Trauma Journal Club numero 8 - Italian Resuscitation Council

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Trauma Journal Club numero 8 - Italian Resuscitation Council
TJC
Anno 4 Numero 8, Giugno 2014
Trauma
Cranico
In questo numero
✦
Expert opinions
✦
Novità sulla PIC?
✦
Ipotermia terapeutica
✦
Cochrane: Mannitolo
✦
Trauma cranico e nuovi
anticoagulanti
✦
Nursing nel trauma cranico
✦
Dexmedetomidina
✦
Extraopsedaliero: ipertonica.
✦
Pillole di metodologia
✦
Trauma cranico lieve
Nel prossimo
numero
Trauma Pelvico
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Redazione TJC
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Italian Resuscitation Council
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Editoriale
L’incidenza del trauma cranico in Europa è stimata attorno ai
235 casi per 100.000 abitanti per anno, in Italia in base a
questi dati ci si aspetta di avere 141.000 pazienti per anno. Il
trauma cranico rappresenta, per frequenza e per impiego di
risorse, uno dei maggiori problemi sanitari, risultando la
prima causa di morte in Italia fra i 15 ed i 44 anni. L’incidenza
di pazienti in coma dopo trauma cranico è di circa 20-25 casi
per 100.000 abitanti per anno (12-15000 pazienti in coma
all’anno). Questi numeri insieme al desiderio di fornire ai
colleghi lo stato dell’arte su alcuni quesiti clinici hanno
portato a dedicare il secondo numero del 2014 al tema del
trauma cranico. Rispetto al numero precedente il comitato di
redazione (che ringrazio per il gran lavoro svolto) ha
stimolato alcuni ad effettuare una revisione della letteratura,
per avere quando possibile delle risposte chiare a domande
quali: “come ci si deve comportare con un paziente con
emorragia intracranica conseguente a trauma in terapia con i
nuovi anticoagulanti orali?” oppure “la Dexmedetomidina
potrà un giorno essere utilizzata nel trauma cranico?” argomenti su cui non ci sono ancora indicazioni evidence
based, e proprio per questo fonte di maggior difficoltà per il
clinico. E’ con grande soddisfazione che vi offriamo due
estratti dalla recente letteratura accompagnati dall’opinione
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TJC
Anno 4 Numero 8, Giugno 2014
degli esperti su argomenti ancora dibattuti, quali le applicazioni cliniche del monitoraggio della
pressione endocranica e l’utilizzo dell’ipotermia terapeutica nel trauma cranico, e un approfondimento
su tematiche assistenziali di fondamentale importanza nel paziente con lesioni cerebrali. Come nel
numero precedente abbiamo avuto la possibilità di mantenere la rubrica curata dal metodologo che in
questo caso ci aiuta ad andare oltre i luoghi comuni sulle revisioni sistematiche e narrative. Applicando la struttura tipica del TJC: riassunto di un articolo e commento vengono affrontati i
quesiti sull’utilizzo dell’ipertonica nell’extraospedaliero e gli aspetti assistenziali. Infine il tema del
trauma cranico lieve è stato trattato mettendo a confronto due protocolli clinici in uso in due ospedali
italiani.'
Come nel numero precedente si è cercato di dare spazio a temi diversi, in modo da fornire supporto
all’attività dei medici e degli infermieri che lavorano quotidianamente sul trauma. Uno degli obiettivi
che si pone il TJC è quello di costituire uno strumento di confronto tra i diversi centri italiani che
trattano il trauma, per raggiungere questo ambizioso obiettivo è necessaria una larga partecipazione,
per cui in queste pagine non ci stancheremo di sottolineare, che queste rivista è aperta al contributo di
tutti. In quest’ottica il comitato di redazione si auspica per il prossimo numero, dedicato al trauma
pelvico, di ricevere suggerimenti, contributi, commenti all’indirizzo [email protected].
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Buona lettura a tutti!'
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Dott. Luca Delpiano,!
Torino!
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INDICE
Editoriale_________________________________________________________________________ p.1'
1. Applicazioni cliniche del monitoraggio della pressione intracranica in pazienti con lesione
cerebrale traumatica________________________________________________________________ p4'
Expert opninion ___________________________________________________________________ p9'
Cochrane:mannitol for acute traumatic brain injury ____________.______________________ p10'
2 . S o l u z i o n i i p e r to n i c h e n e l p r e o s p e d a l i e r o p e r l a g e s t i o n e d e l t r a u m a c r a n i c o
severo____________________________________________________________________________ p12'
3. Il valore dell’ipotermia terapeutica nell’adulto dopo trauma cranico.___________________ p15'
Expert opinion____________________________________________________________________ p18'
4. Trauma Cranico e complicanze emorragiche in pazienti trattati con nuovi anticoagulanti
orali (NOACs). ___________________________________________________________________ p20'
5. Sedazione nel trauma cranico: la DEXMEDETOMIDINA sarà utilizzabile in futuro?
_________________________________________________________________________________ p29'
6. Trauma cranico lieve: due protocolli clinici a confronto.______________________________ p33'
PILLOLE DI METODOLOGIA PER UNA LETTURA CRITICA. __________________ p40'
7. Indicatori fisiologici e comportamentali del dolore nei pazienti con trauma cranico grave_ p43'
8. Gli effetti delle cure igieniche orali sulla pressione intracranica _______________________ p46'
9. L’effetto delle manovre di nursing sulla pressione endocranica in pazienti pediatrici con
trauma cranico. __________________________________________________________________ p48'
10. Gli effetti degli interventi assistenziali sulla Pressione IntraCranica (PIC)._____________ p50'
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1. Applicazioni cliniche del monitoraggio
della pressione intracranica in pazienti
con lesione cerebrale traumatica.
Acta Neurochir
DOI 10.1007/s00701-014-2127-4
CLINICAL ARTICLE - CONFERENCE REPORT
Sintesi a cura di Dott.ssa Alice
F. Mistretta, Torino
Clinical applications of intracranial pressure monitoring
in traumatic brain injury
Report of the Milan consensus conference
Clinical applications of
intracranial pressure
monitoring in
traumatic brain injury
Stocchetti N, Picetti E,
Berardino M, Buki A, Chesnut
R.M. et al. Acta Neurochir. May
2014.
Ac t a Nu e ro c h i r. I F 6. 3 3
Consensus Conference
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Nino Stocchetti & Edoardo Picetti & Maurizio Berardino & Andràs Buki &
Randall M. Chesnut & Kostas N. Fountas & Peter Horn & Peter J. Hutchinson &
Corrado Iaccarino & Angelos G. Kolias & Lars-Owe Koskinen & Nicola Latronico &
Andrews I. R. Maas & Jean-François Payen & Guy Rosenthal & Juan Sahuquillo &
Stefano Signoretti & Jean F. Soustiel & Franco Servadei
Received: 28 April 2014 / Accepted: 2 May 2014
# Springer-Verlag Wien 2014
Abstract
Background Intracranial pressure (ICP) monitoring has been
for decades a cornerstone of traumatic brain injury (TBI)
management. Nevertheless, in recent years, its usefulness
has been questioned in several reports. A group of neurosurgeons and neurointensivists met to openly discuss, and
provide consensus on, practical applications of ICP in severe
adult TBI.
Methods A consensus conference was held in Milan on October 5, 2013, putting together neurosurgeons and intensivists
with recognized expertise in treatment of TBI. Four topics
have been selected and addressed in pro-con presentations: 1)
N. Stocchetti
Department of Physiopathology and Transplant, Milan University,
Neuro ICU, Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore
Policlinico, Milan, Italy
K. N. Fountas
Department of Neurosurgery School of Medicine, University of
Thessaly, Larissa, Greece
E. Picetti (*)
Division of Anesthesia and Intensive Care, Azienda
Ospedaliero-Universitaria di Parma, Via Gramsci 14, 43100 Parma,
Italy
e-mail: [email protected]
M. Berardino
Anesthesia and ICU, Orthopedic and Trauma Hospital, AOU Città
della Salute e della Scienza, Turin, Italy
A. Buki
Department of Neurosurgery, University of Pécs and Clinical
Neuroscience Image Center of Hungarian Academy of Sciences
(HAS), Pécs, Hungary
P. Horn
Department of Neurosurgery, Dr. Horst Schmidt Klinik (HSK),
Wiesbaden, Germany
P. J. Hutchinson : A. G. Kolias
Division of Neurosurgery, Department of Clinical Neurosciences,
Addenbrooke’s Hospital & University of Cambridge, Cambridge
Biomedical Campus, Cambridge, UK
C. Iaccarino : F. Servadei
Division of Neurotraumatology-Neurosurgery, Azienda
Ospedaliero-Universitaria di Parma, ASMN-IRCCS Reggio Emilia,
Parma, Reggio Emilia, Italy
Introduzione
L.<O. Koskinen
Da decadi il monitorag gio della
R. M. Chesnut
Department of Neurosurgery, Umeå University Hospital, Umeå,
Department of Neurological Surgery, University of Washington
Sweden
School
of
Medicine,
Seattle,
WA,
USA
pressione intracranica (ICP) è
N. Latronico
R. M. Chesnut
Department of Anesthesia and Critical Care Medicine, University of
Department of Orthopaedic Surgery, University of Washington
considerato
str umento
Brescia at Spedali Civili, Brescia, Italy
School of Medicine, Seattle, WA, USA
fondamentale nella gestione del
A. I. R. Maas
R. M. Chesnut
Department of Neurosurgery, University Hospital Antwerp,
University of Washington School of Global Health, Seattle, WA,
Antwerp, Belgium
USA
trauma cranico. Le lineeguida
internazionali raccomandano il
monitora g gio della pressione
intracranica non solo nei pazienti con grave trauma cranico e lesioni evidenti alla TC encefalo, ma
anche in un sottogruppo di pazienti con trauma cranico severo con TC negativa, qualora vi siano
alterazioni sistemiche che possano predisporre allo sviluppo di ipertensione intracranica. '
L’utilità del monitoraggio della pressione intracranica é stata posta in discussione da Chesnut nel 2012
con uno studio randomizzato controllato pubblicato sul NEJM. Chesnut compara due diversi
protocolli di gestione: uno basato sul monitoraggio ICP, l’altro sulla valutazione clinica e sul controllo
seriato TC. L’outcome delle due strategie è risultato comparabile. Alcune obiezioni sono state sollevate
in merito alla potenza statistica del campione e alle peculiarità del paese in cui è stato condotto lo
studio (qualità del soccorso preospedaliero e possibilità di riabilitazione alla dimissione dalla terapia
intensiva). '
Questo e altri studi pubblicati negli ultimi anni hanno reso necessario puntualizzare le indicazioni al
monitoraggio della ICP.'
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Metodi Neurochirurghi e neurointensivisti con riconosciuta esperienza si sono riuniti per una
conferenza di consenso. Sono stati individuati quattro specifiche situazioni cliniche nell’ambito del
trauma cranico severo (definito da GCS inferiore a 9 dopo stabilizzazione emodinamica e respiratoria
in assenza di agenti anestetici e paralizzanti) nelle quali puntualizzare le indicazioni al monitoraggio
ICP:'
✦ Danno cerebrale diffuso'
✦ Contusione cerebrale'
✦ Craniotomia decompressiva'
✦ Evacuazione di ematoma intracranico sopratentoriale'
Di seguito le raccomandazioni prodotte dalla consensus conference.'
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1.
Danno cerebrale diffuso
Indicazioni al monitoraggio ICP:'
✦ In pazienti con trauma cranico grave e prima TC encefalo normale, il monitoraggio routinario
dell’ICP non è raccomandato. A causa della possibilità di peggioramento successivo alla prima
TC encefalica si raccomanda di eseguire una seconda TC a distanza. Il deterioramento
neurologico impone il controllo TC in urgenza.'
✦ Si raccomanda il monitoraggio della ICP nei pazienti che presentano minimi segni di lesione alla
prima TC (petecchie, emorragia subaracnoidea post-traumatica) e che alla seconda TC mostrino
evoluzioni come ad esempio lo sviluppo di una contusione o compressione delle cisterne basali .'
✦ I pazienti che presentano alla prima valutazione TC una lesione diffusa in presenza di segni di
edema (cisterne compresse/assenti) dovrebbero avere il monitoraggio di ICP.'
Discussione:
Per le lesioni diffuse, alcuni autori classificano come tali anche l’edema cerebrale, universalmente'
vengono invece incluse: le lesioni cerebrali multiple, il danno assonale diffuso, il danno ipossico e'
l’atrofia corticale e sottocorticale. In particolare, il danno assonale diffuso (DAI) è stato definito come'
consistente in focolai microemorragici multipli secondari allo stiramento e strappamento delle fibre'
nervose con sede caratteristica a livello delle strutture mediane del SNC, come il corpo calloso, i
gangli della base e la parte rostrale del tronco encefalico. Le linee guida della Brain trauma
Foundation (BTF) indicano, con un livello II di evidenza, il monitoraggio della ICP in tutti i pazienti'
con GCS dopo stabilizzazione di 3- 8 e anormalità alla TC encefalica. Inoltre, con un livello III di
evidenza sostengono l’indicazione al monitoraggio di ICP in pazienti con trauma cranico grave e TC
encefalica normale in associazione a due o più delle seguenti caratteristiche presenti all’ammissione:'
età maggiore di quarant’anni, asimmetria nella risposta motoria ed ipotensione.'
Queste raccomandazioni si basavano su studi di di Narayan et coll (1982) e Lobato (1986) che
dimostravano un’aumentata incidenza di ipertensione intracranica nei pazienti con trauma cranico
acuto e tac normale. Analogamente, nel 1991 Toutant et al osservavano che il 74% dei pazienti con
cisterne basali assenti presentavano valori di ICP maggiore di 30 mmHg. Una certa correlazione tra il
quadro TC, valutato con lo schema di Marshall ed ipertensione endocranica è stata descritta, specie
in presenza di cisterne basali assenti. Veniva infine riconosciuto un fattore di rischio aggiuntivo di
ipertensione endocranica nei pazienti con danno assonale diffuso, politrauma, shock emorragico,
coagulopatia.'
I meccanismi che causano ipertensione endocranica nel danno cerebrale diffuso non sono bene'
identificati. Possibili cause di incremento del volume possono essere l’ingorgo vascolare, l’alterazione'
dell’autoregolazione cerebrale, l’edema vasogenico.'
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2. Contusione cerebrale
Indicazioni al monitoraggio ICP:'
✦ È indicato il monitoraggio ICP nei pazienti con contusione cerebrale traumatica, in cui sia
inopportuna la sospensione della sedazione, in presenza di segni radiologici di ipertensione
endocranica, di insufficienza respiratoria grave, di patologie extracraniche che richiedano
interventi chirurgici di emergenza o quando l’esame clinico non è completamente affidabile come
in presenza di trauma maxillo-facciale o di lesione del midollo spinale.'
✦ Nei pazienti che presentano un’estesa contusione cerebrale traumatica frontale e/o una lesione
vicina al tronco cerebrale indipendentemente dall’iniziale score GCS. La sonda per il
monitoraggio ICP dovrebbe essere posizionata sulla sede della contusione più estesa.'
✦ Esiste un’incertezza circa i benefici del monitoraggio di ICP nei pazienti anziani. Si raccomanda
un controllo TC ravvicinato per individuare l’evoluzione dell’effetto massa, dell’ipodensità
perilesionale, dello shift della linea mediana, della compressione delle cisterne basali."'
✦ L’assetto coagulativo e la conta piastrinica sono elementi di rischio di estensione della
contusione.'
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Discussione:
Può essere osservata fino all’8.2% di tutti i traumi cranici gravi. L’incidenza di lesione parenchimale'
traumatica può essere fra il 13-35% dei casi di grave trauma cranico costituendo circa il 20% di tutta le'
indicazioni chirurgiche.'
La principale preoccupazione della contusione cerebrale traumatica é la potenziale evoluzione del'
processo occupante spazio: espansione emorragica, incremento di edema perilesionale e/o comparsa'
di nuove contusioni in un cervello precedentemente normale. Fattori di rischio di progressione sono:'
emorragia subaracnoidea post-traumatica, ematoma subdurale acuto, volume della contusione
superiore ai 5 cm3, ipotensione arteriosa, coagulopatia ed età avanzata.'
L’evoluzione in termini di aumento di volume intracranico è normalmente descritto con due picchi'
temporali: una fase precoce, entro 12-24 ore dall’evento principalmente dovuto all’evoluzione
dell’ematoma; ed una fase tardiva che dura 5-10 giorni dopo l’evento dovuto ad un incremento
dell’edema perilesionale.'
Quando l’evacuazione della contusione é eseguita come procedura in emergenza entro 24 ore
dall’evento, la principale indicazione chirurgica é data dall’effetto massa visualizzabile alle immagini
TC eseguite all’ammissione.'
Al contrario, in caso di evacuazione chirurgica ritardata, le principali indicazioni chirurgiche sono:'
✦ Incremento della dimensione dell’ematoma e shift della linea mediana;'
✦ Deterioramento clinico e/o incremento dell’ICP quando monitorata.'
La principale determinante per qualsiasi decisione chirurgica in caso di contusione cerebrale
traumatica é la combinazione della valutazione clinica e dei segni radiologici.'
Esami neurologici seriati sono la prima e più semplice modalità di monitoraggio. La sospensione della'
sedazione però può essere pericolosa e difficile in pazienti con segni radiologici di ipertensione
endocranica, insufficienza respiratoria, o perché sottoposti a procedure extracraniche d’emergenza.
Quando il monitoraggio clinico non è possibile, il monitoraggio ICP può essere importante per
riconoscere lesioni in evoluzione e facilitare una rapida risposta.'
L’incremento emorragico delle contusioni cerebrali non sempre è accompagnato da evoluzione
clinica, poiché i parametri radiologici e clinici possono non avere lo stesso corrispettivo evolutivo.'
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Basarsi pertanto solo sull’imaging non può essere sicuro. Il monitoraggio ICP può aiutare nei casi a'
rischio di ulteriore deterioramento.'
Peterson e Chesnut hanno dimostrato, grazie al monitoraggio di ICP, la pericolosità evolutiva della
contusione cerebrale traumatica frontale. Il deterioramento in questi pazienti si manifesta in modo
repentino per dislocazione posteriore del tronco cerebrale senza quei segni premonitori di
lateralizzazione generalmente osservati nei pazienti con erniazione temporale uncale.'
Altro aspetto da considerare, indipendentemente dall’evoluzione volumetrica della lesione, é la
compliance cerebrale, aumentata nei pazienti anziani per atrofia . In tali pazienti considerata la
possibilità di accogliere un maggior volume di contusione in assenza di deterioramento neurologico,
l’ipertensione endocranica non rappresenta un problema frequente.'
Nei pazienti affetti da lesioni cerebrali focali, si possono osservare, grazie al monitoraggio della ICP
gradienti pressori sopratentoriali interemisferici che anticipano il deterioramento neurologico.'
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3. Craniotomia decompressiva
Indicazioni al monitoraggio ICP:'
La procedura è generalmente raccomandata in seguito a craniectomia decompressiva al fine di'
valutarne l’efficacia terapeutica iniziale e come guida per ulteriore terapia.'
Discussione:
Per craniectomia decompressiva (DC) primaria si definisce la rimozione di una larga parte di teca'
cranica dopo evacuazione precoce di ematoma intracranico.'
La DC secondaria invece può essere intrapresa successivamente nei pazienti con lesioni craniche
acute ricoverati in terapia intensiva e sottoposti a monitoraggio di ICP.'
Con il ritorno di interesse di questa opzione chirurgica , diversi studi hanno valutato l’utilità del
monitoraggio di ICP prima e dopo l’intervento di decompressione osteodurale.'
Considerando che tali studi comprendevano casi di ipertensione endocranica refrattaria alla terapia
medica, in nessuno era evidente che la craniectomia decompressiva potesse determinare un’ efficace
riduzione dell’ipertensione endocranica; esiste comunque evidenza che l’elevazione dell’ ICP
avvenisse anche in seguito alla decompressione stessa.'
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4. Evacuazione di ematoma intracranico sopratentoriale
Indicazioni al monitoraggio ICP:'
Dovrebbe essere preso in considerazione il monitoraggio di ICP, dopo evacuazione di ematoma
intracranico nei pazienti con le seguenti caratteristiche e con un incrementato rischio di ipertensione
endocranica:'
✦ Dati di imaging e clinici preoperatori:'
• GCS motorio inferiore o uguale a 5 (comunque per pazienti giudicati salvabili)'
• Anormalità pupillare (anisocoria o midriasi bilaterale)'
• Prolungata/grave ipossia e/o ipotensione'
• Cisterne basali compresse o obliterate'
• Shift e della linea mediana maggiore di 5 mm'
• Shift della linea mediana che ecceda lo spessore dell’ematoma extra assiale'
• Ematoma extra assiale, lesione parenchimale come contusione o rigonfiamento cerebrale"
caratteristiche '
✦ Elementi clinici intraoperatorie:'
• edema cerebrale'
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caratteristiche cliniche
A cura di Dott.ssa Alice F. Mistretta, Torino
sistemiche:'
• lesioni extracraniche gravi
Commento
a s s o c i a te co m e t r a u m a
toracico grave , '
La ricerca e la scelta di tale articolo provengono dall’
• n e ce s s i t à d i i n te r v e n t i
esigenza di migliorare la gestione del traumatizzato cranico.
chirurgici multipli che
Il trauma cranico costituisce uno dei più importanti
possano richiedere più
problemi affrontati nella nostra realtà ospedaliera il cui
a n e s te s i e e p r o l u n g a te
outcome é pesantemente influenzato dalla qualità del
analgo/sedazioni. '
trattamento fin dalle prime ore dall’evento traumatico e dai
In questi pazienti non è facile
successivi fattori sistemici di aggravamento.'
eseguire una osser vazione
Nel corso degli ultimi anni la prognosi è migliorata grazie a
neurologica seriata e pertanto deve'
molteplici fattori: la migliore conoscenza della fisiopatologia
essere preso in considerazione
del trauma e il riconoscimento dei meccanismi alla base
l’opzione del monitoraggio.'
della lesione cerebrale; il sempre miglior supporto della
In assenza di monitoraggio ICP a
diagnostica (TAC e Risonanza Magnetica); la gestione
seguito di rimozione di ematoma
medica globale del paziente traumatizzato ed il
intracranico, diventa necessaria'
riconoscimento del valore del trattamento plurispecialistico;
una TC encefalo post-operatoria.'
l’esistenza di linee guida comuni in grado di indicare i
Discussione:
principi standard di trattamento e il riconoscimento del
Lo sviluppo di ematoma
ruolo fondamentale della riabilitazione.'
intracranico può avvenire in più
Rimane ancora un punto di discussione aperto i
del 45% dei casi di tutti i traumi
neurochirurghi: l’applicazione del monitoraggio della
cranici'
pressione intracranica nel paziente con trauma cranico. Mi
g r a v i . Po s s i a m o o s s e r v a r e l o
permetto di suggerire che l’informazione sia utile più per il
sviluppo di ematomi: extradurale
neurointensivista nella gestione di tali pazienti che non per
(EDH), subdurale (SDH)
il neurochirurgo, il quale nel momento in cui non pone
intraparenchimale (ICH) o una
indicazioni chir urgiche lascia il paziente in mano al
loro combinazione.Le linee guida
Rianimatore. Se è vero il mantenimento di un’omeostasi
della Brain Trauma Foundation
sistemica migliori l'outcome dello stesso, risulta
comprendono raccomandazioni
fondamentale il monitoraggio della pressione intracranica
all’evacuazione per i diversi tipi di
come guida nel trattamento.'
ematomi; indicazioni che sono
Ma quale sono le condizioni in cui si può aprire un dibattito
basate sulle caratteristiche cliniche
costruttivo con il neurochirurgo?'
(GCS score- pupille), parametri
Le nuove raccomandazioni elencate in tale documento
radiologici (dimensioni ed effetto
offrono suggerimenti specifici che permettono di orientare
massa), valori di ICP preoperatoria
m a g g i o r m e n te i l n e u r o r i a n i m a to r e n e l l a s c e l t a d i
in pazienti inizialmente gestiti con
posizionare il monitoraggio della pressione intracranica.'
solo terapia medica.Numerosi
studi di coorte hanno dimostrato
come l’ipertensione endocranica
sia indipendentemente associata ad un più alto rischio di morte a seguito del trauma cranico. Molti
degli studi riguardano il monitoraggio di ICP a seguito di evacuazione di ematoma subdurale acuto.'
Questo perché rappresenta approssimativamente i due terzi dei pazienti con danno cerebrale
sottoposti a chirurgia cranica di emergenza. Miller et al e Wilberger et al dimostrarono, nel loro
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gruppo di pazienti sottoposti a craniotomia per SDH, un’elevata mortalità a causa di una
incontrollata ICP nel periodo postoperatorio.'
EDH solitamente si presenta come una lesione isolata in assenza di lesione parenchimale ed edema; la
mortalità aumenta nel sottogruppo di pazienti che presentano edema emisferico o contusioni
multifocali. Nonostante un basso livello di evidenza è riconosciuta l’importanza del monitoraggio
della ICP dopo evacuazione di ematoma nel trauma cranico grave.'
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EXPERT OPINION!
Ho poco da aggiungere al commento della mia collega che presenta bene lo spirito del mio
gruppo. Per anni mi sono sentito dire “manca un prospettico randomizzato di classe prima …”
da quei colleghi che non ritenevano il presidio utile e che, dopo il lavoro di Chestnut, ora
dicono “hai visto che non serve a niente?”. La discussione in questi termini mi sembra
stucchevole. Il lavoro di Chestnut ha un messaggio ben chiaro che lui stesso poi in una serie di
editoriali ha provato a spiegare. Non si discute se il monitoraggio della pressione endocranica
serva o meno, occorre solo essere un po’ meno dogmatici sui quei 20 mmHg di soglia, non si
può pretendere di correlare ad un singolo presidio l’esito di un danno cerebrale, fingendo di non
sapere che lo stesso dipenda da una serie infinita di variabili che partono dai tempi e dai modi
in cui abbiamo soccorso il paziente in strada, da quello che abbiamo fatto in Pronto Soccorso e
poi in Terapia intensiva ed in Riabilitazione (se siamo riusciti a mandarceli).'
In altre parole il monitoraggio della Pressione Endocranica ce lo dobbiamo meritare: è la
ciliegina sulla torta di una buona catena del soccorso e di una buona terapia intensiva. Con una
base così è impossibile non avere la dimostrazione costante che serva a scegliere il momento in
cui fare il mannitolo, a modulare la sedazione prima del nursing, ad intuire quando il paziente
sta peggiorando e quindi a decidere per tempo se operare, se decomprimere; nello stesso modo
ci suggerisce quando si possa pensare ad un divezzamento dal trattamento intensivo. '
Infine il monitoraggio della pressione endocranica è uno strumento che serve sia all’Intensivista
sia al Neurochirurgo. Dobbiamo sforzarci di prendere la decisione insieme fin dall’inizio,
indipendentemente da chi poi la posizioni, perché nel momento in cui la pressione endocranica
sale, la decisione su cosa fare la dobbiamo prendere insieme e, spesso, la decisione migliore, se
si decide di intervenire, è quella chirurgica. '
L’articolo pubblicato su Acta Neurochirurgica posto alla vostra attenzione con la sintesi di A.F.
Mistretta ha proprio questo spirito: leggendo in modo attento la letteratura, colleghi che
quotidianamente trattano i traumi cranici in Centri di riconosciuto buon livello, ragionano su
quanto oggi sia sensato fare. '
Buon lavoro.'
Dr. Maurizio Berardino, !
Anestesia e TI - C.T.O.!
A.O. Città della Salute e della Scienza,!
Torino!
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COCHRANE: MANNITOL FOR ACUTE TRAUMATIC BRAIN INJURY !
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Wakai A, McCabe A, Roberts I, Schierout G.'
Cochrane Database of Systematic Reviews 2013, Issue 8.'
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Introduzione Le soluzioni a base di mannitolo rappresentano un efficace strumento di trattamento
dell’ipertensione endocranica secondaria ad edema cerebrale. Possedendo, infatti, funzione di diuretico
osmotico, il mannitolo è in grado di richiamare liquidi dall’ambiente extravascolare verso il
compartimento intravascolare, promuovendo la riduzione dell’edema. Tuttavia, esso non è scevro da
potenziali effetti collaterali, tra cui ipovolemia ed ipotensione, secondarie allo stimolo diuretico, ed
incremento paradosso della pressione endocranica per diffusione attraverso la barriera ematoencefalica.
Nell’ambito del trattamento del trauma cranico, il ruolo del mannitolo non è stato ancora definito con
certezza. Nel 1995, la Task Force della Brain Trauma Foundation ne raccomandava la somministrazione a
scopo antiedemigeno esclusivamente in presenza di segni clinico-strumentali di ipertensione endocranica
o di una condizione di deterioramento neurologico imminente.'
Obiettivo Al fine di tentare di risolvere l’annosa questione, nel 2013, la Cochrane Collaboration ha
condotto una revisione sistematica della letteratura con lo scopo di:'
✦ definire l’effettiva efficacia della terapia con mannitolo, con riferimenti a differenti regimi di
dosaggio e durata; '
✦ paragonare l’efficacia del mannitolo con quella di altri farmaci comunemente impiegati allo scopo di
ridurre la pressione endocranica; '
✦ valutare l’efficacia del mannitolo nelle varie fasi che possono susseguirsi nel decorso clinico
secondario ad una lesione cerebrale traumatica.'
Materiali e Metodi Revisione sistematica della letteratura realizzata mediante:'
✦ Ricerca bibliografica aggiornata al 20 aprile 2009 consultando le seguenti banche dati: Cochrane
Injuries Group Specialised Register, CENTRAL, MEDLINE, EMBASE, ISIWeb of Science,
Conference Proceedings Citation Index- Science, PubMed'
✦ Selezione degli studi: sono stati inclusi solo studi randomizzati controllati relativi a trattamento in
fase acuta con mannitolo su pazienti con trauma cranico di ogni entità'
✦ Valutazione critica degli studi selezionati realizzata da ogni autore in autonomia'
Risultati Sono stati identificati soltanto 4 studi clinici randomizzati e controllati condotti, in ambito
intra- o extra-ospedaliero, su pazienti adulti, vittime di trauma cranico moderato o severo, randomizzati
a ricevere mannitolo oppure placebo (soluzione fisiologica), pentobarbital o soluzione salina ipertonica
7,5%. '
✦ Nel 1984 Schwartz ha condotto uno studio su pazienti con trauma cranico severo e con incremento
della pressione intracranica della durata superiore a 15 minuti. Un gruppo di pazienti era stato
randomizzato a ricevere mannitolo 20% 1 g/kg, in aggiunta ad ulteriori somministrazioni, fino ad
ottenere un valore di ICP <20 mmHg ed una osmolarità sierica non superiore a 320 mOsm/l. Al
secondo gruppo di pazienti era stato somministrato pentobarbital in bolo endovenoso di 10 mg/kg,
seguito da infusione continua a 0,5-3 mg/kg/h, titolata per garantire una pressione di perfusione
cerebrale di almeno 50 mmHg ed un valore di ICP <20 mmHg. Dai risultati è emerso che il
mannitolo potrebbe esercitare un maggiore effetto protettivo in termini di mortalità quando
confrontato con il pentobarbital per il trattamento dell’ipertensione intracranica (RR 0,85; 95% CI
0,52-1,38). Tuttavia, lo studio presentava il limite di non essere stato condotto in doppio cieco. '
✦ Nel 1986 Smith ha posto a confronto due differenti regimi di somministrazione del mannitolo, in
pazienti con trauma cranico severo: il primo basato su segni clinico-strumentali di ipertensione
endocranica, il secondo centrato sulla misurazione strumentale dei valori di pressione intracranica.
Il trattamento ICP-guidato ha mostrato minimo beneficio in termini di mortalità (RR 0,83; 95% CI
0,47-1,46). Tuttavia, i risultati andrebbero confermati su un campione più ampio. '
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Nel 2003 Vialet ha posto a confronto il trattamento con mannitolo e soluzione salina ipertonica
7,5% nei pazienti con trauma cranico severo per il trattamento di episodi di ipertensione
endocranica refrattaria alla terapia standard (drenaggio liquorale, espansione volemica ed
iperventilazione). Dai risultati è emerso che il mannitolo potrebbe avere un effetto negativo in
termini di aumento di mortalità rispetto alla soluzione ipertonica (RR 1,25; 95% CI 0,47-3,33).
Tuttavia, anche in questo caso il campione oggetto di studio era troppo piccolo per consentire di
trarre delle conclusioni definitive. '
Solo uno dei quattro studi, condotto da Sayre nel 1996, ha provato l’efficacia della somministrazione
preospedaliera di mannitolo, confrontandola con placebo (NaCl 0,9%), in pazienti con trauma
cranico moderato o severo. Tuttavia, i risultati non erano sufficienti per confermare l’efficacia della
terapia con mannitolo precoce in ambito preospedaliero, nuovamente a causa del piccolo numero
dei partecipanti allo studio (RR 1,75; 95% CI 0,48-6,38). '
Conclusioni A causa dell’esiguità degli studi randomizzati e controllati e dei limiti che li caratterizzano,
al momento non è possibile identificare un grado di evidenza sufficiente per poter definire con certezza le
precise indicazioni e restrizioni della terapia osmotica con mannitolo nel trattamento dell’ipertensione
endocranica. Ci si augura che l’esecuzione di ulteriori trial randomizzati e controllati in futuro possa
definirne l’effettiva efficacia, i corretti campi di applicazione, e se sia giustificato o meno prediligere tale
agente osmotico rispetto ad altri nell’ambito del trattamento farmacologico dell’ipertensione
endocranica refrattaria al trattamento di prima linea. '
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Sintesi a cura di Dott.ssa Elen Salerno !
Scuola di Specializzazione in Anestesia Rianimazione, !
Università degli Studi di Torino!
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2. Soluzioni ipertoniche nel preospedaliero
per la gestione del trauma cranico severo.
ORIGINAL CONTRIBUTION
Sintesi a cura di Dott. Giacinto
Pizzilli, Milano
Out-of-Hospital
Hypertonic
Resuscitation
Following Severe
Traumatic Brain
Injury
Bulger et al. JAMA. 2010;304:
1455-1464'
JAMA. IF Trial
Randomizzato Controllato
Out-of-Hospital Hypertonic Resuscitation
Following Severe Traumatic Brain Injury
A Randomized Controlled Trial
Eileen M. Bulger, MD
Susanne May, PhD
Karen J. Brasel, MD
Martin Schreiber, MD
Jeffrey D. Kerby, MD
Samuel A. Tisherman, MD
Craig Newgard, MD
Arthur Slutsky, MD
Raul Coimbra, MD, PhD
Scott Emerson, MD
Joseph P. Minei, MD
Berit Bardarson, RN
Peter Kudenchuk, MD
Andrew Baker, MD
Jim Christenson, MD
Ahamed Idris, MD
Daniel Davis, MD
Timothy C. Fabian, MD
Tom P. Aufderheide, MD
Clifton Callaway, MD, PhD
Carolyn Williams, RN
Jane Banek
Christian Vaillancourt, MD
Rardi van Heest, MD
George Sopko, MD
J. Steven Hata, MD
David B. Hoyt, MD
for the ROC Investigators
Context Hypertonic fluids restore cerebral perfusion with reduced cerebral edema
and modulate inflammatory response to reduce subsequent neuronal injury and thus
have potential benefit in resuscitation of patients with traumatic brain injury (TBI).
Objective To determine whether out-of-hospital administration of hypertonic fluids improves neurologic outcome following severe TBI.
Design, Setting, and Participants Multicenter, double-blind, randomized, placebocontrolled clinical trial involving 114 North American emergency medical services agencies within the Resuscitation Outcomes Consortium, conducted between May 2006
and May 2009 among patients 15 years or older with blunt trauma and a prehospital
Glasgow Coma Scale score of 8 or less who did not meet criteria for hypovolemic shock.
Planned enrollment was 2122 patients.
Intervention A single 250-mL bolus of 7.5% saline/6% dextran 70 (hypertonic saline/
dextran), 7.5% saline (hypertonic saline), or 0.9% saline (normal saline) initiated in
the out-of-hospital setting.
Main Outcome Measure Six-month neurologic outcome based on the Extended
Glasgow Outcome Scale (GOSE) (dichotomized as !4 or "4).
Results The study was terminated by the data and safety monitoring board after
randomization of 1331 patients, having met prespecified futility criteria. Among the
1282 patients enrolled, 6-month outcomes data were available for 1087 (85%). Baseline characteristics of the groups were equivalent. There was no difference in 6-month
neurologic outcome among groups with regard to proportions of patients with severe
TBI (GOSE "4) (hypertonic saline/dextran vs normal saline: 53.7% vs 51.5%; difference, 2.2% [95% CI, −4.5% to 9.0%]; hypertonic saline vs normal saline: 54.3% vs
51.5%; difference, 2.9% [95% CI, −4.0% to 9.7%]; P=.67). There were no statistically significant differences in distribution of GOSE category or Disability Rating Score
by treatment group. Survival at 28 days was 74.3% with hypertonic saline/dextran,
75.7% with hypertonic saline, and 75.1% with normal saline (P=.88).
Conclusion Among patients with severe TBI not in hypovolemic shock, initial resuscitation with either hypertonic saline or hypertonic saline/dextran, compared with
normal saline, did not result in superior 6-month neurologic outcome or survival.
Trial Registration clinicaltrials.gov Identifier: NCT00316004
www.jama.com
JAMA. 2010;304(13):1455-1464
Introduzione '
lost from any cause and carries the highCurrent therapy following severe TBI
est burden on loss of quality-adjusted is focused on minimizing secondary inIl trattamento del trauma cranico
life-years among survivors. The pri- jury by supporting systemic perfusion
RAUMATIC BRAIN INJURY (TBI) IS mary injury to the brain occurs at the and reducing intracranial pressure
severo (sTBI) è finalizzato a
the leading cause of death fol- time of impact; however, subsequent
lowing blunt trauma, and sur- compromise of cerebral perfusion can
ischemic insult thate
extends
vivors often
severe dis- lead to an
minimizzare il danno secondario supportando
lasustain
perfusione
sistemica
riducendo la pressione
ability. TBI is responsible for the the primary injury, creating a secondgreatest number of potential years of life ary brain injury.
intracranica (ICP). Le soluzioni ipertoniche
si sono dimostrate efficaci nel ridurre l’ICP e nel
©2010 American Medical Association. All rights reserved.
migliorare la perfusione cerebrale in modelli animali e in pazienti con sTBI. Inoltre, diversi studi
hanno suggerito effetti benefici anche in termini di vasoregolazione ed immunomodulazione. Alcuni
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risultati suggeriscono che la somministrazione
precoce di soluzioni ipertoniche a pazienti con sTBI
potrebbe migliorare la sopravvivenza, ma non sono noti gli effetti sull’outcome neurologico.'
Obiettivo
Determinare se la somministrazione preospedaliera di soluzioni ipertoniche in pazienti con trauma
cranico severo, in assenza di shock emorragico, migliora l’outcome neurologico a sei mesi.'
Materiali e metodi
Studio randomizzato controllato in doppio cieco EMS condotto dal Resuscitation Outcomes
Consortium (ROC), un network che include centri clinici regionali tra Stati Uniti e Canada. '
I pazienti con sospetto sTBI sono stati randomizzati in 3 gruppi cui è stato somministrato nel preospedaliero un bolo di 250ml di'
✦ salina ipertonica 7.5% '
✦ salina ipertonica 7,5%/destrano-70 6% '
✦ soluzione fisiologica 0.9%'
Criteri di inclusione: trauma chiuso, GCS ≤8 (sospetto trauma cranico severo), età >15anni, pressione
sistolica (PAS)> 90mmHg o PAS< 90 mmHg, ma > 70 mmHg con frequenza cardiaca < 108/min. Outcome primario: stato neurologico a sei mesi dal trauma basato sulla Extended Glasgow Outcome
Score (GOSE)'
T
1
2
Author Affiliations are listed at the end of this article.
Corresponding Author: Eileen M. Bulger, MD, Department of Surgery, Harborview Medical Center, 325
Ninth Ave, PO Box 359796, Seattle, WA 98104
([email protected]).
(Reprinted) JAMA, October 6, 2010—Vol 304, No. 13
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Oucomes secondari (tra gli altri): sopravvivenza a 28 giorni, ICP (quando monitorata), necessità di
interventi chirurgici per la gestione dell’ipertensione endocranica, richiesta di liquidi ed emoderivati
nelle prime 24 ore, infezioni nosocomiali.
La numerosità del campione prefissata era di 2122 pazienti.'
Risultati
Lo studio è stato interrotto per futilità dopo che tra il Maggio 2006 ed il Maggio 2009 sono stati
randomizzati 1331 e trattati 1282 pazienti. Non si sono evidenziate differenze significative di Injury
Severity Score e di Abbreviated Injury Score tra i gruppi trattati.'
✦ L’outcome neurologico a 6 mesi è stato ottenuto per 1087 pazienti (85%). Non c’è stata differenza
tra i pazienti dei gruppi con trattati con ipertoniche vs soluzione fisiologica (GOSE ≤ 4 salina
ipertonica vs. soluzione fisiologica: 54.3% vs 51.5%; differenza, 2.9% [95% CI, −4.0% to 9.7%];
salina ipertonica/destrano vs soluzione fisiologica: 53.7% vs 51.5%; differenza, 2.2% [95% CI,
−4.5% to 9.0%]; P=.67)'
✦ Come atteso la natriemia è risultata > 145mEq/L a 12 ore dal trattamento nel 36,5% dei casi
trattati con ipertoniche contro il 13,4 dei trattati con fisiologica (p<0.01). '
✦ L’ICP è stata posizionata nel 28% dei casi. Non c’è stata differenza significativa nei tempi di
posizionamento (tempo medio in ore: 4.7 ipertonica/destrano, 4.8 ipertonica, 4.7 fisiologica), nei
valori iniziali di ICP, aumento dell’ICP o riduzione della pressione di perfusione cerebrale entro
le prime 12 ore.'
✦ Non ci sono state differenze significative nella percentuale di pazienti dei 3 gruppi sottoposti ad
interventi per la riduzione dell’ICP quali: iperventilazione nei primi 5 giorni, uso di mannitolo
nelle prime 12 ore, uso addizionale di soluzioni ipertoniche nei primi 5 giorni, pazienti sottoposti
a ventricolostomia o craniotomia nei primi 5 giorni.'
✦ Nei pazienti sottoposti ad trattamento con soluzioni ipertoniche si è evidenziata una maggiore
incidenza di infezioni delle vie urinarie ed emocolture positive (ipertonica/destrano,16.3%,
ipertonica 18.5%, fisiologica 21.8%; p<0.05).'
✦ Non si sono evidenziati aumenti dei sanguinamenti intracranici nei pazienti trattati con
ipertoniche sottoposti a TAC seriate (ipertonica/destrano,16.3%, ipertonica 18.5%, fisiologica
21.8%; p=.11)'
Conclusioni
Questo è il trial randomizzato con il campione più ampio fino ad oggi realizzato sull’utilizzo di
soluzioni ipertoniche in seguito a sTBI. Non sono state osservate differenze inerenti i valori iniziali di
ICP, sebbene questa sia stata posizionata solo nel 27.5% dei pazienti arruolati. A differenza di quanto
osservato in studi su animali non è stata osservata una riduzione nell’incidenza delle infezioni, al
contrario sono aumentate le infezioni delle vie urinarie e le emocolture positive. '
Non è stato possibile dimostrare alcun miglioramento nell’outcome neurologico a 6 mesi per i
pazienti con sospetto sTBI (GCS≤8) trattati nel preospedaliero. '
Pur non escludendo che le soluzioni ipertoniche possano essere utili se somministrate con altre
modalità, attualmente non ci sono evidenze per consigliarne l’uso routinario in ambito
preospedaliero.'
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Limiti
Non sono state poste indicazioni sulle modalità di gestione dei pazienti durante la fase
intraospedaliera. Il monitoraggio dell’ICP, il tempo di posizionamento, la somministrazione di
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ulteriori soluzioni ipertoniche e di mannitolo erano lasciate alla discrezione del neurochirurgo.'
A cura di Dott. Giacinto Pizzilli, Milano
Commento
Questo studio introduce il controverso ruolo delle soluzioni ipertoniche (HES) nel trattamento
del trauma cranico. '
I meccanismi fisiopatologici su cui si basa il loro impiego sono basati sul gradiente osmotico
che esse determinano tra cellule e plasma. Inoltre la somministrazione di HES determinerebbe
la diluizione delle proteine interstiziali, con conseguente richiamo di fluidi dall’interstizio al
plasma. La conseguenza sarebbe la riduzione del volume cerebrale e quindi della pressione
intracranica.'
Non solo, diversi studi hanno attribuito alle HES ulteriori proprietà. Tra questi: la riduzione
della viscosità ematica con conseguente vasocostrizione compensatoria, proprietà
immunomodulatrici tali da ridurre l’infiammazione conseguente al trauma, nonchè effetti
protettivi sulla barriera ematoencefalica. '
Altri sostengono che le HES sarebbero efficaci solo a barriera ematoencefalica integra. Inoltre,
secondo alcuni, la loro somministrazione scatenerebbe un effetto rebound nel tentativo di
ripristinare l’osmolarità neuronale. Tra gli effetti collaterali ricordiamo, poi, il sovraccarico
volemico, la tossicità al sito di infusione e l’ipernatriemia. '
Si tratta, dunque, di un argomento molto complesso, tale da non consentire al momento
l’affermazione di conclusioni definitive.'
Nello studio sopra presentato, l’obiettivo era certo molto ambizioso. '
Dimostrare l’efficacia delle HES nel determinare l’outcome a sei mesi. '
Sebbene non sia stato possibile dimostrare alcun miglioramento nell’outcome neurologico a 6
mesi per i pazienti con sospetto sTBI trattati nel preospedaliero con HS, non si può escludere
che le soluzioni ipertoniche possano essere utili se somministrate con altre modalità. '
Tuttavia, si deve ammettere che attualmente non ci sono evidenze per consigliarne l’uso
routinario in ambito preospedaliero. '
Ad oggi le HES nel trattamento dell’ipertensione endocranica conseguente a trauma cranico
sono indicate, con un Livello II di evidenza, in due frangenti: come “terapia ponte”
nell’ipertensione in attesa di ulteriori indagini/trattamenti chirurgici e nella gestione
dell’ipertensione endocranica refrattaria non suscettibile di ulteriori indagini / trattamenti
chirurgici.'
Non ci resta che seguire le poche evidenze ed aspettare (o scrivere) la prossima puntata.'
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Crossley et al. Critical Care 2014, 18:R75
http://ccforum.com/content/18/2/R75
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RESEARCH
3.
Open Access
Il valore dell’ipotermia
A systematic review ofterapeutica
therapeutic hypothermia
adult patients following traumatic brain injury
nell’adulto for
dopo
trauma cranico.
Samantha Crossley1, Jenny Reid1, Rachel McLatchie1, Judith Hayton1, Clair Clark1, Margaret MacDougall2
and Peter JD Andrews3*
Abstract
Sintesi a cura di Dott.ssa
Concetta Pellegrini, Benevento
Introduction: Research into therapeutic hypothermia following traumatic brain injury has been characterised by
small trials of poor methodological quality, producing variable results. The Cochrane review, published in 2009,
now requires updating. The aim of this systematic review is to assess the effectiveness of the application of
therapeutic hypothermia to reduce death and disability when administered to adult patients who have been
admitted to hospital following traumatic brain injury.
A systematic review of
therapeutic
hypothermia for adult
patients following
traumatic brain injury.
Methods: Two authors extracted data from each trial. Unless stated in the trial report, relative risks and 95%
confidence intervals (CIs) were calculated for each trial. We considered P < 0 · 05 to be statistically significant.
We combined data from all trials to estimate the pooled risk ratio (RR) with 95% confidence intervals for death,
unfavourable outcome, and pneumonia. All statistical analyses were performed using RevMan 5.1 (Cochrane
IMS, Oxford, UK) and Stata (Intercooled Version 12.0, StataCorp LP). Pooled RRs were calculated using the
Mantel-Haenszel estimator. The random effects model of DerSimonian and Laird was used to estimate variances
for the Mantel-Haenszel and inverse variance estimators.
Results: Twenty studies are included in the review, while 18 provided mortality data. When the results of 18
trials that evaluated mortality as one of the outcomes were statistically aggregated, therapeutic hypothermia
was associated with a significant reduction in mortality and a significant reduction in poor outcome. There was
a lack of statistical evidence for an association between use of therapeutic hypothermia and increased onset of
new pneumonia.
Conclusions: In contrast to previous reviews, this systematic review found some evidence to suggest that
therapeutic hypothermia may be of benefit in the treatment of traumatic brain injury. The majority of trials were
of low quality, with unclear allocation concealment. Low quality trials may overestimate the effectiveness of
hypothermia treatment versus standard care. There remains a need for more, high quality, randomised control
trials of therapeutic hypothermia after traumatic brain injury.
PROSPERO Systematic Review Registration Number 2012: CRD42012002449.
Crossley S, Reid J, McLathie R et
al. Critical care 2014;18:R75
Critical Care Medicine. IF
6.33 Review sistematica
Introduction
Therapeutic hypothermia has emerged as a potentially
life-saving treatment for the care of the critically ill.
Research in the 1980s using animal models demonstrated
the benefits of cooling to 32 to 34°C [1,2], and it has since
been proposed that there are a number of potential applications for therapeutic hypothermia [3]. In February 2011,
National Health Service (NHS) National Institute for
Health and Clinical Excellence (NICE) guidelines were
published to support the use of therapeutic hypothermia
for hypoxic ischaemic encephalopathy [4]. Similarly, NICE
guidelines for the use of therapeutic hypothermia in
cardiac arrest have also been published [5]. In the United
States, the American Heart Association recommends
hypothermia as a standard of care for survivors of cardiac
arrest as there is sufficient evidence to support improvements in outcome with its use [6]. Whilst a number of
studies have identified an improvement in outcome with
the application of therapeutic hypothermia following
Introduzione: Il valore dell’ipotermia terapeutica come
trattamento salvavita del malato critico, in diversi ambiti, è
ormai riconosciuto da più di 30 anni. Tutto comincia intorno agli anni 80 con studi sperimentali su
* Correspondence: [email protected]
Anesthetics & Intensive Care at the University of Edinburgh and Consultant
animali per poi arrivare nel 2010 alle raccomandazioni
ILCOR
dell’America
Heart Association1 per
in Anesthesia and Intensive Care at the Western
General Hospital,
Lothian
University Hospitals Division, Edinburgh EH4 2XU, UK
Full list of author information is available at the end of the article
l’utilizzo dell’ipotermia terapeutica come standard di cura dei malati vittima di arresto cardiaco e alle
linee guida NICE del 20112-3 che raccomandano l’utilizzo dell’ipotermia terapeutica in almeno due
ambiti: nell’encefalopatia anossica perinatale e nell’arresto cardiaco dell’adulto.'
In ambito traumatologico l’utilizzo dell’ipotermia terapeutica come trattamento e prevenzione del
danno neurologico secondario a trauma cranico è supportato da evidenza debole, tanto che le linee
guida della Brain Trauma Foundation del 2007 non ne raccomandano l’utilizzo, ma addirittura dice
Cochrane4 due anni dopo potrebbe aumentare, in questa tipologia di malati, il rischio di sviluppare
polmoniti.'
Questa review ha cercato di identificare tutti i lavori randomizzati controllati (RCT) che studiano la
relazione tra ipotermia terapeutica e trauma cranico in pazienti adulti.'
Obiettivo: la review ha un obiettivo primario e diversi obiettivi secondari.'
Il primario è valutare l’effetto dell’ipotermia terapeutica sulla mortalità, sull’esito neurologico
sfavorevole e sull’insorgenza di polmoniti in pazienti adulti con trauma cranico ricoverati in
terapia intensiva;'
I secondari indagano diversi ambiti:'
a)durata del trattamento: se la durata dell’ipotermia >48 ore migliora l’ outcome rispetto a
protocolli di trattamento più brevi;'
b)modalità di riscaldamento: se la velocità di riscaldamento del paziente maggiore di 1°/ogni 4 ore
aumenta il rischio di esito peggiore;'
c)intensità dell’ipotermia: se pazienti sottoposti a ipotermia moderata (35°-36°) hanno esito
peggiore rispetto a quelli sottoposti a ipotermia <35°;'
d)tempi di applicazione: se l’aumento dell’intervallo di tempo tra l’insorgenza del danno e l’inizio
3
© 2014 Crossley et al.; licensee BioMed Central Ltd. This is an Open Access article distributed under the terms of the Creative
Commons Attribution License (http://creativecommons.org/licenses/by/2.0), which permits unrestricted use, distribution, and
reproduction in any medium, provided the original work is properly cited.
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dell’ipotermia aumenta il rischio di esito sfavorevole.'
Materiali e metodi: review sistematica della letteratura fino al 5 gennaio 2012.'
I criteri d’inclusione prevedono tutti gli studi randomizzati controllati condotti in pazienti adulti con
trauma cranico chiuso trattati con ipotermia terapeutica (ogni intervento fatto con l’intento di
ridurre la temperatura del core sotto i 36°).'
I criteri di esclusione prevedono gli studi in cui i pazienti non sono randomizzati ad un trattamento
specifico o in cui non esiste un gruppo controllo tenuto in normotermia, studi condotti interamente
in popolazione pediatriche o neonatale, studi con traumi cranici da ferite penetranti.'
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Risultati: questa review sistematica mostra che l’ipotermia terapeutica potrebbe avere un ruolo
benefico nel trattamento del trauma cranico. '
Alla fine sono selezionati 20 studi randomizzati controllati, per un totale di 1885 pazienti, in un arco
di tempo che va dal 1993 al 2011. Di questi 2 lavori non valutano la mortalità al follow up finale ed 8
non misurano l’ incidenza di polmoniti.'
Analizzando i risultati di questi studi gli autori identificano una significativa riduzione di mortalità, di
stati vegetativi e di disabilità a lungo termine associato all’ipotermia terapeutica.'
Nei 12 studi che valutano l’insorgenza di polmoniti, per un totale di 689 pazienti, gli autori affermano
che l’ipotermia terapeutica non aumenta l’incidenza di polmoniti.'
Se si prova a riflettere sulla qualità dell’evidenza fornita da questi studi si nota grande varietà di
dimensione dei campioni esaminati, nel target dell’ipotermia (35° o meno), nel timing di durata del
protocollo (in media di 48 ore ma con un minimo di 24 fino ad massimo di una settimana),
nell’intervallo di tempo per raggiungere l’ ipotermia terapeutica (in media 6 ore ma con un minimo di
2,5 ore ed un massimo di 20 ore e con molti lavori che non lo chiariscono), nella velocità con cui
attuare il riscaldamento passivo ed infine nella metodologia di randomizzazione.'
Risulta evidente, quindi, che non ci sono abbastanza dati per esaminare gli obiettivi secondari.'
Gli autori sottolineano che questa review differisce dalle precedenti primo perché dall’analisi dei 20
lavori selezionati sembrerebbe risultare un beneficio statisticamente significativo nell’utilizzo
dell’ipotermia terapeutica nel trauma cranico, e poi perché sono stati individuati con chiarezza
importanti outcomes primari (mortalità, disabilità neurologiche ed insorgenza di complicanze), ed
infine perché sono stati esclusi tutti gli studi con popolazione pediatrica.'
Ad oggi ci sono ancora 3 studi randomizzati controllati in corso o con dati solo parzialmente riportati:'
1. il POLAR-RCT ( The prophylactic hypothermia trial to lessen traumatic brain injury) studio
australiano e neozelandese randomizzato e multicentrico in fase 3 con un protocollo a 33° per 3gg
entro 3 ore dal trauma che prevede circa 500 pazienti da arruolare e con risultati previsti nel 20175;'
2. il BHYPO (Therapeutic hypothermia for severe traumatic brain injury in Japan) studio giapponese
interrotto e i cui risultati sono stati presentati solo in forma di abstract e inclusi in questa review6;'
3. l’EUROTHERM 3235 trial (European society of intensive care medicine study of therapeutic
hypothermia (32°-35°) for intracranial pressure (ICP) reduction after traumatic brain injury) studio
europeo in fase 3 con target 32°-35° per ridurre ICP che prevede arruolamento di circa 600 pazienti e i
cui risultati arriveranno nel 20177.'
Conclusioni, gli autori sottolineano diversi messaggi chiave:'
✦ questa review dimostra che esiste una certa evidenza in letteratura che l’ipotermia terapeutica
potrebbe essere utile nel trattamento del trauma cranico;'
✦ i risultati indicano che non esiste evidenza statistica ad indicare che l’ipotermia terapeutica
aumenta il rischio di nuove polmoniti quando usata per il trattamento del trauma cranico;'
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la maggior parte dei lavori è di bassa qualità con grosse differenze tra loro; '
rimane l’esigenza di nuovi e migliori studi randomizzati controllati per dare una risposta
definitiva.'
A cura di Dott. Concetta Pellegrini, Benevento
Commento
La scelta dell’articolo deriva, come spesso accade, da un caso clinico.'
Qualche giorno fa abbiamo dimesso dall’ospedale un paziente di 58 anni vittima di arresto
cardiaco, trattato con l’ipotermia terapeutica, in ottime condizioni di salute.'
Ma mentre l’ipotermia terapeutica è ormai standard di cura per questa tipologia di malati, mi è
nata la curiosità di capire a che punto era l’evidenza in letteratura per il suo utilizzo nel trauma
cranico.'
Questa review sembrerebbe affermare, per la prima volta in letteratura, che l’ipotermia
terapeutica avrebbe un suo ruolo nel trattamento del paziente con trauma cranico sia in termini
di riduzione della mortalità che di riduzione di esiti neurologici negativi, senza aumentare il
rischio di complicanze per primo le polmoniti. '
Andando ad esaminare, però gli studi, gli autori ne sottolineano la bassa qualità ed indicano la
necessità di altri studi randomizzati controllati.'
Da qui nascono più domande che risposte:'
vista la scarsa qualità dell’ evidenza in letteratura è ancora da sconsigliare l’utilizzo routinario
dell’ipotermia terapeutica nel trauma cranico grave?'
È ipotizzabile l’utilizzo come terapia rescue solo nei casi con ipertensione endocranica
refrattaria ad altri trattamenti?.'
Ho girato queste domande a Giuseppe Nardi che gentilmente mi ha risposto nell’expert
opinion che segue.'
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EXPERT OPINION!
Da oltre 50 anni la scienza medica insegue la possibilità di ottenere una efficace neuro
protezione nei pazienti vittima di Trauma Cranico grave (TBI). Tutte le terapie proposte si sono
rivelate finora purtroppo inefficaci. Recentemente uno Studio multicentrico internazionale ( a
cui abbiamo partecipato) ha testato l’efficacia del progesterone sulla base di dati sperimentali e
di un piccolo trial pilota, che sembravano suggerire che questo ormone potesse garantire
significativi vantaggi. Anche questo studio ( i risultati non sono ancora pubblicati) è negativo.'
Nello stesso lasso di tempo la mortalità da TBI si è sensibilmente ridotta, almeno nei grandi
Centri Trauma e in parallelo si è ridotto il numero di pazienti sopravvissuti con grave deficit
neurologico. Questi risultati sono probabilmente correlati con un miglioramento generale nella
qualità delle cure intensive, con una maggior attenzione alla prevenzione e al controllo delle
infezioni, ma anche e soprattutto con un maggior rispetto per l’omeostasi cardio-circolatoria. I
tempi in cui i pazienti con TBI venivano trattati regolarmente con somministrazione di
mannitolo a intervalli predeterminati sono fortunatamente finiti. I pz con TBI vengono oggi
mantenuti normovolemici, normocapnici, normotermici e con livelli non eccessivi di PaO2. In
questo contesto l’ipotermia terapeutica rappresenta forse l’estremo tentativo di individuare un
fattore di neuro protezione diverso da quello legato al semplice mantenimento dell’omeostasi.'
La bella metanalisi di Samantha Crossley, oggetto del commento della Dott.ssa Pellegrini,
nell’evidenziare come vi sia “qualche” evidenza di efficacia dell’ipotermia, sottolinea molti degli
aspetti che condizionano la possibilità di giungere a solide conclusioni. L’aspetto forse più
importante è l’estrema disomogeneità dei trials fin qui condotti. Diverse le indicazioni, la
durata delle fasi di induzione, mantenimento e ritorno a normotermia, diversa anche la
profondità dell’ipotermia. Una cosa è utilizzare l’ipotermia in modo “profilattico” sulla base
della gravità del trauma, altra è impiegarla come step terapeutico in un processo di aggressività
progressiva che va dalla sedazione profonda, al tentativo di controllo dell’ipertensione
endocranica con soluzioni ipertoniche, fino all’ipotermia e all’eventuale craniotomia de
compressiva rescue. Questa strategia impone il monitoraggio della pressione endocranica, altra
procedura di discussa efficacia. '
Concetta mi ha chiesto di intervenire sull’argomento. L’unico intervento sensato che mi sento
di fare a fronte delle premesse di cui sopra, è esprimere un’opinione priva di qualsiasi evidenza
scientifica, basata solo sul “sentimento” di chi lavora nel nostro Centro e sul dato (questo
indiscutibile) che i traumatizzati cranici hanno un out come inaspettatamente buono.
Utilizziamo l’ipotermia. Non l’ipotermia “preventiva”. L’indicazione all’ipotermia è
rappresentata secondo le nostre Linee Guida dal persistere e/o aggravarsi di una ipertensione
endocranica malgrado sedazione profonda, curarizzazione, incremento dell’osmolarità (ottenuta
portando la natremia tra 155 e 160meq/l con ipertonica salina) e corretto posizionamento di
capo e tronco. In genere prima di “andare in ipotermia” proviamo anche ad incrementare il
flusso cerebrale con infusione di dobutamina (mai vasocostrittori !). I pazienti vengono
pertanto sottoposti a monitoraggio emodinamico e obbligatoriamente a monitoraggio della
PIC. L’ipotermia rappresenta lo step successivo: è ottenuta per induzione moderatamente
rapida utilizzando due telini termici (sopra e sotto il paziente). La temperatura interna viene
portata tra i 33°C e i 34° e mantenuta a quel livello per 96 ore. La fase di riscaldamento passivo
non deve durare meno di 12-18 ore. Però, se l’ipotermia non è sufficiente, ricorriamo alla
craniotomia de compressiva ampia (altra misura di non comprovata efficacia). I pazienti
sottoposti a craniotomia de compressiva vengono comunque trattati con ipotermia dopo
l’intervento. Quest’ultimo aspetto che si riferisce ovviamente ad un numero limitato di
pazienti, è forse il più intrigante. Non vi sono dati in letteratura e qualsiasi osservazione a
riguardo va pertanto ritenuta “casuale” e non consente affermazioni di alcun tipo. Con questi
limiti che vorrei sottolineare con forza, gli ultimi 5 pazienti sottoposti a craniotomia de
compressiva e successiva ipotermia protratta, sono sopravvissuti con un ottimo …
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out come neurologico . Tre di loro hanno ripreso la normale attività (studio e lavoro) entro 12
mesi. Gli altri due sono casi recenti, ma la ripresa neurologica è per ora molto buona. Tutti loro
hanno sviluppato all’inizio della ripresa neurologica una Salt Wasting Syndrome di estrema
rilevanza, scomparsa solo dopo riposizionamento della calotta. E’ un aspetto interessante la cui
genesi non è nota. '
Non credo di poter ringraziare Concetta per avermi costretto a scrivere cose che rischiano di
essere lontanissime dall’EBM e dalla scienza. Spero non ne terrete conto nella vostra pratica
clinica. Di una cosa però è obbligatorio tener conto: questi trattamenti, di non documentata
efficacia e ad altissimo rischio, non possono essere improvvisati. Sono (forse) fattibili in un
ambito in cui esista una condivisione di strategie tra rianimatori e neurochirurghi e dove la
gestione del paziente traumatizzato sia rigorosamente normata nei dettagli .'
Concludo richiamando i “sentimenti” degli operatori. L’articolo della Crossley cita lo studio
Eurotherm. La decisione di partecipare o meno allo Eurotherm è stata oggetto di infinite
discussioni all’interno del nostro gruppo. Abbiamo (a torto o a ragione) deciso di non
partecipare, perché non ci saremmo sentiti di randomizzare i pazienti sapendo che alcuni di
quelli che oggi avremmo trattato con ipotermia avrebbero dovuto essere mantenuti
normotermici. Decisioni di questo tipo non aiutano la scienza…..ma a volte la pancia va
ascoltata … '
Dr Giuseppe Nardi, !
UOC Shock e Trauma, !
San Camillo Forlanini, !
Roma!
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4.Trauma Cranico e complicanze
emorragiche in pazienti trattati con nuovi
anticoagulanti orali (NOACs).
!
Case report e revisione della letteratura
Dott. Marco Ulla, Scuola di Specializzazione in Medicina d’Emergenza-Urgenza, '
Università degli Studi di Torino.'
CASO CLINICO: paziente di 76 anni condotto in DEA in seguito a caduta accidentale e
conseguente trauma cranio-faciale. Sul posto GCS 14/15, quindi in rapido deterioramento fino a 7/15,
per cui è stato sottoposto a IOT in DEA. Sono state eseguite TC cranio seriate con evidenza di
focolai traumatici in sede frontale bilaterale, temporale e parietale sinistra, inondamento ematico del
sistema ventricolare, soffusione ematica lungo il tentorio, i solchi frontali bilateralmente e i solchi
temporo-parietali a sinistra, in peggioramento al secondo esame TC (figura 1 e 2). Il paziente è affetto
da fibrillazione atriale permanente in trattamento anticoagulante con Dabigatran 110 mg due volte al
dì. La consulenza NCH non pone indicazioni interventistiche.'
Fig 1: Tac all’arrivo!
Fig 2 Tac a 6 ore'
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!
!
Lo scenario pone il problema relativo all’atteggiamento da seguire in caso di complicanze
emorragiche in pazienti trattati con nuovi anticoagulanti orali (NOACs). È esperienza
comune l’aver dovuto trattare sanguinamenti intracranici in pazienti in trattamento con TAO
tradizionale (warfarin e acenocumarolo) o eparina (frazionata o non frazionata), su cui la letteratura
fornisce indicazioni chiare. Meno chiaro a oggi, ma inevitabilmente un problema emergente, è
l’atteggiamento da tenere nei confronti di pazienti che assumono farmaci di nuova generazione e
recente immissione in commercio. '
Sappiamo che la gestione del danno primario, in caso di sanguinamento intracranico, si basa su:'
✦ Management della pressione arteriosa'
✦ Intervento chirurgico (quando indicato)'
✦ Correzione della coagulopatia'
Cerchiamo di riassumere le evidenze disponibili relative a quest’ultimo punto, cominciando dalle
conoscenze ormai acquisite sugli anticoagulanti tradizionali assunti per via orale o parenterale. Per
poi focalizzarci sui nuovi farmaci di recente introduzione.'
!
EPARINA NON FRAZIONATA (ENF) Si tratta di una miscela di glicosaminoglicani diversi
estratti da polmone bovino o porcino. La struttura è una lunga catena (p.m. 3.000 - 30.000 Da)
costituita da sequenze alternate di residui di acido uronico e glucosamina solforati con carica
negativa. La sequenza elementare è un pentasaccaride che si lega con alta affinità all’Antitrombina III
(ATIII). Catalizza l’azione dell’antitrombina, aumentandone di almeno 1.000 volte la velocità di
reazione. Inibisce la trombina (fattore IIa) e i fattori Xa, IXa, XIa, XIIa. Somministrata per via
endovenosa, il suo effetto è immediato; per via intramuscolare l'effetto si manifesta dopo circa 15
minuti.'
Dopo un'iniezione endovenosa di 100, 400 e 800 U/Kg, l'emivita dell'attività anticoagulante è di
circa 1, 2 e 3 ore, rispettivamente.'
La protamina serve per la rapida neutralizzazione dell’attività dell’eparina (1 mg di
protamina neutralizza 100 UI di eparina) in caso di sanguinamento per sovradosaggio. La
quantità richiesta dipende dal tasso ematico di eparina somministrata e dal tempo
intercorso dall’iniezione. La somministrazione di protamina deve essere fatta in
infusione endovenosa lenta (2-3 ore).
!
EPARINE A BASSO PESO MOLECOLARE (EBPM)
Sono un gruppo di eparine (p.m. 1500 - 6500 Da) ottenute dal frazionamento dell’ENF con metodi
chimici di depolimerizzazione diversi. Il meccanismo d’azione è l’inibizione selettiva di Fattore Xa
(via legame con ATIII), ma l’effetto anticoagulante dipende anche da altri meccanismi. Le
caratteristiche e i principali vantaggi pratici delle EBPM sono: biodisponibilità più elevata (via
sottocutanea), emivita più lunga (somministrazioni refratte, ogni 12-24 ore), cinetica prevedibile
(dosaggio fisso pro-kg), non necessitano di monitoraggio di laboratorio. Tutto ciò si traduce in
termini clinici in una maggiore efficacia antitrombotica, un monitoraggio dell’aPTT non necessario,
un minor rischio di sanguinamento, una mono e bi-somministrazione, un minor rischio di
trombocitopenia. Le principali limitazioni all’utilizzo sono la necessità della somministrazione
parenterale sottocutanea (possibili ematomi), la trombocitopenia indotta da eparina (HIT),
l’insufficienza renale grave, la grande obesità.'
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Nessuna EBPM è neutralizzata completamente dal solfato di protamina (l’enoxaparina lo
è solo per il 30%, la dalteparina per il 40%, la tinzaparina per il 60%), in generale il
dosaggio indicato è 1 mg di solfato di protamina per ogni mg di EBPM. L’attività anti-Xa
si dimezza in 3 ore con tinzaparina , 4 ore con dalteparina, 4.5 ore con enoxaparina.
!
FONDAPARINUX (ARIXTRA)
Il Fondaparinux è un inibitore indiretto altamente selettivo del fattore Xa. E’ un pentasaccaride
sintetico in grado di legare reversibilmente l’antitrombina III (ATIII) con un’affinità maggiore
rispetto all’eparina non frazionata e alle eparine a basso peso molecolare. Viene somministrato per via
parenterale tramite iniezione sottocutanea, in mono somministrazione giornaliera; è necessario
ridurne la dose per valori di clearance della creatinina compresi tra 20 e 30 ml/min., mentre il suo
utilizzo non è approvato per valori inferiori a 20 ml/min.'
Fondaparinux non determina una modificazione di aPTT, PT, INR e tempo di sanguinamento,
pertanto non viene raccomandato un monitoraggio di routine dei parametri della coagulazione; in
casi selezionati (gravidanza, grande obesità, insufficienza renale) il monitoraggio può essere effettuato
tramite il dosaggio del fattore Xa residuo. Poiché Fondaparinux non interagisce con le piastrine, né
con il fattore piastrinico 4, e non vi è evidenza che esso induca trombocitopenia, anche il
monitoraggio routinario della conta piastrinica non viene raccomandato.'
Fondaparinux trova indicazione nella prevenzione e nel trattamento del tromboembolismo venoso
(TEV), sia in pazienti chirurgici che medici; nel trattamento della tromboembolia polmonare e nelle
sindromi coronariche acute: il suo utilizzo è stato infatti validato nel trattamento dell’angina instabile
e dell’infarto miocardico acuto STEMI e NSTEMI.'
Non esiste a oggi un antidoto validato specifico in grado di neutralizzare gli effetti di
fondaparinux; a tal proposito il fattore VIIa ricombinante sembrerebbe essere un valido
candidato; il ripristino di una emostasi efficace con complessi protrombinici attivati
(aPCC) è stato dimostrato solo per modelli animali.
!
FARMACI ANTICOAGULANTI ORALI
Nome commerciale
Durata effetto
h
Picco d’azione
h
Warfarin
Coumadin
36 - 72
4-5
Acecumarolo
Sintrom
36 - 48
1.5 - 2
Questi farmaci agiscono bloccando, negli epatociti, la riduzione della Vitamina K-epossido a Vitamina
K, mediante inibizione competitiva dell’enzima epossido-reduttasi. In questo modo viene impedita la
gamma-carbossilazione dei fattori II, VII, IX,X, già sintetizzati dalle cellule epatiche, carbossilazione
che è indispensabile per la loro attività biologica. Tal effetto è proporzionale alla dose di farmaco
assunta. Le principali limitazioni degli anticoagulanti orali sono: la via di assunzione, l’impossibilità di
utilizzo in fase acuta, la finestra terapeutica ridotta e la necessità di monitoraggio laboratoristico
(INR). Soltanto il 45% dei pazienti seguiti in centri TAO risulta essere costantemente in range
terapeutico (PT-INR compreso tra 2 e 3); degli stessi pazienti il tempo realmente trascorso in range
risulta essere il 60%. Lo scadente controllo dell’INR comporta un aumento del rischio sia trombotico'
sia emorragico.'
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La gestione delle complicanze emorragiche si basa sulla sospensione del farmaco, la
somministrazione di Vitamina K, plasma fresco
congelato o complessi protrombiniciattivati,
come sintetizzato in figura.
Un recente studio francese ha valutato in pazienti
anticoagulati con warfarin e complicanze
emorragiche intracraniche l’utilizzo di complessi
protrombinici attivati a diversi dosaggi. Un dosaggio
di PCC di 40 IU/kg corregge i valori di INR in
maniera più efficace, rapida e duratura rispetto al
dosaggio classico di 25 IU/kg, senza modificare però
in maniera significativa il volume dell’ematoma o
l’outcome clinico globale dei pazienti. Interessante
notare però che l’occorrenza di eventi tromboembolici, che molto faceva temere nell’utilizzo di alti
dosaggi di PCC, è risultato sovrapponibile nei due
gruppi ditrattamento (2).'
!
!
Da Hartman S, Teruya J. Disease-a-month. Vol. 58, Iss. 8, Aug 2012. (1)
NUOVI ANTICOAGULANTI
ORALI (NOACs)
Le caratteristiche di un
anticoagulante ideale dovrebbero
essere: un picco plasmatico rapido,
un’ampia finestra terapeutica,
minimi effetti collaterali, una
risposta il più possibile prevedibile
e costante, l’assenza d’interazione
con altri farmaci, la presenza di un
antidoto, un costo favorevole e una
somministrazione orale. Negli
ultimi anni la ricerca farmacologica
si è soffermata sullo studio di
farmaci attivi sul fattore Xa
(Rivaroxaban, Apixaban) e sulla
trombina/fattore IIa (Dabigatran).'
Da Knepper J, Horner D et al. J VascSurg 2013; 1: 418-426. (3)'
!
DABIGATRAN (PRADAXA®)
Dabigatran è un potente e reversibile inibitore diretto della trombina, libera e legata al coagulo,
dotato di un effetto anticoagulante notevolmente più marcato rispetto agli altri inibitori della
trombina finora disponibili.'
I livelli plasmatici massimi del farmaco vengono raggiunti entro 2 ore dalla sua assunzione e, per
questo motivo, non necessita della classica embricazione con eparina. Dabigatran è dotato inoltre di
una farmacocinetica prevedibile e non richiede il monitoraggio della coagulazione; ha un’emivita è di
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circa 12-14 ore e deve quindi essere assunto 2 volte al giorno. Dabigatran viene escreto per l’80% per
via renale e richiede quindi qualche cautela nei pazienti con insufficienza renale.'
Lo sviluppo clinico del farmaco ha previsto tutta una serie di studi in diversi ambiti clinici: a oggi
Dabigatran è registrato in Italia per la prevenzione del tromboembolismo venoso nei pazienti
sottoposti a chirurgia sostitutiva elettiva di ginocchio ed anca e per la profilassi del cardioembolismo
in pazienti con FA non valvolare.'
Nel 2009 è stato pubblicato lo studio RE-LY(4), che valuta sicurezza ed efficacia di Dabigatran nei
pazienti con FA. Sono sati arruolati circa 18000 pazienti affetti da FA non valvolare documentata e da
almeno un fattore di rischio aggiuntivo per ictus, con una mediana di follow-up di 2 anni. I pazienti
sono stati randomizzati a ricevere Warfarin a dose variabile (INR tra 2 e 3), Dabigatran 110 mg bid
oppure Dabigatran 150 mg bid. L’obiettivo primario dello studio era di stabilire la non-inferiorità di
Dabigatran nei confronti di Warfarin, nella prevenzione del tromboembolismo cerebrale in FA e,
superata questa, di testarne la superiorità.'
Le conclusioni dello studio:'
✦ Dabigatran 150 mg x 2 riduce significativamente l’incidenza di stroke nei pazienti con FA, con
eventi di sanguinamento comparabili a quelli osservabili con Warfarin;'
✦ Dabigatran 110 mg x 2 riduce gli eventi tromboembolici in maniera comparabile Warfarin, con
significativa riduzione dei sanguinamenti maggiori;'
✦ Entrambi i dosaggi riducono marcatamente le emorragie intracraniche spontanee.!
!
RIVAROXABAN (XARELTO®)
Rivaroxaban è un inibitore orale diretto del fattore Xa altamente selettivo. Ha caratteristiche
farmacocinetiche e farmacodinamiche prevedibili. Viene metabolizzato a livello epatico, l’emivita è di
5-9 ore (ma fino a 11-13 ore nei soggetti anziani). L’inibizione del fattore Xa è altamente dipendente
dalle concentrazioni del farmaco.'
Diversi trial clinici di fase III di non-inferiorità hanno valutato l’efficacia di Rivaroxaban nella
profilassi (Studi RECORD) (5-8) e nel trattamento (EINSTEIN) (9) del tromboembolismo venoso
nella chirurgia protesica di ginocchio e anca, nella prevenzione dello stroke ischemico e
dell’embolismo sistemico nei pazienti affetti da fibrillazione atriale (ROCKETAF) (10).'
Lo Studio ROCKETAF è uno studio randomizzato controllato che ha confrontato Rivaroxaban con
warfarin in pazienti affetti da FA. Lo studio ha incluso circa 14000 pazienti con almeno due fattori di
rischio per eventi embolici (CHADS2 medio di 2,9). I risultati hanno dimostrato la non inferiorità di
Rivaroxaban rispetto a Warfarin nella prevenzione dello stroke ischemico e dell’embolismo
sistemico , a fronte di uno stesso rischio di eventi emorragici maggiori, ma una riduzione del rischio
di emorragie intracraniche ed eventi emorragici fatali.'
Rivaroxaban non richiede alcun aggiustamento della dose in pazienti con insufficienza renale lieve'
(clearance creatinina 50-80 ml/min.) o moderata (clearance della creatinina 30-49 ml/min.); non è
approvato nei pazienti affetti da insufficienza renale severa.'
!
APIXABAN (ELIQUIS®)
L’Apixaban è la molecola di più recente approvazione in Italia.'
Si tratta di un inibitore diretto del fattore Xa, con rapido assorbimento. L’emivita plasmatica è di
circa 12 ore, con un picco d’azione a tre-quattro ore. Il farmaco è escreto per il 25% circa per via
renale, il restante 75% ha metabolismo epatico. Quest’ultima caratteristica lo renderebbe, rispetto ai
precedenti farmaci anticoagulanti orali, maggiormente sicuro nei pazienti con insufficienza renale.'
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Lo Studio AVERROES (11): è un trials di fase III che ha confrontato efficacia e sicurezza di
Apixaban vs ASA nella prevenzione dell’ictus in pazienti con FA non adatti all’utilizzo di Wafarin.
Apixaban si è dimostrato superiore per l’end point primario rappresentato da riduzione di stroke ed
embolia sistemica. La riduzione del rischio relativo è stata del 55% con tassi annuali di eventi del 1.6%
per apixaban contro il 3.7% di aspirina. I risultati di Averroes hanno dimostrato che non vi sono
significative differenze per Apixaban rispetto ad Aspirina per quanto riguarda i casi di sanguinamento
maggiore, emorragia fatale e sanguinamenti intracranici.'
Lo Studio ARISTOTLE (12) è un trial randomizzato in doppio cieco di confronto tra Apixaban e
Warfarin in pazienti con fibrillazione atriale o flutter ed almeno un ulteriore fattore di rischio per
stroke. Apixaban è superiore a Warfarin nel prevenire stroke/embolie sistemiche e causa meno
sanguinamenti; tutto questo risulterebbe quindi in una riduzione della mortalità.'
Le successive metanalisi hanno messo a confronto l’ingente numero di pazienti arruolati nei
diversi studi e hanno rilevato quanto segue (13):'
✦ una netta riduzione degli eventi ischemici in pazienti con FA (anche per i pazienti in
trattamento profilattico per TVP) in terapia con NOACS rispetto a Warfarin.'
✦ una significativa riduzione delle emorragie intracraniche in pazienti trattati con NOACS, a
scapito di un lieve incremento dei sanguinamenti gastroenterici rispetto al trattamento
con Warfarin'
✦ una riduzione significativa delle emorragie maggiori in caso di trattamento con NOACS.'
MONITORAGGIO
Il profilo farmacologico prevedibile dei nuovi anticoagulanti orali consente la loro somministrazione a
dosi fisse senza la necessità di monitoraggio costante con esami di laboratorio o aggiustamenti di
dose. Tuttavia in caso di sovradosaggio, evento emorragico inaspettato, necessità di valutazione della
compliance al trattamento, necessità di valutazione di eventuale accumulo per brusco peggioramento
della funzionalità renale o epatica e nel peri-operatorio, non esistono attualmente test validati
per valutare il livello di anticoagulazione. '
Infatti nonostante il prevedibile effetto dose-dipendente sui test coagulativi, non esistono range
terapeutici codificati e validati, va considerato che l’effetto del farmaco sui fattori della coagulazione è
transitorio. Ogni farmaco ha un effetto specifico, come si osserva in tabella, ma sensibilità e
specificità di tali determinazioni risultano essere limitate e non applicabili in maniera standardizzata
alla pratica clinica (come avviene invece per il warfarin).'
PT
aPTT
TCT
ECT
Anti-Factor Xa
Activity
Dabigatran
é⁄çè
é
é
é
-
Rivaroxaban
é⁄çè
é⁄çè
-
-
é
Apixaban
é⁄çè
é⁄çè
-
-
é
PT: Tempo di Protrombina; aPTT: Tempo Tromboplastina Attivata Parziale; TCT: Thrombinclotting time; ECT: Ecarinclotting time
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La ricerca scientifica sta sviluppando metodiche (o tentando l’applicazione di tecniche già conosciute)
da utilizzare per la valutazione dei livelli di anticoagulazione in pazienti in trattamento con NOACs.
Al momento, seppure i risultati siano in alcuni casi promettenti, nessuna di queste risulta validata per
un utilizzo in clinica.'
✦ L’Hemoclot ® ThrombinInhibitorassay (HYPHEN BioMed, France) è un test che viene
raccomandato per il monitoraggio nelle urgenze emorragiche. E’ un saggio cronometrico
proposto per la determinazione quantitativa degli inibitori della trombina nel plasma. E’ stato
testato da alcuni autori su Dabigatran (20) tuttavia, poiché sicuramente più noto alla classe
medica, continua a essere utilizzato come test di riferimento l’aPTT (14).'
✦ Dati incoraggianti provengono dall’utilizzo di metodiche di tromboelastometriapoint-of-care, in
particolare il ROTEM ® , che ha dimostrato correlare significativamente in vitro con
concentrazioni terapeutiche e sovra-terapeutiche di Dabigatran, Rivaroxaban e Dabigatran.
Mancano al momento conferme di questo nella pratica clinica (15).'
✦ Alcuni ricercatori hanno sviluppato infine metodiche di rilevazione urinaria di dabigatran e
rivaroxaban in pazienti con sovradosaggio, anche questi sono però da correlare a dati clinici (16).'
!
REVERSAL DEI FARMACI
A oggi nessuno dei nuovi farmaci anticoagulanti orali dispone di un antidoto specifico. Le
complicanze emorragiche, seppure meno frequenti che in pazienti trattati con warfarin, possono
essere drammatiche (il caso iniziale ne è un esempio), pertanto occorre fare il possibile per inibirne
l’effetto con tempestività.'
In assenza d’indicazioni precise, si ricorre alla terapia di supporto, ovvero i comuni rimedi
utilizzati in caso di intossicazione da farmaci, in particolare sospensione del farmaco, monitoraggio
dei parametri vitali ed emocoagulativi, correzione dei fattori precipitanti l’ipercoagulabilità
(ipotermia, acidosi metabolica, disionie), eventuale monitoraggio in Terapia Intensiva e attivazione di
specifiche competenze specialistiche (17).'
Per quanto concerne tecniche di rimozione del farmaco (dialisi), o terapie basate su agenti emostatici
non specifici (Plasma fresco congelato, Antifibrinolitici, ad es. acido tranexamico, DDAVP, rFVII,
PCC) occorre tenere conto che il loro impiego non è validato e che possono avere un effetto protrombotico. L’esperienza accumulata sull’utilizzo di questi presidi è basata su studi in vitro o animali
(solo pochissimi lavori su volontari sani), ma l’applicazione nel contesto clinico reale è a oggi limitata
a pochi case reports (18,19).'
È stato suggerito l’utilizzo del carbone vegetale attivato, ma com’è ovvio, l’assunzione del farmaco
deve essere stata recente (almeno nelle due ore precedenti); i dati inoltre sono unicamente
sperimentali e verificati per il solo dabigatran (20).'
Per quanto concerne le tecniche dialitiche: a causa dell’elevato binding alle proteine plasmatiche
Rivaroxaban non può essere efficacemente dializzabile, è stata invece dimostrata per Dabigatran una
rimozione del 62% del farmaco a 2 ore e del 68% a 4 ore in pazienti dializzati cronicamente per
insufficienza renale terminale (21); i casi di applicazione della metodica in pazienti con sanguinamenti
maggiori è tuttavia ad oggi ancora aneddotica'
Un recente studio pubblicato su Circulation ha valutato 40 volontari sani, 20 trattati con Rivaroxaban
e 20 con Dabigatran a un dosaggio maggiore della dose terapeutica per valutarne la reversibilità
dell’effetto dopo somministrazione di aPCC. Lo studio ha evidenziato come aPCC possa
annullare l’effetto di Rivaroxaban ma non di Dabigatran (22). Studi preliminari sono stati effettuati
inoltre per valutare l’effetto ricoagulante del fattore VIIa, ma in pazienti non emofilici l’utilizzo di
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questo presidio pare aumentare in maniera non accettabile il rischio trombotico (in particolare
trombosi arteriose), senza un reale beneficio sulla diatesi emorragica (23). L’utilizzo del plasma
fresco congelato (FFP) non è stato testato sull’uomo, gli esperti tuttavia ne sconsigliano l’utilizzo
per le elevate dosi da utilizzare e poiché dal punto di vista fisiopatologico non sarebbe sufficiente
sostituire i fattori mancanti (IIa e Xa), ma superarne l’effetto d’inibizione, cosa che è alquanto
improbabile che accada (24).'
Sulla base delle evidenze disponibili (a oggi purtroppo scarse e basate per lo più su studi in vitro o con
scarso numero di pazienti arruolati) le varie società scientifiche sono al lavoro per stilare linee guida e
criteri di comportamento per il medico che si trovi ad affrontare emergenze emorragiche in pazienti
con NOACs. Interessante infine un lavoro, pubblicato di recente su Emergency Medicine Journal, che
fornisce delle utili flow-chart per i pazienti trattati con dabigatran (il farmaco a oggi con maggiore
diffusione in Italia) suddividendo in: sovradosaggio, sanguinamento attivo maggiore e necessità
urgente d’intervento chirurgico (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23435652) (25).'
Vista la portata del problema, la ricerca scientifica è estremamente attiva in questo ambito. È di
poche settimane fa la pubblicazione di uno studio che testa in modelli animali il profilo di sicurezza e
l’efficacia di un anticorpo anti-dabigatran nell’inibirne gli effetti sulla coagulazione plasmatica. I
dati sperimentali sono promettenti e si osserverebbe una normalizzazione di tutti i test coagulativi
dopo reversal di dosi sovra-terapeutiche di dabigatran con l’anticorpo (26).'
TAKE HOME MESSAGES
Almeno uno dei NOACs è al momento approvato in diversi paesi per la prevenzione e il trattamento
della TVP e/o per la prevenzione dello stroke in pazienti con fibrillazione atriale. In Italia sono disponbili
Dabigatran, Rivaroxaban e Apixaban: l’utilizzo di questi farmaci è inevitabilmente destinato ad
aumentare nel prossimo futuro.'
Esistono numerosi warnings sulla possibilità di sanguinamenti maggiori in paienti trattati con NOACs'
Manca al momento adeguata evidenza scientifica per determinare il miglior trattamento delle
complicanze; le dicisioni si basano pertanto sul giudizio clinico del curante, supportato dall’opinione
degli esperti. Possiamo sintetizzare come segue:'
✦ Terapia di supporto e sospensione del farmaco (considerata la relativamente breve emivita
dei NOACs, queste prime due indicazioni risultano sufficienti nella maggioranza dei pazienti).
✦ Carbone vegetale attivo: se farmaco assunto entro due ore, dimostrato soltanto per Dabigatran,
✦ Emodialisi: efficace solo per Dabigatran, utile in caso di riduzione del GFR o necessità di
intervento chirurgico non procrastinabile; evidenza basata su studi in volontari sani e rari case
reports.'
✦ Plasma fresco congelato (FFP) non studiato sull’uomo e verosimilmente non indicato.'
✦ Fattore VIIa: non chiaro se utile, aumenta il rischio di trombosi arteriose in pazienti non
emofilici.'
✦
Complessi protrombinici (PCC): non raggiunto consenso sull’utilità; potenziale
incremento del rischio di trombosi e assenza di studi in pazienti con sanguinamento attivo
in virtù di un sovradosaggio da NOACs; sulla base del’opinione di esperti appare
ragionevole il loro utilizzo (complessi protrombinici attivati a 4 fattori) in siutazioni
cliniche molto gravi o se necessario procedure con urgenza all’intervento chirurgico.
!
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Anno 4 Numero 8, Giugno 2014
Bibliografia!
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Sedazione nel trauma cranico: la
DEXMEDETOMIDINA sarà utilizzabile
in futuro?
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Scheda del farmaco e revisione della letteratura
Dott. Marco Garbarino, Servizio Anestesia e Rianimazione, Città della Salute e della Scienza,
C.T.O. Torino.'
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Dexmedetomidina è un agonista selettivo dei recettori alfa-2 adrenergici.'
L’indicazione terapeutica fornita dalla scheda tecnica del farmaco consiste nella sedazione di pazienti
adulti in Terapia Intensiva, che necessitano di un livello di sedazione non più profondo del risveglio in
risposta alla stimolazione verbale, corrispondente al valore da 0 a - 3 della Scala Richmond SedazioneAgitazione (Richmond Agitation-Sedation Scale, RASS).'
!
La forma farmaceutica in commercio prevede un utilizzo esclusivamente endovenoso, mediante fiale
con concentrazione di Dexmedetomidina cloridrato equivalente a 100 microgrammi per
millilitro.'
La concentrazione della soluzione finale dopo la diluizione deve essere di 4 microgrammi per
millilitro.'
!
L’impiego di Dexmedetomidina in pazienti sedati ed intubati prevede una velocità di infusione
iniziale di 0,7 microgrammi/kg/h, che può successivamente essere modificata gradualmente
all'interno dell’intervallo di dosaggio compreso tra 0,2 e 1,4 microgrammi/kg/h sino al
raggiungimento del livello desiderato di sedazione che dipende dalla risposta del paziente. Dopo
l’aggiustamento della dose, un nuovo livello di sedazione allo stato stazionario non può essere
raggiunto prima di un’ora.'
La dose massima di 1,4 microgrammi/kg/h non deve essere superata'
L'uso di una dose di carico di Dexmedetomidina non è raccomandato ed è generalmente correlata ad
una ipertensione arteriosa transitoria concomitante agli effetti di vasocostrizione periferica.'
In relazione alla scheda tecnica, la letteratura non fornisce dati in merito all'uso di Dexmedetomidina
per più di 14 giorni.'
!
Proprietà farmacodinamiche e farmacocinetiche
Dexmedetomidina ha un effetto simpaticolitico attraverso l’inibizione del rilascio di noradrenalina
nelle terminazioni nervose simpatiche.'
Gli effetti cardiovascolari dipendono dal dosaggio utilizzato: alle velocità d’infusione più basse,
l’effetto parasimpatico–mimetico predomina, portando alla diminuzione della frequenza cardiaca e
della pressione arteriosa, rendendo tale farmaco controindicato in pazienti con anomalie della
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conduzione atrio–ventricolare. A dosi più elevate, prevalgono gli effetti vasocostrittori periferici
correlati all’azione dei recettori alfa-2 adrenergici a livello della muscolatura liscia della parete dei vasi,
portando ad un aumento delle resistenze vascolari sistemiche e della pressione arteriosa, mentre
l'effetto bradicardizzante viene ulteriormente enfatizzato.'
!
Gli effetti sedativi sono mediati dalla diminuzione dell’attività di scarica del locus coeruleus, il
nucleo noradrenergico predominante situato nel tronco encefalico.'
Gli effetti analgesici dipendono dall’azione dei recettori alfa-2 adrenergici a livello del sistema
nervoso centrale e periferico.'
La Dexmedetomidina è relativamente priva di effetti depressivi respiratori.'
!
La farmacocinetica di Dexmedetomidina è stata valutata durante somministrazione endovenosa a
breve termine nei volontari sani e durante infusione a lungo termine in pazienti ricoverati in terapia
intensiva.'
La Dexmedetomidina mostra un modello di distribuzione a due compartimenti.'
Nei volontari sani, presenta una rapida fase di distribuzione con una stima a livello centrale
dell’emivita di distribuzione di circa 6 minuti.'
La stima media dell’emivita di eliminazione terminale è di circa 2 ore.'
La farmacocinetica plasmatica di Dexmedetomidina è simile nei pazienti ricoverati in terapia
intensiva dopo infusione > 24 h.'
La farmacocinetica di Dexmedetomidina è lineare nel range di dosaggio 0,2-1,4 μg/kg/h e non c’è
accumulo nei trattamenti della durata massima di 14 giorni.'
La dexmedetomidina è per il 94% legata alle proteine plasmatiche, tanto all'albumina sierica umana
quanto alla alfa-1-glicoproteina acida, anche se l' albumina rappresenta la principale proteina di
legame nel plasma. Viene eliminata principalmente attraverso il metabolismo epatico.'
Ci sono tre tipi di reazioni metaboliche iniziali; N-glucuronidazione diretta, N-metilazione diretta e'
ossidazione catalizzata dal citocromo P450. I metaboliti hanno attività farmacologica trascurabile.'
Non sono state osservate importanti differenze farmacocinetiche in base al sesso o all'età.'
Il legame della Dexmedetomidina alle proteine plasmatiche è ridotto nei soggetti con insufficienza'
epatica rispetto ai soggetti sani. Nei soggetti con vari gradi di insufficienza epatica (Classe di ChildPugh A, B o C) la clearance epatica è diminuita e il tempo di eliminazione plasmatica t1/2 è
prolungato. La farmacocinetica in soggetti con grave insufficienza renale (clearance della'
creatinina <30 ml/min) non è alterata rispetto ai soggetti sani.'
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Dexmedetomidina e Terapia Intensiva
Due importanti trials quali MIDEX e PRODEX [1] hanno dimostrato la validità della
Dexmedetomidina nella sedazione a lungo termine di pazienti in ventilazione meccanica ricoverati in
Terapia Intensiva, se comparata rispettivamente con Midazolam e Propofol.'
Dexmedetomidina sembra ridurre i tempi di estubazione del paziente rispetto al tradizionale utilizzo
di Midazolam e Propofol, anche se la durata della ventilazione meccanica risulta ridotta solo se
comparata con l’utilizzo del Midazolam. Da sottolineare che in tale comparazione non risulta
possibile standardizzare il percorso di divezzamento dalla ventilazione meccanica ed i criteri di
estubazione.'
Dexmedetomidina non sembra abbia influenze sulla durata della degenza media del paziente, tanto in
Terapia Intensiva, quanto in generale in ospedale.'
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Gli effetti collaterali inerenti l’utilizzo di Dexmedetomidina, quali ipotensione e bradicardia sono più
frequenti rispetto all’uso del Midazolam, ma comparabili all’uso del Propofol.'
Dexmedetomidina migliora la comunicazione diretta del paziente con il personale infermieristico in
merito al dolore ed alle necessità posturali, ottimizzando la terapia analgesica ed il recupero
funzionale del paziente stesso.'
Un’ulteriore specificità di Dexmedetomidina nella sedazione a lungo termine consiste nella riduzione
dell’incidenza di disordini neurocognitivi rispetto all’utilizzo di Midazolam e Propofol. Il delirio
rappresenta uno dei disordini neurocognitivi più frequenti correlati alla lunga permanenza in Terapia
Intensiva [2,3], e la durata della sedazione rappresenta un fattore di rischio indipendente [2]. La
diagnosi di delirio avviene mediante scala CAM-ICU a circa 48 ore di distanza dalla sospensione della
sedazione. La presenza di delirio sembra essere associata a una maggiore mortalità a distanza di 30
giorni [4] in pazienti a lungo ricoverati in Terapia Intensiva e ventilati meccanicamente.'
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Dexmedetomidina e trauma cranico grave
L’importanza della sedazione nella gestione dei pazienti in Terapia Intensiva con diagnosi di trauma
cranico maggiore consiste nel facilitare la ventilazione meccanica, controllare la pressione
intracranica e, successivamente, prevenire lo stato di agitazione psicomotoria [5]. Spesso i farmaci
utilizzati per la sedazione non rendono possibile una frequente valutazione neurologica, prolungano la
durata della ventilazione meccanica ed in generale della degenza in Terapia Intensiva, esponendo il
paziente alle possibili complicanze infettive che concorrono al peggioramento dell’esito finale [6].'
Dexmedetomidina, nonostante la controindicazione assoluta all’utilizzo in pazienti con lesioni
cerebrovascolari acute riportata nella scheda tecnica, risulterebbe potenzialmente efficace nella
sedazione del paziente neuro-intensivo sulla base delle proprietà analgesiche, sedative ed ansiolitiche,
in assenza di depressione respiratoria [7,8]. A livello cerebrale Dexmedetomidina attiva i tre sottotipi
di recettori alfa-2 adrenergici, molto rappresentati sia sulla parete muscolare liscia dei vasi sia nel
l o c u s c o e r u l e u s [ 9 ] . In
particolar
modo
l’attivazione dei recettori
Bibliografia!
alfa-2a produce effetti di
1. Jakob SM et al. JAMA. 2012; 307(11): 1151 -­‐ 1160 neuroprotezione in termini
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4. Shehabi Y et al. Crit Care Med. 2010; 38: 2311 – 2318 ✦ riduzione del rilascio
5. Roberts DJ et al. Crit Care Med. 2011; 39: 2743 – 2751 di
catecolamine,
6. Strom T. et al. Lancet. 2010; 375: 475 – 480 7. Mirski MA et al. Intensive Care Medicine. 2010 ; 36 : 1505 – 1513 direttamente implicate
8. Tang JF et al. NeurocriWcal Care. 2011 ; 15 : 175 – 181 nell’esacerbazione del
9. Prielipp RC et al. Anesthesia & Analgesia. 2002; 95: 1052 – 1059 danno
cerebrale
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[10]
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16. Nakano T et al. Journal of Anesthesia. 2009; 23: 378 – 384 liberazione di radicali
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[11],
la
19. Aryan HE et al. Brain Injury. 2006; 20: 791 -­‐ 798 modulazione
del
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rapporto proteine pro–anti apoptosiche [12]; la riduzione della disponibilità di glutamina,
precursore del glutammato neurotossico e l’aumento del metabolismo ossidativo degli astrociti
[13]'
✦ produzione di fattori neurotrofici [14]'
L’attivazione dei recettori alfa-2b induce vasocostrizione del circolo cerebrale riducendo il flusso
cerebrale [9,15,16]. Drummond et al. [10] dimostrano la stabilità del rapporto metabolismo cerebrale flusso cerebrale nel volontario sano. Nei pazienti con trauma cranico grave il flusso cerebrale
inadeguato rappresenta uno dei principali determinanti l’esito finale [17]. X. Wang et al [18]
dimostrano stabilità del flusso cerebrale indotta da sedazione con Dexmedetomidina ad un dosaggio
di 0,4 mcg/Kg/h, se associata all’utilizzo preventivo di Dopamina. Tale stabilità sembra correlata ad
una contenuta riduzione della vasocostrizione del circolo cerebrale indotta da Dexmedetomidina,
avvalorata da valori costanti di PaCO2 lungo la fase della sedazione. Anche il rapporto metabolismo
cerebrale - flusso cerebrale si mantiene stabile: i valori di saturazione venosa del circolo cerebrale
misurati mediante SjvO2 rimangono pressoché invariati anche durante la sedazione con
Dexmedetomidina, escludendo il rischio di ischemia cerebrale.'
I limiti del lavoro di X. Wang et al consistono nella monocentricità e nella potenza ridotta del
campione di pazienti, oltre che alla mancanza di correlazione tra pressione intracranica e pressione di
perfusione cerebrale. In realtà, in un lavoro del 2006, Aryan HE et al [19] hanno dimostrato una
assenza di grossolane variazioni della pressione intracranica e della pressione di perfusione cerebrale
in pazienti neurochirurgici ricoverati in Terapia Intensiva.'
In conclusione, X Wang et al non dimostrano la superiorità della sedazione con Dexmedetomidina nel
paziente con grave trauma cranico, bensì ne sottolineano la stabilità di tutti gli indicatori di
funzionalità cerebrale (PaCO2 e flusso cerebrale, SjvO2 e metabolismo cerebrale) anche in presenza di
potenziale alterazione della barriera ematoencefalica, sdoganando l’utilizzo della Dexmedetomidina
nella sedazione del paziente con grave lesione cerebrale acquisita.'
TAKE HOME MESSAGES
Dexmedetomidina: agonista selettivo recettori alfa-2 adrenergici, con proprietà sedative, ansiolitiche ed
analgesiche.'
Utilizzo esclusivamente endovenoso, diluibile in soluzione fisiologica 0,9% con concentrazione 4 mcg/ml.'
Dosaggio in infusione continua in assenza dose di carico: 0,2 – 1,4 mcg/kg/h, normalmente con velocità di
infusione iniziale 0,7 mcg/kg/min.'
Attenzione alla somministrazione di Dexmedetomidina con altre sostanze ad azione sedativa o con attività
cardiovascolare, in quanto si possono verificare effetti additivi'
Controindicazioni assolute:'
✦ blocco cardiaco II e III grado in assenza di pace maker'
✦ ipotensione non controllata'
Avvertenze:'
✦ monitoraggio cardiaco durante l’utilizzo'
✦ riduzione del dosaggio di infusione in presenza di grave insufficienza epatica causa metabolismo
prevalentemente epatico'
✦ non usare come agente d’induzione per IOT o per fornire sedazione durante uso di miorilassanti'
✦ pazienti con ridotta attività periferica del sistema nervoso autonomo (lesioni midollari), possono avere
variazioni emodinamiche più pronunciate'
✦ non sembra sopprimere attività comiziale, quindi non usare come unico trattamento anticomiziale.'
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Trauma cranico lieve: due protocolli
clinici a confronto.
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Presentazione protocolli e revisione della letteratura
Dott.ssa Paola Perfetti, Medico d’Urgenza, Pronto Soccorso Ospedale Civile Maggiore, Azienda
Ospedaliera Universitaria Integrata – Verona'
Dott. Luca Delpiano, Servizio Anestesia e Rianimazione, Città della Salute e della Scienza, C.T.O.
Torino'
Di seguito presentiamo i protocolli clinici relativi alla gestione del trauma cranico lieve nell’adulto
utilizzati presso il Pronto Soccorso Ospedale Civile Maggiore Azienda Ospedaliera Universitaria
Integrata (AOUI) – Verona e presso il Dipartimento Emergenza Accettazione (DEA) Azienda
Ospedaliero Universitaria (AOU) Città della Salute e della Scienza, presidio C.T.O. – Torino.’obiettivo
di entrambi i documenti è ottimizzare ed uniformare il percorso diagnostico clinico/strumentale e
decisionale che porterà alla dimissione, all’osservazione o al ricovero dei pazienti adulti che giungono
in Pronto Soccorso con trauma cranico lieve. '
Introduzione'
Per trauma cranico lieve nel paziente adulto s’intende qualsiasi evento traumatico che interessi il
distretto cranio-encefalico di un individuo di età superiore ai 14 anni, giunto all'osservazione con un
Glasgow Coma Score (GCS) di 14 o 15. Sono esclusi i pazienti con deficit neurologici focali, sospetto
di frattura affondata o segni clinici di frattura della base cranica.'
Questa categoria di pazienti rappresenta più dell’80% di quelli che accedono in ospedale per trauma
cranico. La variabilità clinica con cui i pazienti si presentano alla prima valutazione, caratterizzata da
pochi o sfumati sintomi, rende difficile identificare nell’immediato quelli che svilupperanno lesioni
intracraniche. '
L’evento traumatico può generare possibili lesioni anche a carico dei tessuti molli del capo e può
associarsi a conseguente perdita di coscienza di durata variabile. Il GCS rimane l'unica scala di
classificazione universalmente accettata della gravità clinica del paziente con trauma cranico.'
Stratificazione del rischio'
Fattori di rischio preesistenti
Fattori di rischio conseguenti al trauma
Età ≥ 65 anni
Perdita di coscienza transitoria
Trattamento con antiaggreganti
Amnesia post-traumatica
Coagulopatie/trattamento con anticoagulanti
Cefalea diffusa e ingravescente
Abuso di alcool o droghe
Vomito
Patologia psichiatrica o presenza di disabilità/
demenza
Crisi convulsiva post-traumatica
Storia di epilessia
Dinamica maggiore del trauma
Pregresso intervento neurochirurgico
Frattura cranica
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La gestione clinica del paziente con trauma cranico lieve dovrebbe essere basata sulla probabilità di
sviluppare complicanze neurochirurgiche (rischio evolutivo) tenendo conto dell'assenza o della
presenza di uno o più fattori di rischio preesistenti o conseguenti al trauma.'
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PERCORSO DIAGNOSTICO/DECISIONALE NELLA GESTIONE
DEL TRAUMA CRANICO LIEVE
PRESSO IL PRONTO SOCCORSO OSPEDALE CIVILE MAGGIORE AOUI VERONA
PRESSO IL PRONTO SOCCORSO OSPEDALE CIVILE MAGGIORE AOUI - VERONA
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ASSEGNAZIONE DELLA CLASSE DI RISCHIO PRESSO IL PRONTO SOCCORSO OSPEDALE CIVILE MAGGIORE AOUI –
VERONA
Assegnazione
della eclasse
di obiettivo
rischio
pressoviene
il pronto
ospedale
civile
maggiore
Sulla base dell’anamnesi
dell’esame
il paziente
assegnato soccorso
a una delle tre
classi di rischio:
basso,
intermedio,
alto.
AOUI - Verona
RISCHIO
BASSO
SullaEVOLUTIVO
base dell’anamnesi
e dell’esame obiettivo il paziente viene assegnato a una delle tre
Rientrano in questa categoria i pazienti con GCS 15 senza fattori di rischio preesistenti o conseguenti al trauma.
classi di
rischio: basso, intermedio, alto.'
RISCHIO EVOLUTIVO INTERMEDIO
Rischio
evolutivo basso
Rientrano in questa categoria i pazienti con GCS 15 e almeno uno dei seguenti fattori di rischio:
•
perdita
di coscienza
transitoria; i pazienti con GCS 15 senza fattori di rischio preesistenti o conseguenti
Rientrano in
questa categoria
• amnesia post-traumatica;
al trauma.'
• cefalea diffusa (non limitata al punto d’impatto) e ingravescente;
• 1 episodio
di vomito;
Rischio
evolutivo
intermedio
• dinamica maggiore del trauma;
Rientrano
in
questa
categoria
pazienti con GCS
15 e almeno uno dei seguenti fattori di rischio:'
• ferita del cuoio capelluto
a tutto ispessore/ematoma
subgaleale;
•
età
≥
65
anni;
✦ perdita di coscienza transitoria;'
• trattamento con antiaggreganti;
• sospetto o accertato abuso di alcool o droghe;
• patologia psichiatrica o presenza di disabilità/demenza;
• storia
di epilessia;Council
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• pregresso intervento neurochirurgico.
RISCHIO EVOLUTIVO ALTO
Rientrano in questa categoria i pazienti con:
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amnesia post-traumatica;'
✦ cefalea diffusa (non limitata al punto d’impatto) e ingravescente;'
✦ 1 episodio di vomito;'
✦ dinamica maggiore del trauma; '
✦ ferita del cuoio capelluto a tutto spessore/ematoma subgaleale;'
✦ età ≥ 65 anni;'
✦ trattamento con antiaggreganti;'
✦ sospetto o accertato abuso di alcool o droghe;'
✦ patologia psichiatrica o presenza di disabilità/demenza;'
✦ storia di epilessia;'
✦ pregresso intervento neurochirurgico.'
Rischio evolutivo alto
Rientrano in questa categoria i pazienti con:'
✦ GCS 15 e una delle seguenti:'
• perdita di coscienza transitoria e un altro fattore di rischio;'
• coagulopatia o trattamento con anticoagulanti;'
• crisi convulsiva post-traumatica.'
✦ GCS 14.'
✦
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DIAGRAMMA DI FLUSSO DELLA GESTIONE DEL TRAUMA CRANICO LIEVE
PRESSO IL DEA AOU CITTÀ DELLA SALUTE E DELLA SCIENZA
PRESIDIO C.T.O. – TORINO '
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ASSEGNAZIONE
DELLA Council
CLASSE DI
Italian
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PRESIDIO C.T.O. – TORINO
RISCHIO PRESSO
IL DEA
AOU Club
CITTÀ DELLA SALUTE E DELLA SCIENZA PRESIDIO
Trauma
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Sulla base dell’anamnesi e dell’esame obiettivo il paziente viene assegnato a una delle tre classi di rischio: basso, intermedio,
alto.
RISCHIO EVOLUTIVO BASSO
TJC
Anno 4 Numero 8, Giugno 2014
!
Assegnazione della classe di rischio presso il DEA AOU Città della Salute e della Scienza
presidio C.T.O. - Torino'
Sulla base dell’anamnesi e dell’esame obiettivo il paziente viene assegnato a una delle tre classi di
rischio: basso, intermedio, alto.'
!
Rischio evolutivo basso
Rientrano in questa categoria i pazienti orientati nel tempo e nello spazio (GCS 15) senza fattori di
rischio preesistenti o conseguenti al trauma.'
!
Rischio evolutivo intermedio
Pur in assenza di altri fattori di rischio, rientrano in questa categoria i pazienti con uno dei seguenti
criteri:'
✦ amnesia retrograda;'
✦ dinamica del trauma ad alto rischio (pedone investito, passeggero sbalzato fuori dall’abitacolo
dell’auto, caduta da oltre 1 metro);'
✦ vomito;'
✦ sospetto o accertato abuso di alcol o droghe; '
✦ coagulopatia o terapia con anticoagulanti o antiaggreganti;'
✦ cefalea grave o ingravescente non limitata al punto d’impatto;'
✦ storia di epilessia.'
!
Rischio evolutivo alto
Rientrano in questa categoria i pazienti con:'
✦ GCS 15 e perdita di coscienza transitoria, con uno o più dei seguenti fattori di rischio:'
• cefalea;'
• vomito;'
• età oltre i 65 anni.'
✦ Oltre ai fattori di rischio preesistenti o conseguenti al trauma, quali:'
• intossicazione da alcol e droga;'
• amnesia per l’evento traumatico;'
• storia di epilessia;'
• coagulopatia e terapia con anticoagulanti o antiaggreganti;'
• crisi comiziale post-traumatica;'
• GCS 14.'
!
PERCORSO DIAGNOSTICO/DECISIONALE '
!
Pazienti con rischio evolutivo basso'
!
'
Percorso radiologico'
!
'
In questi pazienti non è indicato alcun esame radiologico del distretto cranio-encefalico. '
!
'
Percorso decisionale'
Italian Resuscitation Council
Trauma Journal Club
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TJC
Anno 4 Numero 8, Giugno 2014
!
'
I pazienti che rientrano nella categoria di rischio basso possono essere dimessi con la scheda
informativa delle raccomandazioni per l’osservazione domiciliare dopo una valutazione delle
condizioni sociali/assistenziali.'
!
Pazienti con rischio evolutivo intermedio'
!
Percorso radiologico
!
'
In tutti i casi, considerato che il rischio di lesioni intracraniche post-traumatiche è più elevato
nelle prime 6 ore dal trauma, è indicata l’esecuzione della TAC encefalo (con finestra per osso) dopo
almeno 3 ore dall’evento traumatico (un referto negativo di TAC eseguita anticipatamente può essere
un “falso negativo”).'
'
Nel caso vi sia evidenza di frattura ossea alla TAC, pure in assenza di lesioni endocraniche, è
indicata la ripetizione della TAC prima della dimissione. '
!
!
Percorso decisionale
'
I pazienti che rientrano nella categoria di rischio intermedio devono essere sottoposti a
un’osservazione clinica di almeno 6 ore dal trauma. Mentre a Borgo Trento in presenza di due o più
fattori di rischio l’osservazione potrà essere prolungata a 12 ore dal trauma; al C.T.O. l’osservazione
viene prolungata fino a 24h in caso il paziente sia in terapia antiaggregante o anticoagulante. '
Nel caso vi sia evidenza di frattura ossea alla TAC, pure in assenza di lesioni endocraniche, è indicata
l'osservazione per 24 ore e una TAC di controllo prima della dimissione. '
'
In presenza di una lesione intracranica documentata alla TAC, è necessaria la consulenza
neurochirurgica, che stabilirà se il paziente deve essere ricoverato in ospedale o dimesso.'
'
In assenza di lesione intracranica, il paziente asintomatico, clinicamente stabile durante
l’osservazione, viene dimesso con la scheda informativa delle raccomandazioni per l’osservazione
domiciliare.'
!
Pazienti con rischio evolutivo alto'
!
'
Percorso radiologico'
!
'
In questi pazienti si raccomanda l'esecuzione della TAC encefalo (con finestra per osso) il
prima possibile. '
È indicata la ripetizione della TAC nei seguenti casi:'
✦ nonostante l’adeguata terapia antidolorifica (per es. paracetamolo) permangono o si aggravano la
cefalea o il vomito;'
✦ si deteriora lo stato di coscienza;'
✦ compaiono deficit neurologici focali.'
È indicata la ripetizione della TAC prima della dimissione in caso di:'
✦ evidenza di frattura ossea alla TAC, pure in assenza di lesioni endocraniche;'
✦ coagulopatia/trattamento con anticoagulanti;'
✦ crisi convulsiva post-traumatica.'
Italian Resuscitation Council
Trauma Journal Club
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TJC
Anno 4 Numero 8, Giugno 2014
'
Percorso decisionale
A cura di Dott.ssa Paola Perfetti, Verona e Dott.
Luca Delpiano, Torino
!
I pazienti che rientrano nella categoria di
rischio alto necessitano di un'osservazione
clinica di almeno 24 ore dal trauma.'
Nel caso vi sia evidenza di frattura ossea
a l l a TAC , p u r e i n a s s e n z a d i l e s i o n i
endocraniche, è indicata l'osservazione per
24 ore e una TAC di controllo prima della
dimissione. '
In presenza di una lesione intracranica
documentata alla TAC è necessaria la
consulenza neurochirurgica, che stabilirà se
i l p a z i e n te d e v e e s s e r e r i co v e r a to i n
ospedale o dimesso.'
In a s s e n z a d i l e s i o n e i n t r a c r a n i c a , i l
paziente asintomatico, clinicamente stabile
durante l’osservazione, viene dimesso con la
scheda informativa delle raccomandazioni
per l’osservazione domiciliare.'
!
PERIODO DI OSSERVAZIONE '
!
!
!
!
Criteri
Sono ammessi all’osservazione i pazienti
con rischio evolutivo intermedio/alto. '
Modalità'
Si raccomanda la valutazione periodica
di:'
✦ GCS;'
✦ stato delle pupille;'
✦ sintomi;'
✦ parametri vitali.'
Tale valutazione deve avvenire:'
✦ ogni 3 ore nel paziente con rischio
evolutivo intermedio;'
✦ ogni 2 ore nel paziente con rischio
evolutivo alto;'
✦ prima della dimissione.'
D u r a n t e l ’ o s s e r v a z i o n e i n Pr o n t o
Soccorso i pazienti dovranno seguire le
Italian Resuscitation Council
Commento
Nel corso degli ultimi anni la letteratura ha cercato
di stratificare le classi di rischio del trauma cranico
lieve e di definire i relativi percorsi diagnostico/
decisionali. Da un’attenta revisione delle linee
guida più recenti1-7 e degli articoli più
significativi8-16, emergono suggerimenti non
sempre univoci legati alla carenza di evidenze
scientifiche. Le “aree grigie” riguardano:'
✦ la corretta identificazione del rischio
evolutivo intermedio;'
✦ l’indicazione alla ripetizione della TAC
encefalo;'
✦ la durata minima di osser vazione per i
pazienti con rischio evolutivo intermedio e
alto;'
✦ l a g e s t i o n e d e i p a z i e n t i i n te r a p i a co n
antiag greganti e soprattutto con i nuovi
anticoagulanti orali.'
S u q u e s t i a s p e t t i s i co n ce n t r a n o l e m i n i m e
differenze tra i due protocolli proposti, a conferma
che costituiscono delle zone grigie, e che quando le
linee guida e la letteratura non danno indicazioni
precise, quando si definiscono dei modelli di
comportamento, è necessario tener conto delle
condizioni ambientali e delle risorse disponibili di
ogni singolo centro. '
Nell’attesa che la letteratura dia risposte certe in
merito a ciò, è comunque auspicabile che in ogni
ospedale esistano delle strategie omogenee e
accurate, adattate alle realtà locali, di approccio al
paziente con trauma cranico lieve che consentano
di individuare le lesioni cerebrali clinicamente
rilevanti e, al contempo, di ridurre al minimo
necessario l’utilizzo dell’osservazione ospedaliera e
della TAC encefalo. Tali strategie dovranno, in ogni
caso, perseguire l’obiettivo di evitare errori di
s o t to v a l u t a z i o n e , p e r l ’ e n o r m e p e s o c h e l e
conseguenze di tali errori, anche in singoli casi,
comportano per la società. '
Trauma Journal Club
pag 38
TJC
!
Anno 4 Numero 8, Giugno 2014
seguenti indicazioni dietetiche: dieta idrica nelle prime 6 ore, dieta leggera successivamente.'
La perdita di 2 punti di GCS, la variazione del diametro pupillare o la comparsa di sintomi che
configurano un deterioramento, determinano l’uscita del paziente da questo protocollo.
L’osservazione clinica si prolunga al massimo per 24 ore, ma in caso di difficoltà logistiche si può
ricorrere anche al regime di ricovero.'
MODALITÀ DI DIMISSIONE
Tutti i pazienti rinviati a domicilio al termine del percorso diagnostico/decisionale, dovranno avere un
GCS uguale a 15. Il paziente deve essere affidato a una persona in grado di osservare le indicazioni
contenute nella scheda informativa delle raccomandazioni per l’osservazione domiciliare.'
Bibliografia!
1.NICE 2014. The National Institute for Health and Care Excellence (NICE) Guideline Development Group. Triage, assessment,
investigation and early management of head injury in children, young people and adults. 2014 January.'
2.SNC 2013. Undén J, Ingebrigtsen T, Romner B; Scandinavian Neurotrauma Committee (SNC). Scandinavian guidelines for initial
management of minimal, mild and moderate head injuries in adults: an evidence and consensus-based update. BMC Med 2013 Feb
25;11:50.'
3.EAST 2012. Barbosa RR, Jawa R, Watters JM, Knight JC, Kerwin AJ, Winston ES, Barraco RD, Tucker B, Bardes JM, Rowell SE;
Eastern Association for the Surgery of Trauma (EAST). Evaluation and management of mild traumatic brain injury: an Eastern
Association for the Surgery of Trauma practice management guideline. J Trauma Acute Care Surg 2012;73:S307-14.'
4.EFNS 2012. Vos PE, Alekseenko Y, Battistin L, Ehler E, Gerstenbrand F, Muresanu DF, Potapov A, Stepan CA, Traubner P, Vecsei
L, von Wild K; European Federation of Neurological Societies (EFNS). Mild traumatic brain injury. Eur J Neurol 2012 Feb;19(2):
191-8.'
5.SIGN 2009. Scottish Intercollegiate Guidelines Network (SIGN). Early management of patients with a head injury. A national
clinical guideline. Edinburgh (Scotland) 2009 May.'
6.ACEP 2008. Jagoda AS, Bazarian JJ, Bruns JJ Jr, Cantrill SV, Gean AD, Howard PK, Ghajar J, Riggio S, Wright DW, Wears RL,
Bakshy A, Burgess P, Wald MM, Whitson RR; American College of Emergency Physicians (ACEP); Centers for Disease Control
and Prevention. Clinical policy: neuroimaging and decisionmaking in adult mild traumatic brain injury in the acute setting. Ann
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7.Trattamento del trauma cranico minore e severo. Linee guida nazionali di riferimento 2007.'
8.Stein SC, Fabbri A, Servadei F, Glick HA. A critical comparison of clinical decision instruments for computed tomographic
scanning in mild closed traumatic brain injury in adolescents and adults. Ann Emer Med 2009 Feb;53(2):180-8.'
9.Harnan SE, Pickering A, Pandor A, Goodacre SW. Clinical decision rules for adults with minor head injury: a systematic review. J
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10.Stein SC, Fabbri A, Servadei F. Routine serial computed tomographic scans in mild traumatic brain injury: when are they costeffective? J Trauma 2008 Jul;65(1):66-72.'
11.Velmahos GC, Gervasini A, Petrovick L, Dorer DJ, Doran ME, Spaniolas K, Alam HB, De Moya M, Borges LF, Conn AK.
Routine repeat head CT for minimal head injury is unnecessary. J Trauma 2006 Mar;60(3):494-9.'
12.Stippler M, Smith C, McLean AR, Carlson A, Morley S, Murray-Krezan C, Kraynik J, Kennedy G. Utility of routine follow-up
head CT scanning after mild traumatic brain injury: a systematic review of the literature. Emerg Med J 2012 Jul;29(7):528-32.'
13.Menditto VG, Lucci M, Polonara S, Pomponio G, Gabrielli A. Management of minor head injury in patients receiving oral
anticoagulant therapy: a prospective study of a 24-hour observation protocol. Ann Emerg Med 2012 Jun;59(6):451-5.'
14.McMillian WD, Rogers FB. Management of prehospital antiplatelet and anticoagulant therapy in traumatic head injury: a
review. J Trauma 2009 Mar;66(3):942-50.'
15.Fabbri A, Servadei F, Marchesini G, Bronzoni C, Montesi D, and Arietta L, for the Società Italiana di Medicina d’Emergenza
Urgenza Study Group. Antiplatelet therapy and the outcome of subjects with intracranial injury: the Italian SIMEU study. Critical
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16.Nishijima DK, Offerman SR, Ballard DW, Vinson DR, Chettipally UK, Rauchwerger AS, Reed ME, Holmes JF; Clinical
Research in Emergency Services and Treatment (CREST) Network. Risk of traumatic intracranial hemorrhage in patients with
head injury and preinjury warfarin or clopidogrel use. Acad Emerg Med 2013 Feb;20(2):140-5.'
Italian Resuscitation Council
Trauma Journal Club
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TJC
Anno 4 Numero 8, Giugno 2014
Revisioni sistematiche e narrative: oltre i
luoghi comuni
!
PILLOLE DI METODOLOGIA PER UNA LETTURA CRITICA
Dott. Paolo Gardois, Biblioteche della Città della Salute e della Scienza, Torino.'
In anni recenti, le revisioni di letteratura sono diventate un fondamentale strumento di lavoro per gli
specialisti clinici, oltre che per i ricercatori.'
La letteratura pubblicata in ogni settore della biomedicina cresce a ritmi elevatissimi: ad esempio, nel
solo database Pubmed vengono inseriti annualmente circa 500.000 nuovi record. Su molti argomenti
clinici specialistici, ogni anno sono pubblicati migliaia di nuovi lavori. Questa mole di letteratura deve
perciò essere sintetizzata, per poterla utilizzare, e lo strumento principale di sintesi sono proprio le
revisioni di letteratura. Questo articolo esplorerà il posto occupato dalle revisioni sistematiche nella
letteratura scientifica, la differenza tra revisioni narrative e sistematiche e il concetto di
“sistematicità” di una revisione.'
Che cosa sono le revisioni di letteratura?
Ogni volta che si disegna un nuovo studio, prima di iniziare a raccogliere i dati si esegue una revisione
della letteratura esistente sull’argomento. E’ fondamentale reperire le migliori evidenze disponibili
nella letteratura prima di avviare uno studio: se fossero già disponibili in letteratura dati sufficienti
per rispondere al quesito individuato, eseguire lo studio rappresenterebbe uno spreco di risorse ed
una violazione dei principi etici fondamentali che stanno alla base della ricerca.'
Se la “literature review” è pertanto parte integrante di ogni progetto di ricerca e di ogni articolo che si
pubblica, esistono specifiche tipologie di articolo scientifico che si chiamano, appunto “revisioni”.
Nelle revisioni, l’obiettivo del lavoro consiste nel “fare il punto” rispetto ai dati disponibili in
letteratura in risposta ad un quesito clinico o di ricerca, sintetizzando il meglio della letteratura.'
La revisione come lavoro a sé va pertanto distinta sia dai lavori originali di ricerca, sia da linee guida e
protocolli. Mentre i lavori “primari” raccolgono ed analizzano dati direttamente dai soggetti e dalle
situazioni studiate, le revisioni sintetizzano i dati della letteratura primaria: i pazienti stanno ad un
lavoro primario come i singoli lavori stanno ad una revisione sistematica. Inoltre, le revisioni si
limitano a rispondere ad un quesito, mentre le linee guida si basano sulla letteratura e/o il consenso di
esperti per formulare raccomandazioni da applicare nella pratica clinica.'
Sistematica o narrativa?
Il lavoro dei revisori di letteratura è particolarmente delicato. I singoli lavori vanno innanzitutto
reperiti, poi valutati criticamente al fine di decidere se includerli o meno nella sintesi, e infine
sintetizzanti in modo da rispondere al quesito iniziale. Esistono diversi modi di procedere per
realizzare una revisione. Innanzitutto occorre definire se la revisione deve essere narrativa o
sistematica.'
Le revisioni narrative (chiamate anche “overviews”) mirano a presentare una “una visione generale
sulla letteratura [relativa a un dato quesito] e descriverne le caratteristiche” (Grant and Booth, 2009).
In questo modo, si riassumono i temi principali relativi all’argomento trattato, si individuano alcuni
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TJC
Anno 4 Numero 8, Giugno 2014
lavori di riferimento e si tenta di fornire delle prime, parziali risposte al quesito che sta alla base della
revisione. I quesiti su cui si basa una revisione narrativa sono in genere abbastanza ampi (Cook et al.,
1997), e in questo risiede il pregio principale di questo tipo di revisioni (Collins and Fauser, 2005), che
sono utili ad esplorare gli aspetti salienti di un argomento abbastanza generale. Un possibile problema
relativo alle revisioni narrative consiste invece nell’assenza di criteri rigorosi per la ricerca degli studi
primari, la loro inclusione, ed i metodi di analisi e sintesi dei dati in essi contenuti.'
Questi ultimi rappresentano, al contrario, il punto di forza delle revisioni sistematiche, che hanno le
seguenti caratteristiche:'
✦ cercano risposta a un quesito molto circoscritto e specifico;'
✦ definiscono chiaramente dei criteri d’inclusione ed esclusione degli studi primari, strettamente
legati al quesito, e riguardanti sia il contenuto degli studi, sia il loro disegno (si può, ad es.,
decidere di includere solo i trial clinici e non gli studi osservazionali);'
✦ adottano metodi espliciti e rigorosi (cioè, appunto, sistematici) per la ricerca della letteratura, la
valutazione critica dei lavori e la loro sintesi.'
L’adozione di questa metodologia aiuta a ridurre il rischio di distorsioni sistematiche (bias) nelle
risposte che i revisori forniscono al quesito di partenza. Adottando un metodo sistematico, si riduce il
rischio di non reperire studi importanti per la risposta al quesito, di escludere per errore alcuni studi
dall’analisi e dalla sintesi, di non valutare pregi e difetti degli studi in modo equilibrato e di far
prevalere, nella sintesi, preferenze personali e visioni di parte rispetto ai dati obiettivi che emergono
dagli studi. Il prezzo da pagare, tuttavia, consiste nel dover partire da quesiti molto specifici, che
difficilmente potranno prendere in considerazione il quadro generale relativo ad un dato argomento.'
In che senso, “sistematico”?
Revisioni narrative e sistematiche, dunque, soddisfano esigenze di tipo diverso, e non si deve
necessariamente concludere che le seconde siano superiori alle prime per qualità e valore. La validità
ed il valore di uno studio dovrebbero essere commisurati al loro scopo e alla correttezza e al rigore
con cui i metodi sono applicati. Ad esempio, esistono ottime revisioni narrative che costituiscono
utili punti di partenza per esplorare una problematica clinica, e pessime revisioni sistematiche che
non consentono di rispondere ad un quesito clinico circoscritto.'
Inoltre, occorre chiarire alcuni possibili fraintendimenti sull’uso del termine “sistematico”. In
generale, la sistematicità di una revisione ha a che fare esclusivamente con l’adozione di metodi
espliciti e rigorosi di ricerca, analisi e sintesi della letteratura primaria. Data questa sistematicità, si
hanno però revisioni di tipo molto diverso.'
In primo luogo, si ravvisa comunemente una confusione tra revisione sistematica e meta-analisi
quantitativa dei risultati. Esistono indubbiamente in letteratura un certo numero di revisioni
sistematiche che producono una sintesi statistica dei risultati dei singoli studi inclusi. Ad esempio,
dopo aver incluso in una revisione sistematica alcuni studi primari riguardanti l’efficacia di un
trattamento, si valuta che gli studi trattano popolazioni, interventi ed esiti sufficientemente
omogenei perché si possano sottoporre a sintesi quantitativa. Quest’ultima si realizza tramite la metaanalisi, tecnica statistica che consente appunto di stimare cumulativamente gli esiti di un trattamento
riportati da diversi studi primari. Ove eseguibile, quindi, la revisione sistematica con meta-analisi
fornisce una risposta molto chiara al quesito di partenza.'
Tuttavia, esistono molte revisioni sistematiche che non identificano un numero di studi omogenei
sufficiente per poter eseguire la meta-analisi. Questo non inficia però, di per sé, la loro validità, se lo
studio ha adottato correttamente i metodi di ricerca, i criteri di inclusione e i metodi di valutazione
ed analisi descritti in precedenza. Si tratterà semplicemente di uno studio “negativo”, che riporterà
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TJC
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l’assenza di dati sufficienti in letteratura per rispondere al quesito di partenza, ma allo stesso tempo
fornirà comunque un panorama della letteratura sull’argomento e potrà stimolare la produzione di
nuovi lavori, in grado di fornire una risposta al quesito che rimane aperto.'
In secondo luogo, esistono revisioni sistematiche che non si propongono necessariamente di fornire
una sintesi dei risultati, ma semplicemente di passare in rassegna o di mappare in modo sistematico
gli elementi di base di un certo argomento di interesse clinico. Si tratta delle “scoping reviews” o
“mapping reviews”, che costituiscono un anello di congiunzione tra revisioni narrative e sistematiche.
Assomigliano alle prime perché esplorano argomenti piuttosto ampi; delle seconde, però, utilizzano i
metodi rigorosi utili a produrre una mappa equilibrata degli argomenti. Scoping e mapping reviews
forniscono quindi il quadro di riferimento da cui partire per realizzare revisioni sistematiche che
cerchino risposta ad un quesito specifico.'
Da ultimo, le revisioni sistematiche non realizzano necessariamente sintesi quantitative né riguardano
soltanto studi quantitativi. Si hanno infatti, ad esempio, revisioni sistematiche che non possono
realizzare una sintesi quantitativa di risultati (meta-analisi), ma sintetizzano narrativamente i temi
principali individuati negli studi. Inoltre, le revisioni sistematiche possono anche riguardare
esclusivamente studi qualitativi. In questo caso, adotteranno i metodi rigorosi specificati in
precedenza per reperire ed analizzare gli studi primari, e quindi si tratterà di revisioni sistematiche a
pieno titolo. Riguardo alla sintesi, le revisioni sistematiche di studi qualitativi adotteranno invece
metodi rigorosi di sintesi qualitativa – ad es. l’analisi tematica.'
Conclusioni
Le revisioni di letteratura sono uno
strumento fondamentale per il clinico,
Bibliografia!
perché selezionano i migliori studi su un
• Collins, J.A., Fauser, B.C.J.M., 2005. Balancing the strengths
of systematic and narrative reviews. Hum. Reprod. Update
quesito od argomento e ne sintetizzano i
11, 103–104. doi:10.1093/humupd/dmh058'
risultati. Le revisioni consentono quindi
• Cook, D.J., Mulrow, C.D., Haynes, R.B., 1997. Systematic
ai clinici di rispondere a un quesito o
Reviews: Synthesis of Best Evidence for Clinical Decisions.
esplorare un argomento senza dover
Ann.
In t e r n .
Me d .
126,
3 7 6 – 3 8 0.
doi:
leggere tutti gli studi primari.'
10.7326/0003-4819-126-5-199703010-00006'
• Grant, M.J., Booth, A., 2009. A typology of reviews: an
Non tutte le revisioni, però, adottano gli
analysis of 14 review types and associated methodologies.
stessi metodi e lo stesso disegno, e
He a l t h In f. L i b r. J. 2 6 , 9 1 – 1 0 8 . d o i : 1 0. 1 1 1 1 / j .
possono avere scopi diversi. Prima di
1471-1842.2009.00848.x
leg gere una revisione, è importante
verificare se l’impostazione è narrativa o
s i s te m a t i c a . S e s i h a d i f r o n te u n a
revisione sistematica, è importante valutare se i criteri di inclusione, ricerca, analisi e sintesi degli
studi sono adatti al quesito esplorato, e sono applicati correttamente. Infine occorre ricordare che
sistematicità non è necessariamente sinonimo di sintesi quantitativa, perché esistono sia revisioni
sistematiche con sintesi narrative/qualitative, sia revisioni sistematiche che non hanno come scopo
immediato di sintetizzare la letteratura su un quesito, ma soltanto di identificarne le principali
tematiche e caratteristiche.'
!
!
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Trauma Journal Club
pag 42
Physiologic Indicators of
Pain in Nonverbal
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Patients with a Traumatic
7. Indicatori fisiologici
e comportamentali
Brain
Injury: An
Integrative
Review
del dolore nei pazienti
con trauma
cranico
PhD (candidate),
grave.Caroline Arbour,andRN,C!eBSc,
line G!
elinas, RN, PhD
---
Sintesi a cura di CPSE Claudio
Tacconi, Bologna
Behavioral and
Physiologic Indicators
of Pain in Nonverbal
Patients with a
Traumatic Brain
Injury: An Integrative
Review
From the School of Nursing, McGill
University, Montreal, Quebec,
Canada.
Caroline Arbour,Celine
Gelinas;
Address correspondence to Caroline
Arbour,
RN, BSc, PhD
(candidate),
Pain Management
Nursing,
Vol.
School of Nursing, McGill University,
15, No 2 (June), 2014:
pp
506-518
'
3506 University Street, Montreal,
Quebec, Canada, H3A 2A7. E-mail:
[email protected]
Pain Management Nursing
Received August 14, 2011;
IF 1.696 Review.
Revised February 24, 2012;
Accepted March 6, 2012.
1524-9042/$36.00
-
ABSTRACT:
The use of behavioral and physiologic indicators is recommended for
pain assessment in nonverbal patients. Traumatic brain injuries (TBI)
can lead to neurologic changes and affect the way patients respond to
pain. As such, commonly used indicators of pain may not apply to TBI
patients. This study aimed to review the literature about behavioral/
physiologic indicators of pain in nonverbal TBI patients. An integrative review method was used. Medline (from 1948 to June 2011),
Cinahl, and Cochrane databases were searched using any combination
of the terms brain injury, behavioral indicators, behavioral scale,
physiologic indicators, pain, pain assessment, and pain measurement.
All articles reporting expert opinion or original data about the validity
of behavioral and/or physiologic indicators of pain in TBI patients
were considered. For each article included, the quality of findings/
clinical recommendations was graded independently by two raters
using SORT taxonomy. Eight papers were reviewed. Overall, TBI
patients seemed to present a wider range of behavioral reactions to
pain than other adult populations. In addition to the commonly
observed grimace, agitation, and increased muscle tension, 14%-72%
of TBI patients showed raising eyebrows, opening eyes, weeping eyes,
and absence of muscle tension when exposed to pain. Those atypical
reactions appeared to be present only in the acute phase of TBIs
recovery. Similarly to other populations, vital signs were identified as
potential indicators of pain in TBI patients. Further research studying
TBI patients and considering changes in level of consciousness,
location/severity of brain injury, and administration of analgesic/
sedative is needed. Until then, nurses should follow the current
clinical recommendations.
Crown Copyright ! 2014 Published by Elsevier Inc. on behalf of the
American Society for Pain Management Nursing
Crown Copyright ! 2014 Published
Introduzione Negli
Uniti
by ElsevierStati
Inc. on behalf
of theil
American Society for Pain Managetrauma cranico colpisce
un milione di
ment Nursing
http://dx.doi.org/10.1016/
persone/anno. Diversamente
dalle
j.pmn.2012.03.004
altre lesioni cerebrali, quali ictus o
Pain Management Nursing, Vol 15, No 2 (June), 2014: pp 506-518
tumori, il danno è causato da una forza meccanica esterna che crea complicanze quali contusioni,
edema, emorragia. Su questi pazienti, anche se ricoverati in ICU e sottoposti a terapia analgesica il
dolore rilevato è sempre moderatamente elevato. Inoltre, l’immobilità, l’alterazione del ritmo sonno
veglia, la riabilitazione, le broncoaspirazioni, le medicazioni si è visto siano causa di un ulteriore
aumento della dolorabilità su questi pazienti. Essendo il dolore un fenomeno multidimensionale,
descritto in maniera attendibile dal solo soggetto che ne prova direttamente gli effetti, diventa
alquanto indaginoso farne un’accurata valutazione sui pazienti che perdono il contatto con
l’ambiente. Diventa pertanto una sfida importante ricercare un metodo per valutare adeguatamente e
conseguentemente trattare il dolore in coloro che per traumatismi cranici hanno un’alterazione dello
stato di coscienza. Tutto ciò anche alla luce del fatto che in fase acuta, la percezione del dolore causa
liberazione di epinefrina con conseguente aumento dell’ICP e peggioramento dell’outcome.
Obbiettivo Lo scopo di questa revisione integrativa era di descrivere e valutare gli indicatori
presenti in alettatura relativi alla valutazione del dolore nel paziente con trauma cranico in acuzia.
Essendo il trauma causa di alterazione dello stato di coscienza e della percezione degli stimoli ed
essendo questi pazienti sottoposti a coma farmacologico per la neuroprotezione, diventa
fondamentale unire indicatori di comportamento ad indicatori puramente fisiologici legati ai
Italian Resuscitation Council
Trauma Journal Club
pag 43
TJC
Anno 4 Numero 8, Giugno 2014
parametri vitali.'
Materiali e Metodi Sono state interrogate tre banche dati: Medline (dal 1948 al 2011) utilizzando
combinazioni che comprendessero lesioni cerebrali, scale comportamentali, indicatori
comportamentali, indicatori fisiologici, dolore; Cinahl (dal 1966 al 2011); Cochrane (dal 2005 al 2011) .
Gli articoli trovati attraverso la ricerca elettronica sono stati valutati e definiti eleggibili ai fini della
revisione solo quelli che riportavano al loro interno: 1) opinione di esperti a riguardo degli indicatori
comportamentali e fisiologici in risposta al dolore del paziente con trauma cranico in fase acuta, 2)
indicatori non verbali di risposta al dolore in paziente con trauma cranico.'
Risultati Dei 50 abstract emersi dalla ricerca solo 8 articoli sono stati inclusi nella revisione (3
articoli contenevano opinioni di esperti e 5 articoli contenevano la descrizione di indicatori non
verbali)'
Tutti gli articoli presenti hanno avuto risultati di bassa qualità con limitate evidenze sulla rilevanza
degli indicatori osservazionali per la valutazione del dolore nei pazienti con trauma cranico. Tuttavia,
sembra che ci sia un consenso implicito tra esperti clinici riguardante un modello tipico di
comportamenti
e risposte fisiologiche che potrebbero essere utilizzati per la rilevazione del dolore in pazienti non in
grado di verbalizzare, compresi quelli con trauma cranico. Infatti, l'aumento dei movimenti del corpo,
smorfie, cambiamenti nel tono muscolare, e la sincronia con il ventilatore sono ripetutamente
suggeriti da esperti come indicativi della presenza di dolore in Pazienti con TBI (traumatic brain
injury). Allo stesso modo, aumenta della frequenza respiratoria, cardiaca, della pressione arteriosa, e
sudorazione
sono stati identificati come potenziali indicatori fisiologici del dolore nei pazienti con trauma cranico
Più in particolare, segni atipici di espressione facciale (volto rilassato, assenza di smorfie, apertura
improvvisa degli occhi, sopracciglia sollevate e lacrimazione degli occhi) e rilassamento muscolare
sono stati osservati nei pazienti con TBI durante l'esposizione a procedure dolorose rispetto a
pazienti con altre diagnosi (Gelinas & Arbour, 2009). Inoltre, indicatori di dolorabilità potenziale,
come sudorazione e aumento ICP, dovrebbero essere ulteriormente esaminati a fini della valutazione
del dolore nei pazienti con trauma cranico (Gelinas & Johnston,2007; Schnakers & Zasler, 2007).
Infine, a causa delle numerose possibili lesioni a pazienti traumatizzati, esiste una grande eterogeneità
tra i pazienti con TBI (Dobscha, Clark, Morasco, Freeman, Campbell, e Helfand, 2009). Questo
evidenzia l'importanza di considerare la gravità, la posizione della TBI, e la somministrazione di
farmaci analgesici / sedativi come potenziali variabili. '
Discussione e Conclusioni Pochi giornali hanno affrontato la complessa questione della
valutazione del dolore in pazienti con trauma cranico non in grado di esprimersi. Vi sono sufficienti
prove empiriche che riconoscono ai pazienti con trauma cranico reazioni diverso rispetto alle altre
popolazioni. Uno studio mirato a descrivere le reazioni comportamentali e fisiologiche dei pazienti
con trauma cranico esclusivamente durante procedure dolorose consentirebbe l'identificazione di
potenziali indicatori di dolore in quel gruppo specifico. Inoltre, registrazione video di comportamenti
e l'uso di un insieme di dati (es segni vitali monitorati in continuo) potrebbe rafforzare il metodo di
ricerca per l'identificazione di tali indicatori osservazionali. Fornire agli infermieri strumenti di
rilevazione del dolore validi e specifici per pazienti con trauma cranico non coscienza alterata
potrebbe essere un primo passo verso la gestione del dolore più efficace in questo vulnerabile
Italian Resuscitation Council
Trauma Journal Club
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TJC
Anno 4 Numero 8, Giugno 2014
gruppo di utenti.'
A cura di CPSE Claudio Tacconi, Bologna
Commento
Le scale a disposizione dei professionisti per la valutazione del dolore non tengono in
considerazioni le peculiarità tipiche del paziente con lesione cerebrale sia essa traumatica che
non traumatica. Il paziente neuroleso ha particolari comportamenti che variano dal resto dei
pazienti sia per quanto riguarda la nocicezione sia per quanto riguarda la percezione. La
letteratura a nostra disposizione descrive però quali sono gli indicatori sia fisiologici (in termini
di tipologia e variazione dei parametri) che comportamentali che subiscono delle variazioni in
seguito a stimolazione dolorosa nel paziente con lesione cerebrale. Questo dovrebbe essere il
punto di partenza per la costruzione di un sistema di rilevazione del dolore su paziente
neuroleso al fine di arrivare ad una scala validata che diventi poi riproducibile ed applicabile sui
pazienti con alterazione della coscienza ovvero non in grado di attuare un self-report. Ciò
permetterebbe di evitare frequenti situazioni di under o over treatment del dolore dovute ad un
monitoraggio non accurato o troppo empirico.'
In termini pratici potrebbe essere rilevante un lavoro basato sui seguenti step:'
✦ Raccolta degli indicatori fisiologici e comportamentali presenti in letteratura e dei relativi
descrittori'
✦ Inserimento degli indicatori in una scala con attribuzione di score specifici'
✦ Utilizzo della scala su pazienti con neurolesione rilevando, oltre che al punteggio totale,
anche ogni singolo indicatore correlandolo alla lesione cerebrale specifica ed al allo stato
di coscienza (GCS)'
✦ Costruzione di scale di valutazione specifiche basate sull’area cerebrale danneggiata
ovvero utilizzo di indicatore specifico e sensibile in funzione della lesione'
!
!
!
Italian Resuscitation Council
Trauma Journal Club
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TJC
Anno 4 Numero 8, Giugno 2014
8. Gli effetti delle cure igieniche orali sulla
The Effectintracranica
of Oral Care on Intracranial
pressione
Pressure: A Review of the Literature
Volume 43
&
Number 5
&
October 2011
Christina M. Szabo
Sintesi a cura di Dott.Salvatore
Lanzarone, Torino.
The effect of oral care
on intracranial
pressure: a review of
the literature.
Szabo C.M; The journal of
neuroscience nursing 2011; 43(5):
1-9. '
ABSTRACT
Neuroscience intensive care unit nurses routinely perform oral care on patients with intracranial pressure
(ICP) monitoring. When the ICP is elevated or rises in response to oral care, this intervention may be
withheld despite the lack of evidence linking the two. To appraise the best evidence for providing oral care
to patients with ICP monitoring, articles published in English from 1978 to 2009 and indexed in CINHAL,
PubMed/MEDLINE, Cochran Library, and BioSys were searched using the key terms ICP monitoring,
intracranial hypertension, oral care, mouth care, hygiene, nursing interventions, nursing care, intensive
care, and critical care. Reference lists of retrieved articles were reviewed for articles missed during
the initial search. The search yielded 65 articles: 16 experimental or quasi-experimental studies,
24 descriptive studies, and 25 review articles. Of these, only four specifically tested or described the
effect of oral care on ICP. There is a need for more knowledge about the effect of oral care on ICP so
that evidence-based oral care practices in this patient population can be defined.
M
inimizing elevations in intracranial pressure
(ICP) is a significant challenge in critically ill
Background
Continuous intracranial monitoring has become the
Introduzione
Il monitoraggio
continuo
PIC
diventato
neuroscience patients,
especially when the standard
of care della
for patients
with è
conditions
assointerventions that increase ICP are necessary to pre- ciated with increased ICP; ICP reflects the pressure
lo
standard
di
cura
per
i
pazienti
che
hanno
condizioni
vent additional complications. In providing care to exerted by the contents of the cranium (blood, brain,
critically ill patients requiring ICP monitoring, nurses and cerebrospinal fluid [CSF]) against the bony, rigid
patologiche
adriskun
possibile
aumento.
balance
the need for an associate
intervention with the
of suo
skull, which,
under normal
conditions, are inNegli
a state
causing elevation in ICP. They anticipate the physio- of dynamic equilibrium. In adults, the normal range
The journal of neuroscience
adulti,
il range
di normalità
PIC
è
tra
5
e
15
mmHg.
logical
response
to the intervention
before it is initi-della
for ICP is 5Y15 mm Hg. It is considered elevated atÈ
ated. A common approach is to note the ICP responses values greater than 20 mm Hg. According to the
nursing IF 0.756 Revisione
considerata
elevata
a valori
superiori
a 20mmHg.
to
all interventions before
proceeding
with a specific
MonroYKellie
doctrine, if an increase in one of the
intervention. If the ICP increases beyond normal lim- intracranial components is not matched by a recipronarrativa
its,
intervention is critico
stopped or modified
prevent cal decrease
Il the
problema
nellatogestione
dei pazienti
in one or bothcon
of the ipertensione
others, the result is
further elevation. Such is the case with oral care, a increased ICP or intracranial hypertension.
routine
intervention frequently
included in efforts
intracranica
è garantirne
la toperfusione
cerebrale.
Il cervello
Intracranial pathology
known to increase
ICP indecrease ventilator-associated pneumonia (VAP). cludes traumatic brain injury, intracranial hemorrhage,
Nurses indicate
that oral care
a priority and modify
riceve circa il 15-20% della gittata cardiaca
totale
e isconsuma
il 20%
di stroke,
tutto
l'ossigeno
daencephaparte
ischemic
tumor,
abscess, meningitis,
their oral practices on the basis of the ICP. It is im- litis, increased production of CSF, decreased absorpportant
to
understand
the
ICP
response
to
oral
care
to
tion ofparte
CSF, and del
obstruction
of CSF flow.risultano
Extracranial
dell'organismo. Considerando queste elevate richieste metaboliche da
cervello,
develop strategies for modifying this intervention. pathology includes hypoxia, hypercarbia, fever, hyperThere
are
few
studies,
however,
that
have
systemattension,
hyponatremia,
venous
obstruction,
and hepatic
determinanti i valori di pressione arteriosa media sistemica (MAP).'
ically explored the effect of oral care on ICP. This failure (Ropper & Rockhoff, 1993). Normal compensawill provide a comprehensive
review of di
the perfusione
tory mechanisms tocerebrale
reduce ICP include
displacement
Minimizzare l'innalzamento della PICarticle
e mantenere
la pressione
è una
sfida
state of the science in the study of the effect on ICP of CSF from the brain to the subarachnoid cistern,
of nursing cranico
interventions similar
to oral caresoprattutto
and the compression
of the venous
and vasoconstric-di
significativa nei pazienti critici con trauma
associato,
durante
losinuses,
svolgimento
implication for oral care practices.
tion of cerebral arteries, which results in decreased ceblood volume
(Hickey & Olson, 2009).
quegli interventi clinico-assistenziali che si rendono necessari per larebral
cura
e, la(CBV)
prevenzione
delle
The critical issue in management of patients with
Questions or comments about this article may be directed to
intracranial hypertension is cerebral perfusion. The
Christina M.causa
Szabo, RN dell’aumento
MS, at [email protected]. She
is a doc- PIC.'
complicanze, che possono essere essi stessi,
della
toral candidate at the Department of Adult Health and Nursing brain receives approximately 15%Y20% of the total
Systems, School of Nursing, Virginia Commonwealth University, cardiac output and consumes 20% of all oxygen used
Obiettivo Fornire una sintesi della letteratura
rispetto alle migliori evidenze disponibili sull’impatto
Richmond, VA.
by the body. Given the brain’s high metabolic rate and
Copyright B 2011 American Association of Neuroscience Nurses oxygen demands, systemic mean arterial pressure
che gli interventi assistenziali, con un DOI:
focus
dedicato
alle
modalità
di
esecuzione dell’igiene del cavo
(MAP) is a factor in maintaining cerebral perfusion
10.1097/JNN.0b013e318227f1e5
orale, possono avere sull’alterazione della PIC, nei pazienti che necessitano di un monitoraggio
Copyright @ 2011 American Association of Neuroscience Nurses. Unauthorized reproduction of this article is prohibited.
continuo di tale valore.'
Metodi Sono stati ricercati articoli pubblicati in inglese nel periodo 1978-2009 e indicizzati sulle
principali banche dati biomediche, utilizzando le parole chiave “ICP monitoring”,“intracranial
hypertension”, “oral care”, “mouthcare”, “hygiene”, “nursing interventions”, “nursing care”, “intensive
care”, and “critical care”.'
La ricerca ha prodotto 65 articoli : 16 studi sperimentali o quasi- sperimentali ,24 studi descrittivi e 25
articoli di revisione. Di questi, solo quattro hanno specificamente testato o descritto l'effetto della
cura orale sulla PIC. '
Risultati L'associazione tra le attività di assistenza infermieristica e l'insorgenza di aumenti della
PIC è stata riconosciuta fin dall'inizio del monitoraggio di questo parametro nel 1960. '
L’assistenza infermieristica al paziente critico comporta tutta una serie d’interventi routinari, tra cui
la gestione dell’ambiente di cura(fonti luminose, rumori di fondo e improvvisi.), le cure igieniche
complete, la rotazione e mobilizzazione per la variazione programmata dei decubiti, l’aspirazione
endotracheale, e l’igiene della cavità orale.'
Ci sono un certo numero di studi che hanno indagato l'effetto di alcuni interventi assistenziali sulla
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Trauma Journal Club
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E1
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PIC. Tuttavia anche se queste indicazioni sono state utilizzate per lo sviluppo di linee guida per
l'assistenza infermieristica, la maggior parte di esse è il frutto di studi non sperimentali con
dimensioni del campione molto ridotte.'
L’effetto dell’igiene del cavo orale sulle variazioni della PIC, considerando questa pratica separata
dagli altri interventi assistenziali, è stato indagato in un numero esiguo di studi che in ogni caso non
descrivono le tecniche e le modalità di attuazione. Tsementzis, et al. ad esempio (1982) ha studiato
l'effetto delle cure infermieristiche di routine sulla PIC in pazienti con grave trauma cranico,
accoppiando (e quindi confondendo), la cura dell’igiene orale con tutte le altre pratiche di igiene
identificandole con un’unica generale etichetta: '' stimoli di assistenza infermieristica ''.'
Anche l’RCT condotto da Bruya et al. (1981), rende difficile l’interpretazione del contributo esclusivo
dell’igiene orale nel determinare un aumento della PIC.'
Parsons et al. (1985) ha studiato l'effetto contemporaneo dell’igiene del corpo, della cura del catetere
urinario e di un’igiene orale “standardizzata” sui parametri vitali quali la frequenza cardiaca, la
pressione arteriosa media, la PIC e la CPP. In questo studio l'igiene orale è stata definita come
“qualsiasi procedura per pulire la bocca, orofaringe, e/o la gola'', eseguita ogni 2-4 ore. Tuttavia la
durata, la tecnica e i prodotti specifici non sono stati descritti. Tutti e tre gli interventi di igiene
hanno prodotto aumenti statisticamente significativi nelle variabili fisiologiche, con gli incrementi
maggiori che si sono verificati con l'igiene orale e del corpo. I ricercatori, in questo caso, hanno
teorizzato che gli aumenti connessi con l'igiene orale erano probabilmente causati dalla posizione
della testa e/o dalla manipolazione del tubo endotracheale durante la procedura.'
Le posizioni del corpo che riducono il flusso venoso cerebrale e accrescono il volume totale di sangue
intracranico, sono correlate a un potenziale aumento della PIC. La posizione ottimale del paziente
con disfunzione neurologica durante l'igiene orale è sconosciuta. Tuttavia rimangono valide le
indicazione al sollevamento della testata letto di 30° e l’allineamento del collo in posizione neutra.'
La rotazione del capo che solitamente viene messa in atto durante l’igiene orale viene pertanto
sconsigliata. Altro aspetto da tenere in considerazione nella cura dell’igiene orale è la presenza del
tubo endotracheale la cui semplice manipolazione può stimolare il riflesso della tosse e di
conseguenza la PIC.'
Le attività assistenziali e i relativi meccanismi che si ipotizza possano essere responsabili
dell’aumento della PIC , vengono sintetizzate nello studio di Hickey e Olson del 2009 e includono:'
✦ ipossia e ipercapnia associati alla manovra di aspirazione endotracheale '
✦ ostruzione del flusso venoso dovuta a rotazione del collo '
✦ aumento della pressione sanguigna attraverso la stimolazione simpatica durante le procedure
dolorose'
✦ diminuzione del ritorno venoso con posizionamento supino e in Trendelenburg'
Conclusioni Ci sono diversi meccanismi attraverso i quali l'igiene orale può produrre aumenti della
PIC. La posizione del collo e la manipolazione del tubo endotracheale durante la cura del cavo orale
possono essere fattori favorenti. La stimolazione dei nervi cranici che innervano la mucosa orale,
(peridontium, la polpa del dente), lingua, labbra e guance possono portare ad attivazione del sistema
nervoso autonomo con conseguenti cambiamenti nella frequenza cardiaca e nella pressione arteriosa
sistemica, che incidono in ultima analisi sull’aumento della PIC. Di conseguenza, la durata e la
quantità di pressione applicata ai denti e le gengive sono considerazioni importanti.'
L'effetto della cura orale sui valori della PIC, non è stato completamente chiarito e deve essere
estrapolato da ciò che è noto circa le relazioni tra le altre attività assistenziali infermieristiche. Senza
una base di ricerca consolidata, le migliori pratiche di igiene della cavità orale nei pazienti di terapia
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intensiva, rimangono poco definite e spesso contraddittorie. '
Sarà necessario indagare la relazione esclusiva e diretta tra cure orali e variazione della PIC.'
!
EVALUATION
9. L’effetto delleThe
manovre
di nursing
sulla
effect of nursing
interventions
on the intracranialinpressure
in
pressione endocranica
pazienti
traumatic
brain injury
pediatricipaediatric
con trauma
cranico.
Lyvonne N Tume, Paul B Baines and Paulo JG Lisboa
Sintesi a cura di CPSE Roberta
Ferro, Torino.
The effect of nursing
interventions on the
intracranial pressure
in paediatric
traumatic brain injury.
Tume LN, Baines PB et al ;
Nursing Critical Care 2011;16,2:
77-84 '
ABSTRACT
Aims and objectives: The aim of this research was to investigate the effect of five selected intensive care nursing interventions on the
intracranial pressure (ICP) of moderate to severe traumatic brain-injured children in intensive care.
Background: The physiological effects of many nursing interventions in paediatric intensive care (PIC) are not known. This results in the lack
of an evidence base for many PIC nursing practices.
Design: Prospective observational cohort study conducted over 3 years in a single tertiary referral paediatric intensive care unit (PICU) in the
North West of England.
Methods: Five selected commonly performed nursing interventions were studied: endotracheal suctioning and manual ventilation (ETSMV),
turning via a log-rolling (LR) approach, eye care, oral care and washing. These were studied in the first 72 h after injury.
Results: A total of 25 children with moderate to severe traumatic brain injury and intraparenchymal ICP monitoring in intensive care (aged
2–17 years) were enrolled. Both ETSMV and LR were associated with clinically and statistically significant changes in ICP from baseline to
maximal ICP (p = 0·001 ETSMV; p = <0·001 LR) and from maximal post-ICP (p = <0·001 ETSMV; p = <0.001 LR). Eye care, oral care or
washing did not cause any clinically significant change in ICP from baseline. After decompressive craniectomy, none of the interventions caused
significant changes in ICP.
Conclusions: Only two of the five nursing interventions, endotracheal suctioning and LR, caused intracranial hypertension in moderate to
severe traumatic brain-injured children, and after craniectomy, no care interventions caused any significant change in ICP.
Relevance to clinical practice: Knowledge about the physiological effects of many intensive care nursing interventions is lacking and
this is magnified in paediatrics. This study provides a significant addition to the evidence base in this area and allows intensive care nurses to
plan, implement and evaluate more effectively their nursing care for brain-injured children.
Key words: Head injuries • Intensive care nursing • Paediatric intensive care
INTRODUCTION
defined as a Glasgow Coma Score (GCS) of less than 8,
with moderate injury defined as a score between 9 and
Traumatic brain injury (TBI) remains a significant
Introduzione
12 (Keenan and Bratton, 2006).
cause of death and disability in children worldwide.
A key intensive care management strategy is to
In
the
UK,
the
incidence
of
paediatric
brain
injury
Nursing Critical Care.
Il istrauma
rimane
morte
e di
severe enoughcranico
to warrant paediatric
intensiveun’importante
care
maintain stability incausa
intracranial di
and cerebral
perfusion
unit (PICU) admission is 5·6 children per 100 000
pressure (CPP) and to maintain these at age-dependent
IF 0.95 Studio
invalidità
In(Adelson
terapia
intensiva vengono
people per year,nei
and ofpazienti
these, over a halfpediatrici.
were severe
targets
et al., 2003).
osservazionale prospettico
enough to warrant invasive intracranial pressure (ICP)
Many nursing interventions or ‘cares’ are undermonitoring
(Parslow
et al.,numerose
2005). Severe brain injury
is
taken regularly
in intensive care
to prevent
further lo
messe
in
atto
manovre
assistenziali
che
hanno
di coorte
morbidity as a result of critical illness, or to minimize the
effects of medical
therapies. collaterali
However, the
scopo
diLN Tume,
ridurre
complicanze
e/o
ridurre
gli effetti
Authors:
RN, RSCN, MScle
(Crit Care),
PGDE, Clinical Research
physiological effects of many of these interventions are
Fellow, PICU, Alder Hey Children’s NHS Foundation Trust/Liverpool John
largely
and research
intensive di
Mooresterapie.
University, Liverpool, UK; Le
PB Baines,ripercussioni
MD, MRCP, FRCA, Consultant
delle
diunknown,
molte
dellein paediatric
manovre
in Paediatric Intensive Care, Alder Hey Children’s NHS Foundation Trust,
care (PIC) is extremely limited. There is some eviLiverpool, UK; PJG Lisboa, PhD, FIMA, FIET, Professor Industrial
dence to show that in adult intensive care, these care
nursing sulla fisiologia del paziente sonoMathematics,
in gran
parte
sconosciuti,
einterventions
la ricerca
in terpia intensiva
Liverpool John
Moores University,
Liverpool, UK
can produce significant adverse effects
Address for correspondence: LN Tume, PICU, Alder Hey Children’s
in brain-injured patients (Mitchell et al., 1981; Fisher
NHS Foundation Trust/Liverpool John Moores University, Liverpool, UK
pediatrica è estremamente limitata. Esistono
in letteratura alcune evidenze,
in studi effettuati su
et al., 1982; Parsons and Ouzts Shogan, 1984; Parsons
E-mail: [email protected]
adulti in terpia intensiva, che il nursing produca effetti collaterali importanti nel paziente con trauma
© 2011 The Authors. Nursing in Critical Care © 2011 British Association of Critical Care Nurses • Vol 16 No 2
cranico. Un’indagine effettuata sulle terapie intensive pediatriche in Gran Bretagna svolta nel 2006,
ha rivelato che nella maggior parte dei centri veniva messo in atto un approccio che si basa sul
principio della “minima manipolazione”. Essenzialmente il significato è di concentrare tutte le
manovre di assistenza, a questo tipo di pazienti, in un unico momento in modo da lasciare il bambino
senza interventi per più di 8 ore.'
Obiettivo L’obiettivo dello studio è di valutare gli effetti sulla pressione endocranica (PIC), di 5
manovre di nursing comunemente messe in atto in terapia intensiva su pazienti pediatrici con trauma
cranico: aspirazione endotracheale con ventilazione manuale, mobilizzazione del paziente con tecnica
di log-roll, pulizia degli occhi, pulizia del cavo orale e igiene. '
Materiali e metodi E’ stato realizzato uno studio osservazionale prospetico di coorte della durata di
3 anni in una sola terapia intensiva del nord-ovest dell’Inghilterra. Sono stati inclusi tutti i pazienti di
età compresa tra i 2 e i 17 anni ricoverati in terapia intensiva dal Gennaio 2006 al Gennaio 2009 con
diagnosi di trauma cranico da moderato a grave, cui è stata monitorizzata l’PIC con catetere
intraparenchimale. '
Italian Resuscitation Council
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77
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I criteri di esclusione erano: età inferiore ai 2 anni, trauma cranici aperti, o cui è stata praticata una
craniectomia decompressiva, lesioni gravissime con scarsa possibilità di sopravvivenza. Sono state
misurate la pressione endrocanica (PIC), la pressione arteriosa media (MAP) e la pressione di
perfusione cerebrale (CPP) identificando un valore di base a 1 minuto prima dell’inzio della
procedura, la massima variazione dei singoli parametri durante lo svolgimento della procedura e infine
una valutazione a 5 minuti dal termine di ciascuna delle procedure sopracitate. Infine è stato misurato
il tempo necessario per la normalizzazione di ciascun parametro al termine delle procedure. '
Risultati Sono stati reclutati per lo studio un totale di 25 pazienti con trauma cranico grave in 3 anni.
I dati raccolti dimostrano un significativo aumento rispetto al valore di base della PIC durante la
broncoaspirazione (p=0.0001; 95%), e nella maggior parte dei casi (70%) il valore di PIC ha superato
il valore soglia di 20 mmHg. Anche durante il log -roll si sono verificate delle variazioni
statisticamente (p=0,0001; 95%) e clinicamente (70% >20mmHg) significative del valore massimo di
PIC rispetto al valore di base. Nei 21 casi in cui è stata valutata la pulizia degli occhi, non sono state
dimostrate variazioni significative, così come nei 18 casi in cui è stato possibile valutare l’effetto
dell’igiene orale.'
Sono stati valutati anche 5 pazienti post craniectomia decompressiva, i quali non hanno dimostrato
variazioni clinicamente significative del valore di PIC sia durante la broncoaspirazione sia durante il
log-roll. Nell’indagare quale influenza avesse il valore di base di PIC, gli autori hanno diviso la
popolazione in due gruppi in base ad alto o basso (>15mmHg o <15mmHg) valore di partenza della
PIC. I risultati raccolti evidenziano un modello di regressione lineare in grado di prevedere il valore
massimo di PIC durante log-roll, partendo dal valore di base: durante la procedura l’PIC aumenta di
circa 6 mmHg. '
Dopo broncoaspirazione nel 68% dei pazienti il valore di PIC è tornato ai valori basali entro 5 min
con una mediana di 3 min. Dopo il log-roll il valore medio di ritorno al valore di base è stato di 5 min.
Nei pazienti sottoposti a craniectomia decompressiva il ritorno ai valori basali di PIC dopo le
manovreè stato rapido e in nessun caso si è rilevato un valore di PIC >20mmHg. Gli autori hanno
identificato numerosi limiti allo studio, di cui i pricipali sono: la natura osservazionale dello studio, la
variabilità nell’esecuzione delle tecniche assistenziali legate all’elevato numero di operatori coinvolti,
difficoltà nel quantificare il livello di sedazione, ridotta numerosità campionaria.'
Conclusioni La broncoaspirazione e il log-roll potenzialmente inducono ipertensione endocranica
in pazienti con trauma cranico, in genere è un aumento transitorio ma se prolungato sembra essere
correlato con aumento della mortalità e peggioramento degli indici di outcome a lungo termine. Le
raccomandazioni che fanno gli autori sono:'
✦ Ridurre il valore basale di PIC al di sotto di 20 mmHg, prima di eseguire la broncoaspirazione e
il log-roll'
✦ Limitare il più possibile il tempo necessario per eseguire queste manovre'
✦ Tra una manovra e l’altra aspettare il tempo necessario affinche il valore di PIC ritorni al valore
basale o almeno <20 mmHg. '
✦ Trattare in maniera aggressiva un valore di ICP che permane >20 mmHg dopo 5 min
dall’esecuzione delle manovre di nursing.'
Due (broncoaspirazione e log-roll) delle 5 più frequenti manovre di nursing, che vengono praticate in
terapia intensiva su pazienti pediatrici vittima di trauma cranico moderato grave, si sono dimostrate
potenzialmente in grado di provocare ipertensione endocranica. Per quanto riguarda l’igiene degli
occhi e del cavo orale sembrano essere manovre abbastanza sicure anche in pazienti con trauma
cranico grave. L’igiene del corpo richiede ancora ulteriori studi.'
Italian Resuscitation Council
Trauma Journal Club
pag 49
Effects of Nursing Interventions on
Intracranial Pressure
TJC
4 Numero
8,PhD,
Giugno
DaiWai M. Olson
Olson,, RN, PhD, CCRN ⇑,Anno
Molly M.
McNett
McNett,, RN,
CNRN
CNRN,2014
,
Lisa S. Lewis
Lewis,, RN, MSN, CNE
CNE,, Kristina E. Riemen
Riemen,, BA and
Cynthia Bautista
Bautista,, RN, PhD, CNRN, CCNS, ACNS-BC
10. Gli effetti degli interventi assistenziali
sulla Pressione IntraCranica (PIC).
+ Author Affiliations
+ Author Affiliations
Corresponding author: DaiWai M. Olson, RN, PHD, CCRN, 5323 Harry Hines Blvd,
Dallas, TX 75390-8897 (e-mail: [email protected]).
Sintesi a cura di CPSI Vincenzo
Amelio, Torino.
Effects of Nursing
Interventions on
Intracranial Pressure.
DaiWai M. Olsont al ; AJCC
American Journal of Critical
Care, September 2013, Volume
22, No. 5.'
AJCC. IF 1,413 Studio
osservazionale di coohorte
Abstract
Background Intracranial pressure is a frequent target for goal-directed therapy
to prevent secondary brain injury. In critical care settings, nurses deliver many
interventions to patients having intracranial pressure monitored, yet few data
documenting the immediate effect of these interventions on intracranial pressure
are available.
Objective To examine the relationship between intracranial pressure and
specific nursing interventions observed during routine care.
Methods Secondary analysis of prospectively collected observational data.
Results During 3118 minutes of observation, 11 specific nursing interventions
were observed for 28 nurse-patient dyads from 16 hospitals. Family members
talking in the room, administering sedatives, and repositioning the patient were
associated with a significantly lower intracranial pressure. However, intracranial
pressure was sometimes higher, lower, or unchanged after each intervention
observed.
Conclusion Response of intracranial pressure to nursing interventions is
inconsistent. Most interventions were associated with inconsistent changes in
intracranial pressure at 1 or 5 minutes after the intervention.
©2013 American Association of Critical-Care Nurses
Introduzione
La pressione intracranica risulta essere
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un parametro fondamentale da monitorare (con un catetere intraventricolare o un sensore
Clinical Pearls
:
intraparenchimale) per prevenire danni secondari
aiPearls:
Pazienti
affetti da danno cerebrale grave. Seppur
Mary Jo Grap
Clinical importanti
Pearls
gli interventi infermieristici siano particolarmente
in TI, ancora pochi studi sono stati
Am J Crit Care September 2013 22:375; doi:10.4037/ajcc2013337
condotti con l’intento di indagare la correlazione
tra specifici
interventi e i valori della PIC. La
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letteratura indica che gli interventi infermieristici di routine possono influenzare variabili
fisiologiche, ciò può portare a lesioni cerebrali secondarie. In particolare, l'aspirazione endotracheale
e il riposizionamento dei pazienti sono associati a cambiamenti nella pressione sanguigna, sulla PIC,
sulla pressione di perfusione cerebrale e sulla frequenza cardiaca in pazienti critici neurologicamente
compromessi.'
Al contrario, l’igiene orale, tra i pazienti intubati con danni neurologici non comporta aumenti
significativi della PIC. Analogamente, in altri studi, la terapia di percussione toracica non altera la
PIC ma, anzi, risulta, per alcuni pazienti determinarne una riduzione. Alcuni interventi assistenziali
sono altresì eseguiti con lo scopo di ottenere specificamente la riduzione dei valori di PIC. Questi
includono parlare con il paziente, riposizionare il tubo endotracheale o il collare cervicale, drenare il
fluido cerebrospinale (CSF), limitare la stimolazione ambientale, alzare la testa del letto e
somministrare alcuni farmaci.'
Nonostante gli infermieri eseguano di routine questi e altri interventi sui pazienti neurologici critici,
nessun studio ha esplorato gli effetti immediati di questi interventi sui valori PIC.'
Obiettivo Esaminare le relazioni esistenti tra la Pressione Intracranica e gli specifici interventi
infermieristici '
Materiali e metodi Lo studio si basa su un’analisi secondaria dei dati di un ulteriore studio
osservazionale multicentrico (Study of ICP Monitoring in Critically Ill).'
Sono stati inclusi pazienti di età maggiore a 18 anni affetti da danno cerebrale grave, ricoverati nelle
Terapie Intensive di 16 Ospedali differenti. L’osservazione consisteva nel valutare le eventuali
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Anno 4 Numero 8, Giugno 2014
variazioni della Pressione Intracranica che determinavano 11 attività di nursing specifiche a uno e
cinque minuti dall’attività e quanto tempo intercorreva per ritornare a valori nella norma. '
Risultati Sono stati arruolate 28 coppie infermiere-paziente nelle Terapie Intensive di 16 ospedali
dall’agosto 2009 al maggio 2012 in 12 stati USA. Sono stati condotti 3118 minuti di osservazione
relativi a 11 pratiche assistenziali quali la mobilizzazione, la bronco-aspirazione, l’igiene orale, le
percussione toraciche, la stimolazione verbale del paziente, la rimozione/riposizionamento del collare
cervicale, il riposizionamento del tubo endotracheale, il drenaggio del liquor, la gestione degli stimoli
ambientali, la somministrazione di farmaci e il sollevamento della testiera del letto. I familiari erano
presenti nella stanza del paziente durante l’osservazione delle attività. '
Durante l’attività infermieristica la PIC è risultata variare, aumentando, diminuendo o mantenendosi
costante, ma senza alcuna relazione con le manovre specifiche che venivano svolte. Si è notata,
addirittura, una diminuzione durante la mobilizzazione passiva del paziente stesso.'
Le 3 manovre che sono state più osservate sono il drenaggio del CSF, la riduzione di stimoli
ambientali e i tentativi di comunicare da parte dei famigliari.'
Tutti questi 3 interventi non hanno prodotto variazioni significative nei valori di PIC a 1 e 5 minuti.'
Per quanto riguarda la bronco-aspirazione l’influenza sulla PIC è imputabile alla manovra solo quando
questa stimola il fenomeno della tosse e di conseguenza può provocare situazioni di ipossia e
iperventilazione. Viene ribadito, a tal proposito, come l’uso di sedativi e narcotici, limitati a tale
manovra, possano ovviare a incorrere in questi inconvenienti clinici.'
Conclusioni A partire dai risultati dello studio si evince come la PIC non risenta, in maniera
sostanziale e consistente, degli interventi clinico/assistenziali.'
Durante 3118 minuti di osservazione, da parte di un infermiere in turno presso le ICU, sono stati presi
in esame specifiche attività infermieristiche. '
Durante lo studio condotto, i familiari erano presenti nella stanza, mentre l’Infermiere svolgeva il
proprio lavoro. I pazienti venivano osservati per due ore di seguito e i parametri rilevati a uno e
cinque dall’esecuzione dell’attività. Tali parametri venivano annotati su un database.'
Le attività esaminate, ritenute (da letteratura) con più influenza sul valore PIC, sono state la
mobilizzazione, la bronco-aspirazione, l’igiene orale, le percussioni toraciche, la stimolazione verbale,
la rimozione/riposizionamento del collare cervicale, la rimozione/riposizionamento del tubo
endotracheale, il drenaggio del liquor, la limitazione degli stimoli ambientali, la somministrazione di
farmaci, il sollevamento della testiera del letto. La maggior parte degli interventi non sono associati
con cambiamenti significativi della pressione intracranica a 1 o 5 minuti dopo l'intervento'
Uno dei grossi limiti di tale studio è rappresentato dalla mancata standardizzazione delle misurazioni.
non viene, infatti, menzionato il livello cui viene posizionato il trasduttore, alcune misurazioni della
PIC sono in mmHg e altre in cm/H2O, non sono definiti i modi di comunicazione dei familiari
(verbali, fisici, livelli di stress ecc.), non tutte le coppie infermiere-paziente hanno effettuato le
misurazioni nelle stesse condizioni. Altro punto sfavorevole è l’esiguo numero del campione disperso
in un gran numero di realtà diverse.'
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A cura di Dott.ssa Simona Frigerio e Dott. Salvatore Lanzarone, Torino
Commento art. 8,9,10
A partire dal quesito clinico “Esiste una correlazione tra interventi assistenziali e variazioni della
pressione intracranica, nel paziente affetto da trauma cranico moderato e severo sottoposto al
monitoraggio continuo di tale parametro?” è stata interrogata la Banca Dati Pub Med utilizzando la
seguente strategia di ricerca:'
(icp, elevated intracranial pressure [termine MeSH]) AND nursing interventions [termine libero]. '
La ricerca ha prodotto 18 risultati.'
In base alla gerarchia delle fonti, sono state selezionate 3 pubblicazioni: 1 revisione narrativa della
letteratura e 2 RCT successivi alla data di pubblicazione della review.'
In considerazione dell’esiguo numero di risultati ottenuti dalla consultazione delle banche dati, e
coerentemente con quanto indicato nelle sintesi dei tre documenti, va sottolineato quanto siano deboli le'
raccomandazioni utili a orientare i comportamenti dei professionisti.'
Gli autori, infatti, sembrerebbero unanimi nel riconoscere la necessità di ulteriori indagini che siano
condotte in maniera metodologicamente corretta comprendenti un campione esteso di pazienti, al fine di
determinare le correlazioni tra singoli interventi assistenziali e variazioni in aumento del parametro PIC.'
Come indicato con chiarezza, dagli autori della review, un limite di molti studi è proprio quello di
m i s u r a r e l e v a r i a z i o n i d e l l ’ e s i to P I C p r e n d e n d o i n e s a m e i n te r v e n t i a s s i s te n z i a l i a g i t i
contemporaneamente, non riuscendo quindi a fornire indicazioni relative a uno specifico intervento.'
Si aggiunga il fatto che, da un lato, alcuni degli studi di riferimento risalgono agli anni ‘80-’90, mentre
dall’altro la dimensione del campione è spesso limitata. Anche le indicazioni più comunemente accettate
non sono scevre da contraddizioni. '
DaiWai et al. nello studio del 2013 sembrerebbe arrivano alla conclusione che, prese singolarmente, le
pratiche infermieristiche non sembrerebbero associate a un aumento statisticamente significativo della
PIC. '
Molto spesso è assente una dettagliata descrizione dell’intervento assistenziale in termini di tecniche e
procedure. E’ altresì poco descritta la modalità di rilevazione della PIC in termine di trasduttore e
sistema utilizzato.'
Sulla base di tutte queste considerazioni è facilmente intuibile come la risposta al quesito di partenza sia
in realtà ancora in parte da costruire. Costituisce dunque un interessante ambito di applicazione di
ricerca infermieristica sia nella popolazione adulta sia in quella pediatrica.'
Tuttavia, alcune indicazioni sono ritenute valide per la pratica assistenziale quotidiana, quali: '
✦ Evitare rotazione e flessione del capo, mantenendo l’allineamento del collo.'
✦ Ridurre al minimo la manipolazione del tubo oro tracheale durante l’igiene del cavo orale.'
✦ Mantenere l’elevazione della testa letto a 30°. '
Sicuramente i risultati delle pubblicazioni in merito all’argomento possono diventare spunti di riflessione
a due livelli. Il primo, nell’ambito della ricerca, dove risulta opportuno, partendo da quesiti clinici
definiti, indagare maggiormente la relazione che esiste tra gli interventi assistenziali e gli outcome clinici.
Il secondo, nell’ambito della pratica clinica, dove, a partire dalle considerazioni sui risultati degli studi è
opportuno stimare l’influenza degli stessi interventi assistenziali, in ogni specifico contesto, e “ripensare”
a modalità di assistenza che riducano al minimo il rischio per il paziente'
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Anno 4 Numero 8, Giugno 2014
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Redazione
Direttore Responsabile
Walter Cataldi
Direttore di redazione
Luca Delpiano
Vicedirettore di redazione
Nadia Depetris, Concetta Pellegrini
Comitato di redazione
Matteo Berton, Emiliano Cingolani, Simona Frigerio, Paolo Gardois, Paola Perfetti,
Claudio Tacconi
Hanno collaborato a questo numero
Enzo Amelio, Maurizio Berardino, Luca Delpiano, Nadia Depetris, Roberta Ferro, Simona Frigerio,
Marco Garbarino, Paolo Gardois, Salvatore Lanzarone, Alice Mistretta, Giuseppe Nardi, Concetta
Pellegrini, Paola Perfetti, Giacinto Pizzilli, Elen Salerno, Claudio Tacconi, Marco Ulla.
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TJC Anno 4 numero 8, Giugno 2014
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