola d’altronde di origine ebraico-aramaica, trovata nel Talmud ed è usato come
equivalente di fairy e feygele da alcuni ebrei americani: se come afferma Rosten, feygele era usato
per intenti di occultamento, rende perplessi che tumtum non fu adottato dacché sembrava fornire
una notevole discrezione rispetto a feygele (in presenza di bimbi o non ebrei), con la sua vicinanza
fonetica a fag e fairy.
La crescita di feygele come un altro diverso da deprecare tra ebrei nordamericani negli anni Trenta
senza dubbio è correlato ai cambiamenti radicali nella definizione della mascolinità che iniziò tra
gli ebrei meno tradizionali dell’Europa dell’Est: questi cambiamenti riflettono l’idealizzazione della
mascolinità attiva dalle culture europee non ebraiche alle quali si stavano acculturando.
Il tradizionale tipo ideale di maschio scolarizzato dell’elite rabbinica appare decisamente effeminato
alla luce dei tratti atletici/guerrieri valorizzati dalle culture dominanti tra cui gli ebrei sono vissuti
fin da epoca romana e questa versione del mascolino era rinforzata di molto ed elaborata
nell’Europa del diciannovesimo secolo85: l’assimilazione in America accelerò solo il processo di
cambiamento.
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Ebrei modernizzati e secolarizzati, in particolare i sionisti, rigettarono l’immagine dell’ebreo
diasporico, libresco e da ghetto passivo, stereotipo di alcuni antisemiti e intellettuali ebrei allo
stesso modo della sessualità anormale a favore del nuovo ideale strenuamente virile di ‘ebraismo
muscoloso’86: questo concetto fu rintracciato anche nel movimento socialista ebraico non sionista,
incarnato dai movimenti di haliah tra gli immigrati87 e simbolizzato dall’eroe alunno della yeshiva
ritornato contadino del dramma molto popolare di Peretz Hirshbein Grine Felder, che fu presentato
per la prima volta intorno al 1910.
La media dell’uomo immigrato ebreo, quale lavoratore per altri, mite secondo lo stereotipo, ma
anche scialbo e bistrattato dalla moglie (il protagonista di Myron Berger, il padre del protagonista in
Awake and Sing di Odets è un prototipo in tal senso), si ritrova in una posizione precaria distante
dall’identità maschile, così come veniva concepita: questo era particolarmente vero durante il
periodo in cui i confini sessuali e di genere si stavano consolidando anche nella cultura americana
non ebraica.
La popolazione ebraica e glbt hanno in comune una certa marginalità di fronte alla cultura machista
della classe media e i comici ebrei erano particolarmente propensi nel recitare con ambiguità di
sessualità e genere: per esempio, l’atto del travestimento di Milton Berle, la persona più vicina al
queer di Jack Benny88 e gli feygele-like shticks di Eddie Cantor e il primo Jerry Lewis.
Il feygele, le cui qualità erano assimilate a quelle delle donne, formava un altro disonorato in
contrasto all’ebreo maschio, sebbene economicamente, socialmente e fisicamente debole: lo
stereotipato ‘schlimiel sessuale’89 potrebbe considerarsi forte e virile.
Il disprezzo in cui il termine feygele si costituì, formò un forte disincentivo ad attraversare
apertamente le frontiere di genere nelle comunità ebraiche da seconda generazione intrecciate da
vicino dell’Europa Orientale e basate in primis sulla vergogna: questa è ancora la situazione per gli
uomini omosessuali ebrei ortodossi, che devono restare profondamente nascosti o affrontare diverse
sanzioni sociali90.
Non resta che concludere ipotizzando il futuro di una connotazione semantica positiva del termine
yiddish gergale feygele come è accaduto in inglese per queer, dyke e fairy per esempio: l’unica
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parola per uomini omosessuali che è disponibile attualmente nello yiddish standard è il freddo
termine internazionale e medico di homoseksualist.
Al contrario little bird con le sue connotazioni piacevoli di libertà e luminosità sembrerebbe offrire
un’alternativa benvenuta: feygele è stato usato in senso positivo in quasi due ambiti rintracciati da
Michael J. Sweet, ovvero in un saggio autobiografico Confessioni di un Feygele-Boichik91, e in un
fumetto gay92.
Schuman, che è cresciuto in un ambito conservatore, quando non ortodosso, racconta le sue lotte
per la consapevolezza della sua omosessualità che culminano nella sua presa di coscienza, senza
vergogna e problemi concreti, come un ‘feygele boychik’, tradotto al meglio in questo contesto
come ‘ragazzo gay’: il fumetto di Cruse, invece, che punta al racconto delle avventure del suo
protagonista maschile omosessuale Wendel e il suo gruppo di amici gay e amiche lesbiche, presenta
feygele in un contesto molto positivo ed etnicamente non specifico.
In una scena, ad esempio, in cui ai diritti civili degli e delle persone glbt riuniti che sono stati
disgregati dagli omofobi, Wendel osserva il suo amico Sterno (etnicamente non identificabile ma
dipinto sia come afroamericano che meticcio) che affronta un omofobo e commenta con
ammirazione ‘Il picchiatore di gay in fuga ha sottostimato la forza di un flying fagola!’: comunque,
la proposta secondo la quale feygele viene usata in una maniera affermativa non è stata salutata con
entusiasmo dai membri di Mendele, in cui il termine è stato comparato al termine omofobo kike, il
quale pare indicare l’odio verso sé stessi.
Il morfema ‘gay’ probabilmente non può essere incorporato nello yiddish, come è stato per molte
altre lingue, a causa del suo frequente uso quale lessema yiddish (‘go’ alla prima persona singolare
e imperativo della seconda persona singolare): un’opzione possibile potrebbe essere la traduzione
calco di gay, ovvero freylekh, che è stata usata in tal senso da alcuni ebrei omosessuali ed ebree
omosessuali, e che fu storicamente usata (freylekhe yidn) per riferirsi al ruolo sociale ambiguo del
‘merrymaker’ (colui che è solare-gaio; colui che porta l’allegria)93.
Alla fine ovviamente la questione sarà decisa da coloro che parlano e scrivono lo yiddish,
includendo la piccola quantità di popolazione di parlanti secolarizzati di yiddish, insieme con la
comunità ebraica-americana anglofona più numerosa in cui molte parole e frasi yiddish sono usati
!91
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come marcatori di identità etnica94 : esistono alcune prove secondo le quali giovani ebrei
omosessuali stanno ricercando lo yiddish, considerandolo, secondo Tony Kushner, ‘meno virile e
macho’ che la cultura israeliana-ebraica95.
Esistono anche le comunità chassidiche ultraortodosse con un numero crescente di parlanti yiddish:
comunque, finora non si possiedono dati su quali parole queste comunità sono solite usare per
riferirsi a uomini omosessuali, transessuali o bisessuali.
Saranno per Michael J. Sweet questi parlanti e scrittori sia secolarizzati che pioneri che
determineranno se la parola yiddish omofoba feygele continuerà a valere in senso positivo nel
prossimo secolo.
!
1.7. Il Polari: un esempio storico di degergalizzazione queer
Nel 1950 una serie di note scritte su cartoline natalizie per amici divenne la base per un articolo sul
vocabolario teatrale noto come polari: lo scrittore Eric Partridge avvertiva, sebbene in una fase
precoce del suo studio “Parlyaree…è un glossario, un vocabolario, non una lingua completa. Poco
resta. Quel poco potrebbe scomparire.”96
Ian Lucas si chiede quindi cosa sia il polari e quale sia il suo valore nella cultura gay e teatrale
britannica: il polari, dunque, è la forma più comprensiva di gergo gay britannico esistente ancora.
Deriva da una varietà di fonti, inclusa il gergo rimato, il gergo circense, latino, l’idioma gitano e
gergo malavitoso.
Si registra la sua più ampia espansione nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta, quando fu rese
nota alla massa in Inghilterra dai personaggi a tutto tondo nella serie della stazione radio pubblica
BBC Round the Horne di Julian e Sandy: il gergo queer in Gran Bretagna risale al coinvolgimento
della subcultura omosessuale con il mondo malavitoso.
La subcultura omosessuale del diciottesimo secolo si unì a quella dei gitani, vagabondi e ladri della
musica popolare per produrre una ricca fertilizzazione di costumi, frasi e tradizioni: dal momento in
cui la rivoluzione industriale cambiò drammaticamente i modelli di insediamento e moltissima
gente lasciò i paesi le piccole comunità per trasferirsi nelle città alla ricerca di lavoro e opportunità.
!94
!95
96
!
Cfr: Partridge, Eric (1950). ‘Parlyaree- Cinderella among Languages’. In Here, There and Everywhere: Essays: Upon
Language. London: Hamish Hamilton.
!44
In questi ambiti urbani più grandi, il campo di applicazione per lo sviluppo di comunità non
tradizionali di conseguenza crebbe (comunità di emarginati): la crescita di case per effeminati (spazi
privati per uomini per incontrarsi, bere, far sesso insieme e praticare riti comuni) incoraggiò la
creazione di un’identità, una cultura e una lingua effeminata nel secolo diciottesimo97.
Una cultura linguistica tra ‘emarginati’ della società emergeva e si sviluppava, alimentata da quelle
professioni tradizionalmente associate con gli omosessuali e la prostituzione: il teatro.
Molto di Parlarey, la lingua degli uomini di spettacolo itineranti, appare essere derivata dalla lingua
franca o il vocabolario degli attori itineranti e uomini dello spettacolo durante il diciottesimo secolo
e i primi anni del diciannovesimo: nello specifico il teatro di Parlarey include frasi come joggering
omee (musicista di strada, possibilmente dai jongleurs francesi), slang a dolly to the edge (mostrare
e lavorare con un burattino su una piccola piattaforma fuori dalla cabina di performance per attrarre
un pubblico), e climb the slang-tree (avere una perfomance su un palco).
Poi c’era nanty dinarly (non avere denaro), che aveva anche una traduzione teatrale peculiare nella
frase ‘There’s no treasury today, the ghost doesn’t walk’: la scomparsa di un considerevole numero
di venditori ambulanti itineranti e ragazzi a buon mercato dai primi anni del ventesimo secolo
effettivamente negarono alla lingua il suo spazio vitale.
Dal momento in cui la maggior parte degli intrattenitori itineranti si spostavano, viaggiando con gli
spettacoli circensi, in questo modo la lingua si spostò con loro, si mantenne viva come una lingua
viva e in evoluzione entro la cultura circense: dalla metà del ventesimo secolo, ci sono state anche
degli incroci verso una forma gay riconoscibile di gergo, con il Polari usato dalla comunità
omosessuale per comunicare in codice forme elaborate.
Parole come trade e ecaf (una forma di ciò che gli anglofoni definiscono backslang per volto,
abbreviato in eek) divennero parte della subcultura omosessuale: blagging trade (raccogliere partner
sessuali occasionali), zhoosing your riah (sistemarsi i capelli), trolling to a bijou bar (andare in un
club gay) e dishing the dirt (fare gossip, spettegolare) divennero tutte frasi codificate popolari per
descrivere e codificare uno stile di vita emergente omosessuale98
Dagli anni Sessanta con i club omosessuali segreti che emergevano nella veloce Londra e con il
comitato Wolfenden che discuteva la possibilità di una riforma legislativa intorno alla sessualità e
all’omosessualità, in linea con i cambiamenti sociali in evoluzione verso divorzio, sesso
!
97
Cfr: Norton, Rictor. 1992. Mother Clap’s Molly House: The Gay Subculture in England 1700-1830. London: GMP.
98
!
Cfr: Burton, Peter. 1985. Parallel Lives. London. GMP.
!45
prematrimoniale e aborto, apparve appropriato che il Polari dovesse alzare la sua testa irriverente
come un codice per un periodo eccitante e importante della storia dell’omosessualità.
Il Polari divenne una manovra teatrale appropriata con il quale confondere e sconcertare i naff
omees (uomini eterosessuali)99: il Polari viaggiò per il mondo attraverso gli omosessuali marinai,
che incorporavano il gergo di marina nella nuova versione della lingua e sistemò anche i dialetti e le
frasi locali.
Il Polari secondo la sua natura furtiva attraeva l’osceno e il licenzioso, qualcosa di innocente che
suonava come varda the colour of his eyes in quel tempo significava ‘verifica la misura del suo
pene’ e nanty curtain stava per un omee (uomo) circonciso: la capacità per l’insinuazione che
accompagnava la natura oscena del Polari naturalmente rendeva la lingua cara al camp e alla
commedia ed è in questo modo che la lingua si spostò nella principale commedia radiofonica
britannica nel corso degli anni Sessanta.
Omies and palones of this borough! We are poised at a moment in history. The future could be naff,
or it could be bona. The time has come for a frank and honest varda at our awkward position. I am
questing after this seat for the good of my fellow omies. Let us not mince words. Let us put our best
lallie forward and with our eeks shining with hope, troll together towards the fantabulosa futurette!
(discorso da scapolo di Jules quale membro potenziale, Keep Britain Bona, BBC Radio)
L’uso più famoso e popolare del Polari arrivò con Round the Horne, scritto da Marty Feldman e
Barry Took: il programma consisteva in una serie di sketch realizzati da una squadra regolare di
attori comici che giravano intorno a un numero di personaggi regolari che includeva tali creazioni
eccentriche come Rambling Syd Rumpo, Daphne Whitethigh e Seamus Android.
Intorno al serraglio dei seguaci queer c’erano Julian e Sandy, due attori non in attivo che lo
facevano con una serie di altri lavori e occupazioni bizzarre: Jules e Sandy, recitati da Kenneth
Williams e Hugh Paddock, svilupparono un cult seguente all’ora di pranzo per le 14.30 dei
pomeriggi domenicali, titillavano e sbalordivano gli ascoltatori con doppie o quadruple
insinuazioni.
Jules e Sand non erano comunque puristi Polari: il loro era un mix di camp, insinuazioni, Polari,
improvvisazione e ironia; la loro presentazione era così salva e la loro lingua rifletteva tutto ciò.
99
!
Peter Burton usa naff per dire ‘normale quanto scopare’, sebbene naff è più spesso derivante da ‘naive’: vale la pena
notare come un po’ di anni dopo il Principe di Galles, il Principe Carlo, causò una controversia quando usò la frase naff
off.
!46
Il loro Polari era accettabile e usato per una messa in fase comica: sebbene l’insinuazione dietro i
loro viaggi a Tangeri, un ritrovo gay pieno di fascino a quel tempo era perverso per un pubblico
britannico a loro contemporaneo, Julian e Sandy erano riconoscibili come effeminati omiepalones
innocui che lo fanno: in tal senso, erano simpatici ma non pietosi, perché il modo di parlare da
scapolo di Jules per la festa ‘Keep Britain Bona’ rappresenta non solo l’ingenuità dell’uomo
comune ma anche un desiderio radicale di fare ‘una frociolandia britannica’.
La loro lingua li rese capaci di codificare stili di vita omosessuali della Gran Bretagna degli anni
Sessanta (Jules e Sand erano in tempi diversi ballerini, musicisti, avvocati, medium,
approvvigionatori, editori di libri, proprietari di animali domestici) ma era anche una lingua che li
isolava: Kenneth Horne, la chiave di volta dello spettacolo, rappresentava l’omie di strada, sia
affascinato sia sospettoso di Jules e Sand: apparentemente eterosessuali, il loro dramma con il
Polari ‘Bold!’ dimostrò sia il potere sia la vulnerabilità del codice.
La lingua definiva chi era parte del sociale di Jules e Sand e di conseguenza il circuito omosessuale,
ma una volta che il codice veniva rotto, una volta che il Polari veniva compreso, codificato o
captato, diventava non effettivo come un meccanismo di difesa contro l’interrogazione esterna: e
qui si trova il dilemma per il Polari, ovvero la vera natura della lingua, la sua obliquità, il suo senso
anacronistico del tempo e dello spazio che significavano che come una manovra codificata o
teatrale è molto limitata.
Ciò che la rendeva un successo alla radio, la sua abilità a codificare e diffondere l’esperienza
sociale e sessuale degli omosessuali attraverso la commedia significavano che in sé stesso e di sé
stesso, il Polari poteva essere solo un glossario, una collezione di parole e frasi che potevano essere
strategicamente utilizzate o per creare un senso di appartenenza (come sarebbe stato probabilmente
il caso degli attori itineranti e i cenacoli omosessuali) o per escludere i naff omees dalle
conversazioni determinate: come una lingua e una forma in sé stessa, non si sviluppò mai con
successo al punto in cui poteva essere distanziata dal suo contesto.
Con l’uomo di spettacolo itinerante e più tardi con la subcultura omosessuale della Gran Bretagna
anni Sessanta il Polari fu reinventato e ricostituito per servire un nuovo intento e per servire una
comunità di interessi basati sull’esclusione e la segretezza: Round The Horne dovette diluire il
Polari attraverso un filtro comico eterosessuale per esorcizzare (e per questo motivo dargli un
senso) la lingua per i suoi ascoltatori eterosessuali apparentemente.
Allo stesso tempo, l’ubiquità del Polari elargiva su di sé uno stato e una fantasticheria che lo
divorziava dalle sue radici comuni: ciò che si era soliti considerare riguardo l’osceno, il licenzioso,
!47
il quotidiano e l’irriverente fu sanzionato come un intrattenimento da niente poco di meno che
l’istituzione nazionale di radiotrasmissione, la BBC.
Il Polari allora si espose e per ultimo ma non meno importante, si rese vulnerabile: il suo successo
predisse il suo crollo e la ragion d’essere del Polari si autodistrusse.
Non era più usato perché non ne esisteva più il bisogno come manovra teatrale nelle comunità che
erano state legittimate o sanzionate, comunque che in un passato prossimo erano ristrette con il
gradimento potenziale: come forma nuova di commedia, aveva limitato l’attrazione per un pubblico
più grande e una volta che la Gran Bretagna crebbe la sua inclinazione per l’oscenità nel duro
realismo politico degli anni Ottanta, il Polari venne esiliato dalla comunità e dal testo scritto, in cui
mai era stato completamente messo al primo posto.
!
Ora il Polari occupa un posto quasi mitico nella cultura omosessuale moderna della Gran Bretagna:
parole come eek, riah, trade, troll, cottage (luogo pubblico per il cruising o il rimorchio, come i
bagni pubblici) restano nella parlata comune, mentre un magazine gratuito gay emerse diversi anni
fa sotto il titolo di 9 e il magazine Bona100, lanciato nel 1994 (a fallimento quasi immediato) faceva
anche eco ad un primo magazine porno soft gay dallo stesso nome: gli omosessuali di una certa età
e background verosimilmente considerano il Polari parte della loro eredità, sebbene le opportunità
per passare sul bona lavs sono limitate dalla crescente polarizzazione della scena queer
commerciale in cui il marketing detta uno stile ed un orientamento basato sulle presemesse di
gioventù e bellezza che creano mondi diversi ed esclusivi per età diverse.
Lì dove una volta le iniziative della comunità come il London Lesbian and Gay Centre offriva spazi
di incontro per culture ed eredità al di là della scena commerciale, l’autentico fallimento di tali
risorse indica che un interesse nel presente, come opposto al passato, è ciò che guida i mercati queer
attuali: il Polari può essere esposto da idoli pop androgini e non rinviabili come Morrissey che
nell’intitolare un album Bona Drag ma le sue canzoni alienavano ultimamente anche la lingua e la
cultura: ‘The Piccadilly palare/ was just silly slang/ between me and the boys in my gang’101.
100
!
Bona qui significa bene, una esclamazione. È stato suggerito che è un gioco di parole su boner, erezione, sebbene è
raro sentirlo in Inghilterra. Un suggerimento più probabile per le origini di Bona come titolo per un magazine glossario
di stile di vita gay mente nel successo del popolare magazine delle donne, Bella, di cui la formula Bona ne deriva. Un
suggerimento per il titolo di Bona fu Fella, ma questo fu ritenuto un troppo esplicito riferimento ad incrocio, e quindi
Bona appare una seconda scelta appropriata.
101
!
‘Piccadilly Palare’ di Morrissey dall’album Bona Drag.
!48
Quindi ora il posto per il Polari non è nel quotidiano, nell’ordinario o nel clandestino: al contrario, il
suo ruolo come una Cenerentola tra le lingue ha bisogno di essere trasformato magicamente per
diventare parte dello straordinario, il favoloso.
Ed è qui che forse il Polari è ritornato finalmente a casa, nella spiritualità ironica delle Sorelle
dell’Indulgenza Perpetua, la cui liturgia gay inventiva richiede una lingua spiritosa, paradossale e di
intrattenimento: in Gran Bretagna l’Ordine di Londra delle Sorelle dell’Indulgenza Perpetua, il
prodotto americano esportatato di maggiore successo con suore di sesso biologico maschile
omosessuali, fu fondato da Madre Ethyl Dreads Un Flashback nell’autunno 1990.
Già impregnato di una lingua quasi religiosa degli Ordini Americani e Australiani, la professione
dell’espiazione per espiare la Colpa Stigmatica e promulgare la Gioia Universale divenne presto
anche una missione per portare i riti e gli eventi della comunità gay inglese che sponsorizzavano il
senso di appartenenza, tradizione e spiritualità: qui gli eventi delle Sorelle potrebbe essere
compreso al meglio dalla definizione letterale della Dr. Elizabeth Stuart di liturgia, ovvero ‘il lavoro
delle persone’.
Il contesto per eventi come la canonizzazione e la beatificazione è stato già identificato in America
e Australia dai rispettivi Ordini Nazionali di Sorelle: abbastanza presto dopo lo stabilimento di un
ordine in Gran Bretagna, il bisogno per una idonea interpretazione britannica delle iniziative del
Nuovo Mondo fu sentita.
Nel Polari le Sorelle trovavano un sostituto del latino, la lingua liturgica tradizionale per la
cristianità occidentale: si sposava il sacro con il profano nella lingua dell’evento e il Polari, lingua
occasionale, divenne la Lingua dell’Occasione.
Rappresentava in sé stessa un sacramento, riverita e trasmessa da generazione a generazione di
iniziati fino ad essere qualcosa di più di una lingua mistica, metà dimenticata e solo metà compresa:
è anche la lingua dell’ironia e della parodia come lo sono le stesse celebrazioni delle Sorelle, per cui
si lavora su più livelli.
Come eventi, vengono trasformati in celebrazioni culturali e della comunità dalla presenza di una
comunità gay e lesbica riconoscibile: allo stesso tempo molte delle cerimonie sono parodie di eventi
istituzionali tradizionali (matrimoni, onori e benedizioni) ma la parodia in sé può creare solo un
assoluto isolamento perché non prende il posto di ciò che usurpa.
Il suo ruolo è sovvertire o usurpare, non creare alternativa o strutture rivitalizzate: le Sorelle
dell’Indulgenza Perpetua puntano a fornire riti validi e risonanti mentre si usano forme tradizionali
per criticare e/o reclamare nozioni di spiritualità e virtù.
!49
Sono le suore della prima metà del ventesimo secolo, che pongono la virtù nella Realtà Virtuale: il
Polari usato in questi eventi è una versione quindi della commedia altamente camp di Jules e Sand
ma anche dei più tradizionali (nel senso di storici) lavs Polari.
Per illustrare questa testualità è necessario guardare ad una cerimonia di queste secondo alcuni
dettagli, mentre qualcuno spera di non svelare o iperanalizzare l’evento stesso al punto di
collassare: il primo più grande evento condotto dalle Sorelle dell’Indulgenza Perpetua e per questo
motivo possibilmente il primissimo uso di Polari in un rito pubblico organizzato era la
canonizzazione del regista Derek Jarman a casa sua, La Villetta di Fronte, in Dungeness, Kent, sotto
l’ombra di una centrale nucleare.
La canonizzazione aveva luogo nella luce del cavalierato di Ian McKellen per i servizi al teatro del
medesimo governo che aveva introdotto la nota Sezione 28 (che rendeva illegale per le autorità
locali usare fondi pubblici per ‘promuovere’ l’omosessualità) contro la quale sia lui che Derek
Jarman hanno pubblicamente lottato: Derek Jarman si dichiarò pubblicamente anche come
sieropositivo, mentre allo stesso tempo celebrare ciò che la stampa principale vedeva e criticava
come una irresponsabilità promiscua nel blagging trade a Hampstead Heath, cruising gay infame e
molto popolare di base nella Londra nord.
!
In molti modi la canonizzazione di Derek Jarman era molto tradizionale, strutturava la cerimonia
degli onori: fu divisa sostanzialmente in sezioni ed eventi che parodiavano sé stessi in maniera
consapevole e in ordine erano The Baying of Derek, The Giving Away of Derek, Procession to the
Altar, Welcoming, First Reading, Second Reading, Sermon, Laying on of Hands, Crowning and
Hailing of the Saint e il Closing.
Il Polari fu usato ad intermittenza ma fu anche trattato come uno degli elementi strutturanti della
cerimonia: contribuiva a formalizzare le risposte tra la Sorella Celebrante e la Fedeltà Raccolta tale
che in questo modo aiutò a definire l’evento medesimo.
Le risposte erano condizionate e dirette attraverso l’uso formale del Polari come Alto Polari, una
lingua cerimoniale: per questi membri della Fedeltà Raccolta che erano insicuri sull’autenticità
della canonizzazione, l’uso del Polari offrì un rifugio, un sanzionamento semicomprensibile e
mistificazione dell’Evento.
Il Baying of Derek consisteva sulla chiamata di Derek dall’interno della sua villetta per essere
presentato alle Sorelle dell’Uomo Migliore (o la cosa più vicina a disposizione): il semplice cantare
!50
‘Derek! Derek! Derek! Out! Out! Out!’ faceva eco alle alleanze politiche contro la sezione 28, il
Gulf War e la tassa dei voti in cui al governo inglese veniva urlato ‘Out!, Out!, Out!’.
Una parodia da inno ‘Derek’s Windy Garden’ portò al Giving Away of Derek:
•
L’UOMO MIGLIORE: Bona Sisters of Perpetual Indulgence, I plead with you to take this
naked and unblessed omipalone into your fertile bosom and make of him a man.
(Le Sorelle lo respingono)
(L’Uomo Migliore ripete la sua richiesta)
(Le Sorelle lo respingono nuovamente)
•
L’UOMO MIGLIORE: Sisters, you little etiche, I plead with you for a third and final time,
to take this naked and unblessed omipalone and make of him a man.
•
SORELLE: Yes! We shall make a man of him.
I rifiuti simbolici e le ripetizioni agivano semplicemente come manipolatori per formalizzare e
strutturare la cerimonia nello stesso modo che durante l’apertura del Parlamento ogni anno, la
richiesta della Regina per entrare in Parlamento è tradizionalmente negata e poi concessa: ne
conseguiva naturalmente che nella Canonizzazione, Derek dovrebbe poi procedere verso l’altare,
uno spazio cerimoniale ricostruito di fronte alla Fedeltà Raccolta e poi coinvolgere le Sorelle in ciò
che più tardi sarebbe diventato un tradizionale benvenuto Polari per l’Ordine.
•
SORELLA CELEBRANTE: Omies and pavonie of the Gathered Faithful, how bona to
varda your dolly old eeks.
•
SORELLE: Bona to vada you.
•
FEDELTA’ RACCOLTA: To vada you bona.
Il Welcoming non è in sé solo una parodia del benvenuto tradizionale con il quale Julian e Sandy
erano soliti salutare Kenneth Horne sulla radio della BBC: traduce anche in Polari il principale
slogan comico (camp) di Bruce Foryth per il suo quiz televisivo di prima serata The Generation
Game ‘Nice to see you, to see you nice!’: nel continuare con il benvenuto la Sorella Celebrante
invoca immagini spirituali e formule spirituali ma anche mina la serietà dell’evento giustapponendo
il tono riverenziale con lo spirito del primo spettacolo televisivo per bambini cult, Muffin The Mule,
sottolineando quindi l’ironia dietro la cerimonia.
We’ve all trolled down here to honour this bona omipalone, Derek. We, the Sisters of Perpetual
Indulgence and Gathered Faithful, do hereby invoke the spirit of our beloved Muffin the Mule, to
recognise the bona works and practises of Mr. Derek Jarman in promulgating Universal Joy within
!51
the Community and outside of it, in his bona bijou celluloid masterpiecettes, and in his
promulgations off screen. But most of all, in honour of his fantabulosa nose.
Per porre la canonizzazione nel contesto a Derek veniva ricordato che ‘questa organizzazione
significa fottere tutti’: dopo questo primo reading da Miss Manner’s Book of Etiquette, e un
secondo reading dal quotidiano nazionale del giorno, un sermone ironico e autoconsapevolmente
capace di privare il fiato a lungo fu dato dalla Sorella Celebrante, che ruminavano sulle somiglianze
tra la società multiculturale e il fare il thè, culminando nel Laying on of Hands:
Sissies and Omies and pavonie of the Gathered Faithful, we’re now getting to the kernel, the nub,
the very thrust of why we’re gathered here today at Derek’s bona bijou lattie. The reason being that
Dezzie, bless his little heart-face, is very dear to our heart. Look at him, his little lallies trembling
with anticipation, heart of gold, feet of lead, and a knob of butter. So, perhaps we could take a little
time to reach out and touch, to handle for a moment Dezzie’s collective parts.
Allo stesso tempo mentre Derek Jarman, quale persone sieropositiva, stava constatando come il suo
corpo cambiasse, lui fu anche oggetto di ridicolo: divenne attraverso l’uso del Polari in una maniera
areligiosa, il sito del sacro e del profano.
Ciò fu favorito dal Crowning of the Saint con ‘a bona melme on his riah’ e una collana fatta da
cock-ring e disegni pornografici. La Sorella Celebrante disse:
And now, with this bona crown, we, the Sisters of Perpetual Indulgence, are proud to name this
humble omipalone as ‘St. Derek of Dungeness, of the Order Of Celluloid Knight’.
Appariva appropriato che era Derek Jarman, il cui film Sebastiane era recitato interamente in latino,
che dovrebbe essere il primo santo inglese ad essere canonizzato in Polari: che la cerimonia ebbe un
effetto su di lui è cosa certa.
Quando gli fu chiesto di scegliere il suo reading preferito per la serie radiofonica Open Book della
BBC, in cui le celebrità discuteva i loro pezzi preferiti di letteratura, Jarman chiese che una
registrazione della Canonizzazione fosse inclusa: e con la sua morte nel 1994 la maggior parte dei
suoi necrologi menzionavano la sua canonizzazione come un evento importante nella sua vita; egli
stesso lo vide come definente degli anni Novanta102.
E in questo modo il Polari divenne parte della missione delle Sorelle nell’espiare la Colpa
Stigmatizzata e promulgare la Gioia Universale: diviene così parte del canone dei riti e celebrazioni
gay e lesbici, lavorare non come una funzione ma come una lingua ed eredità cerimoniale.
102
!
Commento fatto da Derek Jarman sull’esibizione del tour del 1992, tour di fotografi di Le Sorelle e la
Canonizzazione, In a Perfect World, del fotografo Denis Doran.
!52
Il Polari guadagna così protezione da una crescita del suo statuto: è fragile, rotto, vulnerabile ma è
possibile preservare i resti, i natty fakements, non ristretti da una lingua le cui strutture devono
essere negoziate, reclamate e combattute nel modo che la maggior parte della discorsività
eteronormativizzata è stata: la chiamata più urgente ed eloquente alle armi per il Polari viene da un
comunicato interno alla Sorellanza, come Sorella Dolores Fanchon ricorda all’Ordine della sua
responsabilità nel promulgare il Polari:
Cant the parlary in the Bungeries, cant the parlary in the charvering carseys and the drags. One
lexicon peroney and the bona lavs of dolly parlary can be detected by the hearing cheats of all
those incognitos and margeries in Eine. Tell your bencoves and beanpeas, when acting the
bougereau quality or doing the rights, our lavs of parlary will bespangle us like natty fakements,
and do the rights to all those mace gloaks who cant the naf, and still expect the parkering ninty of
the high camp existance.
!
BREVE E SEMPLICE GLOSSARIO DI POLARI
1 una
6 say
2 dewey
7 setter
3 tray
8 otter
4 quattro (quater)
9 nobba
5 chinker
10 daiture
!
Acting dickey
Lavoro temporaneo
Badge cove
Pensionato
Balonie
Spazzatura- sputtanare
Barney
Lotta
Battyfang
Colpire e mordere
Beancove
Giovane passive
Bencove
Amico intimo
Bevie
Casa pubblica, anche un drink
Billingsgate
Lingua cattiva
Bingey
Pene
!53
Blag
Rimorchiare
Bloke
Uomo, qualsiasi ragazzo
Bolus
Chimico
Bona
Buono
Bona nochy
Buonanotte
Booth
Stanza
Bougereau quality
Visibilmente gay
Bungery
Pub
Buvare
Una bevanda
Cackle
Parlare/ spettegolare
Cant
Parlare
Caravansera
Stazione ferroviaria
Carsey
Casa
Charver
Fare sesso
Chavies
Ragazzi
Climb the slanging tree
Fare una performance
Clobber
Abiti
Corybungus
Culo
Cottage
Bagno pubblico
Cove
Amico, compagno
Diddle
Gin
Dilly
Picadilly Circus
Dinarly
Denaro
Do the rights
Cercare vendetta
Dolly
Caro
Ecaf (eek)
Faccia
Eine
Londra
Fakements
Ornamenti personali
Fantabulosa
Meraviglioso
Farting crackers
Pantaloni
!54
Feeliers
Ragazze, bambini
Flatties
Uomini (in pubblico)
Fungus
Uomo anziano
Gaffer
Uomo di spettacolo
Gillie
Donna (in pubblico)
Hearing cheat
Orecchio
Lally
Gamba
Lattie
Casa
Lally covers
Pantaloni
Lav
Parola
Lily law
Polizia
Lucoddy
Corpo
Metzes
Denaro
Mince
Camminare in maniera effeminate
Mish
Maglietta
Moey
Bocca
Multi
Molti
Mungaree
Cibo
Naff
Non interessato (eterosessuale)
Nanty
Non, nessuno, negativo
Nanty dinarlee
Senza un soldo
Omie
Uomo
Omiepalone
Omosessuale
On your tod
Da sè stessi
Palone
Donna
Parkering ninty
Paga/ salario
Parlary
Parlare in Polari
Peroney
Per ognuno
Pig
Elefante
Ponging
Capriole
!55
Rattling cove
Autista di taxi
Riah
Capelli
Scarper
Fuggire, fare un Johnny Scarper
Stampers
Scarpe
Strillers
Pianoforte
Strillers omie/palone
Pianista
Thews
Braccia
Trade
Partner sessuale
Troll
Battere, rimorchiare
Trundling cheat
Automobile
Varda
Vedere
Yews
Occhi
!
1.8. Questioni semantiche e lessicali della gergalità queer
Alcune questioni sull’orientamento sessuale sono naturali per i linguisti pratici e teorici, fonetisti,
sociolinguistic, psicolinguisti, analisti di discorsività e ultimo ma non meno importante linguistici
antropologi: un argomento naturale riguarda i prodotti lessicali che sono disponibili per riferirsi agli
orientamenti sessuali e alle persone di diversi orientamenti; inoltre non bisogna ignorare le
differenze nella lingua e nel discorso delle persone di orientamenti diversi.
Come con gli studi precoci di lingua e sessualità, i primi approcci a queste questioni di lingua e
sessualità tendevano all’aneddoto e al personale: i linguisti sono stati inclini a comportarsi come
parlanti ordinari, citando usi che avvenivano per aver attratto la loro attenzione e per formulare le
ipotesi sulla base di teorie popolari non verificate, piuttosto che usare strumenti analitici del loro
ambito.
Questo comportamento può essere osservato quasi ogni giorno su Internet, per esempio nelle
mailing list delle newsgroup Usernet sci.lang (per discussioni attinenti ad argomenti linguistici), su
soc.motss (per discussioni attinenti ad argomenti attinenti l’omosessualità) e su LINGUISTIC,
ADS-L (Società di Dialettologia Americana) e OUTiL (OUT nella linguistica).
I linguisti hanno strumenti analitici per approcciare queste questioni ma stanno solo iniziando ad
usarli e sembra tremendamente difficile avere risposte: Arnold M. Zwicky tenta dunque di rilevare
questi strumenti e i perché è difficile trarre dei risultati.
!56
Si parte dunque con l’osservazione in ambito lessicale dei termini che si riferiscono
all’orientamento sessuale e alle persone di vari orientamenti sessuali, ignorando per ora l’identità di
genere: per esempio nell’inglese moderno, esiste un numero enorme di scelte lessicali nell’ambito
dell’orientamento sessuale.
Virtualmente ogni categoria è pubblicamente rilevata: non solo i parlanti differiscono per quale
prodotto lessicale è appropriato in quale contesto sociale ma molti sono consapevoli di queste
differenze e stanno dispondendo riconsiderare le loro teorie popolari riguardo tali tematiche, spesso
con considerevole fervore: i forum pubblici di vita lgbt sono pieni di tali dispute.
Infatti, ben presto nella storia della lista OUTiL, nell’ottobre del 1992 (Arnold M. Zwicky ha
promosso la lista nel 1991 per unire i linguisti lgbt sia socialmente che intellettualmente), una
dozzina di sottoscriventi lavorò in maniera piuttosto accurata su questo argomento, dopo che un
sottoscrivente postò un passaggio problematico sulla parola queer nell’articolo di Jennifer Schmalz
‘Gay Politics Goes Mainstream’ nel caso del 9 ottobre del 1992 del New York Times Sunday
Magazine: “La parola è attualmente in voga, con alcune lesbiche che preferiscono invece la parola
‘gay’, la quale a dispetto dell’uso comune tecnicamente si applica solo agli uomini”.
Nella tabella seguente, quindi, Arnold M. Zwicky, cita le parole in questione con brevi commenti su
alcuni di loro:
1. Homosexual versus gay
Alcuni insistono sul primo, altri sul secondo e
molti notano una distinzione tra i due termini
(comportamento-identità; identità-sensibilità;
etc…)
1. Lesbian versus dyke
Anche qui molti vi trovano delle differenze,
come quelle che ruotano tra il comportamento e
l’identità o neutralità e presa di posizione
diretta o anche in ultimo, secondo il grado di
mascolinità. Dyke è anche un epiteto riabilitato,
un termine di derisione che è stato salvato in
una certa misura come espressione di orgoglio.
!57
1. Epiteti riabilitati
Dyke è stato riabilitato abbastanza di recente.
Per alcuni parlanti in alcuni contesti e per alcuni
intenti non è più un epiteto. Tentativi di
riabilitare faggot hanno incontrato invece
risposte miste. L’autore per esempio ricorda
come mentre era a Washington per la
conferenza delle lingue Lavanda del 1994 il
Washington Blade del 16 settembre (p. 18. 22)
aveva riportato risposte di San Francisco in
maggioranza negative verso l’uso di Dan
Savage, colonista del giornale gay di Seattle,
della parola faggot nelle sue colonne in cui ogni
lettera inizia con ‘Hey Faggot’. La questione
per tutti questi prodotti lessicali è: per quali
parlanti, in quali contesti e per quali intenti la
parola è stata riabilitata?
1. Gay come aggettivo versus gay come Molti che sono a loro agio con il primo non lo
sostantivo
sono con il secondo. Sono simili, benché non
necessariamente identici, diversi da straight e
queer usati come nomi, e in generale nella
conversazione neutra degli aggettivi per
computare i nomi. E funziona così anche più in
generale con la scelta di predicare aggettivi,
come Jewish verso nomi predicato come Jew.
L’obiezione usuale è che i nomi denotano una
proprietà essenziale che inglobano mentre gli
aggettivi denotano una caratteristica tra le tante.
!58
1. Queer
In particolare nell’uso aggettivale, come nello
slogan della Digital Queers ‘We’re here, we’re
queer, we have an e-mail’. Ennesimo epiteto
riabilitato, è anche un altro prodotto che molti
sostengono che si riferisca alla sensibilità o alla
cultura piuttosto che al comportamento sessuale
o orientamento sessuale. Qui è evidente uno
scontro generazionale, con molti parlanti
anziani che lo trovano irredimibile e molti
parlanti giovani che lo preferiscono a gay. In
aggiunta, alcuni hanno usato il termine queer
come termine ombrello per le ‘minoranze
sessuali’, comprendendo non solo omosessuali
e bisessuali, ma anche persone transessuali e
transgender, travestiti, il popolo leather, la
comunità BDSM (bondage e disciplina,
sadismo e masochismo), feticisti, etc…; altri
sostengono che questa estensione indebolisce
qualsiasi significato utile dal termine e in
aggiunta svalorizza le persone omosessuali e i
loro interessi seppellendoli in una gamma
ampia di tipi trasgressivi di sessualità.
!59
1. Gay
Come un termine molto categorico, che include
sia uomini che donne verso gay come un
termine non categorico, che prende solo gli
uomini in considerazione o un termine ambiguo
(come animal con un senso molto categorico
che include esseri umani e senso non categorico
nel quale si oppone un essere umano). Questo
conflitto contrappone ad esempio il gay di Gay
Activists Alliance con il gay di The National
Organization of Gay and Lesbian Scientists and
Technical Professionals.
1. Gay
Come termine molto categorico include sia
omosessuali e bisessuali per alcuni ambiti, in
opposizione a straight, verso gay come termine
non categorico in una opposizione ternaria con
bi(sexual) e straight.
1. Admitte, avowed, confessed, o self- Tutti questi termini sono percepiti da molti
confessed
come aventi connotazioni negative. Questi
termini si oppongono a open o out come
elementi modificanti in rapporto alle persone
lgbt che hanno rivelato il loro orientamento
sessuale (non in riferimento a coloro il cui
comportamento o costumi dal vivo fanno del
loro orientamento qualcosa di più o meno
costantemente visibile).
!60
1. Out
Anche questo termine come termine che copre
la rivelazione dell’altrui orientamento sessuale
(outing) in aggiunta a vari gradi e tipi di autoscoperta (riconoscere l’orientamento di una
persona, la prima esperienza sessuale con
persone del proprio sesso, annunciare a qualcun
altro, annunciare pubblicamente). In altre
parole, non esiste una risposta sola o semplice
ad una domanda come ‘Is Sandy out?’
1. Butch-femme (applicato sia a donne che Varie tassonomie lessicali che si riferiscono al
a uomini), stud-queen, bear-twink-clone, comportamento, all’apparenza o alla personalità
dyke-lipstick lesbian.
1. Straight-acting, masculine, athletic
Termini simili erano soliti selezionare i tipi
butch e/o negli annunci di uomini che cercano
uomini, i non effeminati
!
Bisogna notare come le prime scelte lessicali esposte nella tabella (1-7), rendono estremamente
difficile riferirsi alle persone lgbt in qualsiasi modo che la maggior parte degli ascoltatori o lettori
accetteranno, o anche elaborano come intesi: l’uso stesso di Arnold M. Zwicky o nella comunità
queer è un uso diverso rispetto a coloro che altrove potrebbero considerare tali scelte linguistiche
offensive e/o ridicole.
L’istinto a cercare di scoprire i significati pensando semplicemente a cosa le parole significano per
un dato individuo o chiedendo ad altre persone cosa date parole significano per loro è
comprensibile, e dal punto di vista etnografico e sociologico potrebbe essere molto rivelatore:
sicuramente è punto per i linguisti da cui partire.
Ma come tecnica per lo studio scientifico dei significati, questo approccio è disperato ed è noto da
molto tale natura: è in particolar modo problematico nei domini in cui i parlanti sono probabilmente
in difficoltà o in cui i parlanti hanno quasi formulato esplicitamente le teorie popolari sui significati
e usi delle parole o in cui le scelte lessicali sono probabilmente tanto un problema di contesto e uso
quando di semantica, strettamente parlando.
!61
Tutti questi problemi aumentano con l’orientamento sessuale: in ogni caso, si procede con la
classificazione dei sistemi popolari (in questo caso la comunità queer), i sistemi degli ordinamenti
studiati dagli antropologi e linguisti antropologi: a questo proposito si noti Harold Conklin ad
esempio, che copre i domini di piante, animali, parentela nel tempo e nello spazio, anatomia e
malattia (il dominio che probabilmente è il più comparabile con l’orientamento sessuale), colori e
altre sensazioni103 o il lavoro di Cecil Brown sulla classificazione popolare di piante e animali104, e
infine la rivista di John Lucy sugli studi dei codici lessicali nel dominio che è stato ottenuto
dall’argomento che ha avuto maggiore attenzione, il colore105.
Per ammissione, la maggior parte della ricerca di Arnold M. Zwicky si è focalizzata sui domini che
possono essere visti come intrinsecamente strutturati ad un grado considerevole dalla fisiologica
umana (il colore), anatomica (l’orientamento spaziale) oppure dalla natura stessa (piante e animali):
ma ci sono domini (la parentela e la malattia sono due tra le più importanti), in cui la porzione
significante della struttura è sicuramente imposta sul dominio o ‘costruita’ da culture particolari.
Queste ultime possono servire come modelli per l’analisi del dominio lessicale dell’orientamento
sessuale: studi sperimentali che includono compiti come l’etichettatura, la discriminazione,
l’insegnamento nozionistico, la memoria, la cernita, giudizi di somiglianza, non sono solitamente
possibili in tali domini perché questi compiti richiamano all’attenzione alle distinzioni in analisi e
così vengono probabilmente a provocare teorie popolari esplicite e a produrre comportamenti
artefatti.
Ma esistono due tipi di ricerca: l’osservazione sistematica e l’intervista diretta, che possono essere
continuativi: nell’osservazione sistematica quantità abbondanti di testo vengono collezionati in
maniera naturale sulle occasioni in cui le persone vengono probabilmente a discutere il dominio
dello studio.
Nell’intrervista diretta i testi vengono collezionati sotto induzione di un intervistatore che introduce
gli argomenti che probabilmente proovocano la discussione del dominio in studio: in entrambi i casi
l’analista ha bisogno di registrare molte informazioni sui parlanti e gli ambienti in cui si trovano.
103
!
Cfr: Conklin, Harold C. (1972). Folk Classification: A Topically Arranged Bibliography of Contemporary and
Background References through 1971. New Haven, CT: Yale University Department of Anthropology.
104
!
Cfr: Brown, Cecil H. (1984). Language and Living Things: Uniformities in Folk Classification and Naming. New
Brunswick, NJ: Rutges University Press.
105
!
Cfr: Lucy, John A. (1992). Language Diversity and Thought: A Reformulation of the Linguistic Relativity
Hypothesis. Cambridge: Cambridge University Press.
!62
Idealmente i dati estratti dovrebbero essere soggetti ad analisi statistiche attraverso il numero
enorme di variabili rilevate potenzialmente che potrebbero precluderli: i linguisti dovrebbero
dunque approcciare il dominio lessicale dell’orientamento sessuale attraverso osservazione
sistematica e interviste dirette, seguendo la guida di, per esempio, Geneva Smitherman106 e John
Baugh (nell’accurato frasario di Baugh) sui ‘termini di autoreferenza tra accusati di schiavismo
americano’107 e alcuni articoli come quello di M. Lynne Murphy sul termine bisessuale e i suoi
parenti, e Kleinfeld e Warner sui segni delle persone lgbt.
Ciò che rende tale ricerca difficile è la costellazione di problemi, che sono divisi con altre situazioni
in cui la diversificazione sociale e il cambiamento sono riflessi e realizzati dal cambiamento
lessicale:
•
Come con lo slang, si ha a che fare con usi locali e elementi mutevoli. Il cambiamento
rapido divide le generazioni e usi ristretti localmente producono equivoci di gruppi misti.
•
Per quanto riguarda le etichette etniche e razziali, i nomi di lingua, le etichette del tipo di
personalità e i nomi per i sottogruppi in piccoli gruppi sociali (per esempio la distinzione tra
i jocks verso i burnouts in un liceo americano studiata da Penelope Eckert108), dalla loro
scelta di parole, le persone negoziano attivamente i loro concetti, come atti personali e
politici. Questo accade anche quando Arnold M. Zwicky appare come bisessuale per
orientamento e comportamento: egli parla di sé come gay nella maggior parte dei contesti
pubblici preferendo l’alleanza con coloro il cui orientamento era interamente verso membri
del loro sesso piuttosto che rischiare di essere visti come di un certo tipo di persona etero.
•
Esistono a volte grandi gap nella copertura del set di prodotti lessicali. Quando c’è un
grande gap, molti individui nel dominio non cadono facilmente in alcuna delle categorie
opposte. I gap entro i domini non sono in alcun modo inusuali, ovvero possono essere
trovati anche in set molto grandi di parole basiche di colore, per esempio: ciononostante ne
esistono di prominenti in particolare nei domini in cui l’ideologia popolare dell’opposizione
binaria assume il potere, come sicuramente fa nei domini del sesso e della sessualità. Molte
persone saranno localizzate ad una certa distanza considerevole dai tipi ideali (per esempio
butch verso fem(me)).
106
!
Cfr: Smitherman, Geneva (1991). What is Africa to Me?: Language, Ideology, and African American. American
Speech 66, no. 2: 115-132.
107
!
Cfr: Baugh, John (1991). ‘The Politicization of Changing Terms of Self-Reference among American Slave
Descendants’. American Speech 66, no. 2: 133-146.
108
!
Cfr: Eckert, Penelope (1989). Jocks and Burnouts. New Yorker: Teachers College Press.
!63
•
Ci sono spesso confini sfocati tra le categorie anche dentro un gruppo sociale che ha
relativamente stabilito l’uso. Per molti parlanti queer anglofoni, i confini tra gay e
bisessuale, da un lato, e tra eterosessuale e bisessuale, dall’altro, appaiono non essere
totalmente chiaro. Sicuramente ci sono i focus di considerevoli discussioni nei forum glbt
pubblici.
•
Esiste il pubblico ed esistono altri effetti di contesto: se si parla a sé stessi o ci si riferisce ad
un altro uomo da uomo, come gay, o queer, o omosessuale o un queer o un omosessuale o
un frocio potrebbe dipendere molto dalla persona con cui si parla e la natura dell’interazione
vigente.
Tutti questi fatti rendono la ricerca sul lessico dell’orientamento sessuale un lavoro difficile,
richiedente diversi lavori sul campo nelle sottoculture queer. Non è impossibile ma molto
lontano da un tavolo da caffè, una poltrona o un esercizio, con i quali si ricorda che il lessico è
per diversi motivi la parte più facile di una lingua da studiare: i significati sociali delle altre
variabili sono anche più difficili da trattare.
La fonetica è l’aspetto della lingua che ha i metodi meglio sviluppati per la ricerca e per la
collezione di dati naturalistici, tanto che è naturale per i linguistici interessati nella seconda
questione (differenze tra persone dagli orientamenti diversi) guardare alla fonetica per avere le
risposte.
!
Esiste una credenza popolare diffusa secondo la quale è possibile beccare persone non
eterosessuali o uomini quasi non eterosessuali attraverso il loro comportamento, in particolare
attraverso il loro modo di parlare: questa credenza è probabilmente un corollario di un altro
credo popolare, secondo il quale l’omosessualità è un’identificazione (inappropriata) con l’altro
sesso, per cui le lesbiche pensano e agiscono come gli uomini e gli uomini omosessuali pensano
e agiscono come le donne.
Dal momento in cui, infatti, le persone sono abbastanza portate a discriminare per sesso sulla
base del solo modo di parlare, ne consegue che lesbiche e froci dovrebbero essere rilevabili
attraverso una disparità tra la loro apparenza e la loro discorsività oppure attraverso i meri
segnali contraddittori nella loro discorsività: nella pratica attuale questo credo appare essere
ristretto agli uomini, poiché alle persone eterosessuali, non appare esserci alcun equivalente
femminile alla voce.
!64
L’idea quindi che in inglese viene resa con ‘you can spot ‘em’ consiste in una maniera non facile
con lo stupore che molte persone eterosessuali hanno sentito nello scoprire che qualche
conoscente, amico o membro familiare è omosessuale: tali esperienze potrebbero essere prese
per vedere che solo un certo numero di persone omosessuali (forse un piccolo numero) sono
identificabili dal loro comportamento (coloro che sono appariscenti nello specifico).
Le persone queer o glbt differirebbero tra loro attraverso quanto ‘gaydar’, ovvero quanta abilità
nel riconoscere persone omosessuali in pubblico, essi credono di avere: alcuni sostengono che il
gaydar funzionerebbe solo per persone dello loro stesso sesso, per cui la sua efficacia è qui
concentrata, ma comunque non è chiaro quanto degli usi del gaydar di qualcuno determini le
battute d’entrata del discorso e della lingua, opposti agli spunti visivi.
Ne derivano due questioni diverse, la seconda delle quali dipende dalla natura della prima: per
prima cosa esiste la questione della differenza per cui ci si chiede se esistano persone
omosessuali (in generale o alcuni sottogruppi distinguibili interni) diversi nella loro discorsività
da persone eterosessuali del loro stesso sesso; quindi esiste la questione della discriminabilità,
per cui partendo dal pressuposto che esistono differenze significative a volte perlomeno, ci si
chiede se le persone possono indagare su queste differenze e usarle per discriminare le persone
omosessuali rispetto alle persone eterosessuali.
È chiaro che le difficoltà qui connesse, anche se restiamo fermi alla questione della differenza,
sono diverse nel fare ricerca su questi argomenti, di cui ne elenchiamo cinque in particolare:
1) esistono difficoltà nell’identificare i gruppi per essere comparati e nell’ottenere soggetti adatti.
È importante chiedersi se valutare ad esempio, solo gay dichiarati. I problemi in questo ambito
sono naturalmente i medesimi problemi rintracciabili in qualsiasi ricerca sulle differenze tra
omosessualità ed eterosessualità.
!65
2) esiste una grande varietà entro le popolazioni omosessuali ed eterosessuali sulle questioni del
comportamento in generale e della discorsività e gergalità in particolare. Bisogna ricordare infatti
che la maggior parte delle differenze tra i sessi comportano differenze abbastanza piccole,
sebbene importanti, tra i mezzi per due popolazioni, le quali esibiscono sia una grande variabilità
sia un enorme sovrapposizione; ora, queste differenze vengono percepite ancora come grandi e
ovvie. Partendo che la sorpresa che una persona mediamente vive è nello scoprire elementi sulla
sessualità di una persona piuttosto che sul suo sesso, le differenze tra i gruppi di diverse sessualità
dello stesso sesso saranno abbastanza probabilmente più piccole e le varietà più grandi, anche se
tra i sessi.
3) si sta tentano di scegliere come soggetti che rappresentano un gruppo i membri più
riconoscibili di quel dato gruppo; questi sono entrambi gli argomenti più puri dei più estremi, che
dipendono dal proprio punto di vista. Come la dialettologia tradizionale tendeva a rilevare i
parlanti rurali più anziani che avevano vissuto in un dato luogo per tutta la loro esistenza e gli
studi quantitativi delle varietà sociali tendevano a favorire i parlanti giovani delle città con un alto
grado di identificazione con la cultura vernacolare o di strada, in questo ambito si è deciso di
approcciare la popolazione omosessuale, selezionando i parlanti più stereotipicizzati (in inglese
diesel dykes e flaming queens). Questo è cosa relativamente facile da fare ma inclinerebbe i dati in
maniera rilevante e non potrà darci un quadro di variazione della comunità discorsiva (the speech
community).
4) si farà ricerca all’interno di questi gruppi diversi, che a volte si sovrappongono a volte
vagamente delineano ‘communities of pratice’; sarebbe folle supporre che per gli intenti della
ricerca del comportamento esiste una sola comunità omosessuale e/o eterosessuale per la quale gli
argomenti possono essere campionati in modo casuale. Ci si aspetta che le norme di
comportamento possano essere diverse abbastanza considerevolmente da una community of
practice all’altra e che le persone possano considerevolmente cambiare da una community of
practice all’altra. Molte persone lgbt cambiano chiaramente tra un numero di stili discorsivi e
modi di autopresentazione, dunque la domanda è: quali di questi vogliamo intercettare e perché (il
problema è frequente dalla ricerca sulla discorsività vernacolare al continuum creolo
naturalmente).
!66
5)esistono dei problemi nel selezionare le caratteristiche da dover esaminare. Lessemi come
gaydar e twink che sono quasi completamente usati da persone glbt anglofone saranno accantonati
nella ricerca di questi quesiti. Il focus di tali ricerche sarà su aspetti più sottili della discorsività e
della lingua, quali
•
Problemi di grammatica (variabili fonetiche, in particolare caratteristiche prosodiche)
•
Strategie pragmatiche ( quelle seguite da William Leap sulla discorsività
dell’omosessualità maschile, come il proibire, il cooperare e il competere, offerte e inviti)
•
Organizzazione del discorso (quali elementi sono usati per rendere i discorsi coerenti e
come le informazioni convengono e le credenze condivise si rafforzano da mezzi indiretti
piuttosto che da asserzioni dirette)
•
La retorica (attraverso l’analisi del contesto o gli studi degli effetti del pubblico)
•
Altre proprietà globali del discorso (autenticità e presa del rischio/rivelazione, come di
nuovo considerato da Leap)
!
La letteratura sulle caratteristiche del gero queer è focalizzata molto sui problemi retorici piuttosto
che sui problemi grammaticali: infatti le due collezioni che apparirebbero dai loro titoli essere i più
importanti per i linguisti109, sono quasi sempre prese in considerazione dal punto di vista retorico e
lessicale, nonostante i linguisti non sempre possano rispondere in maniera soddisfacente.
Per quanto riguarda, poi, l’ambito che coinvolge grammatica e retorica, Arnold M. Zwicky ha fatto
l’inventario di alcune strategie organizzative del discorso e strategie pragmatiche che vengono
segnalate come caratteristiche del modo di parlare e scrivere degli uomini omosessuali:
1. presa di posizione soggettiva,
2. ironia, sarcasmo (distanziarsi, dire e non dire, non prendersi sul serio),
3. resistenza e sovversivismo,
4. visione duplice/triplice/etc…, metacommentario,
5. discorsività, mancanza di incisività
6. aggressione aperta,
7. seduttività,
8. inversione, cambiamento.
109
!
Cfr: Chesebro, James (ed.) (1981). Gayspeak: Gay Male and Lesbian Communication. New York: Pilgrim Press.
Cfr: Ringer, R. Jeffrey (ed.) (1994). Queer Words, Queer Images: Communication and the Construction of
Homosexuality. New York: New York Univeristy Press.
!67
Alcune di queste caratteristiche sono secondo stereotipo ‘femminili’ (1-3-7) e altre sono
‘maschili’ (2-8): infine esistono alcune di queste caratteristiche se secondo ideologia di genere, sono
associati con la marginalità e l’assenza di potere (3-4-8) e altre ancora suggeriscono di nascondere o
stigmatizzare le identità (1-2).
Molti sono semplicemente tipici della discorsività postmoderna, come è possibile notare da Donald
Barthelme e Robert Gluck, che ne evidenziano la scarsa connessione diretta con genere, sessualità,
marginalità o stigma: mentre i linguisti possono quindi qui fornire i mezzi idonei per comprenderne
le caratteristiche più rilevanti, il metodo che i linguisti usano nella loro pratica ordinaria non fornirà
un’analisi del fenomeno, come nella poetica110.
Non a caso, la soggettività, la visione multipla, l’inversione e il resto sono realizzati in parte nel
discorso e nella scrittura, ma non sono proprietà in sé stesse di discorso e scrittura nel senso stretto
del termine.
!
Constatato che la prima ricerca sulle caratteristiche grammaticali della discorsività queer è
inconcludente, due studi consideravano le questioni della differenza e discriminabilità usando
metodi linguistici standard: nello studio di Gaudio sui ‘sounding gay’ degli uomini111, ai giudizi non
selezionati sulla base dell’orientamento veniva chiesto di valutare diverse caratteristiche, incluso
‘gay’ versus ‘etero’ di otto parlanti di sesso biologico maschile, quattro uomini omosessuali e
quattro uomini eterosessuali ma tutti leggevano gli stessi passaggi.
I giudizi si rivelavano buoni nel distinguere uomini omosessuali da uomini eterosessuali sulla base
del loro discorso: Gaudio ha anche indagato sulle proprietà sull’altezza della produzione dei parlanti
omosessuali comparata a quelle dei parlanti eterosessuali e includevano diverse proprietà che sono
state indagate nella letteratura che compara la discorsività delle donne con quella degli uomini.
Si rivelò non chiaro a tutti quali proprietà fonetiche permettevano di giudicare per discriminare:
queste erano diverse differenze suggestive ma non raggiungevano una rilevanza statistica: appare
chiaro anche dal piccolo studio di Gaudio che la discorsività degli uomini omosessuali non è
particolarmente simile alla discorsività delle donne, almeno rispetto a quelle caratteristiche
prosodiche che sono state spesso reclamate per differenziare le donne dagli uomini.
110
!
Cfr: Zwicky, Arnold M. (1986). ‘Linguistics and the Study of Folk Poetry.’ In Peter Bjarkman e Victor Raskin (eds.),
The Real-World Linguistic: Linguistic Applications in the 1980s. Norwood, NJ: Ablex, pp. 57-73.
111
!
Cfr: Gaudio, Rudolf P. (1994). ‘Sounding Gay: Pitch Properties in the Speech of Gay and Straight Men’. American
Speech 69, no. 1:30-57.
!68
Lo studio di Moonwomon, d’altronde, che mise sullo stesso livello due parlanti donne omosessuali
con due parlanti donne eterosessuali esaminava solo la questione di differenza e non la questione di
discriminabilità112: sebbene ne derivavano nuovamente delle differenze suggestive, per cui le donne
omosessuali che tendono ad avere voci di basso tono e una gamma di toni stretti, non c’era di nuovo
una rilevanza statistica tale per cui potessero far numero.
Come risultato, non è ancora chiaro se le donne omosessuali sono distinguibili nel loro discorso da
donne eterosessuali: inudibilità lesbica tanto quanto invisibilità, tanto da far sostenere a
Moonwomon che qualsiasi differenza esiste, potrebbe essere sottile e potrebbe giacere più
nell’organizzazione del discorso che nella prosodia.
!
Per Zwicky la fonte delle difficoltà e anche delle apparenti differenze tra donne e uomini potrebbe
trovarsi nei modi in cui i ruoli di genere sono acquisiti: dalla letteratura sulle ragioni per le
differenze nell’uso tra donne e uomini delle varianti più vernacolari e standard113, è possibile
estrarre quasi quattro meccanismi psicosociali nell’acquisizione dell’identità di genere e le sue
norme associate di comportamento, ovvero
1. modellare- usiamo le persone che ci circondano come modelli per il nostro comportamento,
quindi non acquisiamo norme per le quali non abbiamo o ne abbiamo pochi di modelli.
2. identificare- dai modelli potenziali disponibili scegliamo persone che crediamo essere noi
stessi o speriamo che siano noi stessi.
3. evitare- evitiamo comportamenti che sono associati con persone che non crediamo essere
noi stessi o ci auguriamo che non siano tali.
4. rinforzare- altre persone nei nostri gruppi sociali mantengono norme premiando la
conformità e punendo la non conformità, a volte apertamente ed esplicitamente ma più
spesso di nascosto e in maniera tacita.
A questo punto i meccanismi di modellamento e rafforzamento sono forniti dall’esterno, dal
contesto sociale in cui si cresce, mentre i meccanismi di identificazione ed evitamento sono in un
senso importante interni: sono questi due meccanismi interni che per Zwincky potrebbero
112
!
Cfr: Moonwomon, Birch (1985). ‘Toward the Study of Lesbian Speech.’ In Sue Bremner, Noelle Caskey e Birch
Moonwomon (eds.), Proceedings of the First Berkeley Women and Language Conference. Berkeley, CA: Berkeley
Women and Language Group, pp.96-107.
113
!
Cfr: Cameron, Deborah e Jennifer Coates (1988). ‘Some Problems in the Sociolinguistic Examination of Sex
Differences’. In Jennifer Coates and Deborah Cameron (eds.) Women in Their Speech Communities. London: Longman,
pp. 13-26.
Deuchar, Margaret (1988). ‘A Pragmatic Account of Women’s Use of Standard Speech.’ In Jennifer Coates e Deborah
Cameron (eds.), Women in Their Speech Communities. London: Longman, pp. 27-32.
!69
comportare una differenza importante tra i sessi nel modo in cui l’identità culturale omosessuale si
sviluppa.
La proposta di Zwincky è che per molte donne omosessuali ciò che è molto importante è
l’identificazione con la comunità di donne, che diventano una ‘donna che si identifica con una
donna’ in diversi modi, mentre per molti uomini omosessuali ciò che è molto importante è
distanziarsi dagli uomini eterosessuali che rappresentano le norme di mascolinità della società:
questa differenza nel meccanismo primario (identificazione per le donne omosessuali ed evitamento
per gli uomini omosessuali) sarebbe in accordo con la più grande inclinazione della società a
prendere le ricerche e le priorità della mascolinità come gli unici realmente importanti e quindi di
sovvertire l’identificazione delle donne con la comunità di donne, che le donne omosessuali
dovrebbero poi operare per mantenere.
In aggiunta, questa differenza è consona con la tendenza spesso osservata per i ruoli maschili ad
essere molto più rigidamente rafforzati dei ruoli femminili: se schernire e deridere, rafforzano i
sistemi tradizionali per gli uomini, non esistendo un reale parallelo nella socializzazione delle
ragazze con il loro ruolo di genere, gli uomini omosessuali saranno inclini di conseguenza ad
vedere la loro sessualità come un rifiuto delle norme di genere.
Nella misura in cui queste generalizzazioni ampie sono valide, ne seguirà che molte donne
omosessuali non sarebbero infatti distinguibili nella discorsività da donne eterosessuali:
dichiaratamente un senso di differenza, istintività, deviazione giocheranno un ruolo
nell’acquisizione dell’identità culturale della donna omosessuale come accade nell’acquisizione
dell’identità dell’uomo omosessuale.
Dato questo senso di differenza, bisognerà aspettarsi differenze reali ma subdole tra le donne
omosessuali e le donne eterosessuali: è anche vero che gli uomini omosessuali sono educati come
uomini e di conseguenza ci si può aspettare di conformarsi alla stragrande maggioranza delle norme
di mascolinità (non tutte comunque).
Data questa storia divisa, bisognerà aspettarsi che molte somiglianze sussistono tra uomini
omosessuali e uomini eterosessuali: da qui non c’è più ragione per aspettarsi che le differenze tra
uomini omosessuali ed eterosessuali implicherebbero la manifestazione di comportamenti
specificatamente femminili.
Sarebbe sufficiente per un uomo omosessuale essere semplicemente diverso dalle norme di
mascolinità qualsiasi in ogni modo, non necessariamente in qualsiasi modo che è specificatamente
associato con le donne: comunque, l’effetto noto dell’effeminatezza (tutto ciò che non aderisce con
!70
ciò che è eteronormativizzato viene interpretato come femminile) porterà ad una diffusa
impressione che gli uomini omosessuali si comportano ‘come le donne’.
In ogni caso, un uomo omosessuale può auto dichiararsi come gay e può essere facilmente rilevato
come tale da osservatori omosessuali o eterosessuali divergendo nel suo comportamento, incluse la
discorsività e la lingua, in quasi ogni pratica dagli uomini eterosessuali: ciò renderebbe veramente
difficile da indagare foneticamente parlando ‘la voce gay’ e se esistono appena cinque o dieci modi
in cui gli uomini omosessuali potrebbero deviare dalle norme di mascolinità.
Se diversi uomini omosessuali scelgono diversi modi per fare questo, quindi la principale
deviazione da qualsiasi norma individuale per il gruppo come una forma omogenea sarebbe
abbastanza piccola e quella differenza sarebbe piccola da rilevare eccetto con numeri enormi di
soggetti (senza menzionare tecniche analitiche che riconoscono la possibilità di norme multiple):
apparire come una mancanza di differenza potrebbe poi coesistere abbastanza felicemente con una
discriminabilità molto facile.
Esistono alcune lezioni parallele dagli studi sulla discorsività a livello segmentale: per un numero
rilevante, probabilmente quasi tutte, le categorizzazioni di segmenti nella lingua come velare verso
labiale o espressa verso il non espressa, affermano che la percezione delle categorie usa molte
battute d’entrata diverse da quelle ovvie e primarie.
Esistono battute d’entrata forniti da altri segmenti nel contesto ed esistono battute d’entrata forniti
dalle proprietà del segmento rilevante diversi dalla prima battuta d’entrata114: in realtà esiste spesso
una variazione individuale per quanto riguarda quali proprietà sono le battute d’entrata più affidabili
nella produzione del discorso e anche una variazione individuale considerevole per quanto riguarda
quali proprietà sono le battute d’entrata più salienti nella percezione del discorso.
Queste differenze individuali non interferiscono di solito con la comprensione dal momento in cui è
sufficiente per alcune battute d’entrata essere prodotte e percepite la maggior parte del tempo: è di
solito il caso per cui molti parlanti concordano sia nella produzione che nella percezione per quanto
riguarda quali battute d’entrata sono le più importanti.
Ma un’attenta analisi rivela la variazione più individuale che può per prima essere stata percepita:
allo stesso modo gli studi su come la gente esprime e individua l’ambiguità strutturale nelle
espressioni in inglese come big cats and dogs (big+cats and dogs versus big cats+and dogs) e The
114
!
Cfr. Clark, Herbert H. e Eve V. Clark (1977). Psychology and Language. New York: Harcourt Brace Jovanovich.
Cfr. Garman, Michael (1990) Psycholinguistics. Cambridge: Cambridge University Press.
Cfr. Borden, Gloria Jo, e Katherine S. Harris (1980). Speech Science Primer: Physiology. Acoustics, and Perception of
Speech. Baltimore: Williams and Wilkins.
!71
hostess greeted the girl with a smile (greeted+the girl with a smile versus greeted the girl+with a
smile), indicano che diversi parlanti scelgono diverse proprietà prosodiche per delimitare confini
costituenti e tendono a fare affidamento a proprietà diverse nel decidere dove questi confini sono
nelle produzioni di altre persone115.
La fine di un costituente può essere segnato dalla pausa, avendo l’intonazione decaduta verso la
fine, allungando i suoni alla fine o usando varianti di questi suoni finali che ci si aspetterebbe alla
fine di una espressione: ciascuna delle diverse proprietà o una combinazione di diversi di loro
costituiranno l’atto e in maniera interessante si denoterà come persone diverse hanno diverse
preferenza per segnali di confini.
In questi studi fonetici vediamo una molteplicità di concomitanti e di segnali d’entrata possibili,
appena come manifestare e rilevare l’identità di un omosessuale: infatti, nel caso dell’identità
omosessuale esistono di sicuro molti di più segnali d’entrata possibili che esistono negli esempi
fonetici e non c’è ragione per aspettarsi taciti accordi generali per quanto riguarda quei segnali
d’entrata più salienti.
A proposito su quali sarebbero le caratteristiche della voce di un uomo omosessuale, spesso i
linguisti rispondono: le caratteristiche prosodiche rilevate da Gaudio per esempio (profonda gamma
di intonazione e frequente fluttuazione nell’intonazione), uso frequente di un modello di
intonazione specifico (alta ascesa-discesa), concentrazione di intonazioni attraverso la fine alta di
una gamma di un parlante, grandi cadute veloci nell’intonazione alle fini delle frasi, assenza di
respiro (spesso associata con la sessualità), la lunghezza delle fricative (in particolare s e z),
affricazione di t e d, anche la dentalizzazione delle alveolari t/d/s/z/n (che grazie all’associazione
con la classe lavoratrice bianca in alcune città del nord ovest statunitensi è spesso considerato come
un marcatore di mascolinità).
In ogni caso, più le battute d’entrata sono importanti, e meno accordo c’è per quanto riguarda quale
battuta d’entrata è la più importante, più difficile sarà per i linguisti scoprire proprio le battute
d’entrata: vengono richieste misurazioni di esempi molto più grandi di ciò che è stato finora usato e
gli analisti devono essere preparati a sotto classificare le loro popolazioni soggetto, nell’attesa che
alcuni di loro stanno facendo cose molto diverse da altri.
115
!
Cfr: Lehiste, Ilse (1973): ‘Phonetic Disambiguation of Syntactic Ambiguity’. Glossa 7. no. 2: 107-122.
Cfr: Lehiste, Ilse, Joseph P. Olive, e Lynn A. Streeter (1976). ‘Role of Duration in Disambiguating Syntactically
Ambiguous Sentences’. JASA 60, no. 5: 1199-1202.
!72
Quando sono soddisfatte queste condizioni ci si aspetta che emergano le differenze fonetiche tra
omosessuali ed eterosessuali, a loro volta più facili per gli uomini che per le donne ma
eventualmente comunque per entrambi: i linguisti infatti hanno gli strumenti per indagare il lessico
gergale del mondo queer e scoprire le differenze fonetiche tra il discorso di persone eterosessuali e
il discorso di persone omosessuali, considerando che nessun compito è facile per le ragioni qui
espresse, ma realizzabili alla luca degli eccellenti inizi costituitisi in entrambe le questioni qui
poste.
!
1.8.1. Categorizzazione sociale e cambiamento lessicale-semantico
M. Lynne Murphy esamina l’inclusività e l’esclusività delle etichette delle minoranze sessuali,
chiedendo ai quali parlanti si intende far riferimento quando usano etichette come gay e queer e
quali utenti comprendono viene fatto riferimento quando queste parole vengono usate.
Attenzione speciale nello studio di Murphy viene data all’inclusione o esclusione di coloro che
vengono considerati bisessuali nell’estensione di altre etichette, per vedere se l’emergere
dell’attivismo bisessuale dagli anni Settanta abbia avuto un effetto sull’innovazione lessicale e sul
cambiamento semantico nell’etichette della categoria sessuale: sicuramente l’emergere dell’identità
bisessuale ha incoraggiato molto l’innovazione lessicale (esempi in inglese: bi, biphobia,
monosexual, byke, gay-identified bisexual)116.
Inoltre, come un’identità bisessuale, o delle identità, si è sviluppata ed è stata affermata, così si sono
sviluppati i dibattiti sul se le categorie come gay, lesbian, dyke e queer hanno incluso persone che si
identificano come bisessuali, tanto quanto su chi si considera come bisessuale: il fulcro
dell’interesse qui si è limitato all’uso delle etichette della categoria sessuale entro e tra comunità di
minoranze sessuali, così che lo studio di Murphy ha focalizzato il come le persone che non si
considerano parte dell’uso principale sessuale/sociale e nel processo, effettua cambiamento in
queste parole.
La disparità nell’uso di tali etichette entro e fuori o alle comunità di minoranza sessuali giustifica
questa focalizzazione angusta, sebbene uno studio di ciò che parole come gay e bisexual significano
per persone che non si identificano come né potrebbero produrre alcuni dati interessanti per la
comparazione: l’analisi di un’indagine superficiale delle attitudini dell’uso dell’etichetta
dell’orientamento sessuale supporta questa intuizione.
!116
!73
Per esempio gli intervistati che non si identificano come membri di una minoranza sessuale
affermano di usare la parola lesbian per riferirsi alle donne che hanno avuto relazioni sessuali con o
desideri verso solo donne, mentre le persone che si identificano come gay, lesbiche o bisessuali
erano circa cinque volte in più di probabilità nel dichiarare che il loro uso della parola include il
riferimento alle donne le cui relazioni e desideri sono stati in maggioranza orientati verso il loro
stesso sesso ma non esclusivamente.
Inoltre, le connotazioni di parole come queer o dyke tanto quanto gay e lesbian differiscono
secondo gli utenti delle parole e le loro intenzioni, così che limitare la gamma degli utenti renda
questo progetto più coerente e trattabile: la domanda su cui verte lo studio di Murphy non è solo
‘Cosa intendono le etichette della categoria sessuale?’ ma anche ‘Cosa possono intendere le
etichette della categoria sessuale?’ vale a dire quale forza cognitiva o sociale limita i sensi di queste
etichette.
L’approccio è derivato dal lavoro nella psicologia sociale sui costrizioni cognitive sulla
categorizzazione sociale, la discriminazione e la stereotipizzazione: lo studio di Murphy quindi
punta se le costrizioni sulla categorizzazione sociale hanno legami linguistici: dal momento che la
categorizzazione sociale è di frequente raggiunta attraverso l’etichettatura, qualcuno si aspetterebbe
di trovare date correlazioni.
Comunque, la maggior parte della ricerca in questo campo si è basata sulla categorizzazione di
sesso o etnia sollevando il dubbio sulla validità delle sue conclusioni sulle fonti di etichettatura
sociale: considerando che nelle ultime poche decadi le identità da orientamento sessuale di
minoranza si sono sviluppate in identità quasi etniche, almeno negli Stati Uniti, ma ad un certo
livello anche in altre parti del primo mondo, in particolare nei paesi anglofoni117.
Qualcuno potrebbe aspettarsi che le etichette da orientamento sessuale sono soggetti alle stesse sorti
delle costrizioni semantiche come le categorie pseudoraziali rappresentate da etichette come black,
Asian o Hispanic: lo studio di Murphy mostra che sebbene la categorizzazione etnica e sessuale
hanno molto in comune, l’uso delle etichette della categoria sessuale da parte di membri delle
minoranze sessuali contraddice alcune predizioni derivate dalla letteratura della psicologia sociale,
in particolare dove si tratta della bisessualità.
!
!117
!74
Scrivere sulle etichette della categoria sociale procura problemi particolari, dal momento che lo
scrittore non può nascondersi dal fatto che tutte le etichette sono polisemiche, dense di connotazioni
e frequentemente usate in maniera fuorviante: quindi, Murphy ritiene necessarie poche parole.
Le etichette come gay, black o disabled sono definiti etichette da categoria sociale: per esperienza le
etichette basate sull’orientamento sessuale/sensuale, la preferenza, l’identità o l’attività sono da
Murphy definite etichette da categoria sessuale, sebbene il termine sessuale non è sicuramente una
parola scarica.
Il corsivo indica che un segno di una parola è intesa riferirsi alla parola stessa: i marcatori di singole
quotazioni indicano riferimento alla categoria che una parola denota: quando le etichette come
bisexual o gay sono usate senza il corsivo, si riferiscono a persone che si auto identificano
attraverso queste etichette.
Quando riferenti a comportamenti o identità che non sono autoimposte o non associate con un
particolare lessema, i termini stesso sesso, altro sesso o entrambi sono usati: l’ultima forse non è la
migliore descrizione dell’orientamento bisessuale, che potrebbe essere meglio descritta con
l’inglese sex-immaterial118.
Comunque, dal momento che questi termini vengono usati da Murphy per riflettere identità e
comportamento tanto quanto orientamenti, viene usato ‘entrambi i sessi’: gli altri termini ‘stesso
sesso’ o ‘altro sesso’ possono essere esclusivi o no, vale a dire, le persone il cui orientamento è
bisessuale sono incluse sia nella categoria dell’altro sesso che nella categoria dello stesso sesso.
I termini esclusivamente dello stesso sesso ed esclusivamente del sesso opposto, dall’altro canto,
escludono l’orientamento bisessuale: la minoranza sessuale è usata da Murphy per contenere tutte le
categorie di identità e orientamento che includono l’orientamento omosessuale e nuovamente le
parole sessuale e minoranza sono problematici, perché alcuni gruppi di eterosessuali possono
contare come minoranze sessuali, ma le restrizioni di spazio e leggibilità incoraggiano l’uso di
questo termine.
!
È stato un ripiego politicamente e probabilmente a livello cognitivo, per i membri delle minoranze
sessuali usare il modello di etnicità nel formare identità, analizzando le loro culture e sostenendo i
diritti civili: associare lo status di minoranza etnica e sessuale fornisce minoranze sessuali con
!118
!75
modelli per un patrocinio dei diritti civili e per la formazione delle culture della minoranza sessuale
con particolari costumi, estetica e valori.
Dal momento che il concetto di ‘etnicità’ è un concetto piuttosto problematico, la posizione che i
gruppi di minoranza sessuale costituiscono etnicità, può essere supportata da un numero di
argomenti apparentemente contraddittori e anche negli individui queste identità potrebbe basarsi su
credenze inconsistenti: un’equazione naive dell’orientamento sessuale con l’etnicità potrebbe
basarsi su una comprensione essenzialista dell’orientamento sessuale.
L’orientamento della scelta dell’oggetto sessuale è innato e l’identità sessuale deriva dalla scelta
dell’oggetto sessuale: per questo motivo una persona potrebbe essere nata in una tale identità come
qualcuno potrebbe essere nata nell’etnicità Zulu o Thai.
Comunque, questa nozione folkloristica dell’identità e dell’etnicità è problematica da entrambi i
lati: per prima cosa mentre la scelta dell’oggetto sessuale potrebbe o non potrebbe essere
determinato o influenzata da fattori psichici, la scelta dell’oggetto non determina l’identità.
Mentre per l’intera storia e la preistoria il sesso tra persone dello stesso sesso ha avuto luogo, solo
recentemente la scelta dell’oggetto sessuale è stata così influente nello sviluppo di così tante
identità di persone119: allo stesso tempo è grossolanamente semplicistico e incorretto dichiarare che
‘l’etnia’ o la ‘l’etnicità’ è il prodotto della natura e non è socialmente costruito.
Mentre la maggior parte delle persone non possono scegliere di adottare un’etnia o etnicità diversa
da quella dei loro genitori, le identità etniche che le persone adottano non sono quelle naturali ma
socialmente costruite con storie intriseche e a volte inesplicabili: le categorie sono basate su certi
prototipi con le forze socioeconomiche che costringono la loro applicazione in modo tale che per
esempio le persone eredità euroafricana mixata appartengano a gruppi sociali differentemente
definiti negli Stati Uniti, Brasile e Sudafrica.
Mentre la posizione costruzionista che dichiara che l’identità sessuale è sviluppata socialmente, è
anche consistente sia con il modello di etnicità politicamente espediente sia con il recente lavoro
teorico sull’identità sessuale, in particolare la teoria queer, la posizione essenzialista appare
informare la maggior parte del pensiero non accademico e la retorica sul problema: come nota
Stephen Epstein
!119
!76
‘mentre i teorici del costruttivismo hanno predicato il dogma che la distinzione tra eterosessuale e
omosessuale è una finzione sociale, gay e lesbiche nella vita quotidiana e nell’azione politica, sono
stati occupati a indursi le categorie. Sembra che la teoria non sia stata pratica informante’120.
L’indursi delle categorie ha inizio dopo l’organizzazione iniziale del movimento postStonewall: nei
primi anni Settanta, il movimento stava focalizzando più sull’abolizione della categoria delle
persone nelle categorie patologizzanti di eterosessuale/omosessuale che al riferirsi a tali categorie.
Con slogan come ‘Nessuna donna può essere lesbica’ e ‘Il femminismo è la teoria, il lesbismo la
pratica’, le femministe omosessuali in particolare argomentavano che l’orientamento sessuale è
mutabile: comunque dalla seconda metà degli anni Settanta, una visione più essenzialista cominciò
a prendere corpo.
Appare che non ci sia alcuna coincidenza che stabilisce le identità gay e lesbiche come condizioni
essenziali coincidenti con la nascita del movimento bisessuale, dal momento che il bisessuale è ‘un
esempio in costruzione del costruzionismo’: con le categorie dell’identità sessuale viste come fisse
e più strette di quelle prese in precedenza, meno spazio fu disponibile per le persone i cui auto
concetti includevano, ma non erano limitanti al, l’orientamento omosessuale.
Comunque, è la domanda se sia nato prima l’uovo o la gallina, ovvero se l’essenzialismo crescente
nella politica dell’identità gaylesbo era la causa o l’effetto di un accrescimento nelle auto
categorizzazioni della bisessualità: sebbene il movimento politico bisessuale cronologicamente
seguiva la crescita nell’essenzialismo, un trend di identificazione bisessuale per la maggior parte
apolitica stava avendo luogo nei primi anni Settanta, che Newsweek definì ‘Bisexual Chic’.
È possibile che la crescita nell’essenzialismo gaylesbo era in parte ispirato dal desiderio di
dissociare le identità politiche gaylesbo dai ‘turisti sessuali’: quindi, la domanda è come arriva la
bisessualità a porsi nel modello etnico dell’identità sessuale?
Comparando la categorizzazione sessuale alla categorizzazione etnica basata sull’etnia, qualcuno
potrebbe assumere che le categorie ‘omosessuale’ ed ‘eterosessuale’ sono comparabili a ‘nero’ e
‘bianco’, dal momento che sono per la maggior parte diametralmente opposti e salienti delle
categorie: seguendo questa analogia allora, la categoria ‘bisessuale’ è un mix dei due come il
‘mulatto’ o categoria separata del tutto, alla pari di ‘asiatico’ o ‘nativo americano’?
!120
!77
Entrambe le analogie sono rintracciabili nella letteratura bisessuale121: comunque, la situazione di
difetto è vedere i e le bisessuali come aventi una sessualità ‘mixata’ e questo quindi si riflette negli
epiteti (fence-sitter, AC/DC, switch-bitter), quando non assunti nella maggior parte delle visioni più
scalari della sessualità.
Questa ipotesi deriva da un orientamento particolare della psicologia sociale, a volte chiamata
orientamento cognitivo122: questo corpus di ricerca assume che la categorizzazione sociale e gli
stereotipi non sono classi speciali di concetti ma invece sono costruiti dalle stesse strutture e dagli
stessi processi cognitivi come altri tipi di concetti.
Questo approccio alla ricerca di categorie sociali è ben adatta ad una ricerca linguistica dei nomi di
queste categorie, dal momento che la necessità di teorie integranti di significato di parola e struttura
concettuale è, se non sempre raggiunto con successo, riconosciuto dalla maggior parte dei
semanticisti lessicali e psicologi cognitivisti: inoltre, questo approccio è tanto obiettivo quanto
possibile per un tale sforzo, in cui non comporta alcuna assunzione che la categorizzazione stessa
sia un processo intrinsecamente sbagliato.
Entro questa tradizione, molte generalizzazioni sui processi di categorizzazione sono stati offerti:
queste generalizzazioni costituiscono costrizioni ipotetiche sullo sviluppo della categoria, che a
turno propone ipotesi riguardo le costrizioni sui significati e usi delle etichette della categoria
sociale: di queste Murphy si concentra su cinque, elencati con illustrazioni dalla classificazione
etnica
1. l’esistenza della categoria sociale dipende dall’esistenza di un’altra categoria per cui
compararla123: per esempio le ‘persone di colore’ è coesivo solo in estensione per cui
contrasta con ‘bianco’.
2. esiste una tendenza a preservare lo status quo nel sistema della categorizzazione, anche se
esiste la prova che il sistema è inadeguato124: per esempio, molti americani, a causa della
popolarizzazione di un sistema di categoria pseudoetnico particolare (caucasico,
mongoloide, negroide), credono che esistano tre etnie anche se sanno di persone che non
sono collocate facilmente in queste categorie, come i nativi australiani o gli indiani
sudamericani.
!121
!122
!123
!124
!78
3. la categorizzazione aumenta la percezione delle differenze tra le categorie e minimizza la
percezione delle differenze entro le categorie125: per questo motivo, la categorizzazione
porta alla stereo tipizzazione, per cui per esempio i membri fuori dal gruppo generalizzano
che le tutte le persone asiatiche sono lavoratori infaticabili, tutte le persone del continente
africano sono buoni danzatori, e così via.
4. la più grande differenza nel valore sociale tra le categorie, ‘la più probabile è che errori di
assegnazione alla categoria valutata negativamente sarà nella direzione dell’inclusione al di
là e gli errori dell’assegnazione nella categoria valutata positivamente sarà nella direzione
dell’iperinclusione’: per questo motivo, le persone di etnia mista tendono ad essere
classificati con un gruppo valutato il più negativamente, come negli Stati Uniti, dove le
persone con qualsiasi ascendenza africana sono tutti categorizzati come neri126.
5. nel lottare per l’identità sociale positiva, le persone cercano di aderire ai gruppi che si
paragonano più favorevolmente ad altri gruppi, per cui se per ragioni ‘obiettive’ (per
esempio apparenza, discendenza) devono essere categorizzate con un gruppo particolare, poi
cambieranno le loro interpretazioni degli attributi del gruppo e/o tenteranno di forzare il
cambiamento sociale per migliorare la loro situazione. Per questo motivo le persone hanno
un stereotipo generale del loro proprio gruppo come buono e meritevole, e di coloro che non
vi aderiscono come non buono e non degno127. Mentre alcune persone tentano di ‘passare’
come parte di un gruppo che considerano un passo indietro dal loro livello. Se le persone
non sono libere di ricategorizzarsi o se il costo per godere di un’altra categoria è troppo
grande, loro valorizzeranno l’essere parte di un gruppo valorizzato negativamente. Per
esempio, le persone da un gruppo valutato negativamente potrebbero sentire che le
tradizioni del loro gruppo sono più significative o la loro esperienza più valida di coloro che
provengono da gruppi esterni.
Dal momento che i lessemi sono usati per rappresentare e mantenere le categorie, queste ipotesi
sulla categorizzazione suggerisce le seguenti ipotesi riguardo i lessemi che sono usati per
rappresentare categorie sociali:
1. se viene introdotto il nome di una categoria, verrà introdotta anche una opposta
!125
!126
!127
!79
2. i nomi di nuove categorie che sono incompatibili con un sistema di categorizzazione
accettato o non verrà accettato e per questo diventerà obsoleto oppure si sottoporrà al
cambiamento semantico per essere compatibile con il sistema esistente
3. i nomi della categoria saranno associati più attentamente con i membri della categoria che
sono meno come membri di una categoria di contrasto rilevante
4. i nomi per i gruppi valutati positivamente saranno associati con sensi più esclusivi dei nomi
per gruppi valutati negativamente
5. le persone che si identificano entro una categoria e per questo motivo devono probabilmente
valutare che quella categoria positivamente in comparazione con altri, useranno i sensi più
vicini del nome di quella categoria dei membri esterni al gruppo.
Tutte le ipotesi di categorizzazione e alcune correlazioni linguistiche sono state supportate da
ricerche sperimentali: comunque, la ricerca passata ha investigato le caratteristiche visibili, come il
sesso e l’etnia, piuttosto che le categorie che hanno spunti comportamentali o intrapsichici, come
l’orientamento sessuale o l’abilità intellettuale.
Così nell’investigare le ultime cinque ipotesi, due spunti sono in gioco: il primo è se le ipotesi
psicologiche sono supportate da prove linguistiche, mentre il secondo è se le ipotesi sono supportate
da prove di un tipo di categorizzazione con criteri di appartenenza invisibili.
!
Le ipotesi creano predizioni su cosa succederà se una nuova categoria sociale viene aggiunta al
repertorio culturale: la nuova categoria sarà costretta in parte dalle vecchie categorie, dal momento
che esiste resistenza all’abbandonare i vecchi sistemi di categorizzazione e il sistema tenderà verso i
contrasti più forti possibili.
Due cambiamenti nella categorizzazione sessuale forniscono l’opportunità di investigare queste
ipotesi: per prima cosa, un movimento identitario politico e culturale bisessuale lo ha reso più
rilevante per differenziare le persone che si identificano come orientati esclusivamente verso il
proprio sesso da coloro che si identificano come orientati verso entrambi i sessi.
In seconda istanza, la parola queer è stata reclamata per riferimento interno al gruppo con richieste
forti da molte parti sul perché la parola è stata adottata e cosa voglia dire: frequente tra le richieste
sul queer è che si riferisca ai membri di tutte le minoranze sessuali, con varie interpretazioni di cosa
costituisca una minoranza sessuale.
Le predizioni delle ipotesi sono per la maggior parte confermate, tranne per l’uso delle parole delle
persone che si identificano come bisessuali: l’ambiguità della categoria bisessuale in riferimento al
!80
modello etnico dell’orientamento sessuale ostacola il trattamento parallelo dell’orientamento
sessuale e l’etnicità nel modello della psicologia sociale cognitiva.
Ora, l’ipotesi che la politica di identità bisessuale ha influenzato il vocabolario della categoria
sessuale si basa su due assunzioni: per prima cosa, Murphy assume che la politica dell’identità
bisessuale sfida molte comprensioni popolari dell’identità sessuale e strategie correlate per
l’autoconcettualizzazione.
In particolare, riconoscere la bisessualità sfida le nozioni per cui l’orientamento omosessuale sia
biologicamente determinato e immutabile: la seconda assunzione è che la politica di identità
bisessuale ha avuto un impatto sulla politica di identità gaylesbo in un modo che ha stimolato il
cambiamento lessicale-semantico nelle etichette di categoria sessuale.
Questa assunzione è confermata dal fatto che molte organizzazioni di e per i membri delle
minoranze sessuali hanno cambiato il loro nome in anni relativamente recenti per includere la
parola bisessuale, mentre nuove organizzazioni spesso includono bisessuale nei loro nomi o
missioni, e anche molte altre hanno dibattuto la possibilità di includere la parola bisessuale nei loro
nomi.
Comunque, l’inclusione della parola bisessuale tende ad avvenire nelle organizzazioni nuove e
locali, non nelle organizzazioni internazionali e nazionali di lunga tradizione, come il National Gay
and Lesbian Task Force o l’International Lesbian and Gay Association, sebbene queste
organizzazioni si indirizzino alla bisessualità nelle loro azioni e politiche (l’argomento del
cambiamento di nome è stato sollevato ma non perseguito in queste organizzazioni. La discussione
nell’ILGA è illustrativa delle differenze nelle identità sessuali tra gruppi nazionali o linguistici, dal
momento che una reazione alla proposta del cambiamento del nome è stata ‘ma tutti sono
bisessuali!’. Ciò è nettamente contrario alla tesi per cui in molti paesi anglofoni e non si sostiene
che ogni bisessuale sia in realtà omosessuale).
Ciò è attribuile non solo al fatto che tali organizzazioni hanno investito di più nei loro nomi ma
anche alla natura del movimento bisessuale, che ha teso ad essere organizzato localmente senza
molta strutturazione nazionale o internazionale128 : l’attivismo politico delle organizzazioni
bisessuali è spesso diretta entro le comunità di minoranza sessuale e mentre da un lato gli attivisti
bisessuali argomentano che ‘l’oppressione dei e delle bisessuali è oppressione gaylesbo attraverso
la cultura di riferimento, sostengono anche che la politica della comunità di minoranza sessuale
!128
!81
deve indirizzarsi al fatto che i e le bisessuali hanno bisogni particolari e soffrono di pregiudizi
particolari, tanto che il termine biphobia riflette tale posizione.
Queste due prospettive asseriscono sia la somiglianza sia la differenza con le identità gay e lesbica:
mentre queste due asserzioni non hanno bisogno di essere contraddette, per cui loro non pretendono
identità o differenza assolute, nella pratica spesso sembra invece di sì.
!
Per ragioni pratiche i media elettronici erano molto usati come fonti di dati per la ricerca di
Murphy: l’uso di tali fonti necessitava diversi ammonimenti e per investigare sugli schemi ipotizzati
dell’uso della parola, Murphy ha diretto un questionario sulle percezioni dell’uso della parola per
diverse list e-mail di minoranze sessuali, incluso GayNet, the Gay, Lesbian, and Bisexual People of
Color e il Bisexual Activists.
Il preambolo al sondaggio includeva una richiesta per cui l’interessato passasse l’indagine alle parti
interessate, purchè la teoria queer o le liste dei linguisti non fossero contattate, ricevendo così 98
inchieste utilizzabili: il questionario è stato diviso in due parti per cui la prima sezione era
intenzionata a valutare le percezioni delle denotazioni e connotazioni di gay, lesbian, bisexual,
homosexual e queer.
Le prime cinque domande erano della forma ‘quando uso la parola X, intendo includere…’ seguite
da un numero di opzioni come ‘solo donne’, ‘persone i cui desideri/relazioni sessuali sono state
SOLO con altre persone dello stesso sesso’, ‘persone le cui STORIE DI RELAZIONI SESSUALI
includono QUALSIASI esperienza che includono altre persone dello stesso sesso’.
La domanda per queer includeva opzioni per includere i e le transessuali, travestiti, persone che
attuano il sadomasochismo e/o attività di padrone-servo e i feticisti noncuranti dell’orientamento
dell’oggetto sessuale: agli intervistati è stato richiesto di rispondere ad ogni opzione, usando una
scala di sempre (4), di solito (3), a volte (2), occasionalmente (1) e mai (0).
Le risposte sono state tabulate dal gruppo di identità sessuale e le risposte della media per ogni
gruppo sono state calcolate: le prossime tre domande erano simili alle prime domande per queer,
bisexual e gay, tranne che in queste tre si è chiesto ‘quando gli ALTRI usano la parola X, io assumo
che siano inclusi…’.
Le ultime tre domande chiedevano all’intervistato di scegliere quali prodotti da una lista di etichette
di identità sessuale (tra quelli menzionati c’erano anche bi, dyke, heterosexual e straight) erano
(a) offensivi per coloro verso cui si riferivano
(b) autoetichette per l’intervistato e
!82
(c) parole che l’intervistato non userebbe per definire gli altri.
La seconda sezione puntava a raccogliere dati demografici di base, recente storia sessuale,
appartenenza alle organizzazioni di minoranza sessuale e il grado degli intervistati dell’apertura
sulle loro identità sessuali: i risultati di tale questionario sono di uso limitato per le ragioni seguenti.
Vale a dire per prima cosa, dal momento che gli intervistati erano autoselezionati, i risultati non
possono essere assunti come ampiamente rappresentativi (l’autorappresentazione degli intervistati è
una caratteristica quasi necessaria di ricerca che include comunque le minoranze sessuali).
In secondo luogo, le risposte sono anhe meno rappresentative del pubblico in libertà perché il
questionario era formulato da computer: per questo motivo molti intervistati erano associati con
università, e quasi la metà (45) hanno la laurea.
L’amministazione delle e-mail dell’inchiesta potrebbe anche stimare il fatto che la maggior parte
degli intervistati erano uomini e d’età compresa tra il 22 e i 40 anni d’età: inoltre, dal momento che
la maggior parte dei richiedenti riceveva il questionario attraverso la mailing list della minoranza
sessuale, loro probabilmente sono più informati su o vicini alla politica dell’identità sessuale che la
media delle persone orientate verso persone dello stesso sesso.
In terzo luogo, a causa di alcune sviste nel formulare l’inchiesta, alcune domande portavano a
conclusioni fragili che potrebbero altrimenti essere disponibili: la svista peggiore non era chiedere
agli intervistati con quale etichetta di identità sessuale loro si identificano di più, oltre a chiedere
loro di scegliere ‘quanti si applicano’ da una lista di etichette per sé stessi.
Non era per questo motivo possibile dividere le inchieste in gruppi di uomini strettamente
autoidentificatisi bisessuali, donne bisessuali, uomini omosessuali, donne omosessuali e altri: le
risposte erano collocate in una delle categorie bisessuali solo se
(a) l’intervistato selezionava l’etichetta bisexual e/o bi ma non gay o lesbian, o
(b) l’intervistato selezionava bisexual e/o bi in aggiunta a gay e/o lesbian e dichiarava o di
appartenere ad una organizzazione di soli bisessuali o di aver avuto desideri orientati verso persone
dell’altro sesso o attività sessuali negli ultimi dodici mesi.
Con questi criteri, le inchieste sono state divise in 22 uomini bisessuali, 10 donne bisessuali, 40
uomini omosessuali, 13 donne omosessuali e 13 ‘altri’, per la maggior parte identificatisi come
etero ma che includono tre che non scelgono di non etichettarsi e un intervistato che non risponde
alla domanda (coloro che scelgono di non etichettarsi riportavano desideri ed esperienze
strettamente legati con l’altro sesso e per questo motivo, la categoria ‘altro’ potrebbe essere
interpretata come categoria ‘eterosessuale’).
!83
Il questionario risulta riflettere le percezioni dell’uso della parola e il significato, non la parola in sé:
l’intenzione era misurare (a) se le persone in diverse categorie di identità sessuale si percepiscono
come utenti che utilizzano tali parole in un dato modo, (b) se sentono che il loro uso delle parole sia
in conflitto con l’uso degli altri e (c) se questi comportamenti coincidono con quelli attuali.
Sebbene i risultati non possono essere considerati essere rappresentativi, aiutano a scoprire alcuni
trend e portare prove contro alcune delle ipotesi da essere verificate: l’altra fonte elettronica di
informazione è un corpus tracciato dalla mailing list GayNet Digest nel maggio 1993, per cui la
GayNet Digest è inteso come un forum per discutere le news importanti in ambito gay, lesbico e
bisessuale.
Comunque, alcune persone lo usano anche per il social networking: il corpus include
comunicazione elettronica informale dei segni e anonima, articoli dalla stampa corrente e tematica,
emissioni di stampa e trascrizioni radiofoniche.
!
La prima ipotesi predice che le etichette di categoria sociale coincideranno con (oppure spronano
l’introduzione di) etichette che contrastano le categorie: le etichette di categoria sessuale supporta
questa ipotesi e i contrasti tendono ad essere dicotomizzati, dando ad ogni etichetta un contrario
unico.
Homosexual e heterosexual sembrano essere entrati nella lingua inglese nello stesso momento,
attraverso la traduzione nel 1892 di Psychopathia Sexualis di Krafft-Ebing: comunque, heterosexual
non è tanto antico come homosexual in ungherese e tedesco, in cui homosexual fu introdotto due
decadi prima.
Tuttavia homosexual ha sempre avuto qualche autonomia se non quella presente, includente
normalsexual129: è interessante notare che homosexual era solo una di un numero di parole
sinonimo introdotte nella seconda metà del secolo diciannovesimo e una delle ragioni che Wayne
Dynes cita per il suo successo era che diversamente da Uranian e die konträre Sexualempfindung,
elementi contrastanti ne fossero facilmente derivati per via morfologica.
Oggi, straight è il massimo contrario per tutti gli orientamenti colloquiali dello stesso sesso e le
etichette di identità (gay, lesbian, dyke, queer): l’uso di straight come un contrario per questa
gamma di etichette potrebbe aver avuto inizio con il suo contrasto al queer nel gergo contraffatto130
!129
!130
!84
e/o attraverso il contrasto di gay (‘promiscuo, prostituzione’) e straight (‘rispettabile, virtuoso,
casto’)131.
Straight è disponibile come categoria di contrasto per tutte queste etichette dal momento che è ed
era altamente polisemico: il senso particolare ‘orientato verso il sesso opposto’ è relativamente
recente (la prima citazione dell’OED è del 1941), ma i suoi sensi conservati più a lungo associati
con la virtù e la normalità gli permisero di contrastare in particolare queer, anche quando queer
denota persona che sono orientate verso persone del sesso opposto come per travestiti e utenti di
sadomasochismo.
La prima ipotesi non preclude l’esistenza di più di due etichette contrastanti in un campo semantico:
comunque esiste una tendenza definita a polarizzare (terza ipotesi) e dicotomizzare il campo:
nell’etichettamento etnico negli Stati Uniti, qualsiasi motivo a metà tra black e white non è di solito
lessicalmente differenziato, sebbene i lessemi sono disponibili.
Allo stesso modo, un prodotto come disabled è in contrasto con able-bodied, che non è l’opposto di
partially abled (questo fenomeno non è il più piccolo per la categorizzazione sociale132): quindi,
sebbene bisexual non si è escluso dal campo che contiene homosexual e heterosexual o gay e
straight, come un’etichetta non polare, è meno saliente.
Per coloro che si identificano usando questa etichetta, questo fatto è legato al causare
dell’inquietudine: nell’identificarsi con un’etichetta una persona sviluppa un’identità basata sul
contrasto con un altro gruppo, ma contrastare qualcuno con più di un gruppo allo stesso tempo non
è facile, dal momento che i diversi criteri per la comparazione esistono di solito.
Quindi è naturale che le persone che si identificano con un’etichetta non polare contrastano la loro
categoria in primis solo con un’altra categoria: questo può essere visto nelle dichiarazioni politiche
degli attivisti della militanza bisessuale, per cui a volte i membri interni al gruppo contrastano il
loro gruppo con un estremo a volte con un altro (gay-lesbiche= non siamo etero)-(non siamo gay o
lesbiche).
Ma nella retorica militante bisessuale, il carico della doppia comparazione è a volte abbandonato
attraverso l’uso dell’etichetta monosexual, che denota sia esclusivamente rapporti tra persone dello
stesso sesso sia esclusivamente rapporti tra persone di sesso opposto: per questo motivo, il criterio
per la differenziazione dei gruppi non è l’orientamento dell’oggetto sessuale ma la rigidità di quel
!131
!132
!85
dato orientamento: sebbene la parola abbia una storia che data almeno 1922, non ha ottenuto uso
diffuso fuori dalla comunità militante bisessuale e i testi occasionali di psicologia133.
Infatti monosexual potrebbe non essersi sviluppato in alcuna maniera costante, dal momento che la
parola appare essere riconiata ripetutamente: per questo motivo, monosexual esiste solo per la
funzione contrastiva descritta nella prima ipotesi, dal momento che una persona usa l’etichetta
come autoriferimento primario.
In sintesi, la prova dell’etichettare la categoria sessuale supporta la prima ipotesi, ovvero i lessemi
per una categoria sociale coesistono con i lessemi con denotazioni contrastanti: inoltre, appare
supportare un’ipotesi più forte, ovvero che i membri interni avranno lessemi che si riferiscono ai
membri esterni in generale, per cui la mentalità ‘noi verso loro’ è lessicalizzata.
!
La seconda ipotesi afferma che i nomi della nuova categoria che sono incompatibili con un sistema
di categorizzazione accettata diventerà obsoleta oppure sottoporsi al cambiamento semantico per
essere compatibile con il sistema esistente: monosexual potrebbe dimostrare l’opzione
dell’obsolescenza.
L’incompatibilità potrebbe essere analizzata in termini di campi semantici del tipo descritto da
Adrienne Lehrer, per cui tali diagrammi delineano relazioni contrastanti orizzontalmente e relazioni
di iponimia verticalmente: un campo per le etichette della categoria sessuale include (1) (la
rappresentazione del campo è semplificata in modi diversi, per cui solo i termini considerati in
questo studio sono inclusi. Se quindi transsexual non è presente, le sovrapposizioni tra categorie
non sono mostrate, come la sovrapposizione tra gay e bisexual).
(1)
!
!133
!86
Il campo stesso è abbastanza mutabile, entro i suoi stessi limiti: per esempio non sarebbe un carico
maggiore sul campo per aggiungere una parola (byke) che denota solo donne con orientamento
bisessuale.
È possibile anche cambiare il campo in modo tale che un altro senso di queer include alcuni
eterosessuali, tanto che qualcuno potrebbe essere heterosexual ma non straight: tali spiegazioni del
campo hanno luogo infatti e vengono mostrati in (2).
(2)
!
I cambiamenti in (2) sono possibili perché non interferiscono con i sensi estesi in (1): comunque per
introdurre una parola, per esempio, che è intesa denotare le donne orientate esclusivamente verso
altre donne e le persone orientatare verso persone del sesso opposto si richiederebbe l’abbandono
del campo, dal momento che i suoi criteri per contrasto non sarebbero più validi.
In altre parole, tale categoria non potrebbe sostituire lesbian e straight perché altre categorie
intervengono in questo sistema: la seconda ipotesi predice il fallimento lessicale di una tale
categoria perché il campo esteso sarà mantenuto e le parole che non si adattano, non saranno usati.
Sebbene Murphy sostiene di esagerare sostenendo la morte di monosexual, una parola nel suo
proprio vocabolario attivo, la resistenza al suo uso tra persone che denota, indica che rimarrà gergo
bisessuale: assumendo che la situazione sociale continuerà a progredire nella stessa direzione in cui
è progredito per i passati venti anni, le persone identificatesi come esclusivamente orientate per le
persone dello stesso sesso e sesso opposto non hanno alcuna ragione per adottare un’etichetta che li
raggruppi insieme e li differenzi da ciò che è ora una categoria sessuale molto meno visibile.
Senza un ampio sostegno, monosexual diventerà come minimo, se non obsoleto, non utilizzato: il
problema per monosexual è la concettualizzazione della categoria ‘bisexual’ come intermedio tra
!87
l’orientamento esclusivamente orientato verso persone dello stesso sesso e l’orientamento orientato
verso persone del sesso opposto, come riflesso nella tabella (1) ma anche nelle scale del
comportamento sessuale o orientamento, come la scala di Kinsey134, in cui l’orientamento esclusivo
verso persone del sesso opposto è in un estremo, l’orientamento esclusivo verso persone del
medesimo sesso è su un altro estremo e l’orientamento orientato verso entrambi i sessi è posto nel
medio termine come nella figura (3)
(
3
)
!
La dicotomia bisexual/monosexual necessita di una scala in cui il medio di (3) sia un estremo, come
in (4):
(4)
!
Inoltre, monosexual forza l’abbandono del campo semantico in (1), dal momento che non osserva il
livello più alto del contrasto in quel campo: l’orientamento esclusivo verso il sesso opposto versus
l’orientamento esclusivo verso il proprio sesso.
Le sottocategorie che comprende non sono contigue per comprendere livelli diversi nella
tassonomia, come mostrato in (5)
(5)
!
!134
!88
Per questo motivo, se monosexual guadagna uso, sarà a spese di altre categorie come ‘queer’: a
questo punto un tale sviluppo appare altamente improbabile, eccetto presso alcuni gruppi
identificatesi bisessuali, che potrebbero preferire la scala (4) alla scala (3).
!
L’ipotesi tre propone che i nomi della categoria siano associati molto da vicino con i membri della
categoria che sono meno come membri di una categoria di contrasto rilevante: questa ipotesi è
supportata dall’uso di queer come sinonimo con lesbian e gay.
Quando gli attivisti della militanza sessuale iniiziarono a reclamare queer nella stampa, i dibattiti
sulle denotazioni, connotazioni e uso della parola ne seguirono: come un’etichetta irrisoria, queer
denotò chiunque fosse altro rispettto a straight e il queer richiesto è usato anche nello stretto
contrasto a straight, che sta per ‘chiunque che non sia parte della cultura principale eterosessuale’.
In questa vena, i e le bisessuali hanno adottato queer come un’etichetta di autoriferimento, come
nell’asserzione di Hutchins e Kaahumanu per cui un/a bisessuale in una comunità gaylesbo è un
‘queer tra queer’: gli accademici che promuovono una visione costruzionista dell’identità sessuale
usano queer per indicare qualsiasi rottura dall’ideale corrente del comportamento sessuale o
desiderio.
Le persone difendono il loro uso di queer, argomentando che è opportunatamente inclusivo: per
esempio, Gabriel Rotello dichiarava ‘quando si cerca di descrivere la comunità e devi elencare gay,
lesbiche, bisessuali, drag queen, transessuali (pre o post operazione di riassesto chirurgico), diventa
ingombrante e allora queer li include tutti e tutte’135.
Comunque, nella sua bonifica attraverso un movimento politico essenzialmente essenzialista, queer
ha anche acquisito popolarità come un sinonimo di gay/lesbian o homosexual, sebbene con effetti
diversi: per esempio, queer è usato come sinonimo di lesbian e gay, come in (6), e in constrato con
bisexual come in (7) nel manifesto distribuito nella New York Pride Parade del 1990.
In (8), è in contrasto con not hetero, indicante un’interpretazione polare:
(6) When a lot of lesbians and gay men wake up in the morning, we feel angry and disgusted, not
gay. So we’ve decided to call ourselves queer. Queers Read This. 1990.
(7) I also hate the medical and mental health establishments, particularly the psychiatrist who
convinced me not to have sex with men for three years in until we could make me bisexual rather
than queer. Queers Read This. 1990.
!135
!89
(8) If she is not queer, at least tell me she is not hetero! GN 12 Agosto 1994.
Allo stesso modo, molti autori che usano queer si indirizzano solo alle questioni per l’orientamento
esclusivamente orientato verso il proprio sesso e usano queer come un sinonimo di gay/lesbian136:
bisogna anche assumere che quando qualcuno dichiara che il 10% della popolazione è queer, quella
persona sta usando queer per homosexual per effetti diversi, non perché lui o lei stia abbandonando
qualsiasi delle differenze denotazionali tra le parole.
Quindi, mentre queer conserva il suo senso di ‘qualsiasi cosa tranne l’eterosessualità maschile o
femminile’, è anche usato come un sinonimo per homosexual, per cui la tabella (9) mostra
l’estensione per cui ciò è vero nel corpus che Murphy sintetizza in GN
(9)
SENSO
PRESI
Omosessualità maschile
1
Omosessualità maschile e femminile
5
Omosessualità e bisessualità maschile e 10
femminile
Qualsiasi membro radicale di minoranza 8 (sette di questi otto vengono dal magazine
sessuale
anarchico Love and Rage)
Sostenitore eterosessuale dei diritti civili gay
1
Riferimento alla stessa parola
7
Riferimento indeterminabile
22
!
Usi inclusivi ed esclusivi del queer potrebbero coesistere per del tempo, dal momento che
l’orientamento verso persone di sesso opposto (in particolare bisessuali) lo stanno utilizzando per sé
stessi e le persone che lo usano esclusivamente spesso agiscono in tal maniera senza intenzione: per
esempio, quando si invita al suo uso più esclusivo per la parola queer, un partecipante GN
apologizzava, come mostrato in (10).
Il restringimento di queer per essere equivalente a gay male (uomo omosessuale) era in questo caso
non direttamente intenzionale:
(10) A: …half the queers, dykes, and bi’s in America were there.
B: I thought dykes and bis ‘were’ queer.
!136
!90
A: [B] brought up the fact that dykes and bi’s are also queer. He’s right, and I’m sorry for the
mistake.
La terza ipotesi poi è sostenuta dagli schemi di polisemia nel queer tanto quanto dal grado di abilità
del queer basato su una interpretazione polare, come notato da Blasingame: ‘ i e le bisessuali sono
spesso visti/e come meno queer perché non si identificano come esclusivamente gay o lesbiche…un
sistema che ci opprime, ora ci ha portato a combattere per chi è ‘veramente’ queer’137.
Sebbene queer contrasti con straight, i suoi sensi più prossimi seguono la predizione per cui la
parola sarà associata con le persone che sono più differenti da chi è nella categoria contrastante: le
persone che sono associate più costantemente con l’etichetta queer sono appena coloro al polo più
estremo da coloro considerati straight, vale a dire coloro con orientamento esclusivamente verso
persone dello stesso sesso.
!
Le ipotesi quattro e cinque conducono ad apparente contraddizione nonostante predizioni ben
supportate: l’ipotesi quattro predice che i gruppi positivamente valutati saranno categorie esclusive,
mentre i gruppi negativamente valutati saranno categorie più inclusive: nelle culture in cui etero
verso omo è una base per la costruzione dell’identità, l’identità esclusivamente condotta verso il
sesso opposto è valutato generalmente oltre l’identità verso dello stesso sesso.
Per questo motivo, i sensi più prossimi sono predetti per le etichette come straight e heterosexual
che per gay, lesbian, bisexual e queer: comunque, l’ipotesi cinque predice che tra persone
esclusivamente identificatesi verso persone dello stesso sesso, le etichette autoreferenziali
porteranno sensi più prossimi e per coloro che sono identificati per entrambi i sessi, i bisexual e bi
avranno sensi più prossimi che le altre etichette.
I sensi esclusivi per le etichette sia del gruppo esterno orientato verso il sesso opposto, che è
valutato positivamente nella cultura prevalente, sia che dei gruppi interni sono riscontrabili nella
lingua delle comunità orientate verso lo stesso sesso: questi diversi usi possono essere visti per
adempiere scopi politici, sociali o retorici e comunque non è tanto comune trovare usi esclusivi di
bisexual e bi tra persone che si autoidentificano attraverso queste etichette.
!
Iniziamo con il considerare queer, gay e lesbian con riferimento all’ipotesi quattro, da cui straight e
heterosexual sono previsti rappresentare categorie esclusive: questo si riflette nella cultura
!137
!91
dominante e se una persona è definita straight, si assume che non abbia alcun sentimento sessuale o
romantico qualsiasi verso membri dello stesso sesso.
Tra le persone identificatesi con lo stesso sesso, straight potrebbe anche avere un senso esclusivo e
per questo motivo forzare queer, gay e lesbian ad essere più inclusivi: in questo caso, chiunque che
ha mai avuto desiderio o esperienza con lo stesso sesso è queer e in alcuni casi gay o lesbian.
Queer nel suo senso di ‘non esclusivamente etero’ sicuramente conferma questo punto, per cui in
alcuni contesti la parola è applicata ampliamente abbastanza per riferirsi a chiunque con
orientamento omosessuale e a volte anche a coloro senza orientamento omosessuale, come le
persone orientate verso il sesso opposto che partecipano nel cross-dressing, nel sadomasochismo, in
pratiche sessuali di schiavitù o chi si identifica politicamente con le minoranze sessuali, come in
(11) e (12):
(11) Gay, lesbian, bi, hetero or undefined, all the anarchist were queer in their own way. (GN, da
Love&Range, una rivista anarchica)
(12) SJP was featured in an Advocate cover story several months back, and she’s as queer as they
come (che significa etero-friendly piuttosto che lesbico o bisessuale) [GN- con le parentesi
nell’originale].
L’uso inclusivo di queer è visto anche nell’autoidentificazione, per cui i e le bisessuali nello studio
specialmente autoidentificatisi con queer, indicano che non credono che la parola li includa: le
risposte dei e delle bisessuali alla domanda ‘Quale etichetta applichi a te stesso/a?’ supporta questo
punto, come mostrato in (13).
Tra gli intervistati bisessuali, 84,3% si identificano come queer e il restante non considera
necessariamente queer come esclusivo, dal momento che molte persone scelgono di non usare queer
per altre ragioni:
(13)
T o t a l e Omosessualità Omosessualità Bisessualità Bisessualità A l t r o
(n=98)
m a s c h i l e f e m m i n i l e m a s c h i l e f e m m i n i l e (n=13)
(n=40)
(n=13)
(n=22)
(n=10)
Queer
56,1
55,0
46,2
81,8
90,0
0
Homosexual
45,9
72,5
53,8
27,3
30,0
0
Gay
68,3
95,0
76,9
68,1
40,0
Lesbian
17,3
0
92,3
4,5
40,0
!92
0
Dyke
20,4
0
84,7
4,5
80,0
0
Bisexual
32,6
5,0
23,1
86,3
80,0
0
Bi
33,7
7,5
15,4
90,9
80,0
0
Heterosexual
11,2
2,5
0
13,6
10,0
46,2
Straight
9,2
0
0
18,2
0
38,4
3,1
0
4,5
0
30,8
A l c u n e 8,1
etichetta
(tranne per la
categoria
‘Altri’, gli
intervistati
sono stati
assegnati a
categorie
secondo il
loro proprio
autodefinirsi.
Per questo
motivo, le
persone in
qualsiasi
categoria
nonostante
‘Altri’ che
selezionavano
l’opzione
‘ a l c u n a
etichetta’ si
etichettavano)
!
!93
Alcuni e alcune bisessuali usano anche gay e lesbian in senso inclusivo nell’autoidentificazione dal
momento che proporzioni significanti di bisessuali usavano queste etichette per autoriferirsi: allo
stesso modo, Hutchins e Kaahumanu includono una fotografia di distintivi con slogan, due dei quali
sono ‘Bisexual and Proud to Be Lesbian’ e ‘Bisexual and Proud to be Gay’.
L’applicazione inclusiva di gay e lesbian da persone orientate verso persone dello stesso sesso è
particolarmente evidente negli argomenti per i diritti civili rivolti a coloro che sono fuori dalla
comunità: l’intento è evidente, ovvero asserire che le persone orientate verso lo stesso sesso sono
così numerose che i diritti ‘gay e lesbian’ devono essere indirizzati.
A volte non è chiaro se l’intenzione sia includere le persone orientate verso persone di entrambi i
sessi o se l’esistenza delle persone orientate verso persone di entrambi i sessi non sia riconosciuto,
come nel contrasto tra gay e straight in (14):
(14) Whether we are black, Latino, white, straight, or gay, we must unite to make the administration
listen. (GN, dal giornale studentesco della Cornell University)
L’orientamento bisessuale appare essere inclusivo nell’uso di gay e lesbian per descrivere
caratteristiche storiche e solitamente tali dichiarazioni sono formulate nonostante il fatto che la
caratteristica storica non è nota per essersi identificata con queste etichette, e spesso queste
dichiarazioni sono formulate in barba all’evidenza che la persona era anche coinvolta con i membri
dell’altro sesso.
Come una dichiarazione che ‘Eleanor Roosevelt was a lesbian’ (GN) potrebbe essere asserita
usando l’interpretazione di straight come una categoria per essere riservata a coloro che sono
orientati esclusivamente verso il sesso opposto, mentre gay e lesbian si riferiscono in maniera
inclusiva a qualsiasi persona orientata verso lo stesso sesso.
!
L’applicazione delle etichette queer, gay e lesbian alle persone che non sono esclusivamente
orientate verso lo stesso sesso non prova che le parole hanno sensi inclusivi: invece, alcuni parlanti
potrebbero non stare ad usare le etichette in maniera inclusiva ma potrebbero stare a razionalizzare
l’applicazione dei sensi prossimi delle etichette a persone che non potrebbero appartenere a quella
estensione prossima.
Nel caso di figure storiche, qualcuno potrebbe dichiarare ‘Si, Eleanor Roosevelt era sposata, ma
questo non vuol dire che lei fosse orientata verso il sesso opposto, dal momento che era sotto forte
pressione per sposarsi’: per questo motivo, il parlare potrebbe applicare un senso prossimo di
lesbian alla Roosevelt (‘orientata esclusivamente verso persone del suo stesso sesso’).
!94
Tali strategie non sono limitate a figure storiche: Rust mostra che ‘nella comunità lesbica, gli
individui sono assunti essere omosessuali nell’assenza e spesso nonostante le prove del contrario’.
Se gay e lesbian ebbero solo significati inclusivi, non contrasterebbero con bisexual e per questo
motivo non sarebbero un problema da considerare per le esperienze verso il sesso opposto delle
persone, come equivalente alle loro esperienze verso lo stesso sesso nell’etichettarli come gay o
lesbian.
Comunque, gay e lesbian hanno chiaramente sensi prossimi polarizzati: l’ipotesi cinque, per cui
entro il gruppo le etichette sono usate esclusivamente, è supportata dall’evidente bisogno entro le
comunità gay e lesbiche di rispezzare le altrui esperienze orientate su persone del sesso opposto
come irrilevanti al loro orientamento sessuale (‘I had crusche on boys, but they don’t count’; ‘I’m
attracted to my wife, but not in the same way as men’).
Anche altre prove favoriscono l’ipotesi cinque: per ritornare a queer, la sua polarizzazione mostra
che è usata in un senso più stretto dai membri della minoranza sessuale e inoltre, gay e lesbian sono
usati esclusivamente nella retorica interna al gruppo.
Questo è rintracciabile nelle discussioni di chi è un ‘vero’ o ‘puro’ gay o lesbica, come in (15):
(15) I am a True Lesbian…This means I have no fantasies about having sex with men and I am
faithful in relationships with women. (da una lettera di Lesbian Connection, citata in Young, 1992).
Questa interpretazione stretta di lesbian o un’interpretazione esclusiva allo stesso modo di gay è
implicita di solito nel discorso autoreferenziale: se una persona risponde: ‘Sono gay’ alle avances
romantiche di una persona del sesso opposto, una persona implica che l’attrazione verso il sesso
opposto non è incluso negli intenti di una persona omosessuale.
Ulteriori prove di uso esclusivo di gay e lesbian possono essere rintracciate in situazioni in cui
queste etichette sono usate come sinonimi di homosexual, che grazie al suo contrasto morfologico
con bisexual è solitamente interpretato come orientato esclusivamente allo stesso sesso: in
conclusione, l’uso esclusivo di gay e lesbian è reperito in molti esempi in cui queste due etichette
sono usati in contrasto con bisexual, come in (16)
(16) But we (persone gay, lesbiche e bisessuali) need a safe space where we can feel comfortable
being ourselves! (GN).
In contrasto con l’osservazione che (alcuni/e) bisessuali usano lesbian e gay in maniera inclusiva,
facendo gruppo da lobby con persone bisessuali e organizzazioni bisessuali per avere la parola
bisexual inclusa nell’organizzazione e nei titoli evento indica o che alcuni/e bisessuali alcuni/e
!95
bisessuali vedono gay e lesbian come esclusivi in toto o che credono che gli altri interpretano queste
etichette esclusivamente.
Sulla stessa pagina di Hutchins e Kaahumanu che mostra il distintivo di ‘Bisexual and Proud to Be
Gay’, un altro distintivo afferma ‘Bi the way, don’t assume I’m gay’: i e le bisessuali appaiono non
accordarsi se ‘bisexual’ è un sottotipo di ‘gay e lesbian’ o una categoria contrastiva.
Gli intervistati dello studio indicavano che non usano le etichette gay e lesbian per riferirsi alle
persone la cui storia delle relazioni sessuali include qualsiasi esperienza con persone dello stesso
sesso (per relazione sessuale si includeva appuntamenti consensuali, fare sesso, toccarsi): su una
scala da 0 a 4 dove 0 sta per mai e 4 per sempre, la risposta media indica che loro solo
occasionalmente usano gay e lesbian per persone che non potrebbero essere considerati ‘straight’
nella cultura dominante grazie al fatto del loro avere qualche esperienza consensuale con persone
dello stesso sesso.
In contrasto, gli intervistati affermavano che è per loro più probabile usare queer in senso inclusivo
e le risposte in media per gruppo sono date in (17):
(17)
Tutti
Omosessualità Omosessualità Bisessualità Bisessualità Altro
maschile
femminile
maschile
femminile
Gay
0,956
1,076
0,692
1,15
0,777
O,666
Lesbian
0,978
1,153
1,166
0,95
0,666
0,5
!96
Queer (gli 1.904
1,705
2,416
2,368
2,6
0,857
intervistati
c
h
e
segnavano
0 perché
non usano
mai
la
p a r o l a
queer, erano
tabulati
come non
rispondenti
e per questo
motivo non
infieriscono
la media)
!
Lesbian appare essere più inclusivo di gay, sebbene questo non si riflette nell’uso autoriportato in
(17): per esempio, due magazines complementari pubblicizzati in Exit, un giornale gay e lesbico
sudafricano del 1994, sono ‘per donne omosessuali e bisessuali’ e ‘per ragazzi gay’: dal momento
che la compagnia non fornisce alcun magazine ‘per uomini bisessuali’, una persona viene lasciata
intendere che gay è inclusivo di bi, mentre lesbian non lo è.
Questa intuizione è riflessa nel riportare delle auto etichette nel questionario (vedi 13), mentre più
del 68% degli uomini identificatesi bisessuali si etichettavano anche gay, solo 4 su 10 delle donne
bisessuali si chiamavano lesbian: questo potrebbe essere spiegabile dalle relative posizioni sociali
dei bisessuali nelle comunità gaylesbo.
Come Rust nota, tra le donne omosessuali ‘la bisessualità è vista come una minaccia politica,
sociale e personale’138: se la comunità omosessuale maschile è più tollerante verso i membri
bisessuali della comunità omosessuali femminile, ciò significherebbe ragionare che la sua etichetta
sarebbe più inclusiva.
!138
!97
Per concludere, l’ipotesi quattro che ‘straight’ è una categoria esclusiva, è confermata nell’uso di
gay e lesbian, almeno nella retorica diretta ai membri fuori dal gruppo: l’ipotesi cinque che lesbian
e gay hanno sensi esclusivi tra persone orientate verso lo stesso sesso, è confermata di nuovo.
Il restringimento di questi sensi si raggiunge generalmente attraverso la polarizzazione:
naturalmente, l’etichettamento della categoria sessuale è affetta da più di solo un orientamento e
comportamento sessuale.
Il più importante, riflette l’identificazione con il gruppo di minoranza sessuale o la sua cultura come
mostrato nel lavoro di Rust sulla differenziazione della categoria lesbica e bisessuale: nel suo studio
‘solo un terzo delle intervistate identificatesi lesbiche affermava che erano attratte al 100% da
donne’.
Il restante 50 a 95% erano attratte da donne: allo stesso modo, nel loro studio degli uomini, Philip
Blumstein e Pepper Schwartz trovavano ‘della relazione coerente tra la quantità, il ‘mix’ del
comportamento omosessuale ed eterosessuale nella biografia di una persona e la scelta di quella
persona di etichettarsi come bisessuale, omosessuale o eterosessuale’.
!
Le etichette della categoria sessuale considerate si comportano secondo le ipotesi: comunque, l’uso
dei termini autoreferenziali da parte delle persone bisessuali non si adattano bene con l’ipotesi
cinque, che afferma che il significato di un’etichetta sarà più inclusivo tra i membri interni al
gruppo che tra i membri esterni al gruppo.
Al contrario, bisexual è usato più spesso per intendere ‘chiunque che abbia avuto sia esperienze sia
desideri verso persone del proprio sesso sia esperienze o desideri verso persone del sesso opposto’
da parte delle persone identificatesi bisessuali che le persone identificatesi gay o lesbiche: per
questo motivo, l’etichetta è più esclusiva quando usata da membri esterni al gruppo che quando
usata da membri interni al gruppo.
Allo stesso modo, Rust riferisce che per due volte nel suo studio sia le donne bisessuali che le
donne omosessuali hanno affermato che ognuno è o è potenzialmente bisessuale (30% vs 15%):
l’uso autoriportato di bisexual mostrato in (18) può essere comparato ai prodotti in (17).
Gli intervistati credono di usare bisexual in maniera meno inclusiva di queer ma in maniera più
inclusiva di gay o lesbian:
(18) STORIA DELLE RELAZIONI SESSUALI include QUALSIASI esperienza con persone dello
stesso sesso
!98
Tutti
bisexual
1,813
Omosessualità Omosessualità Bisessualità Bisessualità Altri
maschile
femminile
maschile
femminile
1,567
1,923
2,15
2,666
1,25
!
Esistono diverse spiegazioni possibili per il perché l’ipotesi cinque non è supportata dall’uso
bisessuale di bisexual: per prima cosa, lo status dell’identità bisessuale e la visibilità del movimento
bisessuale non sono così stabiliti come sono le identità e i movimenti gay e lesbici.
Mentre le persone si sono organizzate sulla base di un’identità gay e lesbica almeno dagli anni
Cinquanta del Novecento, le organizzazioni basate sull’identità bisessuale sono cresciute solo dai
primi anni Ottanta: inoltre, l’esistenza delle identità gay e lesbica sono state riconosciute e per
questo motivo rafforzate dai membri esterni al gruppo, mentre lo stesso non può essere detto per
l’identità bisessuale.
Per questo motivo, qualcuno potrebbe concludere che i e le bisessuali non hanno sufficiente potere
sociale per essere esclusivi nella loro definizione di bisexual: piuttosto che prendere il senso
esclusivo di bisexual che l’ipotesi cinque predice, i e le bisessuali potrebbero sentire il bisogno di
essere inclusi per rafforzare i loro numeri.
Questa spiegazione suggerisce che se il movimento bisessuale ha lo stesso successo nel portare
attenzione alla sua identità che il movimento gay e lesbico hanno avuto, allora bisexual diventerà
una categoria più esclusiva: comunque, un’altra spiegazione possibile è che cinque e cinque uno
non sono applicabili alle categorie che non sono in contrasto oppositivo ad un’altra categoria nel
campo.
Per mantenere questa spiegazione per bisexual, deve essere il caso che i e le bisessuali
generalmente si vedono come essere tra gay e straight su una visione scalare della sessualità: questo
è stato sicuramente la stima storica della categoria ‘bisessuale’.
Comunque se le e i bisessuali arrivano a vedersi in opposizione alla categoria ‘monosexual’
piuttosto che alle categorie ‘homosexual’ e ‘heterosexual’ allora l’estensione della parola è destinata
a diventare più esclusiva: la visione di ‘bisexual’ come una categoria indipendente da ‘homosexual’
e ‘heterosexual’ è stata promossa da diversi attivisti bisessuali e teorici della bisessualità139.
Se una tale visione diventa più generalmente accettata tra i e le bisessuali, si avrà l’opportunità di
testare questa ipotesi e si vedrà se un contrasto tra la ‘vera’ bisessualità e la ‘pseudobisessualità’ ne
!139
!99
deriva: un’altra spiegazione possibile è che le ipotesi cinque e cinque1 non sono valide per i gruppi
i cui membri credono che l’appartenenza al gruppo sia scelta.
Questa spiegazione assume che i comportamenti identificati attraverso l’ipotesi cinque sono causati
dalla percezione che una persona sia forzata in una particolare categoria piuttosto che in un’altra:
mentre è comune ascoltare che ‘non abbiamo alcuna scelta nell’essere gay o lesbica’, è meno
comune ascoltare persone dire che non hanno alcuna scelta nell’essere bisessuale.
La posizione ‘alcuna scelta’ per coloro che si identificano come gay o lesbiche ha dato supporto alle
scoperte recenti legate all’orientamento omosessuale con il particolare sviluppo neurologico:
comunque, tali dati non sono stati ricevuti dalla comunità bisessuale con lo stesso intento di
interesse o a volte rilievo che è rilevato nelle comunità gay e lesbica.
Al contrario, nei circoli politici bisessuali tali studi sono visti come fuorviati o intimiditi in cui
reificano una visione polare della sessualità che delegittimizza l’identità bisessuale: la scelta appare
essere un concetto nocciolo all’identità bisessuale, non solo in termini di scelta del partner sessuale,
ma in termini di identità, comunità e stile di vita.
Molte persone che si identificano come bisessuali riconoscono che potrebbero identificarsi come
gay/lesbian o straight se scelgono di esprimere le loro sessualità e politica in certi modi, sebbene
sentano che l’identificazione come bisexual è più ‘onesta’140: questa visione delle categorie sessuali
entra in conflitto con il modello dell’etnicità della categorizzazione sessuale e mentre qualcuno può
non affermare ‘Sebbene i miei genitori sono greci e io sono cresciuto nel New Jersey, io sono
Maori’, una persona può affermare ‘sono lesbica anche se vado a letto con uomini’ o ‘sono
bisessuale sebbene ho appuntamenti solo con donne’.
Se la nozione di scelta è ciò che conserva il bisexual dall’avere un significato esclusivo nella
comunità bisessuale, allora dobbiamo stabilire il perché, ovvero come la dinamica dell’identità e
l’etichettamento del cambiamento dipende da sé l’appartenenza al gruppo è basata sulla scelta o
ereditata e imposta: la differenza cruciale tra questi tipi di gruppi è la possibilità del reclutamento.
I e le bisessuali che riconoscono che scelgono la loro identità devono anche vedere almeno alcuni
membri delle altre categorie sessuali come aventi scelto le loro identità presenti, dal momento che
sanno che gli altri, quando presentati con la scelta ‘bisexual/homosexual/heterosexual’, potrebbero
prendere opzioni diverse: per questo motivo, il movimento bisessuale potrebbe vedere crescere i
suoi numeri non incoraggiando le persone ad annunciare un’identità che presumibilmente già
!140
!100
hanno, come nel dichiararsi pubblicamente per il proprio orientamento sessuale non eterosessuale,
ma incoraggiando le persone a scegliere un’identità diversa da quella che già hanno.
Per investigare il ruolo della scelta, le categorie basate su altre scelte devono essere esaminate, per
esempio le categorie di occupazione, politiche e religiose: una spiegazione possibile finale per la
bizzarria della categoria bisessuale nei sensi dell’ipotesi cinque1 è che i dati presentati non sono
rappresentativi.
Potrebbe essere il caso che un uso esclusivo di bisexual è usato nella comunità bisessuale ad un
grado più alto che nei gruppi esterni: sicuramente, i sensi esclusivi sono disponibili e usati.
Nel contesto di una categorizzazione bisessuale, i membri a volte discutevano se un nuovo membro
era ‘realmente’ bisessuale o se la persona avesse aderito al gruppo per adempiere altri scopi, come
realizzare una fantasia di ménage à trois o negare l’esclusività delle proprie attrazioni verso persone
dello stesso sesso: comunque, il senso esclusivo di bisexual appare più forte tra coloro che si
identificano come gay o lesbian.
Tali sensi esclusivi possono essere visti chiedendo identificazioni altrui come bisexual: per esempio,
in un articolo su un musicista che è dichiarato come avente un orientamento sessuale ‘flessibile’,
l’editore del magazine gay e lesbico sudafricano afferma:
In my opinion, Kerkorrel seems to be playing a bit of media gymnastics. Seems a little bit
reminiscent of the David Bowie- Mick Jagger closet-with-a-revolving door to me. Anyway, he says
he talks through his music. Well, what does River of Love say to you? I know what it says to me.
[dà il testo di una canzone d’amore con i pronomi al maschile]141.
L’insinuazione qui è che se un uomo è orientato verso uomini, deve essere gay: il messaggio è che
non è sincero dichiarare un orientamento sessuale bisessuale e all’altro estremo le persone che
dichiarano di essere bisessuali sono a volte forzati ad uscire dalle comunità gay e lesbica attraverso
l’uso di un senso esclusivo di gay e lesbian in combinazione con una visione dell’orientamento
sessuale come un dominio strettamente complementare, sia se si è eterosessuali sia se si è
omosessuali.
Questa considerazione è vista nell’affermazione di una donna omosessuale ventiduenne citata nel
magazine Mademoiselle: ‘Bis use lesbianism as a sex toy’.
!141
!101
In tali considerazioni, qualsiasi motivo medio tra gay e straight è escluso, in modo tale che l’uso
esterno al gruppo di bisexual non è solo esclusivo, ma è quasi mitico: bisexual diventa lo square
circle sessuale, un’espressione con un senso, ma per molte persone, un’estensione impossibile.
!
Dal momento che lo status della categoria di minoranza sessuale è spesso concettualizzata in
termini di un modello di etnicità, non è del tutto sorprendente che le categorie sessuali ed etniche/
razziali e le loro etichette hanno caratteristiche simili dal momento che in una certa misura la
categorizzazione della minoranza sessuale potrebbe mimare la categorizzazione etnica e razziale:
comunque, la categoria ‘bisexual’ sfida il modello della psicologia sociale cognitiva.
Considerando che la bisessualità ha un posto ambiguo nel modello dell’etnicità popolare, ciò
potrebbe non essere sorprendente e comunque alcuna spiegazione singola ovvia di questa
deviazione presenta sé stessa: per questo motivo, il lavoro richiedeva ulteriore lavoro per
determinare il perché bisexual ha un significato inclusivo tra i membri interni al gruppo.
Un’altra area di interesse è l’uso continuato di monosexual: le persone esclusivamente identificatesi
come attratte da persone dello loro stesso sesso e del loro sesso opposto che ascoltano di più questa
etichetta (attraverso una visibilità crescente di un’identità bisessuale), la rifiutano o ne cambiano il
significato? Il suo uso continuato nella comunità bisessuale incoraggerà l’autoconcettualizzazione
in termini di scala di genere materiale/genere immateriale? E avrà tutto ciò un qualsiasi effetto sugli
autoconcetti gay, lesbici ed etero?
Le domande poste sono molte e altrettanto quelle verso cui rispondere.
!
1.9. La gergalità nella gergalità: il linguaggio dei segni
Durante gli anni Ottanta i parlanti di ASL (Linguaggio dei Segni Americano), tenendo conto dei
trend attuali nell’uso linguistico, hanno sviluppato forti opinioni sull’appropriatezza del politically
correct di certi segni addebitati: queste opinioni hanno a loro volta influenzato le persone che
interpretano la lingua per la comunità udente.
Mala S. Kleinfeld e Noni Warner quindi hanno studiato sia i membri della comunità non udente sia
sordi che udenti, e la variazione nel loro uso dei segni per le persone gay, lesbiche e bisessuali: dal
momento in cui la ricerca sul Linguaggio dei Segni Americano è iniziato solo nel 1960, esiste una
letteratura limitata disponibile sulla terminologia gay e le variazioni di tale terminologia.
L’intento del loro studio è stato quello di scoprire i ruoli sociolinguistici che comportano
l’applicazione dei segni per l’identità culturale omosessuale: è uno studio sia sui segni utilizzati nel
!102
passato sia sui segni che i parlanti utilizzano attualmente, senza ignorare il comportamento
attraverso questi segni sia entro che senza la comunità che ne fa uso.
Nella comunità non udente degli Stati Uniti, l’ASL sta diventando sta diventando sempre di più la
lingua più accettata dei non udenti, tale per cui persone da ogni angolo del mondo arrivano negli
Stati Uniti per studiarlo: nel 1989, per esempio, la Gallaudet University ha ospitato il ‘Deaf Way’,
una conferenza internazionale per non udenti in cui hanno partecipato parlanti di diversi linguaggi
dei segni da ogni parte del mondo.
Questo contatto con le altre lingue dei segni, ebbe una forte influenza sui partecipanti parlanti di
ASL, in particolare a livello lessicale, per molte persone nella comunità di non udenti americani
tanto da aver ora adottato i segni nativi per alcuni paesi: un segno simile al segno del Linguaggio
dei Segni Giapponese, per esempio, è stato adottato dagli utenti ASL ed è ora più comunemente
usato dell’originale segno ASL.
Il primo segno, prodotto sull’angolo esterno dell’occhio una configurazione con la mano ‘J’ veniva
visto come offensivo per i nipponici perché richiedeva attenzione su una differenza anatomica
(configurazione oculare): il nuovo segno al contrario è prodotto nello spazio di fronte al petto
dell’utente con una configurazione della mano a ‘L’ su ciascuna mano come un contorno della
configurazione del Giappone.
La decisione di usare questo segno come opposto al vecchio segno appare essere basato sulle
considerazioni di correttezza politica: i segni che si riferiscono all’identità culturale omosessuale
hanno subito trasformazioni comparabili negli anni recenti: nella parte occidentale degli Stati Uniti,
per esempio, il segno GAY è stato prodotto tradizionalmente sul mento usando la configurazione
con la mano ‘G’ o ‘Q’.
Negli pochi anni passati, un segno più neutro #GAY è stato adottato da molti membri della
comunità omosessuale (nella sua resa scritta, la glossa del segno è preceduta dal portello incrocciato
# per indicare che questa è una forma lessicalizzata di una sequenza ortografica mediante il dito): di
nuovo la scelta del segno è condizionata dall’attitudine del parlante nella comunità in questione.
Questo fatto è confermato da James Woodward nel suo libro Signs of Sexual Behavior142:
Woodward, un ricercatore udente, enfatizza quanto è importante è per le persone udenti stare attenti
con le loro traduzioni dall’inglese all’ASL, elencando un numero di variazioni di segni usati nella
comunità non udente per i termini gay e lesbian.
142
!
Cfr: Woodward, James (1979). Signs of Sexual Behavior: An Introduction to Some Sex-related Vocabulary in
American Sign Language. Silver Spring, MD: T. J. Publishers.
!103
Egli scrive del bisogno di reperire quali segni sono considerati politicamente corretti, chiedendo
direttamente alle persone non udenti, e il suo lavoro si pone come una collezione di tali dati: dal
momento in cui molte persone non udenti sono riluttanti a mostrare alle persone udenti i loro segni
per le attività intime o i concetti taboo, Woodward pubblicò il suo libro per avvantaggiare i
professionisti udentiche lavorano nel campo della sordità.
Molto è cambiato dal 1979, comunque, in particolare nell’ambito dei desideri delle persone non
udenti di discutere apertamente dell’ASL con persone udenti: è su questo che Mala S. Kleinfeld e
Noni Warner puntano.
Un sondaggio è stato condotto alla Gallaudet University nel 1981 da William Rudner e Rachelle
Butowsky, che intervistarono dodici uomini e donne eterosessuali, dieci uomini omosessuali e
undici donne omosessuali, tutti/e non udenti: fotografie di 14 segni furono mostrate ai diversi
gruppi nello studio e le loro glosse inglesi erano comparate con coloro in questi altri gruppi.
I ricercatori studiarono le attitudini e le connotazioni che erano legati a ciascuno dei segni: nel
1993, come studio seguente a questo primo studio, circa 35 membri della comunità omosessuale
non udente delle aree di Washington, D.C., Virginia, e Maryland si unirono per un giorno al fine di
discutere questioni culturali e linguistiche a proposito di queste persone non udenti nella comunità
omosessuale143.
I partecipanti furono divisi in due gruppi per discutere segni lessicali comunemente usati nella
comunità omosessuale e per identificare quali segni erano visti come politicamente o spoliticamente
corretti: sebbene i risultati di queste conferenza non sono stati ancora pubblicati, Mala S. Kleinfeld
e Noni Warner hanno registrato le informazioni più aggiornate riguardo il corpus dei segni lessicali
usati nella comunità omosessuale e le attitudini che si trovano nel loro usi.
Un numero di fattori influenzò la scelta dei segni in ASL, tra la loro comunità, registro e contesto:
nel Sociolinguistic Aspects of the Black Deaf Community, Anthony Aramburo mostra che i membri
della comunità afroamericana non udente hanno il loro proprio corpus di prodotti lessicali non visti
come loro dialoganti con i non membri della comunità144.
Il lessema inglese SCHOOL usato nella comunità non udente afroamericana, per esempio, è diversa
dal segno per school usato fuori dalla comunità: non solo i membri hanno il loro proprio dialetto,
143
!
Questa informazione fu raccolta da una videoregistrazione della Prima Conferenza di Linguistica dell’ASL, in
dotazione a Clayton Valli: La conferenza, tenutasi per la comunità di uomini e donne omosessuali non udenti, si è svolta
nel Old Post Office Pavilion di Washington, D.C.
144
!
Cfr: Aramburo, Anthony (1989). ‘Sociolinguistic Aspects of the Black Deaf Community’. In Ceil Lucas (ed.), The
Sociolinguistic of the Deaf Community. San Diego: Accademic Press, pp. 103-119.
!104
quindi, ma anche loro utilizzano questo dialetto solo quando ci si parla tra membri della medesima
comunità: la variazione del registro a questo punto è allo stesso modo influente.
In Towards a Description of Register Variation in ASL, June Zimmer argomenta che i messaggi
segnati differiscono a tutti i livelli (fonologico, morfologico, lessicale, sintattico, discorsivo) e che
le differenze percepite sono correlate al registro145: infatti, il significato di una frase può essere
alterato nel processo traduttivo se le lingue non sono abbinate per il registro.
E anche il contesto è un fattore importante dal momento che gli utenti usano la lingua in maniera
diversa per situazioni diverse: guardando ai diversi usi dell’inglese dei segni e dell’ALS, per
esempio, Zimmer ha evidenziato che ciò che era considerata una diglossia nella comunità non
udente è infatti non riconosciuta come tale.
Mentre si pensava che l’inglese dei segni rappresentava un dialetto altamente pregiato e l’ASL un
dialetto di basso prestigio, il primo è infatti un sistema di comunicazione manuale inventato circa
due decadi fa come un tentativo per insegnare alle persone non udenti l’inglese: durante gli anni
Settanta, l’inglese dei Segni fu usato nell’istruzione dei bambini non udenti ed è ancora usato oggi,
sebbene in maniera non così estesa come in passato.
L’ASL, in una diversa prospettiva, è una lingua dei segni naturale per i non udenti, perché ha la sua
propria struttura morfosintattica ed è abbastanza diversa dall’inglese: la ricerca operata da Mala S.
Kleinfeld e Noni Warner coinvolge a questo punto 13 interpreti udenti e 12 utenti non udenti della
Gallaudet University.
Gli informanti non udenti sono stati selezionati casualmente nella facoltà, nello staff e tra gli
studenti, sebbene si è fatto in modo di includere un numero equo di persone eterosessuali ed
omosessuali: sei uomini (due omosessuali, un bisessuale e tre eterosessuali) e sei donne (tre
omosessuali e tre eterosessuali) hanno partecipato in questo studio e l’unico criterio usato nella
selezione è stato quello per cui i partecipanti dovrebbero essere utenti fluenti e non udenti.
Il gruppo udente consisteva di 13 interpreti scelti a caso anche dipendenti della Gallaudet
University: quattro uomini (due omosessuali e due eterosessuali) e nove donne (sei eterosessuali,
due lesbiche e una bisessuale)146.
La tabella seguente descrive aspetti rilevanti dei background dei convenuti:
145
!
Cfr: Zimmer, June (1989) ‘Towards a Description of Register Variation of Registers in ASL.’ In Ceil Lucas (ed.), The
Sociolinguistics of the Deaf Community. San Diego: Academic Press, pp. 253-272.
146
!
Questi dati sull’orientamento sessuale degli informanti sono stati raccolti da un foglio che gli informanti hanno
compilato prima dell’intervista, con la modifica che le donne bisessuali sono state classificate per il fine di questo
studio con le donne omosessuali.
!105
SOGGET GENERE ORIENTAMEN D
TI
A COLLOCAZIO TIPO DI S T A T O
TO SESSUALE QUANT N
E SCUOLA FAMILIARE
I ANNI GEOGRAFICA
SI
E’
APPRES
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L’ A S L /
ETA’ IN
CUI SI
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APPRES
O L’ASL
1
M
E
10
California
U
2
M
G
11
Florida
U
3
F
E
3
Wisconsin
U
4
F
E
8
Ohio
Du
5
F
B
2
Florida
U
6
F
L
10
California
U
7
F
E
2
Illinois
U
8
F
E
3
California
U
9
M
G
13
Indiana
U
10
F
L
6
Oregon
U
11
F
E
15
Maryland/ DC
U
12
F
E
15
Illinois
S
13
M
E
1
Vermont
U
A
M
G
A l l a North Carolina
RES
S
RES
U
MS
U
nascita
B
M
G
3 anni
C
M
B
3 anni e Wisconsin
mezzo
!106
Massachussets
D
M
E
A l l a New Mexico
RES
S
H/MS
U
RES
S
nascita
E
M
E
11 anni
Minnesota
F
M
E
A l l a Maryland/DC
nascita
G
F
L
5 anni
New York
RES/H
U
H
F
L
20 anni
California
H
U
I
F
L
A l l a Wisconsin
RES
S
nascita
J
F
E
15 anni
Ontario
H/RES
U
K
F
E
14 anni
Kentucky
RES/MS
U
L
F
E
5 anni
Pennsylvania
RES/MS
U
!
È interessante notare in questa tabella in cui le lettere vengono usare per le persone non udenti
mentre i numeri per le persone udenti come solo due interpreti erano utenti nativi: questa
proporzione è una buona rappresentazione della proporzione degli utenti nativi tra gli interpreti
negli Stati Uniti.
Alla Gallaudet circa il 10% degli interpreti sono utenti nativi: sei degli interpreti di questo studio
possiedono il certificato dal Registro degli Interpreti del Non Udenti (RID): il 40% degli interpreti
acquisivano il linguaggio dei segni acquisirono il linguaggio dei segni sulla costa occidentale; il
30% imparò il linguaggio dei segni nel Midwest e un altro 30% sulla costa orientale.
Tutti i partecipanti non udenti sono cresciuti non udenti, otto sono utenti nativi e quattro hanno
imparato l’ASL in un periodo non precode della loro vita, solitamente nella tarda adolescenza: due
erano della costa occidentale americana, cinque della costa orientale, tre dal Midwest settentrionale
e due dal Sud.
Le interviste sono state condotte separatamente da ciascun ricercatore e tutte le sessioni della
raccolta dati e interviste sono state registrate: i disegni sono stati usati per incoraggiare la
produzione di lessemi dagli informanti non udenti e per evitare l’uso di spelling con le dita
dell’intervistatore in modo tale che gli utenti avrebbero focalizzato sull’ASL e non sarebbero stati
influenzati dall’inglese come indica l’appendica A: gli interpreti hanno ascoltato una registrazione
audio di una lettura che incorporava diversi lessemi chiave, come da appendice B.
!107
Mentre si stava suscitando l’informazione in risposta alle foto e alle registrazione audio, si è preso
nota dei lessemi specifici utilizzati dai partecipanti per riferirsi sempre a costoro più tardi nella
sezione dell’intervista: dopo la collezione dei dati agli informanti è stato chiesto di discutere ciò che
loro avevano segnato e di rispondere ad una serie di domande
1. conosci altre varianti del lessema usato nella lettura?
2. perché hai scelto di non usare queste varianti durante l’interpretazione o la descrizione delle
fotografie?
3. credi che alcuni dei segni hanno connotazioni specifiche connesse a loro?
4. consideri un segno più appropriato di un altro?
A questo punto è stata rilevata una grande quantità di variazione nei segni usati per descrivere le
persone omosessuali e gli aspetti della vita di una persona omosessuale: ci sono prove determinanti
per cui determinati segni non sono accettabili per l’uso dei non membri della comunità.
La gamma dei segni usati nella comunità non udente che sono qui presentati è mostrata nella figura
seguente:
!
Da notare, inoltre, che i segni dell’ASL vengono espressi in lettere maiuscole (es: GAY), mentre i
termini di spelling con le dita incorporano un trattino (es: D-R-A-G): lettere in minuscolo sono usati
per esprimere concetti in ASL e diversi segni lessicali potrebbero essere associati con qualsiasi
concetto.
Questo albero tassonomico mostra come l’ASL ha una varietà di segni per designare il medesimo
referente: negli anni recenti, comunque, alcune di queste varianti hanno adottato nuovi significati e
non possono più essere sostituiti per altre varianti.
!108
L’analisi qui posta quindi è divisa in tre sezioni: la prima sezione esplora le differenze
nell’interpretazione delle dodici parole inglesi usate da due gruppi di informanti147, la seconda
sezione fornisce le variazioni fonologiche per il segno LESBIAN e la terza discute le
rappresentazioni del termine gay.
BISESSUALE: il termine bisexual varia secondo la regione in cui una persona ha imparato a
renderlo in segni o per prima ha interagito con persone omosessuali. La prima variante coinvolge
lo spelling con le dita B-I-S-E-X-U-A-L nella sua totalità. Alcuni informanti eterosessuali
scelgono di fare lo spelling con le dita ‘bisexual’. Comunque il segno usato in maniera più
massiccia dagli altri informanti era il segno con lo spelling delle dita lessicalizzato #B1. Un’altra
variante è usata dagli interpreti sulla costa occidentale. Questo segno è prodotto con la
configurazione della mano ‘V’ che contatta il lato dell’occhio con l’indice e si muove verso il
basso verso una curva a ‘V’, che termina il contatto al lato della bocca.
Altri convenuti dalla costa occidentale al lato della bocca segnavano NUM-TWO+GENDER e i
partecipanti addestrati sulla costa orientale trovavano comunque questi due segni ‘brutti’, ‘strani’
e ‘difficili da produrre’.
La variazione finale di bisexual è un verbo, lessicalmente parlando. Sebbene molte persone che lo
producono sono ignari della sua classe grammaticale, alcuni intervistati concordono che questo
segno funziona come un verbo e non un nome. Il segno è prodotto a livello del collo con una
mano debole rivolta verso l’interno nei confronti dell’utente con il movimento della mano a ‘V’ e
la mano dominante che si muove all’indietro e via con una curva a ‘V’;
!
può essere anche prodotta con entrambi i movimenti di mano in una formazione a curva ‘V’.
Il segno connota un individuo che ha più di un partner sessuale alla volta: la mano dominante è
vista come rappresentante il bisessuale, mentre l’altra mano rappresenta i partner. È anche
considerato come derivante dal segno SLUT. Molti dei partecipanti considerano questa variante
una scelta di segno inappropriato dal momento che descrive le azioni di una persona piuttosto che
la persona stessa.
147
!
Cfr: Kleinfeld Mala S. e Noni Warner (1994): ‘Prescriptivism in the Deaf Community Relating to Gay, Lesbian, and
Bisexual Signs’. In Elizabeth Winston (ed.), Communication Forum. Washington, D.C.: Gallaudet University Press, pp.
67-97.
!109
BUTCH-DYKE: il prossimo lessema è il termine butch che è reso con le dita dalla maggior parte
degli intervistati eterosessuali. La maggior parte degli intervistati omosessuali segnano MACHO
o B-U-T-C-H. Il segno MACHO
!
è anche glossata come GANG da alcuni intervistati che sentono anche che il segno non era un
riferimento appropriato per una lesbica. 90% degli intervistati eterosessuali scelgono di fare lo
spelling B-U-T-C-H piuttosto che rischiare di offendere qualcuno. In questo caso sembra esserci
della confusione tra tutti i gruppi a proposito delle connotazioni precise di questo segno. Allo
stesso modo quella società udente non vede il termine dyke positivamente, la comunità non udente
è in disaccordo su cosa sia una ‘dyke’ e cosa significhi il termine. Quindi lo stile nel produrre D’Y-K-E è stato lessicalizzato nel #D-(Y)K-E, dove la Y scema e la K non è completamente
formata. Non c’è nessuna persona eterosessuale tra gli udenti o non udenti che usa il lessicato
#DYKE formato con le dita.
DRAG: nei pochi anni passati un nuovo segno per drag è stato preso in prestito dalla Germania.
Alcuni degli interpreti omosessuali considerano il nuovo segno DRAG-CL di moda,
sostenendo che è appropriato per lo stile di vita glamour che dipinge. Prima di questo segno
europeo fu introdotto nella comunità non udente statunitense sia gli intervistati udenti che non
udenti usavano un segno all’inizio influenzato dal sistema inglese D+GIRL.
Il D+GIRL non viene accettato da individui che hanno perfomance negli spettacoli drag o
indossano occasionalmente abiti drag. La maggior parte degli uomini omosessuali in entrambi i
gruppi, tanto quanto un gruppo di poche lesbiche, producevano DRAG-CL. Tutte gli altri
informanti, udenti o non udenti che siano, sceglievano di fare lo spelling con le dita di drag.
!110
EFFEMINATE-FEMININE: questi termini (in italiano effeminato e femminile) sono spesso
usati nella comunità omosessuale per descrivere caratteristiche di gay e lesbiche. Il segno
EFFEMINATE
quando usato da persone non udenti descrive donne femminili ma per gli uomini indica un
comportamento effeminato. Gli interpreti che partecipano nella ricerca riportano che
EFFEMINATE si riferisce solo a uomini, sostenendo che loro mai hanno prodotto questo segno
per descrivere una donna. I soggetti udenti #FEM per riferirsi alle donne quando descrivono
caratteristiche molto femminili. Una piccola percentuale dei soggetti non udenti usavano #FEM
per riferirsi alle donne. Le lesbiche udenti e non udenti affermavano di preferire #FEM a
EFFEMINATE. I partecipanti gay e lesbiche sentivano fortemente che i termini per fag e fairy
non dovrebbero essere usati dalla comunità eterosessuale, indicando che tale uso era molto
offensivo. Sentivano anche che i membri della comunità omosessuale dovrebbero usarli solo
come una forma di presa in giro, come HOMO-8.
!
Quando questi termini sono segnati, lo spelling con le dita è lessicato a #FAG e #FAIRY. Mentre
alcuni intervistati segnavano questi termini come HOMO-8, altri usavano il gesto LIMP-WRIST
per indicare il comportamento effeminato.
HOMOSEXUAL: Molti intervistati facevano lo spelling con le dita per H-O-M-O-S-E-X-U-A-L.
Quando il contesto richiede l’etichettatura di un gruppo di persone, come nella lettura, alcuni
intervistati omosessuali ed eterosessuali affermavano che avrebbero usato altri varianti. Era chiaro
tra gli intervistati omosessuali che homosexual è considerato un termine medico e non
l’equivalente di gay. Generalmente gli intervistati sceglievano di fare lo spelling con le dita. Altri
usavano il composto G+mento^LESBIAN oppure LESBIAN^#GAY (lesbi-gay al fine di mostrare
rispetto per entrambi i generi). Un parallelo potrebbe essere visto nella comunità non udente
nell’uso dei termini omosessuale versus gay e udente compresso versus non udente. Mentre
l’udente compromesso è un termine medico che si riferisce allo stato logico dell’audio di una
persona e tende ad essere definita sostanzialmente, sorda è un termine culturale che si riferisce
allo stato culturale della persona nella comunità non udente e tende ad essere più specifica.
!111
COME-OUT: uno dei termini più importanti della comunità omosessuale e bisessuale, e per
questo più esposti ad una degergalizzazione, è la parola coming out, dichiarare pubblicamente la
propria omosessualità o bisessualità. In anni recenti c’è stato un forte movimento di coming out
sia nella comunità udente che nella comunità non udente: diversi segni sono emersi in relazione a
questo topic ognuno dei quali codifica diverse attitudini sociali. Parlando con diversi informanti,
si scopre che esistevano opinioni molto diverse su quale segno è più appropriato. Prima di tutto, il
termine coming out può significare cose molto diverse tra di loro. Per esempio, qualcuno può aver
fatto ‘coming out’ a sé stesso, nel cui caso la maggior parte degli intervistati userebbero il segno
glossato inglese di ADMIT (sia con una che con due mani) con un segno classificato come
LESBIAN o GAY. Questo segno è molto popolare tra gli utenti della costa occidentale. Un altro
segno, usato sia da informanti omosessuali che da informanti eterosessuali indifferentemente è
ANNOUNCE, che ha bisogno anche di un identificatore come GAY o LESBIAN. Gli interpreti
che usano questi due segni (ADMIT o ANNOUNCE) sentono che loro rappresentavano una
traduzione concettuale. Entrambi erano visti come politicamente corretti ed erano accettati dagli
informanti non udenti. Esiste poi un segno più generale per coming out, un segno che è glossato
come RESIGN.
Gli interpreti esaminati credevano che questo segno usasse il segno base per CLOSET, cambiando
la mano dominante per mostrare il movimento di ‘coming out’. Gli informanti udenti e non udenti
sentivano che questa scelta di segno non era solo basata sull’inglese ma anche dispregiativo per
persone omosessuali a causa del suo immaginario iconico. Un altro segno usato da persone udenti
e non udenti sulla costa atlantica è 2H-OPEN^COAT.
Un informante di sesso biologico femminile ed eterosessuale, comunque, ha dichiarato che questo
segno ritrae le persone omosessuali come ‘persone che si disinibiscono senza esitazione
preferendo il segno ADMIT o ANNOUNCE.
!
1.9.1. Variazioni fonologiche per il segno LESBIAN e analisi dei dati
!112
A questo punto, Mala S. Kleinfeld e Noni Warner osservano la prima gamma di segni che riflettono
delle variazioni fonologiche per il termine lesbian148: registrazioni video, questionari e questionari
sui background degli informanti da Kleinfeld e Warner (1994) venivano analizzati ulteriormente per
studiare l’uso della quattro varianti del segno LESBIAN. Ulteriori interviste con alcuni informanti
erano necessarie per fornire uno stabilimento per le conclusioni che volevano rilevare gli autori di
questo studio.
La nota fonetica149 delle quattro varianti di LESBIAN è stata preparata e appare nelle seguenti
figure150:
!
a!
b
148
!
L’analisi dei dati provenienti dagli interpreti udenti in questa sezione è stata presa da Kleinfeld Mala S.: ‘Variation
among Sign Language Interpreters: The Case of LESBIAN’. Department of Linguistics, Georgetown University.
149
!
Cfr: Liddell, Scott e Robert E. Johnson (1989): ‘American Sign Language: The Phonological Base.’ Sign Language
Studies 64:195-277; la nota fonetica di Johnson viene usata per descrivere ogni variante e sarà usata anche altrove.
150
!
Kleinfeld Mala S.: ‘Variation among Sign Language Interpreters: The Case of LESBIAN’. Department of
Linguistics, Georgetown University.
!113
!
c
!
d
Dunque, l’immagine a mostra la Variante 1 (d’ora in poi V1), che è prodotta sul mento con una L
creato con la mano, che viene ad avere un contatto con il mento con la membrana interdigitale tra il
pollice e l’indice: la produzione di questo segno ha una struttura retta sul movimento M-H.
Tutti i fattori MHMH sono inizialmente solo questi, ma passano per un processo morfologico noto
come ‘Hold Deletion and Movement Empenthesis’, che termina come un MMMH: nella figura a
MH viene posta con la reduplicazione, mentre nelle figure b-d sono MMMH: è importante notare la
differenza del movimento in V1 in contrasto con quella di V2, mostrata nelle figura b.
Il segno viene prodotto nella medesima maniera che V1, a parte il fatto che il movimento del segno
è Movement-Hold-Movement-Hold (M-H-M-H): le figure a e b appaiono essere le medesime,
tranne per i segnali non manuali che accompagnano V1.
Una maggioranza di nomi nella ASL segue la struttura M-H-M-H: V2 è il segno rappresentato nei
dizionari del segno e in tutti gli altri libri in cui viene trattato LESBIAN, senza considerare che è
noto come la forma di citazione per LESBIAN.
La terza variante V3 mostrata nella figura c, è prodotta con la stessa forma di mano di V1 e V2,
tranne per il fatto che il punto di contatto è alla congiunzione dell’indice o di mezza falange: la
struttura del segno segue anche la struttura M-H-M-H prima che i processi fonologici vengano
applicati.
Esiste una gamma di possibili punti di contatto per questo segno che va dall’osso prossimo a metà
dell’indice: l’ultima variante (V4) che qui è presente nella figura d è prodotta con la punta
dell’indice che tocca il mento, mentre tutte le altre caratteristiche sono esattamente le medesime del
V1 attraverso il V3.
!114
La struttura della versione a punta è M-H-M-H e il punto di contatto può oscillare dalla metà del
dito attraverso l’osso che dista, alla punta o blocco dell’indice: riassumendo, l’albero tassonomico
seguente mostra la variazione quindi del segno LESBIAN:
!
!
A questo punto, dall’analisi delle informazioni fornite dagli intervistati, la seguente tabela mostra
l’uso degli informanti delle varianti per LESBIAN:
INFORMANTI
U
o
m
V1 (WEB, MH)
V2 (WEB)
V3 (JOINT)
V4 (TIP)
o
D
1, 13, D, E, F
a J
7, K, L
3, 4, 8, J, L
4, 11, 12, K
a
(10)
5, (10), G, H, I
5, 6, G, H
o
C
A,B,C
2, 9, A, B
eterosessuale
D
o
n
n
eterosessuale
D
o
n
n
omosessuale
U
o
m
omosessuale
Solo una informante, donna eterosessuale (J) produce V1: V2 è stato prodotto comunque da un
uomo eterosessuale (D), tre donne eterosessuali (#7, K, L) una donna omosessuale (#10) e un uomo
omosessuale (C); V3 è stato prodotto da cinque uomini eterosessuali (1,13, D, E, F) cinque donne
eterosessuali (3, 4, 8, J, L) e cinque donne omosessuali (5, 10, G, H, I); in conclusione V4 non è
stato prodotto da nessun uomo eterosessuale ma quattro donne eterosessuali lo hanno prodotto (4,
11, 13, K), una delle quali ha prodotto anche V3 (#4).
Tre delle quattro interpreti donne eterosessuali sono state in questo ambito più tempo delle altre tre
interpreti donne e hanno evidentemente accresciuto il loro sapere di segni e il loro uso: quattro
donne omosessuali (5, 6, G, H) e quattro uomini omosessuali (2, 9, A, B) hanno prodotto V4.
!115
Un certo numero di domande ha cominciato a porre l’evidenza che come ricercatori si ha il bisogno
di rispondere alla domanda: gli informanti hanno scelto queste varianti sulle altre? In tal caso,
perché? Gli informanti stavano selezionando varianti specifiche per situazioni particolari o erano
influenzati dal paradosso degli osservatori? La presenza di un’altra persona nella stanza in modo
particolare quando quella persona stava ascoltando come in questo caso, potrebbe influenzare la
scelta lessicale dell’utente.
Per avere risposte a queste domande, si è chiesto agli informanti sulle loro risposte durante un
processo di intervista: agli informanti è stato chiesto per esempio ‘Usi questo segno particolare per
LESBIAN [si mostra quale variante è stata usata]. Conosci altri modi per esprimere questo segno?’
Se la persona era insicura su cosa si stava chiedendo loro, la domanda veniva riformulata: ‘Tu hai
usato questo particolare segno per LESBIAN: hai visto questo segno?’ (Un’altra variazione di
questo segno viene poi mostrata).
A questo punto viene evidenziata nella seguente tabella come la maggior parte degli informanti
erano consapevoli di tutte le varianti esistenti:
RISPONDENTI
U
o
m
V1 (WEB, MH)
V2 (WEB)
V3 (JOINT)
V4 (TIP)
o F
1, 13, D, F
1, 13, D, E, F
F
a 4, 11, 12, J, L
3, 4, 7, 8, 11, 12, 3, 4, 8, 11, 12, J, 4, 11, 12, K
eterosessuale
D
o
n
n
eterosessuale
D
o
n
n
J, K, L
K, L
a 5, 6, G, H, I
5, 6, (10), G, H, I
5, 6, (10), G, H, I
5, 6, G, H, I
o 2, 9, A, B
2, 9, A, B, C
2, 9, A, B, C
2, 9, A, B
omosessuale
U
o
m
omosessuale
in maniera interessante, il sapere degli uomini eterosessuali appare essere molto limitata e solo un
uomo eterosessuale (F) conosceva tutte le varianti; poi tre uomini eterosessuali (1, 13, D) sapevano
di solo due varianti, V2 e V3, sebbene nessuno dei due utenti segnarono V2 nella porzione di lettura
dello studio.
Neanche un bisessuale (C) conosceva tutte le varianti: questo può essere dovuto al suo orientamento
sessuale dal momento in cui egli non era coinvolto nella comunità omosessuale nella misura in cui
gli uomini omosessuali lo erano.
!116
Le interpreti donne eterosessuali con più esperienza (4, 11, 12) sapevano tutte e quattro le varianti,
lì dove gli interpreti che sono stati nel campo solo un po’ di anni (3, 8) sapevano solo V2 e V3,
caratteristica simile agli uomini eterosessuali: i quattro uomini omosessuali (2, 9, A, B), le due
interpreti donne omosessuali (5, 6) e tutte le donne omosessuali non udenti conoscevano tutte e
quattro le variazioni, tranne la #10 che conoscevano solo due (V2 e V3).
Nella porzione di intervista dello studio, comunque, #10 hanno commentato che lei ‘non sapeva
molto di cose gay e lesbiche’: la tabella seguente dimostra per questo motivo che l’uso del segno
non è basato solo sul sapere, ma è evidente come molti degli utenti conoscevano più varianti di
quelle che usavano di fatto.
INFORMANTI
V1
+
U
o
m
o
0
V2
-
V3
+
0
- +
0
F 1
D
F 1
D
eterosessuale
13
13
V4
-
+
F
F
E
D
o
n
n
a
eterosessuale
4 7
3
4
J
3
4
11 8
11 L
4
11
12
12
7
12
J
J
8
K
L
K
11
L
12
K
D
o
n
omosessuale
n
a
5 10
6
5 10
5
5
6
6
6
6
G
G
G
G
H
H
H
H
I
I
I
I
!117
0
-
U
o
m
o
omosessuale
2
2
2
2
9
9
9
9
A
A
A
A
B
B
B
B
C
C
L’ultimo gruppo di dati mostra le connotazioni delle varianti, che appaiono determinare il perché
alcuni interprepreti scelgono un segno a discapito degli altri: la tabella in questione che indica le
connotazioni che gli interpreti riportavano per ogni variante era compilata attraverso la rivisitazione
delle videoregistrazioni e dei questionari, conducendo anche un incontro di follow-up dopo che i
ricercatori avevano compilato i dati.
La collezione dei dati aiutava la scoperta delle connotazioni specifiche delle varianti e le attitudini
sociali verso tali varianti: agli informanti veniva chiesto di indicare se sentivano che una particolare
variante aveva un significato ad esso legato, positivo (+), negativo (-) o neutrale (0).
È stato anche chiesto se i segni che non usavano avessero una qualsiasi connotazione negativa e se
quella connotazione era la ragione per cui sceglievano di non usarle: un uomo eterosessuale non
udente (F) credeva che V1 e V2 fossero negativi, sapeva che V3 fosse neutro e V4 positivo; gli altri
due uomini eterosessuali non udenti avevano poco da dire tranne che E credeva che V3 fosse
positivo e D credeva che V2 e V3 fossero neutri; due donne eterosessuali non udenti (J,L)
consideravano V1 e V2 negativi ma V3 positivo; l’altra donna eterosessuale non udente (K)
pensava che anche V2 fosse negativo ma ha detto di aver imparato che dovrebbe utilizzare V4
perché era un segno positivo per le donne omosessuali e per questo motivo ha considerato V3
neutro.
Infine, i due interpreti uomini eterosessuali hanno sentito che V2 e V3 erano rappresentazioni
positive del segno LESBIAN, le migliori che conoscessero: le stesse tre donne eterosessuali (4, 11,
12) che avevano consapevolezza di tutte e quattro le varianti concordavano anche sui loro
significati e le connotazioni associate con ogni variante (V1 e V2 negative, V3 neutro e V4
positivo).
A questo punto sembrava esserci un po’ di confusione tra le tre altre donne eterosessuali a proposito
dell’appropriatezza di V2: considerato che V2 è la forma di citazione usata nei dizionari, i due
interpreti che solo due o tre anni di esperienza sembravano sentire che ‘se è nel dizionario, allora
deve essere la forma giusta’, lì dove #3 sceglie di essere neutro riguardo entrambi i segni che lei
!118
conosceva. Questo interprete disse che non è mai stata in una situazione in cui lei ha avuto bisogno
di usare questi tipi di segni e che, inoltre, non avrebbe accettato un impiego se avesse avuto tale
natura implicata perché lei non si sentiva a suo agio con tutti questi significati.
Tutti gli informanti gay e lesbiche (con l’eccezione di #10 e C) concordavano che V1 era un segno
usato per descrivere una donna omosessuale secondo lo stereotipo, ovvero come considerata dalla
società eterosessuale e che aveva connotazioni negativo: V1 con la sua struttura Movement-Hold dà
al segno maggiore enfasi ed è usualmente accompagnato con segnali negativi non manuali, mostrati
nella figura a
!
a
All’interno della comunità omosessuale questa variante viene usata per prendersi in giro
gergalmente, come quando i membri si chiamano tra di loro ‘dyke’, indicano che qualcuno è
‘macho’ o una donna omosessuale con ‘pride’: questa è una forte tendenza ad associare a questo
segno il sesso orale, dovuto alla sua struttura fonetica.
Gli informanti che erano membri della comunità omosessuale consideravano questo segno come
molto dispregiativo se riprodotto da un membro che non fosse della comunità omosessuale: quindi,
data la scelta tra V1 e V2, V2 è più accettabile ai membri della comunità omosessuale perché loro
realizzano che questo è il segno che appare nei dizionari di lingua dei segni e quello che la
maggioranza degli istruttori di lingua dei segni insegna come forma citata.
Il fatto che la maggior parte degli insegnanti, udenti o non udenti, insegnino V2 come segno per
lesbian e che questo è il segno che appare nei dizionari ed è usato da Woodward in Signs of Sexual
151
!
Cfr: Woodward, James (1979): Signs of Sexual Behavior: An Introduction to Some-Sex-related Vocabulary in
American Sign Language. Silver Spring, MD: T. J. Publishers.
!119
Behavior151 tanto quanto nell’articolo di Rudner e Butowsky ‘Signs Used in the Deaf Gay
Community’152, tuttavia causa problemi in sé per sé.
Questa è una questione sensibile e lo studio di S. Kleinfeld e Warner va inserito nell’ambito degli
studi di ASL perché se gli studenti ASL diventano interpreti o membri della comunità non udente e
una persona omosessuale non udente li vede produrre questa variante (V2), la persona omosessuale
probabilmente si chiederà se l’utente è omofobo, di mentalità chiusa o semplicemente un
eterosessuale che ignora la scelta di segno preferita: questo potrebbe presentare un livello di disagio
per la persona omosessuale, poiché non esistono materiali informativi che informino le persone
eterosessuali delle connotazioni negative associate con questo segno.
Gli utenti, infatti, che non interagiscono con persone omosessuali potrebbero non avere avuto
l’opportunità di questo tipo di input: i membri della comunità omosessuale non udente tanto quanto
le persone che li supportano e interagiscono con loro, dicono che si sentono a loro agio nell’usare
V3 come un’etichetta generale per donne omosessuali.
Questo segno è visto come rispettoso se usato da una persona eterosessuale o da un’altra persona
omosessuale: potrebbe essere considerato neutro o positivo sebbene la maggior parte degli interpreti
intervistati lo valutano come neutro.
V4 è la variante più accettabile in tutte le situazioni che promuovono i diritti civili di uomini e
donne omosessuali: è visto come il più appropriato e forse il più politicamente corretto, variante per
LESBIAN, e sembra che si stia spostando dalla sua relazione iconica con il segno per il sesso orale.
Ogni persona che ignorava l’esistenza di questo segno l’hanno etichettata come il segno più
positivo: un segno sicuro da usare, poi, qualora una persona non fosse sicura delle connotazioni di
tutte le varianti è V3.
152
!
Cfr: Rudner, William A., e Rochelle Butowsky (1981): ‘Signs Used in the Deaf Gay Community’ Sign Language
Studies 30: 36- 48.
!120
!
c
Questo segno viene considerato neutro nel descrivere una donna o un gruppo di donne che sono
omosessuali, sebbene non mostri tanto rispetto alla persona descritta come fa V4: chiedendo alle
persone del campus Gallaudet a caso senza sapere il loro orientamento sessuale o il loro stato
uditivo, si è mostrato che loro generalmente utilizzano il segno con il joint che tocca il mento (V3).
Si era partiti non a caso dal considerare V4 come il segno che la maggioranza di uomini
!
omosessuali e donne omosessuali preferiscono usare:
d
Alcune donne omosessuali dell’area D.C., senza distinzione tra udenti e non udenti sostenevano che
quando una persona eterosessuale usa il segno che utilizza il ‘web’, loro provano uno stigma
negativo legato a quel segno e potrebbe essere un po’ astuto su quali sono le idee di una persona
riguardo le donne omosessuali: le donne omosessuali che sono un po’ più femminili delle altre,
!121
preferiscono usare la versione tip per descriversi, e infatti alcune di queste donne si chiamano
lipstick lesbians e assocerebbero il ‘web’ con la descrizione delle ‘dykes’.
In conclusione le informanti udenti sembrano essere molto distanti dai modi corretti di designare
una persona omosessuale o una caratteristica di un membro della comunità omosessuale: coloro che
erano membri della comunità omosessuale sentivano di conoscere i segni politicamente corretti ed
erano diretti nella loro abilità di agire come interpreti in qualsiasi situazione che richiedevano che
questi lessemi fossero usati.
C’è stata un interprete donna (#10), comunque, che sentiva di sapere cosa era appropriato quando
infatti alcune delle sue scelte erano meglio categorizzate con quelle delle persone eterosessuali:
qualcuno potrebbe assumerne che se un interprete è omosessuale, lui o lei, saprebbe naturalmente
quali sono i ‘giusti’ segni da usare, ma è stato dimostrato come non sempre è così.
Questo studio quindi non è distante da qualsiasi altro studio che è stato condotto su questo
argomento ad oggi: quest’area della linguistica è molto nuova alla comunità non udente e altri studi
dimostreranno di essere importanti nel campo dell’interpretazione.
Gli interpreti sono le persone che trasmettono informazioni a molte persone non udenti e per questo
motivo è imperativo che conoscano i cambiamenti nella lingua che utilizzano.
!
1.9.2. Le variazioni per il termine GAY
Questa sezione ha a che fare con le tre variazioni del lessema gay: G+ mento, #GAY e HOMO-8:
seguendo lo stesso format utilizzato per il segno LESBIAN, questi prodotti vengono analizzati per
produzione, sapere e connotazioni, sempre ricordando che le lettere rappresentano le persone non
udenti mentre i numeri rappresentano le persone udenti.
INFORMANTI
G+ MENTO
#GAY
HOMO-8
Uomo eterosessuale
D, E
D, F
Donna eterosessuale
J, K, L
K, L
Donna omosessuale
H, I
G, H, I
Uomo omosessuale
A, B, C
A, B, C
INFORMANTI
G+MENTO
#GAY
HOMO-8
Uomo eterosessuale
D, E, F, 1, 13
D, F, 1, 13
D, E, F, 1, 13
!
!122
Donna eterosessuale
J, K, L, 3, 4, 7, 8, 11, J, K, L, 4, 8, 11, 12
J, K, L, 3, 4, 7, 8, 11,
12
12
Donna omosessuale
G, H, I, 5, 6, 10
G, H, I, 5, 6
G, H, I, 5, 6, 10
Uomo omosessuale
A, B, C, 2, 9
A, B, C, 2, 9
A, B, C, 2, 9
!
Quando il termine gay è apparso sia nelle registrazioni audio che nelle fotografie, c’erano due
metodi di produzione: il primo è un movimento della mano a ‘G’ o a ‘Q’ che tocca il mento con
l’indice e il pollice, da questo momento in poi sarà noto come G+ mento:
!
La seconda variazione è un segno il cui spelling lessicalizzato con le dita G-(A)-Y153
precedentemente denominato un segno prestito a spelling con le dita. #GAY veniva invece usato
dalla più grande maggioranza di ciascun gruppo comparato con altri segni.
La maggior parte delle persone sentivano molto forte che #GAY era un segno friendly da usare
quando ci si riferiva agli uomini omosessuali (o in alcuni casi a donne omosessuali) e alla comunità
omosessuale: gli uomini omosessuali alla Lavender Languages and Linguistics Conference, tenutasi
alla American University nel 1993, affermavano che #GAY era usato per identificare gli altri ma
che se avessero dovuto identificarsi in prima persona, avrebbero usato G+mento, perché viene visto
come un segno gergale.
153
!
Le parentesi vengono usate con le lettere che non sono prodotte nel segno lessicalizzato con spelling di dita.
!123
Gli uomini omosessuali preferiscono che le persone eterosessuali udenti e non udenti usino #GAY:
alcune persone omosessuali si offendono quando una persona eterosessuale usa G+mento,
percependo connotazioni negative154.
Nella seguente tabella si mostrano le attitudini degli informanti attraverso le diverse varianti per gay
e homosexual155:
INFORMANTI
G+MENTO
+
Uomo eterosessuale
Donna eterosessuale
3
0
#GAY
-
HOMO-8
+
0
-
+
0
-
1
1
D
13
13
13
D
F
D
1
E
E
F
F
K
8
4
L
3
7
11
8
4
J
12
11
7
L 12
8
J
11
K
12
J
K
L
Donna omosessuale
10
6
G 5
5
I
H 6
6
G
10
H
G
I
H
I
154
!
Si tratta di una piccola fonte di informanti e i segni e le connotazioni riportate in questa sezione potrebbero essere
variazioni regionali.
155
!
Le risposte degli uomini e delle donne omosessuali dipendono da chi produce il segno, ma G+mento e #GAY sono
entrambi considerati positivi da tutte le persone omosessuali.
!124
Uomo omosessuale
A
2
2
B
9
9
C
A
A
B
B
C
C
Alcune informanti lesbiche hanno detto che si riferiscono a sé stesse come #GAY invece di usare
una delle varianti per LESBIAN, sebbene si chiamino occasionalmente V3 o V4: la loro ragione era
che #GAY si applica sia agli uomini che alle donne perché la maggior parte delle persone
menzionavano che a loro era insegnato da altri (persone omosessuali, sistema scolastico, famiglia)
che dire HOMO-8 era negativo e sentivano che #GAY deve essere considerato un segno più
appropriato in anni recenti.
HOMO-8 è considerato un segno molto dispregiativo per homosexual e nessuno ha prodotto questo
segno né nella comunità udente né in quella non udente: alcuni uomini non udenti e una donna non
udente, comunque, hanno detto che userebbero questo segno tra amici eterosessuali.
Al contrario, gli informanti omosessuali hanno affermato che non dovrebbe essere usato da persone
eterosessuali, indipendentemente dalla loro accettazione dei membri della comunità omosessuale:
l’uso di questo segno nella ASL è forse analogo con l’uso della parola fag in inglese, che comporta
forte connotazioni negative.
!125
!
!
!
Sia gli intervistati gay che gli intervistati lesbiche userebbero la variante HOMO-8 solo con altre
persone omosessuali nella comunità come presa in giro o imitazione: tutti gli interpreti hanno detto
che non userebbero mai questo segno in una situazione di interpretariato a meno che il parlante non
lo intenda in senso dispregiativo.
Un individuo che vuole riferirsi a persone omosessuali in una maniera rispettosa userebbe qualsiasi
dei composti menzionati in precedenza o #GAY per includere l’intera comunità: esiste a questo
punto una certa controversia sia nella comunità eterosessuale che in quella omosessuale su cosa
designa #GAY, da cui molti informanti usavano #GAY per riferirsi alla comunità, mentre pochi lo
usavano per riferirsi solo a uomini.
#GAY porta con sé le connotazioni meno negative di tutti i segni proposti ed è quello che attraversa
i confini tra omo ed etero più tranquillamente: V4 è il meno politicamente addebitato per le tre
!126
variazioni del segno LESBIAN e il trend visto nell’uso di #GAY versus G+meno, oltre le varie
collocazioni e significati per LESBIAN, indicherebbe un augurio per l’uso di questi segni che
producono la reazione meno negativa.
In altre parole, quando è data una scelta lessicale, gli utenti usano questi segni che convengono il
significato meno negativo: il sondaggio di S. Kleinfeld e Warner, certo, tocca solo questioni di
variazione nella Lingua dei Segni Americana a proposito della comunità omosessuale, perché tra
l’altro in questo caso è necessario aumentare la mole di ricerche con un aumento statisticamente
rilevante di informanti; ma da questa ricerca alla Gallaudet che i segni considerati più accettabili e
usati con maggiore frequenza sono #GAY, V3 e V4.
Allo stesso tempo, secondo le forme passate reperite dai partecipanti, le persone provenienti dallo
Stato di Washington, Los Angeles e altre parti della costa occidentale degli Stati Uniti non usano
#GAY, in quanto percepiscono G+mento avente connotazioni neutre e non negative: è possibile che
queste attitudini siano limitate alla costa orientale o anche a Washington D.C., tanto che #GAY
sarebbe solo una variante regionale.
Tuttavia si crede che #GAY diventerà lo standard nazionale statunitense, perché si sta diffondendo
alla Gallaudet e nell’area circostante, senza considerare che le persone non udenti viaggiano per
parti diverse degli Stati Uniti per frequentare conferenze o eventi: #GAY non era apparso alla
California State University di Northridge se non nel Giugno del 1994156, ma tuttavia le parti
interessate potrebbero iniziare ad usare questa forma dopo la medesima discussione di questa
ricerca presso la medesima università157.
!
!
1.9.3 APPENDICE
LESSEMI GERGALI INGLESI USATI PER LA COMUNITA’ UDENTE E
PER LA COMUNITA’ NON UDENTE
156
!
Cfr: Kleinfeld Mala S. e Noni Warner (1994): ‘Prescriptivism in the Deaf Community Relating to Gay, Lesbian, and
Bisexual Signs’. In Elizabeth Winston (ed.), Communication Forum. Washington, D.C.: Gallaudet University Press, pp.
67-97.
Kleinfeld Mala S.: ‘Variation among Sign Language Interpreters: The Case of LESBIAN’. Department of Linguistics,
Georgetown University.
Mala Kleinfeld, la ricercatrice che ha intervistato gli interpreti udenti, ha intervistato alcuni interpreti certificati al
National Center on Deafness della California State University di Northridge durante un periodo di tre settimane nel
giugno del 1994.
157
!
Cfr: Lucas, Ceil, ed. (1996): Multicultural Aspects in Deaf Communities. Washington D.C.: Gallaudet Press.
!127
Homosexual
Feminine
Bisexual
Butch
Gay
Dyke
Lesbian
Fag (fairy)
Drag
Come out
Effeminate
!
TERMINI TECNICI INGLESI PER LA LINGUA DEI SEGNI AMERICANA:
1. Deaf-deaf: Per Woodward deaf è il termine da usare per indicare la condizione audiologica
dei non udenti e Deaf per indicare un gruppo di persone non udenti che utilizzano un
linguaggio- lingua. Nel presente testo in italiano tale differenza teorica originariamente
espressa in lingua inglese non è stata resa, nella consapevolezza che è essenziale qui
riflettere sul contributo che la lingua dei segni apporta a sostegno dell’inesistenza di un vero
e proprio gruppo sociolinguistico di referenza, se non con possibili e numerosi sottogruppi. I
medesimi autori dello studio sostengono di utilizzare indifferentemente i due termini nella
considerazione che entrambi si riferiscono ad una persona che usa l’ASL e/o una comunità di
persone che possono includere anche coloro che sono udenti158.
2. Handshape: è il termine usato dagli studiosi del settore per indicare uno spelling elaborato
con le dita, da cui per esempio la J handshape indica la forma ASL della lettera inglese J.
3. Lexicalized fingerspelling- fingerspelled loan sign: la prima forma è quella che oggi viene
usata a discapito della seconda secondo Battison159.
!
LETTURA MODELLO:
GAY AND LESBIAN YOUTH IN CRISIS
Lesbian and gay youth grow up with several strikes against them before they even discover or name
their sexual orientation. At a young age, children observe society’s dislike and disapproval of
‘homosexuals’. Children learn that they may not fit society’s expectations of the heterosexual.
158
!
Cfr: Woodward, James (1979): Signs of Sexual Behavior: An Introduction to Some Sex-related Vocabulary in
American Sign Language. Silver Spring, MD: T.J. Publishers.
159
!
Cfr: Battison, Robbin (1979): Lexical Borrowing in American Sign Language. Silver Spring, MD: Linstok, pp.
107-141.
!128
Often these youth are afraid to ‘come-out’ in fear that they won’t be accepted because of the awful
stereotypes that society has for homosexuals. The community of gays, lesbians, and bisexuals is still
a community of people, not sick, unfit, weirdos that should be condemned to hell!
It is understandable that it would be difficult for a parent to look at their son dressed up like a drag
queen, or to look at their daughter in men’s clothing all the time. However, the community goes
way beyond just sexual orientation. Being gay is not a bedroom issue only; these people are gay
twenty-four hours a day. Within the community there are different groups of individuals. As
mentioned earlier there are gay men, lesbian women, and bisexuals. There is a lot of controversy in
both the heterosexual and homosexual community as to the validity of a bisexual. Is it just a phase,
or can a person actually be attracted to both sexes? We will not attempt to answer this question
today.
What about the gays and lesbians in the community who dress a little different? The femmes who
are referred to as lipstick lesbians, who often wear dresses, have long hair, long nails, make up and
high heels- do people on the streets label them ‘lesbian’? Not usually, these are ‘invisible’, who
could live amongst the straight people without any doubt that they will be looked at as any
different. On the opposite scale, there are the butches who may dress in men’s clothing and have
short hair. Or the dykes, who may be like a butch, but wear men’s cologne, undergarments, body
piercing, and may not shave any body hair. These may be generalizations, but statistics have not be
done, and we can only draw conclusions on what we have seen.
What about the men who dress like GQ models, and perhaps have a higher pitched voice than mostdo we call him a fag, fairy, or effeminate? More than likely he will be labeled that way, but how do
we know what role he plays in his homosexual relationship? He may be very manly or macho in his
personal life and we would never know. In fact, it is really none of our business, just as the person
walking down the street would offend you if they made assumptions about your personal life just
because you may be ‘different’ than they expected.
!
LE IMMAGINI
Le immagini qui presentate sono tratte da cartoline e biglietti d’auguri reperiti alla Lambda Rising,
una libreria a tema di Washington, D.C. I numeri da 1 a 10 includono le descrizioni delle immagini
mostrate agli informanti non udenti:
1. due donne ‘femminili’ in una vasca da bagno che si baciano
!129
2. due donne ‘mascoline’, separate, ciascuna delle quali guarda la parte della persona robusta
3. due donne ‘femminili’ che si abbracciano
4. una donna con capelli corti, in pantaloni di cotone da uomini, che è seduta su una
motocicletta
5. donna con capelli corti ritagliati in maniera grezza, che indossa una giacca di pelle
6. due uomini
7. due uomini di cui uno mantiene l’altro e l’altro mantiene dei fiori, mentre si guardano
8. un uomo in scarpe a tacchi alti, che ha sollevato un manubrio
9. un uomo che veste come una donna con una parrucca bionda, un abito e un foulard fronzolo
10. un ragazzo tra due uomini in una posizione da quadro familiare, un uomo che indossa una Tshirt con la scritta ‘padre gay’ e l’altro che indossa una T-shirt con la scritta ‘patrigno gay’
!
1.10.1. Intersezioni tra identità non udente e identità saffica in una narrativa di
vita
Due questioni derivano dallo studio del gergo queer, in particolare attinente al gergo gay e lesbico
dei parlanti non udenti nello studio di Tina M. Neumann:
1. come viene costruita l’identità per una persona non udente, donna omosessuale? e
2. quale ruolo la cultura e la comunità giocano in quella costruzione identitaria?
Quando si studia il gergo lesbico delle non udenti, la Neumann enfatizza il bisogno di comprendere
e definire la cultura non udente e la cultura lesbica come due considerazione di ricerca, tanto quanto
comprendere dove queste culture e forse anche altre culture si intersecano nel contesto delle storie
di vita o nelle narrative di coming out.
Sebbene nel secondo capitolo si approfondirà questa prospettiva strettamente discorsiva, quindi di
linguistica testuale e pragmatica, gli studi nel linguaggio dei segni americano sono scarsi in
riferimento ai gerghi gay e lesbico: secondo la Neumann alcuna analisi del livello discorsivo sul
gergo e cultura gay e lesbici dei non udenti è stato pubblicato fino al 1997 e anche se il suo studio è
proseguito, ci si ritrova davanti ad una bibliografia oltre che ad un campione di analisi non vasto.
Padden e Humphries tentano di dare una definizione limite della cultura dei non udenti dalla
consapevolezza delle origini della diversità delle persone che costituiscono la medesima comunità
di riferimento: le persone non udenti come le famiglie non udenti (circa il 10 % di tutta la
popolazione non udente) gode di un rispettato stato entro la comunità non udente (48%) e
!130
comunque molti bimbi non udenti hanno la loro prima esposizione al linguaggio dei segni
americano negli Stati Uniti quando entrano in una scuola residenziale, in cui interagiscono con altri
bambini non udenti di famiglie non udenti e qualsiasi adulto non udente che lavorerebbe a scuola.
Se da un lato la convenzione in lingua inglese di Woodward160 vuole che un D maiuscola per Deaf
(non udente) denota una persona che usa l’ASL (linguaggio dei segni americano) e si considera
essere culturalmente affiliata con la comunità non udente e la d minuscola in deaf denota una
condizione patologica/medica di perdita dell’udito con alcuna affiliazione linguistica o culturale,
dall’altro lato nella scuola residenziale, nei dormitori, questi bimbi non solo imparano l’ASL ma
cominciano a conoscere la stessa comunità non udente.
Ancora molti bimbi non udenti non frequentano scuole residenziali ma piuttosto frequentano scuole
pubbliche con bimbi udenti: alcuni di questi bambini entrano nella comunità non udente in un punto
non precoce della loro vita, rispetto a quando imparano l’ASL e incontrano altri adulti non udenti.
Per questo motivo, le persone non udenti usano l’ASL come una prima lingua e altri iniziano a
impararla all’età di 4 o 5 anni, mentre ancora altri non vengono introdotti ad essa fino ad un’età
adulta: a causa di questa diversità di background all’interno della comunità non udente, il volto
della cultura sta cambiando e la costruzione dell’identità entro la cultura non udente non è qualcosa
che accade in un vuoto.
È plasmato dalla comunità in relazione ad altri: Maxwell e Kraemer esaminarono il legame tra la
discorsività e l’identità nelle narrative dei non udenti e arrivarono alla conclusione che l’identità
non è di una forma singolare ma è plurale nella sua essenza, come quando affermano ‘come ogni
individuo non udente può incorporare le proprie esperienze in una […] narrativa e diventare
l’eroe’161.
Esistono diverse questioni legate al concetto di cultura lesbica come un unicum e alle definizioni
problematiche di cultura e omosessualità femminile: due visioni della cultura,oggettiva e soggettiva,
sono discusse da Ferguson a proposito dell’omosessualità femminile162 e l’idea oggettiva della
cultura è più tradizionale, definendola in termini di attributi sociali comuni assunti dai membri, che
a loro volta costituiscono un gruppo sociale distinto.
!160
!161
!162
!131
Ferguson assume il punto di vista oggettivo, secondo il quale la cultura è una definizione accettata
coscientemente dal sé e dagli altri come membri di un gruppo distinto, una categoria sociale: gli
individui devono accettare coscientemente il loro sé caratterizzato culturalmente.
Ferguson non crede nell’esistenza potenziale di una cultura lesbica internazionale e difende l’idea
che le culture lesbiche siano culture di resistenza entro cultue patriarcali individuali: il suo
approccio dialettico-storico permette il riconoscimento di una varietà di culture lesbiche, piuttosto
che l’imporre il concetto di omosessualità femminile occidentale sugli altri.
Ciò che costituisce la lesbicità per una cultura come una forma di resistenza potrebbe non
corrispondere in un’altra cultura: le donne omosessuali costruiscono la loro comunità e la loro
cultura, per cui costruiscono anche e si ridefiniscono le proprie identità, tanto quanto formano
legami alternativi di affinità e associazioni familiari.
Weston teorizza che la rivelazione che una persona sia omosessuale, fornisce una sfida per i legami
sociali e spesso ai legami di parentela163: come Wood afferma, per il fatto che l’omosessualità
femminile è legata in un sistema patriarcale eterosessista, il coming out è un processo di ricorsività
mai terminata di auto scoperta e autodichiarazione164.
Nelle storie di coming out, come quelle che si vedranno nel prossimo capitolo, sia parlato che
scritto esiste spesso un tema dominante di lunga auto scoperta che culmina nell’identificazione di
omosessualità femminile o maschile e la battaglia conseguente verso la comprensione e
accettazione della famiglia, sia biologica che adottata165.
La comunità come una nozione ha subito un cambiamento, dall’essere vista come un unicum,
perpetuando in tal modo dell’invisibilità delle altre identità gay e lesbiche, per essere viste come
una ‘popolazione’ che riconosce le diversità delle identità in una medesima comunità: Padden e
Humphries per l’appunto legato questa visione alla comunità non udente, per cui esiste un costante
riconoscimento che non esista una sola cultura del non udente, sebbene le comunità non udenti
condividono molte cose166.
Esiste inoltre, un nuovo riconoscimento della diversità di queste comunità e delle loro culture:
Padden e Humphries menzionano questa consapevolezza ma non si indirizzano alle questioni
!163
!164
!165
!166
!132
connesse a questa diversità ed non esiste per esempio alcuna discussione approfondita degli
afroamericani non udenti o delle comunità gay e lesbiche non udenti nel loro lavoro.
La costruzione di un’identità collettiva femminista e lesbica nei movimenti sociali sono stati
esaminati da Taylor e Whittier, che hanno stabilito un contesto per quella costruzione: loro hanno
proposto tre prospettive di analisi apparentemente distinte ma interattive
1. confini
2. consapevolezza e
3. negoziazione.
Taylor e Whittier misero in lista anche tre fattori che contribuiscono alla formazione di un’identità
collettiva, per cui
1. i confini che separano e distinguono un gruppo di persone dalla maggioranza della società
2. una consapevolezza che cresce dall’assunzione dell’esistenza di criteri socialmente costituiti
che sono i fondamenti logici per la posizione di un gruppo e
3. il riconoscimento della vita quotidiana dei membri del gruppo come una questione politica,
le loro differenze che diventano una fonte di orgoglio167.
Questo approccio tenta di fare da confine abbastanza per applicarsi a ciò che Taylor e Whittier
chiamano ‘identità oppositive’ basate su questioni di classe, genere, etnia, etnicità, sessualità ‘e altre
scissioni sociali persistenti’, in cui per la Neumann si può tentare di includere la dicotomia udentenon udente che esiste entro tali comunità: per studiare le connessioni tra la costruzione linguistica
dell’identità del non udente e quella dell’identità lesbica la Neumann ha intervistato un informante
non udente registrando il suo racconto su videoregistratore e trascrivendo per analizzare i segni ASL
usati (una trascrizione delle glosse e una traduzione sono fornite nell’appendice).
L’ informante BB è una donna non udente prima dei trenta anni ed un utente ASL dall’età di quattro
anni quando ha cominciato a frequentare la Louisiana School per non udenti: per la storia di vita
suscitata, lei è stata videoregistrata da sola con la presenza della Neumann e si è cominciato
chiedendo a BB di raccontare la sua vita, proponendo lei di iniziare il suo racconto presentandosi.
BB seguì una formula usata nella comunità non udente in primis pronunciando il suo nome, la firma
del suo nome e dove ha frequentato la scuola: la menzione della sua scuola è un importante
marcatore poiché entrare in una scuola residenziale per non udenti spesso costituisce il primo stadio
della creazione di un’identità non udente per bimbi che non hanno genitori non udenti.
!167
!133
Le informazioni su quale scusola residenziale sia stata frequentata permette anche al non udente di
indirizzarsi per collocarsi in un contesto specificatamente linguistico e culturale: la storia di vita
abbraccia diversi topic, di cui due principali temi ricorrenti sono legati alla sua identità come donna
non udente e come donna omosessuale.
La prima menzione di conflitto sulla sua identità da non udente avviene nelle linee 10-13, in cui lei
spiega che sapeva di voler andare alla scuola residenziale, in opposizione all’insistenza di sua
madre che lei frequenti la scuola pubblica:
10 PRO1 DON’T^WANT
11 *PRO1 KNOW
12 *PRO1 DEAF^INSTITUTE
La negazione di BB ripete il concetto di Ferguson dell’identità come resistenza, che Ferguson
connette all’omosessualità femminile: comunque, si può sostenere che quella identificazione quale
persona non udente è anche resistenza.
Non solo BB ripete il pronome alla prima persona (PRO1) diverse volte per enfasi in questa
sequenza di espressioni, ma lei lo marca segnandoli con enfasi: nell’ASL l’uso del pronome di
prima persona singolare è segnato e non è necessario come un semplice deittico, dal momento che
si ritiene che tutti i verbi prendino il parlante come un soggetto salvo che diversamente specificato.
Anche come un bambino, la resistenza di BB era legata con il fatto che lei sapeva che la sua identità
era legata con la scuola residenziale: questo senso di rappresentanza è ripetuto lungo la sua
narrativa e BB narra la volta in cui lei si realizzò per la prima volta che era non udente sul suo
arrivo alla scuola residenziale.
Lei a comprendere sé stessa come qualcosa ‘d’altro’ nella sua famiglia, ma la sua consapevolezza di
sé come ‘non udente’ arrivò quando lei frequentò la scuola e trovò la sua comunità168.
L’agente è marcato di nuovo nelle linee 33-45:
33 PRO1 REMEMBER PRO1 FIRST REMEMBER
34 [PRO1 DEAF]
35 (2h) PRO1
36 [PRO1 DON’T^KNOW]
37 GROW-UP FAMILY HEARING
38 [#ALL HEARING]
!168
!134
39 PRO1 ONLY-ONE DEAF
40 PRO1 KNOW^THAT PRO1 DIFFERENT
41 BUT # WHAT
42 THAT
43 UNTIL ARRIVE DEAF^INSTITUTE
44 OH THAT
45 [PRO1 DEAF]
Queste espressioni stabiliscono la fase per ciò che Taylor e Whittier definirebbero ‘scissioni sociali
persistenti’ (122) tra BB e la sua famiglia: la prima scissione sociale ha luogo nella dicotomia
udente-non udente, attraverso il riconoscimento di BB dei nuovi legami alla comunità non udente
che ha sviluppato attraverso la scuola e la famiglia non udente della sua amica.
Il suo incontro con la famiglia della sua amica (linee 48-49) e l’esposizione fornita alla cultura e
comunità non udente (agio di comunicazione attraverso l’ASL, introduzione al club non udente)
contrasta con la sua esperienza nella sua famiglia udente: espressioni di resistenza alla sua famiglia,
del voler restare con la famiglia non udente, si sviluppano nelle linee 59-62
59 PRO1 ARRIVE HOME GET-ATTENTION-OF MOTHER
60 PRO1 LIKE
61 WANT STAY WITH DEAF FAMILY
62 MOTHER LOOK-AT-ME SAY NO
Il concetto di ‘famiglia scelta’ come opposta alla ‘famiglia biologica’ è importante169: sua madre
non le permette di restare dalla famiglia della sua amica, ma BB ha trovato un modo per visitarli
spesso:
74 MANY TIME PRO1
75 PRO1 GO-TO WEEKEND
76 FINE #OK
77 GET-ATTENTION-OF MOTHER PRO1 GO-TO FRIEND
78 MOTHER # OK
BB mente a sua madre sull’essere invitata a casa della sua amica: nelle linee 74-76 BB racconta alla
sua amica che resterà il weekend dalla famiglia non udente della sua amica e nelle linee 77-78 BB
racconta a sua madre che è stata invitata.
!169
!135
Questo equivale alla resistenza al punto del mentire e rappresenta un altro esempio di scisma
sociale: questo scisma non solo è basato sulla sordità patologica ma rappresenta anche uno scisma
culturale tra il mondo udente da un lato e i legami nuovi di BB con i coetanei non udenti e la sua
nuova cultura ritrovata da non udente dall’altro.
La cultura non udente qui è rappresentata dalla scuola residenziale per non udenti in cui BB andava
a scuola e la famiglia non udente in cui lei ha fatto pare nei weekend, oltre alla sua esposizione al
club dei non udenti (linee 81-89):
81 ALSO GO-TO DEAF#CLUB
82 PRO3 FAMILY GO-TO FRIDAY NIGHT# CLUB SOMETIMES
83 LOOK
84 MANY +++ DEAF
85 YES OF-COURSE
86 PRO1 NOT-KNOW RIGHT
87[PRO3 HEARING]
88 MINGLE LOOK FINE
89 EVER-SINCE KISS-FIST DEAF…
Queste linee sono importanti nei termini dell’analisi di Weston della realizzazione del sé come gay
e come parte di una comunità omosessuale: ‘una tale scoperta non ha bisogno di implicare
l’incontro con altre persone omosessuali, ma piuttosto convincersi della loro esistenza’170.
Per questo motivo, BB arriva ad una realizzazione del sé come non udente e come un membro di
una comunità non udente: il processo di auto identificazione come non udente è simile alla
realizzazione di sé stessa di BB, nello specifico come lesbica e il suo sapere dell’esistenza di una
comunità lesbica.
98 KNOW^ THAT GROW-UP
99 KNOW^THAT BORN LESBIAN
100 BUT NOW UNDERSTAND LESBIAN
101 NOT-KNOW UNTIL PRO1 AGE NINETEEN
102 PRO1 THAT
103 MY FRIEND HEARING
104 TOOK-ME B-A-R BAR
!170
!136
105 LOOK
106 KNOW^THAT MY HOME
Questo pone un altro scisma sociale o opposizione nei termini di Taylor e Whittier: si inizia anche a
stabilire un’altra forma di resistenza e un altro modo di essere considerati dalla sua famiglia come
un ‘diverso’, come BB racconta il coming out alla sua famiglia
125 MOTHER FAMILY HATE PRO2
126 THOUGHT PRO2 INFLUENCE ME
127 REALLY PRO1 START ALL MOVE
128 BECAUSE PRO1 CURIOUS
129 TOUCH THAT +++
130 LESBIAN THAT
Weston stabilisce un comune credo eterosessuale che una giovane donna omosessuale non possa
sapere da sé perché è stata influenzata da amici omosessuali: questo credo è spesso articolato
quando la donna omosessuale si dichiara ai suoi genitori ed esistono diversi fattori da considerare
qui.
Un adulto dovrebbe essere capace di sapere da sé e fare le sue proprie decisioni sulla sua vita: la
resistenza di famiglia e i dubbi sulle abilità di BB alterano la relazione di famiglia, i suoi genitori
stanno dicendo in effetti che BB non è capace di sapere da sé o sulla base della sua propria
sessualità.
Per BB il problema non è solo l’espressione esplicita che la sua famiglia odi la sua ragazza perché
loro pensano che lei la influenzi per essere una lesbica, ma ance la questione implicita del controllo
dei suoi genitori (o mancanza di controllo) sulla sua vita e la sua sessualità: la sua rappresentanza in
questo prevale, come quando BB asserisce il suo diritto a decidere da sola.
All’inizio del suo racconto di vita BB imposta la dicotomia udente-non udente abbastanza
chiaramente: la sua famiglia è udente e non sa nulla sull’importanza della scuola residenziale per
non udenti, l’ASL e l’associazionismo per non udenti.
Nel passaggio del coming out lesbico, loro non sanno nulla dell’orientamento sessuale di BB, dal
momento che BB era istigatrice nella relazione (linee 127-130) e questa sezione della narrativa
enfatizza l’ignoranza della sua famiglia delle identità interconnettenti/parallele di BB non udentelesbica: le scissioni sociali avvengono due volte in questa narrativa, una volta per la divisione
udente-non udente e l’altra per la divisione femminilità eterosessuale-femminilità omosessuale.
!137
Queste due aree sono egualmente importanti per l’identità BB e linguisticamente sono parallele
l’una con l’altra nella loro struttura discorsiva: la realizzazione delle identità di una persona
potrebbero sembrare svilupparsi in uno schema che confronta diverse teorie socioculturali di
costruzione identitaria ma nel caso di questa narrativa, le identità dei non udenti e delle donne
omosessuali possono essere viste nei fatti intersecarsi.
Questa intersezione non sarebbe ovvia al primo sguardo, perché avviene nella narrativa quando BB
collega la resistenza della sua famiglia al suo coming out come donna omosessuale e le loro ragioni
per ‘odiare’ la sua ragazza: per prima cosa, appare che la loro resistenza è dovuta alla loro
supposizione che la donna abbia condotto BB nell’omosessualità femminile e ad un livello più
profondo la loro resistenza va all’infanzia di BB e la loro obiezione alla sua persistenza nella sua
identità da non udente.
Stavano ascoltando e per questo motivo presumibilmente sapevano ciò che era meglio per lei:
l’intersezione d’identità non avviene prima, apparentemente perché un’identità essenziale doveva
essere stabilita prima che la prossima potesse essere conosciuta e la costruzione di identità nella
narrative ASL è ancora molto nuova all’analisi del discorso e anche all’analisi etnico-antropologica.
La Neumann spera che nel tempo un corpo di lavoro più ampio venga stabilito, fornendo una base
teorica più ricca per l’analisi della storia di vita: l’identità non avviene in un vuoto culturale e
quindi non può essere analizzata in termini meramente linguistici.
Viene creata in relazione alle comunità e culture di cui il parlante si sente di essere una parte, come
la parlante, di questo caso, vede il suo ruolo nel mondo e come percepisce il posto del mondo nella
sua vita: un approccio interdisciplinare che combina linguistica, antropologia e sociologia è per
questo motivo necessario per qualsiasi analisi di costruzione identitaria nella narrativa.
!
1.10.2. Appendice
Convenzioni del glossario inglese
Adattamento di Baker e Cokely del 1980
1. KNOW: una parola inglese in maiuscolo rappresenta la glossa per un segno ASL
2. #ALL: il simbolo (#) rappresenta un segno mutuato con le spelling delle dita
3. G-R-A-D-E: il trattino tra le lettere viene usato quando una parola inglese è pronunciata con
le dita
4. KNOW^THAT: due glosse legate da (^) rappresentano un segno composto
!138
5. NO+++: un simbolo di (+) che segue una glossa indica che il segno è ripetuto. Il numero
indica il numero delle ripetizioni. In questo esempio NO è ripetuto tre volte.
6. *#ALL: l’asterisco (*) indica che il segno è stressato
7. (2h)#ALL (2h): indica che il segno è prodotto con entrambe le mani
8. [PRO1 DEAF]: il sottolineare è un atto che viene fatto quando due segni sono prodotti in
maniera simultanea. La glossa sottolineata indica che il segno viene prodotto dalla mano
non dominante, mentre l’altra glossa indica che il segno è prodotto dalla mano dominante.
!
Testo originale tradotto dalla videoregistrazione in ASL, da non considerarsi
come una traduzione esatta delle glosse e segni ASL.
Mi chiamo B.B., che in ASL è -…- Sono cresciuta frequentando una scuola per non udenti in
Louisiana, la Louisiana School for the Deaf…beh, attualmente, no. L’ho frequentata fino al quarto
anno e poi fui trasferita in una scuola pubblica per un anno. Dissi a mia madre che volevo andare in
una scuola residenziale ma mia madre insistette di cercare e vedere se mi piaceva la scuola
pubblica. Non la volevo, sapevo di voler andare alla scuola residenziale, ma mamma non era
d’accordo. Io…un anno, sicuramente abbastanza. Non ne imparai nulla, fu una perdita di tempo,
così mamma decise che avrei dovuto ritornare alla scuola residenziale ed ero contento di ritornarci.
Mi sentivo come se fossi indietro a livello istruttivo, ma mia madre non era d’accordo, lei sentiva
che io prendevo buoni voti in quell’anno nella scuola pubblica. Buoni voti? Ancora non concordo
con mamma su quel punto. Comunque, mi diplomai alla scuola per non udenti e continuai a studiare
alla Gallaudet. Ora, stavo lavorando sul mio Ma alla WMC per educazione dei non udenti. Quando
ne conseguii il titolo, mi proposi di ritornare a casa in Louisiana, dove mi volevo stabilire.
Ricordo la prima volta che mi resi conto di essere non udente. Non sapevo cosa significasse, ero
nata in una famiglia udente. Erano tutti udenti. Ero l’unica persona non udente e sapevo che ero
diversa ma non sapevo in che modo, finchè arrivai alla scuola residenziale e imparai cosa significa
‘non udente’. Mi dissi: Ah, sono non udente. E’ così…
Crescendo, avevo dieci o undici anni quando tornai a casa con una compagna di classe non udente,
che aveva una famiglia non udente. Per la prima volta vidi genitori non udenti, comunicare
fluentemente con i membri della famiglia. Guardavo tutto intorno alla tavola da cena comunicare
ognuno con tutti fluentemente. Ero invidiosa e mi sentivo tanto a mio agio ed era così tanto facile
!139
comunicare in quel modo. Sarei arrivata a casa e avrei detto a mia madre che mi piaceva quella
famiglia, che avrei voluto restare con loro. Mamma mi guardò in maniera triste e mi disse di no.
Parlare a gesti? Mia madre sapeva parlare come le mie due sorelle a gesti anche se non
fluentemente. I miei due fratelli e mio padre non sapevano comunicare a gesti. Loro sapevano a
mala pena comunicare con le dita e qualche gesto.
Amavo quella famiglia non udente. Spesso raccontavo alla mia amica che sarei andata a casa per il
weekend e poi avrei detto a mia madre che ero invitata e naturalmente mia madre me ne avrebbe
dato il permesso. Me ne stavo occasionalmente con loro e ci stavo bene.
I venerdi sera, la famiglia della mia amica ed io saremmo andati all’associazione per non udenti. La
mia prima volta là, rimasi solo a guardare e ancora guardare. La mia mascella cadde al suolo.
C’erano così tanti non udenti! La mia amica lo prese come un problema naturalmente e io non seppi
che esistessero così tante persone non udenti. La mia famiglia è tutta udente, si ricordi. Mi sarei
esposta con questa gente all’associazione, partecipato alle conversazioni e passato del bel tempo.
Fin da questi giorni, mi tenni cara la mia comunità di non udenti.
Sono fiduciosa della mia identità come persona non udente…veramente…e mi sento come se fossi
completa [espressione non terminata]. Ora a proposito delle lesbiche, sapevo come quando crebbi,
che ero nata lesbica. Ma sapevo cosa significasse essere una lesbica? Non ho realizzato di essere
lesbica fino a quando ebbi 19 anni. La mia amica udente mi portò in un bar. Mi vidi intorno e mi
resi conto di essere a casa. Ci capii qualcosa sull’omosessualità femminile? No! Avrei fatto amicizia
con queste donne e incontrai una che fu un supervisore di dormitorio nella mia scuola residenziale
molto tempo fa. Lei venne a me e fu la prima volta per entrambe noi. Dormimmo insieme e ci
innamorammo. Fu davvero difficile, dal momento che fu la prima volta ina una relazione lesbica
per entrambe noi.
Mia madre e la mia famiglia la odiavano perché pensavano che lei avesse influenzato me ad essere
una lesbica: nei fatti fui io la prima a fare il primo passo. Ero curiosa su cosa le lesbiche facessero, e
così…quando venni alla Gallaudet, ebbi appuntamenti con poche donne ma come andai al college,
non ebbi un appuntamento con nessuno. Non sono veramente sicura del perché. Perché mi dedicavo
solo alla pallacanestro? La mia propria colpa. Eh, sì, a me piaceva la pallacanestro, ma ora sentivo
che era la prima volta per me iniziare a concentrarmi di nuovo alle donne!
Sapevo che ero lesbica e non udente. Ciò mi rendeva aspra? No…è impossibile per me diventare
etero, impossibile. No, penso che resterò lesbica e non udente!
!140
Alcune persone mi han chiesto perché non ho un impianto cocleare. Sono totalmente contraria.
Sono anche contro la cultura dominante e tutto ciò che…beh…forse la cultura dominante è ok per i
bambini che stanno con i loro genitori, lo capisco, ma quando loro cominciano a frequentare la
scuola elementare, la scuola media, dovrebbero andare ad una scuola residenziale. È il posto in cui
possono imparare qualcosa sulla leadership, le associazioni non udenti, partecipare negli sport, sono
cose cruciali.
Dovrebbero andare là e credo sia una cosa buona se si integrassero in una scuola elementare, stare
con i loro genitori, ma dopo, no…una volta che le scuole residenziali sono fatte, devono restare
aperte.
Diverse volte, hanno minacciato di chiudere la mia scuola residenziale, ma la comunità non udente
protestò e così la lasciarono aperta: ora c’è un nuovo direttore, Bill Prickett [spelling con le dita non
chiaro] e spero la mantenga aperta.
La mia scuola residenziale è grande, ha circa 500 studenti, gli edifici sono nuovi con architettura
moderna: se la chiudessero, cosa ne farebbero? Sarebbe uno spreco. Forse dovrebbero chiudere
MSSD e trasferirli alla Louisiana School per non udenti. Perché no? Cosa c’è di sbagliato? Se si
trasferissero là, potrebbe crescere di dimensioni e restare aperta. Nah, potrebbe essere una cattiva
idea, perché gli studenti MSSD si muoverebbero per partito preso.
In realtà, è la gente della Louisiana che hanno assunto posizione. È una pessima idea. Di cosa altro
dovrei parlare?
!
1.11. Gergo gay o gergo lesbo?: denominazioni per genere
I pochi studi che esistono sul gergo lesbico sia quelli centrati su questioni lessicali171 che quelli
centrati su questioni testuali-tematiche vengono alla conclusione che non esistono caratteristiche
linguistiche uniche usate dalle donne omosessuali in contrapposizione agli uomini omosessuali172:
entrambe queste analisi derivano dall’assunzione che esiste una comunità discorsiva lesbica che può
171
!
Cfr: Painter, Dorothy (1978). ‘Lesbian Humor as a Normalization Device’. In Cynthia L. Berryman and Virginia A.
Eman (eds.), Communication, Language and Sex: Proceedings of the First Annual Conference. Rowley, MA: Newbury,
pp. 132-148.
Cfr: Gever, Martha e Nathalie Magnan (1991). ‘The Same Difference: on Lesbian Representation’ In Tessa Boffin e
Jean Fraser (eds.), Stolen Grances. London: Pandora, pp. 67-75.
172
!
Cfr: Moonwomon Birch (1985): ‘Toward the Study of Lesbian Speech’. In Sue Bremner, Noelle Caskey e Birch
Moonwomon (eds.), Proceedings of the First Berkeley Women and Language Conference. Berkeley, CA: Berkeley
Women and Language Group and Department of Linguistics, pp. 96-107.
!141
essere identificata e che una volta identificata, esibisce un set specifico di caratteristiche
linguistiche.
Approfondendo la natura della nozione di comunità discorsiva, M. Queen la trova inadeguata per
accomodare l’unica forma di gergo lesbico, tanto da proporre di usare invece un modello basato sul
contatto per considerare il gergo lesbico: i corpora nel suo studio provengono dai personaggi della
fumettistica lesbo, tanto da dimostrare a questo punto come il gergo lesbico deriva dall’interiazione
tra diversi tropi stilistici e i loro significati socialmente convenzionati.
I personaggi della fumettistica lesbica sarebbero delle fonti utili di dati per un studio del gergo
lesbico perché attuano degli stereotipi impugnati comunemente e accessibili ai queer in generale e
alle donne omosessuali nello specifico: inoltre, giocano sui stereotipi sia da dentro che da fuori la
comunità queer, stereotipi che includono forme ed elementi linguistici specifici.
I personaggi sono tutti creati da donne omosessuali, inoltre, per un pubblico in prevalenza di
altrettante donne omosessuali e per questo motivo la credibilità dei personaggi si affida sul sapere
sociale che è assunto per essere condiviso: sono personaggi che sono posizionati politicamente e
socialmente nel più grande contesto che include elementi specifici delle donne omosessuali,
specifici ai queer e spefici ad una gamma ampia di gruppi marginalizzati sulla base della loro
etnicità, il loro status socioeconomico e/o i loro credi politici.
L’uso di meri argomenti ed elementi linguistici è un metodo attraverso il quale i creatori di
personaggi lesbici possono progettare identità che sono lesbiche senza dubbio: i dati sono tratti da
fonti letterarie quali
1. Hothead Paisan: Homicidal Lesbian Terrorist. DiMassa
2. Dykes to Watch Out For. Bechdel
3. Rude Girls and Dangerous Women. Camper
Dana Heller scrive che Hothead Paisan è particolarmente valido come un personaggio dei fumetti
saffici perché ‘lei riporta in vita molti dei miti e dei simboli intorno alle quali le comunità lesbiche
hanno costruito una cultura e un’identità’173: per questo motivo lei è una rappresentazione di
un’immagine lesbica univoca che incarna l’intersezione di un numero di identità distinte già
sovrapposte.
M. Queen raccoglie delle osservazioni operate dai numerosi lettori per esempio di Hothead Paisan:
Homicidal Lesbian Terrorist. DiMassa, tanto da dimostrare che i lettori hanno in comune il
173
!
Cfr: Heller, Dana (1993): ‘Hothead Paisan: Clearing a Space for a Lesbian Feminist Folklore’. New York Folklore
19, no. 1-2: 27-44.
!142
background sociale richiesto per capire il perché Hothead reagisce al mondo nel modo in cui
reagisce e che i lettori si identificano per giunta con il personaggio o vi vedono un ‘Altro’ con cui
non potrebbero identificarsi ma che possono apprezzare comunque174.
A questo punto Dykes to Watch Out For fornisce un esempio addizionale di humour lesbo che
confida sulla rappresentazione di personaggi che esemplificano gli stereotipi comunemente assunti
tra donne omosessuali: i personaggi in questi strip fumettistici esibiscono un set diverso di identità
individuali, per cui tutti hanno attributi unici e già riconoscibili.
Questi attributi includono tratti linguistici particolari: ad esempio, l’attivista queer Lois tende ad
usare forme fonologiche a maggioranza non standard, tanto quanto imprecazioni come fuck e shit.
La diversità nella rappresentazione dei personaggi fornisce al pubblico un’opportunità di
identificare i personaggi: in senso più critico, in tal senso, la medesima diversità chiama in causa
definizioni monolitiche delle comunità lesbiche e delle donne omosessuali.
Una delle questioni principali per definire la comunità lesbica tipicamente ruota intorno al tentativo
di specificare chi potrebbe o non potrebbe appartenere ad una tale comunità: mentre la maggior
parte delle discussioni attinenti alla categoria lesbian si riferiscono sia al sesso biologico di una
persona sia al suo orientamento sessuale, tutte le definizioni basati su tali criteri restano
problematici.
Come evidenzia Celia Kitzinger, le definizioni imposte dall’esterno dell’omosessualità femminile
tendono a confidare sull’orientamento sessuale o sul ruolo sessuale: per qualificarsi come una
‘reale’ (‘vera’, ‘fissa’, ‘decisa’) donna omosessuale, una donna deve essere capace di dimostrare
che il suo ‘orientamento sessuale’ è una parte stabile della sua personalità adulta. Alla ‘vera’
donna omosessuale
è richiesto di essere oltre una certa età175, non sessualmente attratta da
uomini, sessualmente attratta da donne176 e avere attività sessuale genitale ‘ripetitiva’ o ‘regolare’
con donne177 nelle considerazioni in cui i partner sessuali di sesso biologico maschile sono
174
!
Cfr: Painter, Dorothy (1978): ‘Lesbian Humor as a Normalization Device’ In Cynthia L. Berryman and Virginia A.
Eman (eds), Communication Language and Sex: Proceedings of the First Annual Conference. Rowley, MA: Newbury,
pp. 132-148.
175
!
Cfr: Saghir, Marcel, e Eli Robins (1969). ‘Female Homosexuality’. Archives of General Psychiatry 20: 192-199.
176
!
Cfr: Gagnon, J. H. e W. Simon (1973): Sexual Conduct: The Social Sources of Human Sexuality. Chicago: Aldine;
Poole, Kenneth (1972): ‘The Etiology of Gender Identity and the Lesbian. Journal of Social Psychology. 87: 51-57.
177
!
Cfr: Saghir, Marcel, e Eli Robins (1969). ‘Female Homosexuality’. Archives of General Psychiatry 20: 192-199;
Bieber, Irving (1969): ‘Homosexuality’. American Journal of Nursing 69: 2637-2641;
!143
considerati essere accessibili per lei178
e nelle cui ragioni ideologiche per essere donna
omosessuale sono assenti.
Un elemento ulteriore tende ad includere la specificazione che solo le donne che sono nate femmine
si possono qualificare come donne omosessuali (questo criterio è identificato in particolare con i
dibattiti in corso a proposito dell’inclusione delle transessuali da uomo a donna nei festival musicali
femminili, in particolare il Michigan Womyn’s Music Festival): tali definizioni escluderebbero
molte donne che si considerano essere donne omosessuali e includerebbero donne che non si
considerano donne omosessuali ma le cui attività corrispondono con la definizione di donne
omosessuali.
Sarah Lucia Hoagland nota, inoltre, che anche le definizioni interne ai gruppi sarebbero
problematiche perché tendono ad enfatizzare i criteri di ‘autenticità’ piuttosto che considerare la
diversità delle esperienze di vita rintracciate tra donne che si considerano omosessuali179 :
comunque, anche le donne che si auto identificano come omosessuali sarebbero rifiutate come
‘vere’ omosessuali da altri180.
La dicotomia di base tra la relatività e continua invisibilità e gli stereotipi negativi in generale che
arrivano dalle fonti esterne aggiunge alla difficoltà della definizione di lesbica e comunità lesbica:
come spiegano Martha Gever e Nathalie Magnan: ‘una spaccatura enorme esiste tra come si viene
rappresentati e come ci si rappresenta come donne deviate in società eterosessiste-patriarcali e
come ci si rappresenta e quale ruolo rappresentiamo nella nostra propria subcultura. Non che
questi sono sistemi sociali indipendenti né sono identità lesbiche libere dalle definizioni e
descrizioni basate sul genere’181.
Per il fatto che le donne omosessuali hanno identità non definite da una singola caratteristica ma da
un’adesione multistrato in qualsiasi numero di gruppi e sottogruppi, è futile cercare e definire sia il
termine lesbica che comunità lesbica usando criteri imposti dall’esterno: comunque, la nozione di
‘comunità lesbica’ sarebbe utile come uno strumento per costruire un’identità che include o anche
progetta un’identità di donna come identità femminile omosessuale.
178
!
Cfr: Ward, David A., e Gene G. Kassebaum (1964): ‘Homosexuality: A Mode of Adaptation in a Prison for Women.’
Social Problems 12: 159-177.
179
!
Cfr: Hoagland, Sarah Lucia (1989). Lesbian Ethics. Palo Alto, CA: Institute of lesbian Studies, pp. 206-207,
294-295.
180
!
Cfr: Hoagland, Sarah Lucia (1989). Lesbian Ethics. Palo Alto, CA: Institute of lesbian Studies, pp. 206-207,
294-295.
181
!
Cfr: Gever, Martha, e Nathalie Magnan: (1991). ‘The Same Difference: On Lesbian Representation.’ In Tessa Boffin
e Jean Fraser (eds.), Stolen Glances. London: Pandora, pp. 67-75.
!144
Benedict Anderson evidenzia che le comunità sono coniate nel modo in cui sono immaginate
piuttosto che attraverso la sua genuità o falsità: come è visibile nelle due seguenti immagini 1 e 2,
avrebbero da cambiare le proprie idee sulla comunità lesbica e la loro posizione entro quella
182
!
Cfr: Andersen, Benedict (1991): Imagined Communities: Reflections on the Origin and Spread of Nationalism.
London: Verso.
!145
c o m u n i t à182
.
!
1
Questa sorta di oscillazione esemplifica il problema cercando di usare i criteri base dall’esterno (o
imposti accademicamente) per specificare le comunità e dimostra l’utilità del considerare le
!146
comunità l’essere costruzioni particolari basate sui modi in cui gli individui li immaginano piuttosto
che entità tangibilmente identificabili.
!
2
!147
Se si accetta la dichiarazione di Anderson183, secondo la quale ‘tutte le comunità sono immaginate’,
allora definire le comunità attraverso qualsiasi set di criteri esterni diventa sia irrilevante sia
effettivamente impossibile: alla stessa maniera qualsiasi discussione sulla lingua che comporta la
nozione di comunità discorsiva o membri di una comunità discorsiva sarebbe di dubbio valore184.
In altre parole, il problema non sta nell’escogitare la semantica corretta per definire i membri in una
data comunità discorsiva ma piuttosto con la più intima natura della categorizzazione: Valerie
Jennes scrive che ‘siamo attivi nello stabilire le nostre identità come quando subiamo cambiamenti
nella nostra base culturale, inclusa la nostra comprensione e le interpretazioni delle categorie
sociali e di noi stessi come loro conseguenza. Così come le nostre comprensioni dei significati
associati con i tipi di persone, è possibile stare in una società sopportando cambiamenti
significativi, si rivaluta continuamente l’applicabilità personale di qualsiasi categoria data’185.
A questo punto Rusty Barrett riconosce questa questione per le comunità queer in particolare e vi
riporta un’osservazione, notando che ‘le comunità queer sono immaginate in uno stile in cui i
confini sono coscientemente vaghi e incerti…Le comunità queer sanno anche che sono immaginate
in un certo senso sia consapevolmente sia apertamente chiedono lo stato di membro di una varietà
di membri potenziali’186: inoltre, come evidenzia Keith Walters, le comunità sono immaginate su un
numero di livelli, che includono i modi in cui i ricercatori si immaginano essi stessi le comunità che
studiano187.
Uno dei problemi con la prima ricerca sulla lingua delle donne omosessuali sarebbe stato il risultato
del modi in cui i ricercatori immaginavano la comunità discorsiva lesbica, anche i ricercatori che si
considerano essere membri di questa comunità: a causa delle complessità del cercare di accomodare
la diversità in una categoria generalizzata, particolarmente una in cui le variabili sono
183
!
Cfr: Andersen, Benedict (1991): Imagined Communities: Reflections on the Origin and Spread of Nationalism.
London: Verso.
184
!
Cfr: Gumperz, John (1971). ‘Speech Communities.’ In Pier Paolo Giglioli (ed.), Language and Social Context. New
York: Penguin, pp. 219-231;
Labov, William (1972). Sociolinguistic Patterns. Oxford: Basil Blackwell.
Ferguson, Charles (1971). ‘Diglossia’. In Pier Paolo Giglioli (ed.), Language and Social Context. New York: Penguin,
pp. 232-282.
185
!
Cfr: Jennes, Valerie (1992). ‘Coming Out: Lesbian Identities and the Categorization Problem.’ In Kenneth Plummer
(ed.), Modern Homosexualities: Fragments of Lesbian and Gay Experience. London: Routledge, pp. 65-74.
186
!
Barrett, Rusty (1995). ‘The Markedness Model and Style Switching: Evidence from African American Drag
Queens.’ In Pamela Silberman e Jonathan Loftin (eds.), SALSA II. Proceedings of the Second Annual Symposium about
Language and Society- Austin. Austin: Department of Linguistics, University of Texas at Austin, pp. 40-52.
187
!
Cfr: Walters, Keith (1995). ‘Closing Remarks: Sociolinguistics and Linguistic Anthropology.’ In Pamela Silberman e
Jonathan Loftin (eds.), SALSA II. Proceedings of the Second Annual Symposium about Language and Society- Austin.
Austin: Department of Linguistics, University of Texas at Austin, pp. 266-273.
!148
essenzialmente infinite, la stessa categoria deve essere né così troppo definita che includa troppo, a
proposito se loro si credono essere membri né essere definita troppo vagamente che cessi di avere
confini definiti.
Una terza opzione, naturalmente, è rispondere al bisogno per una distinzione categorica di una data
categoria, mentre ancora si riconosce la rilevanza sociale delle caratteristiche associate con quella
categoria e i modi in cui il comportamento rifletterebbe o anche costruirebbe concetti ad essi
attinenti: Keith Walters e Rusty Barrett in una discussione a proposito della discorsività maschile
omosessuale, notano che non esiste qualcosa di specifico alla discorsività maschile omosessuale in
termini della sua grammatica o del suo sistema linguistico ma esiste una gamma unica e
convenzionalizzata di significati attaccati ad alcune delle risorse linguistiche usate da uomini
omosessuali188.
Si tratta dell’applicazione di questi significati convenzionali che diventa indice di ‘omosessualità
maschile’: mentre Walters e Barrett affermano esplicitamente che loro si occupano solo di uomini
omosessuali, loro predicono che il loro modello sarà responsabile per gli schemi discorsivi anche di
donne omosessuali189.
Il loro modello esamina la lingua da una posizione che prende in considerazione gli assi delle
differenza sociale e in quanto tale predice che sono specificatamente i modi in cui le risorse
linguistiche vengono usate, piuttosto che una gamma di segni linguistici che sono unici ad una
comunità discorsiva, che indicono una identità data: il loro lavoro si fonda in ciò che Mary Louise
Pratt ha chiamato una linguistica di contatto190.
Con la sua critica agli approcci all’analisi linguistica, basati sulla comunità, Pratt evidenzia la
natura utopistica dei modi in cui le comunità sono generalmente immaginate, ovvero in senso
omogeneo, sia linguisticamente che socialmente: come alternativa, lei offre un framework per
approfondire la diversità tra i parlanti con queste parole
“immagina, quindi, una linguistica che decentra la comunità, che colloca al suo centro le
operazioni di lingua attraverso linee di differenziazione sociale, una linguistica che si focalizza sui
modelli e sulle zone di contatto tra gruppi dominanti e dominati, tra persone di identità diverse e
multiple, parlanti di lingue diverse, che focalizzava sul come i parlanti si costituiscono a livello
188
!
Cfr: Walters, Keith e Rusty Barrett (1994). ‘Imaging Gay Communities: Gay Language and Acts of Identity.’ Paper
presented at the Second Lavender Languages and Linguistics Conference, American University, Washigton D.C.
189
!
Ibidem.
190
!
Cfr: Pratt, Mary Louise (1987). ‘Linguistic Utopias.’ In Nigel Fabb et al. (eds), The Linguistics of Writing:
Arguments between Writing and Literature. Manchester: Manchester University Press, pp. 48-66.
!149
relazionale e nella differenza, come loro promulgano le differenze nella lingua. Lasciateci chiamare
questa impresa una linguistica di contatto, un termine legato alla nozione di Jakobson di contatto
come una componente di eventi discorsivi, e al fenomeno di lingue di contatto, una delle migliori
sfide al sistemare la linguistica del codice191”.
In tal maniera, è attraverso un tale framework che si può inziare a capire come la linguistica sceglie
che un parlante infatti potrebbe indicarsi come membro in qualche gruppo ‘immaginato’: Dorothy
Painter nota che le donne omosessuali possono identificarsi in una varietà di impostazioni ma che
non possono spiegarsi sempre come l’identificazione ha luogo192: la M. Queen propone come uno
dei modi principali in cui le donne omosessuali si classificherebbero (e per questo sono capaci di
identificarsi l’uno con l’altra) è attraverso la combinazione decisamente marcata di un numero di
stili linguistici.
In altre parole, non è la membership assunta o imposta nel concetto astratto di comunità lesbica che
rende la lingua delle donne omosessuali unica ma piuttosto il fluido contatto tra un numero di stili
verso i quali le donne omosessuali hanno accesso e che comportano vari significati
‘convenzionalizzati’ che possono essere sfruttati in modi unicamente ‘saffici’: mentre esistono stili
diversi da cui le donne omosessuali appaiono tracciarsi quando usano il gergo ‘lesbico’, è
importante notare che gli ‘stili’ si riferiscono ad una gamma di assunti stereotipati riguardo una
gamma di caratteristiche linguistiche e le loro connotazioni sociali associate, piuttosto che l’attuale
pratica linguistica.
Per esempio, le donne non parlano in maniera consistente nei modi che Robin Lakoff evidenziò nel
suo lavoro pioneristico Language and Woman’s Place del 1975193: Mary Bucholtz e Kira Hall
notano comunque che tuttavia esiste uno stereotipo a proposito dei modi in cui le donne parlano, ed
è questo stereotipo verso cui le donne aspirano o rigettano (e a volte entrambi gli atti in maniera
simultanea)194.
Per questo motivo, lo stereotipo ha assunto un significato sociale convenzionato che è riconosciuto
da un ampio numero di parlanti: come ricorda ad esempio Barrett, le drag queen afroamericane
191
!
Ibidem.
192
!
Cfr: Painter, Dorothy (1981). ‘Recognition among Lesbians in Straight Settings.’ In James W. Chesebro (ed.),
Gayspeak: Gay Male and Lesbian Communication. New York: Pilgrim Press, pp. 68-79.
193
!
Cfr: Lakoff, Robin (1975). Language and Woman’s Place. New York: Harper & Row.
194
!
Cfr: Bucholtz, Mary e Kira Hall (1995). ‘Introduction: Twenty years after Language and Woman’s Place’. In Kira
Hall and Mary Bucholtz (eds.), Gender Articulated: Language and the Socially Constructed Self. New York: Oxford
University Press.
!150
tracciano sullo stereotipo di un gruppo particolare di donne piuttosto che cercare effettivamente di
appre come ‘vere’ donne (una distinzione interessante può essere tracciata tra le drag queen
osservate da Barrett e la loro appropriazione della discorsività stereotipata e la raffigurazione delle
drag queen nei film To Wong Foo, Thanks for Everything, Julie Newmar, nei quali gli attori
sembrano che stiano cercando di parlare come donne piuttosto che come drag queen).
Allo stesso modo, le donne omosessuali si tracciano diversi stili stereotipati quando usano il gergo
lesbico, tanto che M. Queen considera l’uso di questi stili essere tropi linguistici perché le
caratteristiche comportano significati sociali convenzionalizzati: a questo proposito Paul Friedrich
scrive ‘Un tropo non significa nulla […] ogni persona lo usa per creare una struttura ed effetto
poetici, significati poetici ed integrazione poetica […] La piena moltitudine di tropi e il feedback
tra di loro sarebbe riconosciuto , come dovrebbe la loro indipendenza parziale e la loro
indipendenza parziale. Pensando in termini dell’intero campo di tropi si è vicini ad essere qualsiasi
persona; questo accade quando qualcuno usa la lingua in un modo familiare e abbastanza
naturale’195.
Attraverso l’interazione dei tropi, si ha la classica progettazione poetica del paradigmatico sul
sintagmatico196: le caratteristiche linguistiche sarebbero combinate a creare ed interagire in maniera
simultanea un gergo lesbico univocamente e per questo motivo vari paradigmi del significato
sociale, indetti attraverso le forme linguistiche sono uniti a formare una nuova gamma di
associazioni convenzionali.
Combinando gli stereotipi delle comunità non lesbiche con gli stereotipi che le donne omosessuali
hanno di sé stesse, le donne omosessuali creano una relazione indice tra l’uso della lingua e
un’identità lesbica: sulla base quindi sia dell’osservazione personale che dell’analisi dei personaggi
della fumettistica lesbo, M. Queen propone quattro tropi stilistici che le donne omosessuali usano
per costruire il gergo lesbico
1. Lingua stereotipata delle donne197:
•
una riserva ampia di parole legate agli interessi specifici, generalmente relegati ai
lavori femminili- dart (per il cucire) e specifici termini di colore;
•
aggettivi vuoti come divine, charming, cute;
195
!
Cfr: Friedrich, Paul (1991). ‘Polytropy’. In James W. Fernandez (ed.), Beyond Metaphor: The Theory of Tropes in
Anthropology. Stanford, CA: Stanford University Press, pp. 17-55.
196
!
Cfr: Jakobson, Roman (1960). ‘Closing Statement: Linguistics and Poetics’. In Thomas Seboek (ed.), Style and
Language. Cambridge: MIT Press, pp. 350-377.
197
!
Cfr: Lakoff, Robin (1975). Language and Woman’s Place. New York: Harper & Row.
!151
•
intonazione interrogativa in cui ci si aspettano delle dichiarazioni; per esempio, tag
questions e intonazione crescente nei contesti istruttivi;
•
uso di barriere di diverso tipo; il discorso delle donne appare in generale contenere
più istanze del tipo well, y’know, kinda, etc…
•
connesso a questa caratteristica è l’uso di so; di nuovo, questo è molto più frequente
nella discorsività delle donne rispetto a quella degli uomini;
•
grammatica ipercorretrice (non si pensa che le donne possano parlare in maniera
rude);
•
forme estremamente gentili (le donne non userebbero espressioni non delicate o
colorite, da cui risulterebbero esperte di eufemismi);
•
assenza di humour da cui le donne non scherzerebbero.
2. Varietà stereotipate non standard, spesso associate con la classe lavoratrice e gli uomini di
città198:
•
cambiamenti vocalici a seconda della regione;
•
forme linguistiche marcate etnicamente (kapeesh, yo’mama);
•
forme contratte (gonna, oughta, I dunno);
•
semplificazione del gruppo consonantico non normativo;
•
delezione della /r/ postvocalica (sarebbe anche marcata a livello regionale); cursing in’ing.
3. Gergo stereotipato degli uomini omosessuali:
•
uso di profonda gamma tonale per profili intonazionali;
•
ipercorrettivismo, ovvero la presenza di forme non ridotte fonologicamente e l’uso di vocali
iperestesie;
•
uso di lessemi specifici al gergo gay;
•
uso di un profilo intonazionale H*L (spesso copresente con le vocali estese come in
FAABulous).
4. Gergo stereotipato delle donne omosessuali (gli stereotipi della discorsività delle donne
omosessuali si basano su discussioni personali di M. Queen con donne omosessuali tanto
quanto sollecitazioni informali in tre corsi introduttivi di linguistica alla University of Texas
di Austin):
198
!
Cfr: Labov, William (1972). Sociolinguistic Patterns. Oxford: Basil Blackwell.
!152
•
uso di ristretta gamma tonale e generalmente modelli intonazionali ‘piatti’;
•
imprecare;
•
uso di espressioni come bite me e suck my dick, che sono normalmente associati con gli
uomini e la loro anatomia;
•
assenza di humour e scherzo, in particolare nelle forme del sarcasmo e dell’ironia.
Mentre tutti questi quattro tropi sono integrati alla discussione sul gergo e la discorsività saffici, la
discorsività stereotipata delle donne merita una discussione particolare perché può essere usata sia
positivamente che negativamente: le donne omosessuali possono appropriarsi di caratteristiche
stilistiche associate con la lingua stereotipata delle donne o possono consapevolmente rigettarne
l’uso di tali caratteristiche.
Uno dei più salienti stereotipi riguardo i modelli discorsivi delle donne omosessuali, per esempio,
riguarda l’uso dell’intonazione piana, ovvero ad una mancanza di punte e depressioni nella
frequenza essenziale: attraverso lo stesso segno, uno dei più salienti aspetti della lingua stereotipata
delle donne è l’uso di fluttuazioni estreme nell’intonazione.
Per questo motivo, quando una donna non intona nel modo normativo, potrebbe tentare di
distinguersi dallo stereotipo della donna eterosessuale: come R. B. LePage e André Tabouret-Keller
evidenziano, un parlante segna il suo discorso così da essere come il discorso di colui o colei con
cui lui o lei vuole essere identificato oppure da essere diverso dalla discorsività di coloro da cui lui
o lei si augura di essere distinto199.
Le donne omosessuali userebbero elementi strutturali che non si conformano alla discorsività
stereotipata delle donne per distinguersi dalla donna stereotipata o userebbero aspetti particolari di
lingua stereotipata delle donne per indire la loro identità come donne: l’uso di un linguaggio
stereotipato delle donne punta ad una ulteriore dinamicità che informa le identità lesbiche tanto
quanto la discorsività lesbica: la dicotomia butch/femme.
Lilian Faderman evidenzia che la dinamica butch/femme serviva come un segno di appartenenza
durante gli anni 50 quando le sottoculture lesbiche si stavano stabilizzando pienamente negli Stati
Uniti d’America200 : sebbene la dicotomia butch/femme era disprezzata, con l’avvento del
movimento femminista lesbico nei primi anni 60, tuttavia si mantenne una posizione definita tra le
donne omosessuali.
199
!
Cfr. LePage, R.B.- Tabouret-Keller, A. Acts of identity. Cambridge University Press. Cambridge. 1985.
200
!
Cfr: Faderman, Lillian (1991). Odd Girls and Twilight Lovers: A History of Lesbian Life in the Twentieth Century.
New York: Penguin.
!153
Come afferma Lisa Bland in una discussione sull’uso umoristico della dinamica butch/femme, ‘la
dicotomia butch/femme gioca un ruolo ideologico particolare nella costruzione dell’identità lesbica
[…] ogni donna omosessuale ha a che fare con lo stereotipo butch/femme in qualche modo,
accettandolo a volte o rifiutandolo altre volte, e cooptando in ancora altri casi’201: il significato
convenzionale ed emergente legato alla dinamica butch/femme è una fonte importante di sapere
sociale che le donne omosessuali spartiscono.
Anna Livia nota nella sua discussione sulla lingua che deriva dalla dicotomia butch/femme nella
fiction che la raffigurazione di butch e femme traccia particolari stereotipi ma non conformanti a
tutte le caratteristiche della lingua stereotipata202: in particolare evidenzia la stereotipata ‘sindrome
da grugnito di butch’ che è indicativa della butch silente, è attualmente antitetica alla lingua
maschile stereotipata, in cui i maschi assumono una più grande quantità dello spazio discorsivo.
Per questo motivo, non è il caso di sostenere che le butch ‘parlino come gli uomini’ e le femme
‘parlino come le donne’ ma che butch e femme (e la rappresentazione di butch e femme)
appropriano elementi particolari di questi stili stereotipati e poi costruiscono le loro identità butch e
femme attraverso l’interazione dinamica e unica di alcuni ma non tutti gli elementi stilistici: per
questo motivo, M. Queen sostiene che tutta la discorsività lesbica è costruita attraverso una tale
interazione stilistica e usando una linguistica del contatto come un modello per discutere di gergo
lesbico, si ottiene un meccanismo di ricerca che può essere responsabile per il fatto che la maggior
parte delle donne omosessuali fanno scelte linguistiche sulla base di un qualsiasi numero di fattori
individuali e/o contestuali che potrebbero o non potrebbero coincidere.
Quando un parlante sceglie di indire l’aspetto ‘lesbico’ della sua identità, le scelte linguistiche che
lei fa, riflettono la costruzione dell’identità lesbica: il punto, poi, non è predire quando una donna
omosessuale userà ‘il gergo lesbico’ o offrirà uno strumento diagnostico per identificare le donne
omosessuali ma piuttosto capire che le donne omosessuali, come tutti i parlanti, hanno accesso ad
un numero di stili discorsivi, tanto quanto i significati convenzionali associati con l’uso di questi
stili: è attraverso la ricontestualizzazione e la riappropriazione di caratteristiche particolari ritrovate
nei vari stili che le donne omosessuali creano nuovi significati e associazioni convenzionali, e per
questo motivo univocamente un gergo lesbico.
201
!
Cfr: Bland, Lisa (ms.) ‘The Humorous Side of Butch and Femme’. University of Texas at Austin. 1995.
202
!
Cfr: Livia, Anna (1995). ‘I Ought to Throw a Buick at You’: Fictional Representations of Butch/Femme Speech.’ In
Kira Hall e Mary Bucholtz (eds.), Gender Articulated: Language and the Socially Constructed Self. New York:
Routledge.
!154
A questo punto, avendo identificato i tropi linguistici che appaiono essere la fonte predominante del
gergo lesbico, M. Queen analizza i personaggi della fumettistica lesbo per dimostrare i punti di
contatto tra gli stili diversi e i modi in cui i più grandi tropi sono usati per raffigurare il gergo
lesbico: si parte con Hothead Paisan dal momento che ‘lei ha portato in vita molti dei miti e simboli
intorno ai quali le comunità lesbiche hanno costruito una cultura e un’identità’203 ( si ricordi che il
suo fine è quello di dimostrare l’importante ruolo della lingua per le donne omosessuali e le identità
delle donne omosessuali).
Nella figura 3 esiste un riferimento esplicito, per esempio, fatto verso le assunzioni sul come le
donne dovrebbero parlare e al fatto che le donne omosessuali tipicamente non parlano in tal
maniera: si noti che il personaggio lesbico usa piene forme progressive sempre tranne nel frame
finale, in cui lei dice fuckin’.
In maniera interessante sua madre ignora tutti gli altri segni dell’omosessualità della dona e afferma
solo che le ragazze carine non dovrebbero imprecare, secondo le distinzioni di Lakoff.
!
3
L’immagine 4 mostra un altro esplicito riferimento alle aspettative per la discorsività delle donne:
203
!
Cfr: Heller, Dana (1993). ‘Hothead Paisan: Clearing a Space for a Lesbian Feminist Folklore’. New York Folklore
19, no. 1-2: 27-44.
!155
!
4
In questo fumetto, comunque, Hothead Paisan rigetta apertamente quel tipo di lingua: da notare
come la madre e la sorella esibiscono la maggior parte delle caratteristiche linguistiche delle donne
stereotipate e la stampa è solita riportare il loro discorso in maniera più piccola e più leggera di
quella di Hothead, tanto che indica voci ‘più piccole’, perché usano toni più alti con meno ampiezza
e la madre usa forme marcate come panties.
Hothead termina lo scontro identificando la lingua stereotipata delle donne come Spritch e
affermando che non lo parla (Spritch si riferisce al termine spritzhead, un termine che Hothead usa
per identificare le donne eterosessuali stereotipate, in particolare coloro che felicemente permettono
agli uomini di trattarle in maniera misera e che spendono somme non ordinarie di tempo nel
truccarsi e farsi i capelli; il personaggio del fumetto Cathy offre un esempio canonico delle donne
alle queli Hothead si riferisce quando usa il termine spritzhead): la figura 5 mostra la copertina
interna del volume 17, dove si trovano nuovamente una miscela di caratteristiche linguistiche
standard e non standard, in particolare forme fonologiche marcate per regione e per etnia e lessemi.
Sebbene la copertina è generalmente in ortografia standard si trovano delezioni della /r/
postvocalica (publisha) e delezione vocalica iniziale (sistant), tanto quanto l’uso delle parole taboo
come fuck e shit: si trovano anche alcune catteristiche stereotipate ‘da donne’ con prodotti come
!156
love support staff e nella nota dell’editore, termini come whoopsie, LOVE, e feel kisses now and
now and now.
Esistono anche riferimenti alle caratteristiche stereo tipizzate delle donne omosessuali, come
chiamare i gatti come lo staff del supporto amoroso e riferirsi al segno astrologico di Hothead:
questi riferimenti evidenziano nuovamente la confusione dei confini tra stili tanto quanto i modi in
cui gli stili possono essere combinati dinamicamente per creare gergo lesbico.
!
!157
!
5
!158
Nella figura 6 ci sono diversi elementi addizionali non standard al discorso di Hothead: in
particolare esistono le forme contratte needa e sorta, per cui questi esempi sono particolarmente
interessanti perché violano la costituenza delle frasi sintattiche need to find e sort of freak.
Secondo la maggior parte delle teorie generative della sintassi, tali costruzioni dovrebbe essere
malformate: comunque, come dimostrano questi esempi, la rappresentazione della discorsività non
standard conta sulle rappresentazioni fonetiche che sarebbero in conflitto con le convenzioni
standard per segnare i sostenitori sintattici e per questo motivo DiMassa sta rappresentando
essenzialmente la lingua parlata.
!
6
Le figure 7 e 8 offrono una comparazione interessante tra la rappresentazione dell’uso delle
caratteristiche nonstandard delle donne omosessuali tipicamente associate con gli operai204 e la
rappresentazione della classe operaia: nella figura 7 si hanno esempi come in’ (spendin’, datin’),
204
!
Cfr: Labov, William (1972). Sociolinguistic Patterns. Oxford: Basil Blackwell.
!159
uso di /d/ al posto di /ð/ (da), forme sintattiche nonstandard, shoot them bones, so’s, hafta, qualità
vocaliche nonstandard (yer) e osservazioni che usano parole taboo (fuck you, shit).
Tutti questi esempi sono segnati in termini della loro essenza nonstandard tanto quanto della loro
associazione generale con gli operai di città (e la dissociazione con le donne).
Comunque, non è il caso delle donne omosessuali raccontate nella figura 7, nella quale tentato di
imitare uomini ‘veri’ in termini prettamente linguistici:
!160
!
7
Quando compariamo la figura 7 con la figura 8, troviamo diverse caratteristiche non standard
addizionali, che differenziano le donne omosessuali dagli uomini: le caratteristiche maschili
esibiscono cambiamenti vocalici (fooken ‘fucking’, yiz ‘you’ [voi] e delezione postvocalica /r/
(kweehs ‘queers’, nawmul ‘normal’) non ritrovati tra le donne omosessuali della figura 7.
!161
Inoltre, /ð/ è consistentemente rappresentato come /d/, lì dove quando le donne omosessuali
parlano, è variabile, come nella figura 9: in aggiunta gli uomini usano in maniera consistente in’ al
posto di ing (fooken’, disgustin’).
!
8
Le donne omosessuali comunque mostrano qualche variazione, comparando di nuovo la figura 9 si
ha la forma non ridotta di something e thinking: sebbene la figura 9 mostra che l’uso delle
caratteristiche non standard non è una parte essenziale dell’identità lesbica, tuttavia esiste un
numero di caratteristiche non standard che violano sia le norme stereotipate per le donne sia si
appropriano di quelle forme non standard, prodotti di prestigio nascosti dalla stereotipata
discorsività maschile.
!162
!
9
Per esempio, nella figura 1 Hothead chiede alla sua amante dal primo colpo riguardo la sua
anatomia, usando termini da vocabolario che sono segnati in maniera non standard tanto quanto
termini ‘non femminili’ (Daphne ha avuto un sesso biologicamente ambiguo dall’inizio- nel
quindicesimo volume lei fa un riferimento indiretto ad una ‘più grande transizione’ che sta passando
nella sua vita, che pone la questione se si trattasse o no di un transessuale: alcuna risposta chiara
viene data, la maggior parte delle volte un’omissione deliberata verosimilmente; comunque Daphne
è presentata anatomicamente come una femmina nel diciannovesimo volume).
Poi, nella figura 2 l’ideatrice DiMassa appare come un personaggio del fumetto: lei mostra la
variazione tra l’uso di /ð/ (that) e /d/ (da), senza considerare che nella figura 3 poi si ha le forme
contratte di resta, wanna e gotta, tanto quanto lo spostamento vocalico in ya e yer.
A questo punto, nella figura 4 non ci sono caratteristiche linguistiche marcatamente non standard e
per questo motivo è dimostrata la natura non variabile del contatto tra i diversi tropi: le figure 3-9
!163
centrano sull’uso di forme linguistiche non standard: il gergo lesbico, comunque, non è
semplicemente composto da un movimento lungo una scala linguistica in cui
‘standard’ (stereotipizzato bianco e donna di classe media) è su un termine della linea e ‘non
standard’ (stereotipizzato bianco e maschio di classe lavoratrice) è su un altro termine della linea.
Nelle figure 10 e 11 per esempio si trovano esempi di lessemi che tendono ad essere segnati come
stereo tipizzati da uomo omosessuale: nelle figure 13-10 Chicken, il gatto, parla del fez come
qualcosa di fabulous e in aggiunta non solo la stampa è un po’ più leggera ma ogni frase termina in
un punto esclamativo.
!
10
Considerati insieme, questi elementi indicano profili intonazionali finali di frase diversi (la maggior
parte verosimilmente profili altamente in crescita piuttosto che la caduta normativa di una
dichiarativa): il lessema cute nella figura 4 appare essere uno degli aggettivi vuoti notati da Lakoff,
che potrebbe coincidere sia con lo stereotipo dell’omosessualità maschile sia con lo stereotipo della
discorsività femminile.
Nella figura 11 poi è possibile vedere anche uno stereotipo della discorsività omosessuale maschile
con lessemi come exquisite, tanto quanto uno stress marcato su parole di funzione come so e too: la
parola tracciata far potrebbe indicare anche il contorno H*L notato dalla Barrett e nella figura 12 si
ha l’uso del discorso stereotipato femminile con frasi come o my God in cui la o è abbreviata e God
stressata, che potrebbe indicare una delle frasi stereotipate convenzionalmente associate con ‘Valley
Girls’.
!164
!
11
Nella figura 13 si ha una frase simile tranne il fatto che non ha una forma tagliata di ‘oh’ e c’è
l’inserzione del lessema fuckin’: qui fuckin’ sarebbe un esempio del morfema infisso fuckin-’,
rintracciabile comunemente negli usi non standard come fan-fuckin’-tastic o abso-fuckin-lutely.
!
12
!165
In questo caso, il fuckin’ è inserito nella frase come se la frase fosse una parola fonologica: si noti
anche lo spelling non standard di fukin’ ed esempi come quelli della figura 13 dimostrano il fondersi
di tropi stilistici in modi unici.
!
13
La figura 13 non dà né una rappresentazione del discorso femminile stereotipato né una
rappresentazione dell’intero discorso non standard ma è piuttosto una combinazione di entrambi: il
primo punto per il gergo lesbico è che gli esempi come le figure 12 e 13 mostrano come le donne
omosessuali usano caratteristiche della discorsività femminile stereotipata come una parte della
costruzione del gergo femminile.
A questo punto, le figure 14 e 15 danno esempi dell’uso di modi lesbici stereotipati di parlare: in
questi casi non c’è un uso né di forme maschili da classe lavoratrici stereotipate non standard, né
forme femminili stereotipate.
Al loro posto, c’è una iperarticolazione con una modulazione un po’ di tono o un apparente gioco di
lingua: in entrambi gli esempi c’è una poca fonologia o una fonologia non standard: in modo
particolare nella figura 14 è da notare il discorso di Hothead con la sua semplificazione del gruppo
consonantico (an’), contrazioni non standard (sorta), l’uso di in’ piuttosto che ing (helpin’, fuckin’)
e inclusione di parole taboo (fuckin’ e motherfuckers).
Alice, dall’altro canto, esibisce poche di tali caratteristiche: nella figura 4 lei afferma Shall I
respond, una forma interrogativa marcata tanto tipicamente femminile quanto formale: nelle
!166
vignette 5 e 6, lei usa costruzioni molto formali come Do you dare e forme piene piuttosto che
contrazioni in esempi come I have (sebbene lei usi anche contrazioni standard come can’t e don’t).
Allo stesso modo, nelle figure 13-15 si nota la raffigurazione della lingua stereotipata della ‘madre
terra’ che attualmente viene usata dalla terra madre e dalla dea della luna205: si noti anche il cambio
stilistico tra tra le figure 2/3 e 4/5, in cui il discorso ritualizzato viene usato per stimolare le donne
di tutto il mondo ad avere mestruazioni e di nuovo non si notano alcuna forma ridotta
fonologicamente, alcuna forma contratta e alcun segno di qualsiasi discorsività non standard.
!
14
Allo stesso tempo, la discorsività non è marcata nemmeno in senso lakoffiano come ‘femminile’,
sebbene viene chiaramente parlato da donne, comparando le figure 7 e 8: quindi, come gli esempi
hanno dimostrato, le creatrici dei personaggi dei fumetti non solo tracciano su stereotipi linguistici
205
!
Cfr. Heller, Dana (1993). ‘Hothead Paisan: Clearing a Space for a Lesbian Feminist Folklore’. New York Folklore 19,
n. 1-2: 27-44.
!167
nel modellare i loro personaggi, ma combinano anche caratteristiche linguistiche varie associate con
diversi stereotipi.
La caratterizzazione del gergo lesbico non gira intorno ad una mera scelta binaria, ovvero se a
parlare sono uomini o donne:
!
15
Invece, le donne omosessuali hanno una gamma piuttosto ampia da cui derivare le proprie scelte
linguistiche: gli elementi di queste scelte incorporano la costruzione e la promulgazione di
un’identità lesbica, queer, femminile, etnica e di classe sociale, in aggiunta ad una varietà di altri
tipi di varietà.
Potrebbero esserci delle volte in cui una donna omosessuale privilegia un aspetto della sua identità a
discapito di altri e altre volte in cui lei rappresenta diversi aspetti o tutti gli aspetti: la M. Queen a
questo punto nel ricordare che il suo studio è limitato alle rappresentazioni umoristiche e fictionali
del discorso delle donne omosessuali piuttosto che sul discorso che si forma spontaneamente da
donne omosessuali, sostiene tuttavia l’utilità del proprio studio per cominciare da un nuovo punto di
!168
partenza per gli studi che indagano sul come le donne omosessuali userebbero la lingua nei modi
che sono a loro specificatamente lesbici.
Se infatti si accetta l’asserzione che i personaggi fumettistici saffici presentano rappresentazioni di
donne omosessuali e i modi in cui le donne omosessuali parlano, allora l’esame del loro discorso
dimostra molti dei modi in cui i significati sociali associati con stili linguistici vari diventano
riconvenzionalizzati e per questo motivo indicono un gergo e una discorsività univocamente saffici:
di conseguenza si propone che è attraverso la combinazione di risorse linguistiche disponibili da
ciascuna delle comunità ‘immaginate’ alle quali le donne omosessuali ‘appartengono’ che ne
deriviamo uno stile discorsivo lesbico.
Nel prendere questa prospettiva basata sul contatto, si inizierà a sistemare la vasta diversità sociale
e individuale ritrovata tra donne omosessuali tanto quanto capire la complessità e i modi originali in
cui le donne omosessuali usano la lingua come marcatori indicali di identità.
!
1.12. Evoluzione semantica dell’omosessualità femminile in francese
Sebbene ora si riconosca che l’amore tra donne sia sempre esistito, i termini usati per descriverlo
sono variati nel corso degli anni: il lemma gergale francese lesbienne ha guadagnato il suo
significato attuale solo nella seconda metà del diciannovesimo secolo, mentre homosexuelle fu
creato alla fine del diciannovesimo secolo, apparendo in un dizionario francese per la prima volta
nel supplemento del 1904 al Nouveau Larousse illustré.
Prima di questo periodo solo un termine era comunemente usato in francese, ovvero tribade, una
parola di origine greca che fu portata in Francia durante il Rinascimento da scrittori latini e adottata
in francese nella metà del sedicesimo secolo: Marie-Jo Bonnet si chiede dunque cosa comporta
questi cambiamenti e se riflettano un’evoluzione nell’immagine delle donne e del loro status nella
società.
La prima constatazione è che alcun termine è neutrale: se dare un nome all’amore tra donne è
riconoscere la sua esistenza, è anche per identificarlo e in questa maniera per inscriverlo in una
ricerca specificatamente politica e filosofica, un’economa sessuale inevitabilmente determinata
dalle relazioni sociali tra i sessi.
A questo punto, un’altra domanda cerca una risposta per Bonnet, ovvero cosa ha comportato la
trasformazione dell’ostilità verso Saffo di Lesbos nei primi secoli nella sua accettazione di
designazione prevalente di omosessualità femminile: per secoli infatti lo stile di vita della grande
poetessa è stato totalmente ignorato in un completo silenzio che favoriva un’immagine più
!169
accettabile della Saffo mascula (ci si riferisce al poeta latino Orazio che esprime un giudizio
letterario sulla padronanza della prosodia di Saffo, per cui del diciassettesimo secolo, il termine
mâle era compreso in termini di eroina che aveva il coraggio di saltare dalla roccia a Leucadio), la
Saffo casta (fu Ovidio a inventare il mito del suicidio di Saffo, causata dalla sua disparità
nell’essere stata rifiutata da Faone, di cui si è innamorata in tarda età; nel diciassettesimo secolo in
reazione a questo mito, la sua biografia fu riscritta come eterosessuale e Saffo divenne il modello di
scrittrice. Fu rimossa l’intero suo amore decantato per le donne, tanto che questo fenomeno ebbe un
tale effetto di vasta portata che il termine Saffo sostituì Précieuse e Femme savante per riferirsi ad
una scrittrice)206 oppure la donna che si uccise alla Rocca di Leucaudius, gettandosi in mare perché
il giovane pastore Faone rifiutò le sue avances (una leggenda che si originò in Ovidio)207.
Deve essere stato impensabile per gli umanisti del Rinascimento che Saffo fosse sia una grande
poetessa che una donna che amava le donne fosse già problematica, per cui la questione diventa se
lo status delle donne regredì ad un punto tale durante il Rinascimento che una persona non poteva
più concepire che un genio poetico del suo calibro potesse anche essere un genio della libertà
dell’amore; in aggiunta c’è da chiedersi se la libertà dell’amore ad essere la causa che ne determinò
poesia erotica e il raggiungimento di una tale capacità per l’evocazione lirica che i suoi poemi sono
diventati un tipo di archetipo per il desiderio sessuale.
Saffo fu la fondatrice dell’amore tra donne in Occidente, la prima donna nota che riconobbe alle
donne la soggettività del suo desiderio, dando loro un nuovo status erotico e poetico: in una società
che si stava preparando a bloccare le donne greche nel loro gineceo, questo fu uno storico evento
infatti, un momento in cui una donna poteva riconoscere l’esistenza di un’altra donna attraverso il
suo proprio desiderio sessuale.
Questo desiderio non derivava solo dallo slancio di Eros, ma anche dal culto di Afrodite, fornendo
un’occhiata di una comunità di donne che studiava insieme la canzone, la musica e la poesia, in una
vita vissuta collettivamente, un contrasto acuto a quello degli uomini della città greca: ne deriva
un’immagine di sovversiva ai suoi tempi tanto quanto nell’era contemporanea, a causa di ventisei
secoli di storia occidentale.
Il mondo di Saffo era un mondo in cui una coppia di due donne aveva significato, un significato che
era riconosciuto anche dagli uomini greci, come è dimostrato dalle coppie di dee corinzie e ‘le
!206
!207
!170
donne sussuranti’ di Mirina, il cui bisbigliare designa ‘la conversazione tra amanti’: c’è da chiedersi
a questo punto se il legame originale sia andato perso o se si è stati spossessati di un’identità
culturale da parte di una lingua patriarcale che non poteva sopportare in Saffo una donna dai liberi
costumi.
Oppure semplicemente è probabile, riconosce Bonnet, che si sta assistendo al processo di
riacquisizione della forza politica di quel mondo, grazie alla rivolta delle donne che per un corso di
due secoli hanno reso possibile il ritorno di una dimensione femminile dell’esistenza in un contesto
maschile.
!
Analizzando la parola tribade, ci si pone inizialmente la domanda che tenta di rispondere al perché
gomorrhe appare nel lessico del piacere, mentre sodomie è comunemente usato, sempre in francese,
per riferirsi alla lussuria tra gli uomini, in particolare al rapporto penetrativo-insertivo anale: appare
che non esista alcun termine specifico per la pratica sessuale tra donne nel Medioevo, eccetto
l’espressione molto vaga péché de luxure (il peccato di lascivia), che si riferisce al piacere al di
fuori dal matrimonio in generale e all’adulterio in particolare, oppure infamen, un termine che
arriva direttamente dalla Lettera ai Corinzi di San Paolo, in cui si condannano les infames amours
romaines, lussurie romane non esprimibili.
L’assenza quasi totale di interesse manifestata dal sistema religioso organizzato in questo
particolare peccato di carne, è nei fatti perfettamente aderente con la dottrina ecclesiastica: due
donne non potevano permettersi un peccato tra di loro, finchè fosse scoperto il segreto del
concepimento, il seme era considerato essere il solo modo di vivere e il suo portatore, colui che
dava senso all’atto sessuale.
Il sistema religioso, in tutto ciò, chiuse un occhio sul comportamento sociale delle donne: nel caso
delle donne che osavano porter l’habit d’homme, dissimuler l’état de femme o utiliser l’état de
femme o utiliser l’état d’homme, non esitava a punire i trasgressori conducendoli alla morte:
durante una prova di stregoneria, diverse donne furono condannate a morte dall’Inquisizione per
offese come quelle precedentemente menzionate in francese.
Nel tredicesimo secolo due donne furono bruciate a Péronne da Robert le Bougre per aver porté
l’habit d’homme (questi eventi ebbero luogo tra il 1235 e il 1238, nota il Prof. Michèle Bordeaux,
!171
professore di diritto all’Università di Nantes): una delle dodici accuse contro Giovanna d’Arco fu
che lei indossava continuellement l’habit d’homme208.
Evidentemente, esistevano azioni legali contro le relazioni tra donne, ma in contrasto con coloro
che erano contrari alle relazioni tra uomini, erano sociali in natura piuttosto che sessuali, per cui la
separazione tra i sessi è la fondazione della coesione sociale garantita dalla religione del Padre, il
Figlio e lo Spirito Santo: questa coesione inoltre era così importante all’esistenza continuativa del
patriarcato che durante il Rinascimento, la giustizia civile andò oltre alla giustizia religiosa,
condannando diverse donne al rogo con la stessa ferocia che era usata verso gli uomini omosessuali.
Se il piacere tra donne appariva così insignificante, bisogna chiedersi perché le autorità religiose la
condannavano: ciò non danneggiava né la figura del Signore, né l’istituzione del matrimonio, né
tanto meno veramente il sistema di discendenza patriarcale che controlla la trasmissione del
patrimonio.
Nemmeno era un peccato contro la natura, dal momento che alcun seme era coinvolto, tanto che per
questo motivo i teologi non lo menzionano: un nuovo quesito che ora sorge per Bonnet, porta a
chiedersi cosa ne era degli uomini del Rinascimento che scoprivano gli scritti degli Antichi nella
metà del sedicesimo secolo.
Questi testi erano pieni di espressioni su tale questione, una questione che era meno probabile
imbarazzasse, dal momento che aveva origine in una tradizione pagana: dunque il silenzio di tali
uomini va spiegato, dal momento che i loro appettiti erano stuzzicati tanto più dal fatto che gli
scrittori greci e latini portarono con loro una ventata di aria fresca, conducendo alla questione del
piacere, un senso di novità che il discorso religioso aveva perso nei suoi sforzi di plasmare le
coscienze e i comportamenti sessuali delle persone.
Dunque, anche la lingua era nel processo di capovolgimento semantico in primis e sociale poi: il
clero e le persone colte stavano abbandonando il latino e la scrittura nelle loro lingue native, per cui
era il momento per prendere in considerazione nuovi soggetti fenomenici: la parola tribade apparse
infatti per la prima volta sotto la penna del famoso stampista umanista Henri Estienne.
Il contesto in cui apparse era molto lontano dal neutrale, come è evidente da questo estratto dal suo
Apologie pour Hérodote:
Una ragazza da Fontaines, che si trova tra Blois e Romorantin, essendo stata rifiutata come uomo,
lavorò stabilmente come ragazzo per circa sette anni in un’osteria nel villaggio di Foye. Lei sposò
!208
!172
una ragazza locale, con cui rimase per circa due anni, lavorando in un vigneto. Dopo un periodo, la
viltà che aveva usato per falsificare il ruolo del marito, fu scoperta e fu arrestata: avendo confessato,
fu arsa viva. Per questo motivo il nostro secolo potrebbe vantarsi che tanto quanto tutti gli atti
malvagi dei secoli scorsi, c’è qualcosa che è peculiare ad esso. Per questo atto non ha nulla in
comune con quello delle creature vergognose che usavano essere chiamate tribadi.
La malvagità non dovrebbe essere confusa con la vergogna, il matrimonio con il piacere sessuale, il
ruolo dell’uomo con quello della donna: Henri Estenne potrebbe essere stato ben informato sui
costumi degli antichi ma trascura di citare le sue fonti, per cui cosa significa esattamente la parola
tribade durante il Rinascimento.
Fino a quando Pierre Richelet pubblicò il suo dizionario Dictionnaire françois tiré de l’usage et des
meilleurs auteurs de la langue quasi un secolo più tardi, nel 1680, che si può trovare una risposta a
questa domanda, che va a mostrare come è stato necessario molto tempo per creare un certo ordine
in una lingua che si stava evolvendo in un tale tasso:
Tribade (tribad in francese): una parola che viene dal greco. Colei che si accoppia con una persona
del suo stesso sesso e ne simola l’uomo, la sua controparte. Vedi Marco Aurelio Marziale, 91. ‘C’est
une tribade’.
L’autore latino vissuto nel primo secolo d.C. il cui numero 91 dell’epigramma si fa riferimento,
dedicò ad una famosa cortigiana di nome Filena: il numero 91 dell’epigramma ha la funzione di
parola tribade, infatti
Ipsarum tribadum tribas, Philaeni
Recte, quam futuis, vocas amicam…
(famosa tra tutte le tribadi, Filena,
con ragione che chiami ‘la tua amica’, lei che solchi).
Per questo motivo, sebbene derivato dal greco tribein, che significa strofinare, strofinarsi, la parola
tribade stessa è un puro prodotto della cultura latina del primo secolo d.C., che comunicava agli
umanisti francesi l’autorità di Marziale: tuttavia ci si meraviglia del perché Richelet scelse Marziale
piuttosto che Fedro, il favolista latino, per esempio, che usa la parola tribade nella sua favola di
Prometeo, in cui spiega, seguendo Platone, l’origine delle tribadi e le effeminate ‘tribades et
molles’209.
!209
!173
Gli uomini del Rinascimento non potevano collocare l’amore tra le donne nella prospettiva mitica
dell’androgino, per farlo sarebbe quello di fornire una fondazione teorica in cui l’uguaglianza tra i
sessi sarebbe possibile: se qualcuno postula gli uomini e le donne come equivalente, esiste allora
l’uguaglianza in ‘natura’, che è in sé inpensabile.
Con il concetto di controparte (imitazione falsa, camuffata) comunque, l’uomo si lancia come il
modello per la donna, come la norma del comportamento sessuale, lo specchio dell’eccellenza: da
questa prospettiva in cui l’uomo è centrale, la donna può essere vista solo come un simulacro o
imitazione.
Anche Saffo, nonostante viene riconosciuta dagli uomini per il suo genio poetico, nel ruolo di
amante simulava solamente il ruolo dell’uomo perché non poteva sessualmente penetrare la sua
amante senza un’imitazione fallica dei suoi genitali: ciò spiega il perché nel sedicesimo secolo,
Saffo fu scartata come un modello di ruolo possibile dell’amore tra donne dallo stesso Estienne, non
dall’ignoranza sulla sua vita e pratica, dal momento che lui era il primo editore del suo lavoro, ma
per scelta politica (Estienne editò due poemi di Saffo per essere precisi, ‘Ad Afrodite’ e ‘La luna è
fuggita’).
Una donna non è uguale ad un uomo, che sia nell’amore, nella politica o nella società: nel
sedicesimo secolo, in questo spazio da cui l’uomo è assente, la sua controparte resta e per questa
ragione, gli uomini si riferiscono solo l’un l’altro (Marziale, Estienne, Baudelaire, Freud,
Brantome).
In ogni caso una cosa è certa: non tutto ciò che era dell’antichità fu riabilitato dagli uomini del
Rinascimento ma solo una parte che consolidava e legittimava il loro nuovo potere.
L’intera tradizione greca dal sedicesimo secolo a.C., che testimonia la nascita della poesia lirica con
Saffo, la poesia del desiderio femminile il cui appeal era così potente che ispirò Boileau a scrivere
un commentario iperbolico, era ‘dimenticata’ in favore della tradizione romana, che testimoniava la
nascita della cristianità: l’homoios, l’attrazione per i propri simili, era incompatibile con l’idea
rinascimentale dell’equilibrio, quindi alla coppia femminile veniva negato il diritto di essere
portatrice di significato e cultura.
‘Esistono solo gli uomini’, fu il commento di Brantome al suo Vie des dames galantes e tuttora fu
lui che è stato il più capace a tradurre il momento dell’esitazione che ha segnato il traballare su di
un’intera cultura da un mondo all’altro, da un’occhiata del mondo greco al suo rifiuto in favore del
mondo latino,di cui la struttura mentale era più vicina a quella del sedicesimo secolo francese:
!174
loro dicono che Saffo di Lesbo era un’antica padrona della sua arte e anche che come sempre loro
dicono, fu lei che la inventò e che dal suo giorno in avanti le signore omosessuali l’hanno imitata e
continuato fino al presente; come dice Luciano: tali donne sono le donne di Lesbo, che non soffrono
alcun uomo, ma approcciano altre donne solo come fanno gli uomini. E che tali donne sono
chiamate tribadi, una parola derivata dal greco, come l’ho imparato dal greco, da tribo, tribein,
che significa affricare, sfregare, strofinare, strofinarsi, e una tribade è chiamata sfregiatrice, o
coloro che perfomano lo sfregamento dei genitali di donna con donna, come è il caso odierno
(questo testo non fu pubblicato quando l’autore visse ma, scritto nel 1587, fu ‘dimenticato’ dai suoi
eredi e non ricomparve fino al 1666, quando riscontrò grande successo).
Brantome va avanti raccontando diverse storie sulle donne che conosceva, come colei che tenne e
dette assistenza alla sua amica à pot et à feu o le donne che si amano così tanto che non potevano
astenersi dal fare gesti amorosi tra di loro anche in pubblico: ‘Ho visto così tante di queste lesbiche
che per tutti i loro sfregamenti e curvature, ancora corrono dietro gli uomini’, ‘Anche Saffo che era
un’antica padrona, non si innamorò del suo grande amico Faone? Per cui alla fine esistono solo gli
uomini’.
Il piacere sessuale delle tribadi non metteva in pericolo la società patriarcale, per cui si tratta del
piacere dei cortigiani, un innocuo gioco sensuale, una sensazione ottenuta dalla sfregamento, non
dalla penetrazione: non sostiene alcuna comparazione all’adulterio, che dalla sua parte mette in
pericolo l’ordine patriarcale della discendenza che è il cuore della trasmissione dell’eredità.
Il vero pericolo arriva da altrove, da coloro che vivono insieme, nelle loro città, come in Gomorra,
coloro che trovavano università per donne, come a Lesbo, coloro che trasgrediscono all’ordine
sociale, come le giovani donne che vivevano a Vitry le François nel 1580, la cui storia viene
raccontata in Diario di una giornata in Italia di Montaigne:
diversi anni fa sette o otto ragazze che vivevano vicino Chaumont in Bassigny complottarono per
indossare abiti maschili e si presentavano al mondo in questo modo abbigliati. Di questo gruppo,
una donna, che portava il nome di Marie arrivò in città, a Vitry, guadagnandosi da vivere come
tessitrice, un giovane uomo di buone condizioni e disposizione servizievole. Nella menzionata città
di Vitry, lui si impegnò ad una donna che ancora vi viveva, ma a causa di alcuni disaccordi che
avvenivano tra loro, le cose non andavano oltre. Dopo ciò, lui si trasferì a Montirandet,
guadagnandosi da vivere dell’occupazione menzionata. Lui si innamorò di una donna che lui sposò
e vissero per quattro o cinque mesi, con il suo consenso, secondo ciò che le persone dicevano.
!175
Ma essendo stato riconosciuto da una persona di Chaumont, la questione arrivò prima alle corti, lei
fu condannata impiccata, poiché lei disse che preferiva resistere piuttosto che tornare allo status di
donna. Così fu impiccata per avere applicato invenzioni illecite per compensare la mancanza
inerente al suo sesso.
Esistevano i fondamenti su cui il Rinascimento fu costruito, e Montaigne quindi ci racconta: ‘Lei fu
condannata all’impiccagione, per cui disse che preferiva resistere piuttosto che riassumere lo stato
di una ragazza’: nella prospettiva semantica contemporanea Bonnet si chiede se si trattasse di una
strega, una tribade, una ribelle, una femminista.
Nessuno lo sa, ma gli uomini del sedicesimo secolo sapevano che cosa stavano facendo nel
continuare le azioni repressive del Medioevo, mentre si cercavano dei riferimenti nel mondo antico
che rinforzerebbero le attitudini mentali patriarcali: distorcevano il messaggio greco e ravvivavano
una tradizione greco-latina amputata dal meglio di sé stesso, amputata dal Fedro, Platone e Saffo,
che aveva tuttavia installato in essa il reale potere con cui lei si associava, ovvero la scoperta dei
sentimenti autoreferenziali nel mondo delle donne.
Bonnet si chiede se non fosse questo mondo che li lottava, questo periodo di cultura autenticamente
femminista, un tempo in cui la donna creativa ebbe un ruolo riconosciuto nella società: un tempo in
cui una donna poteva ricostruire un’identità attraverso le sue relazioni con un’altra donna, diversa
da lei, concepita in egual termini di lei e soggetto del suo proprio desiderio.
Se due amiche erano spazzate via dalla prospettiva rinascimentale, che era costruita intorno ad un
punto di vista univocamente maschile, era perché potenzialmente costituiva una società e formava
la base per una forza oppositiva: senza la cultura, non avrebbe potuto aver luogo alcun potere delle
donne.
Nella storia precedente Montaigne racconta che non furono impiccate entrambe le donne, solo colei
che aveva assunto il ruolo sessuale insertivo, e che per questo motivo considerata essere la parte
colpevole: l’altra donna in termini semantici e cognitivi non esisteva nei fatti ed non era neanche
responsabile per le sue scelte o per i suoi atti.
La scelta della parola tribade, una scelta operata durante il Rinascimento, sigilla la sconfitta delle
donne perché nominalizza una sconfitta culturale, dal momento che questo termine riduce la
nozione di amore tra donne ad una questione tecnica di piacere sessuale: se la domanda che si arriva
a porsi è quella per cui non risulta chiaro come agiscano senza presenza maschile, allora lo
sfregamento tra di loro conia l’identità stessa della tribade.
!176
L’intera prospettiva culturale viene eliminata e questo sviluppo viene in parallelo ad un declino
nello statuto politico delle donne, ufficialmente istigato da Loi Salique (questa collezione di leggi
risale al Medioevo e include un’interdizione che vietava alle donne l’eredità della terra. Fu
introdotta nuovamente nel sedicesimo secolo dal Valois dopo che Enrico III ebbe succeduto al
trono, solo per essere assassinato nel 1589, non lasciando alcun erede maschio. Si instaurò l’intento
di distanziarsi da tali leggi dagli eredi per via femminile, ma Enrico di Navarra che diventò presto
Enrico, si convertì al cattolicesimo e dopo quattro anni di difficoltà, fu consacrato re nel 1594.
Diversamente quindi da Inghilterra e Russia, alcuna donna sedette sul trono fino all’ancien regime),
che evitò alle donne la successione al trono di Francia: in seguito all’approvazione di questa legge,
le donne non poterono più regnare in Francia e Marziale guadagnò autorità culturale su Saffo per
parlare di cosa le concerneva.
Sebbene per tre secoli la parola per descrivere le donne che amano altre donne restò la stessa, le
definizioni dovettero cambiare durante l’Illuminismo: la Bonnet si chiede cosa significhi tribade ad
un uomo colto del diciottesimo secolo, che ha a che fare con il compito di definire le parole nella
sua propria lingua.
Per i membri dell’Accademia, che si assumevano la responsabilità di ‘legiferare su questioni
linguistiche’, nei termini di Vaugelas (grammatico del diciottesimo secolo e membro
dell’Accademia Francese, Vaugelas definiva il ruolo del ‘bon usage’ nel suo Osservazioni sulla
lingua francese, utili per chi vuole parlare e scrivere bene), significava modificare Il Dizionario
dell’Accademia: la parola tribade infatti non appare nel dizionario fino alla sua quarta edizione,
pubblicato nel 1762, in cui lo si definiva come segue
Tribade: una donna che abusa di un’altra donna.
Nello specifico poi, Bonnet nell’indagare su cosa si intenda con la parola abusare, reperisce il
seguente significato:
Abusare: ottenere piacere sessuale da una ragazza senza averla sposata.
Tra lo stupro e il mutuo consenso, si nota come la linea demarcante fosse molto sottile: d’altronde
Bonnet non si aspetta nulla da scrittori il cui lavoro era definire per la monarchia cosa fosse l’uso
corretto della lingua.
Furono i filosofi dell’Illuminismo che fornirono un barlume di speranza ed è nella Enciclopedia che
si nota l’emergere di una definizione completamente nuova della parola tribade, in cui il piacere
riguadagna il suo valore filosofico:
!177
Tribade: donna che prova passione per altre donne. Un tipo particolare di depravazione inspiegabile
come quella che esercita un uomo per un altro uomo.
Due nuovi elementi sono introdotti in questa definizione che ha almeno il beneficio di non tentare
di spiegare ogni cosa: l’idea della passione che invoca il sentimento ma anche la passività, e quello
della depravazione che si riferisce alla patologia e ad un particolare discorso medico sulla passione
considerata essere afflizione dell’anima.
La definizione di queste parole offerte dall’Enciclopedia, rivelante chiaramente il significato esatto
della parola tribade, era tra gli argomenti più spinosi del dibattito filosofico nel diciottesimo secolo:
era un argomento scottante per gli enciclopedisti che fondevano la medicina, la metafisica e la
filosofia dell’Illuminismo.
La precedente conoscenza medica, che aveva spiegato ‘l’abuso di una donna da parte di un’altra’,
basandosi sull’anatomia210, non fu più applicata all’amore fisico tra donne: invece, questa attività fu
attribuita ad un altro fattore, l’ambiguità di cui Diderot esplora nel dettaglio La Religieuse del 1768
nel suo ritratto della badessa d’Arpajon, la cui passione per Sorella Susanne condurebbe alla
‘depravazione’, vale a dire alla non salute e alla ‘dannazione’.
I critici contemporanei come George May hanno visto in Diderot come un precursore della
sessuologia che concepiva il termine omosessualità un secolo prima dei psichiatri (un’affermazione
altamente dibattuta di May si basa sulla credenza che l’omosessualità, in questo caso femminile, sia
un vizio, ma un’attenta lettura rivela che Diderot non offre alcuna lettura razionale ma descrive solo
atti passionali)211: comunque questa interpretazione non prende in considerazione il lato liberatorio
della premessa filosofica di Diderot, che sfondò un formidabile punto morto religioso ‘Qualsiasi
cosa che è non può essere né contro né oltre la natura’.
Il piacere, una fonte di peccato secondo gli standard morali cattolici è in questo modo liberato dal
suo statuto di infamia, crimine, abuso o inutilità: un altro evento che potrebbe aver gettato le basi
per l’affermazione culturale delle donne omosessuali fu la presenza delle donne sulla scena sociale
e artistica che esprimevano apertamente le loro passioni per le donne (Françoise Raucourt,
un’attrice al Teatro Francese, soppranominata La Grande Sacerdotessa di Lesbo dai cronisti
underground, la cantante Sophie Arnould, la Signora Démailly, la cui liaison con Françoise
Raucourt era di pubblico dominio, la Duchessa di Villeroy, la signora Clairon, la signora Julie, che
!210
!211
!178
non dimentica la Signora, Contessa di Provincia, sorella legittima di Luigi XVI, che lottò per
mantenere la donna che amava, la Signora de Gourbillon al suo fianco, né Marie-Antoinette,
naturalmente, la cui ‘amicizia eccessiva’ per la Contessa di Polignac erano tra le news del giorno).
Tutte queste donne partecipavano all’ondata di libertà che oscillava per la Francia prerivoluzionaria:
una libertà che i libertini posero in buon uso in lavori come Apologie de la secte anandryne
(anandryne è una parola greca che vuol dire ‘senza un uomo’. Apologie de la secte anandryne ou
Exhortation d’une jeune tribade è un discorso pronunciato dalla Signorina Raucourt il 28 Marzo
1778 e pubblicato nel decimo volume de Espion anglais del 1784, che è una cronaca anonima dei
costumi del periodo), la loro poesia e le loro storie che riaccendevano il mistero intorno alla
‘sacerdotessa di Lesbo’.
Comunque, la rivoluzione francese non dette la stessa libertà alle donne: sebbene in principio alle
donne venivano garantiti gli stessi diritti umani di base de ‘I Diritti dell’Uomo e della Cittadinanza’
del 1789, in realtà furono rispedite nel ginaceo dal 1783 (vale a dire alla maternità e alla famiglia)
ed escluse dalle libertà della città.
Abbastanza stranamente la storia del suicidio di Saffo sulla rocca di Leucaudio ritornò perseguitare
l’inconscio collettivo, creando un interesse passionale tra gli scrittori e gli artisti: sembra che
Constance Pipelet fu il primo ad introdursi ad una lettura altamente ricettiva agli eroi dell’antichità,
questa nuova figura della femminilità greca, che era la personificazione sia della poesia che della
disparità infelice che conduce al suicidio.
La tragedia lirica di Pipelet dal nome Saffo, apparse nel 1794 e l’anno seguente sei artisti
presentarono i lavori ispirati da Saffo al Salone del Louvre, di cui ciascun lavoro sia sulle questioni
di amore di Saffo sia sul suo suicidio: Bonnet si chiede a questo punto se questo interesse rinnovato
nella poetessa fosse causato dalla sconfitta delle donne durante la Rivoluzione, una sconfitta che
alcuni celebravano come la vendetta degli uomini contro una donna eccezionale che sperava di
ottenere la sua libertà e fu punita con la morte.
Fu anche la disfatta che ispirò la rivolta contro l’esclusione delle donne di genio dall’arena politica:
i pittori A. J. Gros, Michel Grandin, David, Elise Bruyère, Chasseriau, lo scultore Pradier nel 1852,
il poeta Baudelaire, il pittore Courbet nel 1860 e Rodin alla fine del diciannovesimo secolo, tutti
puntavano su tale argomento.
Le loro risposte erano fortemente polarizzate tra la donna omosessuale come un modello per la
donna sessualmente liberata e socialmente emancipata e la donna omosessuale come l’immagine
della donna dannata.
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!
La rivoluzione che trasformò la Francia totalmente trasformata la coscienza sociale che apparse
come se la cultura dell’ancien régime fosse stata decapitata in toto con il suo stesso re: sebbene la
restaurazione abbia riportato non solo i diritti ma anche qualcosa del clima dei tempi precedenti, la
rivoluzione di luglio 1830 terminò ogni speranza di continuità con il passato.
Nuove idee sorsero, derivate dalla tradizione greco-romana e nuove figure apparsero tra cui George
Sand di cui il romanzo Lélia, pubblicato nel 1833, avrebbe un impatto considerevole sul periodo:
‘un grido di dolore’ avrebbe dichiarato George Sand, ‘uno scoppio di rabbia’, il critico e l’autore
Charles-Augustin Sainte-Beuve avrebbe affermato, ‘che respirava uno spirito di rivolta contro la
società’212.
Lélia fu scritto in un contesto politico molto specifico: il fallimento della rivoluzione di luglio, il
fallimento della dottrina di San Simoniaco dell’emancipazione sociale e sessuale (che era
insufficiente a risolvere la grande questione dell’amore), e gli attacchi al romanticismo: il passaggio
dell’interesse per lo studio di Bonnet arrivò con la fine della prima sezione del romanzo.
Dopo diversi anni di separazione, Lélia si incontra con sua sorella, Pulchérie, che è diventata una
cortigiana: sua sorella decide di raccontare a Lélia su un evento formativo della loro gioventù,
quando, dopo una camminata in campagna, si distesero sull’erba accanto ad un ruscello –‘ci
sentiamo in un sonno profondo. Ci svegliamo una nelle braccia dell’altra, senza sentire che
avevamo mai dormito’: fu durante questo sonno che Pulchérie ebbe una rivelazione di qualcosa di
essenziale per la sua vita a venire, che descrive a sua sorella in queste parole ‘fu nelle tue innocenti
braccia, sul tuo seno vergine che per la prima volta che Dio mi rivelò la forza della vita. Non
allontanarti così. Ascoltami senza pregiudizio’.
Il punto più saliente è che loro non si assomigliano che obietta alla questione del narcisismo: ‘in
maniera più saggia e felice di me, hai vissuto solo per piacere’ dichiara Lélia a Pulchérie.
‘Forse in maniera più ambiziosa e meno obbediente a Dio, vissi solo per desiderio’: per questo
motivo, si ha a giustaporsi due opposti, maturati per riflessioni filosofiche, per cui la prima incarna
il piacere, l’altra il desiderio, forze che portano alla mente le due divinità più prominenti nel
pantheon saffico, ovvero Eros e Afrodite.
!212
!180
Dalla spiegazione di Pulchérie riguardo a cosa accadde mentre dormiì, si evince cosa rende così
straordinario ciò che avvenne tra le due donne tanto da comportare al romanzo la connotazione di
un prodotto estremo e collocare George Sand in maniera ferma nel campo saffico:
uno strano sogno frenetico ineguagliabile, mi rivelava il mistero che era stato impenetrabile fino a
quel momento e fino a quel momento ubbidientemente rispettato. O sorella mia! Rifiuta l’influenza
del paradiso. Rifiuta la santità del piacere! Se questa estasi si fosse accordata a te, avresti detto che
un angelo spedito a te dal seno di Dio, era stato accussato di iniziarti nelle prove sacre della vita
umana. Ho sognato semplicemente un uomo con capelli neri che si piegò verso di me per sfiorare le
mie labbra con quelle sue rosse e calde. E mi sono svegliato con una sensazione grave, entusiasta e
più serena che io abbia mai immaginato potessi avere. Mi sono guardato intorno: riflessi di sole
erano sparsi sui fondali del bosco.
Si noti che il simbolismo erotico del bacio somiglia ad un’attenta occhiata all’unione delle due
donne che ad un uomo e ad una donna: labbra contro labbra, non lingua nella bocca, mentre sua
sorella è addormentata accanto a lei.
Allora ti guardai. O mia sorella, quanto bella che eri!...in quel momento il significato della bellezza
fu rivelata a me in un’altra creatura. Non mi amai più da sola. Ebbi il bisogno di trovare un oggetto
di ammirazione e amore fuori da me stesso.
Se Bonnet si chiede se fosse questa la fonte della ‘stranezza’ e dell’eccittamento che le fece aprire i
suoi occhi e cosa quindi vide, quando lei fissò Lélia, si turbò e l’immagine del suo sogno
sovrapposta su quella di sua sorella, fino a quando lei trova una somiglianza con il personaggio ‘dai
capelli neri’ del suo sogno:
e, tremante, baciai il suo braccio. Allora hai aperto i tuoi occhi, e il tuo sguardo fisso mi penetrò con
una vergogna non nota; mi allontanai come se avessi fatto qualcosa di sbagliato. E ancora Lélia,
alcun pensiero impuro arrivò mai alla mia mente. Come è potuto accadere? Non avevo idea. Avevo
ricevuto dalla natura e da Dio, il mio creatore e il mio padrone, la prima lezione d’amore, la mia
prima sensazione del desiderio.
Pulchérie poi le chiese di chinarsi sopra l’acqua: ‘Sembri un uomo’, disse a Lélia, ‘E ciò che ti porta
a scrollare le spalle con disprezzo’.
Allora ciò fu una delle scene che causò un tale scandalo che ‘fu anche interpretato come osceno e
depravato’, come riporta George Sand: Bonnet si chiede se lo scandaloso nell’estratto deriva dal
fatto che Pulchérie dovrebbe ricevere la sua prima lezione d’amore ‘dalla natura e da Dio’, piuttosto
!181
che da un uomo o in altre parole che Lélia occupa la posizione di un uomo durante questo evento,
piuttosto che soppiantarlo.
Per questo motivo, è l’immagine fantasticata di un uomo creato dalla società che porta Pulchérie a
vedere sua sorella in maniera diversa e a scoprire un’altra realtà sepolta in lei, il suo desiderio per
una donna: lei che visse solo per piacere scoprì nel suo desiderio e attraverso di esso l’esistenza di
un ‘altro’ che diventa ‘un oggetto di ammirazione e di amore’ nei suoi occhi, che sono ora aperti al
mondo.
Bonnet si chiede se questa esperienza non sia fondamentale alla costruzione del sé, vale a dire il
passaggio dal narcisismo alle relazioni realmente umane, per cui lei rimarca che lei si è scoperta
così bella che a volte si bacerebbe allo specchio: questo passaggio è compiuto attraverso il
riconoscimento del suo desiderio per una donna concepita come ‘diversa’, anche se le è familiare.
Desiderando sua sorella, Pulchérie integra un’altra dimensione di suo sé, un’esperienza che lei
chiama ‘iniziazione’, trasformando questo evento in un avvento vero e proprio: il desiderio gioca il
ruolo di catalizzatore, infondendo nuovi valori umani, estetici e morali, e accresciendo il bisogno di
ammirare e amare nel nuovo adepto.
Una persona può ben capire perché questo passaggio potrebbe aver scioccato i contemporanei di
Sand, anche se comunque non tutti urlarono allo scandalo e alcuni come Saint-Beuve, analizzarono
lucidamente il suo importo politico:
non si può non essere colpiti dal notevole movimento letterario e morale che è sorto tra le donne di
Francia. Sono stati anche risvegliati dallo spirito dell’emancipazione e una grande fetta di loro
stanno parlando chiaro, nei giornali, nei libri di novelle, in lunghi romanzi, stanno tutte esprimendo
le loro avversità, denunciando la società ed esigendo una parte più equa nel loro proprio destino.
Il potere sovversivo di George Sand si pone nell’assenza di etichette: le donne non sono né tribadi
né lesbiche ma donne senza taboo che scoprono in un modo inaspettato ‘le forze della vita’, come
Pulchérie lo pone.
Esistono forti indicazioni per cui Lélia fu basato in una certa misura ‘sull’amicizia’ di Sand con
Marie Dorval, che Sand incontrò nel 1832, pochi mesi prima che iniziasse il romanzo: infatti, André
Maurois rimarca che i dialoghi tra Lélia e la saggia cortigiana Pulchérie furono prese dalle
conversazioni tra George e Marie, sebbene non specificasse se ciò includesse il passaggio appena
citato.
Diverse lettere datanti 1833 riportano alla mente l’atmosfera altamente carica del romanzo che
include il seguente estratto di George a Marie, per esempio, ‘Non ti posso vedere oggi. Non sono
!182
portato ad essere così fortunato. Lunedì mattina o sera, al teatro o al tuo letto, dovrò venire e
abbracciarti mia signora, o commetterò qualche follia’.
La lettera che sostiene meglio l’argomento di Bonnet data 18 luglio 1833, in cui George scrive ‘se
mi rispondi rapidamente, dicendo solo: vieni! Mi metterò in viaggio, avessi il colera o un amante.
Tuo per esempre.’: questa lettera non sarebbe stata compromettente più delle altre se il poeta Alfred
de Vigny, che era l’amante di Marie, non avesse scritto sulla lettera con la matita, ‘ho proibito a
Mary di rispondere a questa Saffo che continua a importunarla’.
Chiaramente, Vigny non stava pensando alla ‘casta Saffo’ quando scrisse queste linee: nel chiamare
George Sand ‘Saffo’, Vigny le mostra molto più rispetto che se l’avesse chiamata una tribade.
Scegliendo questo epiteto, stava dando riconoscimento ad un’intera cultura, una cultura di donne, e
una voce liberatoria a cui Victor Hugo dovette dare omaggio nella sua orazione funebre, affermando
‘la lira era in lei’: quanto diversa Lélia è rispetto ad un’altra novella che apparse nello stesso
periodo sotto il titolo di Gamiani ou deux nuits d’excés.
Fu firmata Alicide, Barone di Mxxx e attribuita al poeta Alfred de Musset: divenne un best-seller
della letteratura erotica del diciannovesimo secolo e ciò fu quel che Musset ebbe a dire sulle tribadi
‘Una tribade! Oh, quanto strana la parola suona all’orecchio, suscitando strane immagini di piaceri
sconosciuti e estremamente lascivi. Un parossismo di lussuria, frenetica lubricità e piacere
spaventoso mai soddisfatto’.
!
Lélia fu un evento importante nella cultura delle donne: non solo fu il primo romanzo in francese in
cui una donna affrontava la questione dell’amore al femminile verso il femminile ma attraverso la
propria personalità di George Sand, annunciava e spianava la via per il ritorno delle due amiche alla
città degli uomini: George Sand incarnò un nuovo ruolo per le donne nella società, che di una
scrittrice libertina e Constance Pipelet e Madame de Stael sicuramente si richiamarono a Saffo nella
loro richiesta di essere considerate scrittrici (come è visibile dai seguenti due versi di Pipelet: O
femmes, c’est pour vous que j’accorde ma lyre,/ O femmes, reprenez la plume et le pinceau), ma
avevano lasciato nell’ombra la ‘grande questione dell’amore’.
George Sand combinò i due argomenti, un’impresa importante in un secolo in cui Baudelaire
avrebbe giocato esattamente il ruolo opposto: l’emergenza di un nuovo significato per la parola
lesbienne è solitamente ritenuta datarsi dalla pubblicazione de Les Fleurs du mal di Charles
Baudelaire a causa del processo al poeta per oscenità nel 1857 e la pubblicità che seguì la condanna
di alcuni dei poemi, inclusi ‘Lesbos’ e ‘Femmes damnées’.
!183
Questa considerazione è supportata dal fatto che nel 1847 Baudelaire aveva pensato di chiamare la
sua futura collezione di Les Fleurs du mal ‘Les Lesbiennes’: da questo momento, non si è potuto
sostenere che Saffo fosse una sconosciuta sia agli artisti che hanno dipinto il suo profilo per mezzo
secolo sia gli ellenisti che hanno scoperto nuovi frammenti dei suoi poemi.
Invece, Baudelaire commentato dal Sappho Making the Leap at Leucadio di Dugasseau al Salon del
1845, defininendola una ‘composizione carina’: nel 1847 Emile Deschanel pubblicò uno studio di
antichità intitolato ‘Sappho et les lesbiennes’ nel Revue des deux mondes, seguita da una traduzione
e commentario di 79 frammenti.
Se la pubblicazione di questo articolo è memorabile per il numero di frammenti riuniti in un solo
ambito, inverte anche un taboo della stessa forza sul parlare apertamente dello stile di vita della
poetessa: muovendosi dalla designazione etnica all’etichetta sessuale, Deschanel rimarca
Saffo era lesbica in ogni senso della parola. ‘Non sono uomini che vengono amate dalle lesbiche’
scrive Lucio. E invece la parola lesbica e l’espressione amare come una lesbica sono rimaste nella
lingua greca come prove incontrovertibili di questa disolutezza orribile. Sicuramente vorremmo
essere capaci di pensare che la nostra Saffo, quella grande poetessa, fosse un’eccezione da questi
contaminazioni, ma dal momento che amiamo la verità anche più dell’ideale, dobbiamo a
malincuore spostarci verso l’idea opposta.
Quando dieci anni dopo i Les Fleurs du mal hanno attratto l’attenzione pubblica sui poemi di Lesbo
la parola lesbienne era già ampiamente nota al pubblico colto: sebbene però fosse ampiamente nota,
non era ampiamente utilizzata e poteva benissimo essere questo il motivo per cui questo successivo
passo era raggiunto grazie all’aiuto delle ‘Femmes damnèes’.
Si consideri cosa l’avvocato di Baudelaire, il signor Gustave Chaix d’Est-Ange ha detto nella sua
difesa: ‘come per le Femmes damnèes che il signore in causa ha chiamato le due tribadi, una lingua
piuttosto forte, noi sicuramente non permetteremo di usare una tale lingua nella corte, quella
utilizzata per le donne dannate, per cui chiedo il permesso di preferire l’espressione del mio cliente
a quella della pubblica accusa’.
Bonnet nel chiedersi cosa comporta una preferenza questa volta verso la parola lesbica piuttosto che
la parola tribade, sostiene che la causa vada ricercata nel perché sono dannate, vale a dire escluse
dalla città degli uomini e dalla città di Dio: la dannazione è un’esclusione completa che è
moralmente più accettabile di un’attitudine di tolleranza verso il piacere tribadico, un piacere che si
connota come ricorda Bonnet, accostato alla sterilità, come Baudelaire rimarca diverse volte,
invocando l’âpre stérilité de votre jouissance.
!184
Per descrivere il piacere delle donne, il poeta si riferisce alle loro funzioni riproduttive, come ha
operato per secoli la discorsività religiosa: a priori dunque esistono delle differenze tra la donna
dannata e la donna omosessuale dal momento che per Baudelaire Lesbo è ‘la madre dei giovani
lativi e dei giochi greci’, in altre parole un gioco erotico familiare agli antichi.
Come per la Grecia, egli non fa alcuna ulteriore menzione su ciò come Edith Mora evidenzia213: usa
l’espressione ‘il Saffo mascolino’ che deriva direttamente dal poeta latino Orazio.
Quando lui scrive Di Saffo che morì il giorno della sua blasfemia, si sta riferendo alla leggenda
inventata da Ovidio della morte di Saffo sulla roccia di Leucaudia, una leggenda che era diventata
un luogo comune del diciannovesimo secolo: quindi se da un lato è chiaro che Baudelaire non abbia
letto Saffo, dall’altro lui ha cercato di misurarsi contro di lei come poeta e forse come un amante,
ma da uomo ha riprodotto tutte le convenzioni trite del suo secolo, associando il piacere sessuale
con la pontificazione religiosa sulla blasfemia, il peccato e la colpa.
In ‘Lesbos’ si sovrappone sulla tradizione latina, che formò la fondazione della sua cultura come un
uomo del diciannovesimo secolo, la sua propria visione di donna come essere eccitante,
performante, fresca, vulcanica, languida, provocante, che seduce una persona lungo i suoi lontani
viaggi: in una parola, la reifica, ne fa un oggetto, anche una schiava, un modo di ottenere l’infinito
che lei porta in sé.
Forse ha preso ispirazione dalle amicizie femminili di Jeanne Duval, la sua padrona: su tutti, lui
progettò sulle donne omosessuali un erotismo mascolino della dannazione in cui l’eccittazione nata
dalla colpa viene rafforzata da un profondo disprezzo per le donne.
Arriva anche al punto di chiamarla ‘la Saffo infiammata’, ‘la patrona delle donne isteriche’:
l’impulso del genio poetico di Baudelaire di trovare in ‘Lesbos’ qualcosa di nuovo e sconosciuto
viene violentemente abortito dalle sue proprie limitazioni come un uomo del diciannovesimo secolo
e ancora una volta Saffo viene privata della dimensione culturale in favore del solforoso ‘fiore del
diavolo’ che era necessario apparentemente al suo proprio piacere sessuale.
Come per Lesbos, era completamente non rappresentata da questo uomo che la rendeva un prodotto
di consumo per una società patriarcale che aveva bisogno di ricostruire sé stessa dopo i colpi che
aveva ricevuto dalle donne durante la rivoluzione del 1848 (la rivolta delle donne durante la
rivoluzione del 1848 stava meravigliando per il suo radicalismo e per la sua natura collettiva. Gli
uomini temono gruppi di donne ribelli e per la prima volta le donne richiedevano diritti politici ed
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!185
economici come il diritto a votare, divorziare e lavorare. Crearono quotidiani come La Voix des
femmes e La Politique des femmes e formarono club e associazioni di amazzoni).
Come Théophile de Banville scrisse nella sua rivista di un romanzo su Saffo che apparse nello
stesso periodo: ‘Perché il nome di Saffo sta su tutte le nostre bocche? Perché è come un rimprovero,
come una minaccia nel profondo di tutti i cuori a disagio?...la storia di Saffo è la nostra propria
storia, la sua pazzia è la pazzia furiosa delle donne intorno a noi’214.
Esisteva sicuramente una ragione per le donne ad essere rese furiose dopo che gli uomini avevano
rifiutato a loro il diritto di voto nel 1848: la poesia di Baudelaire potrebbe aver sottratto la sessualità
dallo schiacciante peso della moralità borghese ma nei fatti ha rilegittimato il potere degli uomini
sulle donne, in quanto piuttosto che riconoscere l’omosessualità femminile, c’è stata semplicemente
una sostituzione di un termine per un altro.
In mezzo secolo, la parola tribade è diventata sinonimo di lesbienne, di cui se ne registra l’entrata
nel Dictionnaire du nouveau larousse illustré del 1904, e in un altro mezzo secolo è caduta in disuso
sotto la pressione duale del movimento di liberazione femminista e dello sviluppo della psichiatria:
sotto il velo della poesia, a Baudelaire è stato permesso di ridefinire il termine perché lui non ha
sollevato le fantasie sessuali degli uomini eterosessuali sulle donne omosessuali.
Sebbene questa ridefinizione non fu accettata senza difficoltà, come Larousse mostra alla fine del
suo articolo su Saffo nell’edizione del 1875, Dictionnaire universel du XIXème siècle:
È dura sapere cosa è ben fondato nelle asserzioni fatte dagli Antichi sull’etica libera di Saffo, e in
particolare ciò che concerne la specifica depravazione del lesbismo, di cui lei viene accusata con
veemenza. La critica moderna, imbarazzata dal trovare riunite in una persona così tanto talento per
la poesia e una libertà di costumi che non è più giudicata appropriata nella società contemporanea,
trovò una via di fuga eccellente nell’ultimo secolo; quella di suddividere la figura in due.
Ci vorrà un altro secolo per riunire i due volti della persona di Saffo senza alcun senso di reticenza:
fu il risultato della pressione dal movimento di liberazione delle donne che in un articolo del 1976,
il Robert: Dictionnaire universel des noms propres, finalmente riconobbe lo stile di vita di Saffo
Le sue affinità per alcune delle sue alunne sono evidenti nella sua poesia e hanno causato uno
scandalo dall’Antichità in avanti: comprensibile e tollerabile nel contesto dell’emancipazione della
donna eolica, furono ridicolizzate dai drammatisti attici che vollero porre un freno al movimento
femminista delle donne ateniesi (da cui il nome lesbienne per denigrare una donna omosessuale).
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Sicuramente Saffo ha raggiunto il riconoscimento ma una persona non potrebbe immaginare una
migliore garanzia contro un progetto positivo che questa femme homosexuelle che scaturiva dal
rifugio forsennato all’inizio del secolo.
!
Concepita in Germania alla fine del diciannovesimo secolo, nel contesto di una battaglia contro il
codice penale, che rendeva illegale la sodomia, la teoria dell’omosessualità ebbe i suoi inizi nei
campi oscuri del sapere medico dell’età classica: con poca influenza fino al diciannovesimo secolo,
la scienza della sessualità, basata sull’anatomia, iniziò a svilupparsi con passi da gigante verso la
metà del secolo, diventando così importante che la Larousse universel du dix-neuvième siècle
incluse nella sua nuova definizione una descrizione derivata dai sessuologi
Tribad (tribade): donna il cui clitoride mostra uno sviluppo esagerato e che abusa del suo stesso
sesso.
Trenta anni dopo, nell’edizione del 1904, per essere precisi, la parola homosexuel/homosexuelle
fece la sua comparsa ufficiale nel supplemento del Nouveau Larousse illustré con la seguente
definizione:
Homosexuel/le: patologia: un individuo di sesso maschile o femminile che non sente alcuna affinità
sessuale salvo che per le persone del loro stesso sesso.
Questa definizione costituiva un progresso innegabile dal momento che riconosceva l’esistenza
della differenza di genere: l’intera visione della sessualità cambiò o almeno si spostò da una norma
ad un’altra.
In precedenza, la maggiore distinzione era stata tra l’atto sessuale concepito con l’intento della
procreazione e che fu intrapeso per il mero piacere, come nell’adulterio, la sodomia, la
masturbazione, il tribadismo e così via: ora la maggiore distinzione era tra lo stesso e l’altro, tutto
ciò che il sesso, che porta in sé un effetto specchio inevitabile in cui le donne erano portate ancora
una volta a scomparire.
Da questa prospettiva omosessuale, l’uomo continuò ad essere il modello per una relazione sessuale
di una donna e la norma semplicemente si spostò dall’uomo come ‘fornitore di seme’ e per questo
motivo di significato alla coppia eterosessuale in cui l’uomo ha il ruolo attivo mentre la donna resta
un ‘continente oscuro’ per i paraocchi dell’uomo di scienza.
Un doppio spostamento era ora all’opera: il primo era dal fisico al mentale, ovvero nei libri di
anatomia del diciassettesimo e diciottesimo secolo, la patologia del clitoride descritto come
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‘enorme’ fornisce una spiegazione per il fatto che una donna potrebbe fisicamente ‘abusare’ di
un’altra donna, tanto che per Freud lei soffre dell’invidia del pene.
Il secondo dislocamento era dal sociale al psicologico: questa volta la donna omosessuale si
identificava come un uomo e come per caso, il primo caso di omosessualità studiato dallo psichiatra
tedesco Carl Von Westphal era quello di una giovane donna che amava indossare abiti maschili ed
era attratta solo da donne: nel sedicesimo secolo, ciò fu chiamato contrefaire le métier de l’homme,
ovvero falsificare il ruolo dell’uomo.
Nel diciannovesimo secolo divenne il sentiment sexuel contraire e poi homosexualité: un’arma
difensiva in una Germania repressiva, questa teoria ha annesso la ‘donna’ agli oggetti maschili e
ancora una volta le donne dovettero essere intrappolate dalla norma maschile.
L’omosessualità femminile era vista come qualcuno che si sentiva come un uomo, prima di
diventare un uomo simbolicamente castrato e come scrisse Lacanian Moustapha Safouan ‘per
quanto ci riguarda, l’omosessualità femminile rappresenta uno stadio ritardato nell’assunzione di
una simbolica castrazione’: la teoria dell’omosessualità femminile rimodella e sistematizza la storia
patriarcale della tribade, rivendicando autorità scientifica questa volta, sulla discorsività a proposito
delle donne.
La distinzione cruciale tra il sedicesimo secolo e il presente non risiede in questo così chiamato
‘nuovo sapere’ ma nell’esistenza in Francia di un movimento culturale lesbico e femminista di
vitalità senza precedenti: mentre gli psichiatri studiano casi di inversione femminile negli ospedali
mentali o nei loro propri uffici, le donne stavano ottenendo nuovi diritti e un nuovo posto nella
società: Rosa Bonheur e Louise Breslau aprirono la strada.
A Parigi gli anni Venti erano il periodo della garçonne nei saloni letterari come quelli di Natalie
Barney e Gertrude Stein e della solidarietà franco americana tra artiste donne, iniziata in particolar
modo con Janet Scudder e Jane Poupelet: gli artisti arrivavano da tutto il mondo per respirare
liberamente l’aria di libertà che così scarsa altrove.
Tamara de Lempicka, Romaine Brooks, Mariette Lydis, Louise Janin, Marie Laurencin dipinsero un
nuovo quadro delle donne, schernendo la proibizione sulla nudità e attraverso una salutare
provocazione, sostenendo il tema delle donne amiche, come fecero Rodin, Bourdelle, Matisse,
Foujitta e Pascin, che fecero il loro proprio contributo all’accettazione alla realtà delle donne come
un fatto politico e culturale che deve essere preso in considerazione.
Ma fare ciò in maniera seria, avrebbe comportato la concessione del voto alle donne, ma anche la
contraccezione, l’accesso all’educazione e l’apertura delle libere professioni, l’università e le
!188
scienze: esisteva però una soluzione a questo nuovo problema, ovvero il nuovo bastione contro il
femminismo e nel corso di questa panoramica, si rimane colpiti dalla povertà del lessico usato per
descrivere l’amore tra le donne rispetto a quello dell’amore eterosessuale, dicasi un singolo termine
in uso per tre secoli con varie definizioni, l’apparenza ambigua del termine lesbienne nella metà del
diciotessimo secolo e di homosexuelle nel 1904, l’introduzione della parola gouine a metà del
ventesimo secolo, come unica innovazione.
Quest’ultima parola è particolarmente dispregiativa e costituisce una reale regressione culturale, dal
momento che un tempo significava ‘una donna dai liberi costumi, una donna di cattiva
reputazione’ (Dictionnaire de l’Académie del 1694) e ‘una prostituta che frequenta luoghi di
dissolutezza’ (Dictionnaire de Trévoux del 1721): non è del tutto chiaro come il significato di
gouine cambiò da ‘prostituta’ a ‘donna omosessuale’ ma questa associazione è meno sorprendente
quando consideriamo che era nel primo secolo d.C. che il Marziale romano incontrò Fileno il
cortiggiano, e la descrisse come una tribade.
Negli anni Settanta del Novecento le donne omosessuali nel mouvement de libération des femmes
si riappropriò della parola gouine e aggiunse la parola rouge per formare il gruppo Gouines rouge:
questo sforzo per cambiare il carattere dell’insulto del termine gouine aggiungendo il qualificatore
rouge, che significa rivoluzionario, fu presto abbandonato perché non creava un’identità sociale che
potesse essere assunta immediatamente.
Un altro termine goudous è usato più frequentemente da donne omosessuali per riferirsi a sé stesse
e l’un con l’altra, ma dal momento che serve alla maggior parte come un’espressione interna al
gruppo sociale, raramente usata da coloro che non aderiscono al gruppo, non è discussa da Bonnet:
se il dibattito femminista sulla scelta in inglese tra lesbian e homosexual è stata meno animata in
Francia che negli Stati Uniti, questo forse è dovuto al peso della storia patriarcale, che nella sua
pretesa tolleranza dell’amore tra donne è stata scarsamente abile a nascondere il suo disprezzo a
diffondere qualsiasi minaccia potenziale riducendo il ‘lesbismo’ al mero inseguimento del piacere.
È anche impressionante che dal diciannovesimo secolo le donne omosessuali francesi hanno usato
raramente la parola lesbiennes per riferirsi, preferendo il termine amitié: la pittrice Rosa Bonheur ha
battezzato la sua residenza a Thomery vicino a Fontainebleau, in cui visse con Nathalie Micas per
quaranta anni, ‘Le Domaine de la parfaite amitié’ (il dominio dell’amicizia perfetta fu trasformato
nel Museo Atelier Rosa Bonheur, che è aperto al pubblico due volte a settimana)215.
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Louise Breslau ha intitolato il suo dipinto di Madelaine Zillhardt con cui è stata 30 anni, Portait des
amies: come per Natalie Clifford Barney il tempio nel suo giardino in via Jacob a Parigi fu
battezzato ‘Temple à l’Amitié’.
La relazione sociale tra le donne che prendono parte a questa scelta di stile di vita fu concepita
come un’amicizia e questo ci riporta alla questione dello stato sociale delle dnne omosessuali: tutti i
termini che Bonnet studia si riferiscono sia allo statuto sessuale che allo statuto culturale, ma non
definiscono mai lo statuto sociale, come se le donne potessero scegliere solo tra lo statuto delle
femme marriée e quello di célibataire.
Il solo sforzo di trovare un’altra via di concettualizzazione dell’omosessualità femminile fu fatta nel
diciotessimo secolo con l’introduzione del termine anandryne ma la parola non fu presa in
considerazione: questa parola è molto più interessante di quella che comparve per prima.
L’espion anglais la definisce come antihomme ma Mirabeau che appare averla creata, dedica un
intero capitolo ad esse nel suo Erotika Biblion, defininendola come una parola ‘che viene dal greco
anandros, di cui il femminile anandré. Per un uomo: assenza di virilità. Per una donna: assenza di
un marito’: la donna che ‘non ha un marito’ si radica in una tradizione tanto vecchia quanto tribade,
se non ancora più vecchia.
A Roma, lei era una ‘vergine’, di cui George Devereux ha definito come ‘una donna sessualmente
attiva che non era soggetta ad un uomo’: una tale donna ‘selvaggia’ fu chiamata per la prima volta
parthénos, una parola che non acquisisce il significato di vergine non molto più tardi’.
Se la moglie è statutariamente ‘la donna che appartiene all’uomo’, bisogna trovare un’altra parola
oltre a célibataire per designare ‘colei che appartiene a sé stessa’ e che ama le donne: questa è forse
la direzione in cui abbiamo bisogno di voltare nella nostra ricerca per la visibilità delle donne
omosessuali, dal momento che le scelte di vita delle donne omosessuali vanno ben oltre il dominio
del sessuale a cui il patriarcato preferirebbe restringere per disarmare il suo potenziale
rivoluzionario.
L’amore tra le donne è una conquista, un atto gratuito che crea un’identità individuale senza alcun
significato sociale, ma se si intende riconoscerlo, c’è bisogno di investirlo con significato sociale
dandogli un reale statuto sociale.
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CAPITOLO II
ANALISI DI LINGUISTICA TESTUALE QUEER
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Non ricordo se la mia prima esperienza fu omosessuale o eterosessuale:
sono sempre stato troppo educato per fare domande. Gore Vidal
!
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Non esiste probabilmente eterosessuale sensibile a questo mondo che non
sia preoccupato della sua omosessualità latente. Norman Mailer
!
2.1 La promozione individuale e sociale della degergalizzazione
!
2.1.1. La creazione della coerenza nei racconti di coming-out
!
La rielezione di Bill Clinton nel 1996, il primo presidente statunitense gay-friendly ad intraprendere
discorsi pubblici sull’omosessualità, segnò un invidioso riconoscimento pubblico, se non
accettazione, dei modi di essere omosessuali: storicamente importante per la visibilità e
l’uguaglianza degli e delle omosessuali, la rielezione di Clinton ricopre una pletora di istanze meno
drammatiche anche se non meno consequenziali dello status di cambiamento degli uomini e donne
omosessuali negli Stati Uniti.
Questo ha comportato che per esempio ogni settimana da allora una o due municipalità statunitensi
ha incluso nel proprio sistema antidiscriminatorio l’orientamento sessuale come nuovo elemento,
aziende che includevano il convivente nei benefici di dipendente, l’istituzione in sede comunale di
un registro delle unioni civili, etc…: inoltre, ad esempio, nella cultura popolare di massa, i
personaggi gay e lesbici non sono più esclusivamente e semplicisticamente connotati come
criminali e deviati, per cui ora appaiono in ruoli ricorrenti negli spettacoli televisivi come Roseanne
e Melrose Place e le loro relazioni sono temi comuni al cinema e al teatro.
Fin dagli ultimi anni Sessanta, il numero di libri in tema sono proliferati dai 500 testi ad
approssimativamente 9000 negli ultimi anni Ottanta216: il perno di questa trasformazione culturale è
per A. C. Liang il numero totale degli individui che accettano e si definiscono attraverso la loro
omosessualità, almeno in parte, e questo numero crescente è rafforzato in sé dall’ammettere il topic
dell’omosessualità nel discorso pubblico sociale, tale che in questo modo l’omosessualità negli Stati
Uniti diventi visibile.
Nonostante questi atti, l’omosessualità quale caratteristica personale è ancora altamente valutata
negativamente ed esiste una resistenza impetuosa a garantirle legittimità entro il tessuto della
società e della politica statunitensi: i sondaggi nazionali continuano a indicare che una maggioranza
216
!
Cfr: Gough C. e E. Greenblatt (1990): Gay and Lesbian Library Service. Jefferson, NC: McFarland.
Cfr: Plummer Ken, ed. (1992). Modern Homosexualities. London: Routledge.
!192
di americani disapprovano l’omosessualità e oltre un terzo non voterebbe per un candidato politico
a causa del suo orientamento sessuale.
A partire dagli ultimi mesi del 1996, in soli novi stati dell’Unione e nel distretto della Columbia era
illegale la discriminazione basata sull’orientamento sessuale nell’alloggio, nell’occupazione e nelle
accomodazioni pubbliche: senza considerare che in nessuno stato le relazioni omosessuali sono
protette, sebbene le sue implicazioni legali devono ancora essere valutate, la firma di Clinton per la
legge del Defense of Marriage Act federale, definisce il matrimonio come dagli statuti federali,
un’istituzione tra una donna e un uomo ed è, un qualsiasi gesto simbolico che afferma l’istituzione
del matrimonio eterosessuale e l’eterosessualità.
La violenza contro gay e lesbiche è una componente notevole dei crimini d’odio e sta crescendo
nella frequenza (28% in cinque tra le più grandi città tra il 1994 e il 1996) con una crescita mano a
mano della visibilità omosessuale: nelle battaglie per la custodia, ad un genitore omosessuale viene
negata la custodia o i diritti di visita dei suoi bambini, anche quando la competenza e la salute
dell’altro genitore vengono messi in dubbio.
Gli insegnanti poi vengono ancora licenziati per il loro essere gay o lesbica: i giovani gay e lesbiche
sono materia di molestie omofobe e i bambini che sono attivi nella loro comunità nel promuovere i
diritti di gay e lesbiche non parlano ancora ai loro genitori a proposito delle loro vite personali: per
questo motivo le norme culturali sono in uno stato di flusso tanto lontano quanto l’approvazione
sociale dell’omosessualità concerne ed è interessante studiare i modi in cui gli individui
incorporano il loro essere omosessuali nelle loro narrative personali.
Qualsiasi decisione nel definire il sé di qualcuno come gay o lesbica necessariamente richiede
spiegazione: infatti, è la spiegazione o per usare le parole di Mill ‘i massimi del discorso’217
attraverso i quali la narrativa di un individuo può essere compresa dagli altri e per questo condivisi
dagli altri.
Questo processo personale e sociale del creare un senso dell’identità gay e lesbica attraverso la
narrativa personale che è stata definita in inglese la ‘coming-out story’, è molto comune e
necessario: il ruolo centrale della lingua nella costituzione del sé è trattato dell’affermazione
definitiva della narrativa personale di Linde secondo cui ‘la narrativa è tra le più importanti fonti
sociali per creare e mantenere l’identità personale’218.
217
!
Cfr: Mills, C. Wright (1940 [1984]). ‘Situated Actions and Vocabularies of Motive’. In Michael J. Shapiro (ed.),
Language and Politics. New York: NYU Press, pp. 13-24.
218
!
Cfr: Linde, Charlotte (1993). Life Stories. New York: Oxford University Press.
!193
La presentazione e la costruzione del sé è un processo sociale condotto attraverso il racconto di una
narrativa personale: per un individuo esprimere sé stesso ad un altro individuo, non solo deve essere
abile a raccontare una storia di vita che è intellegibile, ma sia l’autore del messaggio che il ricevente
devono condividere più o meno la medesima comprensione del punto della storia.
Linde identifica tre caratteristiche del sé che sono mantenute ed espresse attraverso la lingua:
1. continuità del sé,
2. la separatezza del sé da e
3. la riflessività del sé219.
La continuità del sé si riferisce al senso che le prime esperienze di una persona sono legate alle
ultime esperienze della medesima persona e che il passato regge su ciò che qualcuno è in un dato
momento: nelle culture occidentali la continuità del sé è costruita linguisticamente attraverso la
presupposizione narrativa220, in cui gli eventi in una narrativa sono assunti per svolgere in una
sequenza temporale analoga a quella in cui sono riportati.
Inoltre l’implicito nella presupposizione narrativa è la relazione della casualità: gli eventi che sono
temporaneamente ordinati permettono la deduzione che questi eventi sono legati casualmente l’uno
all’altro: secondo la Linde, dal momento che ‘l’abilità di percepire o creare un senso di continuità
storica è un raggiungimento di una personalità normale’221, la stessa presupposizione narrativa è
fondamentale alla creazione di una autopresentazione coerente.
La seconda proprietà del sé che potrebbe essere stabilita e mantenuta linguisticamente è la relazione
del sé con gli altri: l’abilità di riconciliare il punto 2 è la base per ciò che R. D. Liang definisce
sicurezza ontologica222, il sentimento dell’essere in possesso di una intera persona integrata, se
copia con gli stress dell’interazione sociale o quelli dell’isolamento.
Secondo Linde, tutte le lingue appaiono avere un modo per distinguere il parlante di un’espressione
(prima persona), il destinatario (seconda persona) a cui il parlante sta rivolgendo l’espressione e i
non partecipanti (terza persona) dell’evento discorsivo in cui l’espressione viene formulata223:
quindi, tutte le lingue riconoscono l’esistenza di persone distinte e Linde evidenzia in aggiunta che
219
!
Cfr: Linde, Charlotte (1993). Life Stories. New York: Oxford University Press.
220
!
Cfr: Labov, William (1972s). Sociolinguistic Patterns. Philadelphia: University of Pennsylvania Press.
Labov, William (1972b). ‘The Transformation of Experience in Narrative Syntax’. In Language in the Inner City.
Philadelphia: University of Philadelphia Press, pp. 354-396.
221
!
Cfr: Linde, Charlotte (1993). Life Stories. New York: Oxford University Press.
!
222
Cfr: Laing, R. D. (1969). The Divided Self. New York: Pantheon.
223
!
Cfr: Linde, Charlotte (1993). Life Stories. New York: Oxford University Press.
!194
la ‘riusabilità’ dei pronomi da parte di qualsiasi parlante per riferirsi a sé stesso, il suo destinatario e
gli altri che non sono né il parlante né l’udente stabilisce il sé come legato agli altri.
“I [in inglese] non è un nome come Susie o Jack che si riferisce alla stessa persona, non importa
chi lo usa. Piuttosto I cambia la sua referenza a seconda di chi lo usa. Per capire ciò non basta
solo capire un fatto arbitrario sull’uso della lingua, come il fatto che [in inglese] non si dice childs,
ma invece si dice children. Per capire la natura più espediente di I bisogna arrivare a capire che
gli altri esistono nel mondo di una persona che hanno la stessa natura e che devono essere visti
come separati ma esseri contigui”224.
Ad un livello più astratto della struttura linguistica, la narrativa personale e (gli altri generi
dell’autopresentazione) funziona da un lato per presentare il sé del parlante come distinto dal suo
destinatario mentre dall’altro lato, impegnarsi in un processo sociale in cui la relazione
interpersonale tra il parlante e il destinatario è evocata: per esempio, il racconto della narrativa
potrebbe servire per dimostrare come il medesimo destinatario si comporta in simili circostanze.
Un individuo potrebbe evidenziare la sua appartenenza modellando la struttura delle sue narrative
come conseguenza del gruppo e potrebbe fare riferimento agli interessi che mostra con i suoi
interlocutori225: a questo punto, Linde si riferisce alla riflessività del sé come la terza proprietà del
sé che appare e viene mantenuta linguisticamente226 e tutte le domande del ‘come sto agendo?’ se in
relazione ai propri standard o in relazione agli standard degli altri se una tale distinzione può mai
essere fatta, richiede l’abilità di fare stime, e le stime non possono essere fatte dallo stadio
immediato della vita.
Il compito richiede un osservatore e narratore che è legato ma non identico: è attraverso questa
caratteristica che il sé può cambiare e l’individuo può veder dietro nella sua vita, anche se è stato
giusto un attimo fa e lo pone nella forma narrativa per essere rivisto ed edito secondo le norme e le
valutazioni distribuite da sé stessi e i propri interlocutori.
Per questo motivo può presentare un sé che è socialmente e moralmente concordabile: Tannen
dimostra la complessità di questa relazione tra il sé e gli altri attraverso il concetto di
coinvolgimento, tanto da invocare lo schema tripartito di Chafe, con cui il coinvolgimento consiste
224
!
Cfr: Linde, Charlotte (1993). Life Stories. New York: Oxford University Press.
225
!
Cfr: Silberstein, Sandra (1982). ‘Textbuilding and Personal Style in Oral Courtship Narrative’. Ph. D. diss.,
Department of Linguistics, University of Michigan.
226
!
Cfr: Linde, Charlotte (1993). Life Stories. New York: Oxford University Press.
!195
nell’ambiente del sé del parlante, il coinvolgimento tra il parlante e i suoi interlocutori e il
coinvolgimento del parlante con cui tratta227.
Tannen illustra come il tentativo del parlante di portar sù dalla memoria i dettagli estranei
costituisce il sé e non l’altro coinvolgimento, dal momento che i dettagli non chiarificano né
forniscono informazioni rilevanti per l’ascoltatore: finora la relazione interpersonale tra il sé e gli
altri è implicata in tali dettagli che aumentano le immagini e rendono la narrativa apparire autentica,
così che attirare l’ascoltatore nella narrativa del parlante.
Quando un individuo affronta in sé stesso una caratteristica, come l’omosessualità, che è soggetto di
disapprovazione culturale, allora, teoricamente entro quella cultura, tale aspetto del sé non può
essere incorporato in una narrativa da raccontare: dalla prospettiva delle norme culturali, un gay
stesso non è riconosciuto come valido o esistente, quindi non vale la pena giustificare.
Per questo motivo, alcuni individui assumono terapia di avversione o commettono suicidio come un
modo di fare a meno con ciò che è culturalmente non approvato e quindi si autoescludono: tuttavia
l’esistenza del racconto di coming-out è prova che gli individui gestiscono per incorporare
l’omosessualità nelle loro identità.
Applicando le tesi precedenti in questo ambito, tanto da capire cosa comporta nei minimi termini la
non comprensione del repertorio linguistico-culturale queer e cosa porta ad esporre il medesimo
elemento, A. C. Liang esamina la struttura del racconto di coming-out per accertarsi i principi di
coerenza attraverso i quali l’individuo dà un senso della sua omosessualità: di particolare interesse
sono quei aspetti della narrativa che hanno a che fare con il come il parlante affronta il
risponoscimento di un stesso omosessuale.
Il gruppo delle cui storie sono sotto esame riguardano studenti liceali di sesso biologico maschile
euroamericani e asiatico americani, di età compresa tra i 18 e i 27 anni: i principi di coerenza dei
racconti di coming-out dei due gruppi sono delineati e le storie vengono espresse nei turni e con il
permesso dei partecipanti, l’audio registrato durante una sessione chiacchierata da novanta minuti di
racconti di coming-out, tenuti nella celebrazione della settimana del coming-out al campus
dell’università.
A causa del fatto che l’omosessualità è un concetto contestato, questo risulta essere uno dei motivi
per cui nessun significato prototipico esiste se o non se un individuo omosessuale è un problema di
decisione personale piuttosto che di convenzione: mentre Sweetser nota che i significati delle parole
227
!
Cfr: Tannen, Deborah (1992). ‘How is Conversation Like Literary Discourse?’ In Pamela Downing Susan D. Lima, e
Michael Noonan (eds.), The Linguistics of Literacy. Philadelphia: John Benjamins, pp. 31-46.
!196
generalmente dipendono da ‘schemi semplificati o prototipi di esperienza personale’, l’invisibilità
degli e delle omosessuali non si presta all’esperienza personale fuori dal quale una nozione
prototipa di un omosessuale può emergere.
Come un risultato, la definizione di omosessuale inizia con l’individuo, l’interno del sé e le
esperienze altamente idiosincratiche con la verbalizzazione di queste emozioni, al posto di qualsiasi
criterio esterno basato su un schema semplificato di una gamma di esperienze complesse: il termine
per l’atto del nominare ed accettare le emozioni di una persona per il suo stesso sesso è il coming
out, forma contratta dall’inglese di coming out of the closet.
È una metafora per indicare sia il riconoscimento di sé stessi sia l’atto di esposizione del proprio
riconoscimento a proposito della propria omosessualità ad uno o più interlocutori prossimi: come è
implicata dalla domanda in inglese ‘How out are you?’, il coming out è una questione di gradi
piuttosto che di una posizione binaria, dal momento che non esiste un significato prototipo
dell’omosessualità, quindi non esiste una definizione centrale del coming out.
A. C. Liang dimostra che il coming out e la sua realizzazione o irrealizzazione è anche qualcosa che
varia secondo l’opinione individuale: tuttavia, in qualsiasi istanza del coming out, appaiono esserci
almeno una delle tre proprietà riconoscibili
1. autodefinizione come lesbica o gay a sé stessi
2. autopresentazione come lesbica o gay ad altri
3. comunanza in una serie di atti in corso di auto definizione
4. e/o autopresentazione come lesbica o gay.
Dipendendo dalla prospettiva di un singolo, il coming out a sé stessi può essere visto come
necessariamente istigato da comportamenti omosessuali esterni o più probabilmente come
costitutivi un processo graduale di auto accettazione come omosessuali: da un lato, il punto di vista
non psicologico, per esempio, potrebbe assumere che la prima esperienza dell’avere rapporti
sessuali con una persona dello stesso sesso costituisca coming out228, ma il negare categorico o il
rigettare l’etichetta omosessuale per tale comportamento costituirebbe anche durante relazioni
omosessuali a lungo termine229.
!228
!229
!197
Dall’altro lato, l’estensione al quale l’omosessualità può legarsi non sul comportamento ma
sull’autoriconoscimento come è esemplificato dal seguente annuncio personale230:
“Non mi considero gay. Sono un ragazzo normale a cui gli piacciono gli uomini che amano solo
uomini. Sono stanco dei nonsense e della falsità. Ho 40 anni, sono alto, peloso, di bel aspetto, di
buona salute, che si cura, di aspetto eterosessuale e molto discreto. Mi piace lavorare all’aperto e
camminare. Mi piace la buona musica e l’arte. Se ti senti come me, sei della mia età circa, bello e
interessato in una relazione […]”.
Come dimostra l’annuncio rintracciato da Liang, l’autonominarsi opera sia in modi nell’assenza di
convenzioni di nominalizzazione sociale ben definite di identità il cui status culturale è in corso: un
individuo può ritenere l’etichette come riflettenti la normatività culturalmente accettata a dispetto
della non normatività, culturalmente disapprovata.
Diversamente il parlante che nello studio della Liang è prevalentemente un uomo omosessuale,
potrebbe adottare le etichette consone con i suoi comportamenti e preferenze non convenzionali (es:
drag queen): tra alcuni membri della comunità gay e lesbica comunque i criteri per identificare i
gay e le lesbiche sono sufficientemente stabili tanto che esistono anche termini per coloro che sono,
secondo questi criteri, gay o lesbiche ma che rifiutano o devono ancore definirsi come tali.
Per questo motivo gli individui, dunque i parlanti, come l’autore del precedente annuncio, sarebbero
ritenuti closet case o fag-to-be o in termini più genericamente psicoanalitici in negazione verso il
proprio orientamento sessuale: comunque, il coming out verso sé stessi è l’abilità variabile e
contestata attraverso la sua definizione di pronunciare frasi sinonimo con ‘I am gay’.
La defizione dell’autoapertura ad un altro ugualmente mutevole: può essere portato con o senza
l’intenzione espressiva dell’individuo ma dipende anche dalla comprensione del destinatario:
l’intenzione di venire allo scoperto può essere segnalata con spunti non verbali, come indossare un
orecchino solo sul lobo dell’orecchio destro in ambito anglosassone o reprimere l’urgenza di
nascondere giornali a tematica omosessuale, l’armamentario e le foto guests visit (il termine
corrispettivo è ‘straightening up’, un gioco di parole verso straight usato per indicare gli e le
eterosessuali).
Le rivelazioni verbali abbracciano una gamma di esplicità, da ‘Io sono gay’ ad una frase ambigua a
proposito dello stare ‘insieme’ con il proprio amante dello stesso sesso: in aggiunta, in tutte le frasi
se il destinatario non riconosce l’intenzione che c’è, se non apprende il significato semiotico
230
!
Write Dept. 3819 Gannett Newspapers, 14614. (Rochester Democrat and Chronicle/Times-Union, 28 Dicembre
1994)
!198
dell’indossare un orecchino su un dato lobo dell’orecchio, a questo punto è ponibile il quesito se il
coming out ha preso luogo.
Allo stesso modo, se il destinatario non sceglie di riconoscere l’intenzione, allora lo status di colui o
colei che fa coming out quale persona omosessuale per rispetto al destinatario è ancora non chiara:
se attraverso il proprio comportamento non intenzionale della persona omosessuale il destinatario
scopre il segreto, il coming out potrebbe o non potrebbe venir considerato che ha luogo, dipendendo
da come l’individuo valuta il suo proprio comportamento se lui vuole realmente dichiarsi o se era
accidentale.
Nell’ultimo caso, il termine outing oneself sarebbe appropriato: se lui annuncia la propria
omosessualità solo per un giorno e mai più lo rifa, permettendo di reggersi per il resto della sua vita
la presupposizione di eterosessualità, di lui si potrebbe o non si potrebbe dire di essersi dichiarato.
Nonostante la difficoltà di determinare un set di condizioni per il sé o non l’autodichiarazione ad un
altro abbia luogo, il coming out sarà considerato semplicemente come la comunicazione
intenzionale e riuscita da parte di un individuo della sua omosessualità ad un altro individuo al
quale una tale informazione non è stata trasmessa precedentemente dal singolo e medesimo
individuo omosessuale.
Il coming out a sé stessi o ad altri può sovrapporsi: l’esperienza di articolare l’omosessualità di
qualcuno ad un altro può indurre simultaneamente un riconoscimento (la maggior parte dell’intuito
nel set psicoterapeutico può essere conseguito semplicemente con la formulazione linguistica dei
sentimenti mai verbalizzati in precedena).
Ciò che è chiaro è cha l’atto del coming out è combattuto con ambivalenza da parte sia di colui/
colei che si dichiara omosessuale sia del destinatario, rendendo difficile la precisa definizione: a
questo ultimo stadio il coming out è processuale, perché la natura fondamentale della riproduzione e
le sue implicazioni per cosa costituisce una relazione legittima in una data cultura, la pervasività
conseguente dell’eterosessualità e il vigore con cui viene venduta, dà luogo all’assunzione di
mancanza dell’eterosessualità come la condizione naturale di tutti i membri della cultura.
Di conseguenza gli uomini omosessuali devono continuamente ricrearsi attraverso
l’autonominalizzazione per assicurarsi che vengano sentiti e compresi come individui che si
definiscono così e per questo motivo sono omosessuali: allo stesso tempo loro hanno a che fare con
l’onere di dover decidere in ogni interazione se o no autodichiararsi: è attraverso la virtù dell’essere
costretto di fare questa decisione in ogni interazione che il coming out è processuale.
!199
Non tutti possono sapere e per questo motivo non tutti fanno, e l’assunzione di inadempienza
dell’eterosessualità resta al suo posto: ancora con ogni dichiarazione di omosessualità, che
l’assunzione scompare.
Per questo motivo il coming out è un atto discorsivo che non solo descrive uno stato di faccende,
cioè l’omosessualità del parlante, ma anche porta queste faccende uno stesso uomo omosessuale ad
essere: presentandosi come omosessuale, un individuo altera la realità sociale creando una comunità
di ascoltatori e per questo motivo stabilendo gli inizi di una nuova cultura omosessuale
consapevole.
Il coming out è in tal senso un’espressione performativa231
che può essere vista come
rivoluzionaria: A. C. Liang ripropone per questo motivo la struttura della narrativa personale come
proposta da Labov, tanto da definire la storia del coming out con la sua discorsività degergalizzata
queer correlata, nei termini di un tipo particolare di narrativa personale, la storia di vita (romanzo di
formazione in narratologia).
Quindi, A. C. Liang esamina una storia per esibire la struttura caratteristica di una storia di coming
out: si noti in tal proposito come Labov descriva la narrativa come ‘un metodo di ricapitolare
l’esperienza passata confrontando, è deducibile, una sequenza verbale di proposizioni alla
sequenza degli eventi che attualmente avvengono’232: le proposizioni in questione sono terminate il
proposizioni narrative, di cui il cambiamento in sequenza altera il significato della sequenza
dell’evento.
La struttura della narrativa può includere:
1. l’abstract
Incapsulazione della storia e il perché viene
raccontata
1. l’orientamento
Identificazione della situazione che consiste
spesso di verbi progressivi al passato che
descrivono cosa stava accadendo prima del
primo evento narrato
1. la coda
Il segnale che la narrativa è terminata e che
ritorna ai partecipanti al presente
!231
!232
!200
1. la stima
Come il parlante espone la sua idea a proposito
del raccontare la narrativa
Una minima narrativa consiste di due proposizioni narrative ordinate, che Labov definiva ‘azione
complicante’: la pertinenza della concettualizzazione di Labov della narrativa personale resta sul
fatto che come le narrative sulle quali verte la sua analisi, le storie di coming-out esaminate erano
qui stimolate.
Questo viene riflesso nella struttura delle narrative pienamente sviluppata e discreta: comunque
nella conversazione attuale le narrative sono meno considerevolmente distinguibili dal contesto
conversazionale circostante e inoltre un parlante che produce una narrativa spontanea è sotto un
obbligo sociale di stabilire la riportabilità della narrativa, la sua rilevanza alla conversazione
avvenuta fino a quel dato punto, come incide sulle relazioni tra i partecipanti della conversazione, la
sua connessione alle attività in cui sono attuate e così via.
Un narratore di una narrativa stimolata non è gravato al medesimo grado dal momento che del
grado di rilevanza è stato prestabilito dal destinatario che ha suscitato la narrativa: mentre la
riportabilità di un evento può essere stabilito solo dalla virtù del suo essere inusuale, può anche
essere indicato da una stima esplicita come in and here’s the funny part233.
La stima si dirige agli ascoltatori come se dovessero interpretare ciò che bisogna seguire: nella
narrativa di prima persona le stime posizionano anche il parlante come uno che partecipa alle norme
dell’ascoltatore.
Potrebbero avere anche forza suggestiva nel dimostrare all’ascoltatore ciò che dovrebbe o farebbe
sotto simili circostanze: in ogni caso, dal momento in cui il racconto di una storia è situato
socialmente, deve contenere alcuni dispositivi linguistici o paralinguistici per guidare l’ascoltatore
attraverso un’interpretazione della storia che combina più o meno ciò che è inteso dal parlante.
Questi dispositivi sono le stime, che al minimo giustificano all’ascoltatore il perché vale la pena
ascoltare la storia: la storia di vita è un particolare tipo quindi di narrativa alla prima persona in
quanto dal momento che è una storia che ‘fa un punto sul parlante, non il modo in cui il mondo è’ e
‘è raccontabile oltre il corso di un lungo periodo di tempo’234.
Per il fatto che il coming out può essere considerato un evento sul parlante che ha esteso la
riportabilità, una storia di coming out è classificabile come un subtipo di storia di vita: la storia del
!233
!234
!201
coming-out può essere definita come una che descrive l’esperienza interna del parlante di
riconoscimento e accettazione della sua omosessualità e l’esperimento esterno di rivelare quella
data informazione agli altri.
Potrebbe consistere di una o più forme di coming out: quella delle storie da coming-out esistono in
assoluto e sono riconosciute dai membri come indicanti la loro centralità nel definire un’identità
omosessuale tanto quanto una cultura omosessuale: per la singola persona omosessuale, il racconto
di una storia di coming-out presuppone l’autoaccetazione e l’autodefinizione come omosessuale (un
coming out implica un legame stretto e unico con l’identità omosessuale: nello specifico con storia
del coming out si intendono quelle storie volte a interlocutori ricettivi per gli intenti di creare
solidarietà e comunità con altre donne e uomini omosessuali, oltre il rafforzamento attraverso la
ricostruzione dell’identità gay o lesbica del parlante).
Questa presupposizione è una delle componenti valutative centrali della storia del coming out: una
storia di coming out non è solo una somma dell’evento riportabile di coming out ma una fonte di
convalida sociale per il narratore.
Viene raccontata ad un pubblico ricettivo come altri omosessuali che possono confermare l’identità
omosessuale del narratore o rinforzare i legami di mutuo supporto tra i partecipanti: un altro grande
aspetto valutativo della storia del coming out comporta i modi in cui il narratore e i suoi
interlocutori far fronte con il riconoscimento o la scoperta del proprio orientamento sessuale.
La paura dell’esposizione ha spinto uomini omosessuali ad impegnarsi nell’inganno e altre forme di
occultamento, ma si sono sentiti anche ipocriti nell’agire in tal maniera: di conseguenza, nel
raccontare le loro storie da coming out i parlanti spesso si distanziano dalle azioni del protagonista,
indicando al pubblico che ora sanno meglio di assumere nel comportamento ingannevole rispetto ai
loro primi io.
La storia seguente divisa in due parti (a), (b1), (b2) e (c) riflette le tre caratteristiche del coming out:
il coming out interno (a), il coming out esterno (b) e la sua natura processuale (c) [le lettere sono
usate per designare anche i costituenti corrispettivi per queste storie. Qualora non apparisse alcuna
lettera per identificare il parlante di un passaggio, si può assumere che è tratto ma non forma in sé
uno dei costituenti].
Tranne (a), sebbene Mark non riporta alcuna difficoltà per il coming out in sé stesso e per questo
motivo non offre una somma narrativa, agilmente spiega come aggira i conflitti interni a proposito
della sua omosessualità:
!202
“Uh I’ll go next. /?/ Um I’s pretty lucky ‘cause um, I didn’t have to deal with what a lot of people
said, that coming out to yourself is very hard. Um I knew I was attracted to men before I knew that
was wrong, and I think that was very strange, ‘cause I I was attracted to um, uh other guys when I
was pretty young, still. Um so I guess the circumstances around me coming out was just uh, coming
out to other people an’ an’ that has been hard um, uh, two years ago, not anymore”. Mark (a),
maschio asiaticoamericano di venti anni.
Secondo il Mark razionale la sua attrazione per gli uomini precedeva la sua consapevolezza dei
valori culturali riguardo l’omosessualità: è ragionabile chiedersi perché il parlante sente il bisogno
di fare una prefazione con una spiegazione del suo coming out a sé stesso piuttosto che
semplicemente andare avanti nel racconto delle sue storie (b).
Prima di tutto, autodefinirsi omosessuale comporta due dimensioni, il coming out a sé stessi e il
coming out verso gli altri: quale membro della cultura omosessuale, il parlante capisce questo e per
questo motivo si indirizza ad entrambi gli aspetti, ma in maniera più cruciale nel contesto di una
cultura in cui l’eterosessualità è il caso non marcato, l’omosessualità è autoalienante, e quindi la sua
accetazione da parte dell’individuo dell’omosessualità in sé sopporta la spiegazione sia dal punto di
vista della narrativa sia dell’unità del discorso della spiegazione, come definito da Linde, che
evidenzia che i parlanti usano spiegazioni ‘per stabilire la verità delle proposizioni riguardo cosa i
parlanti stessi non sono a loro agio o per difendere le proposizioni la cui validità essi sentono il
loro destinatario ha in qualche modo provocato’235.
Nel particolare caso delle storie da coming out, i parlanti anticipano che l’implausibilità di una
proposizione, l’accettazione della propria omosessualità, accresce i dubbi nella mente del
destinatario: di conseguenza il parlante indirizza la questione del coming out a sé nonostante il fatto
che in questo caso la narrativa del parlante principalmente comporta il coming out verso altri.
Dopo aver posto questa questione, Mark continua nel raccontare alcune storie di coming out ad altre
persone: il prossimo resoconto esemplifica come un segmento di una storia da coming out
consisterebbe di tutti dei componenti enumerati nell’analisi di Labov: le stime esterne date all’inizio
della narrativa esplicitamente afferma le ragioni del racconto della storia.
Un abstract poi riassume la storia come implicante menzogne e comportamenti falsi: poi ci sono tre
proposizioni di orientamento che situano gli effetti narrativi, seguiti da una serie di proposizioni
narrative che descrivono i pensieri e le azioni del protagonista.
!235
!203
Il risultato fallito del segnale di coming out segnala la fine della narrativa: in (b1) il protagonista
non si dichiara realmente per riferirsi più istanze di ‘menzogna e inganno’ prima di terminare con
una storia in cui non c’è alcuna domanda del suo successo nell’autodichiarsi: di nuovo, la struttura
delle cause si conforma all’analisi di Labov della narrativa personale e sebbene esistano molte più
proposizioni di stima nella parte (b2) della storia del parlante, tutti i componenti che compongono la
narrativa personale, ad eccezione dell’abstract, sono presenti.
Dal momento che questo tratto del discorso decade nello scopo dell’abstract menzionato in (b1) non
c’è alcun bisogno per un abstract per (b2): inoltre, (b2) si compone di due storie, di cui una sul
mentire ad un sacerdote e l’altra sull’essere evasivo con un conoscente malgrado i sospetti mutuali
dell’omosessualità di un altro.
Sebbene la prima storia termina non con una coda chiaramente tagliata ma con una stima ‘Ho
mentito al prete’, si dirige alle interpretazioni degli eventi dell’uditorio appena riportati e allude al
riassunto menzionato prima, cioè la menzogna avvenuta nei tentativi del protagonista di dichiarare
la propria omosessualità. Il fatto che la forza della discussione che segue non è legata all’incidente
con il sacerdote conferma sia all’analista che all’uditorio che era intenzione di finire un’altra
narrativa senza terminare la storia attuale.
PROPOSIZIONE
TIPO STRUTTURALE
Um, ih- it was kinda funny
STIMA
‘cause there w- it involved a lot of lying and ABSTRACT
deceit?
Um, ‘cause when I first came out, I went to this PROPOSIZIONE DI ORIENTAMENTO
Neuman, um the Neuman center?
The Catholic Church had a, a panel discussion PROPOSIZIONE DI ORIENTAMENTO
on gays
And I was sittin’ in the audience,
PROPOSIZIONE DI ORIENTAMENTO
And I’m all, well now, I’m here w-um, they’ll PROPOSIZIONE NARRATIVA
probably think I’m gay by association
So I’m all, well how do I mitigate this?
PROPOSIZIONE NARRATIVA
So I raised my hand
PROPOSIZIONE NARRATIVA
And I said um, I said, isn’t being gay, um, a PROPOSIZIONE NARRATIVA
psychological thing so that you can change it?
!204
So everybody looked at me
PROPOSIZIONE NARRATIVA
And they started going, boo:!
PROPOSIZIONE NARRATIVA
So I go, shit!
PROPOSIZIONE NARRATIVA
So um, so then you know , I I left the meeting
PROPOSIZIONE NARRATIVA
Um not coming out to anybody really,
CODA
Maybe I did but um.
STIMA
Seguendo il segmento è la parte (c), che pertiene alla natura processuale del coming out, segnalata,
in particolare, dal ‘it’ che si riferisce all’apertura persona a persona che compone il processo di
coming out: questo aspetto processuale è anche sottolineato dall’uso del progressivo passato ‘it has
been going well’.
Wood evidenzia che la difficoltà nel portare il lettore al presente di nuovo, evidenziato dall’assenza
delle code è riflessivo del suo continuante processo incompleto: la rappresentazione iconica del
processo di coming out è vista anche nelle storie di coming out raccontate dai partecipanti della
sessione rap e l’ordine in cui le storie vengono raccontate, oltre il modo in cui comprimono una
serie di narrative piuttosto che una sola narrativa, come già esemplificato da Mark, illustrano
nuovamente la natura processuale del coming out.
And um it’s been going well since then, I’m out to all four of my siblings, um I’ll probably wait till
uh till I get outta school before I tell my parents through. ‘S been pretty good. Mark [c]
Questa storia di coming out, contenente una spiegazione del coming out a sè stessi, tre narrative del
‘mentire e inganno’ e una registrazione di chi è stato e chi deve ancora dire, è strutturata secondo la
definizione precedentemente posta.
Le storie proposte e analizzate da A. C. Liang sono state raccolte in una data sessione di lavori, in
cui gli individui si sono radunati per discutere di questioni o problemi unici a coloro che hanno in
comune l’essere membro nello stesso gruppo oppresso o stigmatizzato e per il quale non esiste
istituzione entro la quale queste questioni possono essere dirette.
PROPOSIZIONE
TIPO STRUTTURALE
So like the following year, I went back uh, to Proposizione narrativa
another meeting
And this time it was explicity just gay people, a Stima
gay group meeting over there,
!205
And I came late on purpose
Proposizione narrativa/ stima
‘cause uh, you don’t wanna be the first one Stima
there.
And you know, I came late on purpose,
Proposizione narrativa/ stima
And I didn’t realize, you know, being late Stima
wasn’t like being gay late
‘cause gay late’s very late.
Stima
So I get there,
Proposizione narrativa
And there’s nobody there.
Stima
And I’m all, Shit!
Proposizione narrativa
So then one of the father, one of the priests at Proposizione narrativa
the /?/ came up to me,
He goes, are you here for the: meeting?
Proposizione narrativa
‘Cause he didn’t wanna say gay meeting
Stima
‘cause it was still very low key back then
Stima
And I’m I’m all, uh: no I’m not.
Proposiziona narrativa
So lied to a priest. [risata]
Stima
So I went next door,
Proposizione narrativa
And I was giftwrapping presents for the Proposizione orientativa
homeless,
And I’m all, okay I’ll time this now, I’ll go back Proposizione narrativa
over there when they break for ah refreshments,
you know.
So I’m over there wrapping for a while,
Proposizione orientativa
And I go back,
Proposizione narrativa
And I bump into a friend of mine who works at Proposizione narrativa
the bank with me,
And I think,
Stima
!206
Well, we sort of suspected each other,He’s been Stima
trying to tell me that he’s gay, ‘cause we’re
we’re uh working,He’ll be telling me, oh I went
to church in the Castro last Saturday, and I’d
just say, oh okay, you know. He’s all, you know,
all kinds of hints, and I’m just ignoring it.
But now I’m,
Proposizione narrativa
He goes, he goes,
Proposizione narrativa
We’re standing there at the meeting,
Proposizione orientativa
And we’re pouring drinks,
Proposizione orientativa
And he’s all, oh what are you doing here?
Proposizione narrativa
I’m all, oh I don’t know, what are you doing Proposizione narrativa
here?
And so then we just came out to each other
Coda
!
La discussione di solito prende la forma dello scambio di storie, che serve a dare definizione alle
esperienze dei partecipanti e fornire modi diversi di trattarle, in particolare davanti alla
discriminazione e del silenzio del dominante politicamente parlando: la partecipazione nella
sessione rap è per questo motivo governata principalmente da esperienze comuni che risultano
dall’aderire al gruppo piuttosto che dalla frequentazione tra i partecipanti.
Su tutto, i partecipanti assumono che è terapeutico sia per il parlante verbalizzare le sue difficili
esperienze ad un pubblico che supporta e recepisce e per i membri del pubblico che hanno avuto
esperienze simili per sentirsi validati dall’ascoltare le esperienze degli altri: nelle storie di coming
out nell’esame di A. C. Liang, i parlanti testimoniano la consapevolezza del frame della sessione
rap nel racconto delle loro storie236.
Delle enfatizzazioni come ‘My name’s Kevin’, che si pongono all’inizio delle storie, alludono al
fatto che la raccolta è tra gli individui che non si sono incontrati in precedenza: gli altri, come
‘Okay, I’ll go next’, segnalano la natura del passaggio di turno nella sessione rap e gli individui si
oppongono ad offrirsi volantari oppure cedono il loro turno alla prossima persona.
236
!
Cfr: Tannen, Deborah (1993). ‘What’s in a Frame? Surface Evidence for Underlying Expectations’. In Deborah
Tannen (ed.), Framing in Discourse. Oxford: Oxford University Press, pp. 14-56.
!207
Quando i parlanti hanno finito, lo evidenziano con elementi marcatori come ‘That’s it’: dal punto di
vista linguistico meno saliente anche se ancora manifesti è la consapevolezza che il volgere della
lunghezza dovrebbe essere tale che ad ognuno è data l’opportunità di decidere se o no vuole parlare.
I parlanti raccontano le loro storie senza divergere dalla materia in discussione o occupare il piano
troppo a lungo, per lasciare abbastanza tempo tanti quanti parlanti potenziali vogliono offrirsi
volontari per una storia: dato che esiste il senso tra i partecipanti di un turno ‘accettabile’ di
lunghezza per la discussione di un topic ‘accettabile’, i parlanti scelgono di enfatizzare le diverse
componenti delle loro storie in modo tale che si armonizzano attraverso l’etnicità.
Il modello generale che emerge da questi dati è che gli asiaticoamericani in contrasto con gli
euroamericani focalizzano sulle esperienze di coming out agli altri molto più di coloro che fanno
coming out a sé stessi: questa differenza è riflessa nella proporzione del turno assegnato ai
sentimenti dei parlanti sulla propria omosessualità e all’uscita del coming out verso gli altri.
Gli asiaticoamericani spendono quasi tutto il tempo dei loro turni a raccontare delle esperienze di
coming out agli altri e virtualmente alcun tempo all’esperienza del coming out a sé stessi:
diversamente dagli euroamericani, gli asiaticoamericani non presentano a sé stessi che è torturato da
conflitti interni.
È interessante esaminare le intimità che i membri di ciascun gruppo presentano e come ognuno fa i
conti con l’accettazione o incorporazione della sua identità omosessuale nella propria narrativa.
Mentre il coming out ad un’altra componente presuppone l’accettazione del parlante della propria
omosessualità, concerne solo con gli eventi sociali esterni e non si indirizza alla questione
psicologica di come il parlante elabora qualsiasi minaccia alla sua identità posta dalla sua
omosessualità: in un certo senso, la componente del coming out a sé stessi è la parte più importante
della storia del coming out, dal momento che permette all’individuo di capire la sua vita sia come
persona etica, che significa qualcuno che spartisce norme culturali con i suoi ascoltaori sia come
persona omosessuale.
Un individuo omosessuale deve necessariamente costruire una storia di coming out a sé stesso
prima di raccontare delle storie di coming out ad altri, dal momento che il contrario, dire una storia
di coming out prima del coming out a sé stessi, sarebbe interpretata come comportamento
schizzoide o comunque richiedente una spiegazione: la componente del coming out a sé stessi nelle
storie degli americani di origine asiatica tende nei dati raccolti da A. C. Liang a non avvenire in
forma narrativa.
!208
Al contrario, i parlanti spiegano come hanno gestito per evitare il conflitto interno e spesso
omettono del tutto qualsiasi riferimento ai loro sentimenti intimi riguardo la propria omosessualità:
la componente del coming out a sé stessi, parte (a) della narrativa di Mark qui riprodotta è
strutturata come una spiegazione
“Uh I’ll go next. /?/ Um I’s pretty lucky ‘cause um, I didn’t have to deal with what a lot of people
said, that coming out to yourself is very hard. Um I knew I was attracted to men before I knew that
was wrong, and I think that was very strange, ‘cause I I was attracted to um, uh other guys when I
was pretty young, still. Um so I guess the circumstances around me coming out was just uh, coming
out to other people an’ an’ that has been hard um, uh, two years ago, not anymore”237.
Come un’unità discorsiva, la spiegazione consiste della posizione per essere dimostrata e supportare
argomenti: in (a), la frase della proposizione da provare è ‘I’s pretty lucky ‘cause um, I didnt’ have
to deal with what a lot of people said, that coming out to yourself is very hard’.
Mark poi mostra il perché bisognerebbe credere a questa frase, ovvero perché lui ha capito della sua
attrazione per gli uomini prima che diventasse consapevole della disapprovazione sociale, era
capace di accettare i suoi sentimenti omosessuali facilmente: i parlanti potrebbero anche decidere di
non menzionare il coming out a sé stessi e invece semplicemente procedere per raccontare una
storia sul coming out a qualcun altro.
La giustificazione prende ancora la forma di una spiegazione X così Y:
Well I’m Thomas and um, I’m I’m out to selected people but um, you know I find myself- I mean I
find my coming-out story boring so I’m not gonna tell the whole thing. (Thomas [a]).
Dato che questa frase viene formulate proprio all’inizio del suo turno, ‘the whole thing’ può essere
ditto per includere la componente del coming out a sè stessi della storia del parlante e per questo
motivo una parte della storia del coming out che declina dal raccontare: secondo il parlante la sua
omissione è garantita perché è ‘noiosa’.
Per questo motivo, il parlante appare essere più concernente con l’impressione fatta sul suo
pubblico nel racconto della sua storia che con l’intento del raccontare nella sessione rap,
aggiungendo al repertorio delle alternative di come i parlanti arrivano ad essere consapevoli e ad
accettare la loro omosessualità: i protagonisti dei profili euroamericani la cui auto accettazione è
preceduta da una battaglia interna a volte lunga con i loro sentimenti omosessuali.
237
!
Cfr: Linde, Charlotte (1993). Life Stories. New York: Oxford University Press.
!209
Questa battaglia o conflitto interno è trasformata in parole usando la metafora, il discorso diretto,
fonologia espressiva, ripetizione e immaginario dettagliato per nominare alcuni dei dispositivi che
appaiono nei dati: piuttosto che aggiungere al contenuto proposizionale di ciò che viene espresso,
questi dispositivi si aggiungono all’effetto emozionale della storia.
Il prossimo estratto da una narrativa più lunga che descrive la giornata attraverso l’autoaccettazione:
diversi dei dispositivi menzionati sono utilizzati dal parlante per descrivere il tentativo del
protagonista di negare i sentimenti e quindi le conseguenze della sua omosessualità.
“When I was fifteen, I started thinking to myself, you know, this probably isn’t a phase, I’m gonna
have to deal with this someday soon. But I said, I’ll deal with this later. When I was sixteen, I had
my first massive massive crush on this guy in my high school, and I’m like, I do not how-know how
to deal with this. So I sort of just let it sit, and it sit, and it got bigger, and it got bigger, and it got
bigger, and then w-finally when I was seventeen, I could not deal anymore, and so I went and told
my mother.” (Gil, uomo euroamericano, di 22 anni).
In questo estratto, la distanza con la quale il parlante si riferisce ai suoi sentimenti come dimostrato
ad esempio dall’uso di pronomi impersonali (‘it’, ‘this’) ricostruisce la negazione che descrive: la
metafora descrive i suoi sentimenti (‘it got bigger’), il discorso diretto riporta la sua realizzazione
crescente della loro realtà (‘I started thinking to myself, you know, this probably isn’t a phase’, ‘But
I said, I’ll deal with this later’, ‘I’m like, I do not how-know how to deal with this’) e la ripetizione
esprimono l’intensità dei suoi sentimenti tanto quanto della sua incapacità di controllarli ‘I sort of
just let it sit, and it sit, and it got bigger, and it got bigger, and it got bigger’ .
Un altro parlante, John, fa uso estensivo della ripetizione per descrivere come voleva essere
eterosessuale, come è qui visibile dalla trascrizione che è stata preparata per enfatizzare le
ripetizioni, che sono sottolineate:
•
my focus shifted to now, the one thing, the one goal, I had was to be cool.
•
It- I just wanted to fit in.
•
I wanted to fit in.
•
All my friends you know, were like, hetero-er heterosexual.
•
Or at least they thought of themselves as heterosexual.
•
They had girlfriends and all that kind of stuff.
•
I wanted to fit in.
•
I wanted to be cool.
•
I wanted to have a girlfriend.
!210
•
I wanted to um,
•
Well, I I w-wanted to fit in.
•
That was my my goal, my life’s goal now.
John, maschio euroamericano, di 22 anni.
Nel descrivere la situazione del protagonista, il parlante utilizza ‘I wanted to…’, la struttura
paradigmatica sulla quale l’estratto è costruito: il parlante si coinvolge a tal punto con la ripetizione
e presumibilmente l’intensità dell’emozione che esibisce, che ripete il paradigma di nuovo una volta
prima di realizzare che ha esaurito le nuove informazioni con cui colmarlo (‘I wanted to um, well I I
w-wanted to fit in’).
Infatti, nelle poche linee che seguono questo estratto, il parlante conferma il suo coinvolgimento
con il testo, riportando ‘I was really confused, just like I am talking about it right now’: l’effetto di
stima della lista è che comunica la forza dei sentimenti del protagonista sull’essere gay e il
desiderio associato di appartenenza.
L’ultima linea dell’estratto That was my my goal, my life’s goal now accresce il ritmo della frase,
contrastando e quindi l’intensità dei sentimenti convogliati dalla ripetizione: A. C. Liang reperisce a
questo punto un’eccezione nei dati per l’ambito asiatico-americano.
La maggior parte degli americani di origine asiatica tendevano a non dar credito alle esperienze di
coming out a sé stessi come non movimentato dando spiegazioni: in contrasto, Mike riportava il
racconto di un coming out a sé stesso:
okay, my name is Mike? Let’s see, I’ve been out for one year, exactly one year last April, and the
rea- one reason why I came out was um, um, I’ve always known since I’s like seven or eight years
old, I guess. I don’t know the first time you think about these, things, but the reason why I came out
‘cause I was I know a lot of people, I have a lot of friends but /?/ so lonely like, during the month of
February, March, basically isolated myself from everybody, would um, never return calls, didn’t call
anybody, noone, /people call me back/, and was doing really poorly in school, and um, and
suddenly you know I was, it was really bad, you know, I was really feeling depressed. So then I deciand then one time there was this movie showing on TV, channel two, and I forgot the name of it but
it’s from – about a family, a dysfunctional family, one was gay, one was alcoholic, and the and the
girl uh, the- and the woman was- had a bad marriage. And one, during the movie, um the best line
that I heard I still remember, you know, was when well, when the son came out to his father and uh,
and ‘cause he had tried to commit suicide and uh, he tried smashing himself into a pole, and then
what happened was, the father or the mother said, look you think we would rather visit you in the
!211
graveyard than you know, accept you who you are. And then just thinking about /?/, I said
myself, /?/ my parents, would I want to see my parents visit me in the graveyard? They would just, it
was it was unfair for me and it was unfair for them. So then I decided to go out there and just look
for things. (Mike [a], maschio americano di origine asiatica, di anni 20).
Distinguibile nel passaggio (a) è la complessiva narrativa di come il parlante arrivò ad accettare la
sua omosessualità e la narrativa incastrata in essa che descrive il programma televisivo che
richiedeva la sua accettazione: quel suo interesse è semplicemente dare una relazione riassuntiva
delle sue emozioni prima di procedere con le altri componenti della storia piuttosto che focalizzare
sul coming out a sé stessi è illustrato da diversi punti.
Per prima cosa, l’apparente precipitazione dell’inizio della sue depressione e la sua ugualmente
immediata partenza è un po’ diversa dalle storie degli euroamericani, che spendono anni a
combattere i loro sentimenti omosessuali: l’impressione è che il disturbo all’immagine del sé del
protagonista non è tanto estremo o persistente quanto lo è per gli euroamericani.
In secondo luogo, diversamente dai parlanti primi parlanti euroamericani, Mike riassume più che
drammatizzare le sue emozioni: questo è evidente dall’assenza di qualsiasi dispositivi usati dai
parlanti bianchi.
Invece il parlante non fa più di dichiarare in termini complessivi che era ‘really depressed’ e che ‘it
was really bad’: la sua prospettiva è orientata all’esterno, vale a dire sul suo isolamento
autoimpostosi dai rapporti sociali e la sofferenza del suo studio, entrambi dei quali erano causati
dalla sua depressione.
In terzo luogo e in maniera cruciale la sua intenzione originale riguardo il suo resoconto era che
serve solo come una subnarrativa o introduzione a resoconti più lunghi e più dettagliati del suo
coming out ad altri, come provato da ‘So then I deci-’, che presumibilmente avrebbe terminato la
componente del coming out a sé stessi se non si fosse auto interrotto a quel punto e proceduto con la
descrizione del film: il fatto che il resoconto del coming out a sé stessi crea una fine infatti con ‘So
then I decided to go out there and just look for things’ sostiene questa tesi.
Come lui ha continuato con la sua frase, vale a dire non si è auto interrotto, il passaggio su quel
punto sarebbe servito come un orientamento per la narrativa del coming out ad altri piuttosto che
come una narrativa nel suo diritto proprio, come fa il costituente del coming out a sé stessi nelle
altre storie di parlanti americani di origine asiatica: a questo punto, comparando con il resto del suo
turno piuttosto lungo, la storia destinata del coming out a sé stessi e la storia attuale sono entrambi
abbastanza corti.
!212
Ciò forma abbastanza un contrasto per l’urgenza e la durata del conflitto interno che caratterizza la
componente del coming out a sé stessi degli euroamericani: per questo motivo, mentre da un punto
di vista strutturale questa componente di coming out a sé stessi del parlante costituisce un’eccezione
alle altre storie raccontate da americani di origine asiatica, in particolare a causa dei problemi che
lui ha avuto nell’autoaccettazione, tuttavia, la tendenza a focalizzare dalle esperienze interne e il
tempo più facile a livello comparativo avuto dagli americani di origine asiatica accettando i loro io
omosessuali è evidente anche nella struttura della storia di questo parlante.
Esaminando la struttura e i dispositivi linguistici utilizzati nel racconto dei costituenti del coming
out a sé stessi delle storie di coming out, si nota che i parlanti americani di origine asiatica sono
meno prossimi con le emozioni associate con il loro coming out a sé stessi di quanto lo siano gli
euroamericani: il primo non si indirizza affatto alla questione, non la spiega, né la riassume senza
delineare gli eventi attraverso l’uso di stime esterne, mentre l’ultimo spende la maggior parte dei
loro turni dimorando su ciò che vige nelle loro menti prima che essi si dichiarino a sé stessi.
!
2.1.1.2. Oltre i sistemi culturali di coerenza
Ora secondo Linde, un testo per eessere riconosciuto come coerente, devono aver luogo due
relazioni: una è che le sue parti se sul livello della parola, il livello della frase, o il livello delle più
ampie unità di discorso, possono essere viste come essere in relazione propria una con l’altra e al
prossimo come un unicum. La seconda relazione è che il testo come un unicum deve essere visto
come essere riconoscibile e un testo ben formato del suo tipo. Per questo motivo, un film di cowboy
è compreso sia perché la sua struttura interna è comprensibile, vale a dire lo shootout segue
piuttosto che precedere l’esplicazione del problema sulla proprietà del ranch e sia perché si pone in
una tradizione di testi primi riconoscibili come film di cowboy238.
L’implicito in questa definizione è l’idea che la coerenza testuale è un prodotto dell’interazione tra
parlante e ascoltatore: dal parlante ci si aspetta che crei un testo la cui coerenza è evidente o può
essere costruita dall’ascoltatore, mentre l’ascoltatore tenta di capire il testo del parlante come
coerente e indicarlo come tale.
L’adeguata casualità, uno dei principi di coerenza nelle storie di vita riconosciute da Linde è una
speranza che tutti i membri della cultura hanno per una storia coerente e il parlante e l’ascoltatore
negoziano se o no è stato raggiunto: da un lato, l’adempimento di adeguata casualità dipende da
238
!
Cfr: Linde, Charlotte (1993). Life Stories. New York: Oxford University Press.
!213
norme sociali di ciò che costituisce una sequenza ragionevole di eventi, una persona decente, una
vita propria, etc…dall’altro dipende anche dalla creatività propria del parlante nel costruirsi un
resoconto di cui la causalità sarà accettabile all’ascoltatore.
Per esempio, si è visto che la spiegazione di Mark di come è arrivato ad accettare la sua
omosessualità cresce dalla generale improbabilità che un membro della cultura omofoba
accetterebbe semplicemente questo aspetto di sé stesso: non è stato spiegato la sua asserzione
secondo la quale ha evitato i problemi dell’autoaccettazione, avrebbe mancato la causalità adeguata.
Per questo motivo, era necessario estrarre le ragioni per l’autoaccettazione, per cui nella caso della
sessione rap, in cui la discussione tende al monologo e le storie sono raccontate a turno, comunque,
se o no le storie di un parlante hanno aderito ai principi di coerenza è meno soggetto apertamente
alla negoziazione.
Parte di ciò che costituisce l’adeguata causalità è determinata da ciò che è culturalmente definita
come propria: ciò che è una causa o spiegazione riconosciuta o aspettata forma parte di ciò che
Linde chiama i sistemi di coerenza.
Linde definisce un sistema di coerenza come una gamma di assunzioni che fornisce ‘un mezzo per
capire, stimare e costruire resoconti di esperienza’239: alcuni dei sistemi di coerenza utilizzati dagli
americani utilizzano i concetti dai sistemi esperti che hanno subito semplificazione una volta che
hanno raggiunto il pubblico generale, tra i quali la Linde individua i sistemi di pensiero freudiano,
astrologico, femminista e confessionale cattolico.
Quando i parlanti costruiscono storie di vita, si richiamano a questi sistemi per fornire un mezzo per
strutturare gli eventi in modo tale che i criteri per la coerenza sono soddisfatti: Linde contrasta i
seguenti scambi costruiti per mostrare come uno ma non l’altro incontra i criteri per la coerenza
•
3a How did you come to be an accountant?
•
3b Well, I guess I have a precise mind, and I enjoy getting all the little details right.
•
4a How did you come to bea n accountant?
•
4b Well, my mother started toilet-training me when I was six months old.
Il respondo nell’esempio 3 invoca il sistema di coerenza del senso comune americano nella classe
media bianca, che occupa i tratti del personaggio individuale e le preferenze suppliscono
giustificazione adeguata per la scelta professionale di una persona: così come per la risposta
nell’esempio 4, finchè l’ascoltatore partecipa al sistema di coerenza freudiano per cui le attuali
239
!
Ibidem.
!214
circostanze personali possono essere ascritte agli eventi nell’infanzia di qualcuno, la giustificazione
in dotazione non fornisce un resoconto soddisfacente per il perché il parlante diventa un ragioniere.
La Liang aveva già dimostrato che nel racconto delle storie di coming out i maschi euroamericani
descrivono un protagonista che cerca di rifiutare o negare la sua omosessualità e che agisce in tal
maniera finchè delle sfaccettature della sua sopravvivenza sono a rischio: dal momento che un sé
stigmatizzato è per definizione non giustificabile, l’unico modo per cui può essere trattato è trattare
le assunzioni culturali di normalità alla loro logica conclusione.
A questo punto, gli individui arrivano al dilemma di dover decidere tra il continuare a negare la loro
omosessualità al costo delle amicizie, il loro senso di moralità e a volte le loro vite o l’accettare la
loro omosessualità di fronte alla disapprovazione culturale: i maschi euroamericani tendono ad
enfatizzare la componente del coming out a sé stessi a costo delle storie che descrivono il coming
out agli altri e per questo A. C. Liang arriva a considerare la struttura di una narrativa raccontata da
un parlante euroamericano per scoprire i principi di coerenza ivi occupati.
La seguente narrativa contiene caratteristiche di ciò che Polanyi considera come narrativa
generica240: le proposizioni narrative nelle narrative generiche sono segnalate da verbi modali come
would e used to, ma più suggestivo nella storia è l’uso della negazione
Um, I’m one of those people who had a great deal of trouble coming out to myself. Uh, I didn’t
come out to anyone in high school and I didn’t come out to anyone during my four and a half years
at Cal. Uh, I, you know, I would see the MBLGA table or something, and, you know, I would never
even think of approaching it. Um, it wasn’t really until um, late last year th- that I started coming
out, and this was after a period where, you know, I could see that there were a lot of costs
associated with being in the closet for an extended period of time. Uh, basically, I found myself just
kinda retreating from the world in a lotta of different ways. Uh, I’ve always, you know, have valued
my friendship with my parents, but it was just ver-much easier just not to have to deal with /?/. or
even you know, I would even avoid calling them on the telephone, they they live in Orange country.
Uh, same thing with friends. I just didn’t keep up with people’cause e- the easiest way to live a lie is
to not uh, have to deal with someone, or just not have the issue come up. (Don [a], maschio
euroamericano di 27 anni)
In aggiunta all’uso dei verbi modali, Don usa i verbi negate al passato semplice per descrivere uno
stato di elementi attraverso la negazione, vale a dire in termini di ciò che non è successo (‘I didn’t
!240
!215
come out to anyone in high school’ , ‘it wasn’t really until um, late last year th- that I started
coming out’, ‘I just didn’t keep up with people’): per questo motivo, tanto quanto si descrive il
passato, lui lo valuta.
Lui nega un’aspettativa, sia esplicita che implicita del positivo: la frase ‘I’m one of those people
who had a great deal of trouble coming out to myself’ rileva l’assunzione del parlante che il coming
out a qualcuno viene atteso.
In seguito vi è una serie di frasi che descrivono ciò che il protagonista aveva fallito nel fare e come
lui per questo si sentiva di scarso comportamento proprio moralmente: il fatto che il parlante
termina di conseguenza il comportamento del protagonista come una ‘living a lie’ indica che la
proposizione positiva che è stata negata dovrebbe aver avuto luogo.
Per questo motivo, l’attitudine del parlante verso il protagonista è una di censura: dunque, il passato
è come hanno notato Labov e Tannen, riportabile perché mostra che gli eventi descritti deviavano
da ciò che il parlante ora ritiene essere opportuno o proprio, tanto che questo ultimo punto è
cruciale.
Don ha descritto gli sforzi del protagonista nell’occultamento e il modo in cui l’ipocrisia che ha
avvertito nell’agire in tal maniera gli chiede di autodichiarsi: egli insiste sul fatto che ha cominciato
il coming out dopo che ha iniziato a vedere che questo comportamento segreto è arrivato a fare i
conti con il suo senso di moralità (‘this was after a period where, you know, I could see that there
were a lot of costs’, ‘I just didn’t keep up with people’cause e- the easiest way to live a lie is to not
uh, have to deal with someone, or just not have the issue come up’).
La valutazione del comportamento del protagonista come ‘living a lie’ è adotta come la ragione che
lo incita ad autodichiararsi: per questo motivo, la posizione morale presa dal parlante faccia a faccia
con il suo precedente comoportamento è di rimpianto della sua codardia e comportamento
ingannevole.
I modi in cui i parlanti capiscono la loro accettazione della loro omosessualità hanno a che fare con
il raffigurare un protagonista che spinge sulle sue assunzioni false al limite fino a che sente che
alcuni aspetti della sua identità sono al palo, come il suo senso di automoralità, come nel caso di
Don.
In contrapposizione, i costituenti del coming out a sé stessi nelle storie degli americani di origine
asiatica sono analizzati per scoprire i principi di coerenza testuale, i modi in cui ci si giustifica e si
dà il senso dell’incorporazione di un io omosessuale, la quale suggerisce a sua volta
!216
l’autoaccettazione come omosessuali: è stato possibile notare nella prima sezione che i parlanti
pongono un’enfasi comparativamente bassa sul conflitto interno.
Mentre gli euroamericani raccontano la loro disperazione e le misure che hanno preso per cercare di
essere eterosessuali o produrre descrizioni dettagliate dei loro sforzi di rinnegare, gli
asiaticoamericani tendono a non menzionare alcun desiderio di essere eterosessuali né di dilungarsi
sulle battaglie interne: in tal senso, i parlanti incorniciano l’assenza del conflitto interno in termini
di circonvenzione di valutazioni culturali essendo diventati consci della loro attraione verso membri
del loro stesso sesso prima dell’acculturazione del sapere delle stime negative dell’attrazione tra
persone dello stesso sesso.
Mark per esempio ha spiegato che sapeva di ‘essere attratto dagli uomini prima di sapere che era
sbagliato’ e per questo motivo evitò i conflitti che avrebbe sperimentato se avesse socializzato nel
credere che l’omosessualità fosse sbagliata: Thomas neanche si pone la questione del coming out a
sé stesso perché sarebbe ‘noiosa’.
Il principio di coerenza invocato dagli americani di origine asiatica è che consapevoli della loro
attrazione per persone del loro stesso sesso prima di comprendere le stime dell’omofobia della
cultura: Ted ricorre alla stessa spiegazione di Mark riguardo l’accettazione della sua identità
omosessuale, vale a dire che lui era attratto da uomini prima che diventasse consapevole della
disapprovazione sociale e riconosce che i suoi sentimenti sull’omosessualità di una persona
potrebbero esserne influenzati dalla tarda socializzazione nelle stime che hanno a che fare con
l’omosessualità (la A. C. Liang indaga anche sul come ciò potrebbe influenzare retroattivamente
l’autoimmagine di una persona).
Inoltre, come è stato possibile rilevare dall’estratto, ammette di essere stato consapevole della stima
negativa a proposito delle attrazioni tra persone dello stesso sesso e le conseguenze del rivelarlo ad
altri nonostante le sue asserzioni precedenti secondo le quali lui ha riconosciuto la sua
omosessualità prima che sapesse che fosse socialmente disapprovata:
I guess so, it’s it’s um, y-yah, um, I think that uh, y’could, but in my case there’s never a factor of
um, wanting to change myself? An’ I an’ I an’ I sort of uh attribute that to the fact that I was sort of
aw- self-aware as being gay from a very young age. I’d never really wanted y’know to cure myself
or to change myself. Uh, my primary concerns were, how do I be a gay person and not let anyone
else know about it, right? So it’s not like um, I just wanted to fool everyone around me. I didn’t want
to change myself. Right? So um, like yeah, I do- you do learn, well I I did know that everyone else
would think it was wrong, even at that age, but it’s not something I n- I really kinda took for granted
!217
myself. It’s just something um, I knew would make other people ostracize me and therefore, they
couldn’t know. (Ted, maschio americano di origine asiatica, di 26 anni).
Ma la sua spiegazione non considera in maniera soddisfacente per il suo successo e il fallimento
degli altri che realizzano anche le loro attrazioni presto nell’evitare conflitti interni: nel vedere
questo, deve asserire che non ha mai internalizzato l’assunzione che l’omosessualità dovrebbe
essere valutata negativamente (‘it’s not something I n- I really kinda took for granted myself’).
Questo implica che almeno alcuni americani di origine asiatica non sostengono completamente le
valutazioni della cultura occidentale, in particolare nell’arena dell’omosessualità: tuttavia i modi in
cui gli americani di origine asiatica creano il senso di aver accettato la loro sessualità è simile ai
modi in cui lo fanno i bianchi.
Come gli euroamericani dichiarano di arrivare al punto al quale alcuni aspetti della loro
sopravvivenza non è più praticabile sotto le considerazioni (es: la valutazione negativa
dell’omosessualità) derivate dal sistema di senso comune culturale come definito da Linde241, così
fanno anche gli americani di origine asiatica quando dichiarano che la loro innocenza a proposito
delle medesime stime culturali li rende capaci di accettarsi come omosessuali: entrambi i gruppi in
questo studio giustificano l’omosessualità fuori di qualsiasi sistema di norme culturali, ma uno lo fa
come lo fare un outsider della cultura, entrambi in maniera matura e anche di conseguenza etnica e
l’altro lo fa quando trova che le assunzioni culturali non possono accomodare la loro esistenza.
Mike costituisce l’eccezione per chi il ritratto televisivo di un ragazzo che cerca di uccidersi per via
della sua omosessualità è vivido abbastanza per permettergli di immaginare lo stesso destino se lui
continuasse davvero a restare depresso: per lui l’autoaccettazione è una questione di sopravvivenza
come lo è per gli euroamericani, che consiglia che Mike potrebbe aver interiorizzato gli orizzonti
omofobi occidentali.
!
I ricercatori della psichiatria interculturale hanno riconosciuto l’apparente somatizzazione delle
emozioni tra i membri della cultura cinese242 (la nozione di somatizzazione è vista da Dragus come
un pregiudizio possibilmente occidentale verso l’origine psicologica del dolore emozionale. Dragus
suggerisce che le culture orientate verso l’esterno, come quella cinese, potrebbe sperimentare messe
in correlazione emotive della depressione ma enfatizzare la sensitività alle ‘manifestazioni attuali
!241
!242
!218
corporali della depressione’): anche la terza e quarta generazione degli americani di origine cinese
residente alle Hawaii hanno riscontrato avere la depressione come sintomi psichici nonostante la
loro assimilazione nella cultura statunitense.
Una possibile spiegazione usata nei manuali di psicoterapia che si indirizzano sulle questioni
interculturali243 è che mentre l’espressione evidente delle emozioni interferirebbe con le relazioni
personali, così tracciare l’attenzione sull’individuo a spese della relazione, la somatizzazione delle
emozioni nel dolore fisico permette di conservare alcune forme della struttura sociale: secondo
Linda Wai Ling Young, questa attenzone alle relazioni armoniose è manifesta anche nelle strategie
discorsive cinesi: mentre gli occidentali, particolarmente gli americani, preferiscono una strategia
discorsiva in cui un punto di vista è presentato per prima cosa supportando argomenti, i cinesi
considerano la strategia occidentale come dirompente dell’armonia sociale.
Nella discorsività cinese, le ragioni sono stabilite per prima cosa in modo tale che gli ascoltatori
possono essere portati gradualmente ad una posizione impugnata, ma all’occidentale, questa
strategia è obliqua, quindi lo stereotipo del cinese ‘inscrutabile’: qualcuno potrebbe speculare che
gli uomini omosessuali di nazionalità statunitense ed origini asiatiche proverebbero alcuni aspetti di
tale orientamento verso la realtà esterna, ad esempio sociale, nelle loro storie di coming out, ma in
tutte queste storie raccontate nella sessione ‘rap’ in questione, tanto quanto nelle storie raccolte dal
ricercatore nelle interviste e nei contesti informali, il protagonista viene descritto come una persone
della cui attenzione è diretta verso gli aspetti esterni del coming out.
La persona potrebbe riportare le conseguenze esterne dei suoi sentimenti, come la scadente carriera
accademica di Mike, o le circostanze sociali del suo dichiararsi, come le parole espresse nel coming
out, ma in ogni caso gli americani di origine asiatica sottovalutano l’introspezione, la componente
del coming out verso sé stessi del racconto del coming out: in tal senso, quindi, gli americani di
origine asiatica raccontano storie di coming out in tutti i modi che la storia del coming out
costituisce un genere discorsivo nei loro repertoire di comportamento linguistico.
Ciò significa che li segna come membri competenti comunicativamente di una comunità
omosessuale americana: dimostrano di capire il loro ruolo nel definire un’identità omosessuale
americana ma il fatto che le loro storie non rivelano conflitti interni nello stesso ambito di coloro
che sono euroamericani può essere attribuito all’aderenza ai valori della cultura asiatica, sia come
una predisposizione culturale all’espressione trattenuta di emozioni o sia come eludere alcune
!243
!219
preposizioni della cultura occidentale, come la comunicazione delle emozioni e l’omofobia che
sono ivi incorporati.
Che le loro storie assumono una forma distinta, diversa da quelle degli euroamericani, riflette il loro
legame alla cultura asiatica e per questo motivo indica la loro identità di asiatici: nel raccontare le
loro storie di coming out, loro riaffermano non solo la loro propria esistenza quali omosessuali
americani di origine asiatica ma anche come omosessuali americani di origine asiatica al pubblico.
!
2.2. Effetto performativo nella discorsività queer in lingua inglese
La maggior parte degli studi compiuti in linguistica queer da William L. Leap ha focalizzato le
conversazioni e le narrative come siti per la costruzione del messaggio omosessuale: tra i più
interessanti vi è lo studio su singole frasi come siti per tali costruzioni, specificatamente frasi che
non contengono gergo queer esplicito o dettagli linguistici fiammeggianti ma messaggio
omosessuale espresso attraverso la suggestione, l’implicazione o altri mezzi indiretti.
Gli esempi che Leap considera, derivano da osservazioni in corso dell’uso del gergo queer, in
particolare gay, nei contesti pubblici e privati e dalla discussione di tali osservazioni con uomini
omosessuali in contesti di gruppo focalizzanti, in interviste uno a uno e nelle conversazioni
informali: le conclusioni su cui si arriva consistono nella scoperta di strette connessioni tra il parlare
e il fare che spesso avviene nella resa testuale omosessuale in lingua inglese e ciò offre almeno in
una forma preliminare una critica linguistica di richieste ora popolari sul genere e la performatività.
Mentre la linguistica testuale su testi omosessuali in lingua inglese è un interesse relativamente
recente nella teoria queer, gli studi del gergo queer inglese nel momento testuale parlano
direttamente alle questioni spostamento, destabilizzazione, desiderio impossibile e marginalità che
ora sono diventati temi prominenti nella critica queer: Murray esplora le affermazioni positive che
sottolineano apparentemente il vizioso ‘insulto omosessuale’ in una cena di soli uomini
omosessuali244.
Poi c’è Goodwin che esplora la doppia soggettività nel racconto dello scherzo tra clienti abituali in
un piccolo bar gay di città245: Moonwomon approfondisce le asserzioni del potere e della
rappresentanza che le donne omosessuali reclamano nel momento in cui prendono parte e si
!244
!245
!220
scambiano storie di vita246; Read descrive in aggiunta il confort che uomini omosessuali più anziani
trovano nell’osteria gay del vicinato247; Weston descrive infine il cambiamento nel discorso
interpersonale che accompagna la creazione delle ‘famiglie che noi scegliamo’248.
Ad ogni modo, in tutti questi studi, la lingua fornisce la struttura per la rifusione dei parlanti delle
aspettative eteronormativizzate e per la valorizzazione dei parlanti delle loro proprie condizioni
dell’alterità: meno chiaro in questa discussione è il grado a cui i dettagli della forma testuale
attualmente contribuisce all’emergenza del significato queer in un momento testuale o solo
conviene in quel dato momento significati derivanti da fonti queer esterne e testuali.
Sicuramente se a qualsiasi testo può essere data una lettura queer, come Doty dichiara249, e lo studio
di Gaudio delle proprietà tonali nella discorsività di uomini omosessuali sicuramente evidenzia250,
allora la fonte dei messaggi gay devono giacere in ciò che nei termini di Moonwomon è discorsività
‘sociale’ piuttosto che nei discorsi ‘linguistici’: ma questa sistemazione non esige che le forme
linguistiche diventino categoricamente neutrali nella loro rappresentazione del discorso sociale nei
testi particolari.
Studi recenti di conversazione inglese gay hanno sicuramente sottolineato questo punto in una
conversazione di volo tra un passeggero e uno steward della linea di volo aerea251, nelle ‘dykes on
bykes’ che si distinguono dalle ‘ladies of Harley’252, gli uomini che perseguono rapporti sessuali
attraverso centralini telefonici gay253, drag queen che mostrano autonomia di genere nel circuito dei
nightclub254 o transessuali che si salvaguardano a vicenda la loro privacy mentre si parlano in
contesti pubblici255.
William L. Leap nel seguire tali studi inizia con una frase reperita da una conversazione che ha
seguito in una libreria dell’area Dupont Circle a Washington D.C.: la libreria-bar attrae una clientela
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omosessuale, specialmente nei fine settimana, ma la popolarità delle facilitazioni con gli
eterosessuali lo rende difficile da considerarle essere ‘ambiente gay’.
Al parlante A di 42 anni al momento di tale studio viene chiesta la disponibilità di un tavolo per un
gruppo di cinque persone omosessuali ed eterosessuali: il parlante B di 25 anni che è il maitre ed è
stato chiamato a rispondere alle richieste dei posti a tavola da grandi parti per la serata:
l’esempio 1 mostra la trascrizione di L. Leap su carta di quel dialogo
(1) But you people are more fun
1 A: Tavolo per cinque: quanto tempo dobbiamo aspettare?
2 B: Tavolo per cinque [pausa, consulta la lista] circa un’ora.
3 A: Un’ora [si consulta con il gruppo] No, non si può fare. Troppo tempo.
4 B: Provi il Mocha House. Stasera non dovrebbe essere troppo affollato.
5 A: Si, va bene. Possiamo andare lì. Ma voi siete più cool.
6 B: Beh, non saprei [mentre afferma questa frase, scuote la testa, offre una traccia di sorriso,
scema il tono della voce]
7 A: Si, ha ragione. [stabilisce un contatto diretto d’occhi]
8 Forse il Mocha House è più bello, ma a me piacciono ancora i Suoi drink da dessert, quelli
che date qui.
9 B: [senza rompere lo sguardo diretto] Bene, dovrà solo ritornare e riprovarci di nuovo
qualche volta.
!
Non c’è stato niente di strano nella presa di turno del discorso nelle linee di apertura (1-3) di questo
scambio: il cliente chiede sull’per un tavolo grande, il maitre risponde e il cliente declina l’offerta;
anche la linea 4 appare non essere rimarcabile ma c’è più di questo commento che buone relazioni
da cliente.
Si ricordi che il Mocha House è uno dei diversi bar nell’area del Duport Circle, mentre dal
momento che si trova a poca distanza da una libreria, circa dieci minuti di cammino, è dietro
l’angolo da due popolari ristoranti gay della DC e mezzo isolato da due noti bar gay: attrae una
vasta clientela omosessuale, in particolare durante le ore serali della sera e può essere difficile avere
lì un tavolo come al bar della libreria.
Raccomandando che il gruppo vada al Mocha House, il maitre non stava di fatto aiutando il parlante
A e il suo gruppo a ridurre il loro tempo d’attesa: il maitre stava suggerendo che il parlante A e il
suo gruppo sarebbero stati più felici in un ambiente gay-friendly: il parlante A avrebbe potuto
!222
rispondere a questo consiglio in diverse maniere (ignorando in toto il contesto omosessuale,
indicando la sua propria familiarità con il Mocha House e il suo ambiente, obiettando la distanza e
il tempo per arrivarvi).
Ciò che ha fatto (linea 5) è stato spostare la discussione dal Mocha House e di nuovo al locale che
ha iniziato la conversazione: il commento we can go there, but you people are more fun trasferisce
alla libreria le allusioni all’ambiente gay poste nella conversazione dal riferimento del maitre alla
Mocha House.
Se voglio divertirmi, afferma il parlante A, lo posso trovare già qui il divertimento e nel riferirsi alla
libreria e alle sue opportunità gay in termini personalizzati (es: you people) piuttosto che con
qualche forma di deissi di luogo (es: this place), il commento del parlante A sposta radicalmente la
posizione del maitre nel dialogo: piuttosto che essere l’interlocutore informato che propone l’azione
all’interlocutore con cui interagisce il maitre nella linea 5 si fa compartecipante nella proposta e le
sue implementazioni.
La fisicità della presenza del maitre è cambiata in maniera notevole, con queste linee: la sua postura
è cambiata, è rimasto in piedi in maniera meno rigida, si appoggia leggermente sul podio, muove
leggermente la sua testa da un lato, abbassa la sua voce e nasconde a mala pena una traccia di
sorriso.
Questi elementi portano l’autore dello studio a pensare agli stereotipi dell’immagine del movimento
di una ‘civettuola dalla dolce bellezza meridionale che mostra la sua passione al suo corteggiatore
gentiluomo’: dopo aver dato una breve replica (linea 6), il maitre opera una pausa, interrompendo il
ritmo senza pausa della sua presentazione nel precedente scambio e permettendo al parlante A di
assumere il controllo sul prossimo segmento di conversazione.
La replica del parlante A riconosce la manifestazione del maitre in un tono amichevole in due modi:
le sue parole (Hai ragione, forse il Mocha House è più divertente) risponde al punto referenziale del
commento precedente e il suo uso del contatto d’occhio risponde al cambiamento del maitre nella
presentazione fisica.
Ma il commento permette anche al parlante A di riformulare la linea 5 in un modo più impetuoso:
non è più voi ma i vostri drink da dessert che lo attrae al bar della libreria; i drink da dessert
identifica un tipo di rinfresco che conclude sia un pasto sia che agisce come un preludio alle attività
di dopocena non ancora specificati.
Il commento mantiene la presenza del maitre nella conversazione e implica la sua presenza
continuativa negli eventi che devono svolgersi qualsiasi cosa questi eventi possano implicare:
!223
entrambi i livelli di significato realizzano nel prossimo commento del maitre (linea 9) un modo
appropriato di terminare in modo delizioso la conversazione e parafrasando le classiche parole di
Mae West Why doncha’ come up and see me sometime il parlante B indirizza le possibilità erotiche
implicate all’uso del parlante A e al suo tropo dei drink da dessert, ma lui mantiene anche la
giocosità di lingua e di pratica pubblica che si è sviluppata attraverso l’intera conversazione e che è
stata anche condotta in una focalizzazione più chiara dalla linea 5.
Sicuramente un commento come ‘Ma voi siete più divertenti’ non è solo delle conversazioni
omosessuali in lingua inglese e il rimodellamento della struttura della partecipazione che questo
commento inspira può anche essere trovato in altre forme di conversazione di genere (da vedere per
esempio le descrizioni di Goodwin della negoziazione tra bimbi afroamericani per i contesti di
partecipazione nei giochi e nelle attività di narrazione di storie, ma anche la descrizione della
Tannen del significato comunicativo nelle interruzioni nella discorsività dei uomini e delle donne).
Ciononostante riconoscere questi paralleli non cambia il fatto che l’appartenza di questo commento
aveva effetti di significato gay sul resto di questa conversazione: si incoraggia sia i parlanti ad
indirizzare significati gay al centro di una conversazione strutturata obiettivamente e centrata al
servizio tra estranei e ha permesso ad ognuno di loro di iniziare ad esporre ciò che aveva
dissimulato inizialmente le identità di genere.
Ultimo ma non meno importante ha segnalato ad altre persone una ‘presenza gay’ in questo
ambiente apparentemente ‘etero’ che a sua volta ha preso avviso dell’uso gay dell’inglese,
rendendosi capaci di interpretare i loro significati.
!
2.2.2. Altri esempi
Un ricollocamento strategico di una frase ha anche effetti significativi gay nella conversazione del
seguente esempio: come nel caso precedente, la conversazione avveniva in un set orientato al
servizio, questa volta i partecipanti erano due coppie di uomini omosessuali e una donna
eterosessuale e il focus di questa conversazione gira molto intorno alle differenze di genere dei
partecipanti.
William L. Leap si riferisce ad una conversazione che ha avuto con un uomo omosessuale di nome
Paul era uno dei partecipanti in questo dialogo: lui, il suo uomo e un’altra coppia gay sono andati da
Washington D.C. alla periferia della Virginia per cenare in un ristorante gourmet che stava
cominciando ad avere osservazioni critiche dai critici locali di ristoranti; il ristorante è uno delle
!224
diverse attività in un centro commerciale, che contiene anche un negozio di generi alimentari, un
supermercato e una serie di negozi particolari.
Intorno al centro commerciale esiste un quartiere popolato in larga misura da personale militare in
ritiro e lavoratori governativi: si tratta secondo Paul di un luogo improbabile per un ristorante
gourmet ed è sicuramente fuori portata, difficile da localizzare, tanto che descrive la posizione del
locale come ‘dall’altra parte del mondo’; infatti c’è stato bisogno di molto tempo per parcheggiare
l’automobile e altrettanto tempo per ritrovarlo.
Inoltre, nell’entrare scoprono che il loro tavolo non è ancora pronto, tanto che il maitre consiglia di
aspettare nel negozio di alimentari da cui si rifornisce il ristorante stesso: la narrativa di Paul inizia
dal momento in cui lui e i suoi amici entrano nel negozio (esempio 2)
1. il cassiere era un donnone, sulla trentina, che amava
2. parlare (ce ne siamo accorti più tardi) e lo deve aver considerato il suo lavoro
3. salutare clienti che entrano nel negozio perché lei aveva
4. qualcosa da dire ogni volta che qualcuno entrava.
5. Quando quattro di noi sono entrati lei ha detto
6. in tono forte in modo tale che tutti nel negozio la sentissero: Dove
7. sono le mogli?
8. Nessuno rispose. Intendo dire…chi si aspettava un tale tipo di discorso
9. rimarcato da una commerciante in un negozio di vini?
10. Così abbiamo cominciato a vedere gli scaffali e ad ignorare
11. la domanda. Allora lei ha chiesto: ‘Voi uomini le avete lasciate
12. a casa?’ Uno di noi ha risposto in maniera quieta ‘qualcosa del genere’, ma
13. lei non ha sentito tale risposta. Ora gli altri clienti nel negozio stavano
14. guardando l’intera faccenda. Eravamo molto al centro dell’attenzione. Lei
15. ha continuato. ‘Stanno parcheggiando le macchine?’
16. A questo punto ero pronto ad andar via, se non fosse per il fatto che avevamo guidato
17. per circa 25 miglia per cenare qui e tutti avevano fame.
18. D’altronde, perché lasciare che l’invadenza di questa persona distruggesse la nostra serata,
19. no?
20. Così un membro del gruppo si avvicinò alla cassiera e le
21. disse in faccia ‘What you see is what you get’
22. ’. Tutti nel negozio risero, tranne la cassiera,
!225
23. che era per fortuna senza parole.
24. Abbiamo scherzato su questo più tardi nella serata, ma in quel momento io
25. mi sentivo molto strano. Ci stava canzonando? O lei davvero
26. pensava che fossimo 4 ragazzi eterosessuali e le nostre donne erano fuori
27. nel parcheggio? Intendo dire…eravamo le sole persone omosessuali nel
28. negozio; non era come fare shopping nel Dupont Circle. No, niente
29. affatto.
Questa conversazione così come viene raccontata da Paul comporta un uso della lingua che è
alquanto diversa dall’esempio precedente: in questo caso la rimozione persistente della presenza
omosessuale da parte della cassiera in Dove sono le mogli? E un interlocutore omosessuale che
risolve l’insistenza con la risposta da un rigo- ‘Guardi, signorina, ciò che vede è ciò che lei ha’.
È possibile che la cassiera sapesse che questi uomini fossero omosessuali e sperasse di dimostrare
questa consapevolezza costruendo un riferimento ironico all’assenza delle donne, ma è probabile
che la cassiera assumesse che tutti i clienti che sono entrati nel suo negozio fossero (o dovrebbero
essere) eterosessuali e ha trattato questi uomini di conseguenza.
In ogni caso, il risultato è il medesimo: la composizione di genere di questi gruppi di soli uomini
diventa un focus per l’osservazione pubblica e ciò continua ad essere il caso fino all’apparenza del
commento nelle linee 21 e 22: gli sforzi iniziali per distrarre la cassiera da questa linea
interpretativa (il silenzio nelle linee 8 e 9 e la piccola digressione nella linea 12) non erano portatori
di successo.
Ciò di cui c’era bisogno era una replica drammatica e forte, qualcosa che avrebbe terminato la linea
richiedente della cassiera qualsiasi fossero stati i motivi: le linee 21 e 22 avevano questo effetto in
maniera determinante e oltre a lasciare la cassiera senza replica, questa frase sposta il perno della
discussione dal gruppo di uomini omosessuali alla cassiera e la rende il target della risata degli altri
clienti: supera anche i suoi riferimenti ripetitivi a le donne (e l’eterosessualità normalizzata che
questi riferimenti concentrano), non evitando che il messaggio nel commento della cassiera (come
è stato il caso nelle prime due risposte) ma parlando direttamente al suo messaggio di genere.
What you see is what you want infatti affermava che non esistono mogli, quindi da andare oltre
questa linea inquisitoria e ciò fu proprio ciò che accadde come Paul riferì: secondo William L. Leap
alcuni uomini omosessuali non potrebbero mai essere stati soggetti ad una tale umiliazione in un
luogo pubblico, quindi non intende svilire questa esperienza.
!226
Per altri però tali commenti sono parte del ‘contesto dell’oppressione’ che definisce ‘l’identità
moderna dell’essere gay’256 così come la conosciamo nelle nostre vite quotidiane in Occidente: da
qui, essere capaci di tacere a tali commenti diventa un prezioso esercizio linguistico, qualcosa che si
acquisisce deliberatamente e qualcosa che non sempre domina con successo, perché eventi come
questo hanno un valore addizionale come esperienze di insegnamento linguistico e come lezioni
oggetto nella resistenza omosessuale.
!
Durante la settimana di apertura delle lezioni del semestre autunnale nell’università di L. Leap, lo
studioso nota la comparsa di un commento sul divisorio di metallo che separa gli urinatoi dai box
del bagno nel bagno degli uomini vicino al suo ufficio:
!
Il commento era posizionato ad altezza d’occhio e ciò rese le parole osservabili da qualsiasi uomo
che si avvicinasse agli urinatoi e fornissero il provvisorio diversivo visuale per qualsiasi uomo che
facesse uso di questi servizi (ogni figura ricorda il collocamento delle frasi in relazione l’una con
l’altra e mostra come gli autori usino marcatori addizionali per legare i loro commenti ad altri
materiali che erano già stati presentati. I testi in queste figure mantengono anche lo spelling, la
sintassi e altri dettagli formali nel testo originale): quando il commento apparve per la prima volta,
non c’erano altre frasi sul divisorio e nemmeno vi erano altri disegni, diagrammi o ‘peepholes’.
!256
!227
La frase è rimasta sola per due settimane, poi qualcuno ha risposto e presto la parete conteneva
un’intera sequenza di messaggi connessi: tale studio viene dall’interesse nell’osservare come gli
altri interlocutori reagissero al messaggio, interloquendoci.
Piuttosto che prendere l’autore per chiedere informazioni a proposito della sua frase omofoba (o
dare supporto al suo commento omofobo), il secondo interlocutore si allontana del tutto dal
contenuto del messaggio, focalizzando invece ai suoi errori scritti e dedotta mancanza di esercizio
intellettuale:
!
il secondo autore ha ordinato in maniera concisa, una sistemazione a mo’di paragrafo del
commentario in contrasto in maniera marcata con le parole poste in maniera irregolare dal primo
autore.
Ma l’eleganza del profilo visivo del secondo autore non lo preveniva dal diventare a sua volta il
target per un attacco ad personam: questa volta, invece di presentare un lungo commentario, il terzo
autore semplicemente disegnò un cerchio intorno all’errore di spelling tra apostrofi nei commenti
del secondo autore, ha disegnato una linea al margine e ha scritto spelling sbagliato.
Questo commento porta via l’attenzione dal messaggio omofobo del commento iniziale e i prossimi
tre messaggi aggiunti a questo testo emergente, ognuno dei quali appare ad intervalli di una
settimana l’uno dall’altro grossomodo tra metà ottobre e metà novembre 1993, continuarono a fare
lo stesso:
!228
!
Il quarto autore, shat up fucker, sia deliberatamente sia per altri ragioni, duplica il meccanismo del
commento dell’autore iniziale per replicare al terzo autore: comunque, non fa uso degli elementi
omofobi dell’autore e mantiene il secondo autore al centro dello scambio disegnando una freccia
dal suo commento alla frase del secondo autore.
!
!229
Il commento generico del quinto autore happy pills non distrugge quel focus, tanto da apparire
come capace di far luce sull’intero scambio di messaggi e mentre il sesto autore risponde duramente
al tentativo di leggerezza, KILL, disegna freccie per assicurare che anche il commento del secondo
autore è coinvolto nella sua replica: a questo punto nello scambio i prodotti 2-6 sono diventati un
aggregato distinto di commento, perché mostrano una comune posizione (sul lato destro del muro) e
il loro contenuto che si indirizza a temi simili (riferimenti interconnessi a compiti e violenza di
‘standard linguistico’, sottolineato dal network di freccie).
Il messaggio di quella aggregazione cancellava in toto il messaggio omofobo del primo autore: ora
arriva il prodotto 7, il commento da una linea That’s Mr. Faggot to you, punk!
!
Il commento appariva sul lato sinistro del muro subito sopra il prodotto 1 e un po’ distante dai
prodotti 2 e 6: la sua posizione riflette direttamente il suo significato e piuttosto che continuare
l’evasione del messaggio omofobo mantenuto dai prodotti 2-6, il prodotto 7 ritornava al focus della
discussione al suo iniziale sentimento omofobo e poi metteva in secondo piano quel sentimento in
diversi modi.
Per prima cosa, e come era il caso nel prodotto 1, il prodotto 7 è anche una costruzione parenetica
(‘let it happen’) ma il recipiente intenzionale di questo commento è molto più strettamente
focalizzato di quanto è il caso per il prodotto 1: Death to fagot si riferisce ad un pubblico dal finale
aperto, chiunque che ha cura di leggere e rispondere al commento.
!230
La frase That’s Mr. Faggot to you, punk! si indirizza ad un individuo specifico, l’autore del prodotto
1, identificato in questo commento con un marcatore deittico personale (punk) che è meno di
complementare: il prodotto 7 personalizza anche il target della minaccia di morte del prodotto 1
dando al target un’identità più concreta, Mr Faggot, piuttosto che fagots e legando quella identità
all’autore del prodotto 7.
Oltre a personalizzare il riferimento, il prodotto 7 ricolloca il significato dispregiativo di fagot con
un set di associazioni più positive: correggendo lo spelling e mettendo la lettera maiuscola del
termine rinforza il senso di dignità ora presente nella discussione.
Aggiungendo Mr. Di fronte a Faggot richiama alla mente i messaggi di autoasserzione e lotta
affrontati nei film come They Call Me Mr. Tibbs: accenna ad altri paralleli tra le esperienze
afroamericane e quelle gay/lesbo nella società statunitense e consiglia che il rimarcatore omofobo di
punk ha anche significati politici più ampi.
Combinando Mr. con Faggot implica anche un dovere di mostrare rispetto all’individuo
semplicemente per via dello status di questa persona di ‘ricchione’: usare un appeal all’etichetta
verbale appropriata per rispondere ad una minaccia di morte è un momento specialmente delizioso
di resa queer del e nel discorso.
Allo stesso tempo, ricollocando il Death to Faggot del prodotto 1 in una parafrasi stabilitasi in
maniera più precisa, Death to Mr. Faggot, il riferimento del prodotto 7 alla cortesia rende la serietà
del consiglio del prodotto 1 molto difficile da ignorare: l’introduzione del prodotto 7 ebbe un effetto
notevole sulla costruzione di questo testo e il prodotto 7 apparve a metà novembre del 1993, ma
niente fu aggiunto in risposta fino alla fine di gennaio 1994 (in precedenza i commenti erano stati
aggiunti a questo profilo circa una volta a settimana).
La pausa della festa del Ringraziamento (4 giorni alla fine di novembre) e l’intervallo invernale
(due settimane tra il tardo dicembre e i primi di gennaio) non spiegano per William L. Leap questa
rottura: altri commenti in graffiti (estranei alle questioni in questo scambio) continuavano ad
apparire su altri muri sempre del medesimo bagno per tutta la fine del semestre autunnale e durante
il recesso invernale, ma poi nessun nuovo commento è apparso in questo scambio.
I prodotti 8 e 9 sul pickness apparvero nel tardo gennaio: come è accaduto prima, i loro autori
hanno posto questi commenti sul lato destro del muro, non nell’area dei prodotti 1 e 7, e come
prima questi prodotti hanno continuato il dibattito sulla punteggiatura appropriata che i prodotti 2 e
3 avevano cominciato: il prodotto 8 come il prodotto 3 contestava le dichiarazioni del prodotto 2
!231
per scrivere le correzioni linguistiche-grammaticali e il prodotto 9 contestava le dichiarazioni della
correttezza del prodotto 8.
Nemmeno il commento ammette il contenuto positivo gay che il prodotto 7 aveva introdotto in
questo scambio: il prodotto 10 sui Red necks, appariva sul muro a metà febbraio, tanto che
inizialmente, data la sua collocazione, William L. Leap pensava che questo commento fosse
indirizzato al prodotto 1 ma il collocamento delle freccie che legano il prodotto 10 ai prodotti 7, 8 e
9 suggeriva che un altro messaggio fosse qui in questione.
!
L’osservazione quindi di William L. Leap sulla lingua dei graffiti e l’utilizzo di elementi gergali
queer in tale contesto in questa stanza per soli uomini, e qualsiasi altra cosa nel campus, ha mostrato
che questa espressione può essere associata con qualsiasi numero di frasi politiche o di genere sui
muri del bagno e che il suo messaggio è più enfatico (mostra forte supporto o forte
disapprovazione) nel contenuto che esplicitamente referenziali.
Quindi, disegni di peni in erezione sarebbero etichettati come redneck e così anche i commenti che
attaccano le donne, le confraternite del campus, etc…: in questo caso, il prodotto 10 non
ignorerebbe il sentimento omofobo del prodotto 1 ma non necessariamente lo supporterebbe.
Qualsiasi fosse l’intenzione dell’autore, l’ambiguità del suo commento sostiene la cancellatura delle
tematiche gay che i prodotti 8 e 9 ripristinano: due settimane dopo che il prodotto 10 apparve, il
!232
prodotto 11, la principale linea, apparve sul profilo e la posizione di questo commento permette alla
funzione come una didascalia per questo intero profilo.
In un senso ironico, riassume alcune delle questioni che i primi commenti avevano esplorato: per
esempio, il riferimento del prodotto 11 agli uomini bianchi si indirizza ad un tema razziale non
esplorato in precedenza nel testo ma suggerito dallo spelling inglese non standard secondo uno
stereotipo nei prodotti 1 e 4.
La frase fucked in the ass contiene un riferimento implicito all’azione violenta e al godimento della
violenza, che complementa i riferimenti al potere e alla punizione apparsi nei prodotti 1, 4 e 6:
William L. Leap conferma a questo punto non solo che nel prodotto 11 non trova un messaggio
gay-friendly ma l’incapacità quando non impossibilità di riportare le reazioni altrui a tale frase,
sebbene dopo che apparse tale messaggio lo staff dei servizi di costruzione dell’università hanno
ridipinto tutti i muri nel bagno, cancellando l’intero scambio di idee.
!
William L. Leap dichiara di non sapere se l’autore del prodotto 7 fosse un uomo omosessuale nel
momento in cui legge questo contributo a questo scambio di idee, ma spera che lo fosse:
diversamente dagli altri partecipanti, lui rispondeva direttamente e con successo ai commenti
omofobi nel prodotto 1, tanto che L. Leap spera sia un modello di riferimento per altri uomini
omosessuali nelle medesime circostanze di forzata emarginazione socioculturale, quindi anche
linguistica.
L’esperienze di L. Leap conducono a sostenere che gli uomini omosessuali non sono
automaticamente qualificati nella replica verbale e potrebbero non sapere cosa e come dirla quando
ci si ritrova con le pressioni del momento politico: per risolvere questo problema alcuni uomini
omosessuali accumulano un piccolo inventorio di repliche e intingono da quel inventario secondo le
particolarità di ogni occasione.
Le fonti per queste repliche includono il racconto gioioso degli amici a proposito dei loro propri
successi linguistici, frasi orecchiabili dai programmi televisivi o i classici del cinema, colpiscono le
linee dagli scherzi positivamente gay e gli slogan appaiono sulle figurine dei paraurti, t.-shirt e
bottoni: commenti uditi per caso come But you folks are more fun (esempio 1) e la lettura dei
messaggi nei graffiti come il prodotto 7 forniscono materiale addizionale che gli uomini
omosessuali possono includere in questi inventorii.
Nel far questo, l’uomo omosessuale accresce la propria consapevolezza della politica della
costruzione della frase inglese gay, in particolare nel contesto del discorso eterosessuale: lo scambio
!233
di messaggi in questo caso, per esempio, mostra come facilmente le persone trascurano i commenti
omofobi tanto quanto qualsiasi commentario assertivo gay che è dato in risposta.
Tale cancellatura è simile all’assunzione della commessa del secondo caso che tutti i clienti di sesso
biologico maschile nel negozio di alimentari erano uomini eterosessuali e di conseguenza erano
fuori a cena con le loro mogli: come entrambi gli esempi confermano, tale rimozione è in sé
un’altra forma di omofobia ed è difficile per gli uomini omosessuali sostenere una discussione
positiva gay quando i compartecipanti riluttanti anche a riconoscere la presenza di gay riguardante
lo scambio.
Se qualsiasi uomo omosessuale affermasse di essere probabilmente trascurato, allora gli uomini
omosessuali devono puntare a format alternativi per stabilire la presenza omosessuale in tali
situazioni: l’uso del silenzio degli uomini omosessuali nel contesto di un discorso evasivo (come
accaduto nel primo segmento del secondo esempio) è abbastanza comprensibile in tal senso e così è
la popolarità dei ‘freedom chains’ (anelli colorati ad arcobaleno indossati sul collo con catene
d’argento o di pelle) perni di triangoli rosa e t-shirt con messaggi gay.
Il silenzio e l’iconografia indossabile sono forme di pratica gay ‘modi per operare e fare cose’ che
‘appaiono semplicemente come il background oscuro dell’attività sociale’ ma in realtà orienta e
organizza il contenuto dell’esperienza quotidiana, per citare la definizione di Certeau257: i graffiti
gay, sia frasi isolate sia commenti direttamente connessi ai messaggi orientati all’eterosessualità,
sono un’altra forma viabile di pratica gay.
E come nell’uso giudizioso del silenzio o l’indossare roba da gay pride, scrivere graffiti gay
permette agli uomini omosessuali di deporre l’affermazione dal lato della pratica e di creare un
senso di spazio gay nel medio di un luogo altrimenti aperto, senza forma, e per assunto
eterosessuale: tanto non solo che Certeau scrive ‘lo spazio è composto da intersezioni di elementi
mobili…lo spazio si realizza come l’effetto prodotto dalle operazioni che lo orientano, lo situano, lo
temporalizzano e lo rendono funzione in un’unità polivalente di programmi conflittuali o prossimità
contrattuali…in breve lo spazio è un luogo pratico’258, ma anche leggere graffiti gay come ascoltare
il silenzio gay o interpretare le catene della libertà e i messaggi delle t-shirt, permette al lettore di
diventare compartecipe nella costruzione dello spazio gay, qualsiasi sia la sua identità di genere o
orientamento sessuale.
!257
!258
!234
In questo senso, questi esempi fanno un punto importante sulla performatività nel discorso gay in
lingua inglese, che è riguardo il potere di ‘produrre ciò che nomina’, per usare le parole di Judith
Butler259: le discussioni iniziali di Austin di questo topic evidenzia le connessioni tra l’autore e
l’atto performativo.
Per esempio, dicendo ‘I dub thee Sir Gerald of the Green Hand’ in inglese, il sovrano induce il
candidato al cavalierato; affermando ‘Io ora vi dichiaro marito e moglie’, l’officiante conferma il
legame maritale affermato mutualmente dai candidati; la raffigurazione di Sedwick della
performatività queer come ‘una strategia per la produzione di significato ed essere in relazione con
l’influenza vergogna e il tardo fatto correlato dello stigma’260 continua questo trend dal momento
che è l’attore queer che sperimenta la vergogna e converte questi sentimenti nello stigma, quindi
autoemarginazione.
Ne deriva lo studio degli effetti performativi, o ciò che Austin definì la forza perlocutiva, piuttosto
che la costrizione degli atti performativi dei parlanti, che alcune frasi suscitano dagli ascoltatori:
un’analisi centrata sull’ascoltatore parte dai trattamenti di performatività linguistica più ortodossi,
ma così come Sedgwick è interessato dal ‘potenziale interesse che potrebbe anche giacere nelle
speculazioni sulle versioni della performatività…che potrebbe iniziare collocando alcuni tipi
diversi di espressioni nella posizione dell’esemplarità (per esempio costruzioni diverse dalla prima
persona singolare)’, l’interesse che può derivare ora è derivato dall’idea di studiare la perfomatività
come un processo dialogico e multipartitico.
Questo vuol dire che per usare uno degli esempi di Judith Butler, una frase come vergognati ha
l’effetto performativo di imporre la vergogna all’ascoltatore a meno che l’ascoltatore non scelga di
trascurare l’autorità del parlante e ignorare l’impatto potenziale del suo messaggio: allo stesso modo
nel primo esempio il but you people are more fun del parlante A non sarebbe stato nulla di più di
una risposta furba entro la diade della presa di turno se il maitre non avesse voluto girarci intorno
con il commento e reagire ai suoi diversi livelli di significato.
La reazione del maitre stabiliva la validità del commento del parlante A nel momento
conversazionale: se i padroni e lo staff del pub fossero realmente ‘più divertenti’ dei padroni e dello
staff di qualsiasi altro luogo è ora di secondaria importanza, date le comprensioni cocostruite che
tutti i partecipanti stavano cominciando a prendere parte.
!259
!260
!235
Come lo stesso Austin osserva, la performatività di una frase non ha niente a che fare con il suo
valore di verità261: What you see is what you get e That’s Mr Faggot to you, punk! hanno anche
prodotto esattamente ciò che loro nominano in ciascun contesto, in maniera particolare entrambe le
affermazioni affermavano la presenza gay di fronte alla trascuratezza e in sensitività ed entrambe le
frasi incitavano un termine delle espressioni che avevano perpetuato le condizioni di cancellatura
fino a quel momento.
Nel secondo esempio non è possibile provare che il silenzio della commessa segnalava una
consapevolezza che lei si stesse indirizzando a uomini omosessuali o nel terzo esempio che la pausa
di due mesi nel seguirsi del commentario rifletteva l’appoggio di altri uomini delle affermazioni da
rispettare del prodotto 7: ciò che questi esempi mostrano sono pratiche linguistiche e non condizioni
circostanti di verità e il termine della rimozione è proprio come il ‘vero’ in ciascun caso, per cui
come negli esempi di Austin tutto poi ruota per tutt’altre ragioni.
!
2.3 La discorsività delle donne omosessuali
Birch Moonwomon-Baird osserva come la pratica discorsiva lesbica è considerata come un
comportamento marcato ma diventa non marcata rispetto alla pratica discorsiva gay, anche nell’era
di discorsività sociale friendly e ostile sul queer: il comportamento del gergo e della discorsività
lesbica correlata in particolare perde i suoi tratti marcati.
Da qui Moonwomon-Baird si chiede perché la sanzione negativizzante della società dominante
sulla rivelazione lesbica e il suo generale rifiuto a prendere consapevolezza dell’esistenza
dell’omosessualità femminile, una situazione definita ‘invisibilità forzata’, si manifesta in
particolare come qualcosa di ‘inaudibile’: in altre parole, perché le parlanti lesbiche non sono
considerate tali anche dalle parlanti stesse, ovvero perché un gruppo sociale non si ritiene tale.
Potrebbe essere il caso che una quantità di studi attenti alla discorsività lesbica mostrano che alcune
forme fonologiche o altre forme linguistiche hanno una maggiore probabilità di evidenziarsi nella
discorsività lesbica rispetto alla discorsività delle donne eterosessuali, e se questo fosse il caso,
sarebbe secondo Moonwomon-Baird una cosa valida da approfondire.
Moonwomon-Baird ammette di aver avuto un’evoluzione nelle proprie convinzioni, secondo le
quali l’uso linguistico tra donne omosessuali, almeno tra etnicità e classi sociali di donne
omosessuali statunitensi anglofone, è peculiarmente lesbico in quei interlocutori che si assumono la
!261
!236
consapevolezza partecipe riguardo i molti problemi extradiscorsivi che toccano sia il genere che
l’orientamento sessuale: queste aree di sapere informano in parte e sono costituite parzialmente da
discorsi sociali (non confinanti in qualsiasi set di discorsi linguistici situati), come quelli sui diritti
civili, la maternità lesbica, il body piercing e la diga dentale.
Specificando i discorsi sociali che retrocedono la discorsività lesbica si permette la costruzione di
un sapere culturale lesbico, che include il sapere ideologico: questo comporta che almeno le donne
omosessuali si sentano tali, che significa in ordine sociologico, si sentano un gruppo sociale.
L’autentica voce lesbica sarebbe caratterizzata non da peculiarità intonazionali o per la maggior
parte, dall’uso di un lessico speciale ma dall’implicazione, inferenza e presupposizione che rivelano
una posizione del parlante entro i territori di vari discorsi sociali: è l’analisi qualitativa delle
strutture dei discorsi situati lesbici e delle pratiche sociali in cui sono legati che insegna la natura
della lesbicità dell’uso del gergo lesbico.
I tentativi delle donne di rompere qualsiasi delle tre regole che Moonwomon-Biard menziona (non
vincere, non andare controcorrente, non disturbare), sono strategie che riflettono l’identità di genere
o l’aspirazione ad una data identità di genere, orientamento di genere e assunzione del ruolo di
genere: i tentativi falliscono perché tutto lo spazio d’azione è lo spazio di ‘George’, come ricorda
una battuta di una rappresentazione di Cenerentola del 1974 al Woman Rite Theater di Woodstock a
New York.
L’idea è che tutto il territorio è dichiarato e controllato dagli uomini al potere: una donna potrebbe
identificarsi con altre donne e qualche volta aspirare ad essere virile: una strategia è essere una
‘donna eccezionale’, per esempio, per pensare come un uomo, scrivere come un uomo, correre
all’ufficio come un uomo.
La questione dell’orientamento è: chi è al centro dell’attenzione? Una donna potrebbe identificarsi
con le donne ed essere ancora orientata verso gli uomini: questo è infatti ciò che ci si aspetta dalle
donne; una seconda strategia è essere orientata all’uomo, per esempio, per pacificare un marito
piuttosto che affiggere una figlia.
Questa strategia comporta rendere gli interessi propri di qualcuno e gli interessi delle altre donne di
bassa priorità rispetto agli interessi degli uomini, nelle speranze di essere trattata benevolmente:
questa è sottomissione nella misura in cui una donna potrebbe assumere un ruolo che è definito
dalla dicotomia del comportamento di genere, vale a dire un ruolo verso un polo di quella dicotomia
o da qualche parte a metà strada tra i due poli.
!237
Una terza strategia è essere una donna senza ruolo di genere, per esempio, essere appassionata di
automobili e allo stesso tempo prendersi cura della prole: questa è la strategia della fuga possibile,
quella che nelle parole di Moonwomon-Baird porta ‘il rifugiato a correre verso il confine’, perché
comporta per le donne il punto massimo di libertà, sebbene sempre nell’ambito dello ‘spazio di
George’.
Non ci sarebbe fuga, sebbene ci potrebbero essere delle pause nella psiche di qualcuno o
nell’immediato circolo sociale: nel mondo tutti i comportamenti sono responsabilità di
interpretazione come nella conformità con o provocazione dei ruoli di genere iscritti.
Il comportamento linguistico è interpretato in questi termini, di conseguenza: le persone non
dominanti devono imparare ed essere bravi a controllare più di un codice: nel code switching le
donne giocano a favore o contro le aspettative per l’identificazione di genere, orientamento sessuale
e ruolo da giocare e anche la mimica maschile delle donne si avvantaggia dei valori estremi per
qualche caratteristica stereo tipizzata.
Esempi sono l’uso di cupi o smielati: la mimica è intesa essere la resa di una presenza femminile,
tanto che un uomo biologicamente o non biologicamente inteso non viene semplicemente
considerato una persona dalla voce acuta, qualora tale caratteristica fosse presente.
Il comportamento linguistico delle donne in Occidente è sia marcato che non marcato, in altre
parole non è osservato bene da uomini e donne: ciò che facciamo è largamente non notificato a
causa dell’interferenza dalle nozioni di ciò che attuiamo e spesso il nostro comportamento è perso
tanto da dar luogo all’interpretazione di caricatura.
Quando viene notificato, il comportamento viene giudicato inferiore se è differente dal
comportamento maschile, sia aberrante sia insolente, se è come il comportamento maschile: si
potrebbe sostenere che l’uso femminile della lingua non sia marcata, ma ad una prospettiva più
ampia è marcata in contrasto con l’uso non marcato maschile della lingua.
Qui esiste un paradigma in cui la discorsività attuale e immaginata femminile è un contrasto
strutturale alla discorsività maschile ‘ordinaria’: la struttura del paradigma dipende quindi
dall’andocentrismo e da un punto di vista endocentrico la discorsività femminile è una variante
condizionata, lì dove la discorsività maschile è la variante del ‘dappertutto’, quella basica.
Ne consegue che il comportamento delle donne omosessuali, linguistico e altrui, è particolarmente
marcato e particolarmente non marcato: è caricaturato, così non osservato in larga misura, e quando
osservato, svalutato, tanto che da un punto di vista omofobo le donne omosessuali non sono viste
semplicemente come estranee, ma come del tutto inesistenti.
!238
Per Birch Moonwomon-Baird, il peggio che si possa fare è non reagire a tale situazione come donne
e come lesbiche: se come afferma il comportamento linguistico è caricaturato, è chiaramento molto
meno vero che il comportamento linguistico maschile omosessuale è caricaturato e anche il
comportamento non linguistico lesbico è stereotipato molto di più del comportamento linguistico.
La scarsa rappresentazione delle donne omosessuali deriverebbe per Birch Moonwomon-Baird
dallo sviluppo degli stereotipi in quest’area che è contrastato da ciò che Birch Moonwomon-Baird
chiama ‘invisibilità forzata’, ovvero un aspetto dell’oppresione degli uomini omosessuali, l’essere
fortemente scoraggiati dal rendersi visibili come omosessuali: questa pressione naturalmente si fa
sentire in particolare contro le donne, che sono già umani periferici nella normatività.
L’espressione ‘invisibilità forzata’ coprirebbe dall’invisibilità all’inaudibilità, etc…, ovvero lo stato
del non essere percepito, in cui non vi è consapevolezza: l’inaudibilità è presente, nonostante per
essere percepite come donne omosessuali, bisognerebbe avere riconosciuto una discorsività da
donna omosessuale.
Si parte qui dalla considerazione che per comunità si intenda sempre una comunità discorsiva, per
cui esistono in dati contesti spazio-temporali innegabili comunità lesbiche: in altre situazioni appare
esserci solo qualche donna omosessuale, con network limitati e fragili, e anche quando una
comunità lesbica esiste chiaramente, non tutte le donne omosessuali nelle sue prossimità vi
aderiscono, per via della poliedricità con cui si conduce un’esistenza umana.
A questo punto, si rilevano come caratteristiche onnipresenti la diversità e l’isolamento: i bisogni
comunicativi delle donne omosessuali quali donne omosessuali sono bisogni di gruppo di cui il
bisogno di condividere e dividere esperienze, creare ed esprimere valori, scambiarsi e verificare
informazioni pertinenti ai membri del gruppo, concordare assunti; poi ci sono anche bisogni di
gruppo particolari da prendersene cura all’interno della comunità lesbica e in relazione con gli altri.
Queste due situazioni richiederanno a volte comportamenti diversi: le donne omosessuali
mantengono in primis legami sessuali e d’amicizia che sono permanentemente fuori dalle sanzioni
positive sul matrimonio e la famiglia.
Ciò significa che c’è il bisogno di rassicurarsi l’un l’altra e rafforzare queste relazioni: dall’altro
canto i legami più importanti spesso devono essere mantenuti segreti nelle situazioni in cui si
spende la maggior parte delle proprie vite quotidiane, come nel lavoro, e nei circoli per
eterosessuali servono a rafforzare e comprendono alleanze di affettività come la famiglia.
Le donne omosessuali fanno tutto questo come membri della casta di genere che è marcata
[+periferica] e [-potente]: è una posizione diversa rispetto a quella di uomini omosessuali, tanto che
!239
l’isolamento e altro rendono la solidarietà difficile da mantenere e rendono qualcosa tanto semplice
quanto lo stabilirsi di comuni marcatori linguistici di identità difficili da realizzare e pericolosi da
manifestare.
Come si è iniziato tale studio sull’uso linguistico lesbico, Birch Moonwomon-Baird ha mantenuto a
mente le strategie femminili nel gioco del relazionarsi all’identità di genere, l’orientamento e il
ruolo: sempre Moonwomon-Baird ha avuto il bisogno di notare ciò che dalle donne ci si aspetta
come comportamento verbale e se ne esiste che ci si aspetti da donne omosessuali.
È da qui che si è arrivati a sostenere che l’invisibilità forzata lavori contro facili discernimenti della
discorsività lesbica in contrasto alla discorsività delle donne eterosessuali: Moonwomon-Baird
specula che un approccio descrittivo e passivo alle donne e allo studio della lingua continuerà a
rivelare una gamma grande nel comportamento linguistico delle donne.
Si suppone che il comportamento delle donne comprenda la gamma di comportamenti linguistici
umani: dopotutto, esistono più utenti linguistici donne che utenti linguistici uomini e il ruolo delle
donne nell’acquisizione linguistica del bimbo/a è molto importante.
Donne di diverse classi ed etnie devono essere capaci di cambiare codice di genere in modi diversi:
per questo motivo si considera in questo studio la discorsività delle donne ordinaria.
Supporre un centro, caratterizzato da determinati tratti, può essere trovato per la discorsività delle
donne di una data classe in un dato contesto geografico: a causa dell’invisibilità forzata, in parte, ci
si aspetta che la discorsività lesbica devi da questo centro verso l’estremità di un uso linguistico
maschile molto meno della discorsività degli uomini omosessuali che devia dall’estremità maschile
verso il centro femminile o verso un’area separata caricaturale.
A causa dei bisogni comunicativi di gruppo, comunque, ci si aspetta che i paragoni delle
conversazioni delle donne omosessuali e quelle delle donne eterosessuali, delle donne inoltre
socialmente simili, mostri le differenze nel discorso che includono almeno: i soggetti discussi e
allusi, il lessico che si presume conoscere dai vari tipi di esperienza femminile, i modelli
intonazionali che funzionano per mantenere il turno conversazionale e il grado di tolleranza per il
silenzio.
Ci si aspetta, inoltre, che le differenze tra l’uso linguistico delle donne eterosessuali e quello delle
donne omosessuali, se interpretati in termini di strategie di vincita, anche di rottura, o di uscita dal
gioco, modelleranno questo modo:
•
su tanto spesso quanto le donne eterosessuali, le donne omosessuali cercano di vincere;
!240
•
meno spesso delle donne eterosessuali, le donne omosessuali tentano anche di rompere gli
schemi;
•
più spesso delle donne eterosessuali le donne omosessuali cercano di uscire fuori dagli
schemi.
Sebbene in maniera determinante, la maggior parte delle donne cerca di rompere anche la maggior
parte del tempo: tanto le donne omosessuali non si rendono percepite come donne omosessuali, si
cerca di andare oltre e si coopera nel rafforzamento dell’inaudibilità.
Per questo motivo, è dura a sentirsi donne omosessuali.
!
Nell’autunno del 1983 Birch Moonwomon-Baird condusse l’esperimento 1 per testare una
correlazione tra l’opinione che un parlante era una donna omosessuale e l’opinione che un parlante
avesse alcune altre caratteristiche sociali o avesse alcuni tratti di voce o entrambi.
Birch Moonwomon-Baird non era interessata alla precisione ma alle relazioni tra le percezioni degli
uditori: si studiava lo stereotipo e si cercava di contrastare l’inaudibilità forzata: ci si aspetta che gli
ascoltatori quando approcciati associno i tratti discorsivi marcando certi tipi di elementi altrui con le
donne omosessuali.
L’ipotesi si divide in due parti: se la domanda sul lesbismo viene introdotta, gli ascoltatori avranno
il desiderio di chiamare alcuni parlanti donne lesbiche e la selezione per ‘lesbica’ si correlerà
positivamente con la selezione per essere membri in altre categorie sociali poco valutate e con la
selezione per le caratteristiche della voce associate con la discorsività non femminile.
Sono stati usati allungamenti da 30 secondi della discorsività registrata di sei donne eterosessuali e
sei donne omosessuali, segmenti presi da allungamenti molto più lunghi di discorsività naturale
registrati in contesti di relax: queste donne erano tutte bianche, parlanti nativi di American English,
comprendenti sia individui del proletariato che classe media di tutte le età e passati educativi che
crebbero in diverse parti degli Stati Uniti.
Tre erano ebree e i 21 ascoltatori erano studenti da più bassa divisione dei corsi di scienze sociali
alla U.C. Berkeley: l’età media dell’ascoltatore era di 23 anni e tutti erano parlanti nativi di
American English.
Gli ascoltatori ascoltavano i segmenti registrati e rispondevano ad un questionario designato per
sollecitare giudizi sulle identità sociali dei parlanti e le caratteristiche della voce: le caratteristiche
sociali erano di classe, età, passati educativi, regione di provenienza, etnicità (in un senso limitato) e
orientamento sessuale.
!241
La questione dell’etnicità dette agli ascoltatori l’opzione di rispondere ‘ebreo’ o ‘non ebreo’, tanto
che la domanda è stata posta sollecitando giudizi sull’orientamento sessuale a metà questionario,
legandolo in una matrice di altre domande sulle caratteristiche sociali e di voce: si è cercato di
rendere facile agli ascoltatori giudicare una parlante come donna omosessuale e i tratti di voce su
cui si è indagato, erano il tasso di discorsività, il tono, l’ampiezza e il vigore.
Nell’analizzare i risultati si è dato peso alle correlazioni tra le selezioni per le donne omosessuali e
le selezioni per altri tratti, constatando che la precisione giocava una parte molto piccola nel
determinare i risultati: delle selezioni fatte per le donne omosessuali, circa la metà fu corretta, per
cui l’analisi dei risultati rivelò tre cose
1. gli ascoltatori volevano selezionare alcuni tratti più degli altri (per esempio, gli ascoltatori
spesso, il 53,6% del tempo, sceglievano la ‘classe media’ piuttosto che la ‘classe benestante’
o la ‘classe lavoratrice’ e spesso, il 30,9% del tempo, sceglievano ‘cresciuti nel West’
piuttosto che qualsiasi delle altre cinque scelte regionali.
%
DEI (
1
) (2) DONNA (
3
) (
4
) GRADO
P A R L A N T I TRATTO OMOSESSUAL ETEROSESSUAL G R A D O (
SELEZIONATI
E E A LT R I E
PER
TRATTI
E
TRATTI
A LT R I (
2
DEVIATI DA (1)
CLASSE
LAVORATRICE
28,2
26,7
28,4
1,5
0,2
MEDIA
53,6
56,7
53,2
3,1
0,4
ALTA
18,2
16,7
18,1
1,5
0,1
SOTTO I 40
73,0
73,3
73,0
0,3
0
OLTRE I 40
26,9
27
26,1
0,1
0,8
40,0
45,0
4,4
0,6
ETA’
L I V E L L O
D’ISTRUZION
E
LICEALE
!242
)
) DEVIATI
DA (1)
T I T O L O 44,4
3
N E S S U N 55,2
56,6
54,9
1,4
0,3
TITOLO
REGIONE
SE
7,1
0
8,1
7,1
1,0
MA
20,2
16,6
20,7
3,6
0,5
NE
9,9
10,0
9,9
0,1
0
MW
19,4
26,6
18,5
7,2
0,9
SW
12,3
3,3
13,5
9,0
1,2
W
30,9
43,3
29,3
12,4
1,6
EBREO
12,7
23,3
11,3
10,6
1,4
NON EBREO
87,3
76,6
88,7
10,7
1,4
VELOCE
30,2
23,3
31,0
6,9
0,8
ORDINARIA
55,5
40,0
57,6
15,5
2,1
LENTA
14,3
36,6
11,5
22,3
2,8
BASSO
30,5
26,6
31,1
6,9
0,8
MEDIO
63,5
63,3
63,5
0,2
0
ALTO
5,9
10,0
5,4
0,5
0,9
ALTA
17,7
13,3
18,5
4,5
0,7
MODERATA
82,3
70,0
69,4
0,6
0
GENTILE
24,2
36,6
22,5
12,4
1,7
ORDINARIA
62,7
46,6
64,9
16,1
2,2
DURA
13,0
16,6
12,6
3,6
0,4
ETNICITA’
VELOCITA’
TONO
VIGOROSITA’
FORZA
DEVIAZIONE DELLA MEDIA DI (2) DA (1): 5,63
DEVIAZIONE DELLA MEDIA DI (3) DA (1): 0,08
DIFFERENZA TRA LE MEDIE: 5,55
!243
!
Da qui risulta la seguente tabella, in cui i giovani studenti della Berkeley tendono ad ascoltare gli
studenti come giovani, di classe media, eterosessuali e abitanti della West Coast:
Lesbica
23,8
Alto
17,7
Ebreo
25,4
Leggero
38,1
Sud-est
42,8
Duro
39,0
Oltre i 40
54,0
Lento
42,9
Classe alta
54,7
Forte
53,4
New England
59,5
Gentile
72,6
Sud-ovest
73,8
Veloce
90,6
Classe lavoratrice
84,5
Basso
91,5
Diploma
88,8
Velocità ordinaria
166,6
Nessun titolo
110,2
Forza ordinaria
188,8
Midwest
116,4
Gamma media
190,5
Middle Atlantic
121,4
Moderato (rumorosità) 208,2
Sotto i 40
146,0
Classe media
160,7
Non ebreo
174,6
Eterosessuale
176,1
Ovest
185,7
!
2. sebbene alcuna singola relazione tra la selezione per le donne omosessuali e la selezione per
altri tratti marcati è molto forte, complessivamente esiste una più grande correlazione tra la
selezione per ‘lesbica’ e alcune delle altre caratteristiche che per ‘eterosessuale’ e queste
altre caratteristiche. La prima tabella mostra che gli ascoltatori favorivano la selezione per
‘lesbica’ e ‘cresciuti in Occidente’, per esempio; sembra che loro pensino che le donne
omosessuali non possano parlare con accenti del Sud, dato che non hanno mai conosciuto né
parlanti del Sud né donne omosessuali dichiarate.
3. esiste una più forte correlazione tra la selezione per ‘lesbica’ e la selezione per ‘ebreo’ che
qualsiasi altro ambito. ‘lesbica’ e ‘ebreo’ sono i più tratti più marcati nella scala di
marcatezza. Questo vuol dire che gli ascoltatori erano estremamente riluttanti a scegliere tra:
!244
•
c’erano 32 selezioni per ebrei (per 252 possibili) e 30 selezioni (per 252 possibili)
per lesbica. Dal momento che esistevano scelte meno popolari, le chance contro il
loro essere messe insieme era molto alto. Nonostante ciò, erano selezionati insieme
circa un quarto del tempo (23,7% del tempo).
La scala di marcatezza mostra solo la selezione relativa che va a favore: non indica che meno tratti
selezionati erano meno valutati; per esempio la ‘classe alta’ è marcata e questo vuol dire che è
selezionato poco.
Comunque appare ragionevole interpretare la grande riluttanza sulla parte degli ascoltatori per
scegliere o ‘lesbica’ o ‘ebreo’, i due tratti che sono le scelte più marcate per le loro rispettive
categorie e le più marcate di tutte le selezioni sociali, come un’indicazione che gli ascoltatori
valutassero un po’ questi tratti, perché sono stigmatizzati: la prima parte dell’ipotesi non era
fortemente validata e gli ascoltatori erano riluttanti a chiamare ‘lesbiche’ le parlanti di sesso
biologico femminile.
Lo sforzo sperimentale a sottovalutare l’inaudibilità forzata non era riuscito: la seconda parte
dell’ipotesi era validata in maniera più decisiva, in particolare da quando si è trovato una
correlazione positiva tra la selezione per lesbica e la selezione per ebreo che non è spiegato da
giudizi accurati e non si correla con la selezione per le caratteristiche di voce non femminili come
forte, duro o bassa tonalità (o alta tonalità, da cui la connotazione di ‘stridulo’).
Ciò che non si riflette direttamente nelle risposte al questionario suggeriva la selezione in simbiosi
di ebreo e lesbica, uno studio che proibisce le ragioni per queste selezioni correlate sarebbe una
buona idea e l’esperimento pilota fu condotto su una scala troppo piccola per i risultati da essere
statisticamente significativi: lo studio dimostra comunque che l’invisibilità forzata è dura da
contrastare.
È possibile che la gioventù degli ascoltatori e per questo motivo la mancanza di esposizione per
differenziare gruppi di persone, era un fattore qui, che assume che gli ascoltatori fossero per la
maggior parte eterosessuali: probabilmente questi ascoltatori erano meno disposti di quanto sarebbe
stato qualcun altro per decidere se stavano ascoltando delle donne omosessuali.
Oppure potrebbe essere che l’aspettativa o la prescrizione dell’eterosessualità è anche più forte di
quanto si possa pensare: non esiste alcuna mancanza nel mondo dello stereotipo generale delle
donne omosessuali, ma l’elicitazione sperimentale degli stereotipi per la discorsività lesbica
elicitavano del stereotipo e più evitamento.
!245
Il vero problema sarebbe a questo punto il non voler prendere atto della presenza dell’omosessualità
femminile: più di un terzo dei commenti scritti sui retri dei questionari concerne la difficoltà di fare
la selezione di una domanda di un orientamento sessuale per donne omosessuali.
Un commento infatti recita: ‘E’ dura determinare le donne omosessuali e l’omosessualità
femminile. Le donne omosessuali potrebbero abbassare le loro voci’.
Questo commento mostra che l’ascoltatore aveva dell’idea di ciò che le donne omosessuali
potrebbero essere e l’ascoltatore non voleva comunque fare una decisione: la selezione per le donne
omosessuali sarebbe prendere consapevolezza che ‘lesbica’ non è un contenuto vuoto.
La categoria difettosa che è quella non marcata, è ‘eterosessuale’: l’ascoltatore era intenzionato a
‘determinare per’ l’eterosessualità e alcun ascoltatore lamentatosi della classe, età o livello istruttivo
era duro da determinare da 30 secondi di discorso.
L’orientamento sessuale era più importuno e il perché va ritrovato nel fatto che scegliere la ‘scelta
deviante’ nella categoria è andare contro l’invisibilità forzata: è evidente che il commento seguente
quindi ‘Io fondamentalmente non posso dire se un parlante sia etero o omo, ebreo o non ebreo. Lo
segno solo se potrebbe essere possibilmente’ è in sé un commento di marcatezza.
!
2.3.1. Uno studio sull’intonazione delle donne
Ciò che è, è spesso una confezione più grande di ciò che una persona è intenzionata a immaginare
di poter essere: lo studio di Moonwomon-Baird prosegue in come le donne omosessuali ed
eterosessuali si parlano tra di loro.
Lo studio in questione si rifà ad uno studio comparativo, di modeste dimensione ed esplorativo
degli stili di direzione conversazionali di donne omosessuali ed eterosessuali, che focalizzano
sull’intonazione: il punto di riferimento resta ovviamente la prospettiva teorica in sette punti di
McConnell-Ginet sulle differenze del sesso nell’intonazione.
Si credeva che ‘l’intonazione…potrebbe provarsi essere l’espressione linguistica principale
nell’American English della (relativa) femminilità e mascolinità’262: in altre parole i sette punti di
McConnell-Ginet ci riferiscono che le melodie discorsive imparate presto e inconsciamente,
includono modelli che la comunità discorsiva associa con la discorsività femminile, così che questi
schemi intonazionali hanno significato sociale e possono essere sfruttati. Sono spunti al sesso del
parlante, come segue nello specifico:
!262
!246
1. le melodie discorsive (tonalità e ampiezza) sono gli spunti primari del sesso del parlante
nella comunicazione orale,
2. la comunità discorsiva associa alcuni schemi con la discorsività delle donne,
3. certe caratteristiche globali nell’intonazione si correlano con il sesso, in maniera tale da
presentarsi come femminile o come maschile, da cui una persona si sposta verso valori
estremi per queste caratteristiche,
4. una cultura ritiene i comportamenti istruiti androgeni e quindi considera le differenze entro
questi comportamenti essere biologicamente determinati,
5. le abitudini intonazionali sono stabiliti precocemente e senza considerazione conscia delle
opzioni,
6. le consuetudini intonazionali femminili potrebbero essere strategie usate dai membri di un
gruppo non dominante per attirare e mantenere l’attenzione di coloro che non devono
ascoltarli,
7. le donne e gli uomini useranno schemi tipicamente diversi per situazioni equivalenti perché
hanno strategie diverse per un’azione discorsiva.
I valori estremi delle loro caratteristiche possono essere target nella femminilità e mascolinità
mostrate.
Il loro uso comporta strategie di azione discorsiva per cui una comprensione dei comportamenti di
dominanza e di sottomissione è rilevante: McConnell-Ginet inoltre consiglia di esaminare il
comportamento delle donne e degli uomini ‘in situazioni comunicative simili’.
L’impostazione dello studio punta a compare donne eterosessuali con donne omosessuali, per
rispondere alla domanda di cosa sia una situazione comunicativa simile: i partecipanti in parte
definiscono una situazione, sebbene non vi aderiscono in maniera semplice.
La domanda qui che si pone è come i conversanti pensano di sé stessi e dell’un l’altro in termini
generici, per arrivare a dimostrare che nell’insieme le donne eterosessuali si comportano un po’
diversamente dalle donne omosessuali e viceversa in orientamento sessuale, identità di genere e
ruolo sessuale: nello specifico è da vedere se la differenza si insinui nelle strategie d’azione
discorsiva.
Si sono registrate le conversazioni di due coppie di donne, la prima è una coppia omosessuale, J e
G, e la seconda una coppia eterosessuale, H e S: per ciascuna coppia le donne presenti si conoscono
e sono state selezionate per circa 2 minuti e trenta secondi delle conversazioni di ciascuna coppia
per analisi.
!247
Le stampe di Oscillomink dei quattro scambi esemplari mostravano profili in cui si è imposta una
stratigrafia artificiale: ciascun livello misurava una profondità di 60 Hz e si è visto alla direzione del
tono, ripidezza delle ascese e discese, altezza dei picchi, posizione dell’espressione dei picchi, punti
bassi e scivolate263.
Si è visto alla direzione delle conversazioni e si è comparato gli schei entro e tra diadi: un
esperimento condotto da Elizabeth Udall svelava diverse dimensioni dei significati salienti non
referenziali per gli ascoltatori nei contorni di tono, per esempio gentile/non gentile, sottomesso/
autoritario e forte/debole sentimento264: questi sono associati dagli informanti entro certi tratti di
contorno, per cui gentile e remissivo con crescite terminali, forte sentimento con profonda gamma
tonale e cambio in direzione di contorno.
Delle donne si sostiene che parlino più gentilmente degli uomini e delle donne vien sostenuto che
essere sottomesse di natura o per condizionamento: la discorsività femminile viene considerata
essere caratterizzata dall’uso frequente della frase o crescite finali di frase.
Delle donne inoltre si sostiene che siano più emotive o emozionalmente espressive degli uomini: la
discorsività delle donne è marcata presumibilmente dalla gamma tonale più grande di quella
maschile e da ripide scivolate veloci.
Ruth Brend dichiara che le donne e gli uomini usano ed evitano dati profili: nell’American English
per esempio le donne usano e gli uomini evitano
1. alti livelli di tono nella loro gamma e gamma più profonda in generale,
2. estremità diverse da quelli caduti,
3. ascese incomplete o di domanda che sono altro rispetto a scivolate leggere
4. e grandi sviolate sui monosillabi.
Dall’esame dell’intonazione delle coppie registrate si assume che le donne esibiscono un
comportamento di ruolo di genere l’un con l’altra: ci si è chiesto se lo schema dei toni potesse dirci
qualcosa riguardo ad un parlare diverso tra donne omosessuali e donne eterosessuali e ne è derivato
1. C’è una grande quantità di variazione individuale
2. esiste anche un suggestivo profilo con J e G su una prospettiva e H e S su un altro
Il comportamento di H e S convalida le dichiarazioni di Brend meglio del comportamento J-G,
mentre H-S sono appassionate dell’uso dei loro livelli di toni più alti, ovvero usano una gamma
!263
!264
!248
intonazionale più alta di J-G e S usa particolarmente scivolate ripide: il peso dei media delle sillabe
dal tono massimo per J e G è più basso che per H e S.
P A R PRO G A PRO SIGNI D I F F D I F F I N I Z I TERMI P U N U M N U M
L A N F I L MM F I L FICAT EREN EREN A Z I O NAZIO N T E R O E R O
TE
O
A
O
O
ZA
ZA
NE
NE
E
D
I D
I
E S P R SCIV
ESSIO O L A
J
G
H
S
1,5
2,0
5,0
3,1
1,7
1,9
4,8
3,0
1,8
2,9
5,0
3,4
1,8
2,3
5,0
3,8
NI
TE
3,3
2,5
3,5
1,0
2,8
2,1
3,1
26
6,0
3,3
2,5
3,1
1,1
2,7
2,2
3,1
38
14
3,6
2,8
3,2
1,2
2,1
2,4
3,8
31
5
3,4
3,1
3,2
1,4
3,3
2,6
3,8
45
10
!
H-S hanno gamme più alte di J-G, che in sé non è importante, ma li esplorano di più: appaiono
agiati negli alti livelli tonali nelle loro gamme.
Anche H-S usano gamma più grande complessivamente: J ha le gamme di tono più basse e vicine,
mentre anche G ha una gamma stretta e dei quattro parlanti J ha il tono più livellato e S ha il più
ondulato.
La gamma di J ammonta a qualcosa di circa 60 Hz e quella di S ammonta a circa 90 Hz: sia G che
H fanno uso di scivolate sostanziali e la ripidezza delle scivolate di S è veramente impressionante:
nell’insieme tutte e quattro le donne hanno scemato i profili.
Se l’una non chiede nulla e l’altra ha finito di parlare, ciascun parlante evita le estremità che sono
altre rispetto alle scivolate: il profilo di J poi scivola il più lontano possibile nonostante l’uniformità
del suo schema.
È interessante notare che mentre tutti e quattro i parlanti useranno rialzi ‘non completi’ per
mantenere il turno conversazionale, J lo fa di meno e S lo fa di più, con H che è più prossima a S.:
H e S si comportano di più come ‘donne’ nei termini di Brend: la domanda che resta qui aperta
!249
punta a sapere quale uso delle donne dell’intonazione, che comunque si manifesta, si sta compiendo
in varie situazioni.
McConnell-Ginet enfatizza l’importanza della strategia discorsiva, strategia che dipende dai bisogni
situazionali, spiegazioni comunicative in generale e identità di genere interiorizzata e assunzione
del ruolo: da qui si evince non solo che gli individui differiscono in quanto a strategie ma che
alcune differenze tra le coppie potrebbe avere a che fare con aspettative comunicative diverse sulle
cose come le negozionazioni di turno.
Aspettative diverse sul turno di parlare rifletterebbe diverse assunzioni di ruolo: tutto ruota intorno
al fatto che anche ora che donne omosessuali in gran numero hanno insistito nella decade passata e
molte si sono rese visibili, la presenza lesbica può essere rifiutata la consapevolezza.
Questo non vuol dire gli ascoltatori non hanno aspettative su cosa fanno le donne omosessuali, ma il
tutto resta estremamente vago: nelle sue proposte sulle intonazioni femminili, da qui, Brend usa
l’intonazione stereotipata delle donne come un punto di partenza e si chiede come gli uomini si
siano spostati allontanandosene da questo punto.
Sicuramente, non si chiede quante donne attualmente esibiscono il comportamento da sé, ma le
donne eterosessuali confermano la regola anche nello studio di Moonwomon-Baird, sebbene si è
trovato una gamma di comportamenti peculiari.
McConnell-Ginet non tratta solo con il comportamento ma anche con l’intento: vede l’importanza
della strategia in una situazione comunicativa, un’ipotesi che punterebbe a partire da uno studio
ampiamente più comparativo, come la conversazione di donne eterosessuali ed omosessuali tratta
l’uso degli schemi diversi di intonazione per dirigere differentemente la conversazione medesima.
!
2.4 Discorsività pubblica sul queer
Dal momento che si è depenalizzato l’atto omosessuale tra uomini nel privato, nel caso del Regno
Unito dal 1967, la sessualità tra persone dello stesso sesso e lo stile di vita gay hanno portato molto
oltre l’annullamento del crimine e il diritto civile: riforme discriminatorie e affermazioni pubbliche
attinenti sono state espresse in un discorso che trasmette e mantiene attitudini omofobe.
Uomini e donne omosessuali inglesi non hanno tardato a realizzare che il discorso pubblico, che
include la lingua del diritto e le affermazioni dei politici, dei giornalisti, educatori, ufficiali di
polizia e uomini di chiesa, ha un potente effetto ideologico: la definizione di Gunther Kress è utile
qui per capire gli effetti dell’ideologia, che rifletterebbero ‘l’imposizione di una priorità e un set
!250
sistematicamente organizzato di valori sulla natura e sugli oggetti di altre culture, come se fossero
anche natura’265.
Lo studio di Elizabeth Morrish dunque punta a tracciare le strutture ideologiche rappresentate
nell’attualità e nella recente pratica discorsiva: gli strumenti dell’analisi sono forniti dalla
‘linguistica critica’ e basati su un contesto suggerito da Norman Fairclough266.
Il discorso può essere considerato in questo contesto come un costrutto di molte sfaccettature, che
includono il tema, l’interdiscorsività e le relazioni intertestuali, presupposizioni, transitività,
modalità, modalità e scelta lessicale (tutte rivelate nel testo e che contribuiscono ad un impatto
ideologico): nel caso della discorsività pubblica su uomini e donne omosessuali, esiste un chiaro
effetto cumulativo che conduce ad un’atmosfera in cui l’omosessualità è ritenuta ‘innaturale’,
capace di minacciare la cultura dominante, in cui gli atti omosessuali sono tenuti ad essere
giustificati e nell’interesse del ‘pubblico generale’.
Il lavoro di Michel Foucault è stato altamente influente nello sviluppo di questo approccio al
discorso: ‘la discorsività’, nel senso in cui Foucault la individua, va oltre il riflesso di una realtà
sociale.
La forza di questo lavoro è che Foucault mostra come i discorsi plasmano e mantengono le
percezioni prevalenti della realtà e i punti di vista dominanti: l’analisi del discorso, allora, è
essenzialmente attinente ad un’analisi del potere e dell’ideologia in una società e invece di
un’analisi lineare delle frasi o conversazioni, Foucault insiste sull’analisi delle ‘formazioni
discorsive’, o un tipo di ricerca geneaologica nel perché in un dato momento della Storia, una
gamma di frasi su un particolare argomento è più probabilmente che accada rispetto ad un'altra.
Le persone vengono posizionate come ‘soggetti’ entro una pratica discorsiva, un corollario del
quale è ciò che il discorso modella non solo ideologicamente ma anche come identità e senso del sé.
Un altro concetto importante dell’analista critico della discorsività è quello dell’egemonia: Barry
Smart offre questa definizione, dopo l’analisi di Foucault della formulazione di Gramsci267.
‘L’egemonia contribuisce o costituisce una forma di coesione sociale non attraverso la forza o la
coercizione e neanche necessariamente attraverso il consenso, ma effettivamente la maggior parte
attraverso i modi di pratica, tecniche e metodi che infiltrano le menti e i corpi, le pratiche culturali
che i comportamenti e i credi seguiti, gusti, desideri e bisogni come apparentemente naturali che
!265
!266
!267
!251
presentano qualità e proprietà legate nella realtà psichica e fisica (oppure ‘verità’ del soggetto
umano)’.
È chiaramente un ruolo determinante del discorso pubblico dominante su uomini e donne
omosessuali che attua per fornire un senso negativo dell’identità e una gamma di credi
egemonicamente distribuiti sui gay e i loro comportamenti e valori, come un gruppo a sé nella
società: dal momento che Foucault definisce i ruoli dell’attuale formazione discorsiva con
riferimento alla passata pratica discorsiva, è necessario che si esamini il legame tra l’egemonia e
l’interdiscorsività.
L’egemonia non è mai totale o completa ed è sempre informata e contestualizzata dai testi e discorsi
passati e presenti: lo studio di Elizabeth Morrish punta sugli importanti legami intertestuali che
contribuiscono attualizzare il discorso su uomini e donne omosessuali.
La sua linguistica dei corpora si basa su testi di ambito giuridico e anche articoli giornalistici di
importanti quotidiani britannici: si è scelto di non includere esempi del discorso più apertamente
diffamatorio della stampa tabloid inglesi, dal momento che l’oggetto è illustrare la costruzione
egemonica degli uomini omosessuali attraverso il discorso dell’establishment al potere.
Lo scopo è identificare i fattori discorsivi prevalenti, i legami e il modo in cui questi ultimi
costruiscono la soggettività e rivelano i siti tematici della lotta egemonica e il cambio discorsivo:
per ciascun testo, o gruppo di testi, la Morrish considera
1. i temi: i temi del discorso, tanto quanto cosa appare inizialmente nelle proposizioni e le
assunzioni che sottolineano queste scelte,
2. le presupposizioni: informazione considerate come date o implicate nel testo.
3. l’interdiscorsività e l’intertestualità: relazioni tra altre formazioni discorsive o riferimenti
espliciti ad un altro testo o testi, che formerebbero poi una catena intertestuale.
4. la modalità: il significato dell’autorità del parlante/scrittore sul testo e il grado di certezza,
generalità, o ‘verità’ dell’espressione. Hodge e Kress scrive che ‘un parlante usa modalità
per proteggere la sua espressione dalla critica’268. La modalità nell’espressione può essere
rivelata da un numero di elementi nel testo, per esempio il tempo, la pluralità, la negazione e
la scelta dell’avverbio.
5. la transitività: la percezione del parlante dell’agente e causalità, per esempio verbi attivi o
passivi, nominalizzazioni, tipi di verbo, evento, relazione, processo mentale.
!268
!252
6. scelta lessicale: il modo in cui il parlante/scrittore classifica e categorizza dalla scelta
lessicale. Gli aggettivi, particolarmente, portano un carico ideologico leggero: il significato
non è fatto solo dal riferimento e dalla denotazione. Le connotazioni costruiscono anche il
significato e le parole cambierebbero anche il loro significato secondo il contesto della
situazione e a chi li sta usando.
!
2.4.1. La discorsività legislativa nel Regno Unito
Si crede comunemente che l’omosessualità sia legalizzata dal 1967, sebbene ciò servì nei fatti solo
per depenalizzare il consenso degli atti omosessuali tra uomini oltre i ventuno anni, in privato: la
Gran Bretagna ha speso trenta anni d’intervento per sorvegliare la depenalizzazione progressiva
della sessualità omo e attualmente molti tipi di atti sessuali e incontri sessuali restano illegali.
Nel 1967 Lord Reid disse: ‘Esiste una differenza sostanziale tra esonerare solo alcune condotte da
pene da criminali e renderle legali nel senso pieno del termine […] concedersi in queste pratiche
[…] è da depravati’269.
È possibile identificare probabilmente un tema discorsivo dell’ambivalenza sulla legalità con una
presupposizione che questi atti naturalmente vadano oltre la legge e che il sistema legislativo sta
facendo degli uomini omosessuali qualcosa di simile ad un favore: si noti la caratteristica transitiva
della nominalizzazione ‘indulgenza’, che previene il lettore dal costruirsi un agente.
La scelta lessicale implica una scena di caos dissolutivo: il tema del peccato è evidenziato
dall’aggettivo ‘corrotto’, che è predicativo e generalizzato a tutti gli esempi dalla copula del tempo
presente.
La legge britannica ha continuato in questo spirito equivoco: nel 1989, la polizia caricò 2022
uomini per ‘grande indecenza tra uomini’, la figura più alta dal 1955, quando il numero era 2322270:
la minaccia dell’intrappolamento è una paura costante per molti uomini omosessuali che
frequentano i parchi, i bagni pubblici o i cinema porno gay.
La clausola 25 del Criminal Justice Bill del 1991 definisce molti gay ‘victimless’, ‘trasgressivi’
tanto quanto ‘corruttori di gioventù’, ‘grande indecenza’ e ‘seria aggressione sessuale’: questa
sezione dell’apparato legale britannico comprende anche atti consensuali (quando non in stretta
!269
!270
!253
riservatezza) di sodomia (sesso anale), grande indecenza, che sollecitano gli intenti immorali e
procurano quando non li tracciano nell’ambito del diritto criminale.
Categorizzando la maggior parte del sesso omo come serie offese sessuali, si invita ad un legame
interdiscorsivo con le offese come il sesso etero con una ragazza minorenne (per esempio al di sotto
dei sedici anni) e indecente condotta pedofila con bambini: sollecitare può essere interpretato come
chiacchierare con qualcuno in un bar gay, procurare può significare introdurre due amici nella
speranza che loro possano ritrovarsi per la serata.
La scelta lessicale qui è abbastanza deliberatamente un iperbole emotiva e la legislazione traccia
l’attenzione verso ciò che è percepito essere immorale e sgradevole: il sesso anale è classificato dal
verbo buggery (sodomia), con la sua transitività azionale inerente che enfatizza l’azione piuttosto
che la relazione di piacere mutuale.
È un termine che viene usato di frequente per effetto coercitivo nel discorso pubblico britannico e lo
spazio semantico dei verbi come soliciting e procuring, quando appaiono in questa legislazione,
viene ampliato per un intento che discrimina unicamente gli uomini omosessuali: la sezione 28 del
Local Government Act del 1988 afferma che un’autorità locale, responsabile di scuole e servizi, non
deve
1. promuovere intenzionalmente l’omosessualità o pubblicare materiale con l’intenzione di
promuovere l’omosessualità e
2. promuovere l’insegnamento in qualsiasi scuola pubblicamente mantenuta dell’accettabilità
dell’omosessualità come una pretesa relazione familiare271.
La legislazione ha un intento puramente ideologico e al momento non ci sono state nessuna sfida
basata sulla contravvenzione presunta: comunque, molte autorità locali hanno usato la sezione 28
come una giustificazione per vietare alcuni libri, discussioni a scuola, recite e gruppi giovanili gay e
lesbici (qualsiasi cosa che presenti un’immagine positiva degli uomini omosessuali), usando
minaccie di prosecuzione come una scusa.
Il fine neanche tanto implicito è quello di risvegliare l’omofobia e, di nuovo, il dominio semantico
di un verbo è esteso nel contesto della sua applicazione agli uomini omosessuali: ‘promuovere’
l’omosessualità è per la maggior parte delle volte come riconoscerla e il tema dell’invisibilità può
essere riconosciuto.
!271
!254
L’omosessualità è ristretta alla sfera del ‘privato’ e non deve essere ‘promossa’ nella sfera pubblica:
la ‘promozione’ ha un doppio significato tra ‘elevazione’ e ‘promozione’.
Evidentemente gli uomini omosessuali devono essere tenuti fermamente negli scaglioni più bassi
della società, per cui echi intertestuali apparivano nel 1994 nell’emandamento della Smith-Helms
passata dal Senato Americano (ma non dalla House) che taglierebbe gli aiuti federali alle scuole che
‘promuovono’ l’omosessualità come ‘un’alternativa di stile di vita positiva’: a questo punto, due
sono i temi che avvengono nella discussione pubblica dell’omosessualità, ovvero la vita di famiglia
e la malattia.
La presupposizione disposta nella sezione 28 è che la categoria di ‘famiglia’ è un elemento rigido e
impermeabile: è senza dubbio eterosessuale, mentre l’aggettivo attributivo ‘pretesa’ dichiara la
famiglia omosessuale essere non valida.
Alcune famiglie sono basate sulle relazioni omosessuali, comunque, e per implicazione la sezione
deride queste ultime evocando un gioco sciocco del ‘pretendiamo’: uomini e donne omosessuali
hanno mostrato la loro elasticità a questo atto, non solo attraverso una resistente legislazione
animata nel renderli invisibili, anche diffamati, ma anche reclamando la lingua dell’atto.
Le persone vengono invitate agli eventi gay con poster che dichiarano ‘porta l’intera famiglia
supposta’ (bring the whole pretended family): appare che la maggior parte delle volte nel discorso
contemporaneo il termine ‘famiglia’ è diventata una parola codice per l’esclusione
dell’omosessualità.
Susan Reinhold evidenzia che la famiglia non è mai definita tranne nella relazione a ciò che è272, e
resta un’idealizzazione nelle menti dei tradizionalisti conservatori attraverso il rafforzamento di
metafore di ‘vita familiare’: Reinhold cita un membro della House of Lords che parla durante il
dibattito del 1988 sulla sezione 28
‘infatti sono totalmente contrario a spendere denaro pubblico per promuovere incoraggiando
relazioni gay e lesbiche, in particolare come unità familiari felici, così che negli occhi dei nostri
giovani la nostra giusta istituzione familiare stabilita diventi strana o bizzarra’.
Questa frase sia riconosce a priori che uomini e donne omosessuali vivano in gruppi che sono
riconoscibili come unità familiari e in maniera perseverante cercano di indebolire la loro ‘felicità’:
il senso della fragilità della famiglia tradizionale è in maniera incongrua posta dall’uso
!272
!255
dell’aggettivo queer, come se la mera esistenza delle famiglie gay comportasse l’incorporamento
delle famiglie tradizionali nel loro ‘queerness’.
La mancanza di ogni definizione di famiglia sarebbe considerata come indicante un concetto
sicuramente egemonico: comunque, il vero bisogno di disputare i confini del suo significato rivela
le paure dello stabilirsi di uno slittamento di un significato precedentemente incontestato.
Anche in altre legislazioni è possibile reperire che ‘la famiglia’, sebbene delimitata dalla
convenzione e dalla certezza ideologica, è esposta come un’istituzione estremamente fragile: una
clausola nella Human Fertilization and Embryology Act del 1990 è un tentativo trasparente di
bandire la possibilità dell’inseminazione del donatore per donne omosessuali, con l’istruzione che i
servizi del trattamento dovrebbero agire con riguardo della ‘salute della vita familiare’.
Ancora una volta la famiglia è indefinita e assunta per conformare ad una assunzione di due genitori
di sesso opposto: la scelta del termine salute è straordinaria, nella misura in cui è dotato di valore
legale e biblico.
Il termine ‘la diffusione della malattia’ menzionata nella Sezione 28 attinge molto l’attuale e
precedente discorso, che vede il soggetto gay meramente in termini della probabilità della
trasmissione dell’HIV, quindi dell’AIDS: la nominalizzazione di diffusione cancella l’agente e
oscura il soggetto, tanto che questo messaggio è implicitamente recuperabile dal testo ‘gli
omosessuali diffondono le malattie’.
È interessante notare che l’AIDS non viene nominato, presumibilmente per rinforzare la nozione
secondo la quale l’omosessualità è generalmente non salutare: il senso diventa ancora più chiaro
quando si contrasta ‘il fare di tutto per l’intento di trattare o prevenire la diffusione della malattia’
con un’altra scelta forse più neutrale di parole ‘educazione preventiva di AIDS/HIV’.
!
2.4.2. Il caso di Jane Brown e il voto sull’età del consenso
La legislazione in Gran Bretagna stabilisce la struttura per la discussione dell’omosessualità: il
soggetto gay o lesbico deve poi impegnarsi in un costante processo di contestazione, non solo per
una personale identità, ma della rappresentazione pubblica dell’intera categoria di lesbico o gay.
Il caso di Jane Brown è un esempio della pubblica denigrazione di una donna omosessuale,
fedelmente trasmessa da politica e stampa: Jane Brown è la direttrice di una scuola elementare a
Hackney, Londra, e il suo ‘crimine’ fu di rifiutare un’offerta di biglietti sovvenzionati alla
performance del Royal Opera di Romeo and Juliet.
!256
Presumibilmente la signora Brown dette come ragione che l’opera era ‘interamente sull’amore
eterosessuale’: l’episodio infiammò la frenesia dei media nel gennaio 1994, con molte chiamate per
il licenziamento della signora Brown, nonostante la sua popolare leadership in scuola e il supporto
della maggioranza dei genitori.
Un gruppo folto di relazioni dal Times e il Guardian rivela temi spartiti e una mancanza
sorprendente di lotta egemonica, che va dal 20 gennaio 1994 al 15 febbraio 1994: il Times riferisce
della signora Brown come una ‘preside’, per cui non solo è un termine di genere, ma è anche
sovrapposto con le connessioni di eccessiva modestia e pruderie, l’implicazione per cui essere una
‘preside’ non comporta affatto pensare a questioni sessuali273.
I due temi principali emergono negli articoli di giornale su questo caso, per cui entrambi attivano
relazioni interdiscorsive, ovvero la correttezza politica e il ritratto della ‘lesbica’ come stereotipo: il
Times fa immediato riferimento agli ‘effetti pericolosi del rompere la correttezza politica’274 e il
Guardian si riferisce in vario modo ad una ‘saga’ o ‘banchetto’ della correttezza politica275.
La scelta lessicale della ‘saga’ è chiaramente intenzionata a evocare significati di un’intera
mitologia, mentre il ‘banchetto’ ha connotazioni di eccesso auto indulgente: la ‘correttezza politica’
ha ovvie relazioni interdiscorsive con tutti gli altri articoli di questo movimento così chiamato.
In maniera interessante, la ‘correttezza politica’ non è mai definita, meramente inserita come un
generale spauracchio: la correttezza politica in sé non ha alcun significato e ultimamente alcun
riferimento, perché non si contrasta mai con niente altro (il significato è comunque implicito
semplicemente da catene interdiscorsive che sono tessute negli articoli attraverso la durata
dell’interesse dei media nel caso).
Per esempio, le azioni della signora Brown sono legati esplicitamente sia alla sua omosessualità sia
alla ‘pazza immagine sinistra’ del consiglio di Hackney: il riferimento è reso alla politica della Pari
Opportunità della scuola, che copre il razzismo, il sessimo e l’omofobia.
Tutti vengono considerati come parti dello stesso ambito e una caratteristica ideologica prominente
negli anni Novanta appare anche nella catena del fondamentalismo: il Guardian scrive di
‘dogmaticismo fondamentalista e simulato’276 e cita il direttore dell’istruzione alla Hackney come
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sostenitore ‘le pari opportunità è una questione troppo seria per essere dirottata dalla tendenza
fondamentalista’277.
Questa espressione contiene echi sottili di terrorismo mediorientale e militanza musulmana con la
sua scelta di hijack e fondamentalismo: il fondamentalismo, come la sua alleata correttezza politica,
non è mai definita o provocata e la sua funzione è ideologica, poiché infila una gamma di
riferimenti testuali in un’altra.
La tendenza è un’altra scelta caricata negativamente, per cui il discorso prevalente sia sui marxisti
che sulle donne omosessuali è che loro hanno o formano ‘tendenze’: la selezione lessicale rinforza
qui l’impressione della perversione, del radicalismo violento e della sovversione, rese tutte ancora
più sinistre dall’attribuzione dell’aggettivo ‘persuasivo’ precedentemente nel medesimo articolo per
descrivere la leadership di Jane Brown278.
Attraverso l’esperienza non voluta di Jane Brown, lo stereotipo sociale dell’omosessualità
femminile viene invocato: uno scrittore del Guardian caratterizzò la preside ‘lei ha posato ieri per
fotografi in maniera goffa’279, mentre un’altra descrizione del Guardian cita ‘con i suoi capelli corti,
il cappotto pesante e gli stivali dallo stile da lavoratore, lei sembrava adattarsi ogni stereotipo
della correttezza politica. Anche la sua espressione chiaramente impenitente e cupa, sembrava
uguagliare’280.
L’enfasi sull’abbigliamento e il taglio di capelli, in particolare gli stivali da lavoro ‘maschili’
incoraggiano la presupposizione che questi sono inappropriati per una donna: l’immagine
prevalente della donna omosessuale non elegante e senza humour è intatta e il riferimento statuario
alla ‘correttezza politica’ è fatta per attivare tutte le precedenti formazioni discorsive sui gay.
La clausola avverbiale che specifica l’apparenza di Jane Brown è in primo piano nella frase, dando
l’impressione che la conformità a questa descrizione è una parte essenziale dell’essere una lesbica:
l’omosessualità femminile come raccontata dal Times non è un parte salutare e intriseca
dell’identità umana
e gli autori descrivono ‘l’amissione di ieri della signora Brown che è una
lesbica’281 come se questo fosse un peccato o un segreto colpevolizzante.
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Il Guardian riporta una frase del direttore dell’istruzione che era ‘imbarazzato a chiedere su tali
problemi personali’282: chiaramente, dunque, l’omosessualità femminile dovrebbe essere tenuta
nascosta, relegata alla sfera privata, per paura che essa affronti coloro che la potrebbero lottare.
!
Nel febbraio del 1994 i membri britannici del Parlamento votarono per abbassare l’età del consenso
per gli uomini omosessuali dai 21 anni di età, in cui si trovava dal 1967 ai 18: la proposta originale
prima del Parlamento era che l’età del consenso dovrebbe essere abbassata ai sedici anni per
portarla nella linea per l’età del consenso per il sesso eterosessuale e il sesso saffico.
Questa fu la prima volta che gay e lesbiche si sono riuniti insieme dalle battaglie oltre la Sezione 28
nel 1988: in questo caso è possibile vedere la lotta egemonica operata nei giornali esaminati, con il
clero e i commentatori dell’ala di destra che inquadrano il dibattito nei termini di giudizi lascivi sul
comportamento sessuale e la comunità omosessuale che adotta la posizione di una questione di
diritti umani.
L’Observer commenta che mantenere lo status quo dell’età di 21 anni è un’opzione popolare e
aggiunge con ironia leggere: ‘tutto questo, nonostante l’integrazione crescente degli omosessuali
attraverso la società e la vita pubblica, oltre ai migliori sforzi dei media liberali per presentare gli
uomini omosessuali come ordinari, piacevoli e umani, come le loro controparti eterosessuali’283.
Non è evidente dai dati precedenti che le persone omosessuali sono state ritratte in questo modo:
che l’Observer sente il bisogno di commentare sull’umanità dei gay è estremamente significativo.
La questione del comportamento è disposta graficamente per i lettori dei quotidiani di qualità,
mentre la Chiesa d’Inghilterra si considera all’altezza della delicatezza che descrive l’atto
omosessuale come ‘insufficienza dell’ideale divino’284 : Simon Raven, un romanziere di ala
conservatrice, intervistato dal Guardian, scrive in maniera prevedibile sulla ‘sodomia’ come
‘questione completamente crudele, brutta, disordinata e dolorosa’ e di un ragazzo che viene
‘indebolito abbastanza’ dall’essere ‘allettato nell’essere sodomizzato’285.
La presupposizione della parola allettato è che il desiderio di avere rapporti sessuali con un altro
uomo non si realizzerebbe mai verso una persona più giovane senza suggerimento precedente:
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un’altra presupposizione segnalata dalla scelta transitiva del verbo, è che l’atto sessuale sarà attuato
in toto come ruolo ricettivo dal partner adolescente e che alcuna altra possibilità può avere luogo.
Questa è una presupposizione espressa profondamente ed è ripetuta in diversi articoli del periodo:
inoltre, gli aggettivi assegnano un tono non piacevole ad un atto di mutua gratificazione, tanto che
questo ultimo significato è stato escluso dalla contemplazione del lettore.
Robert Spink annuncia che ‘la sodomia dei ragazzi adolescenti è la sola questione sul tavolo’ e si
riferisce alla ‘lobby pro-sodomia’286: l’uso inesistente del verbo d’azione sodomizzare rafforza il
concetto dell’omosessualità come sinonimo, e confinante a, dell’atto di sesso anale.
La debolezza, la penetrazione e la virilità discutibile sono tutti temi discorsivi ricorrenti dal lato del
dibattito, contrario all’abbassamento dell’età consensuale ai sedici anni: lo psicanalista Donald
Campbell commenta l’azione dell’avere ‘un uomo più anziano che sodomizza un giovane’, per cui
il Guardian sintetizza la sua asserzione secondo cui le ragazze potrebbero intimorirsi dai rapporti
anali, ma avrebbero meno impatto sul loro sviluppo complessivo.
Comunque, la legge deve ‘impedire che un ragazzo venga sodomizzato’, come se ‘drasticamente
influenzi la sua sessualità futura alterando la sua immagine di che tipo di uomo lui sarà’287: il
tradimento incerto del modale ‘may’ è superato dalle scelte lessicali estreme fatte, le influenze
sarebbero ‘drastiche’, l’evento potrebbe ‘alterare’ l’intera autoconsapevolezza del corpo.
Questo concetto è limitato naturalmente dalla nozione di virilità, che si è portato ad inferire la sua
incompatibilità con l’atto penetrativo da ricettivo: quindi, il sesso tra uomini in questo discorso non
è un’esperienza consensuale e ricompensata, ma agisce puramente per creare una soggettività di
vittimismo e dell’essere ‘un altro tipo’ di uomo.
La produzione discorsiva della soggettività dell’altro appare di frequente: nella seguente esempio è
legata nel familiare ‘Non penso dovremmo incoraggiare l’omosessualità’ di Gary Bushell, un
colonista da tabloid quotato nel Guardian288: il pronome ‘noi’ (we) è immediatamente inclusivo, ma
anche esclusivo in rapporto agli uomini omosessuali, in quanto si invita il lettore a identificarsi con
la maggioranza eterosessuale.
La negazione espressa con ‘non’ (don’t) viene usato in un intento polemico che incorpora tutte le
altre formazioni discorsive intorno alla ‘promozione’ o ‘incoraggiare’ l’omosessualità al fine di
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rifiutare la medesima omosessualità: Bushell continua sostenendo ‘bisogna distinguere tra
omosessualità ed eterosessualità perché una è assolutamente normale… e l’altra non lo è’289.
L’inferenza è chiaramente che non dovremmo avere più alcun bisogno di ulteriori dettagli per
determinare quale orientamento sessuale è ‘normale’: il tema della famiglia che attraversa molti
testi e formazioni discorsive si estendono dall’aborto all’omosessualità, caratterizza anche questi
articoli.
Tony Higton, un membro del Sinodo Generale della Chiesa d’Inghilterra, afferma che ‘qualsiasi
abbassamento dell’età del consenso diventerà un altro chiodo nella bara per il matrimonio e la
famiglia’290: la modalità del ‘diventerà’ (is going to be) suggerisce certezza al parlante, una certezza
che è legata sintatticamente con la minaccia alla ‘famiglia’, tanto da notare la completa assenza di
qualsiasi passo tra i due processi identificati.
La metafora del ‘un altro chiodo nella bara’ assume che il processo è già in corso, per cui la
famiglia è mortalmente ferita: questa metafora funziona per creare una connessione con altri testi
che hanno un impatto sulla ‘famiglia’, mentre allo stesso tempo confutare la nozione delle famiglie
gay.
Il Reverendo Ian Paisley, che per anni ha dato sfogo alle sue apocalittiche convinzioni nella
provincia dell’Ulster in Nord Irlanda, ne riserva alcune per gli omosessuali: ‘il cemento che tiene
unita la società è la famiglia. Come si muove la famiglia, si muove la nazione. Se non abbiamo il
cemento della famiglia, la società sarà disintegrata e sarà distrutta’291.
In primis si rilevi che non vi è alcuna discontinuità induttiva in questa frase: la sola cosa
imponderabile è quale agente supplire per la forza passiva ‘sarà distrutta’: la metafora del cemento
rivela il credo nella famiglia come una struttura durevole e inespugnabile, poi c’è una caratteristica
transitiva dell’ipoteticità nella terza frase ‘se non abbiamo il cemento della famiglia, la società si
disintegrerà e sarà distrutta’ per massimizzare l’effetto della sua retorica intimidante.
In questo caso, come con il discorso suscitato nel contesto del dibattito della Sezione 28, si è visto
con ironia l’asserzione simultanea di Paisley della debolezza e instabilità della società e dell’unità
familiare: altri temi dall’ala conservatrice del dibattito si raccolgono intorno alla nozione
dell’immaturità e della vulnerabilità supposta dei ragazzi.
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Si noti come non esiste alcuna menzione di un bisogno di progettare ragazze della stessa età, sia se
omosessuali sia se eterosessuali: l’impressione, quindi, è di una società che colloca un alto valore
sui suoi uomini giovani, tanto che l’autore di un editoriale per il Times offre la sua idea come segue
‘proteggere questa minoranza da atti di cui ci si potrebbe pentire in tarda età e un cammino sessuale
che potrebbe lasciarli isolati e infelici dovrebbe restare una priorità. È un segno di una società
civilizzata he valuta gli interessi dei giovani piuttosto che libertà astratte’292.
Il tema grammaticale è espresso dal gerundio ‘proteggendo’ (protecting) e l’uso di una forma
verbale piuttosto che una nominalizzazione indica che la società e le forze di protezione dovrebbero
essere attivi: la scelta lessicale ‘risentirsi’ e ‘infelice’ rappresentano il soggetto gay come uno
sfortunato e il nome di gruppo ‘minoranza’ traccia una coesione lessicale con ‘isolato’.
L’ultima frase deflette abilmente il cuore del dibattito dalla questione della ‘libertà’, che ha
relazioni interdiscorsive con ‘uguaglianza’ verso la questione principale di ‘civilizzazione’ e quella
della protezione dei giovani: i leader gay in questo dibattito non cercano saggiamente di
neutralizzare la cascata di argomenti scagliati contro di loro dall’opposizione e, al contrario,
confinano la discussione alla questione dell’uguaglianza e della discriminazione.
Peter Tatchell, un organizzatore altamente vocale del gruppo Outrage in Inghilterra scrive: ‘è
sbagliato che la legge isoli gli uomini omosessuali dal trattamento discriminatorio’293, mentre il
dicharato Chris Smith riferisce a ‘un pezzo base di ineguaglianza e discriminazione’294.
In maniera interessante quasi tutti i partecipanti trascurano la parola chiave ‘consenso’: solo il
conservatore David Starkey che supporta l’abbassamento d’età del consenso ai sedici anni
evidenzia che ‘la questione chiave è il consenso’295 e lo psichiatra Jean Harris Hendricks sceglie di
attenuare l’enfasi sull’identità sessuale e l’età con la frase ‘i giovani sono individui che sono capaci
di dare consenso secondo alla loro relativa comprensione’296.
!
Il fine dichiarato dello studio della Morrish era identificare le formazioni discorsive, le regole
attraverso le quali gli schemi tematici e della frase sono resi più probabilmente dalla combinazione
della precedente pratica discorsiva e dal caso: la legislazione e i casi dei media che lei esamina,
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affermano che gli stessi leitmotiv sono tempi rielaborati e di nuovo ogni volta che il topic
dell’omosessualità viene pubblicamente menzionato.
In senso collettivo, le frasi analizzate dalla Morrish formano uno scherma discorsivo il cui effetto è
creare un’atmosfera in cui può essere legittimata la censura dell’espressione aperta di
omosessualità: l’immagine pubblica del gay e della lesbica è formulata dall’attivazione linguistica e
concatenazione dei temi dell’indecenza, la corruzione, la sodomia, la minaccia alla famiglia dalle
‘famiglie pretese’ e il terrore del ‘fondamentalismo’ e della ‘correttezza politica’.
Questi sono tutti interessi morali immaginari e sono privi di valida argomentazione: si può qui
vedere applicato ciò che Stuart Hall chiama ‘l’effetto reality’297, in altre parole il ‘reale’ è costruito
socialmente da coloro che hanno potere culturale e il loro discorso si stabilisce come l’unico conto
legittimato.
Questo fenomeno è noto come naturalizzazione, ovvero il processo attraverso il quale il discorso
inizia ad essere visto come legittimato dalla natura, piuttosto che aperto al dibattito e alla contesa:
gli schemi discorsivi ricorrenti identificati non hanno nessun ruolo diverso dal rinforzare la
percezione egemonica di gay e lesbiche e di bloccare la creazione di nuova discorsività distraendo
da qualsiasi altra discussione dei temi che riflettono la realtà e gli interessi veri degli uomini
omosessuali.
Potrebbe anche venir detto che questo è effettuato non necessariamente da un design conscio ma
quasi difettoso poiché può sembrare come se non esistesse altra lingua per parlare di gay: nei ruoli
abituali di questo discorso, le parole gay e lesbica sono collocate con i temi menzionati in
precedenza e questa è l’architettura dell’omofobia interna ed esterna.
Esistono comunque punti di contraddizione nel discorso conservatore: i riferimenti ai ‘chiodi nella
bara’ della famiglia e la ‘disintegrazione’ della società suggerisce che bisognerebbe prevedere gli
impedimenti alla crescita dell’autorità discorsiva conservativa.
A dispetto di molti difetti ideologici nei tardi anni Ottanta e i primi anni Novanta in Inghilterra, si
cominciano a vedere ora i segni di una battaglia per un rilievo discorsivo: Kress evidenzia riguardo
gli schemi discorsivi che ‘come i processi materiali e sociali alterano, che il senso comune
costruito ideologicamente è sempre fuori fase con queste pratiche. Esiste per questo motivo una
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tensione costante tra la realtà sociale e le pratiche sociali e il modo in cui sono e possono essere
scritte e discusse nella lingua’298.
Così come il cambiamento sociale diventa una realtà e l’ala conservatrice dipinge il comportamento
omosessuale come sodomia e corruzione, la lobby gay tenta di promuovere i temi dell’uguaglianza
e dell’antidiscriminazione: gli schemi del discorso e le relazioni interdiscorsive mantengono un
effetto forte e amplificati dai media principali, sono un effetto che si sta rivelando difficile
annullare.
Fairclough asserisce comunque che non si è prigionieri egemonici: lui guarda alla relazione tra
soggetti e pratiche discorsive come ad una dialetticità in cui i soggetti possono anche modellare e
ricostruire il discorso nella continuità con la loro propria identità crescente.
Un tale spostamento ideologico appare aver penetrato l’establishment di più quando in particolare
nel contesto del dibattito sui gay nell’esercito il Presidente Clinton è citato come sostenitore
dell’essere escluso per qualcosa che si fa, non per qualcosa che si è: nell’enfatizzare la gaiezza
come una questione dell’essere e per questo motivo come immutabile, Clinton ha approvato un
discorso che cerca di ridefinire l’omosessualità come una questione di identità, non di
comportamento.
A dispetto del fallimento successivo di Clinton ad attuare il cambiamento sociale promesso,
probabilmente il suo discorso ha segnato un punto di partenza dalla demonizzazione linguistica di
lesbiche e gay: che in Inghilterra, sosteneva ironicamente la Morrish nel 1997, sta ancora
attendendo, e l’Italia si aggiunge qui nel 2011 attende ancora.
!
2.5. Discorsi di resistenza e la costruzione della soggettività di genere
Parlare è di centrale importanza per l’amicizia al femminile, ma le pratiche discorsive delle amiche
sono state largamente ignorate dai linguisti: Jennifer Coates e Mary Ellen Jordan analizzano quindi
la discorsività di giovani donne per esplorare queste pratiche discorsive e mostrare come loro
costruiscono e mantengono versioni particolari del soggetto femminile.
È stato preso nel loro studio la posizione foucaultiana secondo la quale ‘i discorsi…sono…pratiche
che sistematicamente formano gli oggetti di cui si parla’: i dati che sono stati usati nelle spontanee
conversazioni avvenute di diversi gruppi sovrapposizionati di donne giovani, qualche donna
omosessuale e qualche donna eterosessuale, registrati a Melbourne nel 1994.
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Il senso delle giovani donne della loro femminilità è a volte contraddittorio e precario, d’altronde
anche perché tracciano una gamma di discorsi: ciò che è interessato alle due studiose è il modo in
cui certi discorsi sembrano dominare, in particolare un discorso femminile che permette a queste
giovani donne di stabilire un senso di non passività di sé stesse come donne che vivono nel
patriarcato eteronormativizzato.
Questo discorso funziona per connettere gli amici e sovrascrive altri discorsi potenzialmente
discordanti che crescono dall’orientamento sessuale non congruente di queste donne:
linguisticamente le donne tracciano strategie collaborative tipiche della discorsività tutta al
femminile299.
Dato che la discorsività è azione sociale, è attraverso la loro discorsività che queste donne
mantengono le loro relazioni intime tra di loro: nella loro discorsività queste donne operano sia
amicizia sia femminilità.
È ora noto perciò che le donne non sono un gruppo omogeneo e la ricerca focalizzante sull’uso
linguistico delle donne è iniziata ad essere più sensibile alle differenze di età, classe ed etnicità tra
parlanti donne, ma la variabile dell’orientamento sessuale appare essere stato largamente ignorato
nel lavoro sulla discorsività femminile300: la domanda su cui puntano Coates e Jordan per darsi una
risposta è se l’orientamento sessuale costituisce una variabile per come si parla, analizzando in
particolare le amicizie tra donne, da cui si indaga se sono possibili tra il potenziale confine che
divide gli orientamenti sessuali.
È stato necessario verificare lo stereotipo se è vero che donne di orientamento sessuale diversi l’un
dall’altro non potessero essere amiche e che il legame tra donne eterosessuali agisce per consolidare
il patriarcato eterosessista301: Wilton argomenta che il legame della donna eterosessuale è stato
costruito erroneamente come sovversivo.
Lei non concorda con l’idea di Adrienne Rich del ‘continuum lesbico’302, sostenendo invece una
chiara divisione tra donne nelle relazioni eterosessuali e donne nelle relazioni omosessuali:
sicuramente l’attuale teorizzare dell’eterosessualità ha creato in maniera molto più chiara i modi in
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!300
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!302
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cui ‘gli script di genere trovavano nell’eterosessualità dominio maschile prescritto e subordinazione
femminile’303.
Coloro che, come Wilson, argomentano che l’amicizia femminile è una forza conservativa vedono
l’amicizia come uno sbocco emotivo per le donne che sono frustrate nei loro matrimoni o relazioni
con uomini: in altre parole, impegnando il periodo morto nelle relazioni uomo-donna, l’amicizia
femminile aiuterebbe a sostenere l’istituzione del matrimonio e per questo motivo aiuta a perpetuare
la dominazione maschile delle donne.
Con Rich, Coates e Jordan argomentano che comunque distante dall’essere una relazione che
perpetua lo status quo, l’amicizia tra donne è potenzialmente liberatoria: come Janice Raymond
evidenzia ‘il potere dell’amicizia femminile può creare le condizioni per una nuova politica
femminista in cui il personale è per la maggior parte spassionatamente politico’.
Nella nostra visione, questo può essere il caso indipendentemente dall’orientamento sessale delle
donne coinvolte: sicuramente il gruppo di giovani donne la cui parlata è il focus dello studio di
Coates e Jordan ha stabilito un’amicizia che può essere descritta come sovversiva, vale a dire che la
loro amicizia promuove un senso di sé stesse come donne antipatriarcali.
Le amiche condividono un sistema di valori che ha forti legami con la comunità femminista centrata
sul Dipartimento delle Donne dell’Università di Melbourne, una sottosezione dell’unione degli
studenti: queste donne sono attiviste politiche, specialmente sulle questioni femministe ma anche su
questioni generalmente di sinistra ed ecologiste.
Assumono una norma di lesbismo piuttosto che di eterosessualità, anche se diversi di loro non sono
omosessuali: le loro vite sociali sono diffusamente di sole donne e assumono responsabilità per
mantenersi aggiornati con i dibattiti contemporanei sulla classe, l’etnicità, la sessualità e le loro
intersezioni con il genere.
Date le somiglianze nei valori condivisi da queste donne, lo studio iniziale punta a indagare su un
piccolo paradosso: non esisteva alcuna traccia di un divisorio in termini di sessualità nel gruppo,
molto meno uno schema dell’amicizia che è possibile solo tra donne dello stesso orientamento
sessuale.
Per questo motivo, lo studio cambiava il suo focus e divenne una scoperta del perché non esiste
alcuna divisione in questo gruppo, dato che l’orientamento sessuale è un aspetto importante e
controverso dell’identità di una persona in così tanti lati della vita: si è concluso che ciò che è
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interessante su questo gruppo e il modo in cui si parla è che le posizioni del nuovo soggetto sono
rese disponibili ai membri del gruppo attraverso il discorso sovversivo che favorisce e che l’identità
femminile che supporta è superordinata ad identità definite in termini di sessualità.
Comunque, le due studiose riconoscono che questo non sarebbe il caso per tutte le donne in tutte le
situazioni: è possibile immaginare molti contesti in cui la sessualità sarebbe una questione che
divide tra le donne (probabilmente per la maggior parte in particolare in un gruppo che era meno
omogeneo, specialmente in termini di privilegio; il gruppo di analisi è in maniera schiacciante
bianco, classe media e di istruzione terziaria): e mentre la sessualità non potrebbe essere identificata
come una questione nel network di amici, può essere una questione in altre aree delle loro vite,
particolarmente nel contesto familiare o lavorativo.
Infatti, sembra che il privilegio e l’omogeneità che marcano questo gruppo sono i due fattori che
permettono questo discorso sovversivo alla funzione: l’università è un periodo di vita in cui le
persone possono vivere relativamente indipendenti dalle strutture sociali che ci confinano ad
un’estensione più ampia quando ci spostiamo di più nei mondi del lavoro e della famiglia.
Le strutture sociali che regolano questi domini contano sulla differenza, particolarmente sulle
differenze nella sessualità: il fatto che questo gruppo di donne è in una posizione per ignorare
queste strutture mostra l’estensione a cui l’orientamento sessuale e l’identità di genere è costruita
dai discorsi patriarcali.
Nell’esplorare il loro discorso e le posizioni del soggetto rese disponibili a queste donne, si vede
che la costruzione patriarcale della soggettività, che include la sessualità come fattore centrale, può
essere sovvertita: come l’amicizia è vista da singole donne e come è ‘resa’ nelle nostre vite, dipende
molto dai discorsi disponibili ai parlanti per cui
‘i discorsi non riflettono o rappresentano entità e relazioni sociali, essi costruiscono o li
‘costituiscono’; i diversi discorsi costituiscono entità chiave come l’amicizia in modi diversi e
posizionano le persone in modi diversi come i soggetti sociali’304.
Le donne di questo gruppo resistono ai discorsi patriarcali e sebbene devono operare sotto discorsi
dominanti per molto tempo delle loro vite, uno degli spazi in cui un discorso femminista può essere
invocato è nella loro conversazione condivisa come amiche: di conseguenza i due discorsi principali
e conflittuanti che concernono lo studio delle due studiose sono un discorso patriarcale e
androcentrico e un più radicale discorso femminista.
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Quest’ultimo discorso viene focalizzato per cercare di descriverlo accuratamente e di chiedere da
dove provenga: i dati del loro studio vengono da una serie di registrazioni fatte da uno delle
coautrici delle conversazioni tra i membri di un gruppo di amiche al quale lei apparteneva al
momento dell’evento.
Le conversazioni includono gruppi di due, tre, o quattro parlanti e copre tutte le permutazioni:
donna omosessuale-donna omosessuale, donna eterosessuale-donna eterosessuale e misti, e il fine
principale del lavoro resta il come il discorso antipatriarcale sovversivo caratteristico di queste
amiche opera nelle loro conversazioni e come si interseca con gli altri nella discorsività più di
massa: si è indagato anche sulle caratteristiche linguistiche di tale discorso, dal momento che nella
nostra visione sul come parlare è tanto importante quanto cosa si dice nella costruzione della
soggettività.
Quindi, la domanda è: come il discorso si è evoluto dal gruppo di amiche nelle loro vite quotidiane?
Come si è visto, l’esistenza di una tale discorsività non è un problema triviale: dato che i discorsi
sono in competizione e che forniscono modi diversi di comprendere il mondo, allora la lingua è
inevitabilmente un sito di battaglia politica.
Come afferma Chris Weedon ‘il sito per la battaglia di questo potere è la soggettività
dell’individuo’: esaminando le pratiche discorsive di questo gruppo di amiche, si spera di illuminare
i meccanismi di questa ‘battaglia per il potere’ e nelle conversazioni queste giovani donne tracciano
un discorso che si descrive come sovversivo e antipatriarcale.
Questo discorso rende disponibile ai membri della rete di amicizia, posizioni soggettive resistenti e
potenti: inizialmente si punta su un breve estratto da una conversazione tra tre di queste amiche di
cui una omosessuale e due eterosessuali, per dimostrare come appare questo discorso.
Nella conversazione al punto da cui questo estratto è preso, A dice alle sue due amiche che la madre
di una loro amica sta proponendo alla figlia di sposare l’uomo con cui ha avuto a che fare per un
mese:
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A: oh I got a postcard from Dave today
B
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A is MARrying the guy/
B
oh my god WHAT?
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------!268
Si focalizzi l’attenzione su tre aspetti del discorso: la sua visione critica del matrimonio
eterosessuale, la visione critica dell’uomo particolare di cui si parla e di conseguenza gli uomini in
generale, e il suo posizionamento del sesso eterosessuale come ‘altro’: la principale reazione del
gruppo al racconto di A è l’orrore, orrore che è espresso in un discorso che è esplicitamente scettico
sul matrimonio.
Loro sono disgustate dal fatto che una donna apparentemente sana che loro apprezzano e rispettano
possano contemplare il matrimonio: questa reazione è espressa attraverso una serie di espressioni
che la risonanza di B è la risposta iniziale o mio Dio! Cosa?
Oh my god TWO WEEKS (B, 3-4)
Oh my god that is sick (B, 6)
That’s aww- (C, 7)
That is awful (C, 13)
That is terrible (B, 13)
That is horrible (B, 14)
That is foul (B,14)
That is really foul (B,15)
I just thought ‘oh god how shit’ (A, 22)
It’s awful horrible horrible (C, 22-23)
Oh yuk that’s gross (B, 23)
Queste espressioni funzionano come un commentario del testo principale: il testo principale
consiste di due principali filoni, uno fattuale che comporta dettagli ulteriori, per esempio, this is the
guy that just moved in (C, 3-4) e il chiarimento, per esempio, it was just a postcard and it is just said
…(A, 8) e una dichiarazione più esplicitamente antimatrimoniale: but I was like ma-ma-the M-word
‘marry’ (A, 12-13).
Questo ultimo filone è sviluppato dopo qualche confronto delle due principali protagoniste che sono
riassunte come a dickhead (l’uomo) e a groover (la donna): questa analisi dei due filoni porta alla
logica conclusone she doesn’t want to be living with a dickhead.
Ma dal momento che la prova della cartolina di Dave è che è precisamente ciò che la donna sta
scegliendo di fare, alle amiche viene permesso di formulare la domanda why would you marry
someone after a month? Questa domanda è formulata in modo tale che presuppone che nessuno con
mente sana sposerebbe qualcuno dopo solo un mese, anche se le due persone stanno bene e il
matrimonio non fosse un’istituzione questionabile.
!269
Questo filone della loro discussione si riassume con la sua espressione so you know fling, affair,
relationship, these things I can deal with, marriage I can’t (69-70): ciò che è visibile come compiuto
in questo estratto è il ribaltamento della discorsività egemonica che rappresenta il matrimonio come
un must delle vite delle donne.
Queste giovani donne parlato di matrimonio in termini negativi (the M-word) e lo colloca come una
di una gamma di alternative (divertimento, lavoro, relazione, matrimonio) di cui il matrimonio può
essere costruito in molti casi come l’ultima delle buone opzioni: l’espressione iniziale di A con il
suo gravoso stress sulla parola marrying, costruisce il matrimonio come l’opzione marcata e
indesiderata dall’inizio della discussione.
L’osservazione di B I thought at least she could have come to her senses after a few weeks assume
che lo stato che assume la donna è uno in cui ha perso il controllo e implica che sposarsi sarebbe
continuare ad accomiatare i propri sensi: questo discorso antimatrimoniale deriva in parte dal caso
specifico che è discusso, in cui la brevità della relazione e lo stesso uomo sono entrambi fattori
significativi.
Ma questo porta ad un altro aspetto del discorso: il valore dell’uomo come norma intriseco ai
discorsi egemonici è completamente minato: dal momento che l’uomo non è più al centro e
potrebbe incorrere facilmente a valore negativo, allora qualsiasi discussione dell’unione di una
donna e un uomo può essere vista come problematica piuttosto che inerentemente benefica per la
donna coinvolta.
In questo discorso femminista, il matrimonio è discutibile piuttosto che una necessità o sfaccettatura
desiderabile della vita: la costruzione del protagonista maschile in termini negativi resta in parte
sulla nozione frivola esistente nel gruppo dell’uomo in questione, combinata con un’ideologia
femminista che sovverte la norma eteronormativizzata, ribaltando l’ordine egemonico
eteropatriarcale.
Comunque, la cosa più importante è che resta sui valori più profondamente politici delle donne ed è
un’indicazione importante della natura di questo discorso: loro lo vedono come un razzista,
privilegiato, un capitalista oppressivo e offensivamente ignorante sulle questioni di genere e
sessualità.
Lui appare incarnare l’ideologia dominante che li posiziona in opposizione, conseguentemente
valutano la visione dell’uomo di Dave tanto all right quanto false consciousness e lo etichettano
inequivocabilmente come un dickhead: più in là le tre interlocutrici fanno una serie di movimenti
che in effetti opera per giustificare questa etichetta.
!270
Nuovamente, esiste una serie di espressioni parallele che inizia ragionevolmente inconsciamente ma
presto diventa completamente negativo, attraverso tutti i riferimenti ai cellulari sospetti, dati da un
precedente scherzo di B:
the man has a mobile phone (A, 60-61)
he’s an architect (B, 61)
he’s got a spa in his office on the roof of his building (B, 61-62)
he’s revolting, he’s really foul (B, 62)
and he reckons that the main problem with Aborigines is that they’ve got a victim mentality (B,
63-64)
Il climax della loro stima negativa dell’uomo è raggiunta in una sequenza incompleta di domande
altamente coesive iniziate da B:
would you want to marry this man? (B)
would you want to be in the same room as this man? (B)
would you want to bloody use this man’s mobile phone? (A)
would you want to bloody use this ma-(C) [interrotto da A]
La discussione finale dello studio in questione è dedicate all’analisi del comportamento dell’uomo
nel guidare verso Bondi per comprare degli strudel: questo atto apparentemente innocuo è stimato
come ‘ridicolo’ e completamente come qualcosa che va oltre i limiti.
La discussione di questo uomo particolare per tutto il tempo traccia un’ideologia in cui gli aspetti
del patriarcato e del capitalismo sono criticati costantemente: questo significa che anche le
affermazioni superficialmente neutre come he’s an architect hanno connotazioni negative, dal
momento che l’immagine costruita di questo uomo incarna molto di cosa loro si oppongono, ovvero
lo status e il potere accordati ai privilegiati uomini bianchi.
Le amiche sono capaci così facilmente di porsi nella posizione di potere di etichettare questo uomo
come ‘matto’ perché tracciano la loro visione condivisa del mondo femminista e sul loro discorso
abituale antipatriarcale: per cercare di capire la coppia che viene costruita come deviante nel
discorso sovversivo del gruppo, A consiglia che la ragione deve essere il sesso o piuttosto lei dice
che un’amica delle sue, Clare Keaney, pensa che la ragione sia il sesso ‘Clare Keaney says it must
be really good sex’.
Il soggetto del sesso è arrivato già molto tempo prima della discussione, alla fine della sezione
iniziale quando loro stavano esprimendo il loro orrore ai racconti di Dave, dopo che B rimarca sulla
donna che ‘coming to her senses’
!271
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------B I thought at least she could have come to her senses after a few
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A
-mhm-
B weeks of whatever they do together
C
I hate to think
<ridendo> ‘Jody!’
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A =probably heterosexual for one thing
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Questo è un passaggio interessante: il whatever they do together di B è recepito inizialmente con
solo una minima risposta da A e a questo punto l’idea della donna che ‘coming to her senses’ è il
punto focale.
Ma B sceglie di rifocalizzare l’attenzione sull’idea di ‘whatever they do together’ aggiungendo I
hate to think: ciò sessualizza il riferimento, provocando C la protesta di risata e A nel commento it’s
probably heterosexual.
Questa ultima espressione è tautologica perché tutti e tre i parlanti sanno che un uomo e una donna
sono coinvolti e così se il rimarcare di B ‘whatever they do together’ è compreso sessualmente, può
riferirsi solo all’orientamento eterosessuale: in altre parole, questa espressione di A rompe la
massima griceana di quantità, ma come parlanti competenti, le tre giovani donne qui riconoscono
questo rimarcamento come uno scherzo interno.
Loro fanno le inferenze conversazionali rilevanti, tracciando il loro discorso, che sfida le norme
eteropatriarcali per capire che A sta ponendo in primo piano l’aspetto eterosessuale di questa
relazione sessuale di coppia in un’inversione ironica e deliberata dello schema normale, in cui il
sesso gay o lesbico è visto come marcato e per questo motivo valente la pena menzionare.
Il suo commento implica anche ‘l’eterosessuale e per questo motivo il probabilmente disgustoso’, di
nuovo in una parodia ironica dei discorsi egemonici intorno alle pratiche omosessuali: lo scherzo di
A viene preso con gusto dalle altre due parlanti e B ride alla serie di espressioni che parlano del
telefonino dell’uomo, con pesante riferimento sessuale.
C risponde furbescamente sia ad A che a B: la sua espressione well we KNOW what they do then
DON’T we può essere letta come un riferimento finto paternalistico all’atto eterosessuale della
penetrazione sessuale.
!272
Allo stesso tempo, lei lega in maniera coerente nel riferimento di B ai cellulari dicendo
effettivamente che ciò che li fa immaginare fare, comporta un cellulare in qualche modo indicibile:
questa lettura è confermata dal seguente rimarcamento della presa in giro di A a C ‘you’re the
techno-sex guru Clare/ you can hardly talk, in cui il riferimento ‘techno-sex’ può essere compreso
solo se l’espressione di C è interpretata come avente qualche significato che può essere spiegato in
termini di tecno-sex.
Lo scherzo del cellulare avviene per tutto l’estratto, con le giovani donne che costantemente fanno
la parodia del discorso normativo dell’amore romantico: il seguente esempio arriva alla linea 57ff
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A I think it might be one of those things where the man is incredibly charming and sweet/ and
sweeps the woman off her feet/ and marries her/ and puts her signature onto all of his tax dodges/
<RISATA> I mean the man has a mobile phone/ so one thing leads to another […]
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------B would you want to marry this man? Would you want to be in
C
no/
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A
=would you want to bloody
B the same room as this man?
C
=no/
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A | USE THIS MAN’S MOBILE PHONE? <risate>
B | <risate--------------------------------------!
C | yeah/ <risate-------------------------------!
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Durante la breve digressione nelle linee 29-38, in cui A e C si includono nella sequenza scherzosa
su C, i computer e il sesso, B li irrita con queste parole: you heterosexual girls/ I don’t know/ you
can’t keep your mind off it/ a cui A accede con absolutely.
Questo scherzo opera solo quando compreso come pesantemente ironico: l’espressione di B traccia
l’ideologia dominante in cui il sesso per gli uomini in particolare può essere costruito come una
forza travolgente e inverte anche il discorso omofobo che costruisce l’identità gay e lesbica
interamente in termini sessuali.
!273
L’uso della parola girls marca l’espressione tanto non seria quanto per queste femministe come per
la maggior parte delle femministe, l’uso della parola girl per riferirsi a donne mature sessualmente
ed adulte è politicamente inacettabile: in altre parole lo scherno dello scherzo di B contribuisce qui
alla sovversione complessiva degli schemi normali con l’eterosessualità che viene posizionata allo
stesso livello degli altri orientamenti sessuali.
!
Mentre, quindi, finora si è dimostrato che il discorso alternativo usato da queste amiche per
posizionarsi come potenti soggetti femministi in relazione al loro mondo, questo non significa come
le stesse studiose ricordano che loro non utilizzino altre forme discorsive: le studiose affermano di
essere certe che come le altre donne nell’Australia contemporanea, loro sono posizionate come
soggetti femminili di vari tipi, a volte incompatibili.
È comunque difficile localizzare le soggettività più importanti nei dati delle due studiose eccetto
quando invocati come una fonte di umorismo: è stato possibile notare come loro scherzino
continuamente su sé stesse e i loro scherzi contano sulla loro coscienza di altri discorsi più
importanti, per esempio, un discorso che possiamo chiamare di ‘amore romantico’ e il discorso
dominante dell’eteronormatività e del matrimonio.
Il seguente estratto formulato per la maggior parte in tono pesantemente ironico, dimostra che il
parlato qui è incorniciato in un discorso in cui ci preocuparsi dell’apparenza di una persona e
spendere il tempo provandosi diversi vestiti prima di uscire, costituiscono una femminilità
normativizzata.
Ma queste amiche possono adottare una tale discorsività solo ironicamente, come uno scherzo: lo
stesso uso ironico di una discorsività conflittuale fu mostrato nello scherzo di B you heterosexual
girls/ I don’t know/ can’t keep your mind off it/, discusso precedentemente, in cui lo humour opera
in quanto le parole sono comprese come essere parte di un altro discorso in cui la sessualità è un
aspetto primario della soggettività.
C sta andando ad una festa organizzata da un amico single
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A what time are you going to John’s?
B
eight o’clock/ <MOCK TENSION>
C
um-
when I’ve decided
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A
oh I understand/
!274
B
we- we’ve been trying on our outfits/
C what to wear/
it’s taken an hour so far/
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Un altro discorso che emerge nella discussione di queste amiche e che le studiose ritengono
necessario prendere come separato dalla discorsività antipatriarcale e sovversiva discussa
precedentemente, è il discorso che le rende tutte come donne competenti e intellettualmente
confidenti: per le studiose appare che anche se apertamente meno sovversivo, questo discorso è un
prodotto molto potente nell’armonia delle amiche di pratiche discorsive e le posiziona come potenti,
anche formidabili, soggetti femminili.
Diversamente dal discorso femminista resistente precedentemente osservato, si dà come dato che le
donne sono intellettualmente attive e piene di successo, entrambi nei loro propri termini e in
tradizionali strutture accademiche, e ciò viene costruito parzialmente attraverso il lessico: frasi
come techno-sex guru e false consciousness e il vocabolario del poststrutturalismo (sign, signifier e
rubric) avvengono in tutti i dati, fianco a fianco con i termini più vernacolari come dickhead e shit.
Viene costruito anche attraverso la direzione del piano conversazionale, dal momento che questo
gruppo di amiche dimostra un’abilità impressionante a muoversi tra uno stile di dibattito
intellettuale avversario e uno stile collaborativo da sorellanza: molte delle espressioni delle amiche
tracciano questo mondo intellettuale condiviso, un mondo in cui la familiarità con la teoria
femminista, la teoria psicoanalitica e il postmodernismo, per esempio, viene presa per concessa.
Questo sapere condiviso di idee e teorie viene spesso discusso seriamente ma è anche usato come
una fonte frequente di umorismo, come il seguente estratto illustra:
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A it’s scary with the fridge off/
B
mhm/ it is/
C
it is/ I know/ you turned it
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A
B
mhm/ it’s not just the vibe
yeah/ | it’s quite for once/
C off and I went
| woooow!\
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A in the |house/
B
fridge as lack/ <RISATE>
<RISATE>
!
275
C
| it is really like a . lack/
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A if we get a new fridge that’s quiet it’ll just be really weird/
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A
<RISATE------!
B
<RISATE---------!
C no/ the lack will become the norm/ <RISATE>
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Il seguente esempio è simile al precedente estratto nella sua assunzione di sapere teorico, ma in
opposizione è una discussione relativamente seria: la discussione inizia con lo scherzo di A che
chiede how can I put ‘rubric’ into this sentence? ma è focalizzato dall’informazione-domanda di B
what does ‘rubric’ mean?
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A like as a signifier or as a sign or as a title=
C
=a heading
=a heading=
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A yeah/
B
but what’s the difference between that and say under the
C
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A
under the name of/ sort of/ you do it all in the name of-
B you knowC
under the front=
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A =like a front/ yeah/ like it stands for lots of things=
=but you
B
C
=yeah=
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A call it politics=
B
=and you could call any of those things politics?
C
!276
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A under the rubric of door/ <RISATA> no/ under theB
C
no/
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A
yeah/ like classifier/
B
uh-huh/
C classifier or something/
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------In questo estratto i parlanti stanno lavorando insieme per definire un termine di cui nessuno di loro
ne è certo: tutti loro stanno contribuendo, inclusa B, nonostante il fatto che lei ha formulato la
domanda inizialmente.
Nel suggerire diverse parole che potrebbero aiutarle a capire il termine, esiste una familiarità
assunta con le idee che sono state utilizzate, se non con le parole precise che sono usate, in modo
tale che l’alternativa corretta sarà riconosciuta come quella parlata: sia lo stile del parlare in maniera
collaborativa che umoristica e il lessico usato dai parlanti, dimostrano come sono validi per questo
tipo di discussione intellettuale.
I discorsi conflittivi possono costruire molte soggettività diverse: queste differenze possono essere
inconciliabili per esempio come il conflitto tra le ideologie patriarcali e femministe in un individuo:
comunque, possono anche intensificarsi l’un con l’altro, come il discorso accademico appena
discusso rafforza e informa il resistente discorso femminista che domina quando queste donne
stanno parlando insieme.
!
Un po’ di attenzione è stata posta dalle studiose sul come della pratica discorsiva305: i discorsi non
sono costruiti in modo casuale e le pratiche linguistiche in cui i discorsi particolari sono legati sono
un aspetto essenziale del loro potere formativo.
Il discorso resistente che è il focus delle due studiose ha un lessico particolare e schemi sintattici e
schemi di costruzione piani che ne costituiscono una parte intriseca: sono strategie linguistiche che
!305
!306
!277
sono state identificate come caratterica di amiche306 e includono usi particolari della modalità
epistemica, strutture interrogative e ripetizioni.
Per molti tipi di parlato, il piano, vale a dire lo spazio conversazionale disponibile ai parlanti è
trattato su una base uno alla volta: questo è noto come un singolo piano o piano singolarmente
sviluppato307.
In opposizione in certi contesti, particolarmente in cui i parlanti si conoscono bene e vogliono
marcare la connessione piuttosto che la separatezza, i partecipanti conversazionali usano un piano
collaborativo: i piani collaborativi nel resoconto di Edelsky comportano tipicamente turni più brevi
dei singoli piani, molta più discorsività sovrapposta, più ripetizione e più scherzi e canzonature.
Il piano collaborativo, per ora, comporta semplicemente più o meno di qualcosa che è trovato
regolarmente in un piano singolo: infatti il piano collaborativo è radicamente diverso dal piano
sviluppato singolarmente dal momento che viene qualitativamente tanto quanto quantitativamente
diverso dalla presa del turno di uno alla volta.
Per la precisione questo accade perché il piano collaborativo è uno spazio condiviso e per questo
motivo ciò che è detto viene costruito come essere la voce del gruppo piuttosto che dell’individuo:
in altre parole, il piano collaborativo in sé può essere uno strumento sovversivo, dal momento che
sfida l’idea liberal-umanista della supremazia dell’individuo.
Il discorso di resistenza femminista del gruppo delle amiche che è il soggetto in questione è
tipicamente associato con un piano collaborativo: per illustrare come un piano collaborativo opera,
le studiose offrono degli esempi di due strategie collaborative, discorsività sovrapposte e
espressioni costruite insieme, per cui queste sono entrambe componenti classiche di un piano
collaborativo.
Il primo esempio di espressione costruita in simbiosi arriva da conversazione tra due delle amiche,
entrambe omosessuali, su un’infatuazione che una di loro ha avuto per un’altra nel consiglio
studentesco:
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A I decided to get drunk=
B
=and seduce her/
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
!307
!278
Il seguente esempio più complesso viene dal testo del matrimonio, di cui l’argomento è comprare
gli strudel a Bondi:
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------B like you wouldn’t drive from Lane Cove to Bondi to buy a strudel/
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A
| it’d be like driving from-
B like you know | even if you were trying to impress her kinds like=
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A =yeah=
C
=it’s a ridiculous/
=Melton to North Melbourne/ <RISATA> no=
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Ciò che è interessante per quanto riguardano questi due esempi è che le strutture linguistiche sono
condivise tra i parlanti e tutti i partecipanti condividono nella costruzione della discussione nel
senso forte che non valgono come singoli parlanti: il gruppo ha la priorità sul singolo individuo e
nel primo esempio, B completa l’espressione di A.
Nel secondo esempio, l’espressione incompleta di A it’d be like driving from- è completata da C:
Melton to North Melbourne: allo stesso tempo come l’espressione di B even if you were trying to
impress her kids like è riconosciuto da A (yeah) e questo fragmento è completato da C e B che
collaborano nel sintetizzare la loro posizione con C che dice di no e B che dice it’s ridiculous.
Il secondo esempio illustra anche il modo in cui i parlanti si sovrappongono nel parlare, vale a dire,
più di una voce contribuirebbe a parlare allo stesso tempo: questo tipo di discorsività sovraposta
non è vista come competitiva, come un modo di prendere il diritto a intervenire perché i vari
contributi alla discussione sono sul medesimo argomento, come per i seguenti altri esempi
Argomento: l’anonimato nella registrazione
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A
|we could speak in code and that would really PISS Mary Ellen
B well | I know/ I could disquise
the name of the person
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A off/
B who it is/
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Argomento: il matrimonio
!279
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------B what did we have? Vanilla slices- what are they called/ oh strudels=
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A = oh yeah/ and ranted on about how it was | the best strudel shop/
B
| how wonderful they were
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Argomento: il matrimonio
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A I mean the man has a mobile phone so- | one thing leads to another/
B
| he’s an architect
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Argomento: il matrimonio
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------A Sue is a groover/ she doesn’t want | to be living with a dickhead/
B
| yeah she’s a filthy groover/
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------In questo modo le due studiose indicano che il modo in cui queste donne interagiscono è una
componente importante nella costituzione delle loro identità: questo modo di parlare può essere
tanto sovversivo quanto l’ideologia che lo costituisce e combinato con un discorso femminista nella
discorsività di queste donne, questo modo opera per minare il soggetto liberal-umanista tradizionale
e promuove il gruppo piuttosto che l’individuo, la collaborazione piuttosto che la competizione.
Ai validi sociolinguisti per le due studiose si invita a pensare praticamente e guardare localmente al
lavoro che ha a che fare con la lingua e il genere di Eckert e McConnell-Ginet308: lo stile
conversazionale associato con la discorsività della resistenza è ciò che le due studiose hanno cercato
di indagare ponendosi nelle pratiche sociali quotidiane di un particolare gruppo locale.
Mentre questo potrebbe limitare la validità delle dichiarazioni delle due studiose, allo stesso tempo
rafforza la loro comprensione dell’intersezione della lingua, del genere, della sessualità e del potere
in questo particolare contesto sociale in questo particolare momento storico: analizzando le pratiche
discorsive di un gruppo di giovani amiche a Melbourne nel 1994, ci si è posti secondo le due
studiose l’intento di chiarire i modi in cui i discorsi costruiscono e mantengono la soggettività.
!308
!280
In particolare, si è dimostrato come attraverso le comunità di amicizia, le parlanti di appunto sesso
femminile biologico creano e mantengono i discorsi di resistenza antipatriarcali che li costituiscono
qualsiasi sia il loro orientamento sessuale, come potenti soggetti femminili.
!
2.6. Iconicità narrativa nei racconti di coming-out saffici delle e-mail
A causa del presupposto che la società eterosessista dominante pone che ogni persona sia
eterosessuale fino a prova contraria che gli uomini e le donne omosessuali hanno per l’intero corso
della propria esistenza, un numero infinito di situazioni in cui si deve sperimentare e rivelarsi
‘all’altro’: sebbene non tutti gli uomini e non tutte le donne omosessuali fanno una decisione
conscia di dichiararsi al contesto familiare, sociale e lavorativo, dichiarando la propria
omosessualità, coloro che lo fanno spesso raccontano queste esperienze nei racconti di coming-out.
Penelope e Wolfe spiegano che i racconti di coming out spesso descrivono un processo di
autoriconoscimento e accettazione che si estende per anni, anche per decadi.
Il coming out comporta la rivelazione dell’identità di qualcuno a sé stessi, ai membri della famiglia,
ai colleghi e alle comunità: le storie di coming-out caratterizzano due livelli del percorso, ovvero gli
eventi esterni del diventare una donna omosessuale, ovviamente per le donne omosessuali che ora si
affronta, e i processi interni che accompagnano questi eventi.
Una domanda comune e di rito che si pone per iniziare la conversazione nelle comunità omosessuali
femminili di classe media, bianche e autoidentificatesi come omosessuali nei paesi anglofoni è
‘Quale è la tua storia di coming out?’: per rispondere a questa domanda, le donne omosessuali in
queste comunità devono fare ciò che tutte le persone fanno quando raccontano una storia di vita,
ovvero scegliere quali parti delle loro vite racconteranno, mentre si rispettano i vincoli sociali e
linguistici del racconto.
Studi interdisciplinari nell’antropologia, nella critica letteraria e nella linguistica, suggeriscono che
tutte le storie del genere dei racconti di vita esibiscono una qualità del ‘C’è ancora molto da dire ma
finisco qui’309, vale a dire che le persone non hanno una comprensione rigida e fissa delle loro vite,
invece come Linde evidenzia, quando le persone raccontano le loro storie di vita e le storie dei
cambiamenti personali, loro raccontano diverse versioni delle loro esperienze, trasformando il
passato e creando nuovi significati per sé stessi310.
!309
!310
!281
Stromberg nel suo studio sulle storie di conversione religiosa, dimostra che le storie di vita sulla
trasformazione della propria esistenza sono modi di etichettare le esperienze e dar loro coerenza,
modi che condividono e formano il passato tanto quanto lo rappresentano: ciò che rende unico
l’insieme delle storie di coming-out, comunque, è che il coming out non può essere rappresentato
come un singolo evento, come il giorno in cui qualcuno accetta la religione nella sua vita, ma deve
essere rappresentato come una serie di esperienze di vita intensa.
Vale a dire che gli uomini omosessuali e le donne omosessuali devono narrare una vita che non è
oltre e caratterizza come sostiene Liang, la natura ‘processuale’ del coming out: lo studio di
Kathleen M. Wood punta ad esaminare quattro storie di coming-out lesbico via e-mail per mostrare
che i fini di queste storie hanno una relazione iconica alla funzione interpersonale contestuale, vale
a dire che le loro configurazioni narrative indicano l’autentica natura ‘processuale’ del coming-out:
gli approcci dell’analisi discorsiva tradizionali per narrare l’analisi frequentemente inizia con il
lavoro di Labov, in cui lui descrive il prototipo o ‘la narrativa ben fatta’, che ha un estratto, un
orientamento, un’azione complicante, una stima, risultato o risoluzione ed un termine311.
Labov spiega che ‘una narrativa completa inizia con un orientamento, procede verso l’azione
complicante, è sospesa nella focalizzazione della stima prima della risoluzione, conclude con la
risoluzione e ritorna all’ascoltatore al tempo presente con il termine’: lui spiega che le risoluzioni e
le code della risposta narrativa rispondono alla domanda ‘cosa accade alla fine?’ e dare una fine al
testo.
Sebbene lo studio di Kathleen M. Wood è buono per caratterizzare strutturalmente le narrative delle
storie di vita, non li caratterizza funzionalmente, perché le domande che vigono sono: come questa
struttura narrativa prototipa che è generalmente associato con le narrative conversazionali,
specialmente la sequenza di termine/risoluzione, manifesta in questi dati e-mail e come si visualizza
la natura ‘processuale’ del coming out?
Ishikawa suggerisce che il significato non deriva dal contesto semantico della sola forma che le
forme linguistiche segnalerebbero il significato interattivo oltre ciò che la struttura indica: si è
focalizzato su due forme alla fine delle storie di coming-out, la sequenza risoluzione/termine della
narrativa e il termine dell’estratto del racconto312, mentre il fine è che si raffiguri il coming out
come il processo lungo quanto è lunga la vita.
!311
!312
!282
Dopo aver registrato e trascritto una storia di coming out di un amica della Wood, si è notato che il
punto in cui la storia appare porsi verso una fine, l’autrice aveva una serie di risoluzioni, finali e
qualche altra narrativa: in particolare quando finalmente terminò la storia, la definì la versione
‘breve’.
Tenendo in considerazione che questa sequenza processuale di risoluzioni-finali avvengono in una
storia di coming out parlata e controversa, si è deciso di esaminare le storie lesbiche di coming-out
raccontate in vari contesti: le quattro storie prese in considerazione da Wood sono state tratte per la
precisione da una lista totalmente lesbo di distribuzione di 35 membri di corrispondenza e-mail e
Tess, Kelly, Heidi e Helen sono le autrici (questi dati rappresentano tutte le risposte che Wood ha
ricevuto dalla sua inchiesta, per cui la lista di distribuzione comprende sia donne udenti che non
udenti e due delle intervistate, Tess e Helen, sono non udenti anglofone).
!
Tess (si premette che ha avuto difficoltà su come concludere il suo racconto), una studentessa
bianca part-time e professionalmente full-time, ha spedito il primo e il più breve dei quattro
racconti: sebbene Tess non è udente e ci si aspetterebbe che la sua storia contenga le prove delle
identità lesbiche non udenti, non c’è niente che marchi apertamente questa storia di coming-out
come diversa da storie di donne udenti.
Si può vedere che lei narra alcuni eventi e nelle linee 15-17, li valuta: dopo aver descritto il suo
coming out ai membri della sua famiglia, lei afferma
15 I don’t have much of a coming out story to tell because it hasn’t been that
16 dramatic for me or anyone else. I guess it would be different if I had a long17 term relationship.
Dopo questa risoluzione/termine nelle linee 15-17, lei è ritornata indietro nel mondo della storia del
passato e inizia a narrare un’altra parte della sua esperienza di ‘coming out’ nelle linee 19-22:
19 When I attended my (nice) sister’s wedding, I felt very out of place, as if I
20 was celebrating values that weren’t mine, among people I didn’t even know very
21 well, and who were living in totally different worlds than I was experiencing
22 That event was the last time I remember being asked when I would get Married.
Nella linea 19, ‘When I attended my (nice) sister’s wedding, I felt very out of place’, sta ora
raccontando un’altra storia e nella linea 22 ‘That event was the last time I remember being asked
when I would get Married’, lei lo stima e conduce il lettore fuori dal mondo della storia: la storia
!283
del coming out di Tess è una combinazione di due narrative più brevi, per cui la prima è il coming
out alla famiglia e il secondo che partecipa al matrimonio della sorella carina.
Sebbene termini la seconda storia con una risoluzione/termine della narrativa al rigo 22 ‘That event
was the last time I remember being asked when I would get Married’, lei non fornisce più alcun
termine di chiusura alla globalità del racconto di coming-out.
Schiffrin descrive questa trama di racconto di coming out come una forma di ‘occasione sociale’ e
suggerisce che fornisca a coloro che raccontano la storia un ‘frame dominante entro cui ciò che è
detto è compreso’: sebbene Tess indirizza questo frame del racconto della storia di coming out nella
linea 15, ‘I don’t have much of a coming out story to tell’, lei non chiude il frame del racconto alla
fine della sua storia di coming out (‘so that’s my coming-out story’).
Al contrario il termine/risoluzione della narrativa alla sua seconda e finale narrativa funziona
necessariamente come chiusura dell’intera sua storia.
!
Diversamente da Tess che si riferisce al frame del racconto della storia in fase intermedia alla storia,
Kelly lo indirizza direttamente all’inizio della sua storia nella linea 10, ‘I’m 41 years old so it could
be a long story <grin> e chiude alla fine questo frame di racconto: la storia del coming out di Kelly
inizia con la sua adolescenza in una piccola città nel sud del Maryland e nelle linee 83-90, Kelly
descrive il coming out ai suoi genitori, focalizzando sulla reazione di sua madre:
83 At 25, I entered into what was to become the longest relationship I’ve ever
84 had. It lasted nearly 13 years-until I was 38. I’ve been single the last
85 three years. During the time of the break-up, I was such a basketcase,
86 that I finally came out to my parents because I felt that they deserved an
87 explanation for my unsually depressed behavior. My mother cried for about
88 15 minutes…I thought she was concerned about my heartbreak…but she was
89 more worried about my ‘herafter’…convinced that I would be spending
90 eternity in hell, I ended up comforting her.
Nella linea 90, lei risolve la narrativa con la risoluzione della narrativa ‘I ended up comforting her’:
dopo di questo, lei fornisce ciò che funziona come il termine finale della storia, nelle linee 90-93.
90 eternity in hell. I ended up conforting her. Since that time, my parents
91 have been very supportive of me… and I’m grateful for that, I’ve tried
92 very hard to convince them that I’m happy with my life and there’s nothing
93 they did to ‘cause’ me to be this way. Whenever I go to Florida for a
!284
‘Since that time’ segnala il termine di questa storia, il termine prototipico, ma dopo questa fine, lei
continua a raccontare un’altra storia nelle linee 93-95:
93 they did to ‘cause’ me to be this way. Whenever I go to Florida for a
94 visit, my mother always takes me by the arm so she can introduce me to all
95 of her friends…she’s obviously proud of me and wants folks to know who I
96 am. That’s a good thing.
Questa storia, che derivò dopo ciò che si potrebbe considerare un termine, effettivamente postpone
la chiusura e lei lo risolve con il rigo 95:
95 of her friends…she’s obviously proud of me and wants folks to know who I
96 am. That’s a good thing.
Nella linea 96, ‘That’s a good thing’, lei fornisce un altro termine di storia, conducendo il lettore al
presente e fuori dal mondo del racconto, e dopo aver fatto ciò, nelle linee 98-102, fornisce una
chiusura del frame del racconto per terminare il racconto della narrativa come si vede dalle linee
101-102 ‘Hope this story will be help to you…good luck on your paper’.
98 So I guess that’s my ‘lifestory as a lezzie’…not to[o] exciting or
99 unusual, I think. I’m happy and confident and pleased about how I’ve
100 turned out. My life so far has been a good one…and I hope it continues to
101 be tha way. Hope this story will be a help to you…good luck on your
102 paper.
In aggiunta a questa sequenza narrativa di fine-inizio-fine raffigura la natura processuale del
coming out nelle linee 98-102 con indicazioni sintattiche della natura processuale del coming out:
specificatamente le linee 99-100 contengono la forma perfetta presente del verbo ‘I’ve turned out’,
indicando un processo che era iniziato nel passato ed è continuato nel presente.
99 unusual, I think. I’m happy and confident and pleased about how I’ve
100 turned out. My life so far has been a good one…and I hope it continues to
Allo stesso modo, nella linea 100 lei usa il marcatore avverbiale ‘so far’ e la forma perfettiva
presente ‘has been’, di cui entrambi specificano un evento in corso fino al presente: nelle linee
100-101 usa ora la struttura ‘continues to be’
100 turned out. My life so far has been a good one…and I hope it continues to
101 be that way. Hope this story will be a help to you…good luck on your
Queste linee contengono un lessico orientato al processo e alle strutture sintattiche che mostrano la
natura processuale del coming out.
!285
!
Come la storia di Kelly, la storia del coming-out di Heidi è formulata il frame del racconto della
storia: Heidi inizia con la linea 5 ‘Hmmm, ok, coming-out stories, huh?’ che apre il frame del
racconto.
Nella sua narrativa al rigo 66, lei riferisce di una serie di storie sul coming out ai membri della sua
famiglia e di come lei ha incontrato il partner della sua vita, Gina, per cui alla fine del suo racconto
del coming out a sua madre e al suo patrigno, nelle linee 41-50, lei continua con:
41 The next week, I ended up at my mother and step-father’s house for a week, with
42 most of my relatives, while we grieved for my brother immediately after his
43 death. During that week, I came out to most of the rest of my family,
44 including my mother, who has many lesbian friends and often talks about her
45 sexuality in terms of ‘if I had been born in a different era…’ She was
46 elated. After years of seeing me try to be someone I wasn’t in order not to
47 threaten the men I dated, she was really pleased to see me accept myself. As
48 she now puts it, it was very special for her that while we grieved for my
49 brother who never felt he could discouver who he was, I was announcing that I
50 HAD found my niche.
Heidi risolve la storia, che segnala il risvolto e il cambio dal mondo della storia spostandosi al
tempo presente alla linea 48:
47 threaten the men I dated, she was really pleased to see me accept myself. As
48 she now puts it, it was very special for her that while we grieved for my
49 brother who never felt he could discouver who he was, I was announcing that I
50 HAD found my niche.
Questo tempo presente ‘puts it’ al rigo 48 segnala la sua stima e un tirar via dal mondo della storia:
nelle linee 49-50 lei imposta anche un’opposizione tra ciò che il suo fratello non poteva mai fare e
ciò che lei fece:
49 brother who never felt he could discouver who he was, I was announcing that I
50 HAD found my niche.
Lei enfatizza tale opposizione scrivendo a lettere maiuscole tutto HAD nella linea 50, marcandolo
come una risoluzione alla sua storia: questa forma perfettiva del verbo ‘had found’ indica anche
l’azione che inizia al passato e continua per del tempo: il suo termine di frame del racconto inizia
nell’ultimo paragrafo 52-53:
!286
52 Basically, the rest of the story is the same. Almost uniform and glowing
53 support from all my family (YAY family!). The few people who were stumbling
In questo termine nella linea 52, lei ha abbandonato il mondo della storia, e si sta preparando per
concludere il suo frame narrativo, ma nel corso del paragrafo (linee 55-58) Heidi inizia a narrare
un’altra storia e racconta di un altro coming out, prima segnalando la sua intenzione con ‘in one
instance…’
55 In one instance, my other brother, Steve, was lamenting that he hadn’t ‘been
56 there’ for David, and that he hadn’t known him very deeply. I took that
57 opportunity to say ‘well look, Steve, let’s not let that happen with us; let me
58 tell you who I am…’ I think it went down easier that way.
Lei ha risolto questa storia con il commento valutativo al rigo 58 ‘I think it went down easier that
way’, dopo di che lei ha chiuso l’intero racconto con un termine di frame del racconto alle linee
61-64:
61 There’s more, but I’ve probably given you way more than you wanted anyway.
62 Thanks Kathy for letting us tell our stories! I’d love a copy of what you come
63 up with. By the way, I don’t need to be anonymous, in case that makes any
64 difference to you.
Al rigo 61, ‘there’s more’, Heidi allude alla presenza di una fonte di storie, precedenti ai ‘testi’ che
costituiscono la sua esperienza di coming-out, indicando che la storia qui narrata non è la sua intera
storia: in questo riferimento lei suggerisce che la sua storia non è completa ma che per ora la sua
narrazione è finita, ovvero come Tess e Kelly, Heidi ha linguisticamente mostrato la natura
processuale del coming out.
!
Come Heidi, Helen forniva e faceva riferimento al frame del racconto all’inizio della sua storia al
rigo 6 ‘Okay…to help out a fellow (riferimento al titolo della lista email), ecco la mia storia’: entro
questo frame Helen racconta la versione del rigo 107 della sua esperienza crescendo in un contesto
rurale e scoprendo che era ‘diversa’ mentre era alle scuole medie.
Più tardi nella storia, Helen descrive la vita da collegio in cui lei lesbica non udente aveva a che fare
con due identità: alla fine del suo racconto, nelle linee 89-92 lei segnala la fine della storia con un
termine narrativo iniziante con ‘At this point’ al rigo 86
86 openly. At this point, it is common knowledge in my family. My
87 aunts, uncles, cousins, sisters and grandparents all know about my
!287
88 sexual orientation. Whenever my sisters and I get together, they always
Ma dal rigo 88, Helen ha iniziato un’altra storia, una che è avvenuta in un passato recente:
88 sexual orientation. Whenever my sisters and I get together, they always
Lei procede con più narrativa nelle linee 88-92:
88 sexual orientation. Whenever my sisters and I get together, they always
89 ask, ‘Have you found a partner yet?’ This past Thanksgiving, we discussed
90 artificial insemination (sp?) and approaching my nephews about my
91 gayness. I have five nephews (ages 8 to 18 months) and a neice who is
92 now 5 months old.
Non corona questo racconto con un termine ma al contrario procede immediatamente verso un’altra
storia sull’essere molestate al rigo 94-102: in questa storia l’ambiente di riferimento è un dormitorio
per studenti che sono non udenti e ogni stanza è sostenuta con un campanello-luce in modo tale che
gli occupanti possano vedere quando qualcuno sta suonando alla porta
94 during my undergrad years here at (school), I have been involved in activities
95 and issues related to homosexuality. I was openly gay. I told a few
96 friends and the world kinda spread around. I did not care one whit how
97 others thought/felt about me. However, in my freshman year, I did
98 encounter some harrasment. One Thanksgiving prior to my upcoming trip,
99 someone kept flicking my light and disappeared. Knowing (gut istinct)
100 the culprit, I went over to the other wing and flicked his light. I
101 said in no uncertain terms that if he was to harrass me further, I would
102 report him. It had the intended effect. Harrassment stopped there forever!
Lei termina questa storia con un termine/risoluzione al rigo 102, ‘Harrassment stopped there
forever!’
105 Boy, wasn’t this a bit long?????? (a lot better than doing it in some
106 dark bar!)
Sebbene Helen termina il suo racconto rapidamente, lei fornisce un finale in cui riconosce il
racconto di una storia, nella chiusura del frame del racconto alle linee 105-106, e segnala che la sua
storia di coming out era ‘lunga’.
!
!288
Nelle quattro storie di coming out che Wood presenta, la natura continuante del processo di coming
out è riflessa nelle forme linguistiche e nella configurazione della sequenza di risoluzione/termine
finale: le strutture narrative alla fine di questi racconti sono riassunti nello schema seguente
STORIA DI COMING OUT LESBICO
FINALI DELLA STORIA DI COMING OUT
Tess
Termine del frame narrativo+ narrativa+termine/
risoluzione della narrativa
Kelly
Narrativa+ termine/risoluzione della narrativa+
narrativa+ termine/risoluzione della narrativa+
termine del frame narrativo
Heidi
Narrativa+termine/risoluzione della narrativa+
termine del frame narrativo+ narrativa+termine/
risoluzione della narrativa+termine del frame
narrativo
Helen
Narrativa+ termine/risoluzione della narrativa
+narrativa+narrativa+termine/risoluzione della
narrativa+termine del frame del racconto
!
In ciascuno di queste storie di coming out lesbico la sequenza di termine/risoluzione finale è
iconica, riguardante il finale mai determinato, la natura processuale del coming out alle forme
linguistiche dei finali di queste storie: nella più breve di queste storie, Tess risolve la storia che
racconta, fornisce un termine del frame narrativo nella linea 15 ‘I don’t have much of a coming out
story’, ma poi continua a raccontare un’altra storia che inizia al rigo 19, ‘When I attended my (nice)
sister’s wedding. I felt very out of place’, dopo che fornisce un termine/risoluzione narrativo alla
linea 22, ‘That event was the last time I remember being asked when I would get Married’.
Tess elimina un intero termine di frame narrativo, di quelli che avrebbero effettivamente
riconosciuto il racconto, indicando che c’è di più da raccontare: nella storia di Kelly, lei risolve una
narrativa e fornisce un termine nei righi 90-91 con ‘Since that time my parents have been very
supportive of me’.
Tuttavia lei racconta un’altra storia e conclude la precedente con un altro termine/risoluzione al rigo
98 ‘So I guess that’s my ‘lifestory as a lezzie’ e alla fine fornisce anche un termine del frame
!289
narrativo in cui conclude il frame del ‘racconto della storia’ nelle linee 101-102, ‘Hope this story
will be a help to you…good luck on your paper’.
Heidi risolve una storia e fornisce un termine nel rigo 52 con ‘Basically, the rest of the story is the
same’, ma come Tess e Kelly, lei inizia un’altra storia al rigo 55, ‘In one instance, my other brother,
Steve, was lamenting…’: dopo questa storia, lei risolve la narrativa su Steve e fornisce un termine/
risoluzione della narrativa e al rigo 61 dà un termine del frame narrativo ‘There’s more, but I’ve
probably given you way more than you wanted anyway’.
In questo termine, come Kelly e Helen, lei chiude il frame narrativo: in maniera conforme a questo
schema di fine e inizio alla fine della narrativa, Helen risolve una narrativa e fornisce il suo prime
finale nella linea 86 ‘At this point, it is common knowledge in my family’: dopo di questo lei
racconta un’altra storia, la risolve e fornisce un termine di frame narrativo al rigo 105 ‘Boy wasn’t
this a bit long??????’.
In aggiunta all’avere questa struttura narrativa del fine-inizio-fine alla fine delle loro storie di
coming out, Kelly e Heidi fanno commenti diretti sulla natura processuale del coming out, usando
forme sintattiche e lessicali come quella di Heidi al rigo 61 ‘There’s more’ e al rigo 100 di Kelly
‘My life so far has been…’: questi marcatori sintattici-lessicali e la struttura dei finali delle
narrative sono ritratti iconici della natura processuale del coming-out.
!
Le storie di coming out lesbico sono gli adattamenti linguistici in cui i narratori raccontano eventi e
percezioni, creano identità coerenti, a volte identità simultanee come nel caso delle donne
omosessuali non udenti, e caratterizzano il processo di coming out: sebbene esiste una mancanza di
studi correlati alle storie via e-mail, Kiesler e altri suggeriscono che i fattori psicosociali (pressioni
processuali di tempo e informazione, assenza di regolazione feedback, pochi spunti sullo stato e la
posizione, anonimato sociale e calcolare norme e un’etichetta immatura) influenzano queste
trasmissioni, inoltre provocano ciò che noi capiamo sulla natura delle storie parlate e scritte.
Le storie mostrano la stessa relazione iconica tra le forme delle narrative e la natura processuale del
coming out che si è osservato nelle storie di coming out narrate oralmente, nonostante l’intento
dello studio di Wood è prevenire la discussione di queste caratteristiche comunicative mediate dal
computer: in aggiunta alle differenze tra storie parlate, scritte e virtuali.
In aggiunta alle differenze tra storie parlate, scritte ed elettroniche, esiste molto da imparare sul
compito della gestione di diversi frame linguistici (il frame del racconto e i finali narrativi), identità
multiple (non udente/lesbica) e la natura incompleta e processuale del coming out: sebbene Wood
!290
evidenzi delle somiglianze tra le storie di coming out e le altre storie di vita questo studio evidenzia
il fatto che le storie di coming out non costruiscono solo e mostrano una vita ma costituiscono l’atto
performativo del coming out stesso.
Mentre le storie di vita eterosessuali sul matrimonio potrebbero fortemente influenzare il modo in
cui il narratore percepisce la sua vita come storie di cambiamento personale, le narrative dei coming
out lesbici non solo riflettono ma creano quel cambiamento di stato: le fini di queste storie sono
iconiche e appaiono processuali perché le lesbiche raccontando del loro vissuto, sono riuscite
davvero a dirsi la loro essenza.
!
2.7. La comunità discorsiva omosessuale
Si conclude questo capitolo ricordando degli elementi base di questo capitolo, per cui la nozione di
comunità discorsiva, che è una componente basica della teoria linguistica: le comunità linguistiche
sono costruite solitamente attraverso nozioni astratte di parlanti ideali che vivono nelle comunità
che mostrano uso omogeneo di lingua.
Nello studio di Barrett tale nozione viene affrontata da una prospettiva queer e operando sulla tesi
di Mary Louise Pratt di ciò che lei chiama una ‘linguistica della comunità’, ovvero linguistica
incentrata intorno alla nozione di comunità discorsiva, si esaminano i modi in cui le nozioni
tradizionali di una comunità discorsiva omogenea non si legano adeguatamente alla nozione di
comunità discorsiva ‘homo-genius’ (una comunità che è essenzialmente e di base omosessuale o
queer)313.
Nel considerare una vera comunità queer, la nozione di comunità stessa è chiamata in questione:
infatti, la varietà degli studi finora proposti suggerisce che alcuna definizione complessivamente
esterna di ciò che costituisce l’appartenenza alla comunità queer permetterà adeguatamente per la
varietà di relazioni sociali che possa essere vista come queer: nel considerare i modi in cui qualcuno
potrebbe iniziare a sviluppare una linguistica queer, Barrett sostiene che la linguistica fondata sulla
nozione di comunità non può adeguatamente trattare gli usi queer della lingua.
Invece, Barrett propone che la linguistica queer prenda la forma di ciò che Pratt chiama una
‘linguistica del contatto’ in cui la nozione di comunità e identità non sono ritenute essere categorie
esternamente definibili: come un esempio delle direzioni che tale linguistica potrebbe prendere,
Barrett parte dalla sua personale esperienza e precedente ricerca per discutere brevemente il gergo
!313
!291
degli uomini omosessuali, più specificatamente ciò che in inglese è noto come ‘bar queen’, nel
Texas.
La prospettiva da lui offerta è da un punto di vista dell’omosessualità maschile e presume le
questioni dell’uso della lingua dell’omosessualità femminile, della bisessualità maschile e
femminile e della transessualità da uomo a donna e da donna a uomo, potrebbero essere un po’
diversi dalle questioni rilevate agli uomini omosessuali: per questo, piuttosto che tentare di fornire
una prospettiva onnicomprensiva, Barrett fornisce una forma di prospettiva dell’omosessualità
maschile con la speranza che altri approcci queer contribuiranno all’evoluzione di una
comprensione migliore degli usi queer della lingua.
Seguendo quindi il lavoro di Ferdinand de Saussure e Noam Chomsky, la maggior parte dei
linguisti contemporanei nelle società occidentali hanno focalizzato sulle proprietà formali della
struttura linguistica: Saussure argomentava che la ‘prima preoccupazione’ dei linguisti deve essere
lo studio della struttura linguistica ‘indipendentemente definibile’ trovata in una data società.
Saussure vedeva la struttura linguistica come parte di un legame sociale che potrebbe differire
attraverso invidividui ma che esiste nella sua forma più pura ‘solo nella collettività’ di tutti i
membri di una data società314: Chomsky spostava questa struttura linguistica ‘perfetta’ nella mente
di un singolo parlante ideale che riflette la struttura linguistica omogenea uniformemente trovata
nella sua società
La teoria linguistica attiene in primis con un parlante-ascoltatore ideale, in una comunità
linguistica completamente omogenea, che conosce la sua lingua perfettamente e non è influenzata
da tali condizioni grammaticalmente irrilevanti come i limiti della memoria, le distrazioni, i turni di
attenzione e interesse e gli errori rari o caratteristici nell’applicazione del suo sapere della lingua
nella performance attuale.
Data l’assunzione di una comunità di parlanti completamente omogenea, appare naturale permettere
ad un parlante ‘ideale’ di stare nel luogo dell’intera comunità: come Pratt ha notato, comunque, i
parlanti ideali astratti non possono essere costruiti in una moda socialmente neutrale e nella pratica
questi parlanti ascoltatori ideali sono tipicamente loro stessi linguisti, usando le intuizioni per
scoprire la loro propria ‘competenza’ linguistica315.
!314
!315
!292
In altri casi, un consulente di un parlante nativo potrebbe esprimere il sapere della sua lingua ad un
linguista come un mezzo per scoprire la struttura linguistica trovata attraverso una comunità
omogenea: in ogni caso, qualche considerazione è data alla quantità di socializzazione che è andata
nella costruzione della competenza linguistica di un dato parlante.
Nella teoria, la ‘grammatica’ generata dal contesto chomskiano è pensata per riflettere il sistema
formale della lingua trovata in qualsiasi e in tutte le società date: V. N. Voloshinov ha argomentato
che questo sistema formale esiste solo ‘dal punto di vista della coscienza soggettiva di un parlante
individuale che appartiene a qualche gruppo linguistico particolare in qualche particolare momento
storico’316.
Mettendo a disagio la natura soggettiva del posizionamento di un sistema astratto ‘obiettivamente’
formale della lingua, i linguisti hanno ignorato tipicamente il fatto che la ‘grammatica’ che
propongono è nella pratica attuale, di solito l’elaborazione del concetto astratto di inglese
‘standard’: rimuovendo la variazione sociale dal sistema della lingua, i linguisti formali
ricodificavano le norme molto prescrittive che dichiaravano di rifiutare.
Studi recenti nell’economia politica della lingua317 hanno dimostrato che il concetto di lingua
‘standard’ ha un ruolo cruciale nel sostenere e rinforzare la struttura di potere in una data società:
dichiarando che una lingua come l’inglese, per esempio, può essere ridotta ad un sistema formale
che è condiviso da tutti i membri di una società e poi ponendo su uno stesso livello che una lingua
condivisa con lo ‘standard’, i linguisti hanno paragonato la ‘grammatica’ della società nella sua
stragrande maggioranza con un concetto astratto di lingua che è un mezzo attraverso il quale la
classe dominante mantiene il potere.
Come nota Pratt, la ‘grammatica condivisa’ corrisponde ad un ‘patrimonio condiviso’318: si assume
che ‘l’inglese’ sia equivalente alle intuizioni degli uomini e di alcune donne, della classe media,
bianchi e settentrionali, per cui il problema non si ferma con gli studi dell’inglese.
I paradigmi come la teoria del GB chomskiano che sono basati sull’inglese ‘standard’, sono poi
applicati ad altre lingue in tutto il mondo, spesso con l’effetto di forzare la struttura di queste lingue
per conformarsi alle strutture proposte per l’inglese: Van Valin, per esempio, ha evidenziato che la
maggior parte degli studi linguistici, in particolare la teoria del GB, forzano i linguisti a garantirsi
!316
!317
!318
!293
che le strutture linguistiche di una data lingua ‘possano essere accomodati entro qualche prospettiva
teorica data in precedenza’319.
Per questo motivo le lingue ‘esotiche’ sono forzate nella ricerca teorica basata sull’inglese, anche se
le strutture attuali di queste lingue non sono particolarmente ben adatte per le descrizioni in questa
ricerca basata sull’inglese: la versione della grammatica universale prodotta dalla maggior parte dei
resoconti di sintassi generativa, tipicamente forza tutte le lingue del mondo a conformarsi ad una
gamma di concetti derivati dalla soggettività della struttura della lingua basata sulle intuizioni che
riflettono la ‘grammatica’ della classe dominante negli Stati Uniti.
Contrariamente all’esser priva di significato sociale, il programma di linguistica formale serve come
un mezzo di legittimizzazione del dominio della classe dominante americana forzando lo studio di
qualsiasi lingua per conformarsi ad una idealizzazione derivata dall’inglese ‘standard’: è un mezzo
di ‘produzione del consenso’ per la struttura di potere del patriarcato colonialista bianco.
Nel tentativo di superare tali problemi, i sociolinguisti hanno focalizzato sulla variazione nel
carattere formale della lingua e hanno spostato la natura omogenea della lingua dal ‘sistema’ stesso
alla gamma di ‘norme’ impugnate entro una comunità linguistica-discorsiva: Gumperz e Labov
hanno entrambi argomentato che una comunità linguistica-discorsiva è definita dai ruoli condivisi e
dalle norme per l’uso linguistico.
Gumperz scrive che aderire in una comunità linguistica è basato sul sapere condiviso di ‘coercizioni
comunicative e opzioni governanti un numero significativo di situazioni sociali’320: Gumperz
considera questo sapere condiviso come una comprensione di come la lingua codifica il significato
sociale
I membri della stessa comunità linguistica non hanno bisogno tutti di parlare la stessa lingua né
usare le stesse forme linguistiche su occasioni simili. Tutto ciò che è richiesto è che ci sia almeno
una lingua in comune e che le regole che governano le strategie comunicative di base siano
condivise in modo tale che i parlanti possano decodificare i significati sociali trasmessi dai modi
alternativi di comunicazione.
In teoria il makeup di una comunità linguistica non ha bisogno di riflettere qualsiasi comunità
definita in termini esterni come l’etnicità, la religione, la nazionalità, il genere, l’orientamento
sessuale, etc…, sebbene Gumperz nota che i confini di una comunità discorsiva ‘tendono a
!319
!320
!294
coincidere con unità sociali più profonde’: nella pratica attuale, comunque, questi confini condivisi
sono stati spesso assunti e anche dove non sono assunti, i confini delle comunità discorsive spesso
terminano delineando un dato gruppo sociale entro la società.
L’appartenenza di tali comunità spesso tende a reificare stereotipi di una comunità definita dai
fattori extralinguistici: questo è il caso con lo studio innovativo di Labov dell’inglese vernacolare
afroamericano, per cui la definizione di Labov di una comunità linguistica differisce leggermente da
ciò che Gumperz in questo studio di Labov trova sapere condiviso negli schemi comportamentali,
piuttosto che nella comprensione della relazione lingua/società.
Tuttavia, entrambe le definizioni assumono che sono le norme condivise per l’uso che definiscono
una data comunità linguistica: Labov definisce la comunità linguistica come segue
La comunità linguistica non è definita da qualsiasi accordo marcato nell’uso degli elementi
linguistici, così tanti come dalla partecipazione in una gamma di norme condivise; queste norme
potrebbero essere osservate in tipi aperti di comportamento valutativi, e attraverso l’uniformità di
schemi astratti di variazione che sono invariati rispetto ai particolari livelli di uso.
Nello studio di Labov il sistema linguistico di una comunità linguistica contiene variabili
linguistiche (come la presenza o assenza di una /r/ a finale di parola), ma l’apparenza di tali
variabili mostra schemi statistici legati sia alla classe sociale che ‘all’attenzione pagata alla
discorsività’321: se qualcuno si basa sulla definizione di una comunità discorsiva sulle norme (o gli
schemi statistici per riflettere tali norme), qualcuno potrebbe aspettarsi l’aderire alla comunità per
rispecchiare il comportamento attuale.
Nella pratica attuale, comunque, l’uso di misure statistiche ha a volte reificato stereotipi esterni
dell’aderire alla comunità: nel lavoro di Labov per esempio i ‘membri’ della comunità linguistica
afroamericana erano principalmente maschi eterosessuali nell’età compresa tra i 9 e i 18 anni che
appartenevano a delle gang distese per strada ad Harlem322.
Morgan ha argomentato che lo studio di Labov dei lames ha perpetuato un’immagine stereotipata
dell’adolescente disoccupato come rappresentativo dell’intera comunità afroamericana323: nello
studio di Labov, i parlanti che non si adattavano agli schemi statistici che ‘definivano’ la comunità
linguistica afroamericana erano classificati come lames per cui erano periferici alla cultura
vernacolare.
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!295
Il termine lame era usato da uomini giovani nello studio per riferirsi a coloro che ‘non sono hip, dal
momento che non giacciono per strada’: Labov offre diverse ragioni per considerare qualcuno un
lame
Esistono molte ragioni poiché qualcuno sia un lame. La separazione dal gruppo di coetanei potrebbe
aver luogo sotto l’influenza dei genitori o della scuola, o della propria percezione del singolo
individuo dei vantaggi della cultura dominante; dall’altro canto, lui potrebbe essere troppo malsano
o troppo debole per partecipare alle attività vernacolari del gruppo di coetanei o potrebbe essere
rifiutato dai gruppi di coetanei come difettoso mentalmente o moralmente (un punk).
Nell’inglese vernacolare afroamericano il termine punk è generalmente usato per riferirsi agli
omosessuali324, per questo i gay afroamericani (i ‘moralmente difettosi’) non costituiscono membri
‘reali’ della comunità linguistica: allo stesso tempo, la maggior parte delle ricerche sull’inglese
vernacolare afroamericano ha ignorato le donne325.
Il processo del limitare i partecipanti allo studio ad una sottocategoria specifica di membri possibili
nella comunità linguistica afroamericana crea una ricerca sperimentale circolare in cui la scelta dei
partecipanti limita la gamma dell’uso della lingua in modo tale che l’omogeneità della comunità
linguistica è stata predeterminata: nel caso dello studio di Labov sulla comunità linguistica
afroamericana, l’approccio scientifico presumibilmente dell’uso di schemi statici come la base per
determinare l’appartenenza alla comunità è servita a ristabilire uno stereotipo bianco di ciò che
costituiscono i membri ‘tipici’ della comunità afroamericana.
Come lo studio di Labov della comunità linguistica afroamericana, gli sforzi per studiare la
discorsività degli uomini omosessuali hanno ristretto generalmente l’appartenenza della ‘comunità
linguistica’ in qualche modo: gli studi della lingua degli uomini omosessuali hanno focalizzato
quasi esclusivamente la classe media euroamericana (Gaudio include un afroamericano nel suo
studio dell’intonazione gay ma non include l’etnicità come un fattore nella sua analisi finale) e
sforzandosi di definire la ‘comunità omosessuale’, molti linguisti hanno focalizzato sui loro propri
concetti personali della loro ‘comunità’.
A causa della struttura di potere della società americana, molti accademici sono infatti bianchi e di
classe media: mentre lo studio degli uomini omosessuali bianchi e di classe media è sicuramente
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tanto valido quanto lo studio di qualsiasi altro segmento della società, è importante che gli uomini
bianchi della classe media non ‘valgano’ per l’intera comunità omosessuale.
Le rappresentazioni della comunità omosessuale come una comunità ‘bianca’, combinate con le
rappresentazioni delle comunità di minoranza come comunità ‘eterosessuali’ (come la comunità
linguistica afroamericana di Labov) servono a mantenere le categorie esclusive d’identità
stereotipata che collocano molti gay e lesbiche fuori sia dalle comunità queer sia dalle comunità
costruite sulla base dell’etnicità: un numero di gay e lesbiche di colore hanno espresso sentimenti
laceranti tra l’identità queer e l’identità etnica326.
Gli stereotipi sociali che creano tali dicotomie tra le identità queer e le identità etniche sarebbe
un’area valida per lo studio linguistico: riproducendo tali dicotomie attraverso un paradigma teorico
che assume esternamente ‘comunità’ definibili ‘basate su categorie identitarie non solo riproduce
potenzialmente gli stereotipi dannosi; fallisce a dipingere accuratamente una realtà sociale in cui le
persone potrebbero avere identità multiple che si sovrappongono e che non potrebbero cadere
facilmente nelle ‘comunità’ basate per categoria.
Sebbene collocare l’omogeneità al livello delle ‘norme d’uso’ potrebbe aiutare a risolvere alcuni dei
problemi che accrescono dall’ignorare la variazione sociale nella lingua, potrebbe risultare nelle
rappresentazioni stereotipate che sono forse non meglio di queste fornite dalle descrizioni formali
linguistiche dei sistemi linguistici ‘omogenei’: Voloshinov ha argomentato che le ‘norme
comunitarie’ occupano una ‘posizione analoga’ al sistema linguistico omogeneo in ciò che entrambi
‘esistono solo rispetto alla coscienza soggettiva dei membri di qualche comunità particolare’.
Le ‘norme’ per usare la lingua sono per questo motivo una gamma soggettiva di concetti attinenti a
quale forma di lingua è appropriata per un dato parlante in un dato luogo: gli sforzi per ‘oggettivare’
tali norme di comportamento (attraverso gli studi quantitativi che focalizzano sulle regole variabili)
non producono necessariamente rappresentazioni accurate dell’uso della lingua in una data
comunità ma potrebbero semplicemente riflettere gli stereotipi consci o non consci assunti dai
ricercatori.
Sia i linguisti formali che i sociolinguisti hanno definito tipicamente una comunità linguistica
attraverso alcuni criteri oggettivi che permettono omogeneità ad un certo livello (sia nel medesimo
sistema linguistico sia nelle norme dell’uso linguistico): questo processo, comunque, potrebbe
produrre un concetto falso di ciò che costituisce l’appartenenza ad una data comunità linguistica e
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tali concetti potrebbero servire per rinforzare stereotipi negativi e rappresentazioni scorrette,
offrendo supposta ‘validazione scientifica’ per gli stereotipi e le scorrette rappresentazioni
prevalenti.
Esistono comunque approcci più soggettivi alla nozione di comunità linguistica: studi sulla morte
della lingua hanno suggerito che le comunità linguistiche non hanno bisogno di mostrare sapere
omogeneo della lingua o anche la gamma piena delle norme d’uso327.
Dorian consiglia che almeno nelle situazioni di lingua morta, le definizioni di comunità linguistica
proposte da Dell Hymes e Pit Corder sarebbero più appropriate di quelle di Gumperz e Labov328:
Hymes consiglia di studiare l’organizzazione degli usi linguistici entro specifici gruppi sociali,
piuttosto che definire una comunità linguistica sulla base di criteri linguistici329.
Corder considera la comunità linguistica come consistente di coloro che si percepiscono come
parlanti della stessa lingua: permettendo le definizioni extralinguistiche di comunità linguistica,
questi approcci potrebbero permettere comprensioni più soggettive della struttura linguistica e le
norme dell’uso linguistico comparate con la comprensione offerta dall’analisi basata sugli aspetti
oggettivi della struttura linguistica.
Barrett prosegue nel suo studio anche con l’approfondimento dei modi in cui le comunità queer si
sono sforzate di definirsi come un mezzo di considerare la forma che una comunità linguistica queer
autodefinitasi potrebbe assumere: ogni sforzo infatti per definire una comunità discorsiva gay,
lesbica o transgender usando criteri oggettivi basati sull’uso della lingua escluderebbe
probabilmente almeno negli Stati Uniti molte persone che si vedono come membri di una tale
comunità.
È altamente improbabile per esempio che la discorsività degli uomini omosessuali che sono
afroamericani, latinoamericani, asiatico americani, nativi americani o euroamericani potevano tutti
essere uniti attraverso norme omogenee nell’uso di una qualsiasi regola variabile data: potrebbe
essere possibile superare tali problemi usando un approccio più soggettivo che definisce le
comunità linguistiche queer sui loro propri termini.
In altre parole, ci si chiede se sarebbe possibile ricollocare la nozione di comunità linguistica
omogenea con le norme condivise dell’uso linguistico con quella di comunità linguistica ‘homogenius’ (una che ha uno spirito essenziale che è fondamentalmente ‘homo’ o queer): la questione del
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definire una comunità linguistica queer allora diventa una questione di semplice definizione della
stessa comunità queer.
La nozione per cui una comunità ha qualche spirito essenziale è legata al concetto di Sapir della
cultura genuina:
la cultura diventa per questo motivo quasi sinonimo di ‘spirito’ o ‘genio’ di un popolo, ancora non
del tutto, per cui questi termini usati liberamente si riferiscono piuttosto ad un background
psicologico o pseudo-psicologico di civilizzazione nazionale, la cultura si include con questo
background una serie di manifestazioni concrete che si crede siano peculiarmente simptomatiche di
esso.
Alcuni alunni gay hanno usato la nozione di Sapir della cultura genuina o autentica come punto
d’inizio per esaminare tali ‘manifestazioni concrete’ di cultura gay: una scuola particolare di studi di
omosessualità maschile portata dall’antropologo Gilbert Herdt argomenta per un approccio alla
comunità gay che si centra intorno all’esame di ‘autenticità’ come cultura gay
argomenteremo per l’esistenza di un sistema culturale gay con un’identità distinta, istituzioni
distinte e supporti sociali in particolare spaziotemporali. Lo consideriamo come un campo di
battaglia più grande per il cambiamento sociale in America nel ventunesimo secolo. ‘Autenticità’
come un criterio di cultura gay è inteso indicare qui cosa è genuino come opposto a ciò che è
simulato nelle visioni del mondo e nelle relazioni degli uomini omosessuali. Rilevante a questa
questione è la discussione di Edward Sapir al problema antropologico di ciò che rende una cultura
grande o debole, bilanciata o instabile, soddisfacente o frustata ai suoi nativi.
Gli studi basati sull’assunzione che esiste una qualche cultura omosessuale maschile ‘genuina’ o
‘autentica’ definiscono solitamente la comunità maschile omosessuale come consistente in primis di
coloro che sono ‘dichiarati’ (ad esempio aperti sulla loro sessualità) o coloro che sono nel processo
di coming out: il processo di coming out è per questo motivo visto come un rito di passaggio in cui
gli uomini omosessuali diventano membri pieni della comunità e partecipano alla cultura gay
‘autentica’330.
Allo stesso modo, Valerie Jenness ha argomentato che assumendo un’identità lesbica e in questo
modo frequentando la comunità lesbica, è un processo di rianalisi e personalizzare il ‘lesbico’ come
una categoria identitaria:
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questa adozione di un’identità lesbica, la differenza tra il ‘fare’ e ‘l’essere’, fondamentalmente
impernia su un processo che io riferisco come detipicizzazione. La detipicizzazione è il processo di
ridefinire e di conseguenza riassestare la categoria sociale ‘lesbico’ in modo tale che richieda
significati precisi e concreti crescenti, connotazioni positive e applicabilità personale331.
L’uso delle categorie identitarie come ‘lesbica’, ‘gay’, ‘bisessuale’ o ‘transgender’ come mezzo di
definizione di appartenenza alla comunità è fondata nella politica dell’identità e il desiderio per il
riconoscimento di specifiche ‘comunità’ come minoranze legittime nella società americana:
considerando il ragionamento politico oltre tali approcci alle comunità queer, non è sorprendentente
che Herdt e Boxer affermino che la loro visione della cultura omosessuale rappresenti ‘un campo di
battaglia più grande per il cambiamento sociale in America nel ventunesimo secolo’.
La politica identitaria conduce altri teoristi queer a cercare la natura essenziale delle comunità queer
radicate nella biologia: in questa visione della comunità, qualcuno è nato gay o lesbica e non ha
alcuna scelta ma appartiene alla comunità gay e lesbica, anche se nega l’appartenenza alla
comunità.
Richard Mohr per esempio argomenta che una persona non può ‘decidere’ di entrare nella comunità
gay, per qualcuno che è nato nella comunità:
la comunità gay non può essere pensata come una vita artificiosa come per dire un club di
collezionatori di francobolli o alcolisti anonimi. In tali gruppi sociali come condizione di
appartenenza, qualcuno concorda di rispettare i regolamenti dell’associazione e se a qualcuno non
piacciono tali regole, una persona può impostare la propria associazione concorrente di una
persona. Piuttosto, la comunità gay è una comunità naturale tanto quanto l’inglese è una lingua
naturale, ma i linguaggi informatici Fortran e Cobol non lo sono. Se qualcuno nasce in Inghilterra
da genitori inglese, non è un’opzione decidere di non parlare inglese come lingua di riferimento
della medesima persona, ma fondare un esercizio linguistico invece che qualche lingua artificiale
nel modo in cui qualcuno può, se a qualcuno non piace un qualche linguaggio informatico,
semplicemente si compone la propria. I gay semplicemente trovano sé stessi immersi nella
presunzione di proteggere la privacy di l’un con l’altro. Il consenso individuale non ha niente a che
farci.
Sebbene Mohr, Herdt e Boxer fondano le loro definizioni della comunità gay in termini di politica
identitaria, le ‘comunità’ risultanti hanno appartenenze altamente divergenti: per Mohr coloro che
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non sono dichiarati sono membri della comunità in diniego, mentre per Herdt la comunità contiene
solo coloro che si definiscono apertamente come membri della comunità gay.
Il problema di come trattare coloro che non si sono dichiarati spesso cade al centro delle discussioni
di come definire le comunità queer: la maggior parte dei gay e delle lesbiche conoscono i problemi
del determinare chi è attualmente parte del gruppo sociale e molti studiosi hanno incontrato coloro
che si pensasse fossero gay ma che dichiaravano altro.
Allo stesso modo gli studiosi come Barrett hanno incontrato coloro che pensavano di essere
eterosessuali ma hanno dichiarato la loro omosessualità: poiché un ‘gayradar’ come ricorda Barrett
non è sempre infallibile, bisogna chiedersi costantemente chi è attualmente un membro di una
comunità gaylesbo, non importa come è definita tale comunità.
In aggiunta le sessualità sono fluide e le comunità basate sulle definizioni della pratica sessuale
potrebbero non riflettere adeguatamente qualsiasi concetto reale di come le persone definiscono le
loro proprie identità: esistono coloro che attraversano periodi in cui si chiedono sulla loro sessualità
senza mai definirsi come gay nei fatti, altri che come le frociarole, sono chiaramente parte di una
qualche comunità queer ma che potrebbero essere totalmente eterosessuali in termini di
comportamento.
Per ragioni come queste, molti teoristi queer hanno sostenuto che l’intera nozione di categorie
identitarie e le comunità basate su tali categorie sono poco adatte per sforzarsi di comprendere la
realtà del queer: Judith Butler per esempio ha continuamente tentato di chiedersi il significato delle
categorie identitarie.
Sebbene i critici abbiano dichiarato che ciò depoliticizza la teoria esaminando la politica identitaria,
la Butler ha sostenuto che lasciando il determinante de ‘l’appartenenza alla comunità’
intenzionalmente vago, la stessa comunità è definita in un modo più aperto e approcciabile:
coloro che tra di noi hanno analizzato le assunzioni presenti nelle categorie di identità
contemporanee sono…a volte cariche con la teoria della depoliticizzazione…la critica del soggetto
queer è cruciale alla democratizzazione continua della politica queer. Tanto quanto i termini di
identità devono essere usati tanto quanto la visibilità deve essere affermata, queste stesse nozioni
devono diventare soggetto ad una critica di operazioni esclusive della loro propria produzione.
Per chi la visibilità è storicamente disponibile e opzione conveniente? Esiste un carattere di classe
non marcato alla richiesta di visibilità universale? Per chi il termine presenta un conflitto
impossibile tra affiliazione etnica, raziale o religiosa e le politiche sessuali?
!301
In una simile vena, Michael Warner ha sostenuto che la nozione di ‘comunità’ sarà sempre
problematica per gli studi queer:
sebbene avesse avuto importanza negli sforzi organizzativi, dove nella moda circolare riceve
concretizzazione, la nozione di una comunità è rimasta problematica se solo perchè quasi ciascun
membro gay o lesbico essendo tale prima di entrare in uno spazio identificato collettivamente,
perché la maggior parte della storia gay e lesbica ha a che fare con ciò che non è comunitario, e
diventa dispersiva piuttosto che la localizzazione continua ad essere definitiva
dell’autocomprensione queer332.
Piuttosto che fornire un chiaro consenso su ciò che costituisce una comunità gaylesbo, lavorare
nella teoria queer suggerisce che i gay e le lesbiche vedano tali comunità in una varietà profonda di
modi, che vanno dal determinato biologicamente al virtualmente non esistente: Anderson ha
sostenuto che ‘tutte le comunità più grandi di villaggi primordiali di contatto faccia a faccia e forse
anche queste, sono immaginate, assertendo che le comunità ‘devono essere distinte non dalla loro
falsità/genuità, ma dallo stile in cui sono immaginate’333.
Quale poi è lo stile in cui le comunità queer vengono immaginate?: un principio unificante a tutte le
discussioni di ciò che costituisce una comunità queer è stato il focus sul problema del sapere chi è
‘famiglia’ e chi non lo è.
Mentre molte comunità vengono immaginate in modi che il focus su ciò che costituisce un membro
comunitario ‘buono’ o ‘tipico’ senza una grande quantità di dubbio su chi questi membri potrebbero
essere, le comunità queer appaiono focalizzare estensivamente su ciò che costituisce un membro
comunitario: anche gli essenzialismi che potrebbero offrire modi di definizione dei membri
comunitari come attraverso i suoi geni, appaiono riconoscere che la domanda di determinazione che
‘appartiene’ è la domanda centrale nella costruzione di una comunità queer.
Per questo motivo, uno stile in cui le comunità queer sono immaginate è uno stile in cui i confini
dell’appartenenza alla comunità sono vaghi e incerte consapevolmente: mentre tutte le comunità
sono immaginate in qualche modo, le comunità queer riconoscono che sono immaginate e,
apertamente e consapevolmente, analizzano lo stato di appartenenza di una varietà di membri
potenziali; per questo motivo una comunità ‘homo-genius’ è una in cui la vera nozione di comunità
non può essere presa per concessi.
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La natura essenziale di una comunità queer può essere vista come l’autoriconoscimento che è
socialmente costruito e sebbene il grado e l’importanza di tale costruzione potrebbe essere chiamata
in questione, il fatto che l’appartenenza alla comunità potrebbe non essere sempre accuratamente
determinata, è raramente negata: immaginando sé stesso in un tale stile ambiguo e incerto, una
comunità queer chiama la nozione vera di comunità in questione.
Nei termini della linguistica, le questioni dell’orientamento sessuale e l’identità di genere non si
prestano facilmente agli studi che Pratt chiama la ‘linguistica della comunità’: nell’offrire una
critica della ‘linguistica della comunità’, Pratt nota che il caso prototipico di lingua esaminata nella
linguistica è considerato essere ‘il discorso di parlanti nativi adulti dal vivo (come nel diagramma di
Saussure) in situazioni monolingue e anche monodialettali. In breve il caso in extremis più
omogeneo linguisticamente e socialmente’334.
Questa focalizzazione sulle comunità omogenee e l’assunzione dei sistemi condivisi o delle norme
d’uso è legata nella tradizione della linguistica ‘genetica’, entro la linguistica storica: la tradizione
genetica si focalizza sui cambiamenti della lingua nel tempo, come una lingua madre si divide in
diverse lingue ‘figlie’.
Sebbene si assume che una lingua sia un sistema linguistico omogeneo in ogni momento dato, essa
cambia nel tempo, in primis attraverso l’insegnamento ‘imperfetto’ di una lingua che si trasmette
dai genitori ai figli: nella ricerca teorica della linguistica genetica tradizionale, il cambiamento della
lingua è un processo in primis interno alla lingua in cui il contatto tra lingue e dialetti è spesso visto
come secondario o interamente non interessante.
Nella ricerca genetica, l’assunzione di una comunità discorsiva omogenea e la focalizzazione sulla
lingua come ‘eredità’ passano di mano in mano: Saussure per esempio sosteneva che ‘nessuna
società ha mai conosciuto la sua lingua come qualcosa di altro rispetto a quel qualcosa di ereditato
dalla generazione precedente, che non ha alcuna scelta ma viene accettata’335.
Questa ricerca della comunità genetica assume che la lingua è eredità sociale, una parte dell’identità
della persona dalla prima infanzia che segna una persona come appartenente ad una specifica
comunità per tutta la vita di una persona: come LePage e Tabouret-Keller hanno evidenziato, la
‘lingua’ nel senso di lingua nativa di una persona o lingua madre resta ‘una base ipotetica
importante per molti linguisti e pedagoghi’336.
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!303
Le ricerche teoriche della linguistica genetica e i suoi discendenti, la grammatica generativa,
continuano a trattare la lingua come qualcosa che si impara nell’infanzia come un marcatore basico
dell’identità sociale che è relativamente costante attraverso i contesti situazionali e il tempo della
durata della vita di una persona: sebbene i linguisti hanno sostenuto risolutamente dai tempi di Boas
almeno che non esiste relazione diretta tra lingua ed etnia, le ricerche formali della linguistica
generativa/genetica continuano a reificare assunzioni ampiamente sostenute sull’associazione tra
lingua ed etnia collocando i parlanti nelle comunità omogenee statiche e isolate che spesso
riflettono stereotipi comuni di categorie identitarie.
In aggiunta la ricerca genetica per questo motivo fallisce nel riconoscere il ruolo del contatto nello
sviluppo storico delle lingue e il grande accordo di storia culturale che può essere estratto dal
considerare la storia delle lingue come un contatto o fenomeno areale337: nel senso che la linguistica
genetica e generativa focalizza sul sistema formale statico che è ereditato dai genitori di una
persona, queste ricerche teoriche sono centrate esclusivamente su ciò che Warner ha chiamato il
‘comportamento eteronormativo’338.
Vale a dire che le assunzioni di eterosessualità normativa, inclusi i processi di socializzazione
associati con l’educazione delle bimbe e dei bimbi, diventa la base per la linguistica come un campo
di studio: questa accettazione del comportamento eteronormativo è un esempio di come la ricerca
basata sulla comunità si limita nei modi che sono difficili da riconoscere339.
Come sostiene Warner, le ricerche teoriche in molte discipline accademiche producono e
riproducono l’ideologia della società eterosessuale, anche quando si permette l’esistenza delle
minoranze sessuali340: gli studi sul gergo e la discorsività gaylesbo che sono situati in una
linguistica della comunità, per esempio, potrebbero produrre descrizioni del comportamento
linguistico di piccole sottoculture di qualche comunità queer assunta e nel fare ciò, producono
comunità ipotetiche benché irreali, di parlanti tipici che condividono una qualche lingua comune o
norme di uso.
Studiare tali comunità nell’isolamento non trasmettono nei fatti la complessità della relazione tra
lingua e queer: uno studio che isola le comunità queer abbastanza omogenee fallisce totalmente nel
riconoscere l’incertezza inclusa nello stabilire i contetti di appartenenza alla comunità.
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In aggiunta, un tale lavoro fallisce nella stima per il fatto che il gergo gay e lesbico o almeno quelle
cose che rendono distinta la lingua di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, non originano nelle
comunità tradizionali, dominate dagli eterosessuali: generalmente, le persone non crescono i propri
figli e le proprie figlie parlando come omosessuali, al contrario la lingua associata con la gaiezza è
probabilmente scoraggiata dai genitori.
Considerando che il gergo e la discorsività queer è probabilmente nettamente divergente dalla
lingua in cui socializziamo nell’uso, viene da chiedersi il perché i ricercatori dovrebbero basare la
linguistica queer sulla ricerca che assume che la lingua è un sistema omogeneo di regole o norme,
accettate da tutta la comunità in cui si nasce: il concetto delle comunità isolate fallisce nel
riconoscere i modi in cui il contatto influenza la costruzione degli usi gay e lesbici di lingua.
I gay e le lesbiche quindi non sono isolati dalla società eterosessuale e assumendo che le comunità
queer possono essere isolate, non si riconoscono le realtà di vita in una società eterosessuale spesso
omofoba: il gergo e la discorsività queer potrebbe avvenire in toto un contesto di società
eterosessista, dove la lingua potrebbe trasmettere l’informazione sociale sull’orientamento sessuale
che non è rilevato o compreso dagli e dalle eterosessuali presenti durante l’interazione.
In aggiunta, la linguistica della comunità fallisce nel riconoscere che gli usi gay e lesbici della
lingua avvengono spesso tra confini ‘comunitari’: la lingua entro la comunità queer è spesso allo
stesso tempo tra comunità definite in termini di etnicità, classe, età o provenienza regionale: per
queste ragioni, una linguistica della comunità non trattano adeguatamente le realtà della relazione
tra lingua e queer.
Nella sua critica della linguistica della comunità, Pratt propone una visione differente della
linguistica, una visione che lei chiama linguistica di contatto:
immaginate poi una linguistica che decentra la comunità, che collocava al suo centro l’operazione
della lingua tra linee di differenziazione sociale, una linguistica che focalizzava sui modi e le zone
di contatto tra i gruppi dominanti e i gruppi dominati, tra le persone di identità diverse e multiple, i
parlanti di diverse lingue, che focalizzavano su come tali parlanti si costituiscono l’un l’altro nella
relazione e nella differenza e come agiscono diversamente. Lasciateci chiamare questa impresa
linguistica del contatto, un termine relativo alla nozione del contatto di Jakobson come una
componente di eventi discorsivi e al fenomeno delle lingue di contatto, una dei migliori sfide
riconosciute alla sistematizzazione della linguistica del codice.
Considerando la nozione di Pratt di una linguistica del contatto come punto d’inizio, Barrett
vorrebbe suggerire che gli usi queer della lingua possono essere studiati senza la tradizione di una
!305
linguistica della comunità e l’imprigionamento sociale eteronormativo che ne consegue: una
linguistica del contatto offre un punto d’inizio per la formazione di una linguistica queer, vale a dire
una linguistica che considera il queer come il suo centro piuttosto che forzare il gergo queer a
conformarsi al modello eterosessuale della produzione linguistica e dell’insegnamento della lingua.
Come punto di partenza per esaminare le questioni legate agli usi gay della lingua, Barrett si
riferisce all’uso della lingua tra ‘checche’ da bar in Texas: le ‘checche’ da bar sono uomini
omosessuali con intensi legami sociali centrati sui bar gay e per chi essere gay è
un’autocategorizzazione di importanza primaria.
Questa discussione è basata in parte sulla ricerca condotta sulla discorsività delle drag queen
afroamericane e in parte sull’esperienza personale e le osservazioni casuali nei bar gay: questa
considerazione della discorsività da checca da bar non è intesa essere uno studio dettagliato degli
esempi specifici di discorsività registrata ma è piuttosto una discussione ampia della forma e
dell’uso della discorsività da ‘checche’ da bar intesa ad accrescere questioni rilevanti al modo in cui
la discorsività da uomo omosessuale potrebbe essere studiata.
!
Nel loro lavoro sul ruolo della lingua nella costruzione dell’identità sociale, LePage e TabouretKeller esaminano i modi in cui le persone riconoscono e imitano le forme della lingua che riflettono
l’identità sociale di un gruppo con cui loro sperano di essere associati: LePage e Tabouret-Keller
argomentano che ‘ciò che loro riconoscono e imitano sono stereotipi che sono costruiti per sé
stessi’341.
Per i parlanti che si augurano di usare la lingua in un modo che indicherà un’identità gay342, la
forma della lingua spesso riflette uno stereotipo della discorsività degli uomini omosessuali:
siccome potrebbe contenere uno o più dei componenti attribuiti alla discorsività maschile
omosessuale per diversi linguisti, come le seguenti caratteristiche
- l’uso di lessemi inclusi come parte della lingua delle donne secondo Lakoff343, inclusi specifici
termini di colore e i cosidetti aggettivi vuoti, tanto quanto gli accrescitivi e i limitativi
- l’uso di una gamma di più ampio raggio per profili intonazionali comparati alla discorsività degli
uomini eterosessuali344
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- pronuncia ipercorretta; la presenza di forme non ridotte fonologicamente345 e l’uso di vocali
iperestese.
- l’uso di lessemi specifici al gergo queer346
- l’uso di profili intonazionali H*L, spesso copresenti con vocali estese, come nell’inglese
‘FAABulous’347.
Queste caratteristiche potrebbero indicare un’identità gay in un dato contesto: per questo motivo, gli
studi in cui queste caratteristiche sono considerate fuori contesto348 non catturerebbero la relazione
tra caratteristiche strutturali e identità gay.
In isolamento, la maggior parte di queste caratteristiche possono anche indicare qualche altra
identità in un contesto diverso: termini di colore specifici e aggettivi vuoti, per esempio, potrebbero
indicare uno stereotipo o un’identità femminile, mentre l’uso di una pronuncia ipercorretta e
fonologicamente non ridotta, forme iperenunciative potrebbero indicare la discorsività da
insegnante delle donne più anziane afroamericane.
Per questo motivo, il potere indicativo di questi elementi strutturali spesso coincidono tra la
discorsività maschile omosessuale e la discorsività di qualche altro gruppo sociale: la linguistica
della comunità non può riconoscere facilmente questa sovrapposizione eccetto dove potrebbe essere
vista come ‘prestito dialettale’ o ‘sistemazione’.
In una linguistica del contatto, comunque, tali elementi non hanno bisogno di essere visti come
l’unica proprietà di un singolo gruppo sociale: si consideri, per esempio la sovvraposizione tra
discorsività maschile omosessuale e inglese vernacolare afroamericano.
In aggiunta alla pronuncia ipercorretta, gli eventi discorsivi che includono gli insulti rituali possno
essere trovati sia tra uomini eterosessuali afroamericani349 sia tra uomini omosessuali350: esiste
anche un numero di lessemi che potrebbero indicare sia l’identità gay che l’identità afroamericana,
dipendendo dal parlante e dal contesto.
Pochi ma sicuramente non tutti gli esempi includono il seguente:
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-fish: un termine dispregiativo per le donne (un riferimento al mito concernente l’odore dei genitali
femminili)351
-work, spesso work it: pavoneggiarsi o mettersi in mostra. Cercare di attirare l’attenzione su di sé in
un bar. Nell’inglese vernacolare afroamericano ‘work’ ha radici storiche per termine del jazz per
indicare il suonarlo con grande energia. Nella discorsività maschile omosessuale ha
tradizionalmente inteso porre il massimo impegno nei cruising, in frasi come ‘work the toilets’352. Il
termine work divenne abbastanza comune nei bar texani nel 1993 dopo la pubblicazione della
canzone dance Supermodel- >You Better Work di RuPaul.
-girl, girlfriend: usato come termine per indirizzarsi o solidarizzare tra donne afroamericane353 o tra
uomini omosessuali afroamericani di qualsiasi estratto socioculturale.
-Miss Thang o Mizz Thang: usato sia da donne afroamericane che da uomini omosessuali per
riferirsi a qualcuno che pensa molto bene di sé stesso/a o che potrebbe comportarsi in un modo che
attira l’attenzione su sé stesso/a354.
- Read: un evento discorsivo specifico in cui il parlante racconta a qualcuno qualcosa355. Tra
afroamericani il termine reading è a volte associato con le donne, mentre tra uomini omosessuali ha
anche una forma più antica, ancora in uso tra gay più anziani di ‘read his beads’. Potrebbe anche
riferirsi all’atto del riconoscere un altro omosessuale.
Nella ricerca basata sulla comunità, gli elementi che coincidono tra l’inglese vernacolare
afroamericano e la discorsività degli uomini omosessuali sarebbe probabilmente interpretata come
prestiti da una comunità ad un’altra: altrettanto sarebbero viste come appropriazioni culturali.
Mentre alcuni di questi esempi sarebbero il risultato dell’appropriazione, una tale analisi non stima
in pieno le situazioni come quelle in cui gli uomini omosessuali bianchi, anche coloro che sono un
po’ in contatto con afroamericani, usano marcatori linguistici di solidarietà omosessuale che sono
identici al livello di forma a quelli usati dalle donne afroamericane per marcare la loro solidarietà
con altre donne afroamericane.
Una linguistica del contatto in cui i confini della comunità non sono assunti per essere statici e
rigidi, permette un’analisi in cui la discorsività da ‘checche’ di bar sarebbe costruita dalla
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discorsività di una varietà di individui o gruppi di individui con diversi passati linguistici che
partecipano in atti mutuali di identità356 per creare marcatori linguistici condivisi di identità sociale.
In quanto tale, la discorsività da ‘checche’ da bar può essere considerate come una creolizzazione
improvvisa al livello dello stile linguistico, in cui gli elementi linguistici che indicano l’identità gay
sono portati insieme da una varietà profonda di fonti.
Come sostiene Moran, l’uso di elementi linguistici ‘femminili’ nella discorsività tra uomini
omosessuali sarebbe vista come un reclamare stereotipi del grado in cui gli uomini omosessuali si
comporterebbero come donne eterosessuali: in una situazione in cui gli uomini omosessuali da
diversi passati etnici si riuniscono nell’ambiente di un bar, gli stereotipi del comportamento
linguistico effeminato dall’inglese afroamericano e dall’inglese dei bianchi, tanto quanto da altre
varietà regionali ed etniche, si uniscono per creare uno stereotipo unificato di ciò che costituisce il
gergo queer inglese.
Un altro aspetto importante di questi elementi strutturali è il fatto che quasi tutti loro sono marcatori
di ciò che Brown e Levinson hanno definito ‘cortesia positiva’: i marcatori di cortesia positiva
servono come mezzi per trasmettere una base comune tra i parlanti e l’esagerazione inclusa
l’intonazione esagerata, l’uso di gergo e lessemi interni al gruppo, l’uso di limitativi e una tendenza
verso le varietà standard sono tutti considerati marcatori di cortesia positiva.
Brown e Levinson osservano che l’uso di marcatori di cortesia positiva sarebbero più prevalenti
nella discorsività dei gruppi dominanti:
in genere abbiamo un’impressione che per tutto il mondo nelle società complesse i gruppi dominati
e qualche volta anche i gruppi di maggioranza hanno culture di cortesia positiva, mentre i gruppi
dominanti hanno culture di cortesia negativa. Vale a dire che il mondo dei gruppi alti e medi è
costruito in una poppa e fredda architettura di distanza sociale, assimetria e risentimento di
imposizioni, mentre il mondo dei gruppi bassi è costruito sulla vicinanza sociale, la solidarietà
simmetrica e la reciprocità.
Prove simili indipendenti per l’impressione di Brown e Levinson arrivano dagli studi di identità
sociale nella ricerca della teoria dell’autocategoria di Willem Doise e Fabio Lorenzi-Cioldi: Doise e
Lorenzi-Cioldi argomentano che i membri dei gruppi dominanti o gruppi con alto stato sociale, ‘si
percepiscono come individui unici e non ricercano l’autodefinizione in termini di appartenenza al
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gruppo. Dall’altro canto i membri dei gruppi dominati si definiscono e sono anche definiti dagli
altri più in termini di categorizzazione sociale imposta sugli altri’.
Per questo motivo, dai membri dei gruppi di ceto sociale più basso, che si definiscono secondo
l’appartenenza al gruppo, ci si aspetterebbe il mostrare meno distanza sociale tra i membri interni al
gruppo, dal momento che la distanza sociale è una funzione del grado verso cui una persona vede le
altre persone come persone che condividono una identità sociale simile: la presenza di una varietà
di strategie di cortesia positiva come marcatori principali indicanti della discorsività da bar delle
‘checche’ suggerisce che la lingua potrebbe servire come un mezzo di produzione di una identità
sociale unificata tra uomini omosessuali dai passati divergenti.
Molte di queste strategie di cortesia positiva possono essere trovate nella lingua ‘femminile’
stereotipata357: nella discorsività da ‘checche’ dei bar, la manipolazione degli stereotipi sul
comportamento effeminato degli uomini omosessuali è combinato con l’uso di strategie di cortesia
positiva che forgiano la solidarietà entro un dato network sociale centrato intorno al bar.
Per questo motivo, per studiare adeguatamente la discorsività omosessuale maschile, la
considerazione deve essere data all’unico ruolo della lingua sia nella costruzione del genere che
nella formazione della solidarietà.
!
Lo studio della discorsività omosessuale maschile come una caratteristica comportamentale di una
comunità discorsiva omogenea non può facilmente stimare l’ampia gamma delle competenze
trovate tra gli uomini omosessuali con diversi background che partecipano in vari network sociali:
discutendo degli insulti rituali tra uomini omosessuali, per esempio, Murray è attento allo stato che
‘molti pochi uomini omosessuali e apparentemente ancora più poche donne omosessuali trascorrono
una quantità apprezzabile di tempo nel duellarsi verbalmente’358.
Per questo motivo un genere che indica un’identità gay potrebbe nella pratica attuale avvenire solo
tra un piccolo sottoinsieme di uomini omosessuali: sebbene la competenza nella discorsività da
‘checca’ da bar potrebbe variare in grande quantità, la maggior parte degli uomini omosessuali e la
maggior parte degli eterosessuali, riconoscono la discorsività da ‘checca’ da bar come indicante
identità gay.
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Come nota Pratt, ‘per una linguistica del contatto, è di grande interesse che le persona possano
capire generalmente molte più varietà del discorso o anche lingue che loro possano produrre, o
capirli meglio di quanto loro possono produrli’359: la gamma di competenza nella discorsività da
‘checca’ da bar potrebbe variare secondo la partecipazione nei network sociali dei bar o del grado in
cui una persona desidera essere vista come un membro della clientela del bar.
A causa della natura pendente dello stile linguistico, il grado verso cui la discorsività da ‘checca’ da
bar indica attualmente che l’identità gay potrebbe variare di tanto: dipendendo dal contesto, per
esempio, l’uso di mauve potrebbe non indicare un’identità gay tanto quanto l’uso di Miss Thang.
Allo stesso modo, la frequenza più alta e la varietà negli elementi della discorsività da ‘checca’ da
bar usata potrebbe trasmettere un senso più forte di identità gay: a causa della stima indicale di
qualsiasi elemento della discorsività maschile omosessuale o qualsiasi discorsività per quel
problema, è altamente dipendente dal contesto, i sociolinguisti hanno bisogno di essere consapevoli
dei modi in cui la lingua può trasmettere l’intertestualità360, come negli studi del genere linguistico
nel campo del folklore361.
Le categorie della varietà di lingua proposte da Charles Ferguson sono estramemente utili nel
considerare la relazione tra la stima indicale della lingua e il contesto: Ferguson propone tre tipi
basici della varietà linguistica, che sono il dialetto, il registro e il genere.
Di base nei termini di Ferguson, il dialetto è lingua che indica l’identità di uno specifico gruppo
sociale, il registro è lingua che indica contesto sociale e il genere è lingua che indica un particolare
atto discorsivo: per alcuni parlanti, la discorsività da ‘checca’ da bar potrebbe essere un dialetto in
cui è praticamente la sola forma di inglese che loro usano.
Sebbene tali parlanti, potrebbe aver parlato in uno stile gay stereotipato per la maggior parte o per
tutta la loro vita, i dettagli, in particolare i lessemi, che differenziano la discorsività da ‘checca’ da
bar dagli stili che sanno di gay sarebbe stata acquisita dopo che il parlante si è dichiarato e gode dei
network sociali circostanti al bar o ai bar: per altri parlanti, la discorsività da ‘checca’ da bar è un
registro specifico in cui il suo uso è riservato per il contesto da bar.
Per questi parlanti, la mostra palese dell’identità gay è ristretta a certi tempi, luoghi e interlocutori: i
parlanti per cui la discorsività da ‘checche’ di bar è un registro, potrebbero non essere dichiarati
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nelle loro vite al di fuori del bar e sono per questo motivo forzati a ristringere la loro discorsività ad
ambienti in cui gli e le eterosessuali sono assenti.
Potrebbero anche essere completamente aperti sulla loro sessualità fuori dal bar ma riservano il
comportamento che è apertamente gay per il contesto del bar: a causa della natura pendente dello
stile linguistico come un marcatore indicale dell’identità, questi due gruppi non sono sempre
differenziati chiaramente ma esistono lungo un continuum.
Una comprensione migliore di cosa queste differenze nell’uso svolgono tra comunità gay si
offrirebbe probabilmente una comprensione migliore della variazione nella mostra del
comportamento apertamente gay, tanto quanto della relazione tra dialetto e registro: la distinzione
tra registro e dialetto offre un modo di inizio per capire come la lingua come sito di contatto tra
contesti omosessuali ed eterosessuali potrebbe agire in maniera diversa per parlanti diversi.
Come nota Ferguson, nella pratica attuale le distinzioni tra dialetto, registro e genere non sono
necessariamente assoluti: nei casi in cui la discorsività da ‘checca’ di bar è un registro, per esempio,
è ancora un marcatore di identità sociale.
In aggiunta, lo stile linguistico che fallisce sotto il genere, ad esempio che indica un particolare
evento discorsivo, potrebbe anche indicare identità o contesto: un genere come ‘reading’ (dire a
qualcuno qualcosa attraverso insulti rituali) è un esempio di un evento discorsivo che potrebbe
anche servire come un registro (in ciò potrebbe solo accadere in contesti gay) o come parte di un
dialetto in cui indica un’identità gay.
A causa del fatto che le distinzioni tra dialetto, registro e genere non sono assolute, la discorsività
omosessuale maschile deve essere considerata in relazione al contesto in cui avviene: un mezzo per
legare la lingua al contesto è considerare l’uso della discorsività omosessuale maschile in termini di
code-switching o alternanza di stile.
Il modello di marcatezza di Myers e Scotton fornisce un mezzo di analisi dell’alternanza dello stile
in termini di significato indicale trasmessi da una qualsiasi particolare alternanza: nel modello di
Myers-Scotton, i parlanti scelgono la forma linguistica di un’espressione in modo tale che indichi la
gamma delle relazioni sociali, una gamma di diritti e doveri o gamma RO, che il parlante si augura
di avere nel luogo per un’interazione data.
Il modello analizza le alternanze nei termini di se o no ci si attenda la forma linguistica di
un’espressione per una data interazione: Myers-Scotton offrono quattro tipi specifici di codeswitching
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1.code-switching non marcato sequenzialmente- ‘quando uno o più dei fattori situazionali cambiano
entro il corso di una conversazione, la gamma RO non marcata potrebbe cambiare…ogni volta che
la gamma RO non marcata è alterata da tali fattori, il parlante alternerà i codici se lui o lei si
augurano di indicare la nuova gamma RO non marcata’.
2. code-switching come norma non marcata- ‘parlare due lingue nella stessa conversazione (come
norma non marcata tra coetanei bilingui)…ciascuna alternanza…non necessariamente ha
un’indicità speciale. Piuttosto è lo scherma complessivo che porta la forza comunicativa’.
3. code-switching come una scelta marcata- ‘una scelta marcata deriva il suo significato da due
fonti: per prima cosa, dal momento che non è una scelta non marcata, è una negoziazione contro la
gamma RO non marcata e seconda cosa, come qualcosa d’altro, la scelta marcata è un’altra
chiamata per una gamma RO al suo posto, che è quella per cui la scelta del parlante è un indice non
marcata’
4. code-switching come una scelta di spiegazione- ‘quando una scelta non marcata non è chiara, i
parlanti usano il code switching per fare scelte esplorative alternate come candidati per una scelta
non marcata e in questa maniera come un indice della gamma RO che favoriscono’.
Un modo per esaminare la rilevanza sociale della discorsività gay è usare il modello di marcatezza
per analizzare i modi in cui alternatra discorsività gay e altre varietà di inglese servono per
trasmettere specifiche relazioni sociali: nei casi in cui la discorsività maschile gay potrebbe agire
come un registro, per esempio, il code-switching come una scelta non marcata avverrà nella
maggior parte dei casi probabilmente.
Istanze di code-switching come una scelta marcata forniscono intuizioni sul dove e perché il primo
piano dell’identità gay è importante per diversi parlanti: le distinzioni tra code-switching come
norma non marcata e code-switching come una scelta marcata/non marcata potrebbe servire come
punto d’inizio per studiare i modi in cui la discorsività omosessuale maschile si lega ad altri tipi di
discorsività che indicono aspetti diversi dell’identità personale di una persona.
Nell’altro lavoro di Barrett, Barrett usa il modello per considerare i modi in cui le drag queen
afroamericane usano lo stile linguistico per negoziare le loro identità che si sovrappongono coe
uomini omosessuali, come afroamericani e come drag queen: il caso del code-switching come una
scelta esplicativa è di grande importanza nella comprensione della discorsività omosessuale
maschile: sebbene Myers-Scotton affermano che lo switching esplicativo è probabilmente
abbastanza raro nella maggior parte delle situazioni, è attualmente abbastanza comune nella
discorsività omosessuale maschile.
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Infatti, una focalizzazione importante della ricerca sulla discorsività omosessuale maschile è stata
proprio questa questione362: negli incontri esterni ad un ambiente specificatamente gay, lo switching
esplicativo potrebbe essere usato come un mezzo di determinazione dell’orientamento sessuale
dell’interlocutore di una persona.
Per esempio una persona potrebbe usare forme linguistiche che indicono l’identità gay per vedere se
un ascoltatore riconosce il potere indicale delle forme e degli usi più elementari della discorsività
omosessuale maschile a sua volta: in tali casi, gli elementi di discorsività omosessuale maschile non
potrebbero essere marcatori estremamente salienti di identità gay, così gli ascoltatori eterosessuali
non potrebbero mai riconoscere l’importanza attuale dello scambio.
Lo switching esplicativo rappresenta per questo motivo l’importanza attuale dello scambio: lo
switching esplicativo per questo motivo rappresenta un sito importante di contratto tra contesti
eterosessuali ed omosessuali, come potrebbe essere usato per stabilire la solidarietà gay anche nei
contesti totalmente eterosessuali.
!
Lo studio dell’uso attuale della discorsività omosessuale maschile fornisce un mezzo di esame della
fluidità dell’identità gay, ovvero come è costruita e usata in una varietà di contesti per una varietà di
intenti: gli studi sia della struttura che dell’uso della discorsività omosessuale maschile potrebbero
fornire intuizioni nei modi in cui l’identità gay è costruita e mantenuta attraverso i diversi contesti.
Come tale, fornisce uno strumento potente per comprendere lo stile in cui le comunità gay sono
immaginate: a causa delle uniche realtà sociali delle persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender,
lo studio delle forme queer di discorsività ha molto da offrire al campo della linguistica in generale.
La linguistica queer potrebbe fornire un inizio verso il superamento dei problemi prodotti da una
linguistica della comunità: potrebbe anche produrre intuizioni di valore nella comprensione dei
termini usati comunemente come dialetto e registro.
In aggiunta, la linguistica queer ha molto da offrire agli studi queer, perché fornisce un mezzo per
iniziare a capire i modi in cui le persone attualmente costruiscono e producono i marcatori delle
identità queer e procedono con l’ambiguità delle categorie identitarie e le comunità che sono
immaginate diversamente dai membri diversi della comunità: iniziando a capire i diversi modi in
cui i gay, le lesbiche, i e le bisessuali e i e le transgender immaginano le loro proprie comunità, si
può iniziare a cercare e capire cosa esattamente costituisce una comunità ‘homo-genius’.
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CAPITOLO III
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ANALISI SOCIOLINGUISTICA DEL GENDER-BENDER
!
L'omosessualità per la classe povera non è un vizio ma un modo per
accedere alle classi superiori.
Ennio Flaiano, Frasario essenziale per passare inosservati in società,
1969 (postumo, 1986)
Per un gay che si dichiara, ce ne sono dieci che non lo fanno, e cento che
non l'hanno mai confessato a se stessi. Marguerite Yourcenar
!
1.1. Il genere linguistico e identità maschile ai margini nella lingua francese
Dalla seconda ondata del femminismo che iniziò nei tardi anni Sessanta, le questioni linguistiche
sono state soggetto ad un intenso scrutinio dalle teoriche del femminismo: partecipare alla
discussione della lingua e del genere, e della relazione tra lingua e visione del mondo, una
discussione che attraversa confini linguistici e nazionali per attraversare l’Europa Occidentale e il
Nord America, le scrittrici femministe hanno sperimentato con soluzioni innovative al problema del
creare una posizione soggettiva femminile nei sistemi linguistici che codifica il mascolino come
non marcato, il generico, l’universale.
Questo dibattito è stato complicato dall’esame della lingua usata dalle e sulle comunità di cui
genere non è stabile o i quali usano il sistema del genere linguistico per diversi fini in tempi diversi:
il cambio specifico all’ortodossia posta dai e dalle transessuali è stato affrontato, spesso
amaramente, dai teorici americani e femministe radicali, e parte della discussione derivata ha
puntato intorno all’uso dei pronomi di genere.
Il Transsexual Empire di Janice Raymond è sottotitolato ‘The Making of the SheMale’, una fase che
afferma l’autrice, illustra il suo punto secondo cui mentre le transessuali possono essere
fondamentalmente maschili o femminili, non sono fondamentalmente né donne né uomini363: con
questa distinzione l’autrice traccia una linea tra l’intrappolamento biologico della femminilità (e
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!315
mascolinità, poiché lei opera prevalentemente sulla transessualità da uomo a donna) e la vera
femminilità, che attraverso una base culturale è inculcata dalla nascita in avanti e non può essere
replicata nei laboratori della voce e sessioni pomeridiane sul come parlare come una donna364.
Quando ci si riferisce alla transessualità da uomo a donna, Raymond si rifiuta di usare i pronomi
SHE o HER non modificati, per porli in segni preventivi: ‘she’, ‘her’ invece, per enfatizzare il loro
stato anomalo: la femminilità non è, secondo la Raymond, semplicemente una questione di
configurazione anatomica, per cui i pronomi femminili e, quando è presente come in francese, la
concordanza di genere femminile, conferiscono uno statuto sul referente tale che le affermazioni
esistenziali come vous êtes une femme sebbene potrebbero essere confortanti, non possono
confortare.
L’uso di un pronome femminile presuppone la femminilità del referente: non lo asserisce.
La differenza tra un’asserzione e una presupposizione di importanza è il fatto che qui la verità di
un’asserzione esaminata o negata semplicemente ponendo la clausola che la contiene
nell’interrogativa o nella negativa: Etes-vous une femme? E vous n’êtes pas une femme esaminano e
negano esplicitamente la proposizione che si è una donna.
Dall’altro canto, le versioni interrogativa e negativa della proposizione elle est venue, est-elle
venue? e elle n’est pas venue non mettono in dubbio il genere del referente elle ma esminano solo il
fatto dell’arrivo di questa persona dal momento che l’uso del pronome femminile presuppone la
femminilità del referente: i parlanti cooperativi non esaminano presupposizioni e il commercio
sociale conduce alla cooperazione, tanto che Raymond sta esplicitamente rifiutando di cooperare
con il punto di vista transessuale365.
La lotta sul diritto allo stato pronominale femminile (o maschile) non è stato ristretto ai lavori
teorici: un dibattito animato è cresciuto tra la comunità gay-lesbica e transessuale sul modo corretto
di riferirsi a Billy Tipton e Teena Brandon, due persone che erano entrambe anatomicamente
femmine ma vivevano le loro vite ed erano accettate dalla società come uomini: Billy Tipton era un
musicista jazz che si è sposato con una donna, ha adottato e cresciuti bimbi con lei.
Alla morte di lui nel 1989, si rivelò che lui era anatomicamente femmina: mentre la comunità gay
dichiarò Biyy Tipton una lesbica e donna di passaggio, TNT, Transsexual News Telegraph, un
magazine trans gender della Bay Area, dichiara Billy Tipton come un uomo transessuale, lì dove la
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365
!
Per l’ampia gamma di lavori sulla presupposizione in linguistica,
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comunità gay usa il pronomo she per riferirsi a Tipton, TNT usa he: ‘Billy Tipton era transessuale.
Visse e morì come uomo. Giù le mani! È dei nostri! (TNT Estate 1993)’.
I sentimenti sono anche più infiammati quando la discussione volge a Teena Brandon: il San
Francisco Bay Times, un quotidiano omosessuale, scrive un articolo sull’assassino di Teena
Brandon intitolato ‘Queers Have No Right to Life in Nebraska’ 13 gennaio 1994.
Si racconta di come Teena Brandon che si chiamava Brandon Teena passò per uomo a Falls City,
Nebraska, dando appuntamenti a ragazze e giocando a biliardo ‘come avrebbe fatto qualsiasi altro
uomo’: la vigilia di Natale del 1993 fu stuprata dall’ex ragazzo del suo amante donna e uno dei suoi
amici.
Il 31 dicembre, lei e due amici, incluso il suo amante, furono trovati uccisi: nel Bay Times del
gennaio 1994 c’erano due lettere che criticavano il modo di trattare la vita di Brandon e Gail
Sondegaard, editore del TNT, si lamenta ‘Voi vi siete riferiti a Brandon Teena con ‘lei’ e una
‘lesbica cross-dressing’…Brandon fece uno sforzo per essere preso seriamente come uomo. Credo
che dovresti rispettare quella scelta e riferirti a lui come lui ovviamente si augura gli si rivolgano,
ovvero come ad un uomo.’
Max Wolf, un altro scrittore di lettere, ha fatto un punto simile: ‘Sembra che Brandon abbia fatto la
scelta di vivere la sua vita usando il pronome maschile per riferirsi a sé stesso…Mindy Ridgway
(giornalista del Bay Times) dovrebbe…rispettare la sua scelta di riferirsi a lui non come ‘lei’ ma
come ‘lui’’: questo nominare è significativo perché Wolf equipara l’assegnamento dei pronomi
maschili con il vivere come un uomo, dal momento che sarebbe il pronomo stesso a conferire
virilità.
In modo provocativo, Susan Stryker una transessuale da uomo a donna, ha affermato che la
transessualità è un problema linguistico: ‘i generi transessuali, in virtù della loro temporalità, supera
la capacità statica della lingua di rappresentarli’ (articolo poi mai scritto, da cui si hanno solo
abstract).
Un cambio di segno grammaticale è un segno non di un cambio di identità ma di un’assenza di
identità: la Stryker si chiede come si parla dell’esperienza della pubertà di un transessuale da donna
a uomo, dei periodi che lei era solita avere da donna, ma da uomo è incapace di avere; o ancora
‘quando lui si sente lui’ e ‘quando lui si sente lei’, e come si parla di gravidanza nella transessualità
da donna a uomo tale per cui si opta tra Quand elle était enceinte (incoerenza anatomica reale) o
Quand il était enceinte (incoerenza grammaticale virtuale).
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Nella scuola francese dell’analisi del discorso nota come Théorie de l’énonciation esistono due
termini utili per distinguere tra il parlante dell’espressione e la presentazione del parlante come
creata da quella espressione: Oswald Ducrot coniò il termine locuteur-L (il parlante come tale) e
locuteur-λ (il parlante come essere nel mondo) per articolare rispettivamente la differenza tra una
persona che narra una storia e l’identità che la persona crea per sé stessa nella storia.
Lui applica questi termini per esempio alle Confessioni di Rousseau per spiegare come il Rousseau
scrivente può costruire il Jean-Jacques più giovane per condurre il lettore a credere nella sua onestà
anche quando questo è a costo della sua reputazione o ethos: una conservatrice di cinquanta anni
può raccontarsi come una radicale a diciotto anni, una persona che ha perso una gamba può usare
sempre il pronome je parlando di ciò che era prima dell’incidente senza mai temere di non essere
capito, narrare al tempo del presente storico funziona come flessibile per chi diversamente non ne è
più visibilmente capace.
Il contrasto tra il proprio sé nel tempo in cui l’enunciato viene formulato e il tempo verso cui
l’enunciato fa riferimento è immediatamente temibile, il gap fra i due si risolve con la nozione
dell’autocambiamento attraverso il tempo, lì dove un cambiamento nel genere del narratore causa
una rottura, un senso di discontinuità, come se si dovesse introdurre una seconda persona: il tempo
è compreso come inerentemente modificabile mentre il genere resta stabile e immutabile, per questo
probabilmente c’è il bisogno di aggiungere alla gamma di termini analitici la possibilità di un
locuteur-L e locuteur-λ.
A questa nota sottoscritta che nota i diversi e identici referenti, si dovrebbe aggiungere If e Im per
denotare la coereferenza ma cambiamento di genere: il problema di come riferirsi ai e alle
transessuali fu considerato così importante che gli editori di Appelez-moi Gina del 1994,
autobiografia di Georgine Noel, una transessuale uomo-donna belga, ‘Il ou Elle? Il puis Elle?’ sulla
fascetta pubblicitaria della loro copertina.
Il fatto che la questione potrebbe essere posta è in sé interessante per qualsiasi risposta ne derivi per
Anna Livia: un’altra autobiografia di transessuale da uomo a donna si intitola Je serai elle,
indicando non solo il suo accettarsi come donna ma di passare come donna senza chiedersi il suo
genere presupposto, non asserito.
Un’analisi di come Georgine Noel di riferisce a sé stessa nella sua autobiografia dimostra gli usi
versatili a cui il sistema del genere linguistico potrebbe essere posto: sebbene la Livia si concentri
su Appelez-moi Gina, la sua ricerca mostra risultati simili per quattro autobiografie addizionali di
transessualità da uomo a donna, scritte in francese, ovvero Né homme, comment je suis devenue
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femme di Brigitte Martel del 1981, Alain, transsexuelle Inge Stephens del 1983, Diane par Diane
del 1987, Je serai elle di Sylviane Dullak del 1983 e per due biografie Histoire de Jeanne
transsexuelle di Catherine Rihoit e Le Combat de la mère d’un transsexuel di Marie Mayrand.
In ogni caso, sebbene la transessuale affermi che lei è stata femmina fin dalla nascita lei si alternava
tra la concordanza del genere maschile e quella del genere femminile a proposito di sé stessa,
indicando che la situazione era infatti molto più complessa: anche la seconda terza persona alterna il
riferimento di genere366.
Mayrand per esempio, il cui figlio ha cambiato sesso da uomo a donna, descrive la sua discendenza
al maschile fino a quando ha accettato sé stessa che lui era un lei e dopo questo punto nella
narrativa ha cominciato ad usare la concordanza del femminile, sebbene quando descrive una
fotografia di suo figlio al suo secondo matrimonio, lei scrive di lui al maschile: è l’occasione con
l’abito maschile correlato che comporta tale uso.
I cambiamenti di genere grammaticale nell’Appelez-moi Gina sono anche più complessi,
suggerendo che l’identificazione di genere di Gina non è stabile ma varia a seconda della situazione
sociale e del ruolo: dal momento che lei si presenta come se sempre fosse stata femmina, nonostante
il suo corpo, Noel si sarebbe riferita a sé stessa al femminile completamente nella sua autobiografia.
Oppure dal momento della sua operazione per il cambio di sesso le dette giusti genitali femminili
anatomicamente parlando, avrebbe usato la concordanza al maschile per quel punto e femminile da
quel momento in poi: nove anni dopo l’operazione, il suo sesso cambiò legalmente sul suo
certificato di nascita da ‘maschio’ a ‘femmina’, un altro possibile punto di demarcazione tra
mascolinità e femminilità.
Comunque lei insiste che la sua operazione per il cambio di sesso, che ebbe luogo quando aveva 39
anni, ebbe meramente la funzione di ‘ristabilire la corrispondenza tra il suo corpo e la sua indole’,
Noel usa l’opposizione binaria del sistema di genere linguistico francese anche se la sua
autobiografia esprima e sottolinea molti dei suoi cambiamenti di attitudine, umore e identificazione:
il lettore per prima cosa vede Noel ‘allongée’ sul suo letto d’ospedale a Lausanne dopo la sua
operazione e ‘Avant j’étais un transsexuel, maintenant j’étais une femme’, lei annuncia usando la
forma maschile del nome transsexuel per enfatizzare il fatto che era come un maschio con
un’identità di genere ancora non normale.
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!319
Prima di elencare, in ordine cronologico, i principali episodi della sua vita, Noel descrive la vita che
avrebbe potuto avere se lei avesse fatto l’operazione a quindici anni: ‘Placée dans un
environnement scolaire exclusivement féminin (j’aurais pu) participer normalement aux sports’,
‘Heureuse d’être femme et épouse, j’aurais aimé adopté les enfants’.
La condizionale contraria al fatto è usata per l’esperienza che a lei sarebbe piaciuto, in contrasto con
l’imperfetto, che descrive gli eventi che lei avrebbe vissuto comunque:
‘Comment le petit garçon pouvait-il un jour se révéler dans la femme adulte? Il allait vivre bien des
souffrances’- questo schema per usare l’imperfetto per gli eventi vissuti in passato e il condizionale
per il tempo futuro è ripetuto per sottolineare la tenuità di entrambe le posizioni.
Come per gli eventi del passato abituali e durativi l’imperfetto è anche usato dai bambini nel
giocare facendo creare di stabilire condizioni irreali: ‘moi j’étais le médecin et toi tu étais la petite
fille’.
C’è una sfumatura quindi dell’irreale nella descrizione di Noel di sé stessa nel maschile: ora Noel
infatti afferma ‘J’ai appris ce qu’on enseignait à qui j’étais et à qui je deviendrais’.
La natura permanente della persona che era e il carattere incerto di colei che deve diventare
evidenziano il suo senso precario dell’identità: dopo il prolisso prolégomènes, in cui il Dott.
Georgine Noel come viene chiamato in copertina, spiega al lettore i fatti medici della transessualità,
stabilendosi lei stessa come un’autorità piuttosto che una vittima grazie ai suoi costi medici, la
storia inizia con la nascita di Georges.
Per prima cosa la scelta di Noel del tempo permette lei di fuggire alla questione di genere, tale per
cui per l’annuncio della sua nascita lei usa il passato semplice del francese evitando il passato
composto che avrebbe identificato lei come un maschio ‘je naquis par un bel après-midi’: il passato
semplice francese trasmette anche una mancanza di connessione al presente, categorizzando
l’evento come parte fermamente del passato con alcuna rilevanza al momento dell’espressione,
sottovalutando il legame tra il bambino che era appena nato e la donna da sessanta anni che sta ora
raccontando la storia.
Ricordando come durante gli anni pericolosi dell’occupazione nazista, lei e sua madre avessero
lasciato casa, mentre suo padre andava a lavorare, Noel li descrive come ‘seuls toute la journée’,
usando la forma plurale maschile dell’aggettivo: dal momento che la madre di Noel è
esplicitamente e chiaramente una donna, la propria mascolinità di Noel che previene che l’aggettivo
prenda la forma del plurale femminile.
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Sebbene per la maggior parte del racconto, lei insiste sull’isolamento e solitudine dell’essere una
ragazza intrappolata in un corpo maschile, ci sono momenti in cui Noel vede un certo erotismo nella
sua mascolinità: lei e sua madre non possono essere descritte come due donne sole alla mercè di
soldati tedeschi vaganti, per lei almeno c’è il corpo di un ragazzo, quindi l’aggettivo ‘seuls’ nella
sua forma maschile.
Quando suo padre sa che la Gestapo imposta l’arresto dei suoi cugini per aver rifiutato di lavorare
in una fabbrica d’armi tedesca, è lei che pedala furiosamente sulla sua bicicletta per avvertirli e
quasi sicuramente salvare le loro vite: ‘J’enfourche mon vélo héroique’, riporta Noel usando il
presente storico, che non richiede concordanza di genere, non rende chiaro se lei perfomizzi tale
azione come ragazzo o come ragazza.
Nel primo paragrafo, comunque, la bicicletta viene introdotta come strumento di indipendenza
maschile ‘je porrai aller seul à l’école’, prevenendo Noel dall’andare a casa da scuola in compagnia
delle sue ragazze, raccogliendo fiori, inseguendo farfalle e rivelandosi in altre attività di genere
femminili: all’inizio Noel si risente della presenza della bicicletta perché rafforza la sua mascolinità
e autonomia al costo del cameratismo con le ragazze.
Diventa eroina quando si permette di andare da ragazzo in soccorso dei cugini e per tutta
l’autobiografia l’alternanza di Noel tra forme al maschile e e forme al femminile codifica spesso
cambiamenti di attitudine abbastanza sottili: da questo punto nel racconto, fino a quando inizia a
scrivere un diario segreto, Noel si descrive solidamente al maschile con
‘j’étais un enfant souffreteux’,
‘Elève absent…assis au dernier banc’
‘j’étais bon élève’
‘engoncé dans mon costume trois pièces’
‘j’étais encore trop jeune et maladroit’.
L’aggettivo seul viene usato per descrivere le sue sette volte in trenta pagine, sempre al maschile,
enfatizzando il disagio di Noel con il suo statuto di genere e suggerendo che lei venga accettata
come ragazza, per cui non avrebbe mai voluto essere così isolata: infatti, asserisce
‘la fille cherchait à naître isolée au milieu de tant de garçons’
La forma femminile dell’aggettivo isolée, dopo una litania di seul al maschile, evidenzia il fatto che
Noel è sola malgrado la compagnia di altri ragazzi perché è fondamentalmente diversa da loro: con
l’idea di scrivere non solo un diario ma di scriverlo in un codice segreto decifrabile solo da lei
stessa arriva la possibilità di descriversi al femminile.
!321
Noel ricorda che non aveva fiducia nei suoi genitori per rispettare la sua privacy e accettare che lei
‘(s)e sente étrangère dans (s)on corps et désire transporter (s)on âme dans la chair d’une autre’:
questa è la prima volta nella storia della sua infanzia che Noel ha usato marcatori femminili per sé
stessa e creando il suo codice privato con cui racconta i suoi pensieri e i suoi sentimenti, un codice
molto diverso da quello in cui è obbligata a vivere la sua vita dà lei una distanza sufficiente dalla
personalità maschile forzata su di lei per iniziare a raccontare la sua storia in maniera diversa.
Della sua giornata si ricorda come ‘je suis revenue dans la cour avec Edgard’ e del suo guardare le
ragazzine dalla sua locale scuola per imbarcarsi e sentire che il suo posto era tra di loro:
sfortunatamente sua madre trovò il suo diario e lo lesse ad alta voce a suo padre, ridendo
rumorosamente all’idea che il figlio scrivesse in codice, mentre Noel descritto al femminile,
ascoltava al buio.
Con questa violazione sentì dunque che alcun conforto ora più sarebbe derivato dallo scrivere il
diario -‘[P]as encore endormie j’avais tout entendu’: il suo codice segreto divenne obsoleto e tornò
a usare il maschile non risolvendo mai la possibilità di condividere qualsiasi cosa con i genitori
–‘Pour ne pas être tenté je bloquerais tout’
La narrativa ora continua con la concordanza del maschile e attraverso lo sforzo ancora una volta
del rendere al meglio la sua mascolinità forzata, Noel informa il lettore che ‘J’étais entré chez les
scouts’: per un genere maschile in toto e prodezze maschili appaiono ottenere una concordanza che
è più di qualcosa di meramente grammaticale.
Come in precedenza nel corso del suo atto eroico di salvataggio dei suoi cugini, la mascolinità di
Noel le permette di fare cose e andare in luoghi proibiti alle ragazze: la descrizione della sua delizia
in uniforme blu da scout, la fedeltà di gruppo e l’esprit de corps, tanto quanto le loro avventure
speleologiche, che riassume nella grandiosa frase ‘On en rentrait marqué du sceau de l’absolu’, in
cui la sua propria partecipazione è consistentemente narrata al maschile, dimostra che qui almeno
l’uso del genere grammaticale maschile coincide con il suo proprio concetto del sé per bene.
Il prossimo cambiamento nella grammatica del genere avviene quando l’amica di Noel Edgard è
espulsa dalla scuola per la lettura dei Les Fleurs du mal di Baudelaire: per tutta la sua autobiografia
Noel insiste che le transsesuali non sono omosessuali, per cui la transessualità si distingue
decisamente da omosessualità e travestitismo feticistico o per spettacolo, e annuncia nell’apparenza
di informare il lettore sulla necessaria teoria medica.
Quando si decide quali casi sono giusti per il trattamento e il riassestamento chirurgico, lei insiste
sul fatto che il medico professionista deve escludere automaticamente tre gruppi: i travestiti, gli
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omosessuali e i transessuali di professione (si noti che curiosamente il linguaggio specialistico
continua la lista ponendo anche psicopatici e deviati sessuali di tutti i tipi).
Per esprimere la sua propria attrazione verso Edgard e la sua tristezza per la sua espulsione, Noel
deve porsi verso un’autopresentazione femminile: diversamente, i suoi sentimenti possono essere
messi in dubbio quali sentimenti da omosessuale –‘J’étais attirée par cet ami, ne voyais que ses
yeux, mais je ne lui en fis jamais l’aveu’.
Per tutto il racconto dei suoi prossimi e pochi anni, la narrativa cambia tra il marcatore di genere
maschile a marcatore di genere femminile: non è che fino a quando Noel si trasferisce
dall’isolamento confinato della sua scuola di paese e il piccolo paese nel bel mezzo della foresta in
cui è vissuta con i suoi genitori e fratelli ed esplora la raffinatezza di Louvain, in cui studierà per
essere medico che l’identità femminile si stabilisce e i marcatori di genere maschile scompaiono.
Fino a quel momento lei deve essere contenta con il suo guardaroba segreto di abiti femminili che
come il diario in codice della sua infanzia le permettono le insidie di un’altra identità di genere –
J’étais heureuse, lei ricorda quando indossava abiti femminili camminando nella foresta lontano
dagli occhi dei suoi familiari e compagni di scuola.
L’aggettivo seul che domina il racconto della sua infanzia riappare ma questa volta è al femminile
ed ha un significato interamente positivo –‘Je savourais le plausi d’être enfin pour moi seule’: per
Noel nella sua persona femminile la solitudine significa non isolamento ma pare e libertà, e alla fine
del libro, dopo aver raggiunto sia l’operazione per il riassestamento del sesso e la rettifica del suo
stato civile, la dichiarazione del sesso sul suo certificato di nascita, lei riflette –‘C’est seule avec
moi-même que j’étais dans la joie’.
Solo e isolato come ragazzo circondato da altri ragazzi, la solitudine nel suo essere donna diventa
un senso di completezza: nella scena di Noel dispersa nella foresta, l’aggettivo seules è estratto da
‘je savourais le plausir d’être pour moi seule’ e ripete alla frase successiva, questa volta applicata
agli animali selvatici che vagano senza paura tra gli alberi ‘Seules les biches et les sangliers
passaient par là’ ..
Di particolare interesse nella frase ‘seules les biches et les sangliers’ è il fatto che l’aggettivo seules
ha la forma femminina, mentre è grammaticamente corretta per l’aggettivo prendere il genere del
nome più vicino che qualifica, questo ruolo è più spesso trascurato in favore di uno concorrente che
afferma che dove sia i nomi maschili che quelli femminili sono qualificati dallo stesso aggettivo, il
maschile dovrebbe prevalere: dal momento che les sangliers è maschile, ci si aspetterebbe che
seules per mostrare concordanza maschile, ma la forma femminile viene usata per implicare un
!323
senso di compagnia o piuttosto sorellanza nella solitudine tra Noel e gli animali, enfatizzando la
naturalezza della femminilità di Noel.
All’opposto di questa scena bucolica è la descrizione del ritorno di Noel a casa in vestiti di genere
maschile: a questo punto l’aggettivo seuls riappare al maschile ‘seuls les fleurs, les champignons…
méritaient attention’ lì dove prima seul ha concordato con il genere del nome più vicino, qui,
attraverso il precedere immediatamente les fluers, mostra concordanza mascolina per Noel che non
si veste più da ragazza: un senso di fallacia patetica unisce l’identità femminile di Noel con
l’innocenza della natura e viene registrata nella scelta del genere grammaticale.
Il suo ritorno al maschile è segnato dalla forma maschile dell’aggettivo sûr in un’espressione di
disgusto alla conferma del suo corpo ‘sûr que ce n’était à moi ce machin-là’: Noel lascia casa e il
racconto a questo punto dei suoi srudi medici a Louvain e il suo stabilirsi in Rwanda e poi in Congo
si stabilizza al femminile.
Gli aggettivi e i partecipi passati che descrivono la loro vita in Africa recita come segue: ‘engagée,
attristée, habituée, innocente, gênée, happée, prête, seule, égarée, seule, envoyée, seule, voisine,
seule, démunie, estimée, affectée, étonnée.
Immediatamente, nel mezzo di questo ambiente interamente femminile, il maschile ritorna solo per
scomparire di nuovo immediatamente: il punto nel quale fa il suo rientro nel testo è altamente
significativo, ovvero nel corso di una piccola festa da cena con un altro dottore e sua moglie, tanto
quanto con alcuni locali contadini bianchi, Noel si ubbriaca un po’, scompare nella sua stanza e
ritorna indossando un abito –‘Je me retirai dans ma chambre, puis revins en robe. J’en fus moimême étonnée’ questa fu l’unica volta in cui mostrò il suo sé femminile ad altra gente durante la sua
intera permanenza in Africa.
Dopo il suo racconto di questo incidente, lei ritorna ad una serie di riflessioni razziste sulle abitudini
ipersessuali dei congolesi con cui deve trattare e l’osservazione secondo cui la loro promiscuità
sessuale ha permesso la diffusione dell’AIDS: è in questa giuntura che lei torna a descriversi come
maschio –‘Né homme, je devais continuer à manifester ma supériorité sociale et sexuelle.
Il participio passato rivelatore né appare qui nella sua forma maschile, così attentamente evitata al
principio del racconto della narrativa dall’uso del passato semplice ‘je naquis’, che attraverso la il
genere neutro, è difficilmente colloquiale: il genere maschile ha bisogno di garantire lo status
superiore di Noel e dichiarare la sua primogenitura.
Deride senza esserne degna ciò che lei percepisce essere la libido sessuale africana, poiché la sua
dignità con persone bianche che rispetta ne è andata di mezzo per via della sua storia, enfatizzando
!324
il suo proprio stato e autorità come un uomo bianco sessualmente frugale: come scompare la paura,
la femminilità torna ad essere espressa, mentre sentirsi sotto pressione porta a rimettere in funzione
le caratteristiche mashili di privilegio e presentazione.
Sul suo reintegro nella vita belga, Noel parla di sé al maschile: la licenza temporanea che lei ebbe
per presentarsi come voleva nell’esotismo e dépaysement della sua avventura africana viene
rescisso dalla necessità di trovare il suo modo attraverso il processo burocratico del rientrare nel
modo di vita europeo: anche il ritorno nei suoi luoghi di crescita educativa e familiare causa lei il
riventire la presentazione di sé dei suoi primi anni.
Come quando era bimba e cercava un luogo, un tempo e un contesto in cui esprimere la sua natura
femminile, trovare il sollievo temporaneo nel suo diario codificato con le entrate e camminate in
solitaria nella foresta, non è fino a quando trova di nuovo un contesto in cui ripensa la sua
femminilità che Noel inizia a descriversi ancora una volta al femminile: è ironicamente nel
resoconto sul giornale della morte di ‘Peggy’ che morì di un’embolia dieci giorni dopo la sua
operazione per il cambio di sesso, che Noel scopre l’indirizzo di un’organizzazione di transessuali
parigina, la A. Ma. Ho.
In un piccolo gruppo di ‘amiche abituate a ritrovarsi a Neully’ il femminile grammaticale rende il
ritorno e per la prima volta nella narrativa è nel plurale, in quanto Noel ha finalmente trovato altre
transessuali come lei: in altre parole, dal momento che racconta di relazioni con altre donne, per
tutto il testo non è stato mai il filo della mutualità delle attività considerate insieme tra donne a
generare un femminile plurale.
Dopo il suo racconto del cambio di sesso a Lausanne, per via del suo status sessuale non è cambiato
sul suo dato di nascita per altri nove anni, Noel si blocca fermamente al femminile per il resto della
sua vita: ci sono comunque due eventi finali descritti al maschile prima che l’operazione sia
finalmente effettuata
•
dopo l’aver assemblato meticolosamente tutta la documentazione di cui lei aveva bisogno,
inclusa la documentazione psichiatrica, psicologica e medica, forniti a costo non basso da
professionisti belgi, lei ha riferito dal chirurgo svizzero che ‘C’est très bien tout ça, mais ça
vient de l’étranger’ ed è obbligata a ricominciare con gli ufficiali svizzeri.
•
Nella sua frustrazione e delusione, ricorre al maschile per richiamare ‘je suis retourné
plusieurs fois’.
Appare che come prima del suo ritorno in Europa, lei trovi la sua identità di genere maschile la più
adatta a trattare con la burocrazia assillante e a tratti umiliante: Noel riassume che l’uso dei
!325
qualificatori femminili per le preparazioni che immediatamente precedono l’operazione, ma al gran
giorno stesso lei richiama l’essere ‘réveillé tôt le matin’ e l’andare verso il teatro dell’omicidio.
Come lei lascia la sua stanza lei rilascia con una firma che recita ‘Monsieur Noel’ appesa alla porta:
dopo l’operazione si descrive al femminile ‘couchée sur le dos’.
La firma attualmente recita ‘Madame Noel’ per cui Noel si è identificata come una donna per gli
ultimi venticinque anni, ma lei reintroduce il maschile il giorno della sua operazione per evidenziare
la differenza tra la persona che si alza quel mattino e quella che vi giace la sera: è evidente
dall’abile manipolazione del Dottor Georgine Noel che il sistema di genere grammaticale potrebbe
essere utilizzato come una ricca risorsa per esprimere ed esporre ciò che è inadeguato del concetto
di genere naturale.
I significati delle forme maschili e femminili degli aggettivi e i participi passati usati per qualificare
Noel a passi diversi della sua vita variano enormemente: per il significato bisogna ricorrere al
contesto in cui si trovano ma è la loro natura oppositiva e contrastiva che li rende così utili
nell’esprimere i cambiamenti di Noel nell’umore, nell’attitudine e nello stato mentale.
Talvolta il cambiamento dal maschile al femminile è indicativo di un senso di trionfo, di successo,
come quando tenta di ritagliarsi un territorio che sia interamente suo e in cui avrebbe tentato di
esporre la sua autentica identità di genere: può anche implicare emozioni più negative, comunque,
come la paura dell’omosessualità.
Mentre il movimento opposto dall’identità di genere femminile all’identità di genere maschile
spesso conviene un senso di frustrazione o fallimento, come quando i suoi diari sono letti dai suoi
genitori o quando viene forzata a domande senza fine per i documenti ufficiali sul suo ritorno dal
Congo, non è sempre il caso: può anche esprimere un godimento dell’autorità e superiorità della
mascolinità tanto quanto un apprezzamento semplice se temporaneo dell’identità di sesso con cui è
nata, come quando va con gli scout dietro le tane.
!
3.1.1. Dislocamento al maschile e genere grammaticale
Nel momento in cui le distinzioni di genere nei nomi e negli aggettivi tendono a scomparire367,
molti uomini omosessuali francesi stanno ancora usando termini al femminile per indirizzare o
indirizzarsi l’un con l’altro nella comunità di riferimento, gruppo sociale nello specifico, che
!367
!326
include i loro amanti e sé stessi: infatti questa pratica è un prodotto principale degli atti di
commedia drag.
Uno studio sociolinguistico condotto a Parigi da Geneviève Pastre elenca alcuni degli epiteti
femminili che gli uomini omosessuali usano quando parlano di o ai loro amanti: questa gamma
dall’ipocoristico e diminutivo ma fille e ma petite chérie all’esageratemente offensivo folle pétasse,
mongolienne, salope e conne.
Pastre cita un articolo in Exit, un nuovo magazine parigino teso ad un audience misto di
omosessuali ed eterosessuali ‘Le Pédé hors ghetto’che offre consiglio su come attrarre un queer non
dichiarato e include due consigli specificatamente indirizzati all’uso del femminile nella discorsività
gay: il primo
•
Ne lui dites pas que vous êtes parti en vacances avec une bande de copines hystériques
attira l’attenzione dell’suo del femminile copine invece che il maschile copain, che si aggancia con
l’aggettivo che si aggancia con l’aggettivo hystérique, un riferimento culturale alla supposta
predisposizione delle donne verso l’instabilità emotiva, posiziona il parlante in una totale
femminilità, se il contesto stereotipo.
Il secondo
•
Ne parlez jamais au féminin
è un riferimento diretto all’uso degli uomini omosessuali della concordanza femminile per
designarsi come radicalmente diversi dagli altri uomini.
In inglese, gli uomini omosessuali spesso usano il pronome femminile she per far riferimento ad
altri uomini omosessuali:
PARLANTE A: Speaking of fags, where is Miss Thing?
PARLANTE B: You mean Ron?
PARLANTE A: Yeah.
PARLANTE B: I don’t know where she is368.
In questo esempio Ron viene prima introdotto come Miss Thing, un designatore femminile che è
poi anaforizzato come she dalla necessità grammaticale: ci sono anche casi in cui alcun femminile
antecedente viene introdotto per giustificare l’uso dei pronomi femminili, come nell’esempio
seguente, formulato in riferimento ad un giovane uomo
PARLANTE A: Who’s that next to George?
!368
!327
PARLANTE B: I don’t know but she’s kind of cute369.
In questo caso, she è deittico piuttosto che anaforico e per questo motivo appare come più marcato:
questo she presuppone che il genere del referente richieda un contesto discorsivo omogeneo per il
riferimento che ne segue e questo uso dei pronomi femminili per riferirsi agli uomini omosessuali è
limitato a contesti specificatamente omosessuali, quindi gergali, per cui può avere conseguenze
sociali ‘spaventose’ per la Livia se il dispositivo fallisce.
È importante notare che la strategia linguistica non è intesa a riflettere una persona femminile così
come dissociare il parlante dall’alleanza eterosessuale, per questo come è ovvio, è un riferimento
all’orientamento sessuale e non all’identità di genere come modulatore di socialità: gli uomini che
usano queste forme femminili per riferirsi a sé stessi o ad altri uomini omosessuali si stanno
designando, tanto quanto i referenti, come traditori della mascolinità eterosessuale.
Il fatto autentico di riferirsi ad un altro uomo al femminile anche se il parlante non usa mai i
designatori femminili in riferimento a sé stesso indica la partecipazione in questa modalità
discorsiva antieterosessista e controcorrente: i parlanti in questo modo evidenziano la loro propria
alleanza con gli effemminati, i gay, le drag queen, creando nei fatti questa alleanza proprio
attraverso il loro uso del genere femminile.
Come evidenzia Pastre, mentre fille, che indica una ragazza o una prostituta, viene usato
frequentemente da uomini omosessuali per riferirsi a sé stessi e tra di loro, femme, che indica sia
donna che moglie, è più raro e indica che non è una femminilità matura la quale viene immaginata
dall’uso dei termini femminili e concordanti, ma l’immagine della giovane, vulnerabile e bella
sessualmente.
Nello sforzo di andare oltre la semplicistica binarietà di genere Patrizia Violi argomenta che il
contrario o opposto del maschile non è femminile ma non maschile, mentre il contrario del
femminile è il non femminile370: nei termini della teoria della marcatezza, questo argomento fallisce
nel prendere conto del fatto che mentre due termini di un’opposizione potrebbero riferirsi a
posizioni diverse su un continuum soggettivamente saranno trasformati in un’opposizione371.
Nel tradizionale corso delle relazioni uomo-donna, l’opposizione gerarchica viene osservata, per cui
il femminile è il contrario del maschile tanto quanto il costituente marcato della diade, ma di fronte
all’enigma di un uomo che si indirizza ad un altro uomo al femminile, i partecipanti al discorso
!369
!370
!371
!328
vanno alla ricerca di una spiegazione: in questo contesto, la teoria degli opposti della Violi che
includono il negativo del termine piuttosto che il suo contradditorio, verrà avanti e i partecipanti del
discorso accetteranno la designazione femminile come un segno non di femminilità ma di
opposizione alla mascolinità ortodossa, la quale è eterosessualità.
Mentre le transessuali da uomo a donna che assistono in officina sul parlare come una donna
puntano verso un’identificazione più femminile, gli uomini omosessuali nello studio di Pastre
animano verso un’identificazione minima maschile: ci sono molte somiglianze nella performance
verbale dei due gruppi ma la loro motivazione è diversa sorprendentemente, perché se le
transessuali si stanno costruendo intorno a nozioni di femminilità, gli uomini omosessuali si stanno
costruendo intorno a nozioni di mascolinità.
Gli sforzi delle prime sono sforzi sinceri di apparire come donne, mentre il pettegolezzo e lo
scherzo dei secondi hanno l’intenzione di stabilire rapporti interni di gruppo, di épater les hétéros e
il loro aspetto parodico e ludico è inevitabile: mentre lo studio di Pastre produceva poche forme di
mascolinità usate da donne omosessuali per indirizzarsi alle loro compagne, come mon chéri e je
suis ton petit mec, nessuno fu usato per riferirsi alle donne in terza persona.
Per questo motivo, il destinatario era sempre presente e lo scontro tra il suo sesso e la designazione
di genere evidente: vale anche la pena notare che mentre gli uomini non sono mai indirizzati al
femminile salvo che qualche commento sul loro orientamento sessuale è inteso, per cui un udente
sente spesso le madri replicare alle loro figlie oui, mon grand- oui, mon petit- oui, mon chéri- oui,
mon vieux, senza alcun riferimento all’omosessualità.
Per il fatto che il maschile è il termine non marcato potrebbe essere usato genericamente con alcuna
interpretazione a proposito del segno della femminilità come in les grands doivent aider les petits
con un minimo di interpretazione come in les grands hommes font de mauvais pères, o con più
interpretazione come in oui, mon grand alla figlia adolescente di una data persona.
Questo potrebbe spiegare perché le donne omosessuali nello studio di Pastre riportavano un tale uso
minimale della mascolinità: può essere stata considerata non marcata o generica piuttosto che
specificatamente maschile e il femminile.
Il femminile d’altro canto essendo la metà marcata della diade è ristretta usualmente ad
un’interpretazione maggiore e se applicata ad un referente maschile implica la femminilità o
l’orientamento sesusale omo: l’uso dei lessemi femminili, concordanza femminile e pronomi
femminili per connotare l’omosessualità maschile è una strategia usata non solo da uomini
!329
omosessuali tra di loro ma anche da eterosessuali che commentano l’omosessualità percepita degli
uomini della loro conoscenza.
Per questo motivo, ad esempio, in Zanzie dans le métro, Zazie chiede ad una astante se lei pensi che
lo zio Gabriel di Zazie è ‘hormosessuel ou pas’: ‘Y a pas de doute’ la donna replica ritornando allo
Zio Gabriel ‘Vous en êtes une’.
L’aggettivo hormosessuel è al maschile, così che une della replica dell’astante deve essere
interpretata sia come esistenziale ‘tu sei una del tipo femminile’ o come concordanza che esibisce
con uno dei termini francesi femminili grammaticalmente per un omosessuale, ‘une tante’ o ‘une
pédale’.
L’ironia della replica dell’astante giace nel fatto che in entrambe le interpretazioni dello zio Gabriel
ci si pone, si condanna, anche senza il dover affermare esplicitamente ciò che ha inteso l’astante.
!
Dal momento che l’uso del femminile in riferimento agli uomini per indiricare omosessuali è un
fenomeno abbastanza comune nella letteratura francese, la Livia propone due esempi: mentre
esclamazioni come ‘ la pauvre fille!’ diceva di una persona che è chiaramente maschile, come nello
studio di Pastre, hanno intenzione di provocare la reazione dall’evidente dissonanza tra il termine
usato e il referente descritto, altri termini del femminile sono più subdoli.
In un articolo di Michael Jackson su Paris-Match, Olivier Royant gioca con il genere grammaticale
per evidenziare lo statuto bizzarro sessuale di Jackson e il suo stile di vita: l’articolo comincia con
Qu’arrive-t-il à mon idole? Il parait qu’elle est en train de devenir raide dingue et c’est Michael
Jackson…roi du disco…c’est elle et lui mon idoler.
La presentazione del cantante come un idole, un termine femminile grammaticalmente, permette al
giornalista di usare il pronome femminile elle per riferirsi a Jackson: dal momento che non è
immediatamente chiaro chi è il suo idolo, Royant spiega che ‘it’s Michael Jackson’, fornendo
l’ulteriore designatore roi du disco.
Roi è naturalmente un termine maschile grammaticalemente e culturalmente: Jackson ora è stato
designato dai termini sia femminili (une idole) che maschili (un roi), giustificando l’uso di Royant
di entrambi i generei nella frase che segue: c’est lui et elle mon idole.
Il resto dell’articolo descrive la fobia di Jackson per i microbi, le ore che spende ogni giorno nella
vasca dell’ossigeno, le operazioni innumerevoli a cui si è sottoposto per diventare bianco: per tutto
il racconto, i pronomi deviano all’indietro e in avanti tra il femminile e il maschile, dipendendo da
!330
se anaforizzano l’idole, star (femminile anche grammaticalmente in francese) o il nome proprio del
cantante.
In questo modo, Royant rende chiaro che lui trova Jackson estremamente strano, oltre al prevalere
le norme di genere ( un sentimento che lui si aspetta i suoi lettori ne prendano parte), ma senza mai
affermare questo esplicitamente: è interessante comparare questo uso del genere grammaticale con
quello di testi più canonici a questo punto.
Quando vuole personificare gli oggetti inanimati come esseri sessuali, gli autori francesi studiati
dalla Livia introducono frequentemente nomi che permetteranno al referente di essere anaforizzati
dai pronomi del sesso ad esso imputato: in L’Attaque du moulin di Emile Zola, una breve storia che
si svolge durante la guerra franco-prussiana, il mulino del titolo viene a stare direttamente per
Francia (pronome femminile inteso, Francia è grammaticalmente femminile in francese).
Il mulino viene impersonificato come ‘une fidèle servante viellie dans la maison’: per scrivere del
mulino usando i pronomi femminili e gli aggettivi femminili, Zola ricolloca il maschile le moulin
con vari sostituti femminili: une gaieté, la bâtisse, la partie du moulin.
Scrive per esempio ‘[L]a bâtisse, faite de plâtre et de planches, semblait vieille comme le monde.
Elle trempait à moitié dans la Morelle’: l’uso del femminile bâtisse permette a Zola di anaforizzare
il mulino come elle nella seconda frase ed evidentemente se il genere dei nomi erano percepiti come
un fenomeno puramente grammaticale, Zola non avrebbe dovuto andare a tali lunghezze per
introdurre i pronomi femminili.
Il e elle sono considerati per prima cosa e per la maggior parte essere pronomi personali nel senso
che designano referenti animati: il loro uso con referenti inanimati, sebbene appaia partecipare uno
status equo secondo i ruoli grammaticali tradizionali di concordanza del genere, è infatti molto
meno comune, dal momento che la gerarchia di animaticità in francese colloca i referenti animati
molto più in alto sulle scale dell’accessibilità e della salienza.
I referenti animati sono molto più probabilmente da essere pronominalizzati che referenti inanimati:
da porre semplicemente il e elle sono assunti per designare referenti inanimati salvo che esista una
chiara prova contestuale al contrario.
!
3.1.2. Genere lesbico e genere performativo
L’uso e concordanza di termini maschili per connotare l’omosessualità femminile e mascolina tra
donne è molto più rara dell’opposto in gran parte dovuto al fatto che il mascolino potrebbe esser
preso così facilmente per un generico: Christiane Rochefort gioca con l’uso della concordanza
!331
maschile per designare l’orientamento lesbico nella sua descrizione della relazione tra Céline e la
sua sorella quindicenne Stéphanie in Les stances à Sophie.
Il femminile une usato per descrivere Uncle Gabriel a Zazie viene quasi fuori dall’oscurità e già il
suo orientamento sessuale è noto immediatamente: Rochefort dall’altro canto deve per prima cosa
impostare un gioco complicato di ruoli per la mascolinizzazione di Céline da leggere come
un’implicazione dell’omosessualità e non semplicemente come un errore grammaticale.
Stéphanie ancosa una giovane lycéenne, si posiziona come amico di Socrate e alunno di Fedro,
chiamando la sua sorella per legge Platone per evidenziare il potere equo e dinamico tra loro:
l’alunna dichiara il suo amore per Céline ma non riceve alcun riconoscimento di corrispondenza.
Dopo un classico commentario sulla natura dell’amore, l’amante e l’amato da Céline, Stéphanie
sospira:
•
Alors, c’est moi qui aime?
•
C’est ce que tu as dit.
•
Et toi qui es aimée?
•
Grammaticalement obligé…
•
Si je t’ai bien compris…
•
Comprise.
•
Platon.
•
Pardon.
Grammaticalmente, se je t’aime, poi tu es aimée, come Céline evidenzia: Stéphanie cerca di esigere
un passo grammaticale ulteriore indirizzando Céline nel maschile, usando la concordanza maschile
per il participio passato compris per suggerire un orientamento omosessuale: ‘Si je t’ai bien
compris’.
Per Céline accettare questa mascolinizzazione di sé stessa senza esitazione comporterebbe
implicarsi nella dichiarazione di Sthéphanie: invece, lei corregge immediatamente Stéphanie,
insistendo sulla concordanza femminile comprise.
Per diffondere la situazione e agitare a parte la ripulsa, Stéphanie spiega che lei sta parlando a
Céline come Platone, una spiegazione che Céline accetta con grazia sebbene, data la natura
omosessuale del problema del soggetto del dialogo di Fedro, questo non fa altro che continuare solo
l’ambiguità.
!
!332
I parlanti non sono passivi verso la lingua e le possibilità che il suo sistema di distinzioni e
somiglianze si avviano: potrebbero usare le convenzioni del genere linguistico per creare diverse
identità di genere.
Un’analisi del gioco del gioco del genere linguistico La Cage aux folles di Marcello Danon fornisce
un esempio chiaro del perché il genere dovrebbe essere considerato performativo in senso
austiniano, come argomenta Judith Butler372: questo film punta sulle avventure complicate dei
proprietari di un cabaret di travestiti a St. Tropez che si chiamava La Cage aux folles, un gioco di
parole con la cage à poules che è sia una stazione di polizia sia un pollaio in cui molti travestiti
sfortunati finiscono, così come folles di cui significato non chiaro è ‘pazze’ ma che può essere
anche usato per significare ‘uomini omosessuali/passive’.
I proprietari in questione sono una coppia omosessuale che è stata insieme per più di venti anni:
Albin è una drag queen che recita il suo atto ‘the fabulous Zaza Napoli’, mentre Renato dirige il
club: Albin e Renato per questo forniscono una parodia dei ruoli eterosessuali, tale per cui Albin è
donna che veste tranquillamente in drag fuori dal palco, mentre Renato è butch (comparativamente,
la diade butch/femme è puramente comparativa, ogni prodotto si definiva nei termini della sua
relazione con l’opposto).
Le loro performance mostrano che il genere non è un’identità essenziale derivata dal corpo del
parlante ma costruita dai ruoli codificabili della società come un unicum: Albin performativizza la
femminilità (compresa come non mascolinità, per cui se gli spettatori ci credono, Albin è una donna
e l’ironia del film va completamente persa), mentre Renato perfomativizza la mascolinità
nell’abbigliamento, nel discorso, nelle maniere e nella camminata.
Nella scena iniziale di La Cage aux folles, tutte le drag queen si indirizzano e si riferiscono all’uso
della concordanza del genere femminile ‘Très bien mes cocottes’, ‘Et voici la grande, la
merveilleuse Mercedes’, la padrona delle cerimonie annuncia, usando forme femminili degli
aggettivi e l’articolo determinativo: questo uso si estende a Albin che giace al letto rifiutandosi di
alzarsi ‘C’est pas vrai. Qu’est-ce qu’elle fait? Je vais la chercher’ si lamenta il manager del palco.
Questo uso è continuo in tutta la sequenza di Renato, della cameriera Jacob e di altri dipendenti del
teatro: è usato per segnalare l’appartenenza al gruppo nel gruppo
MANAGER DEL PALCO: Il faut qu’elle descende maintenant.
RENATO: Occupe t’en. Je vais la tuer.
!372
!333
RENATO AL DOTTORE: Elle ne veut pas se lever. Il faut qu’elle entre en scène en cinq minutes,
elle n’est même pas maquillée.
JACOB: Je vais lui dire que tu fais de petits soupers d’amoureux pendant qu’elle travaille
ALBIN: Je suis affreuse. Je suis affreuse. Je suis si malheureuse
Il medico dall’altro canto che è stato invitato ad entrare da fuori il teatro e che per questo motivo
non partecipa alle stesse norme culturali, usa un diverso sistema di indirizzo e riferimento: lui
chiama Albin con il suo nome da spettacolo, Zaza, ma lo accompagna riferendosi sia a sé stesso sia
ad Albin alla terza persona, come se stesse giocando un gioco infantile ‘On va se montrer. On va
vite se montrer pour que le docteur voie Zaza’.
Lui non usa alcun pronome di genere, participio o aggettivi in presenza di Albin: in questo modo
evita un confronto tra la sua propria gamma di valori e quelli della Cage aux folles: l’uso dei
marcatori di genere non restano consistenti per l’intero film, comunque, o piuttosto rappresentano
solo una parte del sistema.
Quando Renato segue il dottore dopo il suo esame, lui cambia il riferimento di genere: nella scena
in cui chiama il medico lontano dalla sua cena per venire e curare Albin, lui ha annunciato ‘[E]lle ne
veut pas se lever’, costruendo Albin al femminile e per questo motivo lasciando sapere al medico
quale attitudine prendere verso di lei.
Lei è una prima donna capricciosa che sta sostenendo lo spettacolo e mentre Renato sta vedendo
fuori il medico, dopo che la consultazione è terminata, dall’altro canto, chiede ‘[Q]u’est-ce que je
fais s’il tombe malade? Je ferme la boîte?’: il cambiamento di genere segna un cambiamento di
attitudine, prima che Renato abbia visto il comportamento di Albin come parte di un atto da drag
queen, un impeto di risentimento teatrale.
Nella consultazione successiva, si interessa che il suo compagno potrebbe essere malato realmente e
si preoccupa sull’effetto che la malattia potrebbe comportare sullo show business: il suo uso del
pronome maschile il permette al dottore di replicare usando il maschile ‘[S]oyez gentil avec lui’, al
posto delle costruzioni impersonali che ha usato prima nel suo annullamento attento
dell’assegnazione di genere ‘[I]l lui reste des calmants?’
Con suo figlio Laurent, Renato è scrupoloso nel suo uso del genere maschile per riferirsi sia ad
Albin che a sé stesso: dalla sua parte, Albin si riferisce al femminile quando parlando al ragazzo,
usando il polisemico tatie, di cui il significato non marcato è ‘auntie’ ma che è anche usato per
designare un uomo omosessuale.
!334
Laurent rifiuta questo gioco di genere e si indirizza al compagno di suo padre con il suo nome
maschile:
ALBIN: Tu embrasses quand même ta tatie
LAURENT: Bonjour Albin.
Laurent costruisce non solo sé stesso ma il suo mondo come eterosessuale inalienabile, il suo rifiuto
della femminizazione di Albin tanto forte l’accusa quanto il rifiuto di Janice Raymond di riferirsi
alle transessuali da uomo a donna con she: Laurent si sforza di rafforzare la sua ideologia
eterosessuale nella famiglia di suo padre e il compagno di suo padre e il cameriere Jacob resiste a
questo rigido assegnamento di genere solo forzatamente.
Renato, dall’altro canto, accetta e ritorna all’uso dei designatori maschili, esprimendo per questo
motivo la sua collusione con le norme eterosessuali e cede alla richiesta di suo figlio per cui
sistemano l’appartamento quando i genitori della fidanzata di Laurent vengono a cenare, anche a
costo di chiedere ad Albin di andar via.
Alla fine comunque Renato esplode e la sua rabbia è espressa non solo nel contenuto del suo
discorso ma anche nel suo uso di un termine femminile per riferirsi a sé stesso: ‘Oui je mets du fond
de teint. Oui je vis avec un homme. Oui je suis une vieille tata. Mais j’ai trouvé mon équilibre’.
In questo sfogo, lui introduce una variante del termine tata, che Laurent aveva rifiutato nel discorso
di Albin, mostrando solidarietà con il suo compagno ed esprimendo un rimprovero nascosto al
disapprovazione precoce di suo figlio: la struttura diadica del sistema di genere linguistico in
francese si presta ad una molteplicità di significati, che avrebbero poco a che fare con gli attributi di
genere biologici e culturali.
Può esprimere solidarietà interna al gruppo o status da outsider, simpatia o antagonismo: il suo
annullamento potrebbe significare un rifiuto per impegnarsi o una paura di offesa: mentre i segni
linguistici del genere sono in declino nel francese contemporaneo, potrebbero essere usati dai
gruppi il cui orientamento sessuale o la cui identità di genere è alla dispari con norme sociali.
Le comunità ai margini per via sessuale usano il genere linguistico in modi sia paradossali sia
ironici, per il sistema di cui il semplice binario li esclude, è chiamato in gioco per generare i loro
propri significati e costruire le loro proprie reti di alleanze comunitarie.
Mentre le scrittrici femministe che inventavano le loro proprie convenzioni di lingua senza genere
sono parte di un movimento verso una società più egalitaria in cui le distinzioni di genere naturale
saranno viste come molto meno cruciali, le altre, descrivendo individui la cui configurazione
!335
anatomica e fisica li bandisce dalle categorie tradizionali, fanno uso del sistema che le femministe
denunciano.
Questa difesa del tradizionale dal fuorilegge o dalle figure al limite o i loro sostenitori, potrebbe
sembrare in apparenza paradossale o quasi un segno di falsa coscienza: a causa del suo status
ambiguo, comunque, gli ermafroditi, le transessuali e le drag queen, si potrebbe dire che agiscano
come un risoluzione dei problemi per il genere, rivelando risorse disponibili nel sistema di genere a
cui le identità più tradizionali potrebbero aver ricorso insufficiente.
Il genere grammaticale che molti sentirebbero agire come una trappola per limitare le persone nei
loro ruoli di genere, fornisce anche i congegni linguistici per esprimere la fluidità del genere373.
!
3.2. Gioco di genere linguistico tra uomini e donne omosessuali francofoni
Se Anna Livia ricorda come un partecipante alla National Conference of the American Association
of Applied Linguistics in Long Beach (California) del 1995, da poco dichiaratosi e chiaramente
vicino ai principi femministi, si chiedeva ansiosamente se l’uso dei designatori femminili da parte
di uomini omosessuali fosse considerato politicamente corretto a metà anni Novanta, mentre la
stessa Livia non la considerasse più misogino, la questione è importante nella misura in cui è
difficile immaginare un contesto in cui i termini come mongolienne e folle pétasse non siano né
peggiorativi né misogini.
L’uso del femminile in questo ambito per riferirsi agli uomini è di per sé misogino per la Livia,
quindi: bisogna stare attenti dall’affermare sicuramente con precisione di cosa si parla, perché
diversamente si rischia di non rispettare le categorie, non comprendere e generalizzare troppo
l’intero fenomeno.
In francese, gli uomini omosessuali sono costretti dalla necessità morfosintattica di posizionarsi o
come maschi o come femmine: la scelta della femminilità è una scelta contro il maschile alla base
piuttosto contro il femminile e la Livia non crede che gli uomini omosessuali nello studio di Pastre
stavano affatto pensando alle donne.
A questo punto, una lacuna completa di interesse nelle donne costituirebbe per bene una forma di
misogenia in sé374: certamente, la questione dell’omosessualità è stata a lungo trascurata negli studi
femministi sul sesso e il genere linguistico.
!
373
Cfr: Livia, Anna: National Conference of the American Association of Applied Linguistics in Long Beach,
California, 1995.
!374
!336
Questa trascuratezza ha creato un serio gap nel campo della sociolinguistica perché non si è riusciti
a rispondere a domande come:
• Come funziona la classificazione maschile/femminile nella lingua in cui la sessualità di un
individuo non conforma ai ruoli generali del patriarcato eterosessuale che regola la
grammatica?
• Quale effetto ha il fatto di avere un partner dello stesso sesso sul modo di parlare?
• Come uomini e donne omosessuali si riferiscono a sé stessi e tra di loro?
La differenziazione sociale che tende a sovrapporsi sulla differenza sessuale, nella misura che serve
come uno strumento di classificazione e ordine, assegna agli individui una rappresentazione di sé
stessi alla quale credono si debba conformarsi: gli individui acquisiscono la loro prima lingua
imitando coloro che si trovano intorno a loro, un sapere che è poi sviluppato attraverso
l’insegnamento attivo e consolidato attraverso regole grammaticali e i valori che naturalizzano e
codificano.
Nell’intera vita di una persona il suo o i suoi usi di lingua sono testati nelle interazioni con gli altri,
rivelando la mobilità e la variabilità complessa del fenomeno linguistico: la lingua stessa si
arrichisce continuamente nel corso del suo sviluppo storico tracciando sulle risorse delle diverse
sfere e registri, sia il privato che il pubblico e su quelli di altre lingue.
Per questo motivo un dato sistema linguistico offre una grande flessibilità, ma anche una forte
resistenza: i francesi per esempio nello studio di Pastre tendono a considerare la loro lingua una
forma di ‘proprietà privata’, un diritto inalienabile, un oggetto che deve essere difeso, come è
possibile vedere dalle reazioni alle riforme proposte di spelling poste da Monsieur Jacques Toubon,
Ministro della Cultura375.
La lingua francese non può subire la più piccola modifica senza provocare una risposta emotiva e
ogni sforzo per intervenire nelle questioni della lingua vengono prese come un’intrusione: il
sentimento linguistico medio del parlante dipende dalle idee dell’accettabilità sociale, come si può
vedere dal ricco vocabolario dei commenti discorsivi critici frequenti.
Le categorie del criticismo oscillano dai sentimenti d’uso: ‘ça ne se fait pas’, al gusto ‘ça fait
mauvais genre, tu parles mal’, all’appriopriatezza, ‘ça n’est pas convenable, c’est grossier, c’est
choquant’, alla moralità ‘c’est mal’, alla ragionabilità, buon senso e rilevanza ‘ça fait tout drôle, à
quoi ça ressemble? À quoi ça rime?’.
!375
!337
Il parlante medio ha una visione della lingua e del suo uso corretto che è ipergeneralizzata, statica e
connessa a livello emotivo: questa situazione produce una contraddizione peculiare, mentre la
lingua costituisce da un lato una sorta di proprietà privata che non è da manomettere, i parlanti
credono anche che sia qualcosa che possono comandare con libertà completa.
L’uso che i parlanti fanno della lingua è sperimentato quasi al momento del discorso, come un
processo individuale, non uno collettivo: la lingua offre poi un’arena eccellente per l’osservazione
del funzionamento sociale e individuale, ma partecipa anche nel dominio della perfomance, vale a
dire è la produzione e anche la creazione di un individuo.
Il discorso è un atto contestuale guidato da condizioni specifiche del contesto, per cui, sebbene il
momento del discorso appaia ripetersi, per l’attore sociale il momento è sempre nuovo e può
cambiare all’infinito: all’infinito creare imprevedibile, inatteso, precedentemente non ascoltati,
quasi per gli stessi partner all’atto discorsivo.
È in questo senso che la capacità per la creazione non ha limiti, ma questa capacità è anche dovuta
alle scelte fatte dai parlanti dall’assortimento esistente di lingua che prende ciò che appare più
deformante e adatto, che riforma e trasforma questi elementi che non soddisfano il loro intento o in
cui non si riconoscono: esistono costrizioni sul quanto il soggetto possa innovare, ma lasciano più
spazio per l’intervento dell’uomo.
La grammatica francese, il vocabolario e la morfosintassi collocano particolari costrizioni su uomini
e donne omosessuali: queste costrizioni non sono semplicemente il prodotto di una relazione di
dominanza o sudditanza a scapito di uno delle due categorie di genere ufficialmente riconosciute,
costrizioni contro le quali il solo ricorso è demandare uguaglianza accrescendo lo status delle
donne.
Mentre la categoria donna rappresenta una divisione sociale riconoscibile, l’omosessualità è un
rovesciamento del comportamento richiesto, un rovesciamento che non è né iscritto nella
grammatica né riprodotto attraverso la grammatica: le campagne linguistiche femministe hanno
concentrato sul detrimento delle donne e lo sforzo di rilevare tale situazione creando equivalenti
famminili per titoli lavorativi maschili, piuttosto che sul sistema di genere grammaticale come un
unicum, che non solo assegna la categoria di donna un grado inferiore rispetto a quella di uomo
sulla gerarchia di genere ma sposta totalmente la nozione di omosessuale e lesbica.
Tuttavia Pastre ricorda come uomini e donne omosessuali possano imparare qualcosa dalle
campagne femministe, che sono essenzialmente politiche e proattive, se solo si parte dai loro errori:
queste campagne hanno incontrato con un certo successo, come si può vedere dalla formazione di
!338
commissioni linguistiche nella comunità europea più ampia, inclusa Francia, Belgio e Svizzera, che
hanno pubblicato normative e liste di usi preferenziali376.
Comunque, il movimento femminista ha ignorato una dimensione essenziale della lingua, ovvero il
volere del parlante che è all’origine di tutto il cambiamento linguistico: Pastre ricorda come nulla
sia più democratico di un fenomeno linguistico, tale per cui gruppi o individui possono sforzarsi di
darle una direzione o alterarne la sua forma, ma il successo di questi sforzi dipende alla fine dal
parlante.
La correttezza politica ha fatto dei piccoli progressi in Francia, forse a causa dell’influenza
sull’Accademia Francese e la lunga tradizione del rispetto per la lingua dell’insigne socialmente, un
gruppo che tende verso il conservatorismo linguistico: queste rimarcazioni cauzionali che attengono
alla grammatica e al cambiamento linguistico sono necessarie per chiarire il contesto in cui i
parlanti gay e lesbici si trovano.
Magnus Hirschfeld, che scrisse alla fine dell’800 inventò il concetto di terzo sesso per rompere la
prigione imposta dalla differenziazione inevitabile e la complementarietà dei sessi: sebbene la sua
sia una ipotesi biologica, che provoca obiezioni forti tra coloro che sono convinti delle origini
culturali e storiche dell’identità sessuale, da una prospettiva moderna teorica si può considerare
l’idea del terzo sesso come uno sforzo per concepire un’antropogenesi, o uno sforzo per rompere
l’importanza imposta e immaginata dell’opposizione e complementarietà dei due sessi.
Non esiste ancora una categoria grammaticale per questo terzo sesso ed è precisamente in questo
vuoto che un parlante può ‘giocare’ secondo Pastre con il genere linguistico: lo studio di Pastre non
ha intenzione di essere rappresentativo, come quelli finora affrontati in particolare da un punto di
vista statistico, ma ha intenzione di essere più uno studio etnologico.
A causa della posizione delle donne che si muove diversamente nei campi sociopolitici e culturali,
molto distanti da quelli degli uomini, sono stati usati questionari diversi per ogni sesso.
I dati raccolti sia dalle conversazioni personali che dai questionari distribuiti al Centro Gay e
Lesbico a Parigi nel 1994 e dato agli amici e conoscenze parigine: coloro che hanno risposto, si
estendono in età dai diciannove anni ai quaranta.
Qualche informazione addizionale viene dal testo e inserzioni di magazine e quotidiani gay e
lesbici, sebbene questo non è l’intento principale dello studio di Pastre: per esempio, lo studio sugli
uomini omosessuali è stato distribuito al Centro Gay e Lesbico e ha ricevuto 23 risposte.
!376
!339
DOMANDA N.1: Usi il femminile quando ti indirizzi o parli del tuo ragazzo o amico? Hai sentito
altre persone usare il femminile?
RISPOSTE: 17 su 23 persone rispondono di sì (quasi due terzi). Diversi sfumavano le loro risposte,
dicendo ah oui!, non/oui e qualche volta par fois. Senza eccezione, tutti coloro che rispondono
avevano sentito il femminile usato da altri uomini omosessuali in riferimento sia a sé stessi che ad
altri.
DOMANDA N.2: Quali termini, espressioni, frasi usi o hai sentito usare?
RISPOSTE: Solo designatori femminili. Chérie, ma petite chérie, ma fille, copine, salope, conne,
mongolienne, folle pétasse.
FRASI COMPLETE: comment ça va ma chérie?, elle est toujours pareille celle-là, elle est folle, tu
es une vraie folle!, elle est trop folle, quelle folle, elle est folle, la pauvre fille, je suis complètement
folle, appelez-moi la X, dire ‘elle’.
LE DONNE OMOSESSUALI CHE SCELGONO DI RISPONDERE A QUESTO
QUESTIONARIO IN RIFERIMENTO AGLI UOMINI OMOSESSUALI AFFERMANO: elle est
toute belle aujourd’hui, elle a la tête dans le cul ce matin, elle est gentille, la pauvre fille.
Queste espressioni si estendono dai termini di affetto a termini di insulto: il termine folle, usato sia
come un aggettivo sia come un nome, ha luogo frequentemente nella maggior parte delle volte in
risposte da studio.
È comunemente usato per designare un uomo omosessuale effemminato sia dalla comunità
omosessuale sia dalla comunità eterosessuale nella sua più larga maggioranza: folle è
occasionalmente pronunciato fol nei dati, una forma maschile arcaica che era solita essere richiesta
prima di una vocale.
Le risposte appelez-moi la X e dire ‘elle’ sono interessanti in ciò che indicano che semplicemente si
riferiscono ad un uomo al femminile è abbastanza per etichettarlo omosessuale: mentre il termine
giovanile fille ha luogo frequentemente nei dati, l’adulto femme non ha luogo mai.
Un intervistato indica un altro tipo di femminilizzazione, in cui il parlante si femminilizza in
relazione al suo partner, riferendosi a lui con mon chéri, mon mari e mon ami: dal momento che il
partner di un marito è una moglie, questi termini femminilizzano il parlante per associazione.
DOMANDA N.3: Questo uso è una pratica intima, privata, di gruppo o pubblica?
RISPOSTE: gli intervistati riportano di usare o ascoltare queste espressioni in privato, in gruppi
chiusi e in pubblico o come un intervistato ha specificato in ‘lieux gay’.
!340
Un altro soggetto afferma che usava questi termini sostenendo nella linea al marcatore quando
raccontare le sue avventure della notte precedente: per questo motivo, sebbene l’uso di queste
espressioni è variabile come al concetto, la pratica del riferirsi a uomini omosessuali al femminile è
generalizzata in tutta la comunità omosessuale maschile.
DOMANDA N. 4: Per quali ragioni usi il femminile? Cerca di essere il più possibile preciso.
RISPOSTE: Alcuni intervistati replicano che usano espressioni femminili par provocation, mentre
altri affermano che la usano senza intenzionalità, una disparità che suggerisce che i diversi parlanti
hanno motivazioni diverse, che dipendono dal contesto. Altre ragioni date per l’uso di tali
espressioni sono state: une marque d’amitié, un jeu de dérision, une plaisanterie entre nous, un jeu,
un modo per jouer sur le stéréotype du pédé hystérique, un desiderio di avoir un langage propre à
sa communauté, oppure come una provocation contre l’ordre établi.
Altri intervistati insistevano che l’uso dei termini femminili era umoristico nell’intento o di
affezionarsi o un segno di una reazione negativa verso qualcuno: un uomo ha rimarcato che usava
espressioni femminili con intenzione ironica, dal buon humour, per irritare piuttosto che annoiare.
Un altro intervistato, ricercatore di Genet, fornisce la seguente elaborazione della sua replica:
Elle+V/la grande+prénom/ la mére+nom ou prénom, X, c’est une salope (critique ou admiratif!), je
suis qu’une pauvre fille/ t’es qu’une etc…/Miss X/ une copine (pour un ami).
Questo intervistato forniva il seguente commento:
• Mi appare più comune tra gli uomini un po’ più anziani di me, oltre i 35, appartenenti ad una
generazione diversa e una sensibilità gay diversa. In ogni caso, non mi riconosco in questa
dinamica espressiva (o non mi ci voglio riconoscere).
• Gli anni Settanta, rue Sainte Anne (una strada che attraversa l’Avenue del’Opéra che fu
famosa negli anni Settanta e Ottanta per i suoi locali gay).
• Attivisti politici usano il femminile per denigrare qualcuno, particolarmente un eterosessuale
(la mère Charvet, per esempio) o qualcuno nell’autorità.
• Può essere usato in modo affettivo come in la grande X detto in un tono di voce leggermente
paternalistico. L’uso del femminile è legato in ogni caso al desiderio di stroncare l’altra
persona (che corrisponde con le analisi di Guiraud, linguista francese noto in particolare per
il suo lavoro sullo slang). Potrebbe anche essere usato giocosamente tra amici: una
trasgressione assunta di codici linguistici e sociali e il piacere che produce.
Questo femminile mi irrita perché appare tornare ad
!341
1. un’enfasi sulla divisione tra i generi (con la derogazione o subordinazione del
femminile)
2. un’omofobia interiorizzata (sebbene forse corrisponda ad alcune realtà socio
psicologiche)
Il rifiuto di questo intervistato della pratica della femminilizzazione e la sua rimozione della
femminilizzazione come un costume appartenente ad una generazione più anziana cozza alquanto
con la sua ovvia presa del soggetto e la sua alacrità nel fornire sia gli esempi che le regole: le
osservazioni fatte nel corso della conversazione casuale porta alla luce anche informazioni
interessanti.
Per una giornalista eterosessuale, che lavorava con il suo team editoriale di Gai Pied Hebdo, un
popolare settimanale gay che appariva dal 1979 al 1993, il modo di parlare degli uomini
omosessuali non era familiare: fu sorpresa dal fatto che la maggior parte dei giornalisti al magazine
si fossero dati a sé stessi dei nomi femminili, come Marilyn, e li usava di fronte a lei senza
esitazione: scioccata da ciò che ha sentito, ha definito gli uomini ‘patetici’.
A questo punto Pastre ricorda come molti suoi amici omosessuali abbiano lui detto in diversi toni
confidenziali e con un sorriso tenero ‘J’ai rendez-vous avec mon mari’, oppure ‘Heureusement que
j’ai mon petit mari’, ma anche un uomo omosessuale parigino che protesta ‘[I]l fait trop froid, je me
sens complètement méditerranéenne’.
Il relativamente nuovo magazine mensile Exit, che ha mixato il pubblico omosessuale con quello
eterosessuale, ha pubblicato un articolo intitolato ‘Le Pédé hors ghetto’: questo articolo offre un
consiglio spensierato sull’uso del genere femminile, notando che gli uomini omosessuali che non
vogliono essere riconosciuti dagli eterosessuali tuttavia si riconoscono da un piccolo dettaglio che
anche gli uomini omosessuali più effemminati avrebbero corrisposto.
Alla domanda poi di come si approcci un uomo omosessuale non dichiarato e come lasciarlo, Pastre
registra le seguenti risposte:
1. ‘N’appartenez à aucune des catégories stivante: folles ringardes, butch techno queen, pédé
militant, minet disco’
2. ‘Ne lui dites pas que vous êtes parti en vacances avec une bande de copines hystériques’
3. ‘Décidez d’adopter un look de pédale’.
Nella loro colonna mensile, Exit in uno speciale cita una ‘phrase dite par une femme de sexe
masculin totalement déchignonée’, ‘J’en ai assez de ce plagiste de merde’: dieci minuti più tardi la
!342
stessa persona nel medesimo luogo, ‘’[J]’en ai assez de ces connes. Demain j’amène mon copain,
Alex, le mannequin, pour donner une leçon de beauté à toute cette plage’.
Evidentemente il fenomeno della femminilizzazione diffuso abbastanza per essere riconosciuto e
gentilmente deriso in un magazine dal pubblico misto: pare essere particolarmente connesso ad
un’immagine di frivolezza conscia di moda.
!
Il questionario lesbico è stato distribuito al Centro Gay e Lesbico nella stessa maniera che a uomini
omosessuali ma ha ricevuto solo sette risposte: il centro attrae donne omosessuali tra i trenta e i
quaranta anni tanto quanto un gruppo di giovani donne omosessuali quarantenni che non
appartengono ai gruppi femministi ma frequentano bar e club di tendenza nel vicinato.
Per questo motivo, la bassa risposta è significativa, come quella rimarcante ostilità, c’est con,
scarabocchiato su un questionario che suggerisce che le donne omosessuali si risentono
dell’implicazione che usa il genere maschile per riferirsi l’un con l’altra:
DOMANDA A.1: Gli uomini omosessuali spesso femminilizzano i loro amanti. Fanno lo stesso o
hai sentito usare il maschile da altre donne omosessuali?
RISPOSTE: un no netto, senza ulteriori dettagli, concluse il questionario. Un no senza spiegazione
fu data ad un altro intervistato che replicò ad una tarda domanda sulla femminilizzazione dei titoli
lavorativi. Altre due intervistate hanno replicato di oui.
DOMANDA 2. Quali termini, espressioni, frasi usi o hai sentito usare?
RISPOSTE: Mon chéri, mets-la-moi, je suis ton petit mec.
DOMANDA 3: Questo uso è intimo, privato, una pratica di gruppo o pubblico?
RISPOSTE: i termini al maschile sono usati in situazioni che sono intimes et amoureuses.
DOMANDA 4: Per quali ragioni usi il maschile? Cerca di essere il più preciso possibile. E se no,
perché no?
RISPOSTE: per excitation e per esprimere la tendance masculine dans mon comportement.
L’uso di aggettivi maschili per descrivere le donne, usati come termini di tenerezza, non è specifico
alle donne omosessuali ma pratica comune nelle situazioni sociali più generali, che non si includono
negli scopi dello studio di Pastre377.
Le donne omosessuali non potrebbero percepire la pratica come tipicamente lesbica e questo
potrebbe essere la causa del tasso di basse risposte tra le donne omosessuali nello studio di Pastre:
!377
!343
la seconda parte del questionario attiene alla femminilizzazione dei titoli lavorativi maschili
grammaticalmente, una campagna che ha ricevuto un riconoscimento ministeriale, conducendo alla
creazione nel 1986 di una Commission de terminologie, diretta da una scrittrice Benoîte Groult,
sotto la direzione di Yvette Roudy, ministro per i diritti delle donne.
DOMANDA B.1: Sei favorevole alla femminilizzazione delle parole maschili che si riferiscono a
noi nella tua vita professionale, etc…?
RISPOSTE: Gli intervistati erano molto più cooperativi in questa parte del questionario, forse a
causa dell’attenzione dei media che hanno dato a questo argomento. Tre intervistati in particolare
apparivano essere consapevoli dell’interesse di tali questioni. Un lavoratore sociale di 31 anni, uno
studente di 24 anni e una scultrice di 40 anni.
Hanno offerto i seguenti esempi di titoli lavorativi che dovrebbero essere femminilizzati:
conservatrice, écrivaine, fliquette, quelqu’une, auteure e auteuse (sebbene nel francese parlato in
Francia sia ancora controverso, nel francese parlato in Quebec auteure è profondamente accettato).
DOMANDA 2: Lo fai spontaneamente o preferisci seguire delle regole? Offri degli esempi e
spiegali.
RISPOSTE: Alcuni intervistati esprimevano riserve sul metodo da seguire nella femminilizzazione
dei termini maschili ed erano interessati al che fossero etimologicamente corretti.
Per la maggior parte dello tempo, le donne omosessuali intervistate non commentavano sulla
connessione tra l’uso dei termini maschili d’affetto da un lato e la femminilizzazione dei titoli
lavorativi dall’altro: questo è un segno dell’implicatura complessa delle donne omosessuali nella
società.
Posizionate dal lato delle donne, che difendono i diritti delle donne nel riconoscimento linguistico
da un lato, occupano allo stesso tempo una seconda posizione che gioca con il genere maschile nel
contesto della loro sessualità e relazioni intime: questa non è molto una contraddizione come una
doppia identificazione, riflettendo la complessità della situazione sociopolitica delle donne
omosessuali.
Le donne omosessuali che amano giocare la parte di les petits mecs vengono anche chiamate per la
femminilizzazione dei titoli lavorativi: auteure, inspectrice, madame la Ministre, postière,
sculptrice: dall’altro lato, l’onore e il prestigio della maschilità affascinano molte donne, che sono
felici di accedere agli onori che sono stati riservati agli uomini finora.
Queste donne temono che quando tali onori vengono accordati a titoli femminili, loro possano
perdere qualcosa che hanno ottenuto da sé e ad un alto costo: quando lo scrittore Hèléne Carrère
!344
d’Encausse fu accettata nell’Acadèmie Française, per esempio, le sue figlie resero chiaro che non la
consideravano una écrivaine e non approvavano la femminilizzazione dei titoli lavorativi.
Allo stesso modo la famosa dichiarazione di Monique Wittig ‘le donne omosessuali non sono
donne’, deve essere considerata come uno sforzo alla provocazione, piuttosto che una realtà
psicosessuale nell’autorappresentazione delle donne omosessuali, almeno nel contesto dello studio
di Pastre.
Nonostante rifiuti ripetuti sia da uomini che da donne omosessuali ad essere assimilati nella stessa
categoria sociale, un’analogia tuttavia potrebbe essere stabilita: esiste una somiglianza non solo di
situazione sociale, ovvero il fatto in un certo senso di ‘condividere la stessa miseria’ di come un
uomo la pone, ma anche di lingua e di termini (cuir, SM, amour, sentiment, visibilité, fierté gaie).
Esiste una lingua comune, un chiedersi comune, una concorrenza sull’innovazione e audacia, un
doppio genere che appartiene ad entrambi i sessi nella loro indifferenziazione sessuale, la posizione
analoga dei generi, non la loro complementarietà.
Alla domanda quindi se questa situazione produca nuovi usi linguistici oltre l’identificazione
grammaticale degli uomini e delle donne omosessuali con i membri di una coppia eterosessuale,
Pastre risponde che probabilmente, alla maniera del caso duale dell’antico e classico greco, che
veniva usato per indicare cose che si esprimevano in coppia, come gli occhi e i piedi, verranno
create forme grammaticali che sono più adatte a descrivere le coppie gay e lesbiche.
Se queste nuove forme non esistono, il bisogno di averli lo conia: entro le costrizioni della
morfosintassi francese, i parlanti gay e lesbiche stanno cercando di stabilire un nuovo equilibrio né
maschile né femminile nel senso tradizionale di un’opposizione binaria o complementare:
l’apparenza di nuove forme grammaticali ci permetterebbe di creare uno spazio linguistico che non
approfondisce la spaccatura tra i sessi.
Offrirebbe un’alternativa, tale da arricchire l’umanità dando espressione di una forma fondamentale
di sessualità che altrimenti deve confinarsi a registri culturali inadeguati ad esso: queste nuove
forme servirebbe anche a mostrare la natura relativa dell’opposizione tra i sessi e il loro conflitto.
Ci troviamo dunque di fronte per Pastre ad un punto di svolta al quale un sistema tripolare o anche
multipolare deve rimpiazzare la battaglia di un sesso contro un altro: la lingua, in cui convergono i
desideri, i sentimenti e le idee, deve uscir fuori dal suo vecchio guscio e rifiutarsi di sottomere alle
vecchie leggi per dare i natali alle nuove possibilità morfologiche a cui la disfatta del sistema di
genere è solo un preludio, tale per cui secondo Pastre ‘We are on the threshold of a catastrophe or a
renaissance’.
!345
!
APPENDICE
Il gioco del femminile/maschile nella gergalità queer gay/lesbico
Questionario all’uso degli uomini omosessuali.
1. Utilizza il femminile quando parla ad un o di un vostro amico? Avete sentito usare il
femminile da altri?
2. Quali termini, quali espressioni, quali frasi utilizza o sente?
3. Si tratta di un uso intimo, privato, di gruppo o pubblico?
4. Quali intenzioni applica nell’usare il femminile? Cerchi di essere il più preciso possibile.
!
Potete usare il retro di questo foglio. L’inchiesta è anonima. Vogliate per cortesia scrivere tuttava la
vostra età o fascia d’età e la vostra professione.
!
Questionario per donne omosessuali. A
1. Gli uomini omosessuali spesso femminilizzano i loro amanti. Fai lo stesso o hai sentito il
maschile usato da altre donne omosessuali?
2. Quali termini, espressioni, frasi usi o hai sentito usare?
3. Questo uso è intimo, privato, una pratica di gruppo o pubblico?
4. Per quali ragioni usi il maschile? Cerca di essere il più specifico possibile. Se no, perché no?
B
1. Sei a favore della femminilizzazione delle parole maschili che si riferiscono a noi, nella
propria vita professione, etc…?
2. Lo fai spontaneamente o preferisci seguire le regole ufficiali? Dà esempi specifici e spiega il
perché.
!
Potete usare il retro di questo foglio. L’inchiesta è anonima. Vogliate per cortesia scrivere tuttava la
vostra età o fascia d’età e la vostra professione.
!
3.3. Un’analogia linguistica per lo sganciamento tra orientamento sessuale e
identità di genere
!346
La lingua come il genere e la sessualità, è un’intersezione di influenze biologiche e culturali: come
risultato, le analogie linguistiche hanno spesso provato ad essere utili consigli euristici per irritare
separatamente le intricate relazioni tra il sesso biologico, l’identità di genere e l’orientamento
sessuale: Money per esempio traccia un parallelo tra l’acquisizione della lingua e l’interazione
complessa tra le influenze ambientali e biologiche sull’orientamento sessuale378.
Per spiegare come qualcosa possa avere sia una componente genetica che sociale e così sfidare la
falsa dicotomia della ‘natura verso l’allevamento’, lui evidenzia il fatto che gli esseri umani
acquisiscono la loro lingua nativa come un risultato sia dell’ambiente particolare in cui sono
cresciuti sia l’organizzazione della facoltà linguistica del cervello.
Un’altra analogia linguistica è offerta da MacCowan, che illumina l’autonomia delle identità
lesbiche butch-femme dai ruoli di genere eterosessuali attraverso un esempio linguistico379: lei
punta sullo yiddish che si basa sul tedesco ed è diventato l’unico idioma dei suoi parlanti ebrei per
illustrare come una cultura oppressa possa adottare e trasformare simboli che originano nella cultura
dell’oppressore.
Proprio come i parlanti di yiddish hanno modellato la lingua tedesca sulla loro propria cultura,
combinandola con elementi di ebraico per creare un nuovo vernacolare ricco linguisticamente, le
cui origini tedesche sono tuttavia prontamente identificabili, così anche le donne omosessuali butchfemme hanno costruito una nuova lingua di genere rimodellando e sovvertendo i simboli
tradizionali di mascolinità/femminilità, tanto quanto combinarli con elementi unicamente queer che
derivano dall’ambito di due donne.
Dire che butch-femme non è niente più di un’imitazione dell’eterosessualità è per questo motivo
tanto riduttivo quanto dire che lo Yiddish non è niente più di un dialetto del tedesco: lo studio di
Bagemihl offre un’analogia linguistica estesa per uno dei più significativi sviluppi che emergono
nella cultura queer, ovvero la scissione dell’orientamento sessuale dall’identità di genere da parte di
gay e lesbiche transessuali.
I e le transessuali e gli individui descritti per genere che si identificano come gay, lesbica o
bisessuale hanno iniziare a dichiarare le loro identità380: nel processo, stanno provocando una
visione per cui per essere un uomo omosessuale, bisogna essere nati maschi o che per essere una
donna omosessuale, bisogna essere nate femmine.
!378
!379
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!347
Comunque, le comunità non transessuali hanno tipicamente risposto a tali individui con un misto di
incredulità, confusione e ostilità381: questi generi in larga parte da una mentalità persistente di
determinismo biologico, tanto quanto inabilità a separare i domini di sesso biologico, identità di
genere e orientamento sessuale che sono tradizionalmente fusi.
Sebbene non è il primo intento dello studio di Bagemihl documentare l’esistenza o i numeri dei gay
e delle lesbiche transessuali, per spiegare la loro origine o per trattare i queer transessuali come un
gruppo di studio la cui lingua o altre caratteristiche vanno analizzate: mentre il lettore si augura di
consultare un numero di riferimenti che si indirizza a questi topic, lei o lui dovrebbero anche
chiedersi della problematizzazione e analisi di tali individui in primo luogo e ascoltare direttamente
le loro voci di gay e lesbiche transessuali autoidentificati sia di persona che nei testi.
Il fine dello studio di Bagemihl non sono i queer transessuali ma la risposta dei gay, delle lesbiche e
di altre comunità ai queer transessuali, dal momento che è qui che la massa della disinformazione,
incomprensione e rifiuto si annidano: dalla documentazione di questa risposta Bagemihl passa
all’antidoto offerto.
Bagemihl propone che la linguistica offra un’analogia eccellente per comprendere come qualcosa
che a prima vista appare essere biologicamente determinato o derivativo da altri domini possa nei
fatti avere un’esistenza autonoma: esiste un numero di lingue in tutto il mondo che dispensano con
la laringe del tutto, usando invece un meccanismo alternato di produzione del suono come fischi o
strumenti musicali.
Tali sistemi sono chiamati solitamente LINGUE SURROGATO (l’uso del termine surrogato è
tradizionale per queste lingue e non implica che sono in qualche modo inferiori alle loro lingue
fonte): un corpo vasto di letteratura ha documentato la struttura e la funzione di una serie profonda
di tali lingue382.
È necessario partire con l’analisi delle interrelazioni tra fonologie di lingua fonte, fonologie di
lingua surrogato e fonetica di lingua surrogato: le lingue surrogato mostrano un numero di iniziali
proprietà fonologiche confuse che sono state tradizionalmente iscritte alle richieste imposte dalle
loro nuove modalità.
Il fallimento di alcuni surrogati per rappresentare l’intonazione, per esempio, è spesso attribuita
erroneamente alla natura degli strumenti musicali che vengono usati per articolare la lingua
!381
!382
!348
surrogato: comunque, Bagemihl dimostra che la realizzazione fisica della lingua surrogato non ha
chiaramente nulla a che fare con queste proprietà.
Ciò ha implicazioni importanti per una comprensione delle interrelazioni di identità di genere,
l’orientamento sessuale e il sesso biologico: costituisce un esempio linguistico di diversi domini
correlati che sono spesso pensati per essere molto dipendenti l’un con l’altro e alla mercè delle
costrizioni biologiche e fisiche, quando infatti sono largamente autonomi.
Proprio come la fonologia è indipendente dall’apparato fisico/biologico usato per articolarlo (bocca,
mani o tamburo, così anche l’identità di genere è indipendente dall’orientamento sessuale e dal
sesso biologico: niente naturalmente viene provato tracciando questa analogia, niente altro che
puntualizzare le influenze duali della biologia e dell’ambiente nell’acquisione linguistica prova che
le forze parallele sono al lavoro nel determinare l’orientamento sessuale.
Bagemihl dimostra semplicemente da una prospettiva innovativa come i concetti che hanno
tradizionalmente fallito, possono essere infatti entità autonome: come notato in precedenza,
l’analogia da offrirsi qui è un’analogia estesa: dal momento che si tratta di fenomeni complessi e
relativamente non familiari nei domini sia della lingua sia del genere, è necessario un buon grado di
spiegazione.
A questo punto la vera esistenza di individui transessuali che sono eroticamente attratti dai membri
del loro stesso sesso riassegnato crea sfide significative alla comune comprensione di concetti
fondamentali come il sesso, il genere e l’orientamento sessuale: su un livello individuale i membri
non transessuali delle comunità gay e lesbica sono chiamati a riesaminare le loro definizioni di
uomo e donna omosessuale e il modo in cui interagiscono con individui che dichiarano queste
entità.
Per un dato numero di ragioni, la risposta di uomini omosessuali e altre comunità alla transessualità
da donna a uomo, è di primaria importanza: storicamente i transessuali da donna a uomo sono stati
trascurati e le transessuali identificati come uomini omosessuali doppiamente trascurati383: in
aggiunta la comunità lesbica ha iniziato ad indirizzarsi già alla questione delle e dei transessuali
omosessuali, spesso meno che affini, e la sua risposta384, mentre la comunità omosessuale maschile
ha riconosciuto a mala pena questa questione, molto meno iniziato ad agganciarla.
!383
!384
!349
Infine, i transessuali identificati come uomini omosessuali continuano ad avere confusione e sforzi
mal guidati per spiegare i loro desideri, in particolare attraverso le comunità mediche/professionali
nei modi che le transessuali identificate come lesbiche spesso non fanno: la perplessità è
sintomatica di una concezione erronea delle interrelazioni tra orientamento sessuale e identità di
genere e in aggiunta che questo fraintendimento può essere modificato con l’aiuto di diversi esempi
ben selezionati da altri domini di esperienza, quali per l’appunto la linguistica.
I movimenti di liberazione femminista e gay aiutarono a stabilire che l’orientamento sessuale è
indipendente dal sesso biologico, mediante la semplice osservazione che si può essere donne senza
essere necessariamente attratti dagli uomini: il movimento transgender385 ha scisso l’identità di
genere dal sesso biologico mostrando per esempio che nascere di sesso maschile non significa
necessariamente sentirsi uomo e il movimento transgender queer sta offrendo un ulteriore scissione
tra orientamento sessuale e identità di genere, tale per cui si può nascere ad esempio donne che sono
attratte da uomini e si sentono uomini.
L’intuizione qui è che essere un uomo omosessuale non comporta semplicemente essere attratti
dagli uomini ma comporta essere un uomo che è attratto dagli uomini: precedentemente
all’emergere del movimento transgender queer, veniva sostenuto che tutti gli individui transessuali
fossero identificati eterosessualmente (infatti, l’attrazione verso membri del sesso opposto in
seguito al riassegnamento, era parte della definizione clinica dell’eterosessualità).
Come sempre, le realtà delle vite degli individui rifiutano di essere categorizzate in maniera così
netta: Bagemihl riporta ad esempio l’anedotto di Kate Bornstein, una donna omosessuale
transessuale così autodefinitasi, che è un esempio particolarmente buono di come vengano inclusi
dei fraintendimenti- ‘Alle lezioni di voce, insegnavo a parlare in tono molto alto, una voce
cantilenante e piena di respiro, e di porre domande alla fine di ogni frase, mentre si puntava a ridere
costantemente nel parlare. E dicevo <<Oh, non voglio parlare in questa maniera!>>. Gli insegnanti
assumevano che saresti diventata una donna eterosessuale. Nessuno ti insegnaa che sei una lesbica
perché lesbica era così grandemente bandita tanto quanto la transessualità’386.
I gay e le lesbiche transessuali avevano iniziato a rivendicare le loro identità in barba
all’opposizione popolare e al rigore clinico sia entro le comunità di genere sia oltre le comunità di
!385
!386
!350
genere: come in altri movimenti di liberazione, un atto profondo di autonomia è quello della
nominalizzazione.
Le identità sono affermate rendendole linguisticamente distinte o coniando nuovi termini o
reclamandone i vecchi: Xanthra Philippa offre un tale lessico radicale nel seguente estratto di ‘TS
Words and Phrases’
•
Persone donne/uomini descritti/determinati dal genere sono transessuali
•
In genetica, geneticamente/cromosomaticamente descritti/determinati sono persone non
transessuali
•
Persone donne/uomini orientate per genere sono persone donne/uomini che sono attratti da
transessuali
•
Le lesbiche transessuali sono solitamente donne descritte per genere che sono attratte da
donne biologiche o possibilmente altre donne descritte per genere.
•
Le dyke transessuali sono solitamente donne descritte per genere che sono attratte da altre
donne descritte per genere o possibilmente donne biologiche.
•
I gay/checche transessuali sono solitamente uomini descritti dal genere che sono attratti da
altri uomini biologicamente tali o possibilmente descritti dal genere o entrambi.
‘e non ci siamo ancora occupati delle molte altre realtà complesse come i transessuali da donna a
uomo che diventano travestiti gay, drag queen o transessuali da uomo a donna che si identificano
come lesbiche e poi si abbigliano da uomo per rimorchiare donne biologiche eterosessuali o uomini
omosessuali’387.
Se da un lato Bagemihl ricordi come non sia interessato ad impegnarsi in un dialogo sulle abilità
degli individui a dichiarare e nominalizzare queste identità, nel provare di spiegare o in qualche
modo di determinare perché è così, chiunque nella comunità gay-lesbo sulla cui sessualità e/o
esistenza è stato intervistato, studiato, spiegato, trivializzato, medicalizzato o diversamente
problematicizzato dovrebbe essere abile a capire tutto ciò.
Dunque, esiste la transessualità identificata come omosessuale, per cui tali individui sono stati
soggetti ad una quantità enorme di resistenza sia nella società eteronormativizzata sia nella
comunità gay-lesbo ed infine nella comunità transessuale: la domanda da porsi non è perché
esistano transessuali identificati come queer ma perché così tanti individui non transessuali hanno
difficoltà ad esporsi in tali termini e come una tale oppressione di genere possa essere superata.
!387
!351
!
I transessuali che identificati gay affrontano una litania di incomprensione, disapprovazione e
ostilità aperta dagli individui le cui nozioni di genere e sessualità sfidano: una delle domande più
comuni poste dagli amici e dagli estranei è una qualche versione del perché preoccuparsi che Judith
Lorber riassume, ovvero l’incredulità, con <<Se i genitali, la sessualità e l’identità di genere sono
visti come un pacchetto, allora è paradossale per qualcuno cambiare la propria anatomia per fare
l’amore con qualcuno che potrebbero facilmente aver avuto una relazione sessuale
‘normalmente’>>388
(sfortunatamente Lorber soccombe allo stesso pensiero riduzionistico-
biologico che lei tenta di smascherare, quando argomenta che i transessuali dovrebbero essere
chiamati per uomo che diventa donna e donna che diventa uomo piuttosto che MvF o FvM. Lei
sostiene che i e le transessuali cambiano solo il loro ruolo di genere sociale, non il loro sesso
biologico, in quanto certi aspetti del loro sesso, ad esempio i cromosomi, non sono alterati. Poi c’è
Philippa che suggerisce che entrambi i termini vanno evitati per via della loro base genetiche)389.
Il fraintendimento qui naturalmente è che la transessualità è sottoporsi al riassegna mento di sesso
solo per fare l’amore con qualcuno che sarebbe un membro dello ‘stesso’ sesso se il riassegna
mento non fosse attuato390: sotto questa visione, per qualcuno prendere un’identità omosessuale
stigmatizzata dopo il riassegnamento di sesso diventa inesplicabile completamente.
L’inabilità di molti individui ad approvare la possibilità della transessualità e della transessualità
identificata nell’omosessualità in particolare, è dovuta largamente a due fattori: una visione del
mondo determinata biologicamente che rifiuta di separare l’identità di genere sia dal sesso biologico
che dall’orientamento sessuale e un’assunzione della primaria importanza dell’eterosessualità.
Quando un individuo che nasce donna vuole diventare uomo, per esempio, viene di solito
immediatamente assunto che un tale individuo voglia essere un uomo eterosessuale: questo è
erroneamente iscritto poi al fatto che una tale persona è ‘realmente’ una donna che è incapace di
accettare il suo orientamento omosessuale e possa relazionarsi perciò a donne solo eterosessuali.
Dall’altro canto, quando un tale individuo si dichiara pubblicamente un omosessuale (ad esempio
transessuale da donna a uomo che è attratto da uomini) l’attrazione di questa persona è allora
iscritta al fatto che è ‘realmente’ una donna eterosessuale dopotutto.
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Questa mentalità diventa particolarmente distruttiva quando esercitata da professionisti medici,
ricercatori e clinici che decidono cosa sia la transessualità e chi si qualifica come transessuale: come
Califia, Sullivan e Rubin tra gli altri evidenziano, se gli individui ricercano l’assegnamento di sesso
non presenta un ‘normale’ orientamento eterosessuale, l’operazione di riassestamento di sesso, la
terapia ormonale, la consultazione e così via vengono spesso negati.
E mentre i membri più progressivi della comunità medica stanno iniziando a riconoscere l’esistenza
delle lesbiche transessuali, i transessuali identificati gay affrontano ancora una gamma formidabile
di ostacoli: Lou Sullivan, un transessuale da donna a uomo autoidentificatosi gay e alunno pionere
ed educatore sulle questioni di genere, era negato ripetutamente il trattamento in numerose cliniche
di disforia di genere391.
Un esempio particolarmente rivelatore del ragionare eterosessista e basato sulla genetica dei
professioni medici può essere rintracciato nella lingua usata per categorizzare e patologizzare la
transessualità: gli studi e le definizioni cliniche hanno tradizionalmente sfruttato una terminologia
confusa in cui per esempio un transessuale da donna a uomo attratto da donne è etichettata
‘transessuale omosessuale’ mentre un transessuale da donna a uomo che è attratto dagli uomini è
etichettato ‘un transessuale eterosessuale’.
In altre parole il punto di riferimento per l’orientamento ‘eterosessuale’ o ‘omosessuale’ in questa
nomenclatura è meramente il sesso genetico dell’individuo a prevalere sul riassegna mento392: così
queste etichette ignorano il senso personale dell’individuo per quanto attiene l’identità di genere
dando precedenza sul sesso biologico, piuttosto che ad altri modi circostanti.
Con questa terminologia clinica le persone possono essere descritte per convenienza come qualcuno
che fugge da un’identità omosessuale stigmatizzata quando sono coinvolti con i membri del sesso
opposto che segue il riassegna mento (erroneamente considerati essere ‘la norma’): il mito
dell’imperativo eterosessuale e l’importanza data alla biologia quindi è riaffermata e risperonata,
mentre lo status trasgressivo di tutti e tutte i e le transessuali viene banalizzata.
Sfortunatamente le comunità gay e lesbiche sono state anche riluttanti a mostrare un’attitudine di
benvenuto verso i e le transessuali che si identificano gay e lesbiche: a causa di diverse identità
stigmatizzate diversamente che sono coinvolte e a causa del fatto che donne e uomo sperimentano il
!391
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!353
sessismo, la violenza, l’oppressione economica e così via in maniera diversa, questa è diventata una
questione molto complessa e a più strati con diverse ramificazioni nelle comunità gay e lesbica393.
Tuttavia l’incomprensione evidenziata è la medesima: identità di genere, orientamento sessuale e
sesso biologico sono visti largamente come inseparabili anche dalle comunità omosessuali.
E a causa del fatto che la ‘virilità’ è definita sia nella cultura dominante che nella sottocultura, i
problemi sono particolarmente acuti per i e le transessuali identificati uomini omosessuali: nella
maggior parte della società, l’equazione pene=uomo=eterosessuale attratto dalle donne è
considerata l’ultima analisi della maschilità/mascolinità.
Nella comunità di uomini omosessuali, l’importanza del fallo vie spesso anche più esagerata: dal
momento che molti transessuali da donna a uomo non subiscono la completa operazione dei genitali
per costruire un pene autentico, sono destinati a non passare questo test agli occhi di molti uomini
omosessuali.
Lou Sullivan evidenzia in maniera succinta questo dilemma <<un uomo omosessuale senza un
pene? Ma non è il pene l’organo più importante per gli uomini omosessuali?’>>394: egli ha
evidenziato giustamente che non tutti gli uomini biologicamente tali e omosessuali sono così
fallocentrici, ma l’esperienza di altri transessuali da donne a uomini omosessuali non è stata
incoraggiante.
Gene lo evidenzia con le seguenti parole: ‘Ho paura di non essere mai accettata dalla comunità
omosessuale maschile in cui sento di appartenere. Di recente, sono stata depressa sulla
constatazione che molti uomini omosessuali sono abbastanza superficiali e misura il valore di un
uomo dalle dimensioni dei suoi genitali’; così continua a descrivere come il suo ragazzo
biologicamente uomo ed omosessuale cercava di manipolarlo con l’ammonizione: ‘Non ci sarà mai
alcun uomo che accetterà un uomo omosessuale senza pene’.
Sperando che questa attitudine non sia tipica di un’intera comunità che a sua volta sarebbe un
gruppo sociale, è chiaro che esiste un serio fraintendimento sulle donne che diventano uomini
393
!
Cfr: -Rubin, Gayle. 1992. ‘Of Catamites and Kings: Reflections on Butch, Gender and Bound-aries’. In J. Nestle
(ed.), The Persistent Desire: A Femme-Butch Reader. Boston: Alyson, pp. 466-482.
-Walworth, Janis e Davina Anne Gabriel. 1993. ‘Transsexual Womyn Expelled from Michigan Womyn’s Musical
Festival; Results of 1992 Gender Survey at Michigan Womyn’s Music Festival; and Gender Myths #1-24. Gender Trash
from Hell 2, n. 1: 17-23+insert.
-Valerio, Max Wolf. 1990. ‘Leaving the Lesbian World’. In Sullivan. 1990. pp.74-78.
394
!
Cfr: -Athey, Ron. 1994. ‘Bulldagger Chic and the Beauty of Butch’. The Stranger 3, n. 39 (20-26 June): 14-15.
Reprinted from the LA Weekly.
-Bright, Susie. 1992. ‘Men Who Love Lesbians (Who Don’t Care for Them Too Much)’. In Susie Bright’s Sexual
Reality: A Virtual Sex World Reader. Pittsburgh: Cleis Press, pp. 93-98.
-Kiss & Tell (Persimmon Blackbridge, Lizard Jones and Susan Stewart) 1994. ‘Redemption and Transgression.’ In
Kiss&Tell, Her Tongue on My Theory: Images, Essays, and Fantasies. Vancouver: Press Gang, pp. 45-58.
!354
omosessuali: comunque, ciò che è sorprendente per Bagemihl né che questo pregiudizio né il
fenomeno che lo ha ispirato, sono unici per la transessualità.
!
Non c’è niente di nuovo sulle donne che si identificano come uomini omosessuali o eroicizzano e
idealizzano relazioni sessuali tra uomini: infatti, paralleli suggestivi ai sentimenti espressi da molti
transessuali da donna a uomo omosessuale possono essere ritrovati in due aree inverosimili, ovvero
il fag-hagging e le fanzine K/S ‘slash’.
Questi fenomeni hanno in comune il fatto con le transessualità omosessuali, che sono spesso sia
calunniati sia ignorati e a volte entrambe le cose: si inizia per prima cosa a considerare il fenomeno
delle fanzine K/S.
K/S sta per Kirk/Spock e descrive un genere straordinario di scrittura da science-fiction popolare in
cui una relazione sessuale aperta è creata tra i due protagonisti maschi di Star Trek: le storie K/S
hanno spesso ipertoni mistici e sadomasochistici e sono a volte illustrati con disegni esplicitamente
omoerotici395.
Tali storie sono scritte quasi esclusivamente da donne eterosessuali che hanno sviluppato un
network underground prospero per la distribuzione di tali fanzine che sono spesso fanzine chiamate
per codice slash dal momento che lo slash tra K e S è solito indicare ai lettori che una relazione
sessuale esplicita tra i due personaggi viene implicata: Joanna Russ, una scrittrice di science-fiction
ed entusiasta autoidentificatasi da fanzina K/S, descrive questo appello così
‘Non solo i due personaggi, Kirk e Spock, sono amanti…loro sono solitamente legati
telepaticamente in ciò che equivale ad un matrimonio monogamo e da vita lunga…Se ci si chiede
‘Perché due uomini?’ credo che la risposta sia…nessuno…può immaginare un uomo e una donna
avere la stessa relazione multipla, androgina e degna o lo stesso impegno completamente intimo…
ciò che è così affascinante in K/S è la cruda fame sessuale ed emotiva che le autrici esprimono così
apertamente’396.
Inoltre, si consideri il fenomeno del ‘fag-hagging’ o ‘faghaggotry’ come la definisce Decarnin, che
in italano viene tradotto con ‘frociara’ o ‘frociarola’ nella variante laziale dell’italiano397 (essere una
frociarola non attiene solo alle donne eterosessuali. Molte delle frociarole intervistate da Decarnin
si identificano come omosessuali o bisessuali. Nemmeno l’idealizzazione o erotizzazione della sola
!395
!396
!397
!355
omosessualità fatta dalle donne in relazione agli uomini omosessuali, per cui esistono i dag hag,
ovvero uomini omosessuali che idolatrano donne omosessuali o dyke mikes o dyke daddies, ovvero
uomini eterosessuali che sono attratte da donne omosessuali)398: questa parola che viene usata da
Decarnin e Bagemihl nel suo senso più radicale e reclamata piuttosto che nel suo senso
denigratorio, è usata come termine ombrello per una grande e complessa gamma di interrelazioni tra
donne e uomini omosessuali, che ha una lunga storia nelle nostre comunità.
Molte donne biologiche che si associano con le ‘checche’ articolano il loro interesse negli uomini
omosessuali in modi sorprendentemente simili, come Solo, una frociarola queer autoidentificatasi in
Decarnin: ‘un uomo eterosessuale può vedermi bene ma…quando so che un uomo è omosessuale,
quando raccoglie alcuni degli stratagemmi e manierismi culturali dell’omosessualità maschile, non
so, è solo che mi accattiva…credo che ciò che mi accattivi è l’idea di due uomini hanno una
relazione emotiva. È come se fosse il solo modo per immaginare di avere una relazione alla pari con
un uomo comporterebbe essere un uomo…da quando avevo 19 anni ho fantasticato sull’essere un
uomo bello in una relazione di amore-odio con un uomo’399.
Si compari entrambe le dichiarazioni alle parole di ‘HF’, un transessuale autoidentificatosi da donna
a uomo omosessuale: ‘le mie prime fantasie sessuali erano di un uomo che abbracciasse e
accarezzasse un ragazzo e di pensare a due uomini che si baciano. Cosa rendeva gli uomini
omosessuali sessualmente più attraente degli uomini eterosessuali? Semplicemente il fatto che
erano provocati da altri uomini. Tutti i tipi di uomini omosessuali mi appaiono(apparivano)
romanticamente e sessualmente, anziani, giovani, soggetti muscolosi e leather, flessuose checche
effemminate, uomini ben delineati in completo. Se loro amavano gli uomini, io amavo loro!’400.
Bagemihl non intende paragonare tutte queste esperienze di uomini e di donne (per questo
minimizzare le attuali differenze tra di loro) o anche suggerire che sono parte di un continuum, e
nemmeno intende implicre che sono necessariamente rappresentativi delle loro ‘comunità’:
piuttosto intende portare l’attenzione nella via per cui questi tre fenomeni hanno ispirato lo stesso
tipo di risposta negativa, ovvero la trivializzazione, l’incredulità e la rianalisi.
Proprio come i transessuali da donna a uomo omosessuali (e i transessuali in genere) sono stati
patologizzati e ridicolizzati, così anche le frociarole e gli appassionati di K/S sono stati soggetto di
uno sforzo non concluso di ‘spiegazione’ dei loro intenti, vale a dire quando non sono stati
!398
!399
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!356
completamente trascurati: come Decarnin e Penley, Bagemihl mostra interesse nella
rivalorizzazione di questi individui spesso demonizzati, scoprendo cosa ci viene riferito dal loro
ostracismo sulla svalutazione dell’omosessualità e della transessualità in senso ampio.
Una spiegazione comune della letteratura K/S è negare che sia del tutto attinente a uomini
omosessuali o anche a due uomini che stanno insieme: Lamb e Vieth rivelano di più riguardo i loro
propri fraintendimenti concernenti le relazioni omosessuali al maschile che su K/S quando
dichiarano che ‘queste storie non sono su due uomini omosessuali’ perché comportano ‘due uguali
che si amano’, nessuno dei quali è più maschile o femminile dell’altro401.
Allo stesso modo, Russ, mentre riconosce il genuino appeal erotico di due uomini uniti, va oltre
sostenendo che ‘K/S non è su due uomini…il loro argomento non è un affare amoroso
omosessuale’: sembra che lei pensi che perché ‘due uomini sono mascolini, anche figure macho’,
non possono essere possibilmente gay.
Apparentemente nessuna di queste persone ha mai ascoltato delle relazioni butch/butch: alcuni
teorici sono così confusi dall’assenza delle donne nella scrittura degli appassioanti di K/S che
spesso cercano di dichiarare con tutte le apparenze al contrario che i personaggi di K/S stanno
attualmente scrivendo di donne, in qualche modo vago di modo simbolico402.
Ma se gli appassionati di K/S vogliono ‘l’uguaglianza’ delle relazioni omosessuali allora loro si
chiedono perché poi i personaggi di K/S non stanno eroicizzando direttamente personaggi
femminili o immaginando relazioni omosessuali al femminile?: mentre alcune delle spiegazioni che
vengono offerte hanno una certa plausibilità, un punto piuttosto ovvio non appare aver luogo verso
di loro.
Se qualcuno è attratto dagli uomini, è logico del tutto eroicizzare gli uomini omosessuali, non le
donne, quando si immagina una relazione omosessuale/egalitaria e si gode di possibilità erotiche di
un universo di soli uomini (al di là delle discussioni accademiche e/o femministe è stato
naturalmente anche banalizzato altrove)403 : allo stesso modo, le frociarole quando non
psicoanalizzate o insultate, hanno dovuto anche sopportare sforzi continui a ‘spiegare’ il loro
interesse agli uomini omosessuali come il sintomo della più profonda motivazione o patologia
(alcuni teorici hanno portato l’attenzione alle somiglianze tra il fenomeno K/S e le frociarole
!401
!402
403
!
Cfr: Penley, Constance. 1991. ‘Brownian Motion: Women, Tactics and Technology’. In C. Penley and A. Ross (eds.),
Technoculture. Minneapolis: University of Minnesota Press, pp. 135-161.
!357
specificatamente per rimuovere il K/S, così confondendo anche in aggiunta l’inesplicabilità di
queste attività/identità stigmatizzate)404.
Per esempio Decarnin in una presentazione altrimenti rivoluzionaria del fenomeno della frociarola
non può aiutare ma offrire la ‘spiegazione’ che ‘le donne i cui oggetti erotici primari sono gli
uomini omosessuali hanno in maniera coscente o riconosciuto la posizione stimata degli uomini
nella società e desiderato essere valuti come uomini sono valutati’405: mentre può essere in parte
vero, semplicemente si riassume la stanca visione eterocentrica che la sola ragione che qualcuno
sarebbe attratto dagli omosessuali o l’omosessualità è fuori da una reazione negativa
all’eterosessualità e/o al sessismo.
Apparentemente qualcuno può solo allontanarsi dall’eterosessualità, mai verso l’omosessualità: lei
appare ignorare la possibilità che potrebbe anche esserci qualcosa intrinsecamente che si appella
agli uomini omosessuali, qualcosa di buono sull’omosessualità che porterebbe qualcuno verso di
essa incurante della sua esperienza con l’eterosessualità.
Come uno dei suoi intervistati dichiara senza problemi ‘mi sono fatto strada nel queer. I queer sono
magnifici’406 e lo stesso vale per la transessualità da donna a uomo omosessuale: la maggior parte
delle persone trova incomprensibile che ci potrebbe essere al momento qualcosa di prezioso nelle
relazioni omosessuali maschili, qualcosa che lo renderebbe desiderabile da essere incluso con un
uomo come un altro uomo omosessuale, anche con tutto lo stigma presente.
Come Sullivan evidenzia ‘Se una donna è attratta da uomini, la vita non sarebbe più facile se lei
rimanesse semplicemente una donna eterosessuale?. Dovrebbe essere ovvio che essere una donna
eterosessuale è molto diverso dall’essere un uomo omosessuale!....lei vorrebbe confrontarsi con gli
uomini come farebbero altri uomini’407: questa dichiarazione è sia una dichiarazione positiva sul
dedicarsi all’unica dinamica dell’essere due uomini uniti quanto una dichiarazione negativa sul
fuggire dallo squilibrio di potere inerente dell’essere sia un uomo che una donna allo stesso tempo.
In tutta questa discussione viene anche ignorata che la natura trasgressiva dell’omosessualità
incurante del genere e/o dei generi delle persone coinvolte, può essere in sé intrinsecamente
attraente in un modo che l’eterosessualità raramente lo è: come spiega Lizard Jones in Her Tongue
on My Theory, ‘Vidi una performance di Christine Taylor, una donna bisessuale, in cui parlava
404
!
Ibidem.
!405
!406
!407
!358
libidine per gli uomini omosessuali e il suo disgusto per gli uomini eterosessuali. Sono una donna
omosessuale ma potrei rapportare. Come si può bramare dopo un uomo eterosessuale? Ma un uomo
la cui sessualità mette in pericolo entrambi? Aaah’408.
Carol A. Queen esprime sentimenti simili nel suo saggio ‘Why I Love Bucth Women’, un omaggio
filmico alle butch e agli altri queer: come descrive nell’eloquente e seguente passaggio, il fatto che
un individuo sta passando un confine inviolabile presumibilmente, sia nell’identità che nella
relazione, può cedere un’esperienza insuperabile
‘Io amo le donne butch perché nei loro grandi scarponi neri vanno direttamente da un lato all’altro
della linea. Amo le donne butch per le stesse ragioni per cui amo gli uomini effemminati, i
transgender, le puttane, i queer scandalosi di ogni banda; gli uomini e le donne che vendono sesso e
coloro che usano il sesso per sanare; i feticisti il cui erotismo è più complicato di qualsiasi altra
persona che si sia mai conosciuta’409.
In tutti questi esempi si vede nuovamente che qualsiasi deviazione da una scelta dell’oggetto
rigorosamente eterosessuale o orientamento eterosessuale sia da un transessuale da donna a uomo
omosessuale, una frociarola, o un fan ‘etero’ di K/S, diventa problema e soggetto all’analisi: la
questione qui non è se queste analisi sono corrette (ci potrebbe essere benissimo della verità in
ciascuna di loro) ma perché così tanta gente appare sentire che questi fenomeni hanno il bisogno di
essere spiegati in primo luogo.
In altre parole, se si prende come dato che l’orientamento sessuale, l’identità di genere e il sesso
biologico non sono necessariamente connessi, sentiremmo un tale travolgente bisogno di spiegare
istanze in cui non coincidono? Parte della difficoltà nel separare questi domini uno dall’altro è che
si hanno cosi pochi altri modelli di fenomeni apparentemente biologici che sono infatti autonomi
dalla biologia e che solo una lingua surrogato possono fare da modello.
!
Così come il fallo ha assunto una posizione centrale nella definizione della maschilità/mascolinità
così anche la laringe è stata privilegiata in relazione alla definizione della lingua: il fatto che la
lingua è solitamente parlata è spesso considerata avere un’influenza principale sulla struttura
linguistica a costo che è considerata a volte impossibile per le lingue venire realizzate attraverso
altri mezzi.
!408
!409
!359
Inoltre, la fonologia è spesso considerata essere direttamente dipendente dalla sua realizzazione
fisica, vale a dire dal suo apparato vocale410: le lingue surrogato, tanto quanto le altre lingue che
usano meccanismi produzione-percezione diversi come la lingua dei segni, mostrano che questo
non è il caso.
L’organizzazione basica dei sistemi fonologici di tali lingue sono simili sorprendentemente a quella
delle lingue parlate, sebbene sono realizzate attraverso un apparato articolatorio molto diverso (gli
individui che hanno avuto la rimozione della loro laringe per ragioni mediche possono parlare
spesso attraverso medi di discorsività esofagale. Questo tipo di discorsività senza laringe non è
generalmente considerata essere una lingua distinta dal momento che comunque non è
culturalmente trasmessa o caratteristica di intere comunità, diversamente dalle lingue surrogato e i
linguaggi dei segni)411: è veramente una questione, l’influenza della modalità di una lingua sulla sua
forma.
La modalità si riferisce ai canali articolatori e percettivi che una lingua utilizza: la lingua parlata usa
una modalità vocale/auditoria perché è articolata con l’apparato vocale e percepito attraverso il
sistema uditivo.
La lingua dei segni usa una modalità manuale/visuale perché è articolata con le mani e percepita
con gli occhi: le lingue surrogato non fanno alcun uso della laringe per generare l’attività primaria
di suono, basandosi invece su alcuni ed altri meccanismi come il sibilare o strumenti musicali.
Per questo motivo le lingue surrogate impiegano una modalità non laringale/auditoria: in quanto
tale, costituiscono un esempio affascinante di lingua ‘esteriorizzata’, qualcosa che è allo stesso
tempo appartenenza comune di una dicotomia tradizionale, ovvero la lingua versus musica, la
biologia versus la cultura, il corpo versus la tecnologia.
Una classe di lingue surrogato impiega risonatori esterni, tipicamente alcuni tipi di strumenti
musicali, come sua fonte sonora: queste lingue sono tradizionalmente note come ‘lingue tamburo’
ma si tratta di qualcosa di una definizione non appropriata, dal momento che una profonda varietà
di strumenti non percussori, inclusi i flauti, le trombe, i liuti, sia a strappo che ad inchinò, e i
campanelli sono usati anche per tradurre strutture linguistiche, da cui Bagemihl li chiama lingue
strumento.
!
410
Cfr: Kenstowicz, Michael. 1993. Phonology in Generative Grammar. Oxford: Blackwell.
!411
!360
Tipicamente le lingue strumento rappresentano le proprietà soprasegmentali delle loro lingue fonte,
il tono, l’accento, il ritmo, il numero di sillabe e la durata, e si basano sulle lingue tonali: nella
maggior parte delle lingue strumento, una persona che batte su un tamburo/strappo di una stringa/
nota su una tromba corrisponde ad una sillaba nella lingua parlata, vale a dire il suo tono, la sua
lunghezza e l’accento della lingua parlata.
Un’altra classe di lingue surrogato è nota come lingue fischio perché un tono sibilante è sostitutivo
per l’attività laringale, fondamentalmente frequente, della discorsività quotidiana, spesso con
l’articolazione segmentale sulla sibilante: una varietà di articolazioni sibilanti sono usate, che vanno
dalle semplici sibilanti bilabiali alle complesse articolazioni labiodentali con una o più dita inserite
nella bocca, ma tutte spartiscono la proprietà per cui l’attività del tono è prodotta forzando l’aria
attraverso una costrizione alla porzione anteriore del tratto vocalico piuttosto che alla laringe.
Le lingue sibilanti possono riprodurre sia proprietà segmentali che soprasegmentali delle loro lingue
fonte: nelle lingue tonali, il tono sibilante corrisponde direttamente ai toni parlati, mentre nelle
lingue non tonali il tono sibilante riflette l’intonazione parlata, la qualità vocalica e le articolazioni
consonantiche (vocali alte tendono ad avere tono più alto, le consonanti sonore tendono ad indurre
un’inclinazione nel tono sibilante).
Di lingue surrogato ve ne è traccia in tutto il mondo per quasi tutte le famiglie linguistiche di
maggioranza, che vanno dalla drum talk dei Jabo (Liberia) alla lingua hand-fluted dei Kickapoo412
(Stati Uniti e Messico-usata anche nella lingua surrogato di Banen, una lingua del Cameroon, che
comporta battere le mani di fronte alla bocca e soffiare attraverso una stretta apertura tra di loro,
creando così una cavità risonante esterna. Le modulazioni tonali sono raggiunte aprendo e
chiudendo le dita)413, la discorsività slitlog gong delle lingue Chin (Burma) e le lingue sibilanti dei
Chepang (Nepal), Piraha (Brasile), lo spagnolo delle Gomeran (Isole Canarie), il Mazateco e il
Tepehua (Messico), il turco (Kuskoy) e il Wahgi (Nuova Guinea).
Inoltre, i loro usi linguistici sono tanto diversi quanto quelli di qualsiasi lingua parlata, per cui in
molte culture le lingue surrogato costituiscono una forma pienamente sviluppata di comunicazione
usata da tutti gli individui su base quotidiana, mentre negli altri prendono la forma di un tipo di
!412
413
!
Cfr: -Voorhis, Paul H. 1971. ‘Notes on Kickapoo Whistle Speech’. International Journal of American Linguistics 37:
238-293.
-Dugast, Idelette. 1955. ‘Le Langage tambouriné ou sifflé chez les banen’. Extract from I. Dugast, Monographie de la
tribu des Ndiki (Banen des Cameroun) (=Travaux et mémoires de l’institut d’ethnologie 50), pp. 567-602 e Appendix I.
!361
‘lingua segreta’ compresa solo da un gruppo selezionato di individui: la quantità della letterature
descrittiva dedicata a questo argomento, che attraversa quasi un secolo di ricerca, è enorme.
Ancora le sue implicazioni per la teoria linguistica e la nostra comprensione della capacità
linguistica umana non sono state virtualmente sfruttate: parallelamente la lunga incorporazione
ritardata delle questioni transgender nelle discussioni della sessualità e del genere solo ora la
linguistica sta iniziando ad appoggiare queste lingue ‘ambigue’ e dalla modalità alternata.
!
Poiché la fonologia è influenzata in molti modi dalla fonetica, ad esempio nella sua modalità, molti
ricercatori sono stati tentati di spiegare tutti gli aspetti della fonologia sulla base della fonetica o
altre considerazioni funzionali e/o extralinguistiche: questo è totalmente parallelo al modo che tutti
gli aspetti del genere e dell’orientamento sessuale sono ridotti comunemente ad influenze
biologiche.
Nella linguistica, una delle poche difese esplicite dell’autonomia della componente fonologica è un
articolo seminariale di Stephen Anderson ‘Perché la fonologia non è naturale’414: sulla base di
un’ampia gamma di prove tracciate in primis dal dominio della lingua parlata, Anderson sostiene
per l’indipendenza della fonologia dagli effetti della modalità e altre influenze extralinguistiche.
Anderson evidenzia anche l’importana dei sistemi linguistici alternativi per stabilire l’autonomia
della fonologia, in particolare le lingue realizzate attraverso una diversa modalità da quella usata
nella lingua parlata: i particolari sistemi su cui Anderson pone l’attenzione sono i linguaggi dei
segni.
In anni recenti, una letteratura fiorente ha stabilito l’esistenza della Fonologia della Linguaggio del
Segno, un termine apparentemente contraddittorio che si riferisce all’organizzazione strutturale
delle componenti dei gesti senza significato che messi insieme, formano un segno con significato:
ciò che quindi il lavoro di Bagemihl mostra è che la fonologia di una lingua divide molte proprietà
fondamentali di organizzazione con la fonologia della lingua parlata nonostante viene realizzato
attraverso una modalità radicalmente diversa.
Come somiglianze includono cose come la struttura della sillaba, l’accento, le caratteristiche
distintive, la sonorità e i processi di assimilazione415: essendo queste lingue non aventi alcuna
!414
!415
!362
connessione con l’apparato vocale, sono un esempio convincente dell’autonomia della componente
fonologica dalla sua modalità.
Come Anderson afferma, esse mostrano che ‘la lingua non è governata da forze implicite alla
vocalizzazione umana e alla percezione…In questo senso, poi, la fonologia non è chiaramente
‘naturale’’: le lingue surrogato forniscono un caso anche più avvincente per tale autonomia, dal
momento che con la loro esistenza, mostrano che la lingua parlata può esistere indipendentemente
dall’apparato fonetico umano.
Inoltre, i sistemi surrogato prendono questa nozione di autonomia ad un livello successivo, dal
momento che tali lingue esibiscono anche un’indipendenza suggestiva dal loro proprio apparato
fisico articolatorio (tali lingue mostrano un altro tipo di autonomia anche: sono anche indipendenti
dai loro sistemi fonologici della lingua fonte, dal momento che hanno processi fonologici che non
sono rintracciati nelle lingue parlate sulle quali si basano. Sforzi per assegnare tutti gli aspetti della
struttura surrogata all’influenza o della modalità surrogata o della sua lingua fonte, quando infatti le
surrogate esibiscono la loro propria terza categoria di fonologia, vanno in parallelo agli sforzi di
categorizzare gli individui transessuali come o completamente maschi o completamente femmine,
quando infatti occupano spesso un terzo spazio di genere indipendente)416: un esempio eccellente di
ciò è il modo in cui le lingue strumento trattano l’intonazione.
!
Esiste un numero di assimetrie nell’organizzazione di sistemi sonori surrogato che sono legati se il
surrogato è uno strumento o una lingua sibilante e se la sua lingua fonte è una lingua tonale o non
tonale: una delle più avvincenti di queste assimetrie riguarda il come gli elementi intonazionali sono
rappresentate.
Dagli elementi intonazionali Bagemihl si riferisce ad un gruppo di diversi fenomeni tonali di livello
frasale, inclusi i seguenti:
1. Intonazione corretta: lo schema del tono su intere frasi nelle lingue non tonali e dall’accento
fungente tono
2. Downdrift: l’abbassamento cumulativo del tono di un alto tono dopo un tono basso prodotto
3. Downstep: l’abbassamento del tono di un tono alto dopo uno non prodotto tono basso.
416
!
Cfr: Bagemihl, Bruce. 1988. ‘Alternate Phonologies and Morphologies’ Ph.D. diss., University of British Columbia.
!363
4. Intonazione tonale: nelle lingue tonali, altri cambiamenti di tono a livello sintattico come i
toni a fine frase, si coordinano con il tipo della proposizione, toni medi o alti prepausali e
altre modifiche di contrasti tonali lessicali alla fine dei gruppi di pausa.
Come si rivela, solo alcune lingue surrogato rappresentano elementi intonazionali, mentre altre
lingue si amministrano solo in loro funzione, e questa distinzione è correlata nei modi sistematici
con il tipo di lingua surrogata e parlata coinvolta: nello specifico, le surrogate sibilanti delle lingue
tonali rappresentano elementi intonazionali, mentre le surrogate strumentali no (un’osservazione
correlata è che tutte le surrogato delle lingue non tonali rappresentano intonazione)417.
Per questo motivo, Nketia nota esplicitamente che il tambureggiare della discorsività Akan, non
riproduce né la downdrift né la downstep418: allo stesso modo Ames e altri operano un enorme
sforzo per negare che il tambureggiare della discorsiva Hausa fallisce nel rappresentare il
downdrift419.
!
La stessa assenza delle gradazioni tonali fonetiche è anche caratteristica della discorsività a
campanello Efik, Kele, Ewondo, della discorsività slit-gong Chin, la discorsività hand-fluted Banen
e molte altre: al contrario le lingue sibilanti riproducono sempre il downdrift, per esempio con lo
studio di Rialland per il Gurma sibilante420.
Questa discrepanza tra i due tipi surrogati rende perplessi, ovvero perché le lingue strumentali
dovrebbero eliminare un aspetto significativo dei loro sistemi di suono delle lingue fonte?
Essendo debitore alla correlazione con il tipo di modalità, un numero di spiegazioni funzionali sono
state proposte: ciò che qui interessa ricorre agli effetti limitanti della modalità: l’essenza di questa
spiegazione è che gli strumenti usati per articolare le lingue surrogato sono in qualche modo poco
adatte a realizzare l’intonazione.
Per questo motivo le lingue surrogato rappresentano solo quei elementi tonali che le loro modalità
permetteranno: i sistemi intonazionali con il downdrift e/o downstep comportano un numero
potenzialmente illimitato dei livelli tonali, dal momento che abbassare i toni alti è cumulativo
attraverso un’espressione.
417
!
Cfr: Bagemihl, Bruce. 1988. ‘Alternate Phonologies and Morphologies’ Ph.D. diss., University of British Columbia.
!418
!419
!420
!364
Le lingue strumentali sono in un numero di casi confinati agli strumenti musicali che hanno una
gamma di soli due o tre toni distintivi, che non è favorevole a rappresentare un numero illimitato di
livelli tonali: alcuni ricercatori hanno consigliat, poi, che la modalità della lingua, il particolare
strumento musicale o apparato fisico usato per articolare la lingua, esercita un potente effetto
limitante sulla struttura di quella lingua.
Secondo questa linea di pensiero, tali surrogati rappresenterebbero elementi intonazionali se
potessero, ma sono semplicemente prevenuti dal farlo per via delle limitazioni fisiche dei loro
strumenti: infatti, sebbene questa spiegazione inizialmente suona abbastanza plausibile, una
considerazione attenta dell’ampia gamma di proprietà surrogato mostra che non può essere vero.
Tre tipi di prova argomentano contro una visione modale-deterministica della struttura del suono
surrogato: per prima cosa, un numero di surrogati sperimentali utilizza strumenti musicali che per la
maggior parte definitivamente possono produrre un continuum potenzialmente infinito di livelli
tonali.
Finora queste lingue surrogato non rappresentano ancora il downdrift: un primo esempio è il
tamburo a clessidra, diffuso nell’Africa Occidentale e usato per il tambureggiamento discorsivo
negli Hausa, tra i quali è chiamato kalanguu: le differenze tonali su questo tipo di tamburo sono
prodotte mantenendo il tamburo sotto il braccio e spremendo con l’ascella le corde utilizzando i due
tamburi.
Il più grande la tensione sulle corde e il più alto il tono in modo tale che una pendenza di un numero
illimitato essenzialmente di valori tonali possono essere prodotti421: Ames e altri notano che questi
tamburi ‘possono facilmente accomodare le risorse di tono di praticamente tutte le espressioni […]
e possono imitare non solo i toni lessicali ma anche l’intonazione della maggior parte di espressioni
Hausa’.
Tuttora nella maggior parte dei casi non lo fanno definitivamente ed esistono numerosi altri esempi
di produzione tonale gradiente essendo possibili ma non si verificano negli strumenti comunicanti
usati per le lingue surrogato, come i tamburi a clessidra Yoruba (dundun), i tamburi ricoperti di
pelle degli Akan e le trombe da zanna di elefante o corno di antilope degli Akan422: un secondo
argomento contro una spiegazione deterministica-modale è che mentre in principio il numero dei
livelli tonali fonetici in un sistema downdrift è infinito, nella pratica il numero è piuttosto piccolo.
!421
!422
!365
Il numero di livelli tonali discreti che sono stati riportati per una tipica frase è infatti
rimarcabilmente consistente tra molte lingue, che vanno da un minimo di cinque riportate per le
frasi dichiarative Hausa423, da sei a otto per l’Akan, Tiv, Efik, Igbo e il Ga424, oltre ad un massimo
di nove compositi per lo Yoruba e lo Zulu425: inoltre come Hyman e un numero di altri ricercatori
hanno notato per i sistemi downstep, anche dove gli effetti abbassati dovrebbero per principio
essere sconfinati e cumulativi, le lingue parlate spesso collocano severe restrizioni sul numero di
livelli abbassati che hanno attualmente il permesso di aver luogo.
Per questo motivo non più di una media da cinque a otto livelli avrebbe il bisogno di essere
rappresentata nelle surrogate: questa media certamente non è troppo grande da essere sistemata
dalla risorsa tonale di molti strumenti africani fissi-acuti, per esempio, che sono considerevolmente
più ricchi del limite due o tre toni per i sistemi di percusione che sono solitamente citati.
Tuttora in tutti i casi in cui gli strumenti con una gamma tonale più grande sono ritrovati, non sono
né usati per intenti surrogativi né la loro piena gamma tonale non è sfruttata per la discorsività
strumentale: per questo motivo, il seperewa degli Akan o arpa-liuto, che è occasionalmente usato
per la discorsività surrogato, ha una capacità di cinque a sette, ma questo non è utilizzato per
rappresentare il downstep o il downdrift426.
Inoltre, altri esempi sono i lungi tamburi dei Bijago427, ‘slit-log gong’ a forma di cuneo dei Luba428,
‘hand-fluting’ dei Banen e i ‘bowed lutes’ degli Hausa429, i quali nel loro insieme hanno gamme
tonali che eccedevano il numero attualmente utilizzato per gli intenti surrogatori.
Un punto correlato è che anche per gli strumenti che hanno infatti un limite fissato di due o tre toni,
una tecnica nota in inglese come ‘HOCKET PLAYING’ è disponibile per superare questi limiti:
tuttora non è ancora applicato alla discorsività surrogato.
In questa tecnica, gli strumenti individuali con gamme di tono fissate ma diversi registri, sono
applicati di sequenza, ciascuno suonando nel turno in cui la nota o le note della melodia che cadono
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nella sua gamma430: il risultato è che un più ampio totale combinato di toni distinti è disponibile che
possono essere prodotti da qualsiasi degli strumenti individualmente.
Per esempio, gli insiemi della tromba degli Akan producono fino a cinque toni distinti (ogni tromba
è limitata a due toni), mentre gli insiemi del flauto nel Ghana occidentale mettono insieme sette
note, ed è riportato che gli insiemi del flauto sudafricano ne combinano così tanti quanti quindici
flauti431: i crescenti repertori tonali di questi insiemi possono accomodare sicuramente la gamma
degli attuali livelli downdrift che si applicano, che tuttora le lingue surrogato non ne beneficiano
mai.
Una richiesta essenziale della spiegazione deterministica-modale è che le lingue surrogato
dovrebbero rappresentare ciò che permetteranno alle loro modalità particolari, gli elementi
intonazionali: poi, un terzo argomento contro questa spiegazione è che altri elementi intonazionali
nelle lingue tonali che non comportano un numero potenzialmente illimitato di livelli tonali e quindi
sono ben dentro i limiti delle modalità strumentali incluse, non sono riprodotte nelle surrogate
strumentali nemmeno.
Il primo di questi è naturalmente la downstep che aggiunge spesso semplicemente un terzo livello
tonale superficiale-contrastiva alla lingua, spesso equivalente al terzo tono: sarebbe piuttosto
plausibile per una lingua come l’Akan ignorare il downdrift nel suo surrogato mentre ancora
rappresenta il downstep usando un mezzo tono tambureggiato.
Infatti, Nketia riporta che la maggior parte degli insiemi del tamburo tipico contiene tre tamburi che
producono toni alto, medio e bassi, che apparirebbero ideali per il contrasto a tre dell’alto, l’alto
downstep e il basso in questa lingua432: ancora una volta, questi elementi non sono utilizzati per gli
intenti della surrogata.
Inoltre, un numero di altri fenomeni intonazionali sono rintracciati nelle lingue tonali che
comportano solo fonti tonali limitati ma che sono tuttavia omesse nelle surrogate strumentali: nelle
domande dell’Hausa parlata per esempio, l’alto tono finale della frase è accresciuto in accento.
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Questo accrescimento è ben dentro i mezzi, che tuttora non è rappresentato433: allo stesso tempo nel
Sizang e nel Kamhau Chin, i toni lessicali sono modificati prima delle pause, essendo tipicamente
ricollocati dai toni bassi434.
Questo cambiamento potrebbe essere rappresentato dai tamburi slit-gong usati per la discorsività
surrogata in queste lingue, dal momento che sono diversamente capaci di rappresentare bassi toni,
ma infatti non è rappresentato435: infine nei Kickapoo tre cambiamenti base di tono a fine frase sono
stati rintracciati, ovvero l’abbassamento per le dichiarative, l’accrescimento finale per le
interrogative e livello alto o caduta immediata per le enfatiche436.
Tuttora questi non sono portati nella surrogata anche se la hand-fluting è capace di rappresentare
queste modalità tonali da subito437: è chiaro quindi che le modalità strumentali sono nella maggior
parte dei casi piuttosto capaci di riprodurre elementi intonazionali ma semplicemente non lo fanno.
In altre parole, questo aspetto della struttura surrogata non può essere attribuita alle richieste fisiche
imposte dalla modalità strumentale (altre spiegazioni possibili correlate alla modalità come l’abilità
putativa degli elementi intonazionali per non rendere ambigue le espressioni, possono essere anche
confutate)438: sempre Bagemihl nel 1988 offriva una spiegazione alternativa di questo fenomeno
basata sull’organizzazione interna del sistema fonologico surrogato.439
A causa della modularizzazione della componente surrogata, le lingue surrogate strumentali hanno
accesso solo alla rappresentazione fonologica prima dell’introduzione degli elementi intonali: è
importante ricordare qui che ‘la modalità non è il destino’, vale a dire la modalità della surrogata
non esercita un’influenza imponente sulla sua struttura sonora.
Da qui le lingue surrogato ci forniscono un modello di diversi domini legati di esperienza umana,
culturale, biologica e fisica che sono autonome l’una dall’altra in un modo che è parallelo a ciò che
i gay e le lesbiche transessuali rivelano sull’orientamento sessuale, l’identità di genere e il sesso
biologico: i transgenderisti queer offrono questa sfida, per cui solo perché una persona nata con
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438
Cfr: Bagemihl, Bruce. 1988. ‘Alternate Phonologies and Morphologies’ Ph.D. diss., University of British Columbia.
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sesso biologico femminile e identità di genere maschile non è necessario che sia attratta dalle donne
(la scelta dell’oggetto ‘appropriato’ per quella identità di genere).
Le lingue surrogato offrono questa analogia: solo perché una lingua che è solitamente parlata viene
realizzata attraverso una modalità alternata, la forma che prende non deve essere dipendente in toto
da quella nuova modalità.
Le lingue surrogato hanno proprietà numerose che si nutrono dei loro propri sistemi fonologici
autentici piuttosto che dalle costrizioni dei particolari meccanismi di produzione sonora che
sfruttano: e solo come lingue parlate possono essere realizzate senza un apparato vocalico, così che
anche un’identità di genere data possa essere realizzata negli individui con diverse biologie sessuali,
senza che una tale identità sia derivativa della biologia o orientamento sessuale di quella persona o
viceversa.
!
Bagemihl dunque tenta di mostrare perché i queer dovrebbero tener d’occhio le lingue surrogato:
tali lingue dimostrano come un aspetto delle nostre vite quotidiane che è raramente indagato, l’uso
dell’apparato vocalico per il discorso, non è il solo modo di fare le cose.
Esistono infatti molti più modi di ‘parlare’ che incrociare inizialmente l’occhio o l’orecchio: se
questo è possibile per la lingua ‘parlata’ che è spesso considerata essere intrinsecamente legata alle
costrizioni biologiche, allora è anche possibile per l’identità di genere e l’orientamento sessuale.
Ci sono molti altri modi di essere ‘uomo’ e/o ‘donna’, inclusi i modi per essere un uomo
omosessuale e una donna omosessuale, che una persona all’inizio supporrebbe: più in là, questa
analogia offre una sfida a coloro che continuerebbero ad annunciare la profonda rilevanza del
determinismo biologico, siano essi fondamentalisti religiosi che genetisti.
Per molte ragioni gay e lesbiche dovrebbero prendere in considerazione i queer transessuali: sia se
dovessimo esserne distanti o no, i e le transessuali che si identificano come gay o lesbiche sono
nelle nostre comunità linguistiche, come collaboratori, attivisti compagni e organizzatori, amici e
amanti.
Un semplice buon senso umano ci porta a conoscere e accettare questa realtà o altre, come Rubin
evidenzia: ‘i trans da donna a uomo sono un’altra caccia alle streghe in attesa che avvenga’440 e
mentre i transessuali che si identificano come gay o bisessuali per la maggior parte in maniera
definitiva diservono definitivamente la comprensione e il supporto della comunità gay/lesbo, la
!440
!369
comunità gay ha bisogno dei queer transessuali tanto quanto i queer transessuali hanno bisogno
della comunità gay.
I transessuali identificati come gay sfidano la maggior parte dei pregiudizi fondamentali della
società sull’eterosessismo e l’omofobia in modi che i gay e le lesbiche genetiche spesso non
possono: le persone nella comunità gay/lesbo spesso speculano pigramente sul se prenderebbero
una ‘pillola magica’, se una cosa del genere esisterebbe, per rendersi eterosessuali, solitamente
concludendo che non lo farebbero.
I transessuali che si identificano come gay hanno preso questa linea di pensiero alla sua più
profonda conclusione, rinunciando all’eterosessualità per legarsi agli uomini o alle donne
specificatamente come individui omosessuali, e mentre il dibattito infuria senza fine sul sé
l’omosessualità sia una ‘scelta’ o no, gli uomini omosessuali non genetici o le donne omosessuali
non genetiche possono immaginare il tipo di ‘scelta’ richiesta di un individuo quando cambiare il
suo sesso per diventare gay o lesbica.
I queer transessuali sfidano anche tutti gli sforzi di patologizzare e ‘spiegare’ l’omosessualità in un
modo che è indispensabile per il progresso continuo per il movimento gay/lesbico: un
fraintendimento rampante e di lunga durata sull’omosessualità maschile, per esempio, è che
comporta un tipo di ‘femminilizzazione’, un desiderio sulla parte di un uomo di essere (più uguale)
una donna, una riduzione nella mascolinità dell’impegno individuale nella militanza omosessuale in
cui la mascolinità è definita in vario modo dal vestirsi, parlare o altri manierismi, comportamento
sessuale o dimensione dell’ipotalamo.
Questa idea sarebbe ridicola se non operasse per riapparire nell’ambito delle teorie scientifiche
sull’origine dell’omosessualità: mentre esiste una prova ampia nella comunità gay tanto quanto
altrove che questo non può essere vero, i transessuali che si identificano come uomini omosessuali
offre una sfida particolarmente accentuta a questa visione: se gli uomini omosessuali ultimamente
volevano solo essere o erano ‘come’ le donne, poi dai diritti che alcuna dovrebbe mai voler
diventare un uomo omosessuale, dal momento che già ‘è’ in maniera più complessa ciò che può
solo approssimare in maniera imperfetta.
Inoltre, l’omosessualità dei transessuali da donna a uomo omosessuali comporta
‘mascolinizzazione’, non femminizzazione, dal momento che le donne che diventano uomini
omosessuali lo fanno in parte per accrescere la loro mascolinità, spesso al punto di diventare troppo
mascolino dei loro partner uomini biologicamente: quanto sconcertante tutto ciò deve essere per una
!370
visione globale che paragona e confonde l’orientamento sessuale, l’identità di genere e il sesso
biologico.
I e le transessuali queer stanno creando nuovi paradigmi di genere che gli individui genetici
farebbero bene ad emulare per Bagemihl: nelle comunità transgender esiste un movimento verso
una profusione delle categorie di genere, l’ambiguità e la simultaneità, generi intermediari ed
indefinibili e miscele riccamente strutturate di segnali di genere culturali e biologici441.
Come osserva Jason Cromwell per ‘riconoscere la validità degli ‘uomini con le vagine’ e le ‘donne
con i peni’ c’è da ammettere che gli uomini tanto quanto le donne resisterebbero e per questo
sovvertirebbero l’ordine sociale, approssimando l’altro ma mai diventando pienamente l’altro442: le
donne e gli uomini omosessuali o bisessuali già sono orgogliosi di sé stessi per via della loro abilità
a trascendere stereotipi di genere fuori moda, come dimostrato dalle permutazioni
meravigliosamente vertiginose del sesso, genere ed orientamento sessuale incapsulate nel seguente
passaggio della storia di Trish Thomas ‘Io e i Ragazzi’
‘cosa fa una simpatica lesbica butch come me nel fantasticare con una drag queen che ha il pene?
[…] Semplice. Non lo voglio come una donna vuole un uomo né lo voglio come una frociarola
desidera una checca. Lo voglio nel modo in cui una cornea bulla pervertita vuole una tenera e
giovane drag queen in stivali da lotta e mutande strette nere’443.
Per Bagemihl questo spirito di ‘perversità’ polimorfa deve continuare ad essere incoraggiato e
coltivato: molti e molte transessuali stanno ora stabilendo le loro identità malgrado o forse è più
appropriato dire a causa del fatto che, non passano per biologici.
Dalla loro parte, i gay, le lesbiche e i e le bisessuali possono e dovrebbero prendere tutto ciò come
un’opportunità per aiutare a forgiare una nuova visione della società, una società che è radicalmente
poligenere: finalmente la comunità gaylesbo deve dare non solo la sua risposta ai transessuali che si
identificano gay ma la sua risposta ai gay e alle lesbiche genetiche che sono attratti/e dai queer
transessuali, ovvero ciò che Phillippa chiama le persone orientate per genere.
Sebbene la comunità gaylesbo è stata spesso un rifugio per coloro che accarezzano espressioni di
genere alternate, ha anche una lunga storia di trivializzazione e problematicizzazione di uomini e
donne che sono attratti al genderato diversamente o intermediamente: una lezione può essere
imparata dalle esperienze delle donne omosessuali butch-femme, ovvero come Nestle e MacCowan
!441
!442
!443
!371
tra gli alti hanno evidenziato, le donne omosessuali femme che sono attratte da donne omosessuali
butch non sono state né respinte come non ‘autentici’ gay né diffamati con una vemenza
particolarmente odiosa.
Questa risposta deriva dal fatto che le donne omosessuali femme appaiono conformarsi alle
aspettative di genere delle società almeno occidentali, mentre allo stesso tempo sovvertono tali
aspettative attraverso la loro preferenza erotica per le donne, ma donne che appaiono ‘mascoline’:
in S/HE un’esplorazione potente ed evocativa della sua relazione con Leslie Feinberg, Minnie
Bruce Pratt ha risposto che loro non sono ‘traditori del loro sesso’, come alcuni le hanno marcate
ma piuttosto ‘esploratrici e spie tra i confini di cosa è uomo, cosa è donna’444.
Dove i queer transessuali e i loro amanti genetici e descritti per genere, si può scegliere di
rispondere sia con intelligenza e apertura mentale, come Gayle Rubin suggerisce, sia rischiando di
indebolire la fondazione delle proprie comunità queer: l’analogia linguistica di Bagemihl che può
contribuire ad una migliore comprensione delle relazioni tra gli orientamenti sessuali, le identità di
genere e il sesso biologico in generale e i e le transessuali che si identificano come gay, lesbiche o
bisessuali in particolare.
Come è stato notato, questa analogia non prova che l’identità di genere e l’orientamento sessuale
sono autonomi e infatti tale autonomia non ha bisogno di essere provata o paragonata poiché siano
rese legittime le identità dei transessuali queer, ma questi esempi paralleli semplicemente
dimostrano che ancora una volta gli esseri umani sono creativi in maniera infinita nelle loro abilità
di immaginare nuovamente e inventare nuovamente ciò che appare essere gli aspetti più immutabili
della cultura e della biologia.
La speranza di Bagemihl ruota intorno al fatto che questa analogia contribuisca in qualche modo al
continuum immaginativo di tali possibilità e alla celebrazione continuata delle pluralità, sia
linguistiche che di genere.
!
3.4. Modificare la pratica sociolinguistica per modificare l’ideologia di genere
Constatando che un sistema linguistico può essere definito come una pratica comunicativa mediata,
tra l’altro, da uno o più linguaggi in un dato contesto spazio-temporale, ne consegue che al centro
dell’attenzione ora ci sarà la pratica comunicativa medesima tout court: se, però, nelle parole di
Eckert-McConnell-Ginet “la competenza linguistica è il saper evidenziare l’abilità di produrre e
!444
!372
riconoscere la correttezza di una frase”, esistono alcuni studiosi secondo i quali ciò non è
sufficiente per partecipare alla pratica verbale in quanto bisogna conoscere le vigenti convenzioni
socioculturali.
La competenza linguistica, quindi, cresce con l’uso in un dato sistema linguistico e tra sistemi
linguistici: si impara e si insegna come applicare il sistema nelle situazioni comunicative sociali,
sviluppando in tal maniera una profonda competenza comunicativa.
Resta da constatare a questo punto che, però, né il sistema linguistico né la socialità sono fattori
statici: essi sono determinati quotidianamente dalla loro dinamicità ed evolvono nella dinamicità
come il movimento femminista storicamente tentò di dimostrare.
Lo stesso movimento femminista arrivò a dimostrare anche come le ideologie dominanti e le
convenzioni linguistiche derivanti possono essere continuamente costruite, mantenute, elaborate e
modificate nella pratica discorsiva: in pratica il potenziale cambiamento deriverebbe dall’accumulo
delle azioni individuali nella società.
Nell’attuazione di un dato atto e insieme di atti, individuale e reattivo, si evidenzia come la norma
vigente è evidentemente basata sull’assenza di necessità: nel caso di gergalità maschilista di sir, è
possibile che ne venga perso il valore, che venga esteso il suo utilizzo anche per donne o, infine, si
diffonda un nuovo termine come ma’am.
Nella stessa misura in lingua italiana negli ultimi dieci anni, ad esempio, per definire ‘una persona
che sta transitando verso il sesso opposto ma ancora non ha operato definitivi interventi chirurgici
al proprio apparato genitale per decisioni provvisorie e/o definitive’ nel caso particolare di MvF, è
stato utilizzato il termine gergale e indefinito di transessuale nella forma abbreviata, esclusiva e
maschile di il trans, ma:
1. ha perso di valore per indicare i casi di MvF a favore della formula abbreviata e femminile
de la trans
2. è ignorato l’ambito di utilizzo per indicare casi di FvM
3. si è diffuso un nuovo termine generico come transgender.
Essendo impossibile una previsione su quale sarà l’utilizzo sulla base di una compresenza di
molteplici fattori e avendo un dato sistema linguistico una peculiare influenza sulla società che lo
utilizza attraverso il suo uso ripetuto, sequenze di uso o la storia del suo uso, ne deriva che sono le
identità e lo status delle persone che pronunciano a determinare per un atto individuale l’ingresso in
un orizzonte discorsivo: nello specifico, il senso coniato deriva dal chi opera, chi riceve
l’operazione e come viene ricevuta una data operazione.
!373
In tal senso, alla fine degli anni Sessanta, per esempio, in lingua inglese nasce in ambito femminista
la formula Ms opposta a Mr: l’esigenza deriva dalla necessità di menzionare semplicemente il
genere senza menzionare lo stato civile, determinando con questa nuova formulazione un nuovo
modo di considerare le donne.
Parallelamente in lingua italiana l’introduzione dell’anglicismo gay sia per M che per F ha assunto
il medesimo valore storico: l’esigenza in questo caso deriva dal ridurre l’uso fino a rimuovere la
presenza dell’ampia gamma di varianti regionali e/o dialettali che puntano a un valore denigratorio.
Se Ms è neutro per le donne divorziate, di mezza età e professioniste tanto quanto gay per gli
uomini e donne italiani consapevoli del proprio orientamento sessuale, militanti e nati dagli anni
Sessanta in poi, il cambiamento ha preso vita a sé molto presto, staccandosi da coloro che lo hanno
promosso.
.
Infatti, il caso inglese di Ms ha continuato ad esistere grazie al linguaggio pubblicitario (anche se
per scopi strumentali, offensivi e ideologici) e il caso inglese gay ha continuato ad esistere come
correlazione di un movimento di liberazione omosessuale di matrice anglosassone modulato anche
in Italia, sebbene entrambi fossero nati come alternative contestualizzate.
Per quanto riguarda la semiotica di genere, questo concetto si riflette, ad esempio, nelle riviste
sportive per donne, in cui, nonostante cresca la presenza femminile nelle pratiche sportive così
come la domanda, non esiste una pari dignità, derivandone un genere ibrido esteticamente queer in
cui la bellezza e la magrezza sono mixati all’essenza atletica e al fitness: un equivalente nella
semiotica queer consiste nell’immagine coniugata di due persone dello stesso sesso, in cui il
desiderio crescente di promozione delle vite di uomini e donne omosessuali emerse nella
discorsività sociale del concetto di famiglia e delle dinamiche interne al modello familista.
Insomma, l’interesse concentrato di un gruppo introduce un cambiamento nella pratica
comunicativa e in tal maniera, si forma l’inizio performativo che il mercato di significato modella a
sua immagine e somiglianza: bisogna ricordare come il valore di un’idea nel mercato del significato
non è separabile mai dalla persona o gruppo che l’ha offerta.
Per quanto riguarda la sua natura, il cambiamento può essere formulato anche in forme subdole e
punta sempre all’interruzione dei fattori di genere costrittivi: i fattori possono essere ripristinati a
breve o a lungo tempo ma, esistendo la possibilità che i piccoli eventi infinitesimali siano
intenzionali, i piccoli cambiamenti in tali performance di genere continueranno ad esistere come
neosupporti su cui l’ordine di genere può essere ricostruito.
!374
Dunque, i cambiamenti generali e specifici entrano nella costruzione di genere
contemporaneamente, comportando la necessità di comprendere come i piccoli atti di azione e
reazione diventano grandi atti di genere: per fare questo, è importante studiare direttamente la
casistica di come l’atto verbale individuale viene preso da altri interlocutori e posto nella
discorsività pubblica.
A questo punto, è evidente come la speech community nel suo complesso diventa l’unità di
riferimento: si determina in tal maniera l’inseparabilità tra pratica comunicativa e sistema
linguistico (conoscere una lingua significa conoscere come applicarla nella pratica comunicativa) e
la necessità della presenza delle norme di interazione affinché un sistema linguistico abbia luogo in
diversi sistemi comunicativi e da comunità a comunità.
E’ bene ricordare immediatamente come la nozione di comunità discorsiva può essere disattesa
nella pratica, sicché nelle situazioni concrete non è chiaro spesso dove finisca una comunità e ne
inizi un’altra: a differenza di Hymes che l’ha coniata, il termine può essere applicato a collettività
astratte o comunità che possono essere ristrette a loro volta in numerose sottocategorie.
E’ una nozione, infatti, che si applica sulle pratiche interne alle comunità che sono definite sia
geograficamente sia socialmente ma comunque dipendenti dal grado di focalizzazione attivato,
considerato che i confini sono sempre fluidi.
A questo punto, si denota anche la nozione di community of practice come un insieme di persone
che collaborano per far qualcosa e mettono in pratica date pratiche: è qui che i modi di parlare sono
i più coordinati e ci si orienta alle pratiche discorsive delle comunità più grandi e diffuse,
riproponendo per sé stessi le pratiche applicate nel contesto generale.
Questa nozione deriva dall’osservazione secondo la quale, tra l’altro, esistono alcune comunità,
come quella queer, che possono evolvere pratiche più distintive di parlato: è da qui che parte
l’influenza sull’esterno, perché partecipare nella società significa partecipare a più comunità,
forgiando un senso del proprio ruolo e possibilità nella società.
Dunque, se è chiaro come un importante link tra individuo e società sia la struttura di partecipazione
nelle comunità di pratica, queste ultime emergono come gruppi di persone rispondenti ad una
situazione mutuale (particolare interesse per un dato tempo e luogo): esistono anche alcuni gruppi
che non emergono ma comunque sono strutturati a seconda dei tipi di situazione che presentano nei
diversi luoghi sociali, di genere, di classe sociale e di etnia per emergere poi nei gruppi
d’esperienza.
!375
In altre parole, la comunità di pratica è il livello di organizzazione sociale in cui le persone
sperimentano l’ordine sociale su base personale e quotidiana, offrendo un senso a quell’ordine
sociale: alcune comunità di pratica potrebbero essere omofile e potrebbero sviluppare soprannomi
e/o modi divertenti di nominare gli oggetti, secondo quanto ricordano Eckert e McConnell-Ginet,
proprio come quella queer.
Quindi, la comunità di pratica queer è tale in quanto alcune forme di partecipazione si sviluppano
quando si uniscono singoli individui e/o quando si fanno cose mutuali e modi di mettere in pratica
le cose che concernono il gruppo (dall’associazionismo militante ai locali per il divertimento): in tal
maniera si sviluppa il proprio senso di un posto nell’ordine sociale, discutendo dell’ordine sociale
medesimo.
Mettendosi in relazione ai propri simili, ogni membro in questione riporta quei fattori in altre
comunità nuovamente: nel caso specifico, la personalità queer deriva da fattori a cui si dà più
importanza che ad altri, l’identità queer non si separa dalla propria partecipazione nelle comunità di
pratica e ciascuna comunità queer (lgbt) deriva dal gioco interno delle identità costituenti.
Il secondo fattore, l’identità, presuppone un lavoro che è reso prima di tutto nell’interazione con due
interlocutori, cuore della vita sociale: i cambiamenti conversazionali quotidiani sono cruciali nel
costruire l’identità di genere e/o queer, tanto quanto le ideologie e le relazioni di genere e/o queer,
perché nella conversazione vengono prese le idee che poi eventualmente vengono accolte, prendono
parte di un discorso estero o si estinguono.
E’ proprio grazie alla conversazione per cui è possibile comprendere e chiarire cosa gli altri sono in
rapporto a noi: in altre parole, è qui che nasce il cuore di ciò che si intende essere in relazione a ciò
che altri permettono di essere.
Il face, per questo motivo, è un’impresa interdisciplinare: secondo la definizione di Goffman,
infatti, il face è ‘la valutazione sociale positiva che una persona richiede per sé stessa attraverso
ciò che altri assumono nel momento in cui tale singola persona ha appreso durante un particolare
contatto’.
Ciononostante, la capacità di partecipare nell’impresa sociale richiede delle mutualità tra i
partecipanti su ciò che essi sono ed è per questo motivo che ogni individuo presenterà un sé che lui
o lei considererà desiderabile e che lui o lei immagina che gli altri avranno intenzione di conoscere
e supportare nell’interazione: in ambito gay, lesbico e bisessuale, però, ciò è potuto accadere, o
meglio è stato possibile decostruire, solo con la definitiva depatologizzazione che cronologicamente
ha coinvolto e si è sviluppato solo negli ultimi venti anni.
!376
Il face è, dunque, qualcosa che possiamo ‘perdere’ o ‘conservare’ nell’interazioni con il mondo
circostante secondo le parole di Eckert e McConnell-Ginet: se è presente nelle presentazioni del
proprio sé e nelle percezioni degli altri come determinati tipi di persone da un lato, dall’altro
l’interazione ha inizio solo quando si pone sempre il proprio sé e il sé altrui in un contesto sociale,
un contesto in cui il genere è spesso una caratteristica dominante e di cui il queer stenta a delinearsi.
Tale difficoltà comporta che situazioni diverse e la partecipazione in comunità diverse di pratica
significheranno presentazioni diverse del proprio sé, dunque anche espressioni linguistiche diverse
tali da essere considerate gergali per alcuni contesti: l’azione del face infatti copre le molte cose che
le persone seguono per progettare una certa immagine del sé, rettificando o rifiutando altri progetti
di persone dal sé dichiarato, quindi autentico.
In ambito queer queste caratteristiche si esprimono con estrema forza: sempre Goffman afferma tra
l’altro che il face è un’immagine del sé delineata in termini di attributi sociali approvati, tanto che
per l’appunto se l’ideologia di genere modellerà l’eteronormatività in ogni generazione
l’omosessualità, la bisessualità, la transessualità e l’intersessualità saranno necessariamente escluse.
A questo punto, il face può essere dunque considerato come il collante sociale che mantiene le
persone unite l’una all’altra in una data interazione, ciò che porta loro a coordinare le proprie azioni
da vicino: l’espressività queer, essendo come l’espressività femminista, forma di rottura con
l’ideologia di genere, comporta un significativo intervento proprio sul face sociale in primis.
Quindi, l’ideologia di genere e l’identità di genere assunte entrano sia nei singoli face progettati da
singoli individui sia nei face che gli altri stanno per ascrivere in loro: tutto questo deriva da una
forza notevole che si pone al di là dell’ordine di genere e che è il desiderio di essere coinvolti in
situazioni o atti di trattamento del face, elemento privato de facto in molti casi alla comunità queer.
!
3.1.2 Risorse linguistiche del genere e del queer
!
E’ noto come un sistema linguistico è un sistema altamente strutturato di segni, combinazioni di
forme e significato: Eckert e McConnell-Ginet rilevano in aggiunta come il genere è intrinseco in
questi segni e nel loro uso della pratica comunicativa in una varietà di modi, tali da contribuire a
comprendere il disagio linguistico del face dei parlanti queer, in particolare con disforia di genere.
Per prima cosa, il genere può essere il contenuto attuale di un segno linguistico: per quanto riguarda
ad esempio la lingua inglese
!377
•
i pronomi di terza persona singolare distinguono tra l’inanimato it e l’animato maschile e
femminile (she, her, her - he, him, his).
•
il suffisso –ess trasforma un nome maschile o generico al femminile (heir - heiress).
•
anche i prodotti lessicali si riferiscono direttamente al maschile e femminile (male- female,
girl- boy).
In altri casi, la relazione tra un segno linguistico e il genere sociale possono essere secondari,
favorendo una diminuzione del disagio da disforia di genere: per esempio,
•
gli aggettivi inglesi pretty e handsome: entrambi puntano a significare ‘di buon aspetto’ ma
hanno significati nel loro background che corrispondono a ideali culturali di buona
apparenza rispettivamente per le donne e per gli uomini, tanto da essere usati generalmente e
specificatamente per il genere o per invocare proprietà associate al maschile e/o al
femminile (pretty boy avrà un valore derisorio rispetto a handsome woman per esempio).
Ci sono per questo motivo molti mezzi con cui si impone ai topoi il genere e con cui si invoca il
genere e i discorsi di genere anche quando si discute evidentemente di altro, tanto che il parlante
con disforia di genere avverte in maniera amplificata tali caratteristiche linguistiche.
Sarà per questo motivo che l’uso della lingua per definire sé stessi, nelle parole di Eckert e
McConnell-Ginet, sarà il primo modo per esprimere uno smantellamento di tale disagio: dal
versante poi della ricezione, essendo le risorse linguistiche potenzialmente usate per presentare una
determinata persona in una determinata maniera, il genere continua ad esprimersi in una miriade di
modi che sono ad esempio
•
il tono,
•
l’intonazione e
•
la scelta dei vocaboli.
Questi elementi, oltre ad essere aspetti del genere che si segnalano nell’autopresentazione di un
parlante, possono anche segnalare in quale misura il parlante (mittente e ricevente) asseconda o
rafforza il genere degli altri interlocutori in una data situazione: allo stesso tempo, l’associazione di
queste modalità linguistiche con ideali maschili o femminili li rende materiale potenziale per
riprodurre o per modificare un discorso conservativo di femminilità o mascolinità.
Per continuare a comprendere con quale forza il genere determini disagio nel parlante con disforia
di genere, si osservi anche come il genere possa essere applicato nella gamma di varie possibilità
che un singolo fonema possiede nella sua realizzazione fonetica: se, da un lato, fallimentari sono
stati gli studi per applicare ai mezzi tecnologici la capacità di distinguere tra fonemi diversi,
!378
dall’altro, tutto lo spazio entro il territorio ad esempio della /s/ in lingua inglese è libero per essere
usato per intenti stilistici e di qualsiasi tipo di variazione stilistica.
Il sistema fonologico è una risorsa potente per codificare significati sociali che nell’esempio inglese
della /s/ può essere stereotipicamente associato con l’eterosessualità femminile e/o con
l’omosessualità maschile, come ricordano le stesse autrici britanniche che lo monitorano: ne deriva
in maniera determinante che ci si pone verso ciò che ci si aspetta di sentire.
In tal senso, negli studi condotti dai fonetisti Elizabeth Strand e Keith Johnson, è stato registrato
come essa tende ad avere una frequenza più alta nelle donne rispetto agli uomini: è stato dedotto
che tale tendenza dipendeva da come il parlante fosse stato percepito [ovvero come F o come M: F
ha una frequenza alta, mentre M una frequenza bassa (son=F) (shod=M)].
Dunque, la prosodia in questione si arricchisce con il potenziale sociale vigente, comportando per il
ritmo e il tono significati di genere importanti, su cui intervenire, specie quando sono oggetti di
stereotipizzazione di genere e disforia di genere: d’altronde lo studio degli aspetti fonologici è
cresciuto negli ultimi anni ma poche sono state le
determinate.
Sicuramente è stato possibile denotare come i parlanti imparano a percepire piccolissime differenze
acustiche inconsciamente e usano questa informazione sempre inconsciamente nell’interpretare il
discorso altrui: gli effetti sociali sono integrati al proprio sapere linguistico tanto che ogni forma
non aderente con l’associazione di genere attuata, come la transessualità, verrà considerata
‘anomala’ come una spontanea conseguenza, in primis nell’interlocutore del parlante disforico e poi
nel parlante disforico medesimo.
Anche la qualità della voce, in tal senso, è un aspetto pieno di significato sociale nella misura in cui
è una performance linguistica e per questo motivo gli analisti hanno cominciato a investigare
proprio sull’applicazione di genere che possa comportare.
Inoltre, il discorso di genere in questione, e come conseguenza quello queer, coinvolge anche alcuni
morfemi grammaticali, tanto che la morfologia di genere è un modo con cui la lingua rafforza il
genere medesimo, forzando il parlante ad evidenziare il genere degli interlocutori presenti in una
data conversazione in molti sistemi linguistici: infatti, come nell’ebraico israeliano, la morfologia di
nome e verbo ha esplicitamente un contenuto di genere.
D’altronde, è necessario evidenziare il sesso-genere del referente anche in lingue come l’inglese,
comportando de facto la dominazione del genere maschile anche nei casi di una maggioranza
numerica femminile: si ricordi a tal proposito come i linguisti parlino di genere grammaticale
!379
quando un sistema linguistico ha classi di nomi che sono rilevanti per certi tipi di formule con cui si
accordano, tanto che nelle lingue indoeuropee il genere grammaticale ha connessioni complesse con
il genere sociale.
Tuttavia, non esiste una perfetta corrispondenza tra una categoria di genere grammaticale di un
nome e le proprietà delle cose o il sesso delle persone a cui si riferisce, favorendo nuovamente la
nozione di queer: per questo motivo, secondo alcuni linguisti il genere grammaticale in queste
lingue non è connesso al genere sociale e ci sono alcune paia di parole distinte grammaticalmente
dal genere e semanticamente dal sesso dei loro potenziali referenti.
Sicuramente, comunque, il genere sociale e grammaticale sono legati spesso: in francese, ad
esempio, aggettivi, articoli e pronomi devono concordare con il genere sociale, per cui si parla di
deittico e anaforico che indicano non antecedenza o antecedenza rispettivamente, mentre l’uso
continuo e costante può far cambiare il genere di riferimento e adeguarlo ad una nuova condizione
(come avviene con la parola italiana queer camionista applicato per indicare donne di corporatura
robusta).
E’ il caso del genere da attribuire all’abbreviazione trans in lingua italiana in seguito alle
affermazioni di Tullio De Mauro sull’articolo del quotidiano Il Sole 24 Ore: processo diverso e
distante dalla frequente simmetria di genere nei termini occupazionali, che permette anche ai
parlanti di avere conflitti tra due diversi principi per la selezione dei pronomi.
Sempre in lingua francese, poi, il lessico offre ai parlanti una gamma ampia di possibilità in modo
tale che questi due principi di selezione del pronome per i casi studiati dalle due linguiste
britanniche non entrino in conflitto: tale caratteristica esemplare per comprendere l’intimità
linguistica in cui la gergalità queer trova espressione per sua natura, è valida se si nota come
funziona in tal maniera anche con gli animali (può essere distinto dal sesso nei riferimenti
pronominali deittici, valido in particolare per gli animali domestici, ma non distinguibili per altri).
Nello specifico, il pronome di genere su cui Eckert e McConnell-Ginet focalizzano la propria
attenzione, viene scelto per essere accordato con il nome comunemente usato per designare quel
tipo particolare di cosa e gli usi deittici dei pronomi che sono soliti riferirsi a cose, non possono
condurre al genere naturale: è provato, infatti, che nelle lingue indoeuropee ciò che sono elementi di
accordo di genere, sono elementi che crescono come elementi di suoni ripetuti, quindi relativi.
Un altro dato certo che si ricava è che il genere grammaticale non è confinato agli esseri animati,
come per la tendenza al neutrale alla gergalità queer: sempre il lessico francese, ad esempio, è
diviso in M e F anche se i significati delle parole in ogni categoria di genere grammaticale non può
!380
essere legato al genere sociale in alcun modo e anche in questo senso la gergalità queer opera una
funziona peculiare nella misura in cui è trasversale tra sesso e genere, tra vero e verosimile.
Ed è per questo motivo che chi spinge per il cambiamento non può che essere preoccupato più per
la dicotomia di genere che per come funziona la lingua: in lingua francese, oggetto degli esempi
posti dalle due studiose, possono non esistere legami tra grammatica e genere sociale, come il
pronome personale soggetto je che si adegua al parlante, senza creare questioni di disagio da genere
non corrisposto.
Diversamente, il genere grammaticale fornisce un link conveniente al genere sociale per pensare e
parlare di date cose, quindi anche di sessualità e desiderio sessuale: la psicologa Lera Boroditsky
mostra, infatti, come i parlanti la cui lingua dominante è il tedesco usano M mentre per coloro che
hanno come lingua dominante il francese usano F per determinare il genere di alcune parole
inanimate, proprio come accade nelle proprie lingue di partenza (ciò fu già rilevato tra noti
esponenti della poesia).
Un altro luogo in cui il genere penetra e la gergalità queer determina di conseguenza rapporti
innovativi di forza è l’insieme dei processi morfologici che trasformano un nome riferente ad un
uomo nella sua controparte femminile: alla base vi sono le medesime norme di genere
precedentemente menzionate che determinano per i sistemi di genere grammaticali indoeuropei un
legame stretto con il genere sociale in una gamma ampia di modi.
Nel lessico, inoltre, esistono antiche paia di parole che hanno assunto sul significato di genere
asimmetrico posizioni sociali asimmetriche di M e F nella società: in alcuni casi, i termini non
saranno mai paralleli, mentre in altri i significati associati con il genere possono ricorrere al nome
derivato che comporta il suo ultimo significato, ma sicuramente per entrambe le possibilità l’ambito
culturale queer porrà proprio su questo livello di analisi linguistica il massimo della sua portata.
Se in partenza, per esempio, esistono già suffissi femminili che portano il loro significato
addizionale, incorporando il genere nelle forme linguistiche e il genere sociale viene preso ad
esempio, nella gergalità queer quei suffissi determineranno un plus valore, un valore aggiuntivo a
quello già formatosi: se la lingua rende difficile per un parlante ignorare il genere o parlare di
qualcuno senza riferirsi al genere, i parlanti possono costruire il loro discorso in un modo tale da
scegliere, enfatizzare od omettere i loro tratti di genere.
Tornando al lessico, si rileva in aggiunta come diversi utenti della lingua hanno nelle parole delle
due studiose britanniche “accesso a diversi lessici”: la divisione di genere in primis e la divisione
tra eteronormatività e omonormatività per il controllo del desiderio sessuale poi punta a produrre
!381
elementi di genere nell’inventario preciso lessicale in cui i parlanti possono aver accesso e quelli in
cui non possono avere accesso se non in determinati ambiti di riferimento.
Il movimento di liberazione omosessuale, bisessuale e transessuale così come è già accaduto per il
movimento femminista, sebbene per fini diversi, pone in rilievo i morfemi grammaticali perché
come per i pronomi, sono più stabili dei nomi lessicali o verbi: essi vengono e vanno lentamente in
quanto sono essi stessi che attuano il cambiamento pro o contro ideologico.
Ciononostante, il lessico resta un repertorio di preoccupazioni culturali e come tale il legame tra il
genere e il lessico è profondo ed esteso, e nella gergalità queer raggiunge il suo massimo apice per
sua definizione: il motivo va rintracciato nella sua natura semantica molto variabile in cui poter
portare nuove idee in contrasto con le tracce di una grammatica del genere che riflette il passato o
una norma.
Ne deriva che i segni del genere nel lessico sono spesso più complessi e multiformi rispetto a quelli
morfologici, quindi più complessi nella comprensione semantica della gergalità queer: da non
dimenticare come il lessico sia anche una risorsa che diversi parlanti potrebbero usare
differentemente come una funzione di genere in partenza.
E se le due studiose britanniche ricordano come alcuni indicatori di genere non sono
grammaticalmente obbligatori ma sono disponibili quando i parlanti sperano di specificare il
genere, è proprio nella gergalità queer che avviene la sua massima applicazione neolessicale per fini
ironici e comunitari: ora l’anomalia viene invocata quale originalità e sarà l’uso massiccio o non
massiccio che ne determinerà la valenza comunitaria o sociale.
Importante rilevare, a tal proposito, il contributo che può derivare dai mass-media: essi fungono da
enti simbolici che puntano all’abilità di introdurre nuove parole e/o espressioni, dunque nuovi
significati, lì dove alcune forme nacquero per meri motivi specifici.
Se, allo stesso tempo, lo stimolo può partire da un determinato contesto, dipenderà da molteplici
fattori l’evoluzione futura del significato: la visibilità, per esempio, è molto importante, ma allo
stesso tempo è necessario anche un numero sufficiente di persone che sono predisposte al
cambiamento tanto da adottare e usare un dato termine.
Una data applicazione deriverà, però, da generazioni di parlanti che usano una data specificità: oltre
a comportare un significato massificato tardivo, il medesimo uso linguistico potrà trasformare o
rimuovere la medesima specificità diffusa.
Per questo è giusto sostenere la tesi delle due studiose, secondo la quale è il chi fa cosa a creare il
significato: infatti, alcune parole non entrano mai in un uso massificato, quindi in un dizionario
!382
generico in quanto ciò che esprimono non è mai autenticamente e profondamente utilizzato e sarà
l’ostilità (non il disinteresse) ad essere capace di coniare nuovi termini, come nuove attitudini
politiche ostili hanno ridotto l’uso in ambito di genere del maschile per indicare il generico a priori.
In conclusione, l’applicazione del genere ha raggiunto anche la sintassi e di conseguenza la
gergalità queer è intervenuta anche su tale livello: se è stato possibile constatare come M è spesso
l’agente, quindi la componente attiva di una data azione, mentre F è spesso il tema, quindi la
componente passiva della medesima azione, la gergalità queer ha coniato una vasta gamma e di
conseguenza un diverso modo di interpretare persino un dato e mero ruolo sessuale identificatore.
D’altronde, se il femminismo è entrato in azione per ridurre la forza di impatto del maschile per il
generico attraverso l’applicazione di un soggetto sottinteso in alcuni sistemi linguistici, una
prospettiva queer segnalerà nuovamente come le scelte sintattiche segnalano l’ideologia di genere e
la mantengono nel momento in cui il contenuto della medesima frase analizzata ha legami
pragmatici con il genere medesimo e/o la sessualità.
La medesima prospettiva innovativa degli studi queer dimostra anche come il genere continui a
passare attraverso, non solo le parole e le frasi in cui viene applicato, ma anche per fini semantici e
pragmatici, argomento del prossimo paragrafo.
Intanto, le scelte sintattiche e morfologiche possono aiutare a determinare l’ingresso dei parlanti
nella performance di genere in una varietà estesa di modi e, per questo motivo, alternative
sintattiche che determinano ideologia di genere nei messaggi, forniscono modi di convenire
essenzialmente lo stesso messaggio da prospettive e/o enfasi diverse.
A favorirne o sfavorirne l’uso di una data alternativa in ambito queer potrà essere non solo ciò che
le due studiose britanniche individuano nel livello di istruzione e/o nella classe sociale, ma
motivazioni più strettamente psicologiche e/o sociologiche: per questo è certo che prevalga in una
visione complessiva di una data società un alternarsi tra forme diverse dipendenti dall’attitudine, la
formalità o l’enfasi di un parlante.
Il costante alternarsi delle prospettive di applicazione, di conseguenza, potrebbe confondere lo
studioso sull’ambito di referenza di un dato termine, credere ad una onnipresenza o ad una
contestualità peculiare non autenticamente rintracciabili: è stato dimostrato, ad esempio, che è un
certo automatismo alla base della scelta tanto che sono le scelte della propria community of practice
a determinare un uso maggiore o minore del non standard.
!383
Per questo motivo è possibile confermare come non solo il genere affetta il modo in cui le persone
agiscono, ma anche come esse agiscono verso sé stesse: è il caso del disagio pulsante dei parlanti
queer in tale sistema vigente di genere.
!
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CONCLUSIONI
Nel preparare i propri paper per la Berkeley Women and Language Conference, Anna Livia e Kira
Hall sono state alle prese con gli allora recenti sviluppi della teoria queer e la sua relazione non
facile, oltre che spesso antagonista, con la teoria femminista: nella conferenza del 1994 ci furono
diversi dei partecipanti dell’altra conferenza non a caso.
Durante le due precedenti decadi, anni Settanta e anni Ottanta, sebbene un corpo sostanziale di
ricerca era stato effettuato sulla lingua e sul genere prevalentemente in ambito anglosassone (nota
come linguistica femminista), pochi di questi studi avevano preso la sessualità, l’orientamento
sessuale e/o l’identità di genere come un criterio per l’analisi e la più vasta maggioranza degli
!384
studiosi comunque assumeva il genere come una categoria non problematica indicalmente legata al
sesso del parlante o dello scrittore: la piccola quantità della ricerca svolta invece sulla lingua e
l’orientamento sessuale negli anni Sessanta e nella prima metà degli anni Settanta tendeva a
concentrarsi sul livello lessicale ed è quella impronta che qui si è tentato comunque di riproporre
prevalentemente.
Durante questo periodo infatti un certo numero di glossari di lessico gay fu compilato, che include
Cory e LeRoy con ‘A Lexicon of Homosexual Slang’ del 1963445, Strait e Associati con The
Lavander Lexicon: Dictionary of Gay Words and Phrases del 1964446, Rodgers con The Queens’
Vernacular del 1972447 e Farrel con ‘The Argot of the Homosexual Subculture’, sempre del 1972448.
Sebbene la maggior parte di questi lavori mettano in luce la sola discorsività degli uomini
omosessuali bianchi negli Stati Uniti, alcuni, come la Society of Women: A Study of a Woman’s
Prison del 1966 di Giallombardo449, presentavano anche la lingua delle donne omosessuali, mentre
altri includevano termini dalle lingue diverse dall’inglese (‘tongue-in-cheek’), come il meno recente
‘Gay Girl’s Guide to the U.S. and the Western World’, che pubblicato nel 1949450, ha sezioni sul
francese, il tedesco e il russo.
In tal senso, la gamma ristretta della scuola linguistica focalizzata sulla storia e cultura
dell’omosessualità precedente agli anni Novanta si pone in forte contrasto con la fioritura
dell’interesse e della ricerca sulla lingua degli uomini e delle donne eterosessuali nello stesso
periodo, ovvero in opposizione ad un argomento che è stato studiato ad ogni livello linguistico dalla
fonologia e fonetica alla morfosintassi, dalla lessicologia e semantica alla linguistica testuale e
pragmatica: questa ricerca sulla natura del genere ha coperto aree così diverse come il silenzio e la
comunicatività orale451, la scelta topica e l’adozione dell’argomento, le lacune e le sovrapposizioni,
gli usi di diminutivi, superlativi, e ipocoristici, e gli atti linguistici indiretti e ostacolanti, i fattori di
445
!
Cfr: Cory, Donald Webster e John P. LeRoy (1963). ‘A Lexicon of Homosexual Slang’. The Homosexual and His
Society: A View from Within. New York: Citadel Press.
446
!
Cfr: Strait and Associates (1964). The Lavander Lexicon: Dictionary of Gay Words and Phrases. San Francisco:
Strait.
447
!
Cfr: Rodgers, B. (1972). The Queens’ Vernacular: A Gay Lexicon. San Francisco: Straight Arrow Books.
448
!
Cfr: Farrel, Ronald A. (1972). ‘The Argot of the Homosexual Subculture’. Anthropological Linguistics 14: 97-109.
449
!
Cfr: Giallombardo, R. (1966). Society of Women: A Study of a Woman’s Prison. New York: Wiley.
450
!
Nerf, S., P. Asti, and D. Dilldcok, eds. [psueds]. 1949. The Gay Girl's Guide to the U.S. and the Western World. N.p.
[San Francisco?].
451
!
Cfr: Baron, Bettina e Kotthoff, Helga (2001). Gender in Interaction: Perspectives on feminity and masculinity in
ethnography and discourse. John Benjamins Publishing Company.
!385
stress e la tonalità con l’intonazione, la derogazione semantica, il code-switching e i fattori di
discorsività etnica.
Nell’assenza delle espressioni esplicite come il perché la sessualità non fosse inclusa come criterio
di analisi in questi studi di linguistica femminista, si può pensare che i parlanti di sesso maschile e
omosessuali erano inclusi tra la classe degli intervistati di sesso maschile eterosessuali, mentre le
donne omosessuali erano collocate con le donne eterosessuali, una classificazione basata in altre
parole sull’assunzione non formulata esplicitamente secondo cui il genere condiviso fornisce un
ambito comune che annulla le considerazioni dell’orientamento sessuale e di identità di genere.
E’ una condizione autenticamente gergale del gergo queer: se persino la ricerca non se ne occupa, è
facile credere che esistano condizioni per non concepirla intellettualmente, nel senso di ritenerlo
comprensibile dall’intera comunità linguistica.
Tutto questo sebbene nello specifico, esistesse già una lista di glossari gay, come il ‘The Language
of Homosexuality: An American Glossary’ del 1941 di Gershon Legman 452: elencando 329 termini,
questo glossario apparse come appendice 7 a Sex Variants: A Study of Homosexual Patterns di
George Henry, con il difetto di M.D. Legman di includere solo il gergo gay maschile, sebbene le
spiegazioni dell’autore sui motivi di questa focalizzazione restino comunque molto interessanti.
Legman imputa l’assenza dei termini lesbici, quindi non solo di un orientamento sessuale altro ma
di un genere altro, non alle limitazioni dei suoi propri metodi di raccolta dati (ha consultato altri
dizionari, piuttosto che condurre la sua propria ricerca), ma alla ‘tradizione della restrizione di
genere prevalentemente verso il maschile tra le donne omosessuali’453: questa apparentemente
semplice ‘restrizione’ contiene una complessa teoria popolare della relazione tra genere, sessualità e
lingua in una prospettiva antropologica prevalentemente fallocentrica, maschilistica e machistica.
Molto distante dall’assumere che le donne omosessuali parlino come donne, Legman le categorizza
tra gli uomini con una sottosezione di ‘ristretti’ parlanti di sesso maschile la cui discorsività è
marcata dall’assenza di gergo svilito: se la mancanza del gergo lesbico indicherebbe che le donne
omosessuali parlino come gentlemen, quindi secondo un canone di genere e non un canone
sociolinguistico di natura gergale, l’abbondanza del gergo maschile gay (329 termini) dovrebbe
indicare che la discorsività degli uomini omosessuali assomigli a quello delle donne eterosessuali
452
!
Cfr: Legman, Gershon (1941). ‘The Language of Homosexuality: An American Glossary’. In George Henry (ed.),
Sex Variants: A Study of Homosexual Patterns. New York: Hoeber [Harper & Bros.].
453
!
Cfr: Hayes, Joseph (1976). ‘Gayspeak’ Quarterly Journal of Speech 62 (October): 256-266. Ristampato a Chesebro
nel 1981.
!386
nella sua mole, in particolare delle donne della classe lavoratrice, presumibilmente non donne
borghesi (l’associazione di Legman sulla discorsività delle donne omosessuali con la mascolinità
delle classi alte, funziona in senso contrario alle attuali mappature culturali, come indicato da Livia
nel suo resoconto delle rappresentazioni letterali della discorsività lesbica454 e Queen nella sua
discussione delle rappresentazioni fumettistiche della discorsività lesbica. Livia dimostra che le
lesbiche butch nella fiction adottano i tratti vocalici dello stereotipo della classe lavoratrice, mentre
Queen dimostra che i personaggi lesbici come Hothead Paisan utilizzano varianti fonetiche non
standard associate per stereotipo con i maschi della classe lavoratrice).
Sembrerebbe che dunque Legman accettò la popolare visione linguistica della verbosità delle
donne, che con più di venti anni di ricerca linguistica è stato da allora con dolore smentito per
l’appunto: l’associazione della discorsività delle donne omosessuali con la mascolinità degli uomini
eterosessuali delle classi benestanti e la discorsività dell’uomo omosessuale con la femminilità
eterosessuale delle classi povere è sorprendentemente in contrasto con gli studi basati sul
femminismo degli anni Settanta e Ottanta, che classificavano le donne omosessuali con le donne,
dando un po’ di attenzione semplicemente alle distinzioni di classe.
Commentando la difficoltà di ottenere delle copie del glossario di Legman, comunque storicamente
il primo nel suo genere, Charles Clay Doyle nota che l’edizione del 1941 di Sex Variants è quasi
inaccessibile e l’edizione più facilmente rintracciabile del 1948 esclude purtroppo l’appendice di
Legman455: Doyle riferisce in aggiunta che si sforzò di ottenere l’edizione del 1941 per prestito
interbibliotecario, nonostante poi passò molto tempo.
Sei istituzioni rifiutarono infatti di spedirgli la loro copia, un rifiuto che Doyle imputò al contenuto
del libro, ovvero alla presenza di ‘numerose fotografie frontali di esseri umani nudi, che intendono
illustrare vari tipi fisici tra gli omosessuali’456: una tomba appare sulla copertina a mo’ di eccitante
avvertimento con la scritta ‘Il materiale in questo libro è stato preparato per l’uso di soli
professionisti medici e associati’457.
Da qui, nella loro dettagliata ricerca sulle origini degli studi gergali queer, Livia e Hall sono andate
oltre il tempo probabilmente, investigando sul quando il gergo queer poteva essere tranquillamente
454
!
Cfr: Livia, Anna (1995). ‘I Ought to Throw a Buick at You’: Fictional Representations of Butch/Femme Speech’. In
Kira Hall e Mary Bucholtz (eds.), Gender Articulated. New York: Routledge.
455
!
Cfr: Doyle, Charles Clay (1982). ‘Homosexual Slang Again’. American Speech 57, no. 1: 74-76.
456
!
Ibidem.
457
!
Cfr: Legman, Gershon (1941). ‘The Language of Homosexuality: An American Glossary’. In George Henry (ed.),
Sex Variants: A Study of Homosexual Patterns. New York: Hoeber [Harper & Bros.].
!387
studiato solo da persone che hanno gradi medici, mentre l’inclusione di immagini di nudi reputati
agli omosessuali era motivo di non circolazione di un’opera (ma non su e-mail. Ne è testimone il
dibattito nel Congresso Americano e nella stampa riguardo ciò che le parole e le immagini
potrebbero suscitare quando sono spedite via Internet, come per esempio con il ‘On-line Service
Blocks Access to Topics Called Pornography’ (New York Times del 29-12-1995) che riporta il
blocco globale di Compuserve all’accesso a più di 200 gruppi e immagini di discussione sul
computer in risposta ad un nuovo impianto legislativo in Germania. Secondo l’inchiesta del Times
‘alcune delle aree Usenet bannate includono gruppi di discussione devoti ad argomenti come
l’omosessualità che non erano necessariamente pornografici’).
Oltre questi meccanismi di censura e restrizione professionale di lettori, i glossari e il lessico furono
quindi seguiti da studi di discorsività gay e lesbica, ovvero essenzialmente per genere (l’articolo di
Hayes risalente al 1976 ‘Gayspeak’ mostra che alcune caratteristiche dello stile verbale degli
uomini omosessuali sono simili a quelli trovati nella ‘discorsività delle donne’ prototipica,
estendendo il dominio della ‘linguistica gay’ dal lessico alla discorsività. Il suo articolo rappresenta
una vivace analisi di un paragrafo estremamente camp da Data-Boy, un tabloid bisettimanale
distribuito liberamente nei bar gay a Los Angeles, in cui ‘le ragazze’ sono descritte come ‘sono su e
giù per la Boulevarde con i loro eleganti ombrelli e impermeabili’)458 e la ricerca etnografica negli
aspetti di definizione del contesto gay e lesbico negli anni Settanta degli Stati Uniti d’America
(Hayes annota al ‘Live in a Parking Lot: An Ethnography of a Homosexual Drive-in’: ‘un sociologo
di sesso maschile e orientamento eterosessuale osserva la socializzazione e le attività raccolte degli
uomini omosessuali in una grande quantità di parcheggio da spiaggia californiana e un’area
adiacente. Le note del campo registrano attività non verbali come manovre d’auto e parcheggio,
contatto d’occhi, posture sessuali e accensioni di sigarette, e scambi verbali nell’area di
parcheggio, spiaggia adiacente di notte e toilette per cinque giorni nei primi anni Settanta’)459.
Ma entrano ora in gioco anche il significato di fenomeni paralinguistici come lo sguardo fisso e la
postura del corpo460 e il code-switching gay461, estremamente significativi nel monitorare la
458
!
Cfr: Hayes, Joseph (1976). ‘Gayspeak’ Quarterly Journal of Speech 62 (October): 256-266. Ristampato a Chesebro
nel 1981.
459
!
Cfr: Hayes, Joseph (1979). ‘Language and Language Behavior of Lesbian Women and Gay Men: A Selected
Bibliography (Part 2).’ Journal of Homosexuality 4, no. 3 (Spring): 299-309.
460
!
Cfr: Webbink, Patricia (1981). ‘Nonverbal Behavior and Lesbian/Gay Orientation’. In Clara Mayo e Nancy Henley
(eds.), Gender and Non-verbal Behavior. New York: Springer, pp. 253-259.
461
!
Cfr: Lumby, Malcolm (1976). ‘Code Switching and Sexual Orientation: A Test of Bernstein’s Sociolinguistic
Theory’. Journal of Homosexuality 1, no. 4 (Estate): 383-399.
!388
decostruzione di un’ideologia di genere euroamericana, ovvero la degergalizzazione queer: per
esempio, lo studio di Birch Moonwomon del 1985 ‘Toward the Study of Lesbian Speech’ fu
probabilmente il primo lavoro in tal senso che puntò sulle percezioni specificatamente della
discorsività lesbica e degli schemi di stress462.
Sebbene diversi studenti stessero emergendo negli anni Settanta come prominenti ricercatori nel
campo, ad esempio Julia Penelope che opera sulla specificità del lessico lesbico opposto a quello
maschile gay463, Stephen O. Murray che opera sulla semantica e gli insulti rituali464 e Joseph Hayes
che compilò una bibliografia annotata di ventidue pagine sulla ‘lingua e il comportamento
linguistico delle donne e degli uomini omosessuali’465, il campo stesso fallì nell’emergere.
Bisognerà attendere per la prima collezione di articoli della lunghezza di un libro sulle questioni
linguistiche di gay e lesbiche, Gayspeak: Gay Male and Lesbian Communication di Chesebro,
pubblicato nel 1981, sebbene puntasse su questioni di retorica e comunicazione piuttosto che di
linguistica in quanto tale466.
Infine ci fu Queer Words, Queer Images: Communication and the Construction of Homosexuality,
che uscì nel 1994 e si concentrò sulla comunicazione e sulla retorica tanto quanto sulle immagini
dei media di gay e di lesbiche, oltre che sul processo di coming out467: con questa nuova fase ormai
avviatasi, si continuò fino a quando William Leap iniziò a raccogliere articoli per il suo volume
edito con il nome di Beyond the Lavender Lexicon468, ovvero un lavoro della lunghezza di un libro
che si concentrava sulle questioni strettamente linguistiche così come fu concepito.
!
L’evoluzione quindi avviene con lo studio della lingua dalla duplice prospettiva
contemporaneamente di genere e sessualità, concepiti in precedenza come separati ma ora categorie
462
!
Cfr: Moonwomon, Birch. 1986. Toward a Study of Lesbian Speech. In Sue Bremner, Noelle Caskey, and Birch
Moonwomon (eds.), Proceedings of the First Berkeley Women and Language Conference, Berkeley, CA: Berkeley
Women and Language Group. Pp. 96-107.
463
!
Cfr: Penelope, Julia [as Stanley, Julia] (1970). ‘Homosexual Slang’. In American Speech 45, nos. 1-2: 45-59.
464
!
Cfr: Murray, Stephen O. (1979). ‘The Art of Gay Insulting’. Anthropological Linguistics 21: 211-223.
465
!
Cfr: Hayes, Joseph (1978). ‘Language and Language Behavior of Lesbian Women and Gay Men: A Selected
Bibliography (Part 1).’ Journal of Homosexuality 4, no. 2 (Winter): 201-212.
466
!
Cfr: Chesebro, James W. (1981). Gayspeak: Gay Male and Lesbian Communication. New York: Pilgrim Press.
467
!
Cfr: Ringer, R. Jeffrey (1994). Queer Words, Queer Images: Communication and the Construction of
Homosexuality. New York: New York University Press.
468
!
Cfr: Leap, William (ed.) (1995). Beyond the Lavander Lexicon: Authenticity, Imagination and Appropriation in
Lesbian and Gay Languages. Buffalo, NY: Gordon and Breach.
!389
intrinsecamente legate: infatti, la separazione delle forme di sessualità e genere, uno dei capi saldi
della teoria queer, è contenuta concisamente nel Secondo Assioma di Eve Kosofsky Sedgwick
‘Lo studio della sessualità non è coestensivo con lo studio del genere; in maniera corrispondente la
ricerca antiomofobia non è coestensiva con la ricerca femminista’469.
Se la separazione della sessualità dal genere e del genere dalla sessualità è un elemento chiave della
teoria queer, la separazione di sesso e genere o del sesso biologico e la produzione sociale delle
identità maschili e femminili è un elemento chiave anche della teoria femminista: come osserva
Sedgwick, sebbene molte analisi basate sul genere fanno i conti con le relazioni intragenere, il loro
appello definizionale ‘deve necessariamente trovarsi alla frontiera diacritica tra i diversi generi’,
quindi, il privilegiare le relazioni eterosessuali che le teoriche lesbiche hanno criticato entro il
femminismo (la maggior parte di ciò che è degno di nota di queste critiche deve essere sicuramente
ciò che affermò Monique Witting470, famosa per il suo proclama che ‘le donne omosessuali non
sono donne’, sebbene anche Hoagland e Penelope del 1988471 e Penelope del 1990 osservino
rispettivamente critiche lesbiche del femminismo, della lingua e della linguistica)472.
A proposito della formulazione di Sedgwick sulle limitazioni dell’analisi basata sul genere e per
questo motivo, anche se di nascosto del femminismo, nella seguente citazione lo si evince con
chiarezza ed espressività:
‘questa stretta analitica di un resoconto puramente basato sul genere si sviluppa meno
incisivamente e direttamente a causa della distanza del suo soggetto da un’interfaccia sociale tra
gli incrementi dei diversi generi. Non è realistico aspettarsi un’analisi strutturata, chiusa delle
relazioni dello stesso sesso attraverso un’ottica calibrata in primo luogo allo stigma grossolano
della differenza di genere’.
Si è dunque deciso in questo studio non di presentare o spiegare l’intero campo complesso e in via
di sviluppo ancora negli anni Duemila della teoria queer per ovvia e diversa natura disciplinare, ma
piuttosto di evidenziare i suoi principi relativizzanti che sono più utili alla linguistica o comunque
ad uno studio della lingua nel contesto sociolinguistico e, al contrario, il contributo che la
linguistica ha dato alla teoria queer medesima: in un certo modo, la teoria queer con la sua
preoccupazione per le forze sociali egemoniche piuttosto che i singoli parlanti, una posizione che
469
!
Cfr: Sedgwick, Eve Kosofsky. (1990). The Epistemology of the Closet. Berkeley: University of California Press.
470
!
Cfr: Witting, Monique (1992). ‘The Straight Mind.’ The Straight Mind and Other Essays. Boston: Beacon, pp.21-32.
!
471
Cfr: Hoagland, Sarah Lucia, e Julia Penelope (1988). For Lesbians Only. London: Only-women Press.
472
!
Cfr: Penelope, Julia (1990). Speaking Freely. New York: Pergamon.
!390
eredita di gran lunga dal postmodernismo, potrebbe essere vista come una reazione contro la
politica dell’identità del femminismo, per sua natura restrittiva in quanto monolitica e
monopolizzante, sebbene contrastiva in partenza.
In questo lavoro si è messo in dubbio quindi la nozione tra l’altro di politica identitaria,
applicabile sia in senso strettamente linguistico (tra comunità linguistiche) che in senso
sociolinguistico (tra gruppi sociali): infatti, la politica identitaria, un’etichetta applicata
comunemente per la maggior parte dei casi dal di fuori e usata per denigrare la posizione politica
per questo descritta, si risolve intorno il riconoscimento dell’identità di una persona come un
membro di un specifico gruppo opposto e tipicamente oppresso in particolare quando gruppo
sociale, ma che in Butler ora si oppone alla negativizzazione imposta valorizzandosi con una
positivizzazione semantica, potenzialmente presto neutralizzante in una prossima generazione473.
Diversamente, donne, persone di colore, classe lavoratrice e disabili, ad esempio, in quanto legati
alla nozione di comunità basata sull’identità personale piuttosto che sulla fedeltà politica e/o
religiosa, vengono istigati al credo più radicale, opposto ma equivalente, per cui solo le persone
direttamente coinvolte hanno l’autorità di parlare per quella comunità.
Nello specifico la nozione di politica identitaria di genere applicata in ambito queer significherebbe
che solo gli uomini omosessuali teorizzino e combattino l’oppressione gay, mentre solo le donne
omosessuali parlino chiaro contro l’oppressione lesbica, come le prime impostazioni nella ricerca
degli anni Ottanta stavano rivelando nel mondo anglosassone: questo credo induttivo, se spinto alla
sua logica conclusione, ridurrebbe la dottrina e in maniera incidentale la produzione creativa
all’osservazione del partecipante e all’autobiografia, tanto che una delle più importanti critiche
all’identità politica nata da una politica identitaria è la sua natura essenzialista.
L’essenzialismo insito nella natura dell’identità politica originata in una politica identitaria assume
che l’identità personale è una categoria non problematica e che tutte le relazioni sociali potrebbero
esserne derivate: infatti, gli studi linguistici della discorsività di uomini e donne e tra uomini e
donne, che non prendono in considerazione altri parametri sociali, come la classe, l’etnia, l’età,
l’occupazione o l’affiliazione politica, potrebbero essere considerati essenzialisti nella prospettiva
in cui vengono coniati da un marchio di politica identitaria con il genere che è una categoria
superordinata di cui gli altri parametri sono solamente suddivisioni, come è accaduto con i Gender
Studies.
473
!
Cfr: Butler, Judith (1990). Gender Trouble. Feminism and the Subversion of Identity. New York: Routledge.
!391
Nell’ultimo capitolo di Man Made Language del 1980, per esempio, un volume che è composto
principalmente dal commentario sugli studi precedenti, Dale Spender cita vari critici femministi che
hanno evidenziato l’assenza delle rappresentazioni della classe lavoratrice e le donne di colore dal
canone letterario474: ‘le donne del proletariato, letteralmente o non letteralmente, non giocano
virtualmente alcuna parte nella conversazione di materiale crudo nella letteratura’; ‘l’esistenza
delle donne di colore, con la cultura, l’esperienza e i sistemi brutalmente complessi di oppressione
che modellano, è nel mondo reale della coscienza del maschio e/o bianco in considerazione,
invisibile, sconosciuto’475.
Tuttavia Spender non fa alcun commento sull’assenza della classe lavoratrice e dei parlanti di
colore negli studi linguistici che lei evidenzia nel corpo principale del libro: non si è inteso quindi
ridurre il femminismo a politica identitaria, meditando sul genere come la categoria più saliente o
anche asserire che la teoria femminista dà necessariamente la priorità alla politica identitaria ma
solo evidenziare che è stata per questo caratterizzata e che è in parte contro questa categorizzazione
che la teoria queer ha evoluto.
Chiaramente, una teoria che è incapace di focalizzare sulle relazioni tra i membri dello stesso sesso
è tanto inadeguata allo studio della discorsività gay, lesbica, bisessuale e/o transessuale quanto è
una teoria che focalizza sulla discorsività omosessuale e omosociale all’esclusione della discorsività
tra sessi: il primo sarà incapace di analizzare le differenze tra la discorsività dello stesso sesso
versus la discorsività tra sessi, mentre il secondo minimizzerà le differenze di genere tra gli uomini
e le donne omosessuali.
Potrebbe sembrare banale affermare che sia il femminismo che la teoria queer forniscono strumenti
utili per la ricerca linguistica, ma è tuttavia vero: sebbene le relazioni intersoggettive sono state ben
teorizzate da linguiste femministe come Coates e Cameron nel 1989 e Eckert e McConnell-Ginet
nel 1995, l’intersoggettività resta concettualizzata in maniera inadeguata nella teoria queer.
Judith Butler che con Sedgwick è la prima e la più frequentemente citata teorica queer, considera
l’individuale Io che parla come ‘una citazione del luogo dell’Io nel discorso’: Butler insiste che non
esiste ‘nessun ‘Io’ che si pone dietro al discorso’ e secondo Butler non esiste alcun referente per l’Io
che precede il momento della discorsività.
474
!
Cfr: Smith, Barbara (1979). ‘Toward a Black Feminist Criticism’. Women’s Studies’International Quarterly 2, no.2:
183-194.
475
!
Cfr: Spender, Dale (1980). Man Made Language. London: Routledge & Kegan Paul.
!392
L’Io e il tu deittici si interpellano l’un con l’altro nei termini di Louis Althusser, che è stato
profondamente preso in prestito sia nel postmodernismo che nella teoria queer: vale a dire che sia Io
che Tu invocano e chiamano in essere l’altro termine nella diade: Jacques Derrida, filosofo perno
del poststrutturalismo, asserisce che non esiste alcun significato trascendentale che potrebbe
bloccare il referente al significante.
Infatti, lui ha coniato il termine différance, un gioco di parole sulla parola francese différence
(differenza), scritto con una e derivata dal participio presente latino (un’etimologia ora opaca alla
maggior parte dei parlanti francofoni) e il verbo différer (differire) di cui il participio presente
francese è scritto différant: il neologismo différance, di cui l’origine participiale è resa trasparente
nel suo spelling, enfatizza una natura in corso del gioco del significante nella catena di significato,
un processo che è visto come un non finale dal momento che nel pensiero di Derrida, il significante
non può ‘acquisire un’autorità rappresentativa’476.
Una teoria che postula la non esistenza di un referente dietro l’Io, sarà incapace di affrontare la
relazione tra i gruppi dei soggetti parlanti o i loro indirizzi e interlocutori: invece, questa teoria della
lingua accorda priorità alla relazione tra parole, all’esclusione virtuale delle relazioni tra referenti.
I parlanti sono sia creati sia costretti dall’iterabilità senza fine del discorso, che è un altro perno di
Derrida: si è quindi intrappolati entro i limiti del dicibile: ai linguisti questa affermazione può
sembrare non solo erronea ma anche non scientifica.
Nel suo lavoro sugli aspetti non linguistici della traduzione, Roman Jakobson ha mostrato che
qualsiasi esperienza cognitiva potrebbe essere convogliata in qualsiasi lingua esistente477: John
Searle, lavorando nella filosofia del linguaggio, ha formulato un simile principio nel suo Principio
di Espressibilità, ‘tutto ciò che può essere inteso, può essere detto’.
Mentre ci si potrebbe augurare di non accettare i limiti estremo sul mandato individuale suggerito
dallo schema di Derrida, tuttavia il porre come priorità da parte di Derrida la relazione tra i
significanti, una mossa in cui Roland Barthes, Claude Lévi-Strauss e Michel Foucault ad esempio lo
hanno preceduto, prova un utile strumento analitico se qualcuno lo considera un’enfasi, non un
assoluto: la maggior parte delle espressioni non sono uniche, non sono mai frasi formulate in
precedenza, ma cose dette prima su altre occasioni simili.
476
!
Cfr: Derrida, Jacques (1976). Of Grammatology, trans. Gayatri Spivak. Baltimore, MD: Johns Hopkins University
Press.
!477
!393
I paper alle conferenze in anni recenti, ovvero nei convegni tanto diversi quanto gli incontri
dell’Associazione di Lingua Moderna e la Conferenza sulla Narrativa del Kentucky, hanno iniziato
a caratterizzare il termine ventriloquismo nei loro titoli: per esempio ‘The Ventriloquized Subject of
Mimetic Narrative Identity’, non una rinascita di un’arte vocalica morta ma un riferimento al modo
in cui i parlanti ‘incanalano’ i parlanti precedenti, come i testi fanno riferimenti intertestuai ai testi
precedenti.
Questa interabilità evidenzia l’importanza dei discorsi preesistenti, non solo alla forma finale
dell’espressione, ma anche alla sua autorità come atto linguistico: si pensi, suggeriscono Livia e
Hall, ad una ragazza che tenta di preparare il suo più giovane fratello per la scuola, passando a lui
gli abiti che la loro madre ha lasciato fuori per lui sulla sedia, dandogli il cestino del pranzo che la
loro madre ha preparato, e usando le parole e le frasi che la loro madre usa, come se fossero suoi,
quindi rimproverandolo con un ‘Forza, sbrigati e vestiti o farai tardi a scuola. Sei un slowcoach
vecchio’.
Suo fratello, riconoscendo il termine slowcoach come uno dei preferiti da sua madre, riconosce la
direttiva di uno ‘sbrigarsi’ come originato in un’autorità superiore prestabilita: Derrida e di seguito
Butler argomentano che è l’aspetto citazionale di un’espressione che la rende autoritaria.
Nell’articolazione di Butler, se un atto linguistico performativo avviene, è perché ‘quell’azione
evoca l’azione precedente e accumula la forza dell’autorità attraverso la ripetizione o la citazione di
una gamma precedente autoritaria di pratiche’: non solo dunque è di atti linguistici che si parla e in
particolare di performatività che deve tornare ad avere valore nella linguistica, ma come le due cose
si fondono nella teoria queer.
Come linguisti è familiare con le proprietà indice della deissi che necessariamente guadagnano il
loro significato dal contesto dell’espressione: Io è la persona che dice Io; Tu è la persona/e verso cui
ci si indirizza; Qui è il luogo dell’espressione; Ora è il momento dell’espressione.
Sembra che nella teoria queer postmoderna esposta dalla Butler, la deissi non è più una gamma
limitata, per cui la deissi è essa stessa un principio linguistico costituente di lingua: le parole non
hanno alcun significato in sé per sé e di sé, tranne come significato che è costruito nel discorso.
Una volta lo shock iniziale della scomparsa del referente è passata, è possibile discernere l’apparato
teorico oltre la scomparsa: un principio chiave del postmodernismo, che Butler ha ereditato, è
quella di una relatività estremamente culturale e linguistica che trova la sua espressione più esplicita
negli scritti di Foucault con le parole in Storia della Sessualità ‘Non dobbiamo dimenticarci che la
!394
categoria psicologica, psichiatrica e medica dell’omosessualità fu costituita dal momento in cui fu
caratterizzata’.
Per il filosofo francese, è l’atto del nominare omosessualità come tale che lo porta ad esistere:
altrove sottolinea che i discorsi non solo dovrebbero essere considerati semplicemente come insiemi
di segni o elementi significanti che si riferiscono a contesti o rappresentazioni ma come ‘pratiche
che sistematicamente formano l’oggetto di cui si parla’.
Quando Butler affronta l’argomento secondo cui ‘la categoria del <sesso> è lo strumento o l’effetto
del <sessismo> […], come la ‘razza’ è lo strumento e l’effetto del ‘razzismo’ […] e il genere
esisterebbe solo al servizio dell’eterosessismo’, lei si sta riferendo anche all’idea che la
categorizzazione crea o costituisce ciò verso cui si riferisce, per cui Butler evidenzia che una
persona può riversare e spostare i significati soliti di tali termini culturalmente caricati.
I linguisti sentiranno probabilmente molto familiare il concetto di determinismo linguistico come
articolato da Edward Sapir e Benjamin Whorf, un assioma comunemente denominato ‘l’ipotesi
Sapir-Whorf’: nella sua versione estrema, il determinismo linguistico, una posizion che appare più
vicina a quella di Foucault e i suoi seguaci nella teoria queer, l’ipotesi Sapir-Whorf postula che la
lingua che una persona parla, determina la percezione di una persona della realtà.
Nella sua versione debole, la relatività linguistica, si afferma che la lingua nativa di una persona
esercita una forte influenza sulla percezione di una persona della realtà: il concetto di relatività
linguistica è formulato più chiaramente nell’espressione di Sapir che ripudia i precedenti credi in
una correlazione tra la morfologia linguistica e lo sviluppo culturale
Relatività linguistica
È abbastanza un’illusione immaginare che una persona si regoli alla realtà essenzialmente senza
l’uso della lingua e che la lingua è un mero mezzo incidentale per risolvere problemi specifici di
comunicazione e riflessione. Il fatto del problema è che il ‘vero’ mondo è costruito per la maggior
parte inconsciamente sulle abitudini linguistiche del gruppo.
Determinismo linguistico
Tali categorie come…il genere…sono sistematicamente elaborate nella lingua e non sono così tanto
rivelate nell’esperienza come impostate su di essa a causa della morsa tirannica che la forma
linguistica ha sul nostro orientamento nel mondo.
Potrebbe sembrare che mentre Foucault stia parlando sul potere costitutivo del discorso, Sapir sia
più rivolto verso i livelli morfosintattici e lessicali della lingua, una distinzione che potrebbe essere
mappata sul saussuriano parole, da un lato, e langue dall’altro: comunque, quando Sapir insiste
!395
sull’importanza dei ‘costumi della lingua del gruppo’, la distinzione diventa sfocata e la concezione
di Foucault del potere del discorso diventa simile in maniera impressionante all’ipotesi di Sapir
della centralità della lingua verso la percezione.
La versione forte dell’ipotesi Sapir-Whorf è stata disapprovata da numerosi esperimenti che
riguardano, particolarmente la terminologia del colore considerata da una prospettiva
interlinguistica: negli anni Sessanta Brent Berlin e Paul Kay mostrarono che sebbene le distinzioni
di colore sono codificati in maniera diversa nelle diverse lingue, i termini non sono arbitrari, né è un
caso la divisione a spettro.
Lo spettro dei colori è un fatto oggettivo con proprietà consistenti, identificabili e fisiche, e la
cognizione umana è talmente simile, qualunque sia la cultura o la lingua nativa di una persona, che
il modo con cui ci si approccia allo spettro è identico: Berlin e Kay hanno mostrato per esempio che
tutte le lingue hanno quasi due termini di colore che esprimono i concetti di nero e bianco (o oscuro
e luminoso).
Se la lingua possiede anche un terzo termine, sarà rosso: il quarto e quinto termine saranno giallo e
verde in entrambi gli ordini e il sesto e il settimo termine saranno blu e marrone.
Dopo questi arrivano termini come grigio, rosa, arancione e viole in qualsiasi ordine478: la non
esistenza di un particolare termine nella lingua nativa di una persona non previene la persona dal
distinguere le principali divisioni dello spettro del colore e sebbene esisterà una grande discordanza
sul dove tracciare la linee di demarcazione tra blu e verde, per esempio, i parlanti hanno un po’ di
difficoltà nell’indicare un blue tipico o un verde tipico, operandolo con uniformità rimarcabile.
Per molti teorici queer il determinismo linguistico appare essere un concetto altamente influente,
anche se gli scolari che sono a loro agio con lo strutturalismo francese e il poststrutturalismo
coniato e largamente ignorato dall’antropologia linguistica americana andrebbe ad accreditare
probabilmente Foucault con la sua formula originale: legato al concetto del determinismo
linguistico è l’infame beffa eschimese della neve di Benjamin Whorf.
L’affermazione che l’eschimese ha tre, nove, quattro dozzine, cinquanta, cento, duecento parole per
neve intende mostrare come l’esistenza di una moltitudine di lessemi entro il medesimo campo
semantico dimostra l’importanza culturale del campo: al contrario, l’assenza di lessemi discreti è
compresa indicare che il concetto stesso sta scarseggiando dalla cultura studiata, come è stato
!478
!396
possibile notare con il termine omosessualità, che come Foucault ha evidenziato, non fu coniato
fino agli ultimi anni del diciannovesimo secolo.
Sedgwick ironizza argutamente questo concetto del potere del lessico: ‘le relazioni genitali tra
persone dello stesso sesso potrebbero essere state perfettamente comuni durante il periodo in
discussione, ma da allora non è esistita alcuna lingua per indicarle, per cui devono essere state
completamente desemantizzate’.
Inoltre alcuni linguisti hanno anche assunto che senza il suo proprio termine denotativo, un concetto
deve essere scarseggiante da una cultura: nel suo studio dell’omosessualità nel Maori, parlato in
Nuova Zelanda, L. K. Gluckman postula che ‘l’espressione omosessuale non era nota ai Maori
precolonizzatori europei. Gli antichi Maori non aveva alcuna parola per sodomia’479.
Comunque, dovrebbe essere notato che questa posizione sarebbe atipica della linguistica
contemporanea: l’ironia di Sedgwick evidenzia una debolezza concettuale nel costruzionismo
sociale, una prospettiva analitica profondamente usata entro la teoria queer.
Se l’omosessualità maschile e/o femminile è costruita entro e dal suo contesto specificatamente
culturale, allora il termine non può essere applicato tra culture e tra storie, per cui sarebbe da
ipotizzare un’indipendenza ‘dell’essenza’ omosessuale della circostanza materiale: come sosteneva
Derrida dando priorità alla relazione tra significanti, per i teorici queer e postmoderni i concetti
culturali sono profondamente dipendenti dal discorso in cui sono incorporati.
Il costruzionismo sociale, con la sua estrema sensitività verso il contesto culturale, rischia di fallire
in un breve circuito similmente logico come determinismo linguistico a causa della sua inabilità a
tracciare paralleli tra culture: era per mostrare la falsità di qualsiasi affermazione che la struttura
morfologica riflette la cultura dei suoi parlanti che Sapir formulò per primo l’assioma del
relativismo culturale e linguistico.
Lui intese affermar ciò come avvertimento contro le assunzioni precoci che i popoli ‘primitivi’
parlassero lingue strutturalmente ‘primitive’: con preoccupazioni simili per la specificità culturale,
il rispetto per la diversità delle diverse culture e la paura di perpetuare che la tattica assimilazioni
che percepisce solo questi elementi in un’altra cultura la quale corrisponde ad elementi nel proprio
dei ricercatori, gli storici teorici del queer e i critici letterari si stanno allontanando dalle
affermazioni banali degli anni Settante e Ottanta liberazionisti gay -‘I gay sono esistiti per tutta la
Storia’, -‘Ci sono lesbiche in ogni cultura e in ogni società’.
479
!
Cfr: Hayes, Joseph (1978). ‘Language and Language Behavior of Lesbian Women and Gay Men: A Selected
Bibliography (Part I)’. Journal of Homosexuality 4, no. 2 (Winter): 201-212.
!397
La filosofa omosessuale Claudia Cord, per esempio, evidenzia i problemi di una posizione
essenzialista: ‘il concetto di ‘cultura lesbica’ […] appare presupporre che si possa estrarre una
cultura lesbica da molte culture. Tale supposizione non ha senso? È arrogante? Culturalmente
imperialistica’480.
Nella sua discussione di storia dell’omosessualità David Halperin se esista una storia della
sessualità, evidenziando che ‘la storia della sessualità per qualificare un’impresa storica in maniera
genuina, deve trattare la sessualità non come una categoria puramente concettuale e per questo
senza tempo di analisi storica ma come un oggetto di esame storico minuzioso nel suo proprio
diritto’481: Halperin continua descrivendo come il sesso nell’Atene classica non fosse visto come
un’impresa mutuale ma come un’azione performata da un superiore socialmente, cittadino adulto di
sesso maschile, verso un inferiore socialmente, che sia ragazzo, donna e/o schiavo.
I desideri erotici e le scelte dell’oggetto sessuale non erano determinate dal sesso anatomico ma
‘dall’articolazione sociale del potere’482: Halperin argomenta che le distinzioni tra omosessualità ed
eterosessualità hanno un significato piccolo per la distinzione tra i partner sessuali di sesso
femminile e quelli di sesso maschile, per cui non era importante culturalmente se comparati con ciò
che accadeva tra cittadini e non cittadini.
Chiaramente una persona non può studiare la discorsività gay, lesbica, bisessuale o transessuale tra
cultura ed epoche se i termini sono definiti in una tale maniera strettamente e specificatamente
culturale per cui non generalizzabili: è qui che la nozione di performatività del genere, articolata da
Judith Butlerm, dimostra la sua utilità.
Con la teoria della performatività del genere ci si allontana dalla costruzione sociale della sessualità
verso la costruzione discorsiva del genere: dal momento che è un punto importante si rivelerà utile
prendersi del tempo per elaborarlo.
I linguisti non avranno alcuna difficoltà nel riconoscere il termine perfomatività da Austin o nel
tracciare la sua origine verso il vigoroso volumetto di Austin How to Do Things with Words,
concepito nel 1939, presentato a Harvard nel 1955 e pubblicato per la prima volta nel 1962483: come
asserisce Butler, il genere è performativo perché si porta in nuce attraverso il valore della sua
480
!
Cfr: Card, Claudia (1995). Lesbian Choice. New York: Columbia University Press.
481
!
Cfr: Halperin, David (1993). ‘Is There a History of Sexuality?’ In Henry Abelove, Michèle Barale e David Halperin
(eds.), The Lesbian and Gay Studies Reader. New York: Routledge, pp. 416-431.
482
!
Cfr: Halperin, David (1993). ‘Is There a History of Sexuality?’ In Henry Abelove, Michèle Barale e David Halperin
(eds.), The Lesbian and Gay Studies Reader. New York: Routledge, pp. 416-431.
483
!
Cfr: Austin, John L. (1975). How to Do Things with Words. Cambridge, MA: Harvard University Press.
!398
propria pronuncia felice e questa pronuncia è felice, come evidenzia Austin, se è resa nelle
circostanze sociali richieste.
Un matrimonio è viene performato con successo dalla dichiarazione ‘Io ora vi proclamo marito e
moglie’ se il parlante è un membro del clero debitamente investito con il potere di performare la
cerimonia di matrimonio e la coppia su cui egli pronuncia tali parole è costituita da un uomo e una
donna, di cui nessuno dei due è già sposato a qualcun altro/a, è di mente sana ed entrambi sono
maggiorenni: la dichiarazione è performativa perché è attraverso tale pronuncia di parole che il
matrimonio viene performato, ovvero le parole ‘Io ora vi dichiaro marito e moglie’, che non sono
un commento di un matrimonio ma il matrimonio stesso.
Austin inizia la sua discussione sulla performatività considerando la constatazione del tradizionale,
molto amata dai positivisti logici, e la sua verificabilità o valore veritiero: classicamente si notava
come ‘la neve è bianca’ è descrittiva e in maniera descrittiva vero o falsa484.
Austin introduce la performatività come una nuova categoria separata di espressione che non ha
valore veritiero, dal momento che non descrive il mondo ma atti su di esso, ovvero un modo di ‘fare
cose con le parole’: per Butler la cerimonia del matrimonio non è semplicemente un esempio tra
tanti ma è centrale alla ‘eterosessualizzazione del legame sociale’485 e cita la formula dell’ostetrica
‘è una femminuccia’ come un altro simile performativo, uno che ‘inizia il processo con cui una data
femminilizzazione viene costretta’486.
Il lavoro performativo attraverso il potere della citazione, ‘è attraverso la citazione del diritto che la
figura del volere del giudice viene pronunciata […] è attraverso l’invocazione della convenzione
che l’atto linguistico del giudice (per esempio, io ti ordino ad essere impiccato dal collo fino a
quando sei morto) deriva il suo potere legante’487: nei termini di Austin, sono le ‘condizioni di
felicità’ che assicuano un’uscita con successo alla dichiarazione performativa che dà a quella
dichiarazione il suo statuto autoritario.
Il genere, quindi, è detto essere performativo perché come con la classica espressione ‘E’ una
femminuccia’, le dichiarazioni di genere non sono mai meramente descrittive ma prescrittive,
richiedendo al referente di agire secondo le norme di genere e inoltre, di creare il genere appropriato
in ogni atto culturalmente leggibile che lei performa, dal mondo in cui si pettina i capelli al modo in
484
!
Ibidem.
485
!
Cfr: Butler, Judith (1993). Bodies that Matter. New York: Routledge.
!
486
Cfr: Butler, Judith (1993). Bodies that Matter. New York: Routledge.
487
!
Cfr: Butler, Judith (1993). Bodies that Matter. New York: Routledge.
!399
cui cammina, parla e ride: il genere non è semplicemente considerato adattarsi all’appropriate
‘parole verso il mondo’, nella maniera di una constatazione classica caratterizzata dalla verità o
falsità, ma in modi importanti, richiamare quella situazione in essere sotto date condizioni felici,
adattando ‘il mondo alle parole espresse’ (per usare i termini di John Searle)488.
Butler argomenta che coloro che pronunciano degli atti linguistici performativi pensano solo che
stanno iniziando un’azione quando nei fatti stanno meramente riproducendo norme regolatorie,
ventriloquizzando i precedenti atti linguistici di precedenti parlanti: per Butler, è il discorso che
produce il parlante e non il contrario, perché il performativo sarà intellegibile solo se ‘emerge nel
contesto di una catena di convenzioni leganti’.
Anche le attività come l’impersonificazione del genere sono reiterativi, perché colui che impersoni
fica deve invocare la vera essenza di queste ‘convenzioni leganti’ per rendere comprensibile la
performance: tali performance dovrebbero per questo motivo essere analizzate non molto come
discorsi innovativi di resistenza ma come appropriazioni focalizzate di norme esistenti.
Come Butler ricorda, l’autodeterminazione non risulta necessariamente derivare
dall’autonominazione, dal momento che i nomi stessi hanno la loro propria storicità che precede
l’uso che i parlanti ne fanno489: alcun movimento per la declamazione degli epiteti peggiorativi
come in inglese dyke, faggot e queer ha successo anche nel sradicare la loro forza peggiorativa
interamente.
Infatti è in parte dovuto al loro cambiamento emotivo per cui siamo spinti a reclamarli in primo
luogo: il drag nella sua misappropriazione deliberata di attributi di genere, serve al queer non solo la
performance di genere del parlante ma, per implicazione, tutti gli altri termini nel paradigma di
genere, nessuno secondo innocenza del naturale o del meramente descrittivo.
Quando una delle Sorelle della Perpetua Indulgenza conduce una cerimonia di matrimonio tra due
uomini omosessuali, è accudata dai membri del Diritto Cristiano di ‘portare il Sacro Sacramento nel
discredito’, un criticismo che evidenzia la debolezza inerente dell’istituzione dell’eterosessualità:
queste premesse ci forniscono il background concettuale per vedere una data modulazione oltre il
dilemma costruzionistico sociale.
Come linguisti, non ci si augura di confinare la ricerca alla discorsività dei periodi storici e culturali
così come la nostra, per cui i termini usati per riferirsi ai concetti chiave come sesso, genere,
488
!
Cfr: Searle, John (1979). Expression and Meanings: Studies in the Theory of Speech Acts. Cambridge. Cambridge
University Press.
489
!
Cfr: Butler, Judith (1993). Bodies that Matter. New York: Routledge.
!400
omosessualità maschile e femminile coprono più o meno lo stesso ambito come nel nostro ambito,
ma nemmeno ci si augura di essere accusati di assimilazionismo o incomprensione della specificità
locale: questa perplessità etica appare condannare in anticipo qualsiasi sforzo per una prospettiva
multiculturale sulla discorsività gay e lesbica.
Comunque, se giriamo intorno all’idea e consideriamo sesso, genere, omosessualità e lesbismo nella
nostra propria cultura come concetti che sono performativi piuttosto che constatativi o descrittivi,
allora si comincia a vedere che qualsiasi studio di genere o sessualità, sulla discorsività degli
uomini, delle donne, gay, lesbiche, transessuali, bisessuali, hijra o ‘yan daudu, se nel nostro proprio
dialetto o nella lingua Eme-sal delle antiche donne sumeriche, creerà necessariamente il suo proprio
oggetto di ricerca e avrà bisogno di pagare attenzione perspicace al momento storico e alla specifica
comunità coinvolta.
Il concetto di performatività punta sia alla storicità dei termini chiave culturali e alla possibilità del
rendere queer i significati tradizionali: pone anche enfasi sulla pratica localizzata del genere
(performata ad ogni momento da ciascun atto culturalmente leggibile), per i parlanti che
incorporano ideali tanto locali quanto dominanti di genere linguistico nelle loro ‘comunità di
pratica’490: il genere come performance re iterativa ha accesso ad una varietà di script, di cui non
tutti potrebbe essere intellegibili alla cultura in libertà e alcuni dei quali potrebbero essere in
conflitto con altri.
Da qui è arrivato il momento di riportare la performatività alle sue origininarie discipline: i teorici
culturali hanno trascurato ciò che consideriamo essere il punto più rivoluzionario del libretto di
Austin, un libro che inizia con umiltà caratteristica ‘Cosa devo dire qui non è né diffcile né in
discussione; l’unico merito che vorrei rivendicare per essa è quella di essere vera almeno in parte’.
Considerando l’enorme interesse contemporaneo nella teoria degli atti linguistici in generale e nei
performativi in particolare, questo modesto inizio deve avere un cenno a parte come sul tanto
modesto quanto la Modesta Proposta di Jonathan Swift: Austin si propone di risolvere
apparentemente una strana anomalia che si pone sulla strada del valore della verità delle espressioni
nella lingua ordinaria, ovvero gli atti performativi sul mondo.
Non solo gli atti performativi descrivono il mondo e per questo motivo non sono né veri né falsi, ma
i performativi vengono studiati come elementi ch si muovono lentamente attraverso uno schema
immaginato da una posizione marginale che occupa solo una scheggia sottile di spazio a malincuore
490
!
Cfr: Eckert, Penelope e Sally McConnell-Ginet (1995). ‘Communities of Practice: Where Language, Gender and
Power All Live’. In Kira Hall e Mary Bucholtz (eds.), Gender Articulated. London: Routledge.
!401
abbandonato dal constativo verso una nuova posizione superordinata fuori dal diagramma: per
‘affermare’, come Austin rende chiaro, il classico constativo, ‘è tanto più da performare un atto
illocutivo come mettere in guardia o pronunciare’491.
Con il ruzzolare di questa barriera finale, i performativi sono promossi al livello di atto linguistico
stesso, dal momento che tutte le espressioni si rivelano essere performativi, di cui i constativi sono
semplicemente una sottosessione, alla pari con i direttivi o i commissivi: se le affermazioni contano
su norme di regolamentazione per essere felici, l’atto di genere che potrebbe essere riconosciuto
come intellegibile non può essere ridotto ad una gamma dominante di convenzioni egemoniche
eterosessuali.
Gli studi in genere hanno puntato a scoprire convenzioni di genere più localizzati e le
contraddizioni entro le medesime norme che quando abilmente manipolate, potrebbero fornire la
località per il cambiamento: lesbiche, gay e altri parlanti sessualmente liminali sono spesso
obbligati a diventare abili in tale manipolazione, così dimostrando la loro comprensione di
convenzioni prevalenti.
!
Dunque, questo è il background teorico tenuto in considerazione alla base di questo studio: si è
quindi puntato al lessico gergale e non liminale, alla discorsività queer e al gender-bendering
linguistico.
Nel primo caso si è focalizzato sui lessemi significativi culturalmente e ideologicamente denotando
identità sessuali alternative: i termini discussi derivano dal Rinascimento inglese e francese, dallo
yiddish contemporaneo, dal polari e dal linguaggio dei segni americano.
Denotano comportamenti gay, lesbici e bisessuali e includono sia termini del gruppo sociale usati
dalla comunità sia termini esterni al gruppo sociale, usati da eterosessuali ed altri outsider: i
cambiamenti nella masse sessuali prevalenti hanno un impatto profondo sulle percezioni di gruppi
marginali e vengono riflessi in termini usati per descriverli ma anche che i membri del gruppo
hanno potere considerevole di definirsi e che queste definizioni giocano un ruolo importante nel
creare un clima sessuale dei tempi.
Ogni epoca ha un movimento verso la correttezza politica nella discorsività, un bando di specifici
lessemi come umiliante verso un gruppo particolare, per cui esisterà una contromossa tra i membri
del gruppo visti come un marginale obiettivo di reclamare i termini in questione per via della loro
491
!
Cfr: Austin, John L. (1975). How to Do Things with Words. Cambridge, MA: Harvard University Press.
!402
forza affettiva: se con gli studi di discorsività queer è stato possibile seguire le strategie discorsive
gay e lesbo, chiedendosi quali caratteristiche sono specifiche alla discorsività di uomini e donne
omosessuali e se questi tratti devono essere riscontrati esclusivamente in tale discorsività per cui per
l’appunto essere classificati come ‘gay’.
I dati linguistici sono stati presi da una gamma ampia di contesti, incluse le scritte murali degli
uomini omosessuali in muri di bagni pubblici, storie di coming-out, fumettistica saffica,
conversazione di donne amiche e gergo omofobo: il discorso in questione non è solo quello della
dimensione orale ma anche quello del linguaggio dei segni, il testo mediato informatico, la lingua
letteraria e i documenti mediatici.
I soggetti includono i non udenti tanto quanto gli udenti, gli asiatico-americani tanto quanto
partecipanti australiani e inglesi: la tesi implicita di tali studi è che mentre certi tipi di discorsività
potrebbero essere etichettati come lesbico o gay nel personaggio infatti, questa classificazione
richiede il riconoscimento di un complesso network di fattori testuali, contestuali e culturali.
Un’espressione diventa tipicamente gay o lesbica solo se il lettore/utente comprende che era
l’intento del parlante che si dovrebbe tenere in quel modo e la discorsività queer dovrebbe essere
per questo motivo considerato un fenomeno essenzialmente intenzionale, in cui prende parte della
struttura ecoica o polifonica dell’ironia (l’importanza del riconoscimento di colui che ascolta
l’intento del parlante è stata formulata più ordinatamente e in particolare da H. P. Grice nella sua
discussione del significato, un argomento innovativo che Grice, con un’umiltà simile a quella di
Austin, si presenta rimarcando ‘tutto questo è molto ovvio’, da cui la teoria di Austin sulla forza
della perlocutività o l’assorbimento del parlante comprende un terreno simile): negli studi dedicati
al gender-bendering linguistico, la focalizzazione va oltre la discorsività gay e lesbica verso gli usi
fatti dal sistema di genere linguistico attraverso soggetto sessuati in maniera ambigua come i e le
transessuali, gli e le ermafroditi, gli hijras dell’India e i ‘yan daudu della Nigeria, così come i gay
parigini e le coppie giapponesi, qui però non trattati.
Questi studi sono cruciali per la tesi qui esposta e dimostrata, ovvero dimostra che mentre il genere
grammaticale nelle diverse lingue potrebbe rafforzare una visione del mondo come inerentemente di
genere, il sistema di genere linguistico fornisce anche un mezzo per esprimere la relazione di una
persona al concetto di genere: gli e le ermafroditi per esempio costretti nell’era moderna di
dichiarare ‘il loro vero e proprio sesso’ nonostante la loro anatomia ambigua, sono considerati
essere mostri la cui mostrosuità è evidenziata dall’enigma grammaticale che presentano.
!403
Tuttavia allo stesso tempo la loro ambiguità fisica e l’impossibilità di assegnarli senza dubbio ad un
genere o ad un altro causa una violazione intollerabile nel sistema di genere, una violazione che sarà
carica di termini nuovi e impensabili in precedenza: gli studi a tal proposito enfatizzano gli aspetti
ludici del genere linguistico, dimostrando che i parlanti potrebbero in maniera conscia riferirsi a sé
stessi in termini considerati appropriati per il sesso opposto al fine di esporre una mancanza di
fedeltà alle norme prevalenti.
La forza retorica per questo motivo avanza: inizia in un minuta anatomizzazione di particolari
lessemi denotando sessualità marginali e poi mostra che questi prodotti non possono essere presi
come dati ma dipendono dal loro significato su un intero network di termini per la sessualità umana,
inclusi eterosessualità, che è così rivelato come un costrutto linguistico come omosessualità,
monosessualità e bisessualità.
La focalizzazione allora si allarga ad un esame della lingua a livello discorsivo e perseveranza
sull’importanza dell’intento del parlante e l’assorbimento dell’ascoltatore (la forza perlocutiva e
illocutiva di qualsiasi atto linguistico): si dimostra quindi che il concetto di genere è sé stesso fluido
e insiste sulla rappresentanza del parlante e uso conscio della lingua, rivelando il genere essere un
processo piuttosto che uno stato.
Se l’intento quindi di Livia e Hall è quello di stabilire un luogo nella linguistica per la teoria queer e
incoraggiare i teorici queer a guardare di nuovo alle radici linguistiche di molti dei principali teorici
della teoria queer, quello di questo lavoro è stato di delineare un nuovo orizzonte per gli studi di
gerghistica, che ne apprezzi il suo sviluppo in una neonozione di cult language.
!
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BIBLIOGRAFIA
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
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!
GLOSSARIO
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TERMINI GERGALI REPERITI IN CONTESTO ITALOFONO
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1. A pelle: attillato, riferito all’abbigliamento molto aderente di coloro che amano esibire i
propri muscoli e coloro che hanno gusti leather.
2. A/P: ‘attivo-passivo’, utilizzato negli annunci per indicare il proprio ruolo sessuale o quello
di cui si è alla ricerca.
3. Aberrante: molto brutto e opponibile per intensità a ‘favoloso’.
4. Accattatevello!: (obsoleto) compratelo, prendetelo; da un famoso spot di salumi con Sophia
Loren, riferito al proprio corpo in un cruising.
5. Accettato: ben voluto, non discriminato, per esempio ‘sei stato accettato in famiglia?’
6. Accigliarsi: applicarsi un paio di ciglia finte.
7. Accompagnatore: uomo disposto a tenere compagnia a un altro uomo in cene di lavoro,
teatro o per far sesso, spesso prenotabili tramite agenzia o internet.
8. Acquasantiera: persona su cui tutti hanno messo le mani.
9. Act Up: associazione internazionale glbt celebre per iniziative coraggiose come aver
rivestito l’obelisco di Place de la Concorde a Parigi con un preservativo gigante.
10. Adescamento: l’atto dell’adescare.
11. Adescare: termine giuridico per chi seduce una persona per soldi, interesse lusingandola.
12. Adone: bellissimo, ‘quel ragazzo era un Adone’.
13. Aeroplano: ‘fare l’aeroplano’ vuol dire avere contemporaneamente un rapporto anale, fare
una fellatio e doppia masturbazione.
14. Agedo: associazione italiana di genitori di omosessuali che offre aiuto a un genitore che si
ritrova ad affrontare l’omosessualità del figlio o della figlia. L’associazione è estesa a
parenti e amici.
15. Aggiuntata: chi porta l’extension nei capelli.
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16. Aids Walk LA: marcia solidale per la raccolta fondi per la lotta all’Aids che si tiene ogni
anno a Los Angeles.
17. Allupato: eccittato.
18. Ambidestro: bisessuale.
19. Ambranato: fan di Ambra Angiolini.
20. Amedeo: tipico di Napoli per indicare un gay.
21. Amichecca: ‘omosorella’, ‘frociarola’, donna solitamente eterosessuale amica di un uomo
omosessuale con cui si scambia consigli e racconti di esperienze sessuali e sensuali.
22. Amichetto: eufemismo per ‘partner’.
23. Amstel: quartiere gay e lesbico di Amsterdam.
24. Androgino: dal greco ‘andros’ (uomo) e ‘gynos’ (dona), detto delle persone che uniscono gli
organi e le funzioni dei due sessi, ‘androgina’ è invece la lesbica dall’aspetto maschile.
L'androgino (dal greco ἀνήρ (anèr: uomo) -genitivo ἀνδρός (andròs)- e γυνή (gyné: donna)
è colui che quindi partecipa della natura di entrambi i sessi. Androgino è un termine che
viene talvolta considerato e usato come sinonimo di ermafrodito. Questa equivalenza
tuttavia non è tecnicamente esatta, poiché ermafrodito è il termine tecnico che, in zoologia e
in botanica, indica la presenza contemporanea in un individuo di apparati e caratteri sessuali
maschili e femminili che produce comportamenti differenti a seconda delle specie in cui si
manifesta e la modalità riproduttiva tipica delle specie interessate. L'organizzazione
riproduttiva delle lumache e delle ostriche, ad esempio, si definisce ermafroditismo e non
androginia. Il termine androgino invece non è usato in ambito scientifico, non fa in alcun
modo riferimento alle modalità di riproduzione o all'orientamento sessuale (pertanto non è
neanche sinonimo di bisessuale). Viene invece usato per indicare in un individuo la
coesistenza di aspetti esteriori, sembianze o comportamenti propri di entrambi i sessi.
25. Annuncio: inserzione su quotidiano, rivista o chat per gli incontri glbt.
26. Anormale: insulto discriminatorio verso le persone glbt.
27. Antico: chi non è al passo coi tempi.
28. Ape Maia: capelli tinti biondi con vistosa ricrescita nera.
29. Archivio Massimo Consoli: il più grande archivio gay in Europa con oltre 5000 volumi.
30. Arcichecca: scherzosamente indica un socio dell’Arcigay.
31. Arcigay: la più grande associazione gay italiana con sedi sparse in quasi tutte le città.
32. Arcilesbica: la più grande associazione lesbica italiana con sedi sparse in quasi tutte le città.
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33. Arcitrans: associazione nata da una costola dell’Arcigay per la tutela dei diritti dei e delle
transessuali.
34. Arcobalena: gruppo di gay buddisti.
35. Arte dei poeti: arcaico dispregiativo eufemistico per designare l’atto omosessuale.
36. Assatanato: estremamente desideroso.
37. Asterisco: si usa per non definire il genere sessuale negli scritti, ad esempio: ‘oggi sono
stat* attent* a non essere sciocc*’.
38. Atomo: associazione di tennisti gay con sede a Milano.
39. Attettarsi: mettersi un paio di tette finte.
40. Attivo: Nel contesto del comportamento sessuale umano, soprattutto del sesso anale fra
uomini omosessuali, il ruolo sessuale attivo (che si riferisce unicamente alla prestazione
sessuale, ruolo sessuale, e non ha niente a che vedere con il ruolo sociale di una persona o
con il suo ruolo di genere) è quello del partner che penetra, o di quello che preferisce
penetrare, ruolo insertivo. La controparte è il ruolo passivo, quello del partner che viene
penetrato, o quello che preferisce essere penetrato, ruolo ricettivo. Questi termini vengono
frequentemente usati anche in alcuni circoli lesbici, e il loro uso sta aumentando anche tra
coppie eterosessuali. Ad esempio, il pegging implica una femmina attiva ed un maschio
passivo. Per evitare la connotazione negativa che tali termini stanno assumendo (soprattutto
passivo) molte associazioni di omosessuali consigliano l'uso dei termini insertivo per
indicare colui che effettua la penetrazione e ricettivo per indicare colui che la riceve. È
molto comune cambiare ruolo fra i partner, prestandosi sia al ruolo insertivo che ricettivo,
benché molte persone abbiano una preferenza per l'uno o per l'altro. Per estensione, il
termine "attivo" è usato anche in contesto BDSM per indicare un partner che stimola l'altro,
e che può essere o meno dominante. Nei cartoon nipponici e nella fumettistica anime e
manga a tema sessuale, soprattutto shōnen'ai e yaoi, il partner attivo è chiamato seme mentre
quello passivo uke, termini derivati dal kabuki e dalle arti marziali.
41. Aut: mensile gratuito pubblicato dal Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli.
42. Auto-aiuto: gruppi di persone legate dalle stesse problematiche, spesso sieropositivi o
sieropositive.
43. Autopenetrarsi: introdurre nell’ano oggetti di vario tipo.
44. Autopenetrazione: l’atto dell’autopenetrarsi.
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45. Ayor: marchio di moda molto usato dai gay, dall’acronimo A.Y.O.R. (at your own risk) usato
nelle guide gay per segnalare un luogo di rimorchio all’aperto pericoloso.
46. Babele: importante libreria glbt con sedi a Milano e Roma.
47. Babilonia: storico mensile glbt con redazione a Milano.
48. Baffa: gay effeminato con baffi.
49. Baffo-checca: termine scherzoso per indicare un gay baffuto dai modi effemminati.
50. Baffosaffo: lesbica con problemi di peluria.
51. Bagno di colore: tinta per i capelli.
52. Bakla: gay in filippino.
53. Ballerino: chi non è fedele al proprio partner.
54. Bambola: riferito scherzosamente al gay effeminato e tonto, tipico nel napoletano. A Roma
l’espressione ‘non stiamo mica a pettinare le bambole’ vuol dire ‘non stiamo mica qui a non
fare nulla’.
55. Bancarella: checca che ama indossare collane, anelli e bracciali falsi.
56. Bang: dall’inglese ‘to bang’, fare sesso in maniera animalesca.
57. Bardassa (o bardascia): Termine comunissimo nei documenti antichi fino all'Ottocento, ma
oggi non più usato. Deriva dall'arabo bardag, “giovane schiavo”, che a sua volta deriva dal
persiano hardah, “schiavo”. II significato ufficiale in italiano è oggi quello di “monello”,
“ragazzo scapestrato”, che ha riscontro anche in parecchi dialetti italoromanzi, ed ha un
parallelo nel siciliano garrusu. Più raramente è usato anche per indicare una prostituta.
Nell'italiano antico invece definiva normalmente l'omosessuale che si lascia penetrare
analmente o, qualche volta, un prostituto. Un particolare curioso è quello che veniva usato al
genere femminile (una bardassa = un sodomita passivo). L'identificazione della “persona
priva di potere” (prima lo schiavo, e poi soprattutto il giovane) con il “passivo”, era comune
e facilmente comprensibile nella società antica, in cui il comportamento omosessuale era
rigidamente ruolizzato a seconda dell’età e della posizione sociale dei partner. Analogo
parallelo fra “giovinetto” e “sodomita passivo” era probabilmente contenuto in origine nel
siciliano garrusu/arrusu. II riscontro più sorprendente lo troviamo però nell'italiano ragazzo
derivante dall'arabo magrebino raqqas, “giovane messaggero”, “paggio”, che di recente è
stato messo in relazione con l'evangelico raca (cfr. Matteo, V, 22), interpretato proprio come
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“sodomita passivo”, “rottinculo”492 . L'ampia diffusione passata di questo termine è
testimoniata dall'esistenza di un corrispondente francese antico bardache (passato poi a
indicare i travestiti sciamanici dell'America del Nord) e di uno spagnolo antico bardaje.
Alcuni esempi d'uso:
Queste bardasse isfondolati e ghiotti
vanno scopando il dì mille bordelli
e per mostrarci se son vaghi e belli
cercando van per chi dietro gli fotti.
(Francesco Da Colle, seconda metà sec. XV, in: LANZA, vol. 2, pp. 639640).
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Siena di quattro cose è piena:
di torri e di campane
di bardasse e di puttane
(Proverbio attestato nel 1566 in ESTIENNE, p. 41)
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Aretin, se per quanto hai mostrato
sei mezzo pazzo e mezzo sei prudente, (...)
mezzo bardascia e mezzo buggiarone
dimmi, per Dio, com'è possibil questo?
(Matteo Franco, p. 47).
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58. Bareback (-ing): dall’inglese ‘cavalcare a pelo nudo’ vuol dire fare deliberatamente sesso
non protetto. Il barebacking, che in inglese vuol dire letteralmente "cavalcare a pelo", cioè
senza la sella per proteggersi, indica la pratica di rapporti sessuali senza protezioni,
soprattutto quelli anali. Rappresenta anche un'ideologia, molto diffusa in USA, Francia e
Germania, che rivendica apertamente questa forma di pratica sessuale e condanna il sesso
sicuro. Le persone che si dedicano al barebacking sono chiamate barebacker. In Francia ci
sono persone famose che affermano pubblicamente di praticare il barebacking, come lo
scrittore Guillaume Dustan , Scott O'Hara ed Erik Rémès, autore del libro Serial fucker,
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Cfr: Warren, J. 1984. Whosoever shall say to his brother, “racha”, “The cabirion and gay books bulletin”, n. 10
(winterspring 1984), pp. 24.
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diario di un barebacker. Barebacking indica anche un atteggiamento volontario rivendicato
da vari omosessuali. Inoltre, la pratica del barebacking non è approvata ovviamente dalle
associazioni che sostengono la lotta all'AIDS e dalle organizzazioni a favore del sesso sicuro
perché lo scambio di eiaculazioni maschili come quelle femminili, e la presenza di ferite
piccole e molto difficili da vedere può provocare il contagio di varie malattie trasmesse con
il sesso, ma soprattutto perché non esiste la certezza che la persona conosciuta da poco sia in
perfetta salute. I barebacker sono convinti d’altronde che indossare il preservativo può
rovinare la qualità delle loro erezioni e riduce notevolmente le sensazioni di piacere vissute
durante l'esperienza sessuale. Tra l’altro, le persone contrarie al barebacking affermano che
tale pratica è solamente la dimostrazione di edonismo sessuale e che i rischi legati a questo
fenomeno aumentano a causa della pubblicità di alcuni siti web che favoriscono l'incontro
dei barebacker e/o di alcuni locali che permettono con troppa facilità di praticare il sesso
non protetto. I barebacker, di fronte a questi atteggiamenti considerati ostili, spesso
rispondono che esiste ancora un concezione della sessualità che assomiglia molto alle
affermazioni della Chiesa Cattolica. Per approfondire l’argomento, alcuni mezzi
d'informazione gay hanno pubblicato una statistica per verificare la diffusione del
barebacking attraverso le risposte di un questionario e soprattutto per comprendere se i
barebacker sono a conoscenza di tutti i fattori di rischio.
59. Bare-riding: fare sesso senza preservativo.
60. Basher: chi assale fisicamente e verbalmente un gay.
61. Batouage o battuage: luogo di rimorchio.
62. Battere: uscire alla ricerca di qualcuno con cui far sesso; il termine si usa sia per chi lo fa per
piacere sia per chi lo fa per soldi.
63. Bazzicare: frequentare qualcuno o qualcuna
64. Ben wa: palline orientali che inserite nel modo giusto nella vagina provocano sensazioni
erotiche piacevoli, intense e durature
65. Bent: dispregiativo per ‘gay’, ovvero ‘storto’, non dritto.
66. Ber fio: bel fico, bel ragazzo in livornese. ‘Bella fia’ al femminile.
67. Berdache: dal persiano antico ‘berdaj’, termine portato in Europa dai crociati francesi per
indicare un individuo molto effeminato nei modi e nell’aspetto; nelle popolazioni indiane
era considerato un intermediario tra gli uomini e gli spiriti.
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68. Betty Boop: cartone animato americano con l’inconfondibile Betty paffutella e bassa, i
capelli dalle punte ribelli e grandi occhi languidi, modello estetico.
69. Bezness: uomini tunisini che si prostituiscono per turisti uomini e donne.
70. Bi-curioso: Bi-curioso o Bicurioso, spesso noto nella forma anglosassone Bi-curious, è un
termine utilizzato per riferirsi a quelle persone che non si identificano chiaramente come
bisessuali né come omosessuali, però sentono o mostrano una affinità o una curiosità per
una relazione a una attività sessuale con individui del sesso da cui non sono attratti. Il
termine può essere applicato a persone che generalmente si identificano come omosessuali,
ma sentono o mostrano interesse per un rapporto con persone dello stesso sesso. I termini
omoflessibile ed etero flessibile, inoltre, possono essere considerati sinonimi del termine "bicurioso".
71. Billy: bambolotto gay disponibile in quattro versioni.
72. Biondazzurro: ragazzo dai capelli biondi e gli occhi azzurri.
73. Bio-potere: potere che si vuole esercitare sugli altri legittimato dalla presunta superiorità
sessuale biologica.
74. Bisessuale: o bisex, chi è attratto sentimentalmente e fisicamente sia da uomini sia da donne.
75. Bisex: bisessuale.
76. Bisunto: chi esagera nell’uso di creme e gel.
77. Bizantino: chi ama mettere molto oro addosso.
78. Blableggiare: chiacchierare a vanvera.
79. Blowing bubbles: concorso internazionale per video d’autore che si svolge a Bologna in
occasione della Giornata Mondiale della lotta all’Aids.
80. Bollito: dispregiativo per organo genitale maschile.
81. Bombadeira: chi inietta silicone alle transessuali senza nessuna garanzia medica, soprattutto
tra le brasiliane.
82. Bondage: pratica erotica in cui si lega il proprio partner.
83. Bono: attraente, sexy.
84. Boot sucker: chi ama leccare gli anfibi.
85. Boots: stivali, anfibi militari.
86. Bosomy: con le tette grosse.
87. Botta: ‘farsi una botta’ può voler dire o farsi una striscia di cocaina o fare sesso.
88. Botti botti: gonfiore del pantalone all’altezza dei genitali in dialetto livornese.
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89. Bottle-bar: bar senza mescita, che somministra solo bevande imbottigliate.
90. Bottom: ‘passivo’ in inglese.
91. Bottom-queen: ironicamente sta per ‘regina delle passive’.
92. Boulevard Strasbourg: arteria parigina con un alto numero di negozi che vendono parrucche.
93. Boystown: quartiere gay di Chicago.
94. Braccobaldo: persona sfigurata dal silicone sceso agli zigomi.
95. Brighton: zona di villeggiatura inglese privilegiata dalla comunità glbt.
96. Broccolaro: gay attempato alla ricerca di ventenni.
97. Broccolona: stupida.
98. Brodo di giuggiole: perdersi in un brodo di giuggiole, perdersi in un bicchier d’acqua.
99. Bromance: Un bromance è uno stretto rapporto, non sessuale, tra due o più uomini. Una
forma di omosociale intimità, ovvero tutto l'insieme dei rapporti sociali, non erotici, tra
persone dello stesso sesso. La parola bromance è portmanteau delle parole bro o brother
(fratello) e romance (romanticismo, romanzo, racconto). Dave Carnie coniò il termine nella
rivista di skateboard Big Brother nel 1990 per fare riferimento specificamente al tipo di
relazioni che si sviluppano tra i pattinatori, i quali trascorrono molto tempo insieme. La
descrizione classica di Aristotele viene spesso considerata come ante litteram del bromance.
Egli scrisse attorno al 300 a.C. "Si tratta di coloro che vogliono il bene dei loro amici per
amore degli amici stessi, che sono veramente più amici, perché ciascuno ama l'altro per
quello che è, e non per qualità accidentali." Sono presenti numerosi esempi di celebri
relazioni di amicizie intense tra maschi, durante la maggior parte della storia occidentale.
100.Bronzoressico: chi non può fare a meno delle lampade solari.
101.Brsf: famiglie bi-reddito senza figli.
102.Bsx: diminutivo per bisex.
103.Buco: tipico della Toscana è usato come insulto per indicare un gay. Varianti: buca,
bucaiolo.
104.Bugchasing: Il bugchasing è uno slang che indica la scelta di alcuni individui di praticare
sesso non protetto con individui sieropositivi con l'intento di contrarre il virus dell'Hiv. I
bugchasers possono cercare di contrarre l'Hiv per diversi motivi. Chi pratica il bugchasing
cerca persone sieropositive per avere rapporti sessuali non protetti ed effettuare la
sieroconversione; i gift givers sono gli individui sieropositivi che consentono ai bug chasers
di infettarsi col virus dell'Hiv. I bugchasers dichiarano diverse motivazioni relativi alla loro
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scelta: per alcuni il rischio relativo a contrarre il virus dell'Hiv aumenterebbe il desiderio
durante l'atto sessuale, anche se questi soggetti dichiarano di non avere necessariamente un
vero e proprio desiderio di contrarre il virus. Alcune ricerche dicono che il comportamento
potrebbe dipendere da una "resistenza alla morale ed alle norme eterosessuali dominanti"
che innescherebbero un meccanismo di difesa negli uomini gay che cercherebbero così
tenere lontano la stigmatizzazione ed il rifiuto della società. Può essere quindi il risultato di
emarginazione della società eterosessuale ma anche di quella parte del mondo omosessuale
incentrato sul materialismo e sul sesso promiscuo. Alcuni considerano l'essere infettati come
qualcosa di estremamente erotico, l'ultimo taboo, l'ultimo estremo atto sessuale rimasto da
compiere. Altro fenomeno riguarda quello delle coppie discordanti, formate da una persona
sieronegativa ed una persona sieropositiva. In quel caso la sieroconversione viene vista
come l'unico modo per tenere insieme la coppia perché spesso il partner sieropositivo
interrompe il rapporto proprio per paura di infettare il partner.
105.Buggerone (buzzarone- buggiarone): Altro termine molto usato prima dell'Ottocento ma in
disuso ai nostri giorni. Ne è rimasta una traccia solo nel verbo buggerare (che anticamente
significava “sodomizzare”) che oggi vuol dire “ingannare”, esattamente per la stessa ragione
per cui anche inculare viene ora usato per significare “ingannare”. Deriva dal bu(l)garo (da
cui anche il francese boulgre/bougre e l'inglese bugger) con accrescitivo spregiativo in one.
Indicava l’opposto di BARDASCIA, ossia il sodomita attivo. Lo slittamento di significato si
spiega col fatto che la sètta eretica dei càtari o albigensi che si diceva avesse avuto origine,
appunto, in Bulgaria venne accusata nel XIII secolo dalle autorità ecclesiastiche di darsi, fra
altre scelleratezze, alla sodomia. Tanto martellante fu questa propaganda che il nome di
bulgaro servì da allora per definire tanto gli eretici in genere che i sodomiti. Col passar del
tempo, però, il primo significato andò perso, e rimase solo il secondo. La figura dell'eretico
e del sodomita sono state intenzionalmente confuse per ragioni di propaganda nel 12001300,
e non è un caso che proprio a quest'epoca risalgano i primi roghi documentati di sodomiti.
Tale tattica non è del resto ignota al nostro secolo: si pensi a come, durante e dopo l'ultima
guerra, si sostenne la tesi secondo cui il nazismo era “intrinsecamente omosessuale”, oppure
come, in ambienti di destra, l’omosessualità sia considerata una tipica “deviazione
bolscevica”. Così giù nel fabliau francese Du sot chevalier, che risale proprio ai secoli
XIIIXIV, il sodomita viene definito hérite (letteralmente: “eretico”):
Je n'irai mie à cel erite
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qui en tele oevre se delite:
miex valdroie estre en croiz tenduz
que je fusse d'omme foutouz.
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(“Io non andrò da quell'eretico / che si diletta in tale opera: / preferisco essere crocifisso / che
fottuto da un uomo”. MONTAIGLON, vol. 1, p. 225). Per dovere di completezza aggiungerò che
BATTAGLIA ritiene che l'identificazione fra le due categorie sia invece avvenuta, più
semplicemente, “per l’identità della pena”.La prima attestazione nella nostra lingua che abbia
trovato risale al 1370, ed è riportata in un processo per insulti:
Sozzi bugieroni marci, io sono fuori di presone ad vostro dispecto!
(BONGI, p. 114).
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Ecco altri due esempi d'uso:
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Fatevi buggeròn, voi che non sête,
e in cul ponete ogni speranza vostra (...)
piangete il tempo che perduto avete (...)
e queste pote [fighe] siansi sempre a noia,
lasciando le morir, crepar di foia.
(MARINO, p. 1).
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Giunto al cospetto del Culiseo Romano
così cantava un buggeròn toscano:
“I1 mio genio [gusto] è buggerone,
non inclina al sesso imbelle:
donerìa cento gonnelle
per un lembo di calzone”.
(PARINI, p. 491 )
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BUGGERONE è stato, nel corso dei secoli, adattato a vari dialetti italiani : lombardo BOLGIRÒN,
veneto BUZERÒN e BUZARÒN, siciliano BUZZARRÙNI ecc. Ha paralleli anche con l'antico
tedesco puzeron, e con lo spagnolo bujarrón.
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106.Bukkake: porno giapponese dove più uomini eiaculano sul viso di qualcuno.
107.Busiano: fan di Aldo Busi.
108.Butch: gay molto virile dall’aspetto perennemente imbronciato. Il termine Butch
(dall'inglese "maschiaccio") o con l'italiano "camionista" viene spesso usato per indicare
una lesbica con atteggiamenti ed abbigliamento prettamente mascolini, generalmente in
contrapposizione alla femme, una lesbica con atteggiamento ed abbigliamento femminili. In
effetti per coloro le quali si definiscono tali Butch definisce più uno stile di vita e una scala
di valori che solo un aspetto esteriore. Semplificando si può dire che una butch rappresenti
la quintessenza positiva della mascolinità, prima fra tutte forza e cavalleria. Molto utilizzata
a partire dagli anni cinquanta, e quindi spesso ridotta ad uno stereotipo, la dicotomia butch/
femme fu spesso criticata e rifiutata dalla comunità lesbica come modello di riferimento.
Questa vedeva nella dicotomia dei ruoli butch/femme, un perpetuarsi del patriarcato
all'interno della comunità lesbica con conseguente discriminazione ai danni di Butches e
Femmes. Tra le butch si distinguono stone butch e soft butch. I ruoli butch e femme
risalgono almeno all’inizio del XX secolo. Erano particolarmente visibili nella cultura dei
locali frequentati dalle lesbiche della classe operaia degli anni '40, degli anni '50 e degli anni
'60, in particolare negli Stati Uniti. In quel contesto i rapporti butch-femme erano la norma,
mentre quelli butch-butch e femme-femme erano “tabù”. Coloro che attraversavano questi
ruoli venivano chiamati “ki-ki”, che era considerato un termine negativo; esse erano spesso
oggetto di scherno. Durante gli anni quaranta del XX secolo negli Stati Uniti d'America, la
maggior parte delle donne butch si trovava costretta a vestire panni convenzionalmente
femminili per mantenere il proprio lavoro, e soltanto il fine settimana si potevano concedere
di vestire le loro camicie e cravatte inamidate per andare nei bar o alle riunioni dei loro
gruppi. Gli anni 50 hanno visto l'ingresso di nuova generazione di butches che rifiutavano di
vivere doppie vite e portavano l'abbigliamento butch a tempo pieno, o il più spesso
possibile. Questo solitamente ha limitato il loro accesso solo ad alcuni tipi di lavori, ad es. il
lavoro in fabbrica, lavori in ogni caso che non avevano codici di abbigliamento per donne.
La loro aumentata visibilità, insieme alla retorica anti-gay dell'era McCarthy, ha condotto ad
un aumento delle aggressioni alle lesbiche, mentre allo stesso tempo la cultura più forte e
ribelle dei ‘locali’ divenne sempre più disposta a rispondere con forza. Anche se le femmes
erano presenti e combattive all’interno di questi scontri, il difendere i locali come spazi di
aggregazione lesbica divenne prerogativa del ruolo butch. Mentre negli anni '40 l'immagine
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prevalente delle butch era severa ma delicata, questa è diventata sempre più dura e
aggressiva poiché il confronto violento si era trasformato in un fattore costante nella vita di
tutti i giorni. A cominciare negli anni '70, alcune teoriche femministe hanno criticato i ruoli
butch e femme come politicamente scorretti, sostenevano che tutte le loro dinamiche
derivassero dalla necessità di imitare i ruoli di genere eterosessisti, contribuendo a riportare
tali rapporti in un ambito underground. Riguardo ai rapporti butch-femme c'era la
presunzione che le butch rappresentassero la partner fisicamente attiva e quindi in una
posizione di ‘dominio’ nella sessualità. Ma a differenza dalle dinamiche di molti rapporti
eterosessuali, il ruolo descritto dalle butch era quello del dare il piacere sessuale alle femme.
L'essenza di questa dinamica emotiva/sessuale è ben descritta dall'ideale delle “butch di
pietra” o delle butch intoccabili. Essere intoccabile significava avere piacere nel dal dare
piacere. Quindi, anche se queste donne hanno assunto modelli della società eterosessuale,
hanno trasformato quei modelli in un'interazione autenticamente lesbica". Le
discriminazioni e i pregiudizi verso le butches femminili e le femmes maschili potrebbero
essere interpretati come transfobia, anche se è importante notare che le butches femminili e
le femmes maschili non si identificano sempre nel movimento transessuale e/o transgender.
109.Cabina: nelle saune gay indica lo spogliatoio o luogo dove è possibile fare sesso.
110.Cacciatore: o ‘hunter’, o ‘predatore’, chi ama gli uomini grossi e pelosi.
111.Cache-sexe: slip (dal francese).
112.Cachet: somma di denaro data a un march ettaro.
113.Cage aux folles: storico locale parigino con spettacoli en travesti dal quale è stato tratto un
celebre musical.
114.Caghineri: tipico della Sardegna è usato come insulto pesante per indicare i gay.
115.Caghino: come ‘caghineri’, dispregiativo per ‘gay’ in sardo.
116.Calcinacci al culo: avere i calcinacci al culo indica scherzosamente chi non lo prende da
molto tempo.
117.California Aids Ride: manifestazione di beneficenza Aids in bicicletta a Los Angeles.
118.Callboy: chi lavora alle linee telefoniche per gay.
119.Camionista: scherzosamente indica una lesbica particolarmente mascolina e trasandata.
120.Camizinha: in portoghese ‘camicetta’ ovvero il preservativo.
121.Camp: gay anni ’70, spesso eccentrico e kitch.
122.Campanelli cinesi: sono i peli su cui rimangono attaccate le feci al sedere.
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123.Canal Street: via gay di Manchester.
124.Candelora: festa religiosa del 2 febbraio. Al Santuario di Montevergine, in provincia di
Avellino, si regano molti femminielli con canti e tammorriate in omaggio alla Madonna
Schiavona.
125.Candle-light: commemorazione in ricordo di gay, lesbiche e trans uccide dall’Aids o dalla
violenza.
126.Canotto: bocca rifatta con il silicone.
127.Capocotta: spiaggia glbt poco distante da Ostia dove si fa nudismo, conosciuta anche come
‘buco’.
128.Caritas: casa di un gay che accoglie extracomunitari poveri.
129.Carpaccio: sesso al crudo, senza amore o cotte.
130.Carrabile: chi si lascia trasportare dal talento di Raffaella Carrà.
131.Casa dell’accoglienza: casa di un gay pronto a ospitare diseredati.
132.Casalesbica: donna regolarmente sposata, casalinga, che ha incontri lesbici.
133.Casermaro: gay alla ricerca di militari.
134.Cassiera: ragazza scialba e superficiale; un ‘trucco da cassiera’ è un make-up veloce e fatto
male.
135.Castro: ampio e popoloso quartiere gay e lesbico di San Francisco.
136.Catafalco: ‘essere un catafalco’ ovvero procedere lentamente.
137.Cazzaro: chi si reca nei luoghi frequentati dalle transessuali solo per perdere tempo.
138.Cazzuta: lesbica agguerrita, audace.
139.Cernierato: chi è ricorso al lifting.
140.Cessaro: dispregiativo per i gay che frequentano gli urinatoi nei bagni pubblici.
141.Chaps: pantaloni generalmente di pelle senza il cavallo.
142.Chaser: vedi ‘cacciatore’.
143.Chattare: dall’inglese ‘to chat’ (chiacchierare), ovvero contattare eventuali partner tramite
internet.
144.Cheap: scontato, banale.
145.Checca: “Omosessuale effeminato”. Deriva da un vezzeggiativo di Francesca tuttora
diffuso in molte zone d'Italia (Lazio, Toscana, Lombardia...), di cui esiste anche il maschile
Checco. L'uso di un vezzeggiativo femminile ha ovviamente, quando riferito ad un uomo,
un'intenzione offensiva. Esso ha paralleli “canonici” in altre lingue, come per esempio
!419
nell'antico inglese Nelly e MaryAnn, e probabilmente anche nello spagnolo odierno marica
(che secondo RODRIGUEZ CASTELO, pp. 332333, deriva dal nome “Maria”). Per un
parallelo italiano si veda il veneto PEPPIA: “donna lagnosa e noiosa” ed “omosessuale
effeminato”, “checca”. CHECCA è molto usato soprattutto nel Lazio e in Lombardia, ma
anche, in misura minore, nel resto d'Italia. Oggi comprende almeno tre significati
leggermente diversi. Il primo è quello, già enunciato, di “omosessuale effeminato”, in senso
spregiativo. Il secondo è quello di “omosessuale” in genere, ancora in senso spregiativo. I1
terzo, tipico del gergo gay, indica (ma senza significato spregiativo) un omosessuale, ed è
alla base di numerose espressioni composte (tra le più note: CHECCA FATUA, FRACICA,
ISTERICA, MANIFESTA, MARCIA, ONNIVORA, PAZZA, PERSA, SFATTA o
SFRANTA, STORICA, VELATA) o ancora di termini composti (come CHIERICHECCA:
“omosessuale bigotto”).
Ecco alcuni esempi d'uso dei tre diversi significati:
!
(caso I). Nell’omosessualità come mondo monosessuale il maschilismo viene continuamente
alimentato. Le caratteristiche di imitazione femminile della “checca” sono solo parzialmente in
contrasto con quanto detto.
(FORTI, p. I 2 7)
!
(caso 2). Luciano invece è stato sbertulato tutta la sera da questo orrendo, questa orrenda checca.
“Marchetta”, lo ha chiamato dall'inizio alla fine, senza carità ne per lui ne per me.
(BELLEZZA, p. 52)
!
(caso 3). La mitologia classica, la biologia, la Tunisia, i paragoni zoologici, lo fanno anche certi
scimmiotti, ah sì, e pare che ci siano anche delle balene checche, ma no, cosa mi dite mai, cher
maître, eppure sì sì, me l'assicurano certi balenieri...
(ARBASINO, p. 154)
!
146.Checcoiffeur: parrucchiere dai modi effeminati.
147.Chefi: diminutivo di ‘cafona’ in uso a Foggia.
148.Chérie: ‘mia cara’, usato come intercalare.
149.Chiassata: litigio verbale molto sonoro.
!420
150.Chiassoso: colore acceso.
151.Chierichecca: persona devota religiosamente ma molto scaltra sessualmente.
152.Chiodato: chi indossa il ‘chiodo’ (vedi).
153.Chiodo: giubbotto di pelle corto alla vita.
154.Chiquita: organo genitale maschile.
155.Christopher street: storica via glbt di New York.
156.Chubby: orso.
157.Chueca: quartiere glbt di Madrid.
158.Ciccetti: emorroidi.
159.Cig: Centro di Iniziative Gay con sede a Milano.
160.Cineasta: chi frequenta assiduamente cinema a luci rosse.
161.Cinedo: pederasta.
162.Cisgender: Cisgender è un aggettivo usato nell'ambito degli studi di genere e del
counselling per indicare una classe di identità di genere in cui esiste una concordanza tra
l'identità di genere del singolo individuo e il comportamento o ruolo considerato appropriato
per il proprio sesso. Secondo Calpernia Addams, cisgender è un neologismo che significa
"qualcuno a proprio agio con il genere che gli è stato assegnato alla nascita"."Cisgender"
viene utilizzato in senso opposto a "transgender". Questa condizione di concordanza
coinvolge il piano biologico (i caratteri sessuali), l'identità personale (come la persona si
sente) e il ruolo sociale (come gli altri la considerano). La definizione di cisgender è quindi
applicabile alla maggioranza degli individui.
163.Ciucciare: succhiare, suggere.
164.Civestitista: feticista dell’uniforme da lavoro.
165.Clause 28: misura discriminatoria per l’età del consenso ai gay voluta da Margaret
Thatcher.
166.Clitorismo: stimolazione erotica tra due donne.
167.Closet: ‘stare nel closet’ è non dichiararsi.
168.Coatto: eterosessuale cafone e poco rispettoso, usato soprattutto a Roma indica per
estensione anche gli eterosessuali che vogliono entrare nei locali glbt per divertirsi a
sfottere.
169.Coccinella: simbolo della transessualità, da ‘Coccinelle’ una delle prime transessuali
francesi.
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170.Cocco: cocaina.
171.Cock-ring: anello che viene infilato al pene per bloccare l’afflusso di sangue e mantenere a
lungo l’erezione.
172.Cock slip: mutanda con vibratore incorporato usato dalle lesbiche.
173.Cods: coordinamento degli omosessuali dei Democratici di sinistra, con sedi e rappresentati
in molte città italiane.
174.Colato dentro: chi indossa indumenti particolarmente aderenti.
175.Collezionista: chi ha numerosi rapporti sessuali con gente di varie nazionalità.
176.Coming out: (anche Coming Out. Circolo ricreativo-culturale Arcigay di Caserta; e Coming
Out come storico locale romano gay-friendly). Il ‘venire fuori’, dichiarare la propria
sessualità agli altri volontariamente. Nel mondo LGBT l'espressione coming out è usata per
indicare la decisione di dichiarare apertamente la propria omosessualità o la propria identità
di genere. Questa espressione deriva dalla frase inglese coming out of the closet ("uscire dal
ripostiglio" o "uscire dal nascondiglio", ma letteralmente "uscire dall'armadio a muro"), cioè
"uscire allo scoperto". In italiano le espressioni che più si avvicinano alla corrispondente
anglofona sarebbero "uscir fuori" (ad esempio: "a che età sei uscito fuori?") e "venir fuori",
ma queste forme non sono riuscite a prevalere su quella inglese, a differenza di quanto è
accaduto con altre lingue come con lo spagnolo salir del armario e il francese sortir du
placard. Con questo significato, comunque, è parecchio utilizzato in italiano il verbo
"dichiararsi". L'espressione abbreviata comunemente usata, coming out, ha un contenuto
ironico, in quanto era – e in parte è ancora – l'espressione usata per indicare il "debutto in
società" di una giovane adolescente, di solito al ballo delle debuttanti. In Italia, l'espressione
coming out, che indica una scelta deliberata, è molto spesso confusa con outing, che indica
invece l'esposizione dell'omosessualità di qualcuno da parte di terze persone senza il
consenso della persona interessata. L'opposto di una persona che ha fatto coming out
("dichiarata") è indicata nel gergo gay col termine "velato". Il coming out, per chi lo vive, è
un processo generalmente mai concluso, in quanto, nella vita, si conoscono sempre nuove
persone e - in una società che considera l'eterosessualità come la 'norma' e l'omosessualità
come una condizione di diversità - ogni volta si deve decidere se, come e quando esplicitare
la propria condizione. Di questo processo si tendono ad identificare due fasi; la prima,
chiamata anche coming out interiore, e la seconda, quella più conosciuta, in cui l'individuo
si dichiara alla società. Il coming out interiore è la prima fase ed è il momento in cui un
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individuo si rende conto di avere sentimenti e/o desideri sessuali per persone dello stesso
sesso, ne acquisisce consapevolezza ed impara ad accettarli come una parte integrante della
propria personalità. Questo primo momento è di solito caratterizzato da una forte carica
emotiva ed è fonte di stress. Ciò è dovuto in parte al fatto che si tratta di un momento in cui
l'individuo si mette – o rimette – in discussione, ma, soprattutto, perché la nostra società
tende alla eteronormatività, tende cioè ad escludere, negandoli o vestendoli di un'immagine
negativa, tutti quei comportamenti che si allontanano dalla eterosessualità. Quanto più è
forte all'interno di una società questa spinta a negare la legittimità di comportamenti che si
allontanano da quelli considerati "canonici", tanto maggiore sarà lo stress vissuto
dall'individuo, anche per la mancanza di esempi positivi da seguire per riuscire ad integrare
questi nuovi sentimenti e pulsioni all'interno della propria identità. In una prima fase spesso
si cerca ogni indizio che possa dimostrare il contrario di ciò che si sta scoprendo. Una volta
che si è preso atto che "non c'è niente da fare" si passa all'accettazione della propria
condizione. Questa seconda fase, a meno di non essere famosi e di fare coming out
attraverso i media, è un processo graduale e mai concluso. Le ragioni del coming out
possono essere politiche, ma anche pratiche: quando si è ormai dichiarato la propria
appartenenza ad una minoranza non si ha più lo stress di doversi nascondere e si può godere
delle piccole gioie della vita a viso aperto; alcuni studi hanno provato che il grado di
visibilità di una persona in un gran numero di situazioni sia fortemente correlato con una
mancanza di stress e di nevrosi. Inoltre, la conclusione di questa fase porta generalmente ad
una crescita interiore, soprattutto in termini di sicurezza in sé stessi. Per quanto sia chiaro a
tutti che il coming out verso la società può avvenire in un qualsiasi momento della vita
dell'individuo, cioè quando lo stesso si sente pronto o ne sente la necessità, è meno risaputo
che anche il coming out interiore può avvenire in diversi momenti. Contrariamente a quello
che si crede non esiste "un'età del coming out"; il coming out interiore può avvenire
nell'infanzia (ad esempio durante l'asilo), nell'adolescenza o nell'età adulta ed ogni periodo
della vita dell'individuo presenta problemi e caratteristiche proprie. Il momento dipende
anche dal grado di omosessualità dell'individuo, cioè se è "completamente" omosessuale,
oppure bisessuale. Nell'infanzia, il problema più grande è sicuramente la mancanza di mezzi
psichici per affrontare la situazione e generalmente mancano totalmente i mezzi di paragone.
Un esempio: in tutte le favole la bella di turno aspetta il cavaliere per godere del "...e vissero
tutti felici e contenti". Eccezioni non ce ne sono, a meno di qualche esempio positivo in
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famiglia e quindi mancano generalmente persone adulte con cui aprirsi e parlare. Durante
l'adolescenza, l'individuo ha più mezzi psichici del bambino per affrontare la situazione ma
è anche un periodo molto confuso della vita in cui si va incontro a grandi cambiamenti, sia
fisici che psicologici e sociali. Ciò aggiunge stress a stress non facilitando il processo. Una
famiglia (e non solo) spesso poco propensa all'espressione libera dell'individuo tenderà a
bollare la cosa come "è solo una fase, passerà", lasciando all'adolescente l'impressione che i
suoi sentimenti non siano presi sul serio. Nell'età adulta, il coming out è per certi versi più
facile in quanto l'individuo, è generalmente psicologicamente più forte e le motivazioni
hanno più spesso a che fare con il vissuto dell'individuo. L'idea del coming out fu introdotta
nel 1869 dall'omosessuale tedesco Karl Heinrich Ulrichs, un pioniere del movimento per i
diritti di gay, lesbiche e transgender. Dato che egli vedeva nel coming out un mezzo di
emancipazione e nell'invisibilità un ostacolo maggiore nel cambiare l'opinione pubblica,
esortava altri omosessuali ad "uscire allo scoperto". Magnus Hirschfeld tratta di nuovo lo
stesso argomento nella sua opera principale, The homosexuality of men and women (1914),
discutendo le potenzialità legali e sociali di diverse migliaia di persone coming out presso la
polizia in modo da influenzare legislatori ed opinione pubblica (Johansson & Percy, p.24). Il
primo importante statunitense a fare coming out fu il poeta Rober Duncan. Nel 1944, usando
il suo nome nella rivista anarchica Politics, affermò che gli omosessuali erano una
minoranza oppressa. Nel 1951 Donald Webster Cory pubblicò The Homosexual in America,
una pietra miliare, esclamando: «la società mi ha dato una maschera da indossare...
Dovunque vada, in qualsiasi momento e davanti a qualsiasi sezione della società, io fingo».
Cory era uno pseudonimo, ma la sua descrizione franca e soggettiva servì come stimolo ad
una emergente autocoscienza omosessuale e a un nascente movimento omofilo. (Gross, p.
15) Negli anni sessanta, Frank Kameny fu licenziato dalla sua posizione di astronomo
nell'esercito, all'interno del servizio topografico, per comportamento omosessuale. Egli
rifiutò di far passare il fatto sotto silenzio e combatté apertamente contro il suo
licenziamento arrivando ad appellarsi alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Kameny, uno dei
leader del nascente movimento statunitense per i diritti omosessuali, sosteneva un piano
d'azione aggressivo. La pietra angolare della sua convinzione era: «we must instill in the
homosexual community a sense of worth to the individual homosexual» (noi dobbiamo
instillare nella comunità omosessuale un sentimento di autostima nell'individuo in quanto
omosessuale), autostima che può essere raggiunta solo attraverso campagne condotte dagli
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stessi omosessuali. (Gross, p. 18) Il suo motto era: "Gay is good" (gay è buono, positivo).
Alcune persone che si identificano come lesbiche, gay, bisessuali, o queer, o che
preferirebbero attività sessuali o relazioni con lo stesso sesso, si sono impegnate in rapporti
eterosessuali o hanno avuto relazioni eterosessuali di lunga durata, fino al matrimonio
(esempi famosi includono Elton John o il defunto Leslie Cheung). Questo comportamento
"eterosessuale" apparente di persone, che definirebbero se stesse "gay" o "lesbiche" in altre
situazioni, ha spesso fatto parte dell'essere "velati", creando una finzione tesa
all'accettazione dell'ambiente eterosessuale (queste situazioni vanno distinte da quelle dei
bisessuali in relazioni eterosessuali di lunga durata). Altre persone "velate" (nascoste) non
hanno contatti eterosessuali e semplicemente desiderano proteggersi dalla discriminazione e
dal rifiuto non rivelando il proprio orientamento sessuale. Questa pratica sembra in
diminuzione di pari passo con l'accettazione sociale dell'omosessualità. È stato osservato
l'aumento della frequenza di comportamenti sessuali basati sulla situazione, cioè, praticare
attività sessuali al di fuori di quella abituale a seconda della situazione. Per cui, alcuni
credono che il fenomeno del coming out sparirebbe con la completa accettazione
dell'omosessualità e degli omosessuali se non per scelta personale, nel senso che non
sarebbe più necessario. Mentre la maggior parte delle persone si adatta al genere assegnato
alla nascita, molte persone transgender o transessuali decidono a un certo punto di vivere
secondo il ruolo di genere con cui si identificano maggiormente, e pertanto scelgono di
annunciare la propria identità di genere e l'intenzione di cambiare il proprio ruolo di genere.
A differenza dell'orientamento sessuale, fare coming out (e rivelarsi quindi come
appartenenti a un genere opposto a quello di nascita) non è opzionale. Tuttavia, dopo la
transizione, molte persone transgender e transessuali decidono di nascondere il proprio
genere d'origine. Quindi una persona transessuale o transgender può dover fare coming out
due volte: durante la prima transizione, e poi nuovamente per rivelare la propria passata
identità alle persone all'oscuro. Per il coming out ci sono dei veri e propri codici di
comportamento, forgiati dalle esperienze di persone che, in tempi successivi, hanno
giudicato il proprio coming out non appropriato o più stressante del necessario.
Generalmente si sconsiglia di fare coming out durante le vacanze e in momenti di stress,
come durante un litigio. Il coming out è un processo spesso graduale. È comune fare coming
out prima con un amico o un familiare fidato, e successivamente con gli altri. Alcune
persone sono "out" sul posto di lavoro, ma non con le proprie famiglie, e viceversa. Inoltre,
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il coming out non si fa una sola volta, ma è necessario farlo con ogni nuova conoscente e
situazione. Prerequisito al coming out con gli altri, è fare coming out con sé stessi, cioè
ammettere di essere gay, lesbiche, bisessuali, transgender o eccitati da forme sessuali non
convenzionali. Questo è il primissimo passo nel processo di coming out: spesso richiede una
ricerca interiore o un'epifania personale. Molte persone gay, lesbiche e transgender
attraversano un periodo prima del coming out durante il quale credono che il loro
orientamento sessuale, o i loro sentimenti crossgender siano una "fase", che siano
modificabili, o rifiutano i propri sentimenti per ragioni religiose o morali. Fare coming out
con sé stessi termina quel periodo di ambiguità e dà il via al processo di autoaccettazione.
Oggi, le persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender sono più out che mai, soprattutto nei
paesi occidentali più avanzati. La maggior parte ritengono che nascondersi sia una pratica
che nuoce alla propria salute e stabilità. Uno dei maggiori periodici gay si chiama Out
Magazine. Il coming out nella comunità omosessuale è visto come politicamente sano,
persino un dovere o una necessità, argomentando che più le persone gay sono visibili, più è
difficile essere oppressi da moralisti e bigotti. Altri credono che fare coming out nel modo
tradizionale e "aperto" non sia sempre l'opzione più appropriata dal punto di vista personale
o culturale. Un'alternativa potrebbe essere il cosiddetto "coming home" (ritorno a casa),
presentare il partner dello stesso sesso a famiglia e amici come un amico stretto, tacendo
l'identità omosessuale. Alla fine, è il singolo individuo a dover decidere quale opzione sia
più adatta. Judith Butler (1991) critica la metafora dell'in/out (dentro/fuori, nascosto/
visibile) perché crea una ambiguità che finge che il cosiddetto armadio (closet, dentro al
quale ci si "nasconde") sia oscuro, marginalizzante, e falso, mentre essere visibili riveli
un'identità vera, essenziale. Diana Fuss (1991) spiega, «il problema, naturalmente, con la
retorica dell'in/out[...] è che queste polemiche mascherano il fatto che la maggior parte di
noi siamo sia visibili che nascosti allo stesso tempo.» Inoltre, "essere out", nel gergo gay, è
proprio non essere out; essere out significa essere finalmente fuori dall'esteriorità e il senso
di esclusione e le deprivazioni che un tale stato impone; oppure, detto in un altro modo,
essere out diventa in realtà un essere in – nel regno della visibilità, del parlare liberamente,
del culturalmente intelligibile. In altre parole, il coming out costruisce l'armadio che
dovrebbe distruggere e la personalità che dovrebbe rivelare, «la prima apparizione
dell'omosessuale come "specie" invece che come "aberrazione temporanea" è anche il
momento della sparizione dell'omosessuale – nell'armadio.» Lauren Smith (2000) riassume,
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«essere "fuori dall'armadio", quindi, sia come gay che come eterosessuale, secondo Fuss e
Butler, significa sempre nascondere o coprire un altro armadio.» Tuttavia, Butler si presenta
ugualmente come lesbica in occasioni pubbliche e sostiene che, «è possibile affermare che
[...] rimane un imperativo politico usare questi errori necessari o categorizzazioni sbagliate
[...] per rappresentare un soggetto politico oppresso.»
177.Commessa mancata: un’attrice non particolarmente capace.
178.Comog: motocicli glbt.
179.Comunità ursina: La Comunità ursina è una cultura basata sul genere e sull'identità
sessuale, subcultura della comunità gay che si è sviluppata in maniera trasversale a tutte le
nazioni e a tutte le estrazioni sociali. Nella terminologia gay, per orsi si intendono uomini
dalla corporatura robusta, spesso pelosi, oppure semplicemente sovrappeso, in genere
dall'aspetto mascolino. A differenza degli Stati Uniti, dove si usano definizioni diverse per
"Bear" (orso) e "chubby" (cicciotto) in Italia ci si riferisce ad entrambi con il termine "orso".
Per cacciatore invece si intende semplicemente una persona gay attratta dagli orsi.
Nonostante si tratti di una comunità molto poco conosciuta, sono dell'ordine delle migliaia
(oltre 23.000 persone) le persone che vi partecipano in maniera attiva in Italia. L'identità
bear, tuttavia, è diventata nel tempo sempre più inclusiva e piuttosto che delle determinate
caratteristiche fisiche, ormai, una delle costanti è la rielaborazione, o a volte il rifiuto, di
elementi e di stereotipi dell'immaginario gay maggioritario. Nata attorno alla metà degli
anni '80 del secolo scorso, la ''bear culture'' si sviluppa nella comunità di lingua inglese
statunitense, anglosassone ed australiana. Il successo repentino di tale cultura gay è legato
alla contrapposizione della figura dell'orso (in carne, villoso) a quella del gay stereotipato
(magro, muscoloso, depilato). Il propagarsi della sindrome ha contribuito in modo massiccio
alla diffusione della cultura ursina che conta comunità in quasi tutti gli Stati in cui
l'omosessualità è diffusa, consentita e tollerata ma anche in paesi (come l'area mediorientale)
dove l'omosessualità è proibita o repressa. Soltanto all'inizio degli anni '90 la cultura ursina
arriva in Italia ad opera di alcuni pionieri che crearono un gruppo a Milano, "Orsi italiani Girth & Mirth", riprendendo l'esperienza dei vari gruppi Girth & Mirth già operanti nel
mondo, laddove con il primo termine si intende letteralmente "tronco di albero" e, per
estensione, "girovita", "robustezza", mentre con il secondo si intende dire "allegria",
"benessere", "voglia di vivere". Girth & Mirth quindi inteso come espressione del vivere il
proprio fisico oversize con naturalezza e gioia. Grazie all'aumento dei suoi simpatizzanti, il
!427
fenomeno degli orsi inizia quindi a farsi notare e a crearsi degli spazi di visibilità durante gli
appuntamenti ufficiali del movimento LGBT, quali ad esempio le "Pride Parade" italiane, fin
dalla prima storica del '94 a Roma, in cui per la prima volta apparve uno striscione degli
orsi. Da Milano a Roma, la diffusione degli appuntamenti a tematica ursina fu breve, per
passare quindi a tutto il resto del paese. Attualmente le più strutturate comunità ursine
italiane si trovano a Milano, Roma, Bologna e Palermo, ma praticamente in ogni città si
svolgono feste e appuntamenti a tema. Da non sottovalutare il ruolo che Internet ha avuto
per la cultura ursina, dove oltre alle decine di siti nati in questi ultimi dieci anni, soprattutto
un canale chat di IRC, #orsitaliani, a partire dalla fine del '96 ha contribuito a diffonderne le
idee e a far conoscere fra di loro orsi e cacciatori. La bandiera scelta dalla comunità ursina è
un simbolo internazionale, rappresenta l'impronta di un orso su uno sfondo a strisce. I colori
delle strisce più in alto sono ispirati al colore della pelle di persone di diverse etnie: neri,
mulatti, asiatici, caucasici etc. I colori delle strisce basse sono quelli del "Pelo dell'orso",
nero, grigio o bianco, a seconda dell'età. La bandiera ha un significato di apertura a tutte le
etnie, a tutte le età e alla diversità nelle persone e nei gusti. Negli anni la subcultura ursina
ha sviluppato un gergo peculiare, alcuni dei termini più comuni sono:
•
Orso - Un uomo dalla corporatura robusta, dall'aspetto mascolino, spesso peloso o
con barba/baffi, o ancora un uomo corpulento, sovrappeso.
•
Cacciatore - Chi, pur non essendo classificabile come orso, è attratto dagli orsi o da
una delle varianti (di seguito), o più generalmente dall'opposto dello stereotipo gay
comune.
•
Cucciolo o cub - Un orso giovane (o dall'aspetto giovanile), tipicamente, ma non
sempre, meno corpulento di un orso.
•
Orsone - Un orso di grossa stazza. Nel linguaggio comune un "ciccione", termine
che ha però legata un'inscindibile intonazione denigratoria, al contrario del termine
"orsone".
•
Papà orso o Daddybear - Un orso maturo, dall'aspetto rassicurante e
dall'atteggiamento paterno.
•
Orso Koala o Koala bear - Un orso con capelli e peluria bionda.
•
Orso polare - Un orso maturo e brizzolato o bianco.
•
Orso lesbico - Un orso a cui piacciono altri orsi.
•
Muscle bear - Un orso muscoloso.
!428
•
Lontra o otter - Un uomo molto peloso, in genere con barba o pizzetto, ma non
sovrappeso.
180.Condom: preservativo.
181.Condomerie: negozio specializzato nella vendita di preservativi di tutti i tipi.
182.Confino: obbligo di dimorare in un luogo appartato e lontano da quella di residenza;
durante il ventennio fascista è stato applicato anche per la diversità sessuale.
183.Confuso: chi ancora non ha capito in fondo i propri gusti sessuali e sentimentali.
184.Coniglio: chi ha rapporti veloci e frequenti.
185.Convertire: spingere una persona a far sesso contrario al suo orientamento sessuale.
186.Convinto: chi è troppo pieno di sé, vanitoso.
187.Cool: alla moda.
188.Coordinamento: gruppo formato da più associazioni glbt.
189.Coppia libera: unione tra due gay disposti a trovare un terzo partner per fare sesso.
190.Coriaceo: chi predilige il cuoio nell’abbigliamento.
191.Costa de Caparica: spiaggia gay portoghese.
192.Cotica: dispregiativo per l’organo genitale femminile.
193.Cotton fioc: pene piccolo.
194.Cozza: lesbica dall’aspetto sgradevole.
195.Credenti: comunità glbt appartenenti a una religione; in Italia esistono varie associazioni di
gay credenti tra cui ‘Nuova Proposta’, ‘Davide e Gionata’ e ‘Il guado’.
196.Credici: rivolto a chi dice bugie ai fini della propria vanità.
197.Cripto: usato per indicare chi nasconde volontariamente il proprio orientamento sessuale;
ad esempio ‘cripto-checca’, ‘cripto-gay’, etc…
198.Crisalide: simbolo della trasformazione di una transessuale; è anche il nome di
un’associazione per la difesa delle transessuali con sede a Genova.
199.Crocerossina: scherzosamente indica il gay sempre pronto ad ascoltare le altrui pene
d’amore.
200.Crollo: ‘avere un crollo’, debilitarsi o imbruttirsi rapidamente.
201.Crossdressing: Il termine crossdressing denota l'atto o l'abitudine di indossare
alternativamente vestiti comunemente associati al sesso opposto al proprio. La persona
crossdresser indossa abiti considerati del sesso opposto, pubblicamente e/o in privato, per
molteplici motivi. Il termine crossdresser non riguarda l'identità di genere o l'orientamento
!429
sessuale, quindi non è sinonimo di transessuale o transgender e non dà indicazioni di sorta
sulle preferenze sessuali. Il termine, che non ha un preciso corrispondente in italiano, tende
a distinguersi sempre più dalla dicitura "travestito" la quale a sua volta è erroneamente
associata al "feticismo di travestimento", classificato tra le parafilie.
202.Cruising: area dove i gay, per lo più la notte, si incontrano. Esistono luoghi in cui si fa del
sesso, altri dove ci si incontra con le auto e altri ancora dove ci si conosce soltanto ma si fa
sesso altrove.
203.Cub: termine usato dagli ‘orsi’ per indicare un giovane ragazzo.
204.Cuccare: rimorchiare, trovare qualcuno disposto.
205.Cula: diminutivo di ‘culattone’, usato soprattutto in area lombarda, è dispregiativo per
‘gay’.
206.Cul-de-sac: scherzosamente indica il bacino di un gay anziano.
207.Culo chiacchierato: chi ha avuto più rapporti anali.
208.Cupio: insulto per i gay usato in area piemontese. Dal latino medievale cupa, “botticella”,
“recipiente” (che sopravvive anche nell'italiano semicupio, la tipica vasca da bagno in cui ci
si lava solo seduti). È termine dialettale piemontese per “omosessuale”.
La riduzione dell’omosessuale a contenitore” (è facile immaginare di che cosa) ha riscontro
in molti dialetti, per esempio nel napoletano VASETTO, nel meridionale LUMINO, nel toscano
BUCO e BUCAIOLO, e nell'emiliano BUSONE. Ecco un esempio d'uso:
!
A scuola, in un primo tempo, i compagni mi deridevano perché portavo i capelli tinti sul rossiccio.
(...) Mi davano del cupio e mi sfottevano.
(BALLONE, p. 111)
!
209.Cut: in inglese ‘tagliato’ sta per circonciso.
210.Da Sodoma a Holliwood: importante rassegna cinematografica a tematica omosessuale che
si svolge a Torino.
211.Dark-room: stanza buia nei locali gay dove si fa sesso con sconosciuti.
212.Darling: ‘mio caro!’.
213.Dea della Casa: casalinga.
214.Dee-gay: dj gay.
215.Definito: un uomo con il fisico scolpito, dagli addominali perfetti.
!430
216.Degenero: termine milanese, ‘fare il degenero’ vuol dire andare a fare baldoria in giro.
217.Democratico: aggettivo per indicare una persona che fa sesso con tutti.
218.Dental gum: diaframma usato nelle pratiche lesbiche per fare sesso orale sicuro.
219.Desueto: non più di moda.
220.Dichiarato: chi non ha avuto problemi a rendere pubblica la propria identità sessuale.
221.Di- gay project: associazione glbt con sede a Roma.
222.Dildo: pene artificiale, vibratore.
223.Disarraparsi: perdere la voglia erotica.
224.Dis-etero: ragazzi eterosessuali che si fingono gay per evitare il servizio militare.
225.Disturbo postraumatico da stress: disturbo classificato dal DSM-IV tra i disturbi d’ansia e
con una specifica sintomatologia, conseguenza di una causa esterna macroscopicamente
traumatica. La sindrome del PTSD implica: a) paura intensa e sensazione di essere inerme e
vulnerabile: b) riattualizzazione dell’evento traumatico; c) evitamento degli stimoli associati
con il trauma e ottundimento della reattività generale; d) sintomi costanti di aumento
dell’arousal (stato di attivazione fisiologica e psicologica).
226.Disturbatore: chi si reca in luoghi di incontro e consumo solo per dare fastidio, per esempio
chi usa gli accendini in una dark-room.
227.Diva: chi si dà delle arie.
228.Divino: bello, ottimo.
229.Docciarsi: fare la doccia.
230.Donna: usato scherzosamente per indicare un gay effemminato e apparentemente solo
passivo; si usa ad esempio nella frase ‘ma non lo vedi? E’ tutta donna!’.
231.Donnissima: gay estremamente effemminato.
232.Drag king: donna che si traveste da uomo in eccesso: barba e baffi finti, fallo finto, seni
schiacciati da fasce elastiche. Spesso imitano cantanti e attori maschili; la più famosa drag
king è Moby-Dick di New York. Drag king è un'espressione in inglese usata per designare
persone, in prevalenza (ma non necessariamente) lesbiche o transgender, che si esibiscono
su un palco o in un locale interpretando personaggi maschili famosi o anche solo stereotipi
maschili, sottolineandone i lati "macho" mediante barbe posticce, abiti tipicamente maschili,
"packing". Lo spettacolo generalmente include parti ballate, cantate e parti interpretate. Il
fenomeno, per quanto già presente tra le fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento nelle
dance hall inglesi, ha iniziato a guadagnare una prima fama negli anni ottanta grazie al noto
!431
videoclip musicale "Turn to you" delle irriverenti Go-go's, (la prima rock band di successo
tutta al femminile) per poi svilupparsi negli anni novanta rubando un po' di terreno alle
ormai da tempo famose drag queen, cioè uomini che calcano il palco in abiti femminili.
Mentre le drag queen tendono a calcare le scene da soliste, i drag king formano più spesso
bands con cui si esibiscono sul palco. Il termine drag king è spesso usato anche per indicare
donne che passano per uomini, temporaneamente o stabilmente, per altre ragioni che quelle
di scena. Può essere il caso di donne con sentimenti transgender "FtM" (da femmina a
maschio) magari come primo passo verso un cambio di genere, o anche di donne che
vogliono provare per un tempo limitato (magari anche solo una serata) a vivere in pubblico
il loro lato maschile.
233.Drag Queen: regina del travestimento, chi si traveste da donna esasperandone il trucco,
l’abbigliamento e l’atteggiamento, spesso si esibiscono in discoteca come animatrici. Drag
queen è un termine inglese per definire attori o cantanti (detti Drag singer), in prevalenza
(ma non necessariamente) gay o transgender, che si esibiscono in canti e balli, di frequente
dai connotati maliziosi, indossando abiti femminili. Le donne che recitano in abiti maschili
sono invece dette drag king. In lingua inglese il solo termine "drag", in questa accezione,
significa portare abiti caratteristici del sesso opposto, ed è usato come verbo o come
aggettivo, ma non come sostantivo. In Italia il termine "drag queen" è spesso abbreviato
semplicemente in "Drag" (esempio: "È una Drag celebre"), cosa non possibile in inglese,
dato che la parola "drag" usata come sostantivo ha molti altri significati ("She's a notorious
drag", in particolare, significa: "È notoriamente una scocciatrice"...). Il termine non si
applica alle persone transessuali che hanno effettuato il cambio di sesso, e generalmente
neppure ai travestiti che si travestono per fini diversi da quello dell'intrattenimento e dello
spettacolo.Un altro significato del verbo "to drag" è: "trascinare"; un'altra linea di pensiero
vuole per questo che Drag queen derivi dall'espressione "regina dello strascico", per i vestiti
lunghi che le Drag portavano originariamente. In Italia, si svolge ogni anno il concorso Miss
Drag Queen Italia, a Torre del Lago Puccini, in Versilia, presso il locale Mamamia.
Concorrenti da tutta Italia che hanno superato le varie selezioni regionali, si contendono la
corona di Drag Queen più bella e simpatica d'Italia, tra performance e sfilate.
234.Drag restaurant: ristorante con spettacoli di drag queen.
235.Drama-queen: travestito oltremodo eccentrico.
236.Dranny: drag queen anziana, forma contratta di ‘drag’ e ‘nanny’.
!432
237.Dress-Code: codice di abbigliamento; è usato per la pubblicità di locali in cui per accedere
bisogna essere vestiti in maniera particolare, ad esempio: leather, fetish, casual, etc…
238.Drinkoglionimento: sbronza alcolica con relativo giramento di testa.
239.Dungeon: sala delle torture nei rapporti sado/maso.
240.Dyke: lesbica. Nello slang indica un movimento inerente al lesbismo e alle lesbiche,
indipendentemente dalla reale identità sessuale della persona. In origine il termine era
dispregiativo e denigrante , etichettava la donna come una camionista (Butch). Tuttavia il
termine trova anche dei risvolti positivi, poiché implica l'assertività e la tenacia della
persona, o semplicemente neutrali, come sinonimo di lesbica, indipendentemente dal genere
di espressione individuale.
241.Effeminato-Effeminatezza: privo di virilità, chi ostenta femminilità.
242.Elettrocoagulazione: eliminazione definitiva della barba con ago che emette scariche
elettriche nel bulbo del pelo.
243.En femme: L'espressione en femme viene utilizzata nella comunità transgender, solitamente
da crossdresser maschi, per descrivere il vestire con abiti femminili o l'esprimere una
personalità femminile. Il termine deriva dal francese, e significa letteralmente "come una
donna". La maggior parte dei crossdresser utilizza anche un nome femme (femminile).
Molte organizzazioni transgender tengono eventi en femme, come vacanze e crociere (come
l'anniale Tri-Ess "Holiday En Femme"). EnFemme è anche il nome di una rivista per
crossdresser che è stata pubblicata tra il 1987 e il 1991.
244.En travesti: travestito.
245.Eonismo: travestimento, termine tratto dalla vicenda storica del Cavaliere d’Eon.
246.Equipaggiato: uno ‘messo bene’, dotato fisicamente.
247.Ercula: gay muscoloso effeminato.
248.Ermafrodito: l’essere la cui natura è doppia, contemporaneamente maschile e femminile,
dalla figura mitologica greca nata dall’unione di Ermes e Afrodite.
249.Ermafroditismo: L'ermafroditismo o monoicismo è un fenomeno col quale un individuo di
una determinata specie può produrre, contemporaneamente o successivamente, sia i gameti
maschili sia quelli femminili. In alcune specie animali, in particolare invertebrati, il
fenomeno è comune o addirittura essenziale per la riproduzione. L'ermafroditismo viene
definito: istantaneo o simultaneo quando gli individui presentano contemporaneamente
gonadi maschili e femminili oppure una sola gonade in grado di produrre sia spermi che
!433
uova (ovotestis); ermafroditismo sequenziale, talvolta indicato come inversione sessuale, se
invece cambiano sesso nel corso della loro vita. Quando un individuo è maschio nella prima
parte della vita si parla di proterandria (ad es. l'orata), nel caso opposto (come nella
donzella) si parla di proteroginia. Il monoicismo si contrappone al dioicismo che caratterizza
quelle specie dove i genitori sono di sesso separato, fenomeno comune anche nei vertebrati
Storicamente il termine ermafrodito è stato usato, in modo generico ed impreciso, per
descrivere individui in particolare nella specie umana che presentano organi genitali
(primari e/o secondari) ambigui. Il termine intersessuale, più ampio, è preferito da questi
individui stessi e dalla classe medica. Si può distinguere fra ermafroditismo sufficiente ed
insufficiente. Gli organismi ermafroditi sufficienti sono in grado di riprodursi in autonomia,
mentre gli insufficienti hanno comunque necessità di interagire con un altro individuo della
propria specie per completare la riproduzione (fecondazione incrociata). Sebbene
l'autofecondazione garantisca ad ogni individuo la possibilità di riprodursi, l'evoluzione ha
favorito l'affermarsi dell'ermafroditismo insufficiente in un gran numero di specie
ermafrodite. Questo perché la fecondazione incrociata permette una migliore variabilità
genetica rispetto all'autofecondazione. Etimologicamente, il termine ermafrodita deriva da
Ermafrodito, il figlio di Ermes e Afrodite, personaggio della mitologia greca che, essendosi
fuso con una ninfa, risultava possedere tratti fisici di entrambi i sessi. Secondo la
terminologia moderna, Hermaphroditus può essere considerato un ermafrodita
contemporaneo (o simultaneo). La figura mitologica di Tiresia, che compare nell'Odissea e
nell'Edipo re, può essere invece considerata come un ermafrodita sequenziale (o
successivo), essendosi trasformato in donna e ritornato uomo per volere degli dei.
L'ermafroditismo vero e proprio, nell'essere umano, è descritto come una rara disgenesia
gonadica. Più frequenti sono gli pseudoermafroditismi (maschile e femminile) nonché le
alterazioni collegate al sistema endocrino, che possono essere virilizzanti (come nel caso
della sindrome adreno genitale) o, al contrario, dar luogo ad una insensibilità agli ormoni
maschili (come nella sindrome di Morris) e inibendo così lo sviluppo di caratteri sessuali
maschili. L'ermafroditismo vero e proprio e gli pseudoermafroditismi rientrano nelle
anomalie della differenziazione sessuale.
250.Ermellinata: impellicciata in senso grottesco.
251.Es Cavallet: spiaggia glbt sull’isola di Ibiza.
252.Escort: accompagnatore a pagamento.
!434
253.Età del consenso: età legale per avere rapporti sessuali.
254.Etero: forma abbreviata per eterosessuale.
255.Etero-checca: persona eterosessuale che si comporta e parla in modo effeminato.
256.Etero-integralista: persona eterosessuale che non ammette di avere gay, lesbica o una trans
neanche come amico.
257.Eteromane: eterosessuale con la mania del sesso.
258.Eterosessista: eterosessuale che teorizza l’inferiorità dei gay e delle lesbiche.
259.Eterosolidale: eterosessuale particolarmente solidale con la causa glbt.
260.Eterotravestito: chi ama vestirsi con abiti del sesso opposto ma è attratto fisicamente e
sentimentalmente dalle donne.
261.Etz Cahol: letteralmente ‘albero azzurro’ in ebraico. Gruppo gay e lesbico che si ritrova al
Tempio di Lev Chadash, associazione per l’ebraismo progressivo di Milano.
262.Europride: ogni anno in una città dell’Europa si svolge il Gay Pride europeo.
263.Evakant: lesbica fidanzata con una delinquente.
264.Evitamento: comportamento che consiste nell’evitare volontariamente determinati oggetti,
persone o ambienti ritenuti sgradevoli o pericolosi. Per esempio, le persone omosessuali che
non hanno compiuto il coming out possono evitare attivamente luoghi o persone gay.
L’evitamento si definisce postraumatico quando avviene in relazione a specifici stimoli che
rievocano un trauma subito.
265.Ex-gay: Si parte da una considerazione antiscientifica dell’omosessualità: nello specifico la
psicoanalisi di matrice religiosa considera questo orientamento sessuale una patologia che è
possibile modificare, in quanto esisterebbe qualcosa, che non viene definito, di danneggiato
da riparare.
266.Extender: strumento usato per stringere e allungare l’organo sessuale maschile.
267.Fab: diminutivo di ‘fabulous’, favoloso.
268.Facocero: grasso come un maiale.
269.Fag-hag: ‘omosorella’, donna eterosessuale che frequenta gay, locali gay, legge libri e
predilige film a tematica gay.
270.Faigin: dispregiativo per definire un gay in ebraico.
271.Fairy: ‘fata’ in inglese, checca.
272.Falloplastica: operazione chirurgica per rettificare il sesso da femminile a maschile.
273.Falsario: chi dà nome o numero di telefono volutamente sbagliato.
!435
274.Fandom: gruppo di fan di una serie di manga.
275.Farcito: drogato.
276.Farsi qualcuno: fare sesso con qualcuno.
277.Fashion-queen: regina della moda.
278.Fashion victim: uomo omosessuale appassionato di prodotti di valore.
279.Fata: effeminato, checca.
280.Fatalona: fata.
281.Favola: sinonimo di ‘favoloso’.
282.Favoloso: usato spesso in sostituzione dell’aggettivo ‘bello’.
283.Felino: che riesce a vedere al buio, assiduo frequentatore di dark-room.
284.Felpato: oltremodo peloso.
285.Femminiello: gay effeminato, tipico di Napoli.
286.Ferroviere: gay che frequenta i bagni pubblici delle stazioni ferroviarie.
287.Fetish: feticista.
288.Fiancarsi: indossare un paio di collant con i fianchi imbottiti di gommapiuma.
289.Figliata: rito della comunità omosessuale napoletana in cui si simula la gravidanza e il
parto.
290.Figone: attraente, sexy; tipico del milanese.
291.Finocchio: dispregiativo per ‘gay’; al femminile ‘finocchia’ ricorre più in termini scherzosi.
Forse nessun termine come questo (ad eccezione di FROClO), ha suscitato ipotesi così
contrastanti sull'etimologia. Per fortuna è possibile stabilire alcuni punti fermi, che
permettono di arrivare ad una spiegazione soddisfacente. Innanzi tutto: l'uso di
FINOCCHIO nel senso di “omosessuale” è recente. Non sono a conoscenza di alcun
documento in cui se ne abbia traccia prima del 1863, anno in cui apparve nel dizionario del
FANFANI. L'unica attestazione precedente, riportata dal BATTAGLIA, mi sembra dubbia,
perché appare in una composizione poetica in cui l'autore, Meo de' Tolomei, vuole mettere
in risalto la stupidità di suo fratello Min Zeppa. Quando Mino entra in chiesa, secondo Meo,
è tanto maldestro nel fare il segno della croce da cacciarsi le dita nell'occhio, o così babbeo
da salutare Dio dicendo: “Dio vi dia il buon dì, signor Dio”. La conclusione del poeta è
quindi “che ben ve sta uma' dicer finocchio” (MARTI, p. 260), cioè: "ormai ti sta bene se ti
chiamano finocchio". In questo contesto mi sembra che a FINOCCHIO si adatti meglio il
significato di “babbeo”, “stupido”, molte volte attestato in altri scrittori antichi. Del resto
!436
nessun vocabolario pubblicato prima del FANFANI registra tale uso della parola, mentre gli
antichi scrittori preferiscono usare altri termini derogatori (soprattutto BUGGERONE e
BARDASSA) a scapito di questo. Anche negli antichi processi per ingiurie FINOCCHIO è,
per quanto mi e dato sapere, assente. Sulla base di queste considerazioni concluderemo
quindi che FINOCCHIO nel senso di “omosessuale” è termine recente, di origine toscana,
diffusosi dopo l'Unità nel resto d'Italia (ma più al Nord che al Sud, dove FROCIO e
RECCHIONE gli hanno fatto concorrenza), soprattutto grazie a scrittori “realisti” toscani
(per esempio Prezzolini). Quanto appena detto dovrebbe essere d'aiuto nel risalire
all'etimologia. Le proposte sono molte, ed alcune anche un po' bizzarre: c'è ad esempio chi
propone un lambiccato fenor culi (in latino: “vendita del culo”), e chi lo ricollega
all'ortaggio omonimo per varie ragioni. Alcuni perché esso “ha il gambo vuoto” (e qui
saremmo nel campo di BUCO o CUPIO), altri perché i finocchi detti “maschi” sono più
gustosi di quelli detti “femmine”, altri infine (CONSOLI, p. 5), perché “il finocchio è pianta
agametica, cioè che si riproduce senza essere impollinata, e quindi non ha bisogno
dell’“altro” sesso”. Ma la proposta di etimologia che ha veramente fatto furore negli ultimi
anni è quella che ricollega i finocchi ai roghi medievali. Secondo tale spiegazione, per
coprire l'odore di carne bruciata sarebbe stato anticamente costume usare legno di ferula
(quello spugnoso prodotto dalle piante di finocchio selvatico), oppure fasci di finocchi
buttati nel fuoco. A sostegno di tale tesi si cita il parallelo con l'inglese faggot, che significa
tanto “fascina di legna” che “omosessuale". Come accade spesso nelle questioni intricate, la
spiegazione è in realtà piuttosto semplice. Innanzitutto non si è finora riusciti a trovare
attestazioni dell'uso di gettare finocchi sui roghi. La consultazione di documenti antichi non
mi ha finora permesso di trovarne traccia. Caso mai si saranno usati ginepri, come spinge a
pensare il Burchiello:
Lascia i capretti e piglia delle lepri
se non vuoi fare un dì fumo e baldoria
d'odorifera stipa di ginepri.
(LANZA, p. 455)
!
Anche Matteo Franco gli fa eco:
!
Al tuo falò s'adoperrà ginepri,
!437
perché tu della puccia segui e' sulci;
lascia i caprecti e piglia delle lepri.
(FRANCO, p. 17)
(Franco ed il Burchiello scrivono tuttavia in “codice”, con un gergo colmo di maliziosi doppi sensi:
ad esempio in questi versi i capretti da lasciare sono i ragazzi, mentre le lepri che è opportuno
cercare sono le donne). In secondo luogo resterebbe da spiegare perché, se l'ipotesi che lega
FINOCCHIO ai roghi è corretta, le altre categorie di persone in passato condannate alla stessa pena
non abbiano ricevuto lo stesso nomignolo, sul modello di quanto accaduto con BUGGERONE
(vedi). Infine va sottolineato che il parallelo con faggot non regge, perché, come ha dimostrato
JOHANSSON 1981, faggot nel senso di “omosessuale” nacque in America alla fine del secolo
scorso, derivando da un fagot, antico francese e poi inglese, che significava “carico pesante” (e da
qui “fascina”) e poi “donna pesante da sopportare”, “donna noiosa”, in parallelo con il già citato
PEPPIA nostrano. L'etimologia più corretta sarà quindi senza dubbio quella che mette in relazione il
significato odierno di FINOCCHIO con quello che la parola aveva nel medioevo, e cioè “persona
dappoco, infida”, “uomo spregevole”. In questo senso lo troviamo ad esempio già in un apocrifo
dantesco:
!
E quei, ch'io non credeva esser finocchi, [traditori]
ma veri amici, e prossimi, già sono
venuti contra me con lancie, e stocchi.
E quegli, ch'era appresso a me più buono,
vedendo la rovina darmi addosso,
fu al fuggir più, che gli altri, prono
(SETTE SALMI, p. 49)
!
A sua volta tale uso traslato della parola deriva probabilmente dall'uso di semi di finocchio per
aromatizzare la carne ed “infinocchiare” la salsiccia. Essi ovviamente non avevano alcun valore, sia
al paragone con le costosissime spezie che venivano dall'Oriente, sia per il loro costo molto
moderato. Si confronti il modo di dire toscano “essere come il finocchio nella salsiccia”, ossia: “non
valere nulla”. Quindi: da “cosa o persona di nessun valore”, la parola finocchio è passata a indicare
“uomo spregevole” e poi, in senso più restrittivo, “uomo spregevole in quanto si dà alla sodomia”.
!438
(Per un'evoluzione analoga vedi FROCIO). Data l'enorme diffusione di questo termine oggi,
ritengo superfluo dare esempi del suo uso.
292.Fiocco rosso: dall’inglese ‘red ribbon’, è il fiocchetto che si indossa con una spalla per la
lotta all’Aids e la solidarietà con i sieropositivi e le sieropositive.
293.Fist-fucking: penetrare il proprio compagno con la mano.
294.Flabby: fiacco, moscio.
295.Florido: paffuto.
296.Fonato: indica il gay con la mania dei capelli sempre a posto.
297.Fondista: sessualmente resistente.
298.Fotomodello: gay che a letto non si muove, non collabora. Si usa anche l’espressione
‘sembrava Cristo in croce’.
299.Fottografo: fotografo che con il pretesto di fare un servizio fotografico ci prova con il
modello.
300.Fracosce: atto sessuale senza penetrazione che consiste nello strofinare l’organo sessuale
sulle cosce del partner.
301.Friendly Versilia: imponente calendario di manifestazioni, spettacoli, dibattiti e cultura ad
agosto a Torre del Lago.
302.Frociarola: indica le donne eterosessuali che prediligono la compagnia di gay.
303.Frociera: crociera gay.
304.Frocio (o froscio): tipico di Roma e del Lazio è usato come insulto per indicare un gay.
Varianti: frocia, frocione, probabilmente dal latino ‘flaccus’ ovvero flaccido, molle.
Nonostante gli sforzi fatti, si può ancora definire “oscura” l'etimologia di questa diffusissima
parola. Essa ha avuto origine in un àmbito
quello gergale/dialettale (di Roma)
che
normalmente non lascia di sé tracce scritte. Ciò rende molto difficile, se non impossibile,
verificarne l'evoluzione servendosi di documenti storici. Le etimologie proposte per
FROCIO sono davvero numerose. CONSOLI ne registra addirittura tre: la prima da feroci,
epiteto lanciato contro i lanzichenecchi che misero a sacco Roma nel 1527 e che nella loro
furia stuprarono indistintamente uomini e donne. La seconda fa riferimento ad una non
meglio identificata “fontana delle froge” (narici) presso cui anticamente si sarebbero riuniti
gli omosessuali romani. La terza infine si richiama a floscio (a sua volta dallo spagnolo
flojo) con la tipica rotacizzazione del romanesco (in cui altra volta diviene artra vorta, e
floscio, froscio), e che indicherebbe sia l’incapacità dei froci ad averlo “tosto” con le donne,
!439
sia la loro mollezza. In generale, l'etimologia più diffusa (proposta da CHIAPPINI,
accennata anche nel BATTAGLIA ed accettata da DE MAURO) mette in relazione con
FROSCIO/FROCIO i perversi costumi (sessuali e non) dei lanzichenecchi del papa, che fra
l'altro sarebbero stati spesso e volentieri ubriachi, ed avevano quindi le “froge” (narici) del
naso rosse e gonfie. Da qui l'epiteto di frogioni/frocioni che nella seconda forma è ancora in
uso (seppur con il nuovo significato) a Roma. Ho lasciato in ultimo le due proposte meno
diffuse. Entrambe fanno riferimento all'uso antico (vale a dire dell'inizio del secolo scorso)
di questa parola, che era (si veda BATTAGLIA sub voce) termine spregiativo per definire i
francesi (un po' come oggi si usa crucco per definire ironicamente un tedesco). Da quel che
mi è stato possibile notare, non esistono infatti attestazioni antiche dell'uso odierno di
FROCIO: la prima che io conosca risale alle schede che Filippo Chiappini lasciò inedite alla
sua morte, avvenuta nel 1905. Si tratta comunque di un uso ancora dichiaratamente
dialettale/gergale romano, per di più giudicato recente dallo stesso Chiappini. La diffusione
del termine in Italia è addirittura più recente di quella di FINOCCHIO, ed è avvenuta solo
dopo la seconda guerra mondiale grazie soprattutto al cinema ed ai romanzi “neorealisti”.
Escluderei insomma anche in questo caso un largo uso antico della parola nel significato di
“omosessuale”: anche qui essa è giunta fino a noi attraverso un progressivo slittamento di
significati. Delle due etimologie che presento in ultimo, la prima suggerisce una derivazione
diretta da français, attraverso una storpiatura satirica che su bocca romana ha riprodotto
come “fronsce” quello che su bocca francese (quale?) suonava come “fronsé" (l'abbondare
nel fonema “sc” sarebbe tipico di chi imita burlescamente la pronuncia francese).La
seconda, rifiutando la tesi dell'evoluzione satirica da français, propone una derivazione dal
tedesco frosch (“ranocchio”), che ha un interessante parallelo nell'inglese frog (“ranocchio”
e “francese”). Che pure il “livello basso” della lingua possa arricchirsi di prestiti da altri
idiomi lo dimostrano innumerevoli esempi, a cominciare dal diffusissimo “brindisi!” (dal
tedesco (ich) bring dir's, “bevo alla tua salute”) per finire proprio col già citato crucco, che
ci viene addirittura dal serbocroato. Proprio come brindisi! e stato introdotto in italiano dai
mercenari svizzeri presenti nel CinqueSeicento, nulla impedisce che le loro ironie su
qualche frosch siano state imitate dagli italiani, pur senza capire il significato originario
della parola, proprio come crucco è stato usato senza preoccuparsi dell'etimologia, che
aveva a che vedere col “pane” (kruh). Purtroppo non conosco il tedesco e la sua evoluzione;
ciò m'impedisce di verificare quanto di vero può esserci in quest’ultima proposta. Per quel
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che ne so, potrebbe a sua volta trattarsi (come suggerisce RASSEGNA, p 374) d'una
“etimologia popolare” o d'una storpiatura burlesca di qualche nome di popolo, ad esempio
Friese, “frisone”, passato a indicare spregiativamente gli stranieri in genere. Ma la prudenza
mi impone di fermarmi qui. Quale che sia l'origine della parola, è comunque possibile
seguire buona parte della sua trasformazione successiva. Le prime attestazioni che ho
trovato risalgono all'inizio del secolo passato, durante l'occupazione di Roma da parte dei
francesi. Contro di loro furono prodotti stornelli, pasquinate e sonetti, come ad esempio
quello che dichiara:
!
Bigna davvero, che 'sti froci matti
che da tutti son detti sanculotti
pensino che de stucco semo fatti
che vonno venì a Roma a fà scialotti.
(DEL CERRO, p. 76)
!
Che a quell'epoca i “froci” fossero sì francesi, però “normali”, lo rivelano tre versi di uno stornello
antifrancese degli stessi anni:
Fiore de pera;
sto frocio che a mia fija fa la mira,
ha voja de cenà l'urtima sera.
(DEL CERRO, p. 79)
Come si noterà, qui ad essere presa di mira e la fija (e non il fijo) dello stornellatore. Dopo solo un
quarto di secolo ritroviamo questa parola con un significato più largo, che comprende
indistintamente tutti gli stranieri (“svizzeri” del Papa inclusi, ovviamente; e forse fu proprio la
presenza di questo visibilissimo contingente di lingua tedesca a dare a frocio il significato
antonomastico di tedesco, che è quello conosciuto da CHIAPPINI). In una pasquinata, scritta
durante il conclave del 1823 contro il cardinale bavarese Höfflin, si legge infatti:
!
Non ve fidate tanto de sti froci:
so de fà bene ar prossimo incapaci:
so a pagà tardi, ed a piglià veloci
(RASSEGNA, p. 374)
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!
Va incidentalmente aggiunto che non sarebbe senza importanza lo stabilire se più antiche
attestazioni di questa parola (se esistono) usano frocio nel significato generico di “straniero”,
oppure nel significato particolare di “francese” o di “tedesco”. Riuscire a verificare simile priorità
aiuterebbe a privilegiare una delle etimologie proposte piuttosto che l'altra. Ad ogni modo è certo
che verso la metà del secolo scorso “frocio” veniva usato genericamente contro tutti gli stranieri. E
siccome il è quello che è, non tardò a manifestarsi un ulteriore allargamento di significato. Dopo
l'attestazione appena riportata, FROCIO entrò infatti nella crisalide del gergo della malavita, dove
fu ulteriormente rielaborato. Non ho ovviamente trovato testimonianze relative a questa evoluzione
sotterranea, ma è facile intuire che durante questa fase FROCIO assunse dapprima il significato di
“uomo spregevole” in genere (spregevole come uno straniero, evidentemente), e poi (abbiamo già
visto questa evoluzione in FINOCCHIO), l'uomo spregevole per eccellenza: l'omosessuale
passivo. Nel 1910 uscì dal bozzolo con quest’ultimo significato: MIRABELLA registra nel gergo
dei criminali questo termine (oscillando tra la grafia frocio e quella froscio) e lo glossa come
“effeminato”. Da qui al significato odierno il passo è ormai brevissimo, e l'attuale enorme
diffusione della parola credo mi esenti dal presentarne esempi d'uso.
305.FTM, FVM: acronimo per ‘female to male’; indica il percorso transessuale dal femminile al
maschile. FtM o F2M (Female to Male) è un acronimo inglese indicante una persona che
opta per una transizione del proprio corpo da femmina a maschio. In inglese viene anche
usato il termine transman o trans man, cioè uomo trans. Gli FtM sono persone
geneticamente di sesso femminile (aventi cromosomi sessuali XX) che si identificano e si
sentono uomini, desiderando di vivere nel ruolo di genere maschile; questa condizione è
causata dalla disforia di genere. Attualmente esistono terapie ormonali principalmente a base
di testosterone e di altri androgeni steroidei, oltre alle terapie chirurgiche quali:
mastectomia, isterectomia e interventi demolitivi/ricostruttivi dei genitali a cui possono
sottoporsi le persone trans*, seguendo così un percorso di transizione per adeguare il proprio
corpo all'identità di genere sentita. Alla fine di tale percorso, secondo la legge del 164/82, è
possibile rettificare sui documenti di riconoscimento il genere sentito/raggiunto e il nome
maschile prescelto. La casistica è molto varia e le condizioni possono variare da persona a
persona, ma molti uomini transessuali preferiscono essere considerati uomini a tutti gli
effetti, in particolar modo quando la loro transizione è ultimata, perciò preferiscono venir
chiamati semplicemente uomini, senza l'aggettivo transessuale. Così come gli uomini nati
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tali, anche l'orientamento sessuale degli uomini trans può essere diverso da individuo a
individuo, perciò un FtM può essere: un uomo eterosessuale (a cui piacciono le donne)
oppure omosessuale (a cui piacciono altri uomini) o bisessuale, comprendendo tutte le altre
sfumature intermedie di preferenze sessuali. Secondo il DSM-IV, la maggior parte degli
uomini trans è "sessualmente attratta dalle femmine".
306.FUORI: una delle prime associazioni gay italiane attiva negli anni ’70.
307.Futanari: è un termine giapponese composto che significa "due metà" o "nuova metà" in
giapponese, ed è un genere di manga o anime giapponese pornografico (comunemente detto
hentai in occidente) i cui protagonisti sono ermafroditi o femmine con genitali maschili,
spesso esagerati oltre le dimensioni normali. Con futanari ci si può anche riferire ai
protagonisti del genere stesso, piuttosto che al genere. In occidente (particolarmente in paesi
di lingua inglese) ci si può riferire a questo termine anche utilizzando i termini dickgirls
(eufemisticamente ragazze con il pene, dick è una forma molto volgare di pene) o shemales
(dove she è il pronome per la terza persona femminile dell'inglese e males significa
"maschi") sebbene siano generalmente considerati volgari. Recentemente (in occidente) si è
anche iniziato ad utilizzare il termine Newhalf per indicare personaggi con corpo femminile
e soli genitali maschili, ed ad utilizzare 'Futanari' per riferirsi specificatamente agli
ermafroditi. Si può pensare che il futanari sia una derivazione dello yuri o dello yaoi, dato
che le storie sono più vicine a questi due generi che non alle storie hentai regolari. Secondo
altri è una derivazione più mondana dello youkai, che alle volte rappresenta creature o
personaggi mitologici.
308.Gaio: gay, ‘atmosfera gaia’.
309.Gaius vivendi: modo di vivere dei gay.
310.Gamasixsualist: omosessuale in lingua russa traslitterata.
311.Gamberone: gay dal bel fisico ma con un viso poco attraente.
312.Ganimede: giovane coppiere greco, amato da Giove che lo rapisce trasformandosi in aquila.
313.Garofano Verde: importante rassegna teatrale a tematica omosessuale a Roma.
314.Garruso: tipico della Sicilia è usato come insulto per indicare i gay. Varianti: Iarruso,
garrusa. (e le varianti ARRUSU, IARRUSU, JARRUSU). Termine siciliano che indica
l'omosessuale passivo. Sembra che una volta di più ci troviamo di fronte all'equiparazione
fra il giovane e l'omosessuale passivo (cfr. BARDASSA). L'etimologia, proposta da
PELLEGRINI, fa infatti riferimento all'arabo (c)arùs, “fidanzata”, “giovane”, e potrebbe
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essere la stessa del controverso carusu, “ragazzo”. Del resto, secondo CONSOLI, il termine
indica a Messina (proprio come BARDASSA in italiano) anche un ragazzo fin troppo
vivace, un monellaccio.Un'attestazione di tale parola troviamo già in una legge del XIV
secolo:
Hai iniuriato ad alcuna fimina bagaxa, o i garzuni karrusu scassatu...
(PELLEGRINI, vol. 1, p. 211).
315.Gay: è un termine importato dalla lingua inglese ed è sinonimo di omosessuale. La radice di
questa parola è quella dell'antico francese (più esattamente, provenzale) gai: "allegro",
"gaio", "che dà gioia" (come "lo gai saber", "la gaia scienza", che per i trovatori è la scienza
d'Amore) che passò in inglese come gay. In questa lingua la parola acquisì nel Settecento il
senso di "dissoluto", "anticonformista" (come in "allegro compare"). Il significato peggiorò
ancora nell'Ottocento, fino a voler dire "lussurioso", "depravato". Ecco perché,
nell'Inghilterra dell'Ottocento, una gay woman era "una donnina allegra" cioè una prostituta,
mentre una gay house (letteralmente "casa allegra") era un bordello. La connotazione
omosessuale della parola, in questa fase, non era ancora presente. La connotazione
dell'omosessualità si ha solo nell'inglese parlato negli USA, prima del 1920, anno dal quale
iniziano a moltiplicarsi le attestazioni dell'uso del termine gay col significato di omosessuale
(riferito ai soli uomini, e non senza un beffardo parallelo con la gay woman), nel gergo della
sottocultura statunitense, in cui oggi viene usato anche il sinonimo faggot, considerato però
con un'accezione molto volgare. Un esempio dell'uso popolare di tale termine si ha nella
versione originale del film del 1969, Un uomo da marciapiede (Midnight Cowboy) in cui
l'attore Dustin Hoffman critica l'atteggiamento del coprotagonista, Jon Voight, con la frase
"That's faggot stuff!" (Questa è roba da gay!). Negli anni trenta il termine "gay" era già
compreso dalla massa dei parlanti americani col senso di "omosessuale": lo rivela un film
del 1938, Susanna, nel quale l'attore Cary Grant è sorpreso, per un malinteso comico, in
vesti femminili. A chi gli chiede il perché, risponde stizzito: "Because I just went gay all of a
sudden!", "Perché sono appena diventato gay tutto d'un tratto!". Il "grande salto" nell'uso di
questo termine avvenne comunque solo nel 1969, con la nascita negli USA del nuovo
movimento di liberazione omosessuale. I nuovi militanti rifiutarono i termini usati fin lì,
come omosessuale e soprattutto omofilo. Non volendo più essere definiti con le parole usate
dagli eterosessuali, spesso ingiuriose, la comunità omosessuale scelse di auto-definirsi
(come già avevano fatto i neri, che avevano rifiutato nigger preferendogli black) usando un
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termine del loro stesso gergo, cioè appunto gay. Era nato il Gay Liberation Front (GLF).
Sull'esempio americano, gay si diffuse nel mondo ovunque esistesse un movimento di
liberazione omosessuale. La diffusione in Italia di questa parola attraverso il movimento di
liberazione gay, dal quale passò al linguaggio generale, data dal 1969-1971. Non senza
qualche protesta iniziale in Piemonte, dove sono diffusi i cognomi, di origine provenzale,
"Gay" e "Gai". Dal significato originario di "omosessuale orgoglioso e
militante" (contrapposto all'"omosessuale" vecchio stile) oggi gay è passato a indicare
semplicemente la persona omosessuale in quanto tale, indipendentemente dalle sue idee
politiche. Si noti che negli anni settanta in Italia il movimento lesbico-separatista italiano
scelse la parola lesbica come preferibile al generico (e "maschile") "gay".Una chiara
conseguenza di tale proposta si ha nell'esistenza, in Italia, di un ARCI gay (oggi Arcigay) e
di un'ARCI lesbica (oggi Arcilesbica) separati anche dal punto di vista della terminologia.
La scarsa conoscenza delle origini del movimento gay da parte della generazione più
giovane di omosessuali, ha favorito la diffusione negli Usa di una leggenda urbana secondo
cui gay nascerebbe come acronimo (cioè sigla) delle parole Good As You ("buono/valido
quanto te"), che sarebbero state utilizzate, per la prima volta, attorno agli anni venti del
secolo scorso, in California, in una manifestazione di omosessuali. Questa spiegazione è del
tutto fantasiosa e, come si è visto, non ha nulla a che vedere con le reali origini della parola
e del suo uso. Nonostante tutto, in Italia, questa sigla è stata utilizzata come titolo d'uno
spettacolo teatrale, oltre che di una trasmissione televisiva settimanale romana indirizzata
soprattutto ad un pubblico gay. L'uso di gay come sinonimo di omosessuale, ha sottoposto
questa parola alla stessa usura che in Italia ha trasformato alcuni eufemismi, come
"finocchio" o "invertito", in insulti. Ed oggi "gay" viene usato, nei Paesi esteri, anche come
insulto. Negli USA, tale scivolamento di significato, è stato particolarmente accentuato al
punto che "gay" è diventato sinonimo colloquiale di lame, boring, bad, cioè di "mediocre",
"noioso", "brutto", "schifoso/cattivo". "Il film che ho visto ieri sera is so gay", cioè "fa
schifo, è noioso".Quest'uso gergale è talmente comune che spesso è applicato senza
nemmeno pensare a cosa si riferisca la parola, con esiti anche comici: "My computer is
acting gay", "Il mio computer funziona male" (ma letteralmente: "Si comporta da gay").
Alcuni esempi di tale scivolamento di significato possono essere considerati gli Anal cunt,
un complesso grindcore non gay, i quali in numerosi titoli delle loro canzoni insultano come
"gay" tutti coloro o tutto ciò che non amano (da Bill Gates, alla ceramica, fino ai loro fans),
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oppure F