Settembre 2010
Transcript
Settembre 2010
E 1,00 mensile di cultura cinematografica Viaggi fotografici nel cinema italiano Anteprima veneziana per le foto dai set italiani Il cinema di domani nella Mostra-laboratorio Dall'1 all'11 settembre la 67ma Mostra del Cinema di Venezia Mario Martone parla di Noi credevamo In concorso alla 67ma Mostra del Cinema di Venezia Amianto: molte inquietanti domande... Giovedì 9 settembre a Cinemazero serata sull'amianto Il restaurato capolavoro di Fritz Lang Sabato 11 settembre a Udine Metropolis acompagnato dalla Alloy Orchestra Dario Argento, il sangue e l'inchiostro A Cinemazero per PordenoneLegge il maestro del brivido 1800 recensioni ma solo 3 vinceranno Tantissimi i partecipanti all’ottava edizione del concorso Scrivere di cinema Il silenzio delle amazzoni: pionieri del cinema brasiliano alle Giornate Dal 2 al 9 ottobre 2010 a Pordenone la 29ma edizione delle Giornate del Cinema Muto 2010 numero 8 anno XXX Ricordo del grande musicista triestino, re dello swing italiano, recentemenmte scomparso Settembre 10 Addio Lelio! spedizione in abbonamento postale L. 662/96 art. 2 comma 20/b filiale di pordenone - pubblicità inferiore al 45% contiene i.p. in caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi Addio Lelio! Viaggi fotografici nel cinema italiano Era elegante dentro e fuori Lelio Luttazzi. Quell’eleganza naturale, leggera, mitteleuropea, che lo ha accompagnato lungo tutta la sua luminosa carriera di musicista, presentatore, showman e anche attore. Aveva, infatti, recitato un piccolo, ma significativo, ruolo nel capolavoro di Michelangelo Antonioni L’avventura. Negli anni ‘60, indossando lo smoking con la stessa naturalezza di Sean Connery, presentava il mitico Studio Uno di Antonello Falqui, con scenografie lussiose, ospiti d’onore d’eccezione, balletti sontuosi, e duettava soavemente con una indimenticabile Mina. Era una televisione elegante, professionale, un livello mai più raggiunto negli anni a seguire. È stato, però, prima di tutto un compositore dallo swing raffinato, oltre ad un innovatore della televisione e della radio (molti ricordano ancora, a distanza di quaranta anni, il suo programma Hit Parade). Agli inizi degli anni ‘70 Walter Chiari lo coinvolse, ingiustamente, in uno scandalo facendogli scontare un mese di carcere senza alcuna colpa. Non perdonò più allo sbracato mondo dello spettacolo il suo cinismo e da elegante signore mitteleuropeo si autoesiliò per 40 anni. Era troppo raffinato per scendere nuovamente nell’agone di una televisione alla vigilia della sua definitiva volgarizzazione, all’inizio di quel percorso che avrebbe portato all’ossessiva esibizione catodica di natiche femminili. Si tenne lontano dal pericoloso triangolo delle bandane, dall’ostentazione dell’effimero, del nulla. Solo qualche anno fa fece ritorno nella sua amatissima Trieste e concesse qualche sporadica apparizione in televisione come ospite di Fiorello e al Festival di Sanremo. Nel febbraio dello scorso anno venne anche a Cinemazero per presentare il bellissimo documentario che Pupi Avati aveva appena girato su di lui, in partenza da Roma: Lelio Luttazzi - Il giovanotto matto e dopo la proiezione, al termine di un gustoso incontro con il pubblico, gli facemmo trovare sul palco il pianoforte. Suonò e cantò alcune delle sue famose composizioni con l’immutabile verve da principe dello swing. Fu una grande emozione, per tutti i presenti che applaudirono lungamente, e anche per Lelio Luttazzi che ritrovava l’affetto di quel pubblico che non lo aveva mai dimenticato. Gli spedimmo, a Natale dello scorso anno, una copia del nostro calendario dove nel mese di ottobre compariva una sua foto, scattata da Elisa Caldana in quella magica serata, mentre suonava al piano. Ci fece telefonare dalla moglie Rossana Moretti, sua dolce e fedele compagna negli ultimi 35 anni, per ringraziarci e per chiederci una copia del manifesto che avevamo preparato per la serata pordenonese. Volevamo portarglielo personalmente, senza utilizzare anonimi corrieri, ma Lelio Luttazzi se ne è andato, a 87 anni, discretamente, giovedì 8 luglio 2010. Lo consegneremo a Rossana il manifesto, alla custode della sua eredità artistica, della sua musica, affinchè lo possa aggiungere ai numerosi premi, spartiti, libri e ricordi del marito. Noi conserveremo nel cuore la sua eleganza, unita all’ironia e all’intelligenza della sua esistenza. Addio Lelio! Tutto è nato nel febbraio dello scorso anno, nel corso di un passaggio a Cesena di Marco Müller, direttore del festival di Venezia. Da lui arrivò un invito difficile da rifiutare: «Perché non pensare ad una mostra fotografica che affianchi la monografica di “Questi fantasmi”?» . Per il secondo anno sulla laguna si richiamava l'attenzione sul cinema italiano più eccentrico e insolito. Come Centro Cinema San Biagio erano diversi anni che presentavamo esposizioni al festival veneziano, con mostre che nelle ultime edizioni erano stato ospitate al primo piano del palazzo del cinema. Nel giro di breve è nato così un progetto, pensato su tre anni, incentrato sulle foto dei film realizzati lungo tutta la penisola. L'idea di Viaggi in Italia. Set del cinema italiano - appoggiata anche dalla Biennale di Venezia e dalla Regione Emilia-Romagna - aveva come punto di partenza i patrimoni fotografici del Centro Cinema e del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma coinvolto attraverso Sergio Toffetti, direttore della cineteca e curatore della monografia veneziana. Affiancato da Simona Pera del CSC, competente e precisa, si è iniziata una ricerca appassionata inseguendo immagini di un cinema italiano che, sulla spinta del Neorealismo, usciva nelle strade e nelle piazze di tutta Italia (Roma esclusa, essendo i tanti film girati nella capitale indagati a più riprese). L'arco temporale scelto - dal 1941 di Piccolo mondo antico al 1959 de La grande guerra - doveva rendere testimonianza, oltre che delle varie location regionali, della passione e della curiosità popolare che circondava le troupe in azione. Foto en plain air quindi frutto del lavoro di quasi tutti i maggiori fotografi di scena del periodo, da Paul Ronald a Osvaldo Civirani, da G.B. Poletto a Bruno Bruni. Foto ricercate anche in altri archivi o presso collezionisti come lo zurighese Christoph Schifferli che ha messo a disposizione i rarissimi scatti da set del felliniano La strada. Inaugurata con un testimonial d'eccezione come Mario Monicelli, la mostra Viaggi in Italia. Set del cinema italiano 1941-1959 (accompagnata da un catalogo bilingue) ha poi avviato un suo percorso che lo ha portata a Roma, Mosca, in vari festival cinematografici e fotografici e che a breve la farà giungere a Marsiglia e a Montpellier. Mentre la prima mostra è ancora in viaggio, è partita l'avventura per la seconda, Viaggi in Italia. Set del cinema italiano 1960-1989, destinata ad esordire nel corso della prossima vetrina veneziana. Un'avventura più faticosa e impegnativa, perché senza l'apporto di Simona Pera che ha dovuto chiamarsi fuori (pur avendo già avviato assieme il lavoro) a causa dell'incomprensibile rinuncia alla compartecipazione del Centro Sperimentale. Un'avventura che, mantenendo la medesima impostazione, si è dovuta confrontare da un lato con la maggior difficoltà nel reperimento delle immagini (tutti i maggiori archivi fotografici conservano con una certa organicità molti materiali fino agli anni '70 poi tutto diventa più frammentario e disperso) e dall'altro con la complessità di dar conto di un trentennio in cui il cinema italiano, in tutte le sue forme, si è decisamente allontanato da Roma, sia in direzione nord che sud. Oltre ai fondi del Centro Cinema cesenate, la ricerca si è allargata ad altri archivi, pubblici e privati. Con alcuni la collaborazione è stata felice (a cominciare da Cinemazero e dalla Cineteca del Friuli) con altri più ostica, tanto da dover rinunciare a malincuore ad alcune immagini inutilmente inseguite. In altri casi sono stati chiamati in causa direttamente registi, fotografi e case di produzione che hanno risposto con prontezza e generosità alle richieste. Alla fine la raccolta è stata fruttuosa, con alcune belle scoperte proposte per la prima volta, tanto che in mostra verranno presentate un cinquantina di foto mentre nel catalogo (trilingue quest'anno, perché all'iniziativa si è associato anche Annecy Cinéma Italien, dove l'esposizione approderà dopo Venezia) saranno una decina di più. Dopo aver sudato tanto per arrivare a certe foto, rinunciarci è davvero difficile. In attesa, il prossimo anno, di Viaggi in Italia 3. Set del cinema italiano 1990-2010. In copertina: Leonardo Di Caprio in una scena del film Inception di Christopher Nolan cinemazeronotizie mensile di informazione cinematografica Settembre 2010, n. 08 anno XXX Direttore Responsabile Andrea Crozzoli Comitato di redazione Piero Colussi Riccardo Costantini Sabatino Landi Tommaso Lessio Silvia Moras Maurizio Solidoro Segretaria di redazione Sabrina Delle Fave Collaboratori Lorenzo Codelli Luciano De Giusti Elisabetta Pieretto Direzione, redazione, amministrazione P.zza della Motta, 2 33170 Pordenone, Tel. 0434.520404 Fax 0434.522603 e-mail: [email protected] http//www.cinemazero.it Progetto grafico Patrizio A. De Mattio [DM+B&Associati] - Pn Impaginazione Tommaso Lessio Composizione e Fotoliti Cinemazero - Pn Pellicole e Stampa Grafiche Risma Roveredo in Piano Abbonamenti Italia E. 10,00 Estero E. 14,00 Registrazione Tribunale di Pordenone N. 168 del 3/6/1981 Questo periodico è iscritto alla Unione Italiana Stampa Periodica Mostra del Cinema di Venezia Anteprima veneziana per le foto dai set italiani Antonio Maraldi Editoriale Andrea Crozzoli 2 Ricordo del grande musicista triestino, re dello swing italiano, recentemenmte scomparso 4 Il cinema di domani nella Mostra-laboratorio Mario Martone parla di Noi credevamo Il 6 agoto 1932, sulla terrazza dell’Hotel Excelsior al Lido di Venezia, Il dottor Jekyll di Robert Mamoulian apriva la 1a Esposizione Internazionale d’Arte Cinematografica poi divenuta Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Il primo festival di cinema al mondo si protrasse fino al 21 agosto di quell’anno e fra i molti film poresentò anche il mitico e insuperabile Frankenstein di James Whale alla presenza del grande Boris Karloff. L’idea del festival era venuta a Giuseppe Volpi per risollevare le sorti del Lido che, in sofferenza dopo la grande crisi del 1929, era stato, nei primi anni del secolo scorso, la spiaggia più chic ed esclusiva in Europa. Volpi, fatto conte da Vittorio Emanuele III nel 1920, all’epoca proprietario dell’Excelsior, presidente della Confindustria, delle Assicurazioni Generali e della Biennale, senatore, ministro delle finanze nei primi anni del governo Mussolini e padrone della SADE, una delle maggiori società nell’industria elettrica (quella che vendette allo Stato la diga del Vajont poco prima del crollo del monte Toc), dette il suo nome anche al premio per il miglior attore e attrice con la Coppa Volpi. L’idea del festival ebbe un successo tale da attirare gli appetiti del governo fascista prima e nazista dopo. Il 10 agosto 1937, infatti, in soli sei mesi di lavoro (l’efficienza del regime!!!), dove sorgeva il forte austriaco della Quattro Fontane, venne inaugurato il nuovissimo Palazzo del Cinema per la quinta edizione della Mostra (l’anno successivo sarà la volta del Casinò Municipale a fianco). Palazzo che venne poi deturpato nelle sue linee dall’avancorpo del 1952 adibito a uffici, biglietteria, atrio e sala Volpi. Dopo aver costruito il contenitore il regime nazifascista impone alla Mostra del 1938 l’assegnazione del primo premio a Olympia di Leni Riefenstahl, commissionato da Goebbels, a scapito del favoritissimo film antimilitarista La grande illusione di Jean Renoir. Indignati dalle ingerenze politiche i francesi fondarono a Cannes un festival del cinema libero e svincolato da pressioni politiche. Scelsero il 1° settembre 1939 per l’inaugurazione, e la coincidenza con lo scoppio della seconda guerra mondiale li costrinse a chiudere il giorno dopo. Cannes risorgerà nel 1946 premiando Roma città aperta di Roberto Rossellini. Venezia intanto, fra polemiche, scandali (il primo fu già alla sua seconda edizione nel 1934 con il nudo integrale di Hedy Lamarr in Estasi di Gustav Machaty), progetti di nuovi palazzi del cinema, tagli di budget, è giunta, come una vecchia matrona malamente imbellettata fuori ma giovane dentro, alla sua 67ma edizione, che prenderà il via il 1° settembre (fino all’11), con un carico poderoso di opere da tutto il mondo. Uno sguardo esaustivo sul cinema e sulle sue varie forme di espressione, una “Mostra-laboratorio” che cerca di guardare al futuro del cinema come industria in evoluzione, come l’ha definita l’attuale direttore artistico Marco Müller svelando tutti i numeri, titoli e trame (non solo filmiche) dell'edizione 2010. Sono 22 (a cui si aggiungerà un titolo a sorpresa) i film in concorso per il Leone d’Oro quest’anno. Ben quattro i titoli italiani: La pecora nera, opera prima di Ascanio Celestini sui manicomi; La passione di Carlo Mazzacurati con Silvio Orlando nei panni di un cinesta in crisi; La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo, tratto dal fortunato romanzo di Paolo Giordano e Noi credevamo di Mario Martone con Luigi Lo Cascio e Toni Servillo, attesissimo film prodotto da Angelo Barbagallo che rivisita l'Italia risorgimentale. Sempre in concorso, tra gli altri, ci saranno poi Black Swan di Darren Aronofsky (film d'apertura), Somewhere di Sofia Coppola, Promises Written in the Water di Vincent Gallo, Road to Nowhere di Monte Hellman, Potiche di François Ozon e tanti altri. Ma anche le altre sezioni, come l’immenso “Fuori concorso” o “Orizzonti”, ospitano maestri del cinema come Scorsese. Non poteva mancare nel 2010 la polemica veneziana, questa volta preventiva, con la politica ancor una volta a dare una mano parlando di un’esclusione idedologica per il film del settantenne maestro Pupi Avati Una sconfinata giovinezza. Noi credevamo di Mario Martone sarà in concorso a Venezia. Ho avuto la fortuna di leggere le prime stesure del progetto, entusiasmanti e debordanti, di seguire le traversie produttive, tra accelerazioni e rinvii, di veder nascere la magica “scatola nera”, d'essere invitato su alcuni spettacolari set “dal vero” del film. Dal Piemonte gelido al Cilento profumato, Mario dirigeva sguardi, luci e intonazioni, masse di soldati e divi carismatici, con paziente furore. Assolutamente immerso, per mesi e per anni, dentro al secolo in cui Noi credevamo. Mazzini, Garibaldi, Blasetti, Visconti, Rossellini ci credevano con identica passione. Dalla mia intervista-fiume nel libro sul film edito da Bompiani: «A darmi la spinta per il film fu una domanda che a un certo punto cominciò a passarmi per la testa. Dopo l'11 settembre si era in anni in cui la pressione del terrorismo internazionale era molto forte e la questione palestinese sempre molto presente. Non pensavo tanto al mondo passato, alla storia d'Italia, che in fondo non conoscevo affatto, ma, riflettendo sul rapporto fisiologico tra terrorismo e lotta per l'indipendenza nazionale, mi chiedevo: com'è possibile che il nostro Paese, che ha così a lungo lottato per la sua indipendenza, non abbia conosciuto niente del genere? Che la storia d'Italia sia stata soltanto una storia di grandi battaglie, gesti eroici e abilissime diplomazie, senza quel fatale e pesantissimo contrappeso che la fatica d'una lotta del genere comporta?» «La domanda era legittima, considerando quante spinte alla rimozione vi sono da noi. Vedi la questione dell'immigrazione: abbiamo completamente dimenticato il nostro passato di emigranti, e fatto le leggi più dure sull'emigrazione altrui. Fosse almeno una scelta consapevole! La sensazione invece è che ci sia una vera e propria rimozione. Ora, è chiaro che la mia conoscenza della storia d'Italia era molto generica, ma mi sono reso conto, nel corso degli anni, che questa conoscenza generica è comune a tanti di noi. Gli storici che si occupano professionalmente di questi argomenti hanno cognizioni precise e scrivono chiaramente nei loro libri cosa è successo, ma qualcosa impedisce che queste cognizioni passino nel senso comune di noi italiani. Noi abbiamo un'idea approssimativa della nostra storia, priva di qualunque rilievo drammatico. Credo che sia per questo che su di essa è calato nel tempo un grande strato di polvere. Noi credevamo è nato nel tentativo di dare risposte a questa domanda iniziale: poi è cominciato il viaggio dentro la storia italiana dell'ottocento e i temi del film sono andati molto oltre. È stato molto importante imbattermi in una nota di Cesare Garboli nel libro Pianura proibita, in cui parlava del romanzo Noi credevamo di Anna Banti. Quel titolo mi colpì molto, e mi colpì come Garboli ne parlava. Non saprei dire perché, ma già sentendo parlare del libro di Anna Banti, istintivamente mi sembrava che contenesse qualcosa d'interessante. Il romanzo è una sorta di “autobiografia apocrifa”, poiché è costruito su elementi di realtà. Il nonno di Anna Banti, che si chiamava Domenico Lopresti (e Lopresti era il vero nome della scrittrice, che aveva scelto Banti come nome d'arte) era stato un cospiratore repubblicano, imprigionato a Procida, a Montefusco, a Montesarchio. Il romanzo inizia a Torino dove il protagonista, vecchio e malato, ricorda in un lungo monologo interiore la sua vita. Per quanto mi avesse colpito molto, non ho mai pensato di mettere in scena il romanzo; ne ho voluto piuttosto trarre degli elementi importanti. A derivare dal libro della Banti è innanzitutto il personaggio di Domenico, con quel suo carattere chiuso, la sua ostinazione, magnificamente raccontati dal libro. Ma anche dal punto di vista narrativo c'erano degli episodi che si sono poi rivelati fondamentali per il film: la detenzione a Montefusco e la partecipazione alla battaglia di Garibaldi in Aspromonte, con l'amara sconfitta che ne segue. L'altra cosa importante che si trasmette al film dal libro di Anna Banti è la radicalità repubblicana, che dall'inizio alla fine del libro è il punto fermo della vicenda di Domenico Lopresti». 67ma Mostra del Cinema In concorso alla 67ma Mostra del Cinema di Venezia Lorenzo Codelli Mostra del Cinema di Venezia Andrea Crozzoli Dall’1 all’11 settembre la 67ma Mostra del Cinema di Venezia Amianto: molte inquietanti domande... Il restaurato capolavoro di Fritz Lang Reportage amianto FVG è un'indagine promossa e curata dall'Associazione Culturale Metarte, che nasce con la finalità di sensibilizzare e dare una maggiore visibilità ai problemi legati all'amianto, grazie a un libro e a una mostra itinerante. Un'indagine che tocca anche i temi della raccolta, dello smaltimento e dell'abbandono, non certamente per lanciare un segnale d'allarme ma per contribuire alla formazione di una coscienza dei rischi correlati all'amianto per la salute e per la vita oltre che per rafforzare una responsabilità nei confronti dell'ambiente e del diritto del lavoro. L'amianto (o asbesto) è un minerale le cui principali proprietà sono il potere fonoassorbente e la resistenza al calore, al fuoco, all'usura e all'azione di agenti chimico-biologici, e, soprattutto, un minerale reperibile a basso costo. Conosciuto fin dall'antichità, per le sue proprietà e per la sua economicità ha avuto una notevole serie di applicazioni industriali nel corso del Novecento: si trovava e si trova ancora oggi in circa tremila prodotti commerciali. I settori più importanti di utilizzo del minerale furono quello del cemento-amianto nell'edilizia e quello navale. Nell'edilizia fu usato come prodotto spruzzato nei rivestimenti, nelle tubazioni, nelle controsoffittature, nei pavimenti, nelle coperture e tettoie (è nota la multinazionale Eternit, da cui deriva il nome del materiale). Nella navalmeccanica era impiegato soprattutto come isolante termico e acustico, nei rivestimenti coibenti o antincendio sotto forma di intonaco protettivo. Ci sono poi svariate altre attività e industrie che comportarono l'esposizione all'amianto... Migliaia di persone ogni anno in Italia si ammalano - spesso con esito infausto - per la pregressa esposizione (anche quaranta-cinquanta anni prima) alle polveri di amianto, per lo più di origine professionale. Le patologie più note sono l'asbestosi e due forme tumorali: il mesotelioma (solitamente pleurico) e il carcinoma del polmone. Queste neoplasie sono le più diffuse malattie professionali mortali nei Paesi sviluppati. Oggi in Italia si stimano circa quattromila decessi all'anno riconducibili all'amianto, mentre gli infortuni mortali sul lavoro sono un migliaio. L'uso dell'amianto nei sistemi industriali mondiali ha dato origine a un apparente paradosso: man mano che crescevano nel corso del secolo le conoscenze scientifiche sulla nocività e poi sulla cancerogenicità del minerale, aumentavano costantemente fino agli anni Settanta-Ottanta le quantità estratte e impiegate nei cicli produttivi. La conoscenza della pericolosità dell'asbesto risale già all'inizio del Novecento; negli anni Venti l'asbestosi fu individuata dalla comunità medica come patologia respiratoria che può causare il decesso ad alte dosi di esposizione; la certezza della cancerogenicità del minerale è attestata dagli anni Sessanta, quando si dimostra scientificamente che l'amianto provochi il mesotelioma e il tumore del polmone. Nonostante ciò, da due milioni di tonnellate impiegate nel 1960 a livello globale si è arrivati a quasi cinque milioni nel 1980. Oggi la produzione di amianto si è stabilizzata sui livelli di quella degli anni Sessanta (circa due milioni di tonnellate), il cui utilizzo si concentra soprattutto nei Paesi asiatici. Fra i maggiori produttori, dopo Russia e Cina, spicca il Canada, il quale esporta il 98% dell'amianto estratto nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo. In gran parte del mondo l'impiego del minerale appare fuori controllo, mentre l'Unione Europea e pochi altri Stati (complessi- Metarte, in collaborazione con vamente appena una quarantina) ne hanno proiCinemazero / Le voci dell'inchiesta presenta bito l'utilizzo. La storia della fuoriuscita dall'utilizzo dell'amianto per gran parte dei Paesi Pordenone/Aula Magna Centro Studi Occidentali è iniziata di recente: per l'Italia nel Giovedì 9 settembre 2010, ore 20.30 1992, con la legge n. 257. Appare interessante formulare una serie di domande, che nel volume Anteprima Asbestos. Reportage amianto fvg vengono affron- REPORTAGE AMIANTO IN FRIULI VENEZIA GIULIA tate: come è potuto accadere che il “sistema” Inaugurazione della mostra fotografica della prevenzione e della sicurezza nei luoghi di ASBESTOS.IMG lavoro non sia riuscito ad arginare per tempo il seguirà la proiezione del documentario fenomeno? Qual è stato il ruolo giocato (o non INDISTRUTTIBILE di Michele Citoni (2004, 60') giocato) dai vari soggetti, come datori di lavoro, Intervengono enti di vigilanza, servizi di medicina del lavoro, Enrico Bullian (storico) assicurazioni, sindacati, lavoratori, mass-media, Marco Citron, Roberto Francomano opinione pubblica? Ci sono delle responsabilità e Alessandro Ruzzier (fotografi) penali in materia per i dirigenti aziendali? Quali lobbies sono intervenute e continuano a usare la La mostra sarà poi visitabile fino al 18 settembre loro influenza? Con che strumenti? Com'è possi- in orari di apertura sale. bile che ancora oggi si utilizzi l'amianto? Spazio ZeroImage, Aula Magna Centro StudiCinemazero Pordenone Ora che la ricostruzione è praticamente compiuta sarebbe da chiedersi come era stato possibile, per anni, ragionare, disquisire, teorizzare intorno ad un qualcosa che avrebbe dovuto comunque risultare monco, incompleto non plausibile. Perché quello che è accaduto a Metropolis quasi da subito, dopo il primo mese di proiezioni, è stato un vero e proprio progressivo massacro. Che ne lasciava percepire solo l'esteriorità “fantascientifica”, l'ambientazione sublimemente artefatta e quindi di enorme impatto visivo, cancellando, invece, quel substrato psicologico che umanizzava la vicenda. Nell'esaltazione della visionarietà langhiana nessuno si era più chiesto perché una delle invenzioni più geniali, il “robot” che prende vita, fosse preventivamente strutturato al femminile; così come si accettava, nel finale, semplicemente come logica dinamica tendente all'”happy end”, lo scambio tra le due giovani donne: la Maria buona impegnata nella mediazione tra il capitalismo dominante e la classe operaia oppressa, e la sua copia robotica cinicamente votata alla distruzione dalla follia del suo creatore. Così lo scontro tra il “braccio” e la “mente” che doveva trovare nel “cuore” la base del dialogo, diventava una meccanica contrapposizione sociale e non quell'ipotesi di “socialismo” da un lato dichiarata ma dall'altra poi negata nei comportamenti dai due regimi nazionalistici dominanti che stavano allora rafforzandosi (non dimentichiamo che il primo titolo di M - da noi M, il mostro di Düsseldorf, 1931 - era Gli assassini sono tra noi, e che Lang, contrariamente a Thea von Harbou all'epoca sua moglie e collaboratrice, lascerà subito dopo la Germania di Hitler). Alla fine della proiezione bolognese, nell’ambito de Il cinema ritrovato, ho constatato di essere perfettamente d'accordo con Martin Koerber, responsabile da anni della ricostruzione di Metropolis, che mi aveva anticipato che si trattava di “un altro film” e che alla fine non era nemmeno più “un film di fantascienza” ma un'opera che, in uno sfondo futuribile, disquisiva sui sentimenti umani dall'amore, al tradimento, alla vendetta, come tipico, tra l'altro, nella poetica di Lang. La riprova sta nella partitura musicale originale di Gottfried Huppertz che tende più al sentimentalismo che alla visionarietà. Il “flop” della prima con gli economicamente infruttuosi primi quattro mesi di sfruttamento del film (dal 10 gennaio 1927) portarono ad un ridimensionamento della complessità narrativa. Dagli originali 4.189 metri (all'incirca due ore e mezza di proiezione)si passò a 3.241 (mezz'ora di meno), tagliuzzando qui e là. E adeguandosi, strutturalmente, alla versione americana decisa dallo sceneggiatore Channing Pollock già nel 1926 dato che, contribuendo economicamente alla sopravvivenza della UFA, la casa produttrice del film in stato di crisi, la Paramount aveva avuto possibilità di intervenire su Metropolis. Facendolo diventare sostanzialmente un concitato film d'azione (come intuirà alla grande Giorgio Moroder con la sua filologicamente improbabile ma proprio per questo apprezzabile versione-rock del 1984) su sfondi e temi futuribili. Facendo scomparire la gelosia tra il “padrone” della città Fredersen e l'“inventore” Rotwang come molla della conflittualità che rischia di distruggere la cività della città ipermoderna; insieme ai rapporti di “normale” umanità (amore, amicizia, lealtà) di Joh, figlio del padrone e di Hel, la donna morta prematuramente, amata anche da Rotwang che lo scienziato folle stava “ricostruendo” come robot; e insieme ad alcune sequenze anche spettacolari ma fatte di generoso altruismo come il condurre alla salvezza dalla città sotterranea allagata i figli degli operai in rivolta. Questa la versione che, inquadratura più inquadratura meno, girava fino agli anni '80, fino a quando Enno Patalas al Filmmuseum di Monaco, ritrovando dopo la caduta del muro molti doppi nella parte est della Cineteca tedesca, ha iniziato il confronto di tutte le copie, seppur di bassa qualità, sopravvissute, e ricostruito, anche se non esaustivamente, la struttura narrativa del film. Koerber e colleSabato 11 settembre, ore 20.30 ghi subentrarono poi sia ritrovando altro materiale oriTeatro Giovanni da Udine ginale d'epoca sia con il restauro digitale. Fino alla METROPOLIS di Fritz lang comparsa (2008) della copia argentina a passo ridotto con accompagnamento musicale in sala della Alloy Orchestra (la si vede sullo schermo più piccola e molto rigata) tratta dal negativo originale. Le cui inquadrature, reinSerata a cura del Centro Espressioni Cinematografiche serite frammento per frammento al loro posto (non in collaborazione con la Fondazione Friedrich Wilhelm mancano ormai che un paio di minuti) fanno ora di Murnau Stiftung Museum di Wiesbaden, La Cineteca del Metropolis più che un altro film, “il” film concepito e Friuli e Le Giornate del Cinema Muto di Pordenone montato da Fritz Lang, affascinato dal modernismo, all’interno della manifestazione BIANCO&NERO ma sempre attento al destino dei suoi amati perdenti... Ingresso E 5,00 Capolavori restaurati Sabato 11 settembre a Udine Metropolis acompagnato dalla Alloy Orchestra Carlo Montanaro Reportage Amianto in Friuli VG Enrico Bullian Giovedì 9 settembre a Cinemazero serata sull’amianto La natura e la sostanza, essenzialmente visive e visionarie, del cinema di Dario Argento possono indurre a sottovalutare un aspetto e una dimensione del suo cinema che sono invece centrali: e che si riassumono nel suo confronto con la scrittura. Dove per scrittura si devono intendere le molteplici stratificazioni e potenzialità di questa pratica: che va dal lavoro della sceneggiatura al rapporto con le eventuali fonti letterarie, ma che comprende anche la possibile rielaborazione in forma narrativa (la novelization) di alcuni suoi film e, naturalmente, la pratica critica che Argento esercitò negli anni '60 prima di passare dietro la macchina da presa. Il quadro che ne esce è quello di un autore per il quale l'esercizio dello scrivere, del trascrivere e del descrivere, in sede di realizzazione precedono e presidiano saldamente la fase delle riprese e del montaggio, ai quali forniscono una griglia rigida e che raramente il regista modifica in corso d'opera. Ma poiché scrivere per Argento è (anche) un mezzo per dare ulteriore corpo e corso ai propri incubi e alle proprie visioni, ecco allora che in questa traiettoria si collocano le rielaborazioni romanzate dei propri film (Profondo thrilling, Tascabili Newton, Roma 1994, La sindrome, Bompiani Milano 1996), la manualistica e saggistica sul genere (Mostri & C., enciclopedia di horror e fantascienza in collaborazione con Domenico Malan, Anthropos Roma 1982, la prefazione a Dodici racconti sanguinari, Ed. Profondo Rosso Milano 1976), identificazioni o allusioni metalinguistiche esplicite come la metafora della scrittura quale corridoio preferenziale per la follia incarnata nel giallista-assassino protagonista di Tenebre (anche il protagonista del suo film d'esordio, L'uccello dalle piume di cristallo, è uno scrittore), la fitta ragnatela di riferimenti bibliofili e bibliografici su cui è costruita la trilogia delle Madri (Suspiria, Inferno, La terza madre) a partire dalle pagine contenute nel Suspiria de Profundis (1845) dello scrittore inglese Thomas de Quincey (1785-1859), i saggi e gli interventi su autori amati e referenziali come Poe e naturalmente la palestra delle recensioni e delle interviste a cuore aperto pubblicate negli anni '60 durante la fase militante della critica cinematografica su Paese sera. La dimensione verbale, dunque (non solo scritta ma anche parlata: Argento, vinta la propria proverbiale ritrosia, è un chiacchierone e un conversatore gustosissimo), si accompagna e si complementa con quella visiva, spesso preludiandola e prefigurandola. Pochi ricordano ad esempio che l'opera d'esordio del regista, L'uccello dalle piume di cristallo (1970), è liberissimamente ispirata al racconto Screaming Mimi pubblicato nel 1949 dal giallista americano Fredric Brown (edito nel 2006 in Italia da Hobby & Work con il titolo La statua che urla) e che aveva già avuto sullo schermo una (assai più fedele) traduzione cinematografica nel 1958 con lo stesso titolo ad opera del cineasta tedesco-americano Gerd Oswald (in quel cast con Anita Ekberg nel ruolo protagonistico che invece Argento affida al personaggio maschile interpretato da Tony Musante). Ed è interessante anche che all'interno di un percorso di genere si situi nel '73 l'incontro con Nanni Balestrini, poeta e scrittore della Neoavanguardia ed esponente del Gruppo 63, per Le cinque giornate, bizzarro ed unico nel cinema argentiano - esperimento di devianza dall'horror-thriller all'insegna della controinformazione storica, nonché l'anno successivo romanzo edito da Bompiani. Bisogna aspettare il 1990 per ritrovare Argento in biblioteca, alle prese stavolta con un classico ed amatissimo scrittore come Edgar Allan Poe, in occasione di Il gatto nero, seconda parte del dittico poeiano conflittualmente realizzato in tandem con l'(ex)amico George A.Romero, che si prende invece in carico I fatti nel caso di mister Valdemar. Più che una rilettura pedissequa del celeberrimo (e sfruttatissimo anche al cinema, da Ulmer a Fulci) racconto del 1843, Argento compie qui una sorta di trionfale crestomazia dell'immaginario poeiano, inglobando citazioni dirette o indirette anche da Il crollo della casa Usher, I delitti della via Morgue, Il pozzo e il pendolo e soprattutto Il cuore rivelatore. Nulla più che una fonte d'ispirazione tecnico-scientifica è invece l'avvincente - e potenzialmente narrativo in sé - saggio della psicoanalista Graziella Tantissimi i partecipanti all’ottava edizione del concorso Scrivere di cinema 1800 recensioni ma solo 3 vinceranno Sabato 18 settembre si saprà chi tra i 50 critici in erba ammessi alla selezione finale si aggiudicherà il primo posto nell'ottava edizione di Scrivere di cinema. Il concorso di critica cinematografica intitolato ad Alberto Farassino, promosso da pordenonelegge.it, Cinemazero, il Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani e MYmovies amplifica i successi ottenuti lo scorso anno: 1800 le recensioni pervenute per le tre sezioni del concorso, a conferma dell'interesse delle nuove generazioni per il cinema e per il mestiere di critico in particolare. Il testimone passa ora ai giurati “di qualità” Steve della Casa, Viola Farassino, Mauro Gervasini, Giorgio Placereani, Roberto Pugliese e Giancarlo Zappoli, chiamati a decretare i vincitori per le diverse sezioni. Premi prestigiosi per i vincitori delle sezioni UNDER 28 e TRIENNIO, che si aggiudicheranno un contratto di collaborazione con MYmovies e accrediti stampa comprensivi di ospitalità a importanti festival di cinema quali il Torino Film Festival e il Far East Film Festival di Udine. Un telefonino Onda Communication di ultima generazione sarà il premio per il primo classificato della sezione BIENNIO. Durante la cerimonia, verranno decretati anche i vincitori del Premio La classe, riconoscimento speciale sostenuto da Banca Popolare FriulAdria e in collaborazione con Onda Communication, che il concorso riserva agli studenti delle Scuole secondarie di II grado della provincia di Pordenone. Numerose classi hanno partecipato a Cinemazero nei mesi scorsi ai matinée “Question&Answer”, redigendo poi una recensione di classe del film presentato. Scrivere di Cinema Roberto Pugliese Maestri dell’horror Dario Argento, il sangue e l’inchiostro Magherini La sindrome di Stendhal (GEF Spa Firenze, 1989), che Argento ritrasformerà poi in romanzo autonomo desumendolo dallo script proprio e di Franco Ferrini per il film del 1996. Ma è il lavoro compiuto su un classico della letteratura fantastica d'inizio del secolo scorso, Il fantasma dell'opera di Gaston Leroux (1910), a svelare radicalmente la sostanza essenzialmente manipolatoria e anarchica del rapporto fra Argento e la scrittura come fonte. Alle prese con un autentico ipertesto, dalle innumerevoli e più o meno rispettose versioni cinematografiche, Argento sceglie di prediligere il versante della favola tragica, dell'amour fou, espungendo ogni orrorificità dal personaggio del Fantasma (che non è più un mostro sfigurato come nell'originale ma un bellissimo giovane biondo lungochiomato) e deviandola verso situazioni collaterali, sublimando l'orrido nell'eros e ricercando una cifra epica sinora del tutto estranea alle proprie corde. Nell'esplorazione sistematica dei generi, anche letterari, non va poi sottovalutato il contributo tipicamente cronachistico di Carlo Lucarelli al copione di Nonhosonno (2001). anche se un nuovo esperimento di metamorfosi da pagina e (tele)schermo si profila di lì a pochi anni (2005) con Jenifer istinto assassino, l'episodio per la serie tv Masters of horror che Argento trae da una storia a fumetti di una decina di pagine pubblicata nel 1974 negli Usa sul testo di Bruce Jones e i disegni di Berni Wrightson, risceneggiata da Steven Weber che nel teleplay interpreta anche lo sfortunato e tragico ruolo del poliziotto protagonista, irretito nell'abisso di una Lolita mostruosa e cannibale. Anche l'altro episodio di Argento per la stessa serie, Pelts istinto animale (2006) ha un'origine letteraria, e precisamente da un breve racconto del '90 dell'americano Francis Paul Wilson, specialista in horror e fantascienza a tema: in questo caso la violenta polemica ecologista e animalista contro l'industria delle pelli, che Argento vira in un efferatissimo e morboso tripudio del massacro. Ce n'è a sufficienza, anche in una rapida carrellata, per concludere che la penna di Dario Argento è stata intinta più volte nell'inchiostro-sangue di un immaginario composito e irrequieto, plurale e cangiante, con poco spazio per l'esercizio accademico della trascrizione e molto invece per quello più empio e fertile della dissezione dei corpi, delle immagini e dei testi. Elisabetta Pieretto A Cinemazero per PordenoneLegge il maestro del brivido Dal 2 al 9 ottobre 2010 a Pordenone la 29ma edizione delle Giornate del Cinema Muto Un privilegio di cui godono gli spettatori delle Giornate del Cinema Muto è vedere talvolta scorrere sullo schermo immagini che si credevano perdute per sempre e che invece, identificate negli archivi, ritrovate in collezioni dimenticate, in un vecchio armadio o addirittura scoperte sulla bancarella di un mercatino, dopo parecchi decenni riemergono miracolosamente dall'oblio aggiungendo tasselli fondamentali alle filmografie dei cineasti e alla stessa storia del cinema. Tanto più celebri e amate sono le personalità, registi o attori, cui appartengono i materiali ritrovati, tanto più grande è l'eccitazione. La XXIX edizione del festival, in programma al Teatro Verdi di Pordenone dal 2 al 9 ottobre, sarà particolarmente prodiga nel dispensare questo genere di emozioni. In cima alla lista c'è naturalmente l'annunciata prima internazionale di Upstream (1927), il film di John Ford rinvenuto recentemente nel New Zealand Film Archive, ma ci saranno anche altri ritrovamenti, alcuni ugualmente straordinari, come un lungo frammento, recuperato e restaurato dalla Cineteca Nazionale, del perduto Marizza di Murnau. Il fascino e l'importanza di una manifestazione come le Giornate non si misura però solo sui grandi nomi o sugli eventi spettacolari, che pure non mancheranno: si pensi all'apertura, sabato 2 ottobre, con le imprese marine di Buster Keaton in The Navigator o alla chiusura, sabato 9, con l'accompagnamento orchestrale di Wings (Ali) di William Wellman, il primo Oscar della storia per il miglior film. Altrettante suggestioni possono scaturire dalle cinematografie meno conosciute, a cui da sempre le Giornate riservano un'attenzione speciale. Questa vocazione pionieristica e il piacere dell'autentica scoperta non si sono mai esauriti e nel corso del tempo a Pordenone sono arrivati, spesso per la prima volta in Europa, film provenienti da Cina, Australia, Thailandia, India. Quest'anno tocca ad un vero e proprio territorio “di frontiera”, la foresta amazzonica. Meno del 10% dei titoli prodotti in Brasile all'epoca del muto sono sopravvissuti, in gran parte documentari che testimoniano la vita sociale, politica, economica e culturale del paese. Carlos Roberto De Souza, uno dei responsabili della Cinemateca Brasileira di São Paulo e anima del festival Jornada Brasileira de Cinema Silencioso (dichiaratamente ispirato alle Giornate del Cinema Muto, cui è dedicata la sezione permanente “Destaques de Pordenone”, il meglio di Pordenone), è riuscito a mettere insieme quanto del cinema brasiliano delle origini è arrivato fino a noi. Alle Giornate, nella sezione “Il silenzio delle Amazzoni”, presenterà in prima europea e con accompagnamenti speciali eseguiti da musicisti indigeni una selezione dei titoli più significativi dei due maggiori cineasti dell'epoca, Luiz Thomaz Reis (1878-1940) e Silvino Santos (1886-1970). Reis e Santos hanno portato le loro macchine da presa in molte zone del paese e specialmente nella regione amazzonica, che all'inizio del XX secolo era ancora in gran parte inesplorata, realizzando documentari a metà tra etnografia e impegno sociale, al cui valore artistico si somma un eccezionale valore storico. Alcuni film ci mostrano il primo contatto tra tribù Indios oggi praticamente estinte e la “civiltà” dei bianchi. In programma anche Rituaes e festas Borôro (Riti e feste dei Bororo), in assoluto uno dei più importanti documentari sopravvissuti del primo cinema brasiliano. Girate nel 1916 da Reis, le straordinarie immagini ci mostrano i riti tradizionali - incluse le cerimonie funebri famose per la varietà delle danze e le misteriose pratiche simboliche - di questo gruppo etnico del Mato Grosso, ora ridotto a poche centinaia di persone. PROSA MUSICA LIRICA DANZA 2010/2011 Le anticipazioni del Teatro Giuseppe Verdi di Pordenone Non solo il kolossal teatrale I Demoni di Peter Stein, evento straordinario ed esclusivo, occasione unica di teatro totale, scelto per aprire la stagione di prosa (23 e 24 ottobre) e testimonial di un programma che sarà ancora una volta di qualità e coinvolgente. Ci saranno infatti anche il fantasmagorico e da tempo atteso dal pubblico pordenonese Arturo Brachetti con il suo universo magico, un Ornella Muti che la critica ha definito “sorprendente protagonista” di un affresco dell’Italia anni Cinquanta; i Rusteghi di Goldoni rivisti da Gabriele Vacis e con, tra gli altri, l’irresistibile Natalino Balasso; la miglior orchestra di fiati al mondo, la Tokyo Kosei Wind, per la prima volta in Italia; l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI; La Traviata, opera amatissima dal pubblico, con una doppia replica fuori abbonamento resa possibile grazie anche alle recenti variazioni al bilancio regionale che hanno reintegrato parte dei tagli ai contributi per il 2010; l’Orchestra di Piazza Vittorio, con una straordinaria rivisitazione in chiave etnica del mozartiano Il flauto magico. Sono alcune anticipazioni del cartellone 2010-2011 del Teatro Verdi di Pordenone, rappresentative della varietà di proposte e della volontà di andare incontro alle aspettative di un pubblico eterogeneo. Info: www.comunalegiuseppeverdi.it OLTRE LE NUVOLE ricordi fotografici dai campi di volo della brughiera pordenonese. Dall’album di Giovanni Cividini (1915-1917). Pordenone, spazi espositivi in via Bertossi; dal 3 sett. al 10 ottobre 2010 La mostra, organizzata in collaborazione con il Consorzio Culturale del Monfalconese di Ronchi dei Legionari, espone circa cento fotografie originali di Giovanni Cividini, fotografo che operò a Pordenone, SanVito al Tagliamento, Trieste e Monfalcone nei primi decenni del Novecento. Le immagini sono tutte tematiche e riguardano in particolare il campo di volo de La Comina. Giovanni Cividini nacque nel 1879 a Trieste da madre proveniente da Fanna e giovanissimo si dedicò alla fotografia. Le sue origini influirono sulle scelte professionali del talentuoso fotografo, tantoché dopo aver intrapreso la professione a Trieste si trasferì a Pordenone, dove aprì uno studio fotografico. La sua passione per la tecnologia lo portarono a frequentare i nascenti campi di volo dove, con precisione maniacale per il “tutto a fuoco”, realizzò numerosissimi scatti sia di aeroplani, sia di piloti. Interessantissime, anche per il valore storico, le immagini di Gabriele D'Annunzio, il poeta-soldato che abitualmente frequentava la brughiera pordenonese in qualità di osservatore militare. L'Album della Comina è composto da 33 fogli di cartoncino (ne saranno esposti 30 o 31); raccoglie 177 fotografie di vario formato, in parte realizzate dal fotografo Giovanni Cividini (1879-1959), in parte dallo stesso raccolte. Si riferiscono per la maggior parte alle attività dei reparti di stanza all'aeroporto della Comina (Pordenone). Degne di nota le foto eseguite in volo da alcuni dei piloti del reparto. In mostra saranno esposte anche alcune immagini (non presenti nell'album) realizzate da Cividini: ritratti di piloti, oltre al suddetto ritratto di Gabriele D'Annunzio. Info: www.comune.pordenone.it TERRE DELL'UOMO - Ia EDIZIONE: PUGLIA! Camino al Tagliamento, Casarsa della Delizia, Codroipo, Cordovado, Sedegliano e Varmo, dal 2 al 9 settembre 2010 Sei comuni del Friuli Venezia Giulia (Camino al Tagliamento, Casarsa della Delizia, Codroipo, Cordovado, Sedegliano e Varmo) ospiteranno dal 2 al 9 settembre la prima edizione di Terre dell’uomo, manifestazione dedicata all'esplorazione dello sfaccettato scenario delle culture regionali. Protagonista assoluta di questa edizione inaugurale sarà la Puglia, “raccontata” a tutto campo attraverso un ricco programma di retrospettive d’autore (Edoardo Winspeare, Pippo Mezzapesa), eventi musicali (il complesso Officina Zoé a Villa Manin di Passariano), recital teatrali (Mario Perrotta in "Emigranti Esprèss"), mostre fotografiche (una personale di Domenico Notarangelo, fotografo di scena sul set lucano-pugliese de Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini), incontri e conferenze (il critico letterario Filippo La Porta sulla nuova narrativa pugliese; Giuseppe Michele Gala e Placida Staro sulle relazioni tra due danze estatiche: la taranta e la furlana), degustazioni enogastronomiche nei migliori ristoranti del territorio. Info: Casarsa della Delizia - Settore Cultura, tel. 0434 873981 Domani accadrà ovvero se non si va non si vede Giuliana Puppin Le giornate del cinema muto Il silenzio delle amazzoni: pionieri del cinema brasiliano alle Giornate