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Sommario
EDITORIALE di Alfredo Martini La grande opportunità della
rigenerazione urbana (p.5)
OPINIONI Rigenerazione e qualità della vita urbana (p.6) - Rischi e
opportunità (p.8) - L’investimento migliore è nella conoscenza (p.11)
La sostenibilità nei sistemi urbani: che fare? (p.12)
INTERVISTA FRANCESCO KARRER: Rigenerare vuol dire creare
ricchezza economica e migliori condizioni sociali (p.14)
EDITORE
E PROPRIETÀ
EDITORIALE
Strategie &
Comunicazione Srl
Via P. Carnabuci, 27
00139 Roma
DIRETTORE
SCENARI Andiamo a vivere tutti in città (p.17) - Innovare e riorganizzare,
per trasformare le città (p.22) - Dal Pon Città metropolitane risorse
per lo sviluppo urbano (p.25)
DOCUMENTI Il rilancio parte dalle città metropolitane (p.29)
MODELLI Rigenerare l’edilizia sociale del ‘900: strategie europee
a confronto (p.32) - I fattori di successo dell’esperienza britannica (p.36) Un nuovo centro urbano a Berlino (p.42)
IL PUNTO di Giovanni Salmistrari, presidente Ance Veneto
Accendere i motori della ripresa con visione e coraggio (p.47)
LEGISLAZIONE Verso la legge regionale 14 sul consumo di suolo (p.48)
RESPONSABILE
ED EDITORIALE
Alfredo Martini
CAPOREDATTORE
Maria Cristina
Venanzi
REDAZIONE
Martino Almisisi
Paolo Cesare
Virgilio Chelli
Emanuele Incanto
FOCUS La sfida di Porto Marghera (p.51)
Mimosa Martini
Rosa Moretti
PROGETTI I giovani imprenditori veneti ripartono dalla bellezza
del territorio (p.55) - Dalle fondamenta. Rimotivarsi per essere
più competitivi (p.58)
AUTORI Effetto domino (p.61)
IL PUNTO di Stefano Petrucci, presidente Ance Lazio
Un testo unico regionale per rendere possibile la rigenerazione urbana (p.63)
TAVOLA ROTONDA Il futuro di Roma fra nuova normativa urbanistica
e città metropolitana (p.64)
FOCUS Rigenerare le periferie romane (p.70) - Viterbo: per una città
a misura di cittadino (p.74)
CONVEGNI L’internazionalizzazione, un’opportunità da cogliere (p.77)
Giovanni Pietrangeli
Mattia Sereni
PROGETTO
GRAFICO E
IMPAGINAZIONE
Aurora Milazzo
In copertina
Il progetto di
Ortner & Ortner
Baukunst per
il quartiere
Gleisdreieck a
LE PAGINE DI CDC Progetto Crescita e prima Conferenza nazionale
sulla certificazione di sostenibilità (p.79)
Berlino (© Copro
e HG Esch).
La grande opportunità
della rigenerazione urbana
Governare l’innovazione
nel mercato che si trasforma
Teatro Giovanni da Udine 23-24
settembre
Per un riposizionamento strategico del settore orientato alla comprensione dei fattori di
cambiamento interno ed esterno e di una domanda in forte trasformazione, partendo dalla
consapevolezza della rilevanza dei fattori di innovazione, dall’Innovation Management alla
Business Transformation.
Una riflessione sull’innovazione tecnologica e sui nuovi modelli delle costruzioni,
dall’industrializzazione del processo edilizio alle nuove frontiere della ricerca, all’individuazione dei nuovi paradigmi che influenzeranno i modi di costruire nei prossimi anni.
Con l’Università di Berkeley in California, il MIB School Of Management di Trieste, l’Università di Roma Tre e il Formedil, best practice internazionali, le aziende leader della filiera.
Tre sessioni e 20 relatori italiani e internazionali
1. Innovazione e trasformazione Orizzonti, Cambiamenti, Visioni. Per nuovi modelli
di business.
2. Innovazione e costruzioni Processo, Prodotto, Modelli. Il mercato italiano delle costruzioni: nuovi confini e nuove competenze. L’industrializzazione di processo e le nuove
frontiere del costruire. Più manager, nuove professionalità, capicantiere 2.0.
3. Innovazione e sperimentazione Abitare, Vivere, Muoversi. La casa italiana del futuro secondo Civiltà di Cantiere. La casa industriale ad elevata personalizzazione. Nuovi
modi di abitare: dall’housing al co-housing. Educare allo spazio: uno spazio per educare.
Residenza per anziani a 5 stelle. Flying Factories: tra forme e processi. Sicurezza antisismica leggera. Edifici senza pensieri.
PARTNER
L’Italia è uno strano paese. Quel che colpisce ormai da diversi decenni è
la nostra facilità ad appassionarci a un tema, per poi abbandonarlo con la
stessa facilità. L’altro aspetto su cui riflettere, questo più recente, è la passione per il nominalismo. Ovvero la propensione a riesumare temi passati
di moda chiamandoli con un nome nuovo cui aggiungere qualche significato
ulteriore per ridargli vigore. È il caso della riqualificazione urbana, diventata
oggi rigenerazione. Ma dietro il nominalismo vi è una realtà che è cambiata
e che richiede una nuova e diversa attenzione. Come evidenzia Francesco
Karrer nell’intervista che pubblichiamo su questo numero monografico, là
dove sottolinea che quando parliamo di rigenerazione dobbiamo riferirci a
concetti e obiettivi che sono diversi da quelli della riqualificazione e che richiedono strategie e progetti in grado di creare nuova economia e migliorare
le relazioni sociali di un determinato quartiere o area territoriale. Troppo
spesso invece prevale la tendenza a considerare i due termini come sinonimi, riducendo la rigenerazione a riqualificazione. E il rischio che corriamo quando rinunciamo a legare i progetti di trasformazione ad obiettivi di
sviluppo economico e sociale è quello di ridurli unicamente a interventi di
valorizzazione immobiliare. Da qui parte la nostra riflessione sulla rigenerazione urbana. Con una particolare attenzione ad alcune esperienze europee
che chiamano in causa la qualità delle soluzioni individuate, le modalità
di coinvolgimento dei privati, ma soprattutto che evidenziano l’importanza della pianificazione e della governance pubblica. Da cui emerge per confronto la grande debolezza tutta italiana del non saper programmare, di
inseguire sempre l’emergenza, di giocare al ribasso. Un modo di agire oggi
non più sostenibile. Ragionare su questo è essenziale, così come conoscere
il quadro delle disponibilità finanziarie e le strategie collegate ai fondi europei, come nel caso del Pon Città metropolitane 2014-2020. Ci caliamo poi
all’interno della dimensione regionale confrontandoci con la complessità
della rigenerazione di Roma, che chiama in causa anche la regione Lazio e il
nuovo testo unico sull’urbanistica. Mentre nel Veneto si apre l’impegnativa
sfida della rigenerazione di ampie aree deindustralizzate e anche qui la legislazione regionale diventa strategica per creare le condizioni e determinare
le politiche del futuro.
A completare il numero interviste e approfondimenti attenti al territorio e
al sistema delle imprese, che resta il nostro principale interlocutore, come
dimostrano i numerosi contributi da parte di imprenditori delle costruzioni.
EDITORIALE
ALFREDO MARTINI
Direttore
di Civiltà di cantiere
5
Opinioni
Rigenerazione e qualità della vita urbana
La complessità delle città richiede modelli di intervento attenti alle identità
dei luoghi, nuove competenze e imprese in cui la cultura è fattore di successo.
GIANFRANCO
DIOGUARDI
Professore ordinario di Economia
e organizzazione
aziendale al
Politecnico di
Bari, cavaliere del
lavoro, presidente
della Fondazione
Dioguardi,
svolge attività
imprenditoriale
e consulenziale.
Ha pubblicato
numerosi libri ed è
presente in diversi
consigli di amministrazione, direttivi e scientifici di
imprese, riviste,
istituzioni pubbliche e private.
Verso la fine del 2014 Anna Hidalgo, sindaco di Parigi, ha lanciato un appello per
progetti urbani innovativi sul tema Paris doit se réinventer à chaque instant così
da poter affrontare le sfide del futuro. Reinventare Parigi dunque per modellare la metropoli del futuro: e se avverte questa necessità la Ville Lumiere, certamente si fa pressante ovunque la necessità di pensare a un modello universale
di intervento per le città affinché imparino a rigenerare se stesse rielaborando
l’uso degli spazi, inventando modalità per nuovi utilizzi sostenibili degli edifici dismessi, affrontando con rinnovate concezioni operative il degrado fisico e
la conseguente emarginazione sociale generalmente presente nelle periferie. Il
che significa immaginare un cambiamento epocale della filosofia con cui viene
affrontata la “questione urbana” - un rinnovamento che interessi tutti i protagonisti e ogni mezzo a disposizione: cittadini, amministratori, imprenditori, metodi e processi di intervento – elementi, questi, fra loro interconnessi da relazioni
esplicite e potenziali, reali e nascoste. Ricercare e portare in evidenza, quindi, le
hidden connections per esplicitare la rete da rendere virtuosa così che gli auspicati interventi di modifica sul territorio abbiano un effetto sinergico sostenibile tale
da produrre effettivamente un miglioramento della qualità della vita urbana.
Occorre quindi educare i cittadini a un migliore e più attento utilizzo dei luoghi
dove vivono, mentre le amministrazioni pubbliche devono imparare a programmare gli interventi urbani allo scopo di assicurare con continuità un’accettabile
condizione ambientale. Per questo devono modificare le domande saltuarie di
interventi di recupero e di rigenerazione trasformandole in una stabile richiesta
che consenta alle imprese di adeguare la loro offerta attraverso una revisione
soprattutto culturale delle loro strutture, per permettere l’applicazione di nuovi
processi e metodi di intervento sul recupero del degrado delle città e sulla rigenerazione della complessità che oggi caratterizza i territori urbani.
Scuole per manager urbani
Le istanze generali che emergono nel settore edilizio urbano propongono ora di
gestire la risorsa territorio valorizzando l’esistente per rilanciare l’economia attraverso una sfida alla sussidiarietà che imponga di ben ragionare sul concetto
di riutilizzo così da evitare ulteriori inconsulte espansioni territoriali. Pertanto,
occorre intervenire sul degrado fisico presente, avviando una riqualificazione del
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territorio anche con finalità più generali e complementari, per esempio agevolando e sostenendo lo sviluppo del turismo locale.
Il settore edile presenta dunque nuovi problemi ma nel contempo esprime anche
innovative sollecitazioni legislative in favore di nuovi progetti di intervento sulla
rigenerazione urbana, progetti che devono essere legati alle particolari situazioni
locali. Le nuove frontiere impongono dunque di attivare innovativi progetti imprenditoriali al fine di aprire e consolidare nel settore edilizio nuovi mercati per la
riabilitazione delle periferie degradate e per concorrere al recupero urbano anche
con l’ausilio di nuovi metodi organizzativi di governo delle città complesse (fra
le quali anche e soprattutto le città metropolitane di recente istituzione), promuovendo la nascita e la diffusione di una nuova “scienza del governo della città
complessa” da insegnare in apposite city school dove vengano formate figure
professionali di funzionari manager urbani, orientando in particolare i giovani
verso una nuova education, ovvero verso una formazione di stampo innovativo
basata su una cultura imprenditoriale che li abitui a meglio governare il costante
turbolento cambiamento apportatore di complessità.
Nel volume Nuove
alleanze per il terzo
millennio. Città
metropolitane e
periferie recuperate,
FrancoAngeli,
Recupero attento e sostenibile
Milano 2015 (ora
I nuovi processi di intervento sul territorio urbano devono peraltro scaturire dalle
trascorse importanti esperienze di cui proprio l’Italia è stata sempre grande maestra. In particolare, riguardo al degrado fisico e sociale delle periferie, si devono
attivare processi innovativi del tipo “Laboratorio di restauro nuovo sostenibile”
(cfr. G. Dioguardi, Nuove alleanze per il terzo millennio. Città metropolitane e periferie recuperate, FrancoAngeli, Milano 2015 (ora pubblicato anche in Francia come
Nouvelle Alliance pour le Troisième Millénnaire, edito da Herrmann, Paris 2016),
processi effettuati con il ricorso a nuovi interventi sociali ed educativi attraverso
una cultura imprenditoriale resa strategica. L’intervento sul territorio, sulla periferia o sull’edificio dismesso, deve avvenire con una rinnovata attenzione culturale che porti a considerarli “oggetti” da restaurare adattando la medesima cura
che si attribuisce al restauro di un importante oggetto antico per riscoprirne le più
recondite preziosità. Per questo, il processo di intervento va corredato con studi
storici, sociologici, artistici, psicologici per ricostruire un’identità spesso perduta
delle situazioni su cui intervenire, in modo da generare una nuova “storia” che riesca a esprimere una dignità forse mai esistita ma che adesso deve essere immaginata per caratterizzare il concetto stesso di rigenerazione nell’ottica di una qualità della vita cui mirare per proiettare ogni singolo intervento verso un auspicabile
migliore futuro. A questo scopo è necessario anche pensare a un’impresa di nuova
concezione, basata sull’idea di “impresa enciclopedia” (Cfr. Nuove alleanze cit.)
nella quale predomini la cultura come elemento strategico di successo. Condizioni
di carattere generale, queste, che devono connotare i singoli progetti e le capacità
immaginative di chi governa le città anche al fine di sollecitare finanziamenti
europei finalmente volti a sviluppare realtà che coinvolgano tutti i cittadini.
pubblicato anche
in Francia come
Nouvelle Alliance
pour le Troisième
Millénnaire, edito
da Herrmann, Paris
2016) Gianfranco
Dioguardi descrive
un possibile metodo
di intervento
sulle periferie,
denominato
“Laboratorio di
restauro nuovo
sostenibile”.
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Opinioni
Rischi e opportunità
con l’ambiente circostante che sappia dare valore e risposta agli innumerevoli
aspetti con cui l’attività si relaziona, per la loro incidenza sulla capacità di raggiungere l’obiettivo della piena soddisfazione del cliente.
L’arretratezza culturale di domanda e offerta
Ripartire dal sistema di gestione qualità nelle organizzazioni per costruire
un sistema delle costruzioni basato su collaborazione e condivisione di valori.
PIERO TORRETTA
Dal 2008 è
presidente di Uni,
Ente nazionale
di unificazione.
Imprenditore, in
precedenza è stato presidente di
Assimpredil-Ance
e ha ricoperto vari
ruoli in diversi altri
enti e associazioni
fra cui Confindustria, Ance, Assolombarda, Cnr.
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Quando nella imminenza della pubblicazione ho affrontato il Rapporto finale della norma Uni En Iso 9001:2015, mi ha colpito l’approccio innovativo della
nuova edizione, meno burocratica e più flessibile, e soprattutto il richiamo al
“contesto in cui opera un’organizzazione, sempre più caratterizzato da un’incertezza che genera rischi ma anche opportunità”. Debbo confessare che, dopo
quasi 40 anni di lavoro nel mondo delle costruzioni avendo ben presente le incertezze, ho fatto fatica ad individuare le opportunità, mentre subito mi si sono
presentati evidenti i rischi, il cui livello, dopo ben otto anni di crisi ma non solo
per quello, è ancora oggi abnormemente superiore alle opportunità.
Una conclusione che è l’amara conferma di quanto ebbi a dire molti anni fa ad
un convegno per la presentazione della Uni En Iso 9001:2000, sottolineando il rischio di schizofrenia per l’impresa. Uno sdoppiamento del rapporto con la realtà
che (come spesso succede anche oggi) caratterizzava l’impresa che operava nel
comparto dei lavori pubblici, contraddistinto dalla contrapposizione degli attori
della filiera (committente, progettista, impresa, fornitori, utilizzatori), e contestualmente operava nel comparto privato, dove la collaborazione e l’integrazione erano già allora un importante attenuatore dell’incertezza, uno stimolo per
trasformare il rischio in opportunità.
Erano anni difficili, in cui si pensava di porre rimedio ai problemi trovando le responsabilità negli altri e le soluzioni in strumenti calati dall’alto, come se la complessità dei sistemi socio-economici e i retaggi culturali di un paese cresciuto
troppo in fretta fossero affrontabili con la bacchetta magica della disposizione
regolatoria, anziché con la condivisione di valori positivi. Questa è stata una delle
illusioni della legge Merloni. Più che condivisibile nei principi ma, forse, troppo
ambiziosa e soprattutto, con l’introduzione dell’obbligatorietà della certificazione del sistema di gestione della qualità, incoerente con il principio base della normazione tecnica consensuale: la volontarietà. Un’incongruenza che ha indotto a
ritenere la certificazione più un adempimento che un’opportunità e che non ha
inciso sul rapporto domanda/offerta, caratterizzato ancora da un cliente insoddisfatto e da un sistema di imprese prevalentemente poco qualificato.
Gestire la qualità significa gestire l’efficienza e l’efficacia del proprio processo
attraverso la conoscenza, il controllo, la capacità di coinvolgere le risorse umane,
l’integrazione dei sistemi organizzativi. Un approccio adattivo, interconnesso
Molteplici sono i fattori di rischio con cui un’impresa deve ancora oggi confrontarsi. Un lungo elenco che va “dai rischi tecnici ed economici alla sicurezza, ai rischi
reputazionali, ai rischi penali riconducibili alla organizzazione nel suo complesso
e al modo di relazionarsi col mercato”. Un modo elegante per dire che il mercato
dei lavori pubblici è ancora oggi condizionato dalla non conformità del prodotto,
dall’inadeguatezza dei prezzi, dall’insufficiente tutela dei diritti delle persone,
dai diffusi comportamenti illegittimi di concussione e corruzione. Un rischio di
contesto esterno che espelle dal mercato chi crede nel rispetto delle norme, nella
responsabilità e nella funzione sociale dell’impresa. Per questo è ncessario operare anche su aspetti che possono sembrare marginali, ma che esprimono l’arretratezza culturale che ancora oggi accomuna domanda ed offerta.
Il problema irrisolto dei pagamenti esprime l’evidente arretratezza della domanda. Sono anni che se ne parla e nonostante la Direttiva Ue che ha definito
per i pagamenti un termine massimo di trenta giorni siamo ancora fermi ai buoni propositi. “Il difetto sta nel manico”, dice un vecchio detto. L’eliminazione del
difetto è una precondizione se si vuole che vi siano identificazione e condivisione a valle del processo. Il rispetto degli impegni contrattuali è infatti un principio
cardine della Uni En Iso 9001.
Non diverso dal punto di vista dell’offerta è la superficialità con cui si affrontano
gli impegni della certificazione dei sistemi di gestione. Nonostante gli operatori economici italiani certificati per la qualità siano 130mila, risultano diffuse
solo 50mila copie originali della norma. Cosa c’entra, dirà qualcuno, l’avranno
fotocopiata. Certo, può essere, ma la norma è tutelata dal diritto d’autore e una
disposizione di legge ricorda allo stesso Stato e alle sue emanazioni centrali e
periferiche che gli enti di normazione hanno diritto a ricevere il giusto ristoro nel
caso di pubblicazione in un atto pubblico di una norma. Non basta cioè che un
prodotto o un processo siano conformi ai requisiti di una norma. Conformi devono essere tutte le attività che vi sottostanno: dalla più rilevante alla più semplice. Se non è così la stessa certificazione perde efficacia. Due semplici esempi
che ci insegnano come, se manca la partecipazione, viene a mancare l’essenza
stessa della norma: la condivisione e la consensualità dei valori.
Il prezzo, oggi una variabile indipendente
Per questo, quando si parla dei rischi e delle opportunità del contesto, sarebbe
utile che tutti insieme si partisse da una considerazione. È principio generale
che nessuno venda o accetti un’offerta inferiore al costo di acquisizione o di trasformazione di un bene. Un altro vecchio detto popolare diceva “chi più spende
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Opinioni
meglio spende”, rappresentando la realtà di quando alla miglior qualità corrispondeva il “giusto prezzo”, quando vi era coscienza che la rincorsa del prezzo
più basso era anche a pregiudizio di qualcuno che poteva perdere il lavoro o essere costretto a lavorare a rischio della salute.
Ciò che oggi più ci deve preoccupare è che il prezzo è diventato una variabile
indipendente, che non solo pregiudica la qualità del prodotto e la soddisfazione
del cliente, ma che può degenerare nell’indifferenza verso i valori imprescindibili
della salute e della giusta retribuzione del lavoro. Così si diffonde la convinzione
che il prezzo sia sempre, per definizione, troppo alto e che si possa sempre ottenere un prezzo basso, trasformando il mercato in un suk senza regole.
Un esempio può essere utile per capire. Se è apprezzabile che per Expo si sia
fatto riferimento alla norma Uni Iso 20121 (sistemi di gestione sostenibile degli
eventi), deve far riflettere il fatto che molti aspetti dell’esecuzione, molti dei
quali hanno prodotto fatti corruttivi e lesioni dei diritti delle imprese (alcune ancora non sono stati pagate), non siano invece stati certificati in conformità alla
appendice B della Iso 20121 (gestione della catena della fornitura). Un aspetto
che rafforza la necessità, sancita dalle nuove Uni En Iso 9001 e 14001, di considerare conforme una certificazione solo se è riferita alla totalità delle attività di
un evento, ritenendo improprio un approccio cherry picking per cui di una realtà
complessa si coglie solo la ciliegia matura e si dimenticano tutte le altre, che
però possono anche marcire.
Normazione a accreditamento, risorse di pubblica utilità
Estratto
dall’intervento
presentato da Piero
Torretta il 3 marzo
2016 al convegno
“La gestione del
rischio nel settore
costruzioni come
strumento per
tempi e costi certi”,
organizzato a
Roma dal Settore
Costruzioni di Aicq
con il supporto del
Consiglio superiore
dei lavori pubblici.
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La Uni En Iso 9001 ci insegna che dobbiamo generare fiducia nella capacità delle
organizzazioni di fornire ai propri clienti prodotti e servizi conformi ai requisiti.
Il primo impegno per tutti noi deve essere quello di stimolare il cambiamento
affinché le risorse investite nelle opere pubbliche siano impegnate per fornire
prodotti e servizi non solo conformi, ma utili per i cittadini e il paese. Per questo
tutto il sistema (committenti, progettisti, imprese, regolatori) deve concepire se
stesso come un’organizzazione dialogante, un insieme che sappia valutare cosa
significano “rischi ed opportunità” del settore. Cosa comporterebbe cioè avere
un sistema di gestione qualità efficace e coerente con e tra gli attori del sistema, per identificare e attenuare rischi sia interni alle imprese, sia del contesto
esterno. E per far crescere le opportunità valorizzando la capacità di ognuno di
assumere, quando necessario, le decisioni di competenza.
In questo la normazione e l’accreditamento sono risorse di pubblica utilità. La
normazione è impegnata a garantire trasparenza, democraticità, consensualità
nel processo di evoluzione e approvazione delle norme. Il sistema deve garantirne la volontarietà. Diversamente, come l’esperienza di questi ultimi 20 anni
dimostra, sarebbe solo una nuova burocrazia con tutti i rischi che ciò comporta.
Innovazione e nuove tecnologie hanno bisogno di collaborazione, inclusione,
condivisione. Rischi ed opportunità vanno di pari passo.
L’investimento migliore è nella conoscenza
Opinioni
Stare al passo col cambiamento richiede, soprattutto alle Pmi, di accrescere il
proprio sapere, anche costruendo rapporti con soggetti come le università.
Da alcuni anni molti imprenditori si interrogano sui profondi cambiamenti che
stanno caratterizzando il mercato edilizio. Appare ormai chiaro a tutti che quello
cui eravamo abituati potremmo dire “da sempre” non esiste più. E credere che
possa tornare è una pericolosa illusione. Del resto non potevamo pensare che
mentre tutto intorno a noi cambiava, e anche profondamente, si potesse continuare come nulla fosse. Se guardiamo ad esempio all’automobile, ci appare evidente che rispetto a trent’anni fa oggi guidiamo qualcosa di profondamente diverso: materiali, concezione stessa dell’abitacolo, meccanica, perfino il carburante.
Per quanto riguarda le costruzioni invece tutto è rimasto immutato fino quasi ad
oggi. Ora invece il cambiamento ci ha raggiunto e rischia di travolgerci se non avremo la forza, noi piccole imprese, di cambiare modo di porci rispetto al mercato.
Perché non è una questione di risorse, ma di competenze e di approccio, di disponibilità a mettersi in gioco. Se vogliamo è una questione di coraggio. Saper cogliere
il cambiamento vuol dire accrescere la propria capacità di comprendere cosa sta
succedendo. Il che vuol dire essere più curiosi, saper sfruttare al meglio le nuove
potenzialità offerte dalla tecnologia ad iniziare da internet che ci mette a disposizione un’infinità di informazioni. Perché uno dei fattori che da sempre fa la differenza e consente a un imprenditore di competere in momenti di cambiamento
è aumentare il proprio sapere. È essenziale essere aggiornati per trovare soluzioni
nuove in grado di andare incontro a esigenze nuove, dovute al fatto che abbiamo
di fronte clienti nuovi, famiglie con bisogni diversi da quelle del passato. Realizzare
un edificio oggi vuol dire mettere al centro di qualunque nostro progetto imprenditoriale colui che fruirà del nostro prodotto finale. Dobbiamo percepire e concepire il
nostro prodotto, l’edificio, come un insieme di funzionalità e di estetica. L’imprenditore che promuove progetti edilizi non può non essere partecipe fin dall’inizio del
progetto, deve avere un ruolo attivo e per questo deve sviluppare competenze. Se
vogliamo uscire dalla recessione dobbiamo smetterla di giocare al ribasso e invece
alzare la nostra offerta, guardando con entusiasmo all’innovazione. Dobbiamo essere consapevoli che abbiamo a disposizione un’abbondanza di soluzioni. Spesso,
come con la ricerca su internet, la difficoltà è individuare ciò che ci serve, la soluzione giusta. Per molti di noi, titolari di piccole imprese, diventa essenziale poterci
confrontare con chi ne sa più di noi, costruire rapporti stabili ad esempio con l’università. Perché oggi l’investimento migliore è quello in conoscenza.
MAURO CAZZARO
Guida la Cazzaro
Costruzioni, azienda a conduzione
familiare che da più
di cinquant’anni
opera nel campo
dell’edilizia e nel
campo immobiliare,
soprattutto nelle
province di Padova,
Venezia e Treviso.
Una piccola impresa che da sempre
pone al centro della
propria attività
un’attenzione costante alla qualità
e all’evoluzione dei
sistemi costruttivi
e, negli ultimi anni,
agli aspetti energetici e ambientali.
La Cazzaro Costruzioni è partner di
Civiltà di cantiere.
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Opinioni
La sostenibilità nei sistemi urbani:
che fare?
Oggi esistono strumenti che consentono di garantire le effettive prestazioni
ambientali non solo di edifici nuovi, ma anche delle altre componenti di una
città, gli edifici esistenti e le infrastrutture.
LORENZO
ORSENIGO
Dal 2001 è direttore
generale di ICMQ
Spa, organismo di
certificazione operante nel settore
delle costruzioni.
Dal 2011 è inoltre
presidente di Conforma, associazione degli organismi
di certificazione
ispezione prove
taratura, associazione che rappresenta all’interno
dell’Osservatorio
sul calcestruzzo
armato presso il
Consiglio superiore
dei lavori pubblici
del ministero Infrastrutture e trasporti e, dal 2015, nel
Consiglio direttivo
di Accredia.
12
Non abbiamo scelta. Dopo la conferenza di Parigi e dopo che la sostenibilità ambientale è stata oggetto addirittura di un’enciclica papale, credo che non si debba
ulteriormente motivare perché è necessario implementare efficaci misure che
garantiscano il rispetto dell’ambiente anche nello sviluppo dei sistemi urbani.
I sistemi urbani si compongono fondamentalmente di tre categorie: le infrastrutture (per i trasporti, per la gestione di rifiuti, acque, energia, per le telecomunicazioni…), gli edifici residenziali e terziari, gli impianti produttivi. Dobbiamo fare in modo che tutti e tre questi sistemi adottino strumenti che diano
garanzia di una progettazione, realizzazione e gestione secondo criteri di sostenibilità ambientale. Dobbiamo avere certezza della loro reale sostenibilità: non
possiamo accettare il greenwashing. Già è stata persa un’occasione importante
con la certificazione energetica degli edifici: si è fatto del formalismo ma nella
realtà gran parte dei certificati energetici non sono veritieri e affidabili e quindi
non rappresentano lo stato reale dell’immobile. Con la sostenibilità non dobbiamo ripetere lo stesso errore.
Protocolli volontari per infrastrutture e edifici
E allora come fare? Per prima cosa il rispetto di protocolli o requisisti di sostenibilità non deve essere obbligatorio (abbiamo visto i risultati della certificazione
energetica degli edifici!) ma incentivato attraverso benefici economici, siano
essi fiscali, di volumetria o altro. È evidente che questi benefici economici devono essere rilasciati a fronte di garanzia certa della bontà dell’intervento, ovvero
che le prestazioni attese siano realmente state ottenute. E qui entra in gioco il
ruolo fondamentale dell’attestazione di conformità di terza parte. Un processo
di certificazione effettuato da un soggetto competente, indipendente, con assoluta imparzialità è la garanzia che l’opera abbia veramente le prestazioni e il
livello di sostenibilità dichiarati. Quali sono gli strumenti oggi disponibili? Per le
infrastrutture esiste il protocollo americano Envision, liberamente utilizzabile e
scaricabile dal sito di Isi (Institute for Sustainable Infrastructure). Negli Usa circa 900 progetti hanno utilizzato Envision, 45 sono in corso di certificazione e 9
hanno ottenuto il riconoscimento. È stato sviluppato dall’Università di Harvard,
utilizzando l’esperienza di altri protocolli internazionali quali Leed, ed è ben fat-
to. Al di là di tutti gli aspetti di sostenibilità riguardanti l’ambiente, il protocollo
pone un forte accento sull’interazione con gli stakeholder: una buona condivisione del progetto con le comunità locali e con tutti i soggetti sui quali l’opera va
ad impattare è un elemento chiave per la sua buona riuscita. Il livello di rating
ottenuto in fase di certificazione classifica il grado di sostenibilità del progetto.
Per quanto riguarda gli edifici nuovi sono disponibili protocolli di sostenibilità
quali Leed o Itaca. Anch’essi prevedono una certificazione di terza parte indipendente che garantisce che il livello raggiunto in termini di sostenibilità sia
effettivo e che l’edificio abbia il livello di prestazione dichiarato.
Soggetti qualificati e interventi garantiti
Un discorso un po’ diverso va fatto per il recupero e il miglioramento degli edifici
esistenti. Il cosiddetto revamping può davvero essere considerato il “giacimento
nascosto” del nostro paese, ai fini di alimentare la ripresa e l’occupazione in
edilizia. Qualche numero ci dà conto delle dimensioni del fenomeno e anche
dell’impatto benefico che ne potrebbe derivare per l’ambiente.
In Italia esistono circa 13,5 milioni di edifici, dei quali circa 12,1 milioni sono destinati al residenziale privato. Il 76 per cento degli edifici privati ha più di 40
anni, mentre il 49 per cento degli edifici pubblici ha più di 70 anni. Si stima che
tra il 35 e il 50 per cento di questi immobili abbia bisogno di interventi di riqualificazione. Per i consumi energetici negli edifici residenziali si spendono oltre 45
miliardi di euro l’anno, 1,3 miliardi per le scuole e circa 664 milioni per gli edifici direzionali pubblici. Il riscaldamento nelle abitazioni incide per circa il 30 per
cento sulle emissioni di gas serra e per il 40 per cento sui consumi energetici. Se
consideriamo poi lo stato del patrimonio edilizio italiano è facile comprendere
i margini potenziali di risparmio e di riduzione degli impatti ambientali: a Milano ad esempio solo lo 0,6 per cento delle abitazioni è in classe A/A+, il 52 per
cento è in classe G, la più bassa, e il 18 per cento in classe F. Senza considerare
poi che negli interventi di recupero andrebbero anche considerati gli aspetti di
sicurezza sismica e di comfort interno. Ma come avere garanzia che l’intervento
di riqualificazione raggiunga realmente le prestazioni richieste, soprattutto se
poi sono associati benefici economici o fiscali? A nostro avviso è necessario che
si affaccino sul mercato soggetti qualificati in grado di proporre un processo di
esecuzione e una filiera controllati e garantiti. In grado cioè di effettuare una
diagnosi iniziale dell’edificio, di elaborare un progetto che deve essere validato
da un organismo di terza parte indipendente, di eseguire l’intervento con il controllo tecnico di un organismo di ispezione. Tutto questo per arrivare, al termine,
alla certificazione delle prestazioni dell’intervento di riqualificazione. La verifica
di un organismo di certificazione accreditato valorizza e garantisce l’intervento.
Gli organismi di certificazione e ispezione possono essere davvero soggetti al
servizio sia degli operatori economici sia della pubblica amministrazione, ovvero
al servizio del sistema Paese.
13
Intervista
A cura di
ALFREDO MARTINI
Rigenerare vuol dire creare migliori
condizioni economiche e sociali
Questo afferma l’Unione europea, ma, secondo Francesco KARRER, in Italia
passano per interventi di rigenerazione operazioni esclusivamente immobiliari. E manca la capacità pubblica di orientare le scelte.
Per un giornalista incontrare Francesco Karrer e ragionare con lui di trasformazione urbana vuol dire essere disposto a lasciarsi sorprendere, a giocare
con il paradosso di una realtà che è un continuo fronte di guerra. Perché il
pensiero di Karrer, le sue valutazioni e le sue analisi sono il frutto virtuoso di
studio, di grande attenzione all’evoluzione della letteratura così come della
normativa, cui si accompagna una partecipazione diretta alla gestione della
cosa pubblica. Il risultato è una grande concretezza e una lucida lettura dello
stato attuale del dibattito sulla rigenerazione urbana.
FRANCESCO
KARRER
Architetto e
ordinario di Urbanistica presso l’Università Sapienza
di Roma, è stato
presidente del
Consiglio superiore
dei lavori pubblici
e commissario
dell’Autorità portuale di Napoli.
14
Si ha proprio la sensazione che Francesco Karrer sia la persona giusta per
fare un po’ di chiarezza e mettere a fuoco la questione.
Se si vuole realmente ragionare in modo sincero e costruttivo sulla rigenerazione urbana si deve innanzitutto essere d’accordo su che cosa intendiamo.
Il concetto di rigenerazione così come lo definisce e gli dà valore l’Unione europea è strettamente connesso ai concetti di sviluppo economico e sociale.
Rigenerare un territorio significa quindi intervenire e trasformare per creare
nuova economia e migliorare le condizioni sociali. Un concetto chiaro che ben
poco ha a che vedere con quello che sentiamo oggi da parte di amministratori
locali, i quali parlando di rigenerazione urbana descrivono interventi puntuali
di riqualificazione di edifici e nel migliore dei casi di un complesso edilizio.
L’ultimo esempio riguarda il recupero delle Torri Telecom dell’Eur a Roma.
L’equivoco è alla base del fallimento della rigenerazione urbana in Italia a differenza che in altri paesi: da noi è vista come una trasformazione sostanzialmente immobiliare, invece che un processo di rinascita economica e sociale.
Questo da sempre o vi sono stati tentativi di orientare i processi di riqualificazione verso i giusti obiettivi?
Se guardiamo alla legislazione nazionale e cerchiamo di capire cosa si dovrebbe
fare, allora la strada giusta è quella di una logica complessiva, dove al centro della
rigenerazione non vi sono norme urbanistiche, bensì di sviluppo economico. La
legge Bersani del primo governo Prodi, che incentivava la nascita e la crescita di
attività economiche nelle periferie urbane, era una legge funzionale alla rigene-
razione. Un tentativo abortito quasi sul nascere, in quanto è rimasta in vigore
poco più di un anno. Ho fatto questo esempio per arrivare a dire che la soluzione va trovata nell’integrazione tra una serie di provvedimenti che insieme creano le condizioni per avviare processi virtuosi e dove la dimensione economica
deve essere il perno intorno a cui realizzare la trasformazione. Sempre facendo
riferimento a un quadro normativo nazionale, se le leggi di incentivazione fiscale, il Piano casa e le leggi Bersani fossero state concepite e finalizzate con
consapevolezza e giusta volontà politica rispetto alla rigenerazione - e quindi
considerate come un insieme di norme - avrebbero creato le condizioni per processi possibili di rigenerazione. E qui torniamo all’errore concettuale che sta
alla base del problema: la separazione tra dimensione immobiliare e trasformazione economico-sociale che ha condizionato anche l’applicazione dei programmi europei come Urban 1 e Urban 2, dove a differenza di quanto avvenuto
ad esempio in Inghilterra i progetti hanno avuto una dimensione e caratteristiche meramente immobiliari e non finalizzate a obiettivi di rinascita economica.
E l’equivoco continua a dominare il dibattito e le scelte della politica.
È qui quindi che va individuato il peccato originale alla base del fallimento
o per lo meno della marginalità di operazione di reale rigenerazione nel
nostro paese?
A mio parere sì. Poi vi è l’altra questione che riguarda la gestione del quadro
legislativo sul piano delle politiche territoriali. Anche se si fosse proceduto
correttamente nella produzione normativa sarebbe stato essenziale definire gli ambiti territoriali urbani e periurbani sui quali gli enti locali debbono
procedere alle scelte specifiche utilizzando gli strumenti urbanistici. E qui si
entra nell’altro grande buco nero italiano, quello della mancanza di capacità
di svolgere quel ruolo guida e da protagonista che il pubblico deve esercitare
perché si concretizzino processi di riqualificazione rigeneranti. È qui che appare più evidente la differenza tra l’Italia e gli altri paesi europei, tra le città
italiane e le città tedesche, scandinave o inglesi. Differenze in termini di fattibilità, di dimensione, di tempi e di costi. E soprattutto in termini di qualità
delle trasformazioni. Prendiamo ad esempio la Francia, dove l’Agenzia fondiaria urbana ha svolto un ruolo decisivo e dove la governance pubblica presta
la massima attenzione alle condizioni di contesto dell’investimento ed esercita un ruolo decisivo di indirizzo e di controllo attraverso decisioni concrete.
Passando dalla rigenerazione alla riqualificazione, una dimensione possibile della trasformazione urbana è rappresentata da interventi di sostituzione edilizia. È allo stato attuale delle cose una potenzialità reale?
Ovvero, quando e dove vi sono le condizioni per una concreta attuazione?
La potenzialità teorica c’è. Vi sono però alcune criticità. La prima è intrinseca alla
struttura della proprietà immobiliare italiana, caratterizzata dall’elevata fram15
Intervista
mentazione. Il che significa che gli ambiti reali di intervento, come dimostrano le
esperienze di successo, si restringono a casi dove si riscontra una monoproprietà
dell’edificio. In alternativa ci vuole una grande volontà e decisione del pubblico
nell’attivare azioni di gestione del processo finalizzato a trovare soluzioni tecnico–economiche di fattibilità. Il che significa una disponibilità di aree pubbliche
a ridosso dell’edificio da sostituire. Vi sono poi condizioni di contesto senza le
quali viene meno la convenienza dell’investimento e quindi dell’operazione. La
prima è che è essenziale una rendita alta che garantisca il ritorno economico,
condizione collega strettamente all’altra, relativa alla solvibilità del mercato.
Così, se andiamo a vedere dove la sostituzione si è attivata, ha riguardato sempre quartieri residenziali in aree di pregio immobiliare. Tutta un’altra storia è
promuovere e rendere conveniente la sostituzione nelle periferie. Dove la differenza la può fare una trasformazione in grado di creare una nuova economia.
Riqualificazione o rigenerazione. Senza dubbio è qui che vanno individuate le maggiore opportunità per il sistema imprenditoriale delle costruzioni
anche in una logica di crescita. Possiamo provare a sintetizzare le principali azioni da compiere?
Possiamo individuare alcune fasi. La prima attiene all’individuazione dell’area urbana o della zona dove promuovere la rigenerazione, mettendo bene a
fuoco gli aspetti connessi alla qualità del costruito ma anche alla qualità urbana, quindi al contesto spaziale circostante, all’insieme dei complessi edilizi e
all’integrazione funzionale tra residenziale, non residenziale e infrastrutture.
La seconda fase riguarda la pianificazione, un’attività da sempre carente nel
nostro paese. La terza fase riguarda il momento in cui passare dalla pianificazione all’attuazione, che deve coincidere con la verifica dell’esistenza di
una domanda solvibile. In questa sequenza la capacità di utilizzare il fattore
infrastrutturale come strumento per aumentare il valore e alzare la soglia di
convenienza riveste un’importanza strategica. C’è poi una questione di fondo,
che bisogna avere sempre presente, che attiene alla fattibilità concreta di interventi complessi come quelli di rigenerazione e riguarda le condizioni economiche generali che incidono sulle risorse disponibili per investimenti da parte
di chi governa. Gli strumenti base sono sostanzialmente due, l’imposizione
fiscale e le tariffe. E sono alla base di una valutazione economica da parte
pubblica, cui si collega la creazione di plusvalore. Oggi in Italia la tassazione è
al massimo, così come un aumento delle tariffe appare difficile vista la qualità
dei servizi offerti. Senza contare la loro impopolarità. Eppure in prospettiva
anche noi dovremo confrontarci con i modelli anglosassoni di una monetizzazione dell’utilizzo di certi spazi urbani. Tutto ciò ci porta alla conclusione che
scelte e processi di rigenerazione debbono essere concepiti e valutati secondo
logiche ben più ampie della semplice dimensione immobiliare, come avviene
sostanzialmente ed esclusivamente invece in Italia.
16
Andiamo a vivere tutti in città
L’urbanizzazione globale sta cambiando tutti gli equilibri: con quali
problemi e quali opportunità per le metropoli del pianeta, che tendono a
contare più degli stati di appartenenza?
Scenari
A cura di
VIRGILIO CHELLI
Come sono nate le città? La teoria più accreditata è che sia stata la conseguenza del passaggio dal nomadismo di raccoglitori e cacciatori alla stabilizzazione degli agricoltori. Nel neolitico l’introduzione dell’agricoltura
obbliga alla stanzialità e a un certo punto il surplus di produzione che non
viene consumato è sufficiente a mantenere anche chi non lavora nei campi:
i cittadini. Che non dovendo zappare la terra per mangiare possono dedicarsi ad altre attività: produzione di utensili, commercio, politica, anche nella
sua versione armata, la guerra. La città cresce e diventa la testa pensante
e governante del suo territorio, che diventa (saltiamo qualche passaggio)
uno Stato. Lo Stato è un’organizzazione politica che esercita l’autorità su
un territorio, punteggiato di città. Il rapporto tra Stato e città è complicato,
fatto di equilibri complessi. Il territorio di cui è fatto lo Stato produce la
materia prima dell’economia, la città la trasforma in ricchezza e reddito.
Senza città lo Stato è solo un territorio. Se se ne dimentica e pretende di
spremere troppa ricchezza dalla città questa può anche ribellarsi. È un po’
la storia della rivoluzione francese, che non è stata fatta dai contadini ma
dai cittadini. Ma può succedere anche che la città pretenda di essere sfamata dal territorio senza dare niente in cambio. E questa è la storia della
rivoluzione russa.
Tra movimenti di poveri e di capitali
Passiamo a oggi. La bilancia tra territorio e città del mondo si sta muovendo, e anche rapidamente. Forze potenti sono in azione. La più forte si
chiama urbanizzazione. In occidente è già stata sperimentata nei due secoli
di rivoluzione industriale. Ora sta succedendo su scala molto più grande e a
una velocità molto più elevata nel resto del mondo, a Est e a Sud. Cosa vuol
dire? Ad esempio che se oggi il 95 per cento delle 500 società più grandi del
mondo, da Airbus a Ibm, Nestlé, Shell, Coca-Cola Company, hanno la loro
testa pensante nei paesi sviluppati, tra una decina d’anni saranno le città
cinesi e dei paesi emergenti a ospitare almeno la metà, secondo i calcoli di
McKinsey, delle aziende globali che fatturano più di un miliardo di dollari.
Le stesse stime dicono che al 2025 circa la metà del reddito mondiale sarà
17
Scenari
prodotto in 440 città dei paesi emergenti, la gran parte delle quali, il 95 per
cento, piccole o medie, molti farebbero fatica a trovare su una carta geografica.
Urbanizzazione vuol dire gente che si muove, dalle aree rurali a quelle urbane. In alcune parti del mondo sono centinaia di milioni. Vengono in mente le
grandi aree metropolitane dei paesi emergenti di Asia, Sudamerica e Africa:
Shanghai, Delhi, Nairobi, Il Cairo, Caracas e Mexico City. Ma una parte sempre più consistente punta anche alle grandi città di Europa e Nord America: Londra, Parigi, Francoforte, Dallas, Houston, Los Angeles. Le 440 città
emergenti di cui parla McKinsey sono destinate a importare soprattutto capitali e tecnologie, attratti da condizioni favorevoli alla crescita. Le grandi
metropoli del mondo sono destinate a importare soprattutto poveri, che da
tutto il mondo lasciano la campagna in cerca di reddito e protezione economica e sociale. E se possono, provano ad arrivare a Parigi o Roma piuttosto
che a Nairobi o Caracas. I cinesi che lasciano a centinaia di milioni le campagne si spostano a Guangzhou, Shanghai e Shenzhen, ma molti riescono
ad arrivare a Milano e nelle altre chinatown di Europa e America. L’ondata
di migranti che ha investito l’Europa negli ultimi tempi è la punta di un iceberg, l’accelerazione causata dalle crisi in Medio Oriente e Nord Africa di un
fenomeno secolare. Un fenomeno legato al megatrend dell’urbanizzazione
e destinato a durare, a prescindere dalla risoluzione o meno di quelle crisi.
Nelle ultime tre decadi la popolazione urbana mondiale è cresciuta al ritmo di 65 milioni di persone l’anno. Ora sta accelerando. Dalle megalopoli di
Asia, Africa e America Latina la pressione si sta spostando sulle metropoli
europee e americane, soprattutto le prime. Che continueranno a importare
poveri dal resto del mondo. Mentre le famose 440 città dei paesi emergenti
continueranno a importare investimenti, capitali e tecnologie: come Hsinchu, nel nord di Taiwan, o Santa Catarina in Brasile, o Tianjin in Cina. Nel
2010 quest’ultima produceva un reddito di 130 miliardi di dollari, lo stesso generato da Stoccolma (una delle mete preferite dei migranti). Le stime
degli esperti dicono che nel 2025 il reddito annuo di Tianjin sarà circa 625
miliardi di dollari, pari a quello di tutta la Svezia.
Intanto aumenta la competizione tra le città del pianeta. Città, non nazioni.
Spesso gli interessi non coincidono più. Prendiamo la Turchia e la sua città
più importante, Istanbul. La metropoli sul Bosforo avrebbe tutte le carte in
regola per essere una metropoli di classe globale: dinamismo industriale,
infrastrutture finanziarie moderne, tecnologia, posizionamento strategico.
Ma ha un problema che si chiama Turchia, i cui interessi e le cui ambizioni
come nazione sono divergenti. C’è un conflitto tra città e territorio, che il
megatrend dell’urbanizzazione rende sempre più acuto e che trova sempre
meno meccanismi di compensazione all’interno dello Stato. Gli interessi di
Londra sono sempre meno quelli della Gran Bretagna, lo stesso può dirsi di
Barcellona rispetto alla Spagna. Lo stesso problema si porrà, su scala globale, per le 440 città dei paesi emergenti di cui parla il rapporto McKinsey.
Quando i capitali e le tecnologie che stanno affluendo avranno innescato
e moltiplicato la crescita, e quando anche quelle cominceranno ad attrarre popolazione dai rispettivi territori di appartenenza, il fatto di trovarsi in
Brasile o in India diventerà un limite e uno svantaggio.
Urbanizzazione vuol dire che stiamo andando verso un mondo di città e non
più di nazioni. Sono in molti a pensarlo. Non tutte le città sono uguali e non
tutte possono aspirare alla posizione di città globali: leader negli scambi,
nella cultura e nell’istruzione, capaci di crescere più e soprattutto meglio
delle altre, con l’ambizione non solo di modellare l’economia globale, ma
anche le idee, la politica, e in ultima analisi il futuro. Grandi e interconnesse,
trascendono i confini e scrivono le agende internazionali, attirano attività
Le PRIME
prime 500
aziende GLOBALI
globali della
Fortune,
per PER
localizzazione
LE
500 AZIENDE
DELLAclassifica
CLASSIFICA
FORTUNE,
LOCALIZZAZIONE
477
477
476
415
Verso un mondo di città e non di nazioni
Ovviamente anche i poveri sono una risorsa, specialmente per paesi che invecchiano e hanno bisogno di manodopera. Ma il mondo com’è fatto oggi
non è attrezzato per questo. Il welfare costruito in Europa da settant’anni a
questa parte è stato pensato per gli europei, con un posto di lavoro ben pagato a vita, la pensione sicura, l’assistenza sanitaria per tutti e nuove leve
di giovani pronte a pagare tasse e contributi non appena iniziano a lavorare
per mandare avanti il sistema. Pensare che possa funzionare così con flussi
migratori di decine di milioni dal Sud del mondo non è immaginabile.
21
1980
5%
2
22
1990
5%
1
12
2000
12
5%
31
54
271
Paesi sviluppati
109
Mercati emergenti1,
esclusa Grande Cina
120
2010
2025
previsione
17%
46%
Fonte: Database McKinsey Global Institute
18
Grande Cina2
(1) Africa, Europa
orientale e Asia
centrale, America
latina, Medio Oriente, Asia meridionale
e sud-orientale
Totale mercati
emergenti
(2) Cina, Hong Kong,
Macau e Taiwan.
19
CLASSIFICA DELLE CITTÀ SEDI DI GRANDI AZIENDE
LE PRIME 500 AZIENDE GLOBALI DELLA CLASSIFICA FORTUNE, PER LOCALIZZAZIONE
Scenari
economiche, innovazione, capitali, oltre alle persone. Oggi si parla molto
dell’irruzione sulla scena politica globale di un nuovo tipo di attore, non ri477 agli stati.
477 Di solito si476pensa a organizzazioni
415
271 Paesi sviluppati
feribile
terroristiche,
come Al
Qaeda prima e l’Isis poi, o a grandi corporation che hanno un fatturato più
grande del prodotto interno di un medio paese, come Apple o Exxon. Ma c’è
1
un crescente consenso sul fatto che i veri attori e detentoriMercati
del potere
non
emergenti
,
109
esclusa
GrandeanaCina
statale siano le grandi città globali. E c’è anche chi si spinge
a cercare
logie storiche con tempi lontani, dalle città-stato dell’antica Grecia a quelle
31
Cina2globali
120 diGrande
del Rinascimento
italiano
o della
scambi
21
22
12 Lega anseatica: centri
54
1 per risolvere
12 problemi comuni a un livello superiore
capaci di2 unire le forze
1980
1990
2000
2010 sono sovrane,
2025
rispetto alle capacità di grandi nazioni. Non
previsione ma influenzano
le scelte sovrane in capo agli stati. E mandano avanti l’economia
mondiale.
Totale mercati
5%
5%
5%
17%
46%
Le prime 600 città del mondo producono il 60 per cento del
reddito lordo
emergenti
globale. E le prime venti sono casa di un terzo di tutte le grandi aziende. In
Classifica delle città sedi di grandi aziende
CLASSIFICA DELLE CITTÀ SEDI DI GRANDI AZIENDE
Numero di grandi aziende
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
Tokyo
New York
Londra
Osaka
Parigi
Pechino
Mosca
Seul
Reno Ruhr
Chicago
Hong Kong
Taipei
Los Angeles
Zurigo
Sydney
Stoccolma
Houston
Nagoya
Amsterdam
Singapore
Ricavi totali, in miliardi di dollari
613
5,231
217
193
174
168
116
115
114
107
105
96
90
1,964
1,924
1,028
2,785
2,503
709
1,150
1,220
695
468
472
82
79
75
422
770
466
74
74
70
67
64
360
661
481
1,516
343
Città di mercati emergenti
Fonte: Database McKinsey Global Institute
20
Le migrazioni dei mega ricchi e dei talenti
Tra le grandi città globali quelle occidentali, europee e americane, ma soprattutto le prime, hanno un altro primato. Non attirano solo i poveri del
mondo, le masse che si spostano dalle aree rurali del pianeta alle città. Attirano anche quello 0,1 per cento della popolazione mondiale che si trova
all’estremo opposto per ricchezza e capacità di mobilità. Non solo i mega
ricchi, ma anche i talenti in tutti i campi, dall’arte alla tecnologia. Gente che
per talento o disponibilità economica può scegliere dove vivere. E che quando si sposta attrae capitali e investimenti. L’altra faccia dei migranti. Qualche settimana fa si è tenuto a Chicago il Forum delle Global Cities. Da cui è
emerso che sono proprio le città occidentali la destinazione più ambita della
nuova élite globale. Anche se solo il 10 per cento della popolazione mondiale
vive in Europa e Stati Uniti, in testa a tutte le classifiche ci sono sempre
New York, Londra e Parigi, ma anche Berlino o Austin, Texas. La qualità
della vita che possono offrire non ha pari nel resto del mondo. In Cina e altri
paesi emergenti l’urbanizzazione ha cancellato il passato, a Dubai e Abu
Dhabi il passato semplicemente non c’è. Gran parte dell’eredità culturale,
architettonica e artistica dell’umanità precedente il ventesimo secolo è custodita in poche dozzine di città occidentali. Che hanno anche il vantaggio
di essere state costruite prima dell’era dell’automobile e possono essere
facilmente convertite, soprattutto in Europa, in spazi urbani godibili a piedi,
in bicicletta o con i soli trasporti pubblici. Posti ideali dove vivere e soprattutto dove far crescere e educare i propri figli, se ce lo si può permettere.
Un quadro estremamente contraddittorio. Al centro ci sono le città, soprattutto quelle più grandi, protagoniste nel bene e nel male del nuovo ordine
che l’urbanizzazione sta disegnando insieme ad altri megatrend. Città aggredite dai flussi migratori dei poveri del mondo ma anche in cima alla lista
dei desideri delle élite economiche e culturali del pianeta. Città i cui interessi sempre più spesso non coincidono con quelli degli stati di cui fanno parte.
Questo è il contesto con cui le città d’Italia devono confrontarsi per trovare
il loro posto tra le città del mondo e ridefinire il loro rapporto con i territori e
con lo stato. Con quali idee? Quali progetti? Quali risorse? Quali vocazioni?
E quali alleanze? Il dibattito è aperto.
21
I NUMERI CHIAVE DI NORTHERN POWERHOUSE
Popolazione sul totale Regno Unito (%)
testa alla lista c’è Tokyo, seguita da New York, Londra e Parigi. Ora hanno il
problema dell’urbanizzazione e delle migrazioni, che riguarda le città prima
che gli stati. E forse le città sono più attrezzate per risolverlo. Lo fanno già
in campo energetico. Il C40 raggruppa le prime 75 città globali per fronteggiare il cambiamento climatico e le emissioni di gas serra. Lo fanno già in
parte in politica estera. Shanghai ha il suo ufficio degli Esteri e São Paulo
intrattiene rapporti diplomatici diretti con dozzine di stati anche se nessuna delle due è una capitale.
16,7
Scenari
A cura di
Giovanni
Pietrangeli
GIANNI SILVESTRINI
Dal 2014 presiede
il Green Building
Council Italia e il
Coordinamento
Free (associazione
che coordina
25 associazioni
che si occupano
a vario titolo di
fonti rinnovabili e
di efficienza energetica). Dal 2003 è
direttore scientifico del Kyoto Club e
ha fondato Exalto,
società impegnata
nella transizione
energetica.
22
Innovare e riorganizzare,
per trasformare le città
Gianni SILVESTRINI, presidente di Gbc Italia, ci conduce a scoprire un
futuro sostenibile per i nostri ambienti urbani, guidato dalle nuove tecnologie in edilizia e dalla rivoluzione digitale.
Nel suo volume 2°C (due gradi), uscito nel 2015 per Edizioni Ambiente, Gianni Silvestrini, presidente di Green Building Council Italia (Gbc Italia) e direttore scientifico dell’associazione Kyoto club, definisce l’edilizia “la prossima rivoluzione” e mette l’accento sugli elementi progettuali innovativi
che potrebbero diventare veri e propri driver per la ripresa del settore e un
rilevante passo avanti per contrastare il cambiamento climatico. La rigenerazione su ampia scala delle città, intesa come ristrutturazione tecnologica
delle costruzioni e riqualificazione del tessuto urbano, può dunque essere
il passaggio epocale per riorganizzare sia il nostro modo di vivere e abitare,
sia quello di produrre. Un processo che, se adeguatamente guidato secondo
un’intelligente strategia di lungo periodo, rimetterebbe in discussione, positivamente, le basi stesse della società, in un momento di trasformazioni
decisive determinate dalla crisi economica, ormai quasi decennale, e da numerosi altri fattori sociali, demografici, politici, ecologici.
Abbiamo intervistato Silvestrini, riflettendo insieme a lui su quanto si sta
facendo, e soprattutto quanto ancora va fatto, perché gli interventi di rigenerazione agiscano da leva per la transizione verso nuovi modelli di economia urbana che mettano al centro l’innovazione, la sostenibilità e la qualità
di vita. Silvestrini, nel capitolo del suo libro dedicato all’edilizia, sottolinea
l’influenza che le nuove tecnologie avrebbero sull’intera filiera delle costruzioni. In molti casi, come per l’utilizzo delle stampanti 3D per realizzare abitazioni, siamo poco oltre il grado sperimentale. Eppure sappiamo anche che
per passare dal prototipo a un’economia di scala potrebbero bastare pochi
anni, con un impatto inedito su organizzazione del lavoro, volumi e tempi
di realizzazione. Basti pensare alla domotica e alle applicazioni IoT (Internet
of Things, internet delle cose, intese come oggetti).
In che maniera le nuove modalità di costruzione inciderebbero sugli interventi nel tessuto urbano italiano?
Prima di tutto voglio specificare che l’attenzione nel libro viene posta proprio sull’edilizia esistente, più che sul nuovo costruito. Considerando la
quota di edifici realizzata tra il dopoguerra e la fine degli anni 70, ci trovia-
mo oggi di fronte all’opportunità di abbinare i necessari interventi di ristrutturazione con quelli di una riqualificazione energetica spinta, in grado di
ridurre i consumi del 60-80 per cento. Il raggiungimento di questi risultati
verrà facilitato dall’impiego di nuovi materiali - come isolanti particolari,
finestre in grado di generare elettricità, sostanze a cambiamento di fase
– ma anche di nuove modalità costruttive. In particolare l’industrializzazione della riqualificazione, già sperimentata con successo in Olanda, può
garantire una drastica riduzione dei tempi e dei costi. Ma questo implica
una ridiscussione del ruolo dell’edilizia, che dovrà rapidamente procedere
ad aggregazioni e riqualificarsi se vorrà uscire dalla crisi che ormai dura da
otto anni. Gli edifici energivori si trasformeranno in strutture in buona parte
autosufficienti, in alcuni casi generatori netti di energia. La rivoluzione digitale non solo faciliterà le riqualificazioni, con l’industrializzazione che si sta
già sperimentando con successo e, in futuro, con forme di robotizzazione
e stampa 3D. Gli edifici saranno sempre più “connessi” sia per ottimizzare
i consumi interni che per dialogare con la rete elettrica (con i programmi
Demand-Response per gestire la domanda elettrica a fronte di un’offerta
sempre più dominata da fonti rinnovabili intermittenti), con veicoli elettrici che diventeranno anche elementi di un sofisticato sistema distribuito
di accumulo.
Queste trasformazioni potranno rappresentare una straordinaria occasione di riqualificazione di interi quartieri e incideranno sullo sviluppo di nuove forme di mobilità urbana. Certo, per avviarle servono enormi risorse economiche. Ma proprio la riduzione dei consumi energetici consentirà, grazie
ad un utilizzo intelligente di fondi di rotazione, di pagare larga parte degli
interventi. Sul fronte della mobilità l’espansione di servizi di car sharing e
bike sharing consentirà di ridurre anche le spese per i trasporti, riducendo
la quota di auto di proprietà. Sul medio periodo la mobilità elettrica conquisterà spazi importanti, mentre sul lungo periodo saranno i veicoli senza
guidatore a fornire i servizi di mobilità, facendo calare sia il numero di auto
in circolazione che la necessità di parcheggi.
Quali sono secondo lei le ragioni che ci dovrebbero spingere verso una
riqualificazione dell’ambiente urbano?
Nelle nostre città ci sono molte aree degradate e zone industriali abbandonate che meritano uno sforzo particolare di rigenerazione. Naturalmente occorre una visione in grado di valorizzare un certo territorio, vanno
identificati gli attori della trasformazione ed è auspicabile che questa avvenga secondo precisi criteri sociali e ambientali. Il Green Building Council
Italia con il protocollo Gbc Quartieri si muove in questa direzione, promuovendo un approccio integrato alla qualità della vita, alla salute pubblica e
al rispetto per l’ambiente; il protocollo è un utile strumento per valutare
23
Scenari
e certificare le prestazioni di sostenibilità ambientale del territorio, delle
infrastrutture, delle dotazioni e degli edifici.
Per rigenerare le nostre città in chiave sostenibile, è sufficiente mettere
mano al patrimonio edilizio o è necessaria una radicale riorganizzazione
dei servizi urbani? In che direzione bisognerebbe operare?
Nel programmare il futuro occorrerà cogliere tutte le opportunità che sono
e verranno sempre più offerte dalla rivoluzione digitale. Si trasformerà il
patrimonio edilizio, si innoverà la mobilità, ma anche il lavoro potrà trovare
strade originali con il radicamento di forme sempre più estese di Fab Lab:
laboratori destinati a divenire nuclei di aggregazione, formazione e lavoro
dei nuovi “artigiani digitali” grazie alla disponibilità di tecnologie come la
stampa 3D e alla condivisione di software e di conoscenze. E la spinta dell’economia circolare favorirà la nascita di altre realtà produttive, come centri di
quartiere per aggiustare e rigenerare elettrodomestici, prodotti informatici,
mobili.
Nel 2015 Gianni
Silvestrini ha
pubblicato per
Edizioni Ambiente il
libro 2°C (due gradi).
Innovazioni radicali
Nel suo volume cita Barcellona come modello di città a basso impatto. Secondo lei in Italia esistono buone pratiche che richiamano la capitale catalana?
Quali sono e perché andrebbero diffuse anche negli altri centri urbani?
Sono molte le realtà italiane che hanno ottenuto risultati interessanti. Pensiamo al successo del car sharing a Milano con i suoi 250mila iscritti: questa
nuova forma di trasporto, in combinazione con il pagamento dell’accesso al
centro, ha consentito di migliorare la mobilità riducendo il numero di auto.
Con risultati tangibili: nel 2014 sono sparite dalla circolazione ben 15mila
auto e nel triennio 2011-2014 il numero di auto immatricolate è calato del 5
per cento. Restando sul fronte della mobilità, vanno segnalate le esperienze di Pedibus, un servizio offerto dai comuni dove un adulto passa in vari
“punti di raccolta” e porta a scuola a piedi i bimbi. E, sulla base di esperienze olandesi, si sperimenta anche il più divertente Ciclobus.
per vincere la sfida
del clima e trasformare l’economia.
24
Sostenibilità ambientale e sostenibilità sociale sono due aspetti che devono andare di pari passo nei piani di rigenerazione, per evitare che si creino
tessuti urbani molto efficienti, ma che riproducono dinamiche di esclusione. È uno scenario realizzabile?
La sostenibilità sociale si ottiene dalla convergenza di politiche attive delle
istituzioni e dalla partecipazione degli abitanti. In questo senso, per rimanere nell’ambito delle opportunità offerte dalle tecnologie digitali, è possibile pensare a un modello di raccolta delle esigenze e delle proposte, a una
interazione con i decisori molto più efficace che in passato. Naturalmente
non si tratta di un processo automatico, ma di spazi che vanno conquistati
dal basso e che vanno proposti da parte di istituzioni sensibili.
Dal Pon Città metropolitane risorse
per lo sviluppo urbano
Scenari
Il Programma operativo nazionale Città metropolitane 2014-2020 ha
una dotazione finanziaria di circa 893 milioni di euro per azioni relative
all’Agenda digitale, alla sostenibilità urbana, all’inclusione e all’innovazione sociale.
A cura di
Paolo Cesare
Il Pon Metro rappresenta per l’Italia la prima esperienza di programma nazionale dedicato a rafforzare le priorità dell’Agenda urbana nazionale (1).
In Italia il “fenomeno metropolitano” è presente sia a nord che a sud
del paese, in un territorio marcatamente policentrico che vede in alcuni
grandi comuni i suoi centri nevralgici. Rispetto a questa architettura territoriale è di grande rilevanza il processo di ridisegno istituzionale che si
sta compiendo a livello nazionale in seguito all’approvazione della legge 56/2014 Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle
unioni e fusioni di comuni, che prevede la creazione di città metropolitane e rilancia la dimensione metropolitana come scala per la pianificazione e la gestione di servizi cruciali per lo sviluppo e la coesione territoriale. Le dieci città metropolitane individuate con legge nazionale sono
Torino, Genova, Milano, Bologna, Venezia Firenze, Roma, Bari, Napoli e
Reggio Calabria. A queste si aggiungono le quattro città metropolitane
individuate dalle Regioni a statuto speciale: Cagliari, Catania, Messina e
Palermo. Un percorso di riforma che al momento identifica come confini
territoriali quelli delle corrispondenti province e che troverà pieno compimento nel corso del ciclo di programmazione 2014-2020 attraverso la
riorganizzazione delle competenze istituzionali e dell’apparato amministrativo.
Traendo spunto da questo processo di lungo periodo, l’Accordo di Partenariato identifica uno specifico Programma operativo nazionale, appunto il Pon Metro, dedicato allo sviluppo urbano. L’area territoriale di
riferimento è la Città metropolitana per quanto riguarda le azioni immateriali legate all’Agenda digitale e le azioni di inclusione sociale del
Fondo sociale europeo (Fse), mentre gli altri interventi sono concentrati
nel territorio del comune capoluogo. La responsabilità del Programma
è affidata all’Agenzia della coesione territoriale, che svolgerà i ruoli di
Autorità di gestione e di Autorità di certificazione, mentre le 14 Autorità
urbane (individuate nel sindaci dei comuni capoluogo) assumeranno la
figura di Organismi Intermedi con funzioni delegate.
(1) I Regolamenti
dalla Commissione
europea per la
politica di coesione
2014-2020 invitano
ciascun paese
membro a creare una
“Agenda urbana”
che permetta alle
amministrazioni
cittadine di essere
coinvolte nell’elaborazione delle
strategie di sviluppo.
Il nuovo regolamento del Fesr prevede,
di conseguenza,
che almeno il 5 per
cento delle risorse
assegnate a livello
nazionale sia destinato ad azioni integrate per lo sviluppo
urbano sostenibile
delegate alle città.
L’Agenda urbana
nazionale deve promuovere lo sviluppo
delle reti tra città
e lo scambio delle
migliori pratiche.
25
Scenari
La strategia e le dotazioni finanziarie
Per rispondere alle sfide connesse alle dinamiche di sviluppo in atto nelle 14
città metropolitane e alle sollecitazioni verso l’innovazione delle politiche di
sviluppo derivanti dagli obiettivi di Europa 2020, l’Accordo di Partenariato
ha identificato per l’Agenda urbana nazionale una serie di obiettivi e strumenti che mirano a costruire una politica urbana nazionale in grado di condizionare positivamente l’azione di soggetti posti a vari livelli nella gerarchia
istituzionale. All’interno di questa strategia un ruolo di rilievo è svolto dal
Pon Metro, il quale si prefigge di incidere rapidamente su alcuni nodi che
ostacolano lo sviluppo nelle maggiori aree urbane del paese attraverso due
driver di sviluppo progettuale:
• l’applicazione del paradigma Smart city per il ridisegno e la modernizzazione dei servizi urbani;
• la promozione di iniziative di innovazione sociale per rafforzare i servizi
di inclusione sociale destinati ai segmenti di popolazione più fragile e
per aree e quartieri disagiati.
La dotazione finanziaria complessiva è di 893 milioni di euro, con un contributo diretto dei Fondi strutturali e d’investimento europei, interamente assegnato ad azioni integrate di sviluppo urbano sostenibile, di 588,10 milioni
di euro, di cui 445,72 dal Fesr (Fondo europeo di sviluppo regionale) e 142,37
dal Fse (Fondo sociale europeo). il Programma privilegia il più ampio deficit e fabbisogno di intervento nelle città metropolitane delle regioni meno
sviluppate, da cui consegue una significativa differenza tra la più elevata
dotazione finanziaria per ciascuna delle città nelle regioni del Mezzogiorno
rispetto alle altre.
I risultati attesi nei diversi assi di intervento
Dal Programma si attendono alcuni risultati precisi. Per quanto riguarda
l’asse relativo all’Agenda digitale obiettivo è il 70 per cento dei comuni delle
città metropolitane con servizi pienamente interattivi e un 50 per cento dei
cittadini che usano internet per relazionarsi con l’amministrazione pubblica
o con i gestori di servizi pubblici.
Per quanto riguarda la sostenibilità urbana gli obiettivi sono:
• oltre 90mila impianti di illuminazione riqualificati, con una riduzione
dell’8,8 per cento dei consumi di energia elettrica per l’illuminazione
pubblica, equivalenti a oltre 20mila tonnellate di CO2 all’anno;
• riqualificazione energetica di almeno 38mila metri quadri di superficie
di edifici pubblici, pari a circa 9 GWh/anno e 400 Teq/anno;
• aumento del 5 per cento dei passeggeri del trasporto pubblico locale
(Tpl) nelle Rms, le Regioni meno sviluppate, quelle del Mezzogiorno
(circa 320 nuovi autobus);
• incremento del 10 per cento della mobilità ciclabile nelle Rs, le Regioni
26
sviluppate, quelle del Nord e Centro, e del 5 per cento nella Rt, regione
di transizione, la Sardegna (circa 150 km di nuove piste ciclabili);
• circa 150 km di corsie protette per il Tpl (nelle Rms) e riqualificazione di
40mila metri quadri di nodi di interscambio (nelle Rs e Rt).
Venendo poi all’inclusione sociale, i risultati attesi sono:
• creazione e recupero di 2.270 alloggi per famiglie con particolari fragilità
sociali ed economiche;
• recupero di 35.600 metri quadri di immobili inutilizzati da destinare a
servizi del terzo settore;
• percorsi integrati di inserimento lavorativo, sociale, educativo, sanitario
e di accompagnamento all’abitare per 3.904 individui a basso reddito e
5.855 individui con gravi forme di disagio;
• percorsi integrati per 485 individui appartenenti alle comunità Rom,
Sinti e Camminanti;
• servizi a bassa soglia e di pronto intervento sociale per 1.811 individui
senza dimora;
• sostegno a 644 progetti attuati da soggetti attivi nel sociale o da Ong
nelle aree bersaglio.
I meccanismi di confronto e di coordinamento
La natura sperimentale del Pon Metro ha visto, fin dalla fase di impostazione del Programma, l’avvio di un innovativo percorso di “co-progettazione
strategica” e confronto tecnico tra l’Autorità di gestione (AdG) e le Autorità
urbane (AU) volto a dare sostanza al partenariato strategico e a impostare
per ogni città metropolitana, la scelta di un numero limitato e motivato di
azioni integrate. Questo percorso di confronto tecnico, avviato nel febbraio 2014, prosegue fino all’individuazione delle singole operazioni da parte
delle AU - per la prevista verifica di ammissibilità delle tipologie di spesa da
parte dell’AdG - ed è destinato a continuare nel corso dell’attuazione. La coprogettazione strategica inoltre assicura l’allineamento e l’integrazione tra
gli obiettivi generali e trasversali perseguiti su scala nazionale e le priorità
espresse dalle città.
I meccanismi di confronto istituzionale, tra cui confronti trilaterali tra AdG,
AU e regioni, sono concepiti per garantire il coordinamento tra attori responsabili a vario titolo delle diverse filiere di policy che interessano il territorio
delle 14 città metropolitane del Programma. L’Autorità di gestione del Pon
Metro ha avviato, insieme alle singole città, un confronto con le Autorità di
gestione responsabili dei Programmi operativi regionali Fesr, nell’ambito dei
quali sono previsti interventi di sviluppo urbano che ricadono sulle stesse
aree urbane. Questo confronto è fondamentale per assicurare un efficace
processo di progettazione strategica e la coerenza con la pianificazione regionale di settore e per garantire le sinergie di programmazione necessarie.
27
Scenari
Analogamente, è stato istituito un Segretariato tecnico cui partecipano i
rappresentanti delle principali amministrazioni centrali di coordinamento e
di settore, alcune delle quali titolari di programmi operativi, per definire i
rispettivi ambiti di intervento e gli obiettivi comuni e assicurare il necessario
coordinamento con le risorse ordinarie di propria competenza.
Dal punto di vista della qualità dei contenuti progettuali, l’integrazione tra
Fondi e Programmi sarà perseguita a partire dalla visione strategica unitaria
di riferimento per ciascun obiettivo tematico: la Strategia nazionale per la
crescita digitale, la Strategia nazionale per l’inclusione delle comunità Rom,
Sinti e Camminati, eccetera. Infine, il coordinamento e la complementarità
del Programma con altre filiere e strumenti di finanziamento di provenienza
comunitaria sarà garantito attraverso apposite sedi di governance da attivare a livello nazionale e previste nell’ambito dell’Accordo di Partenariato.
Gli assi strategici, le azioni e la relativa dotazione finanziaria
ASSE
DESCRIZIONE E OT
ASSE 1
Agenda digitale
metropolitana
(OT 2 - Agenda digitale)
ASSE 2
ASSE 3
ASSE 4
ASSE 5
TOTALE
28
Sostenibilità dei
servizi pubblici e della
mobilità urbana (OT
4 - Energia sostenibile
e qualità della vita)
Servizi per l’inclusione
sociale (OT 9 - Inclusione
sociale e lotta alla
povertà) Fse
Infrastrutture per
l’inclusione sociale (OT
9 - Inclusione sociale e
lotta alla povertà) Fesr
Assistenza tecnica
DOTAZIONE
€ 151.982.830
€ 318.288.000
€ 217.193.592
€ 169.751.580
€ 35.717.332
€ 892.933.334
Il rilancio parte dalle città metropolitane
Dal Libro bianco Città metropolitane, il rilancio parte da qui, nato dalla collaborazione tra Anci, The European House - Ambrosetti e Intesa Sanpaolo,
pubblichiamo un estratto, “I dieci punti più importanti del Libro bianco”.
1. Il 21° secolo è il “secolo delle città”. Nel mondo:
•
la popolazione urbana, per la prima volta nella storia, ha superato quella extraurbana con quasi 4 miliardi di persone che risiedono nelle città;
• cresce la dimensione media dei centri urbani e nel 2030 ci saranno oltre 40 megacity con oltre 10 milioni di abitanti (erano 10 nel 1990);
• le aree metropolitane accelerano le dinamiche di sviluppo: la popolazione cresce
1,5 volte rispetto al tasso medio nazionale e l’80% ha redditi medi superiori alle
rispettive nazioni di appartenenza.
Questi processi aprono grandi opportunità e, al contempo, sfide per la gestione e la
sostenibilità dei modelli di sviluppo.
2. La legge 56/2014 (“legge Delrio”) ha istituito anche in Italia le città metropolitane – Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli, Reggio
Calabria (alle quali si aggiungono Palermo, Catania, Messina e Cagliari nelle regioni
a statuto speciale) – concretizzando un percorso di cui si parlava da oltre 20 anni. Si
tratta di una rivoluzione nel sistema delle autonomie locali che attribuisce ai sistemi
territoriali modelli di governo differenziati in base alle caratteristiche insediative, sociali ed economiche e che ha istituzionalizzato nella dimensione metropolitana una
“massa critica” comparabile con quella delle omologhe realtà internazionali, con le
quali potersi confrontare alla pari.
3. Le città metropolitane sono la “spina dorsale” dell’Italia in quanto hub di risorse e
competenze e nodi dei flussi di persone, merci, capitali e idee:
• coinvolgono il 36% della popolazione, generano oltre il 40% del valore aggiunto
e il 28% delle esportazioni;
• riuniscono il 35% delle imprese e il 56% delle multinazionali insediate nel paese;
• vi hanno sede 55 atenei e circa la metà delle start-up innovative.
4. La “missione” strategica delle città metropolitane è essere un motore di sviluppo
economico-sociale per i territori e per il paese, capace di interpretare i nuovi bisogni
dell’economia e della società, governare flussi e reti e lanciare progettualità ad alto
impatto, promuovendo il posizionamento dei territori metropolitani italiani nella rete
delle città globali. A tal fine le città metropolitane devono essere uno strumento di
governo flessibile in grado di coordinarsi con i singoli comuni dell’area metropolitana,
i territori confinanti e le regioni e lo stato centrale, con robuste competenze ammini-
Documenti
A cura di
M. C. V.
“Serve un salto di
qualità che porti le
città metropolitane
ad assumere
effettivamente il
ruolo di istituzioni
cruciali per la
crescita e lo sviluppo
dell’Italia”. Pietro
Fassino, presidente
Anci, spiega così
il senso del Libro
bianco, che riporta i
risultati del progetto
Start City, “attivato
con l’obiettivo di
offrire un contributo
di natura strategica
che accompagni le
città metropolitane
nella definizione
di visione,
missioni, obiettivi
e strumenti del
proprio sviluppo”.
È possibile scaricare
integralmente i
diversi fascicoli
che compongono la
ricerca sulle Città
metropolitane da
www.anci.it.
29
Documenti
Le Città
metropolitane
istituite dalla legge
56/2014 sono
Bari, Bologna,
Cagliari, Catania,
Firenze, Genova,
Messina, Milano,
Napoli, Palermo,
Reggio Calabria,
Roma, Torino e
Venezia. Vi abitano
complessivamente
oltre 22 milioni
di persone, cioè
il 36,4 per cento
della popolazione
italiana totale,
mentre il numero di
imprese che vi sono
localizzate è il 59
per cento del totale.
30
strative e gestionali e deleghe dal livello comunale e regionale per le funzioni di programmazione e pianificazione di area vasta.
5. Le aree non-metropolitane, una realtà articolata di 6.719 comuni (l’83,5 per cento
del totale) e quasi 40 milioni di persone (il 64 per cento del totale), sono il “complemento ad 1” delle città metropolitane. L’entità e la qualità dello sviluppo del paese
non può quindi essere dissociata dalla qualità (efficienza ed efficacia) delle relazioni
tra Italia metropolitana e Italia non metropolitana. Occorre ottimizzare la collaborazione tra i “nodi” rappresentati dalle città metropolitane e la rete delle città medie e
piccole diffuse sul territorio nazionale, promuovendo modelli collaborativi, informali
o strutturati, anche a livello di pianificazione strategica e di iniziative di partenariato
su progetti o ambiti specifici di interesse comune.
6. Il pieno consolidamento delle città metropolitane in Italia passa attraverso alcune
condizioni necessarie:
• chiarezza sulle competenze e funzioni esclusive ad esse attribuite;
• forte leadership politica da esercitare alla luce della natura delle città metropolitane di enti di secondo livello;
• coordinamento dell’azione degli enti locali, superando le possibili sovrapposizioni tra i diversi livelli di governo;
• adeguamento quali-quantitativo dell’organico per presidiare le nuove funzioni
assegnate agli enti metropolitani;
• rispondenza tra funzioni assegnate e risorse disponibili.
7. Il progetto Start City ha messo a punto un modello per la strategia di sviluppo delle
città metropolitane italiane fondato su:
• Missione (“ragion d’essere” del territorio e l’organizzazione del modello di sviluppo) e Visione (rappresentazione di sintesi di ciò che un territorio intende diventare in un periodo definito);
• Obiettivi strategici, quantitativi, misurabili e coerenti con il modello di sviluppo
economico sociale cui tendere (Visione);
• Competenze distintive, cioè le specifiche abilità in attività quali industria, servizi,
educazione, ricerca, ecc., in cui il territorio eccelle;
• Fattori “acceleratori”, rappresentati dalla identità metropolitana, elementi simbolici e landmark e progetti bandiera in grado di far fare un salto allo sviluppo del
territorio e produrre benefici tangibili già nel breve periodo.
8. Gli incontri con oltre 140 stakeholder nelle varie città metropolitane hanno delineato
chiare direttrici di sviluppo accomunate da:
• innovazione dei modelli economico-produttivi, combinando ambiti avanzati
(come Ict e filiere digitali, meccatronica, aerospazio, biotecnologie e bioscienze,
filiere della green economy) e settori tradizionali (come agroalimentare, Sistema-Moda e portualità);
• promozione del turismo quale volano capace di integrarsi con le altre vocazioni
del territorio, valorizzando le specificità locali e generando nuova occupazione e
crescita economica;
•
creazione di sistemi di infrastrutturazione e di servizio di scala metropolitana per
connettere i territori e le loro funzioni, all’interno di un nuovo disegno urbano;
• gestione delle sfide legate allo sviluppo secondo i principi guida della sostenibilità, dell’integrazione e innovazione sociale e dello stimolo all’imprenditorialità
e al ri-orientamento dei modelli culturali in accordo con il contesto contemporaneo.
9. Le città metropolitane innescano un processo dinamico di evoluzione e modernizzazione del paese:
• stimolano l’innovazione istituzionale e l’efficienza degli strumenti di governance promuovendo nuove modalità di lavoro e relazione tra gli attori pubblici e i
privati;
• attivano sinergie con i territori non metropolitani con cui interagiscono attraverso le interrelazioni delle filiere di produzione e consumo;
• sono i centri di accumulazione capaci di aumentare la forza di attrazione di risorse economiche, produttive e di conoscenza con una confrontabilità “alla pari”
con i grandi sistemi urbani internazionali;
• sono gli ambiti dove sperimentare soluzioni innovative (edilizia, mobilità, energia, ecc.) per la rigenerazione urbana, la qualità dei modelli di lavoro e di vita e il
cambiamento climatico da estendere al resto del paese.
10. Il progetto Start City ha elaborato 5 proposte per favorire la crescita dell’Italia e dei
suoi territori attraverso le città metropolitane:
• Legare la strategia competitiva dell’Italia alle città metropolitane, riconoscendole come “progetti per lo sviluppo nazionale” e organizzando in coerenza le grandi
scelte e gli investimenti del paese.
• Garantire alle città metropolitane poteri e strumenti chiari sui temi di sviluppo
economico, con competenze esclusive valide secondo un principio di sussidiarietà, creando al contempo una vera “finanza metropolitana”.
• Incentivare il coordinamento tra le città metropolitane, mettendo a fattor comune le esperienze di co-sviluppo che già oggi sono in essere (patti per lo sviluppo,
tavoli inter-metropolitani, alleanze funzionali, ecc.) e supportando la realizzazione di progetti comuni ad alto impatto (infrastrutturazione, localizzazione di
cluster di eccellenza produttivi e della ricerca, ecc.).
• Progettare, anche ispirandosi e mutuando le esperienze e gli strumenti sviluppati dalle città metropolitane, gli strumenti per la valorizzazione delle aree nonmetropolitane partendo da tre ambiti chiave: governance, meccanismi di messa
a sistema di patrimoni/infrastrutture/servizi e partnership territoriali per lo sviluppo economico.
• Attivare una comunicazione istituzionale di livello nazionale sul ruolo e gli impatti concreti delle città metropolitane per cittadini e imprese e una comunicazione operativa, di responsabilità delle città metropolitane, sulle visioni di sviluppo, le progettualità e i percorsi di cambiamento attivati, aiutando a costruire
consapevolezza e consenso tra gli stakeholder.
31
Modelli
Rigenerare l’edilizia sociale del ‘900:
strategie europee a confronto
Dalle esperienze di altri paesi dell’Europa emergono indirizzi comuni,
basati sulla creazione di “effetto città” piuttosto che sulla ricostruzione.
ALESSANDRA
DE CESARIS
Insegna progettazione architettonica nella facoltà
di Architettura
Sapienza Università di Roma ed è
direttore e responsabile scientifico
d HousingLab,
centro di ricerca del
DiAP (Dipartimento di Architettura
e Progetto). Fra i
suoi principali ambiti di ricerca vi è la
rigenerazione del
patrimonio di edilizia residenziale
pubblica e il ruolo
dell’abitazione
nella trasformazione delle città
contemporanea.
32
Più di due terzi della popolazione europea vive oggi nelle aree urbane e milioni di persone vivono nei quartieri di edilizia sociale realizzati nel secolo
scorso. Si tratta di un patrimonio realizzato nella prima metà del ‘900 sul
modello della città operaia (siedlung) e in massima parte nel secondo dopoguerra, soprattutto tra gli anni ’50 e ‘70, su modello Movimento moderno.
Un patrimonio che oggi presenta criticità alla scala del quartiere, dell’edificio e dell’alloggio e che chiede di essere completato e trasformato secondo
una modalità tipica della città europea, che si è sviluppata stratificandosi e
densificandosi.
In Europa tra i primi a occuparsi della questione della riqualificazione dell’edilizia sociale è Lucien Kroll. Attraverso operazioni di démolition-remolition
(demolizione mirata che consente il rimodellamento) Kroll mette in atto una
strategia di personalizzazione dell’housing da parte degli abitanti, una forma di antropizzazione dei tristi insediamenti residenziali del dopoguerra.
Lavora in Francia, Olanda, Belgio e Germania; a Hellersdorf, quartiere di Berlino nel profondo est, propone un processo di dissoluzione/trasformazione
delle “stecche” in prefabbricato attraverso un processo aperto, adattabile
nel tempo, gestito con la partecipazione degli abitanti. Il progetto non verrà
realizzato ma contribuisce a stabilire criteri che saranno ripresi nella maggior parte delle operazioni di rigenerazione dello stock di housing sociale.
Alla scala dell’insediamento Kroll propone l’introduzione di “catalizzatori di
nuovi sviluppi” in forma di punti (servizi), linee (nuovi tracciati e percorrenze), superfici (giardini), mentre al livello dei singoli edifici contempla demolizioni parziali e addizioni - tra cui balconi, nuove tipologie sulle testate cieche
e sulle coperture – e la trasformazione degli alloggi a piano terra in uffici o
locali commerciali.
Francia: l’intervento sui grands ensembles
La Francia rappresenta probabilmente una delle esperienze più avanzate
nell’ambito della rigenerazione urbana attraverso i programmi per la riqualificazione dei cosiddetti grands ensembles. Realizzati tra il 1953 e il 1973,
sono insediamenti o pezzi di città costituiti da case in linea e a torre con
elevato numero di alloggi ed elevata standardizzazione, organizzati attorno
a servizi quali asili, scuole, negozi. In soli 20 anni è stato realizzato un totale
di circa 1,2 milioni di alloggi l’anno.
Dopo il 1973 il modello grands ensembles viene definitivamente abbandonato e immediatamente dopo vengono varati provvedimenti mirati alla riqualificazione di questo patrimonio abitativo, ultimato da soli pochi anni,
attraverso piani integrati e programmi urbani. In questo quadro di interventi
sovvenzionati dallo stato e coordinati da Anru (Agence national pour la rénovation urbaine), tra i primi a sperimentare modalità di intervento nei grands
ensembles a partire dagli inizi degli anni ‘80 sono Roland Castro e Sophie Denissof. Profondamente contrari a qualsiasi operazione di demolizione, di tabula rasa – considerata inconcepibile sia dal punto di vista urbano che umano
– l’Atelier Castro Denissof si orienta verso interventi complessi di rimodellamento e metamorfosi, sia per conferire qualità allo spazio pubblico, sia per
contrapporre alla logica industriale degli edifici una certa dose di artigianalità
in grado di favorire l’appropriazione identitaria da parte degli abitanti.
Uno dei grands
ensembles parigini,
la Résidence
Michelet, costruita
nel 1968: 1800
alloggi per 4300
abitanti.
Lungo questa linea nel 2004 il Ministère de la Culture et de la Communication commissiona a Frédéric Druot, Anne Lacaton e Jean Philippe Vassal
l’Étude alternative a la démolition des grands ensembles. I risultati mostrano una serie di interventi che vanno oltre la riqualificazione dell’alloggio e
dell’involucro edilizio attraverso l’aggiunta di nuovi corpi di fabbrica e che
cercano di ridefinire le qualità dello spazio aperto, quello Sloap (Space Left
Over After Planning, spazio avanzato dopo la pianificazione) che caratterizza in modo inequivocabile il paesaggio di molte periferie. Il tema della
rigenerazione del patrimonio edilizio esistente come alternativa alla demolizione, infine, è al centro di tutte le proposte presentate dai 10 gruppi di
progettazione invitati nel 2008 alla Consultazione internazionale Le Grand
Paris, sul futuro dell’agglomerato parigino. Una strategia che considera
gli edifici non come entità funzionalmente congelate e morfologicamente
completate, bensì malleabili, evolutivi e rigenerabili.
Germania: la riqualificazione dei “complessi socialisti”
In Germania la rigenerazione del patrimonio di edilizia pubblica ha coinvol33
Modelli
to a partire dagli anni Ottanta sia le siedlungen a bassa e media densità,
costituite da edifici a 3/4 piani ripetuti in serie attorno a orti e giardini, sia i
cosiddetti complessi di abitazione socialista -realizzati con prefabbricazione
pesante - che hanno caratterizzato i paesaggi urbani dei paesi oltre la cortina
di ferro. Fino agli anni ‘60 la dimensione degli insediamenti si aggirava tra i
3mila e i 7mila abitanti ed era stabilita in funzione di una distanza di 5-10
minuti a piedi dai servizi essenziali: fermate del trasporto pubblico, scuole
e asili. Dalla fine degli anni 60 si è assistito invece a una densificazione del
costruito con insediamenti che vanno dai 20 ai 40mila alloggi in edifici di
maggiore altezza. In pochi anni vengono realizzati milioni di metri cubi che
dopo il crollo del Muro si sono andati svuotando in quanto tra i molti effetti
dell’unificazione delle due Germanie vi è stato il decremento della popolazione nel settore orientale. Nel 2001 gli alloggi liberi erano oltre un milione
e una politica dello stato federale basata sulla demolizione ha portato ad
eliminarne un terzo.
In questi ultimi anni è in atto una politica di recupero caratterizzata da un
approccio meno radicale, basato su una serie di azioni integrate, tra cui: migliorare l’accessibilità e le connessioni del trasporto pubblico delle periferie
del profondo est; insediare funzioni altamente specializzate in grado di portare nuovi posti di lavoro; trasformare gli alloggi vuoti ai piani terreni in luoghi
di lavoro o commercio, per creare quell’effetto città oggi carente; intervenire
sull’involucro per l’adeguamento energetico; coinvolgere i residenti per una
consapevole condivisione delle scelte.
Olanda: il caso Bijlmermeer
L’Olanda è caratterizzata dalla più alta percentuale di abitazioni in affitto (80
per cento) in tutta Europa e il 35 per cento del patrimonio è rappresentato da
edilizia sociale. Fin dagli anni Ottanta lo Stato ha avviato programmi per la
sua riqualificazione e a partire dagli anni ‘90 ne ha trasferito un’ingente parte
ad associazioni senza fini di lucro, le quali hanno operato azioni di riqualificazione contraddistinte da diversi approcci in base allo stato del patrimonio edilizio: modernizzazione senza operazioni strutturali; interventi mirati a migliorare le prestazioni tecnico-impiantistiche, differenziare le tipologie abitative e
aumentare la densità edilizia; sostituzione dell’involucro e delle tramezzature
interne conservando la struttura portante; rifacimento radicale e demolizione.
Emblematico è il caso di Bijlmermeer, insediamento grande come il centro
storico di Amsterdam, realizzato sui principi del Movimento moderno tra il
1966 e il 1975: 13mila appartamenti in edifici a ballatoio alti 11 piani e disposti
all’interno di aree verdi. Dopo soli dieci anni dalla sua ultimazione un alloggio
su 4 è vuoto. Nel 1986-87 Rem Koolhas, interpellato dall’amministrazione comunale, elabora un progetto per la “Ri-urbanizzazione di Bijlmermeer” e suggerisce una serie di azioni che senza stravolgere il carattere dell’insediamento
34
puntano a introdurre quella complessità e diversificazione del tutto assente
nel progetto originario: il bombardamento tipologico, la contrazione delle aree
verdi, la differenziazione delle varie corti, la realizzazione di un asse commerciale sotto il viadotto e di parcheggi più vicini alle abitazioni.
Nel 1992 tuttavia viene deciso di demolire un quarto degli edifici e di sostituirli con case a bassa densità, alterando così completamente l’identità di
un insediamento che probabilmente avrebbe potuto essere trasformato seguendo le indicazioni di Koolhaas. Gli edifici non demoliti sono stati comunque oggetto di interessanti proposte e sperimentazioni a partire dalla fine
degli anni ‘90. Nei blocchi Hoogoord e Hofgeest, ad esempio, su progetto di
Verheijen Verkoren Knappers Architecten i depositi al piano terra sono stati
convertiti in alloggi duplex, con accesso su strada da un lato e giardino privato
su quello opposto. A seguito di questa “semi-privatizzazione” del piano terra è migliorata la sicurezza dell’immediato intorno dell’edificio e questo ha
stimolato i residenti a riappropriarsi degli spazi aperti, con un rafforzamento
delle relazioni sociali.
Verso quartieri sostenibili
A questa serie di strategie si aggiungono le indicazioni elaborate in questi
ultimi anni nell’ambito di una serie di concorsi di progettazione, a testimonianza dell’attualità delle tematiche di riqualificazione dello stock abitativo
realizzato nel Novecento.
Nordic Built challenge è un’iniziativa promossa dai ministeri del Commercio e
dell’industria di Danimarca, Svezia Norvegia, Finlandia e Islanda. Nel 2012 ha
bandito un concorso di progettazione multidisciplinare per la ristrutturazione
di cinque edifici localizzati nelle nazioni partner, con l’obiettivo di incoraggiare l’innovazione e la ristrutturazione sostenibile di alcuni fra i tipi edilizi più
comuni nella regione nordica.
In Francia nel 2010 e nel 2012 il servizio interministeriale Puca (Plan Urbanisme Construction Architecture), nell’ambito del Programme Innovation dans
l’Architecture et la Construction e del Programme de Recherche et d’Expérimentation sur l’Energie dans le Bâtiment (Prebat), ha bandito due concorsi
sulla riqualificazione sostenibile “durevole” di edifici pubblici e privati con
l’obiettivo di raccogliere proposte concrete - e adattabili ad altre situazioni
simili - che consentissero una reale rivalutazione degli edifici agendo con
soluzioni innovative sia sull’involucro esterno che all’interno.
In Italia, a Roma nel 2010 l’Ater ha bandito il Concorso internazionale Pass
(progetto per abitazioni sociali e sostenibili) per la riqualificazione del Tiburtino III, realizzato negli anni ‘80. La richiesta di realizzare nuovi alloggi negli
spazi liberi porticati e in copertura degli edifici esistenti e servizi di quartiere
nelle corti degli edifici ha sollevato numerosi temi di riflessione, ma anche
proposte più radicali non in linea con le indicazioni del bando.
35
109
21
Modelli
A cura di
GIOVANNI
PIETRANGELI
2
22
1
12
12
31
54
120
esclusa Grande Cina
Grande Cina2
2010
2025
previsione
I fattori di successo dell’esperienza
Totale mercati
5%
5%
5%
17%
46% emergenti
britannica
1980
1990
2000
Alcuni esempi
di interventi
sulleAZIENDE
città, ma non solo, che nel Regno Unito
CLASSIFICA
DELLE CITTÀ
SEDI DI GRANDI
hanno dato risultati positivi, grazie al metodo di pianificazione, agli obietNumero
di grandi
aziende
totali, incon
miliardi
di dollari
tivi strategici e alla
capacità
della
governance diRicavi
dialogare
il territorio.
1. Tokyo
613
5,231
New
York
2.
217
1,964
Quando si parla di rigenerazione urbana ci si muove su un terreno complesLondra
3. articolato.
193
1,924 abbiamo già
so,
In un precedente
numero di Civiltà di Cantiere
4. Osaka questo tema evidenziandone
174
1,028
affrontato
alcuni nodi problematici:
come riParigi
5.
168
generare parti di città tenendo conto anche delle esigenze del2,785
tessuto sociaPechinofattori possono
6. Quali
116trasformare gli investimenti per la2,503
le?
riqualificazione
Mosca
7.
115
709
di edifici e infrastrutture in motori di crescita?
8. Seul
Fare
i conti con questi 114
aspetti impone una riflessione1,150
sul destino delle citReno
Ruhr
9.
107 possono giocare nel rilancio1,220
tà europee e sul ruolo che
economico dei paesi
Chicago
10.
105
695
di cui fanno parte. Una riflessione che può trarre spunti dall’analisi di quali
Kong
11. Hong
96
468 di rigenerazione ursono
stati
i fattori di successo
o le criticità di interventi
12. Taipei
90
472
bana
in altri contesti europei.
13. Los Angeles
82
422
Zurigo
14.
79
770
Northern Powerhouse, città in rete
Sydney che può vantare
15. paese
75
466
Un
un’esperienza pluridecennale
in questo campo è
Stoccolma
16.
74
360
il Regno Unito. Dopo le importanti trasformazioni produttive
degli anni set17. Houston
74 industriali del nord hanno perso
661 il loro ruolo centrale
tanta
e ottanta, le città
18. Nagoya
70 che oggi ha il suo baricentro
481 su Londra e Birmingnell’economia
britannica,
67
Amsterdam
19.
ham. Manchester, Liverpool, Leeds hanno dovuto fare1,516
i conti con l’impo64
343
Singapore
20.
verimento della popolazione, l’abbandono di intere aree urbane legate alle
rilanciare l’economia locale facendo leva su innovazione, nuove tecnologie,
cultura. Oggi, dopo oltre un ventennio di interventi sulle singole città del
nord, la sfida è metterle in rete perché, come ha dichiarato il ministro delle
finanze inglese George Osborne nel giugno 2014, lanciando il piano Northern
Powerhouse (motore del nord), “oggi l’insieme è meno della somma delle
parti” mentre la soluzione è “un gruppo di città del nord, sufficientemente
vicine fra loro da far sì che insieme possano raccogliere qualunque sfida”.
Bisognerà tuttavia aspettare qualche anno per valutare l’efficacia del piano, che vuole costituire una conurbazione sul modello della Renania e del
Randstad olandese, puntando soprattutto sulle infrastrutture di trasporto
e sulle peculiarità delle economie cittadine interessate. Nel frattempo interessanti elementi di analisi sono contenuti in un rapporto del novembre
2014 del Royal town planning institute (Rtpi), Success and Innovation in
Planning–Creating Public Value, dove importanti casi di interventi di rigenerazione urbana già conclusi in Gran Bretagna sono esaminati secondo un
framework che ne seziona le fasi di ideazione, pianificazione e attuazione.
Gli esempi riportati sono utili perché coprono un ampio ventaglio di storie e
ragioni per le quali si è scelto di intervenire sul tessuto urbano.
Olympic Park, l’eredità dei grandi eventi
Il dopo Expo ha lasciato a Milano un’eredità complicata. Il premier Renzi,
a evento appena concluso, aveva lanciato un programma di rilancio per il
Queen Elizabeth
Park a Londra.
attività
industriali,
Città di mercati
emergentila decadenza dei centri cittadini. Dare corpo a una nuova
visione per queste città è stato l’obiettivo dichiarato di interventi mirati a
numeri chiave
II NUMERI
CHIAVE diDI Northern
NORTHERNPowerhouse
POWERHOUSE
Nota: I dati si rife-
Popolazione sul totale Regno Unito (%)
16,7
delle aree metropo-
Quota di posti di lavoro sul totale, nel 2013 (%)
16,0
litane di Liverpool,
Quota di valore aggiunto lordo sul totale, nel 2013 (%)
13,3
Manchester, Leeds,
Quota di lavori ad alta intensità di conoscenza, nel 2013 (%)
12,7
riscono alla somma
Sheffield, Hull e
del Nord Est.
Numero di università
23
Fonte: Centre for Cities, Northern Powerhouse Factsheet, giugno 2015
36
37
Modelli
sito espositivo che avrebbe avuto un effetto rigenerante per l’intera area
metropolitana lombarda. Un programma tuttavia annunciato con tempismo
discutibile, a Expo già conclusa, e apparentemente senza una vera e propria pianificazione alle spalle. Il tema dell’eredità dei grandi eventi è piuttosto controverso e l’esperienza del Parco olimpico di Londra (200 ettari) è,
in questo senso, positivamente significativa. Il rapporto dell’Rtpi illustra il
caso, da cui balza agli occhi una sostanziale differenza di approccio rispetto
a quello che ha contraddistinto l’evento milanese.
Fattori chiave per l’immediato avvio della riconversione del sito a evento
concluso, nel 2012, sono stati sia il lavoro preventivo svolto dallo special
purpose vehicle (Spv, corrisponde alla nostra Società di progetto) Olympic
Delivery Authority, che ha coordinato gli enti locali coinvolti nel progetto,
sia il fatto che l’eredità dei Giochi era già prevista in dettaglio nel progetto
di candidatura di sette anni prima, in quanto obiettivo prioritario così come
il successo delle Olimpiadi.
L’area destinata a ospitare le strutture olimpiche, inoltre, era inserita nel
piano regolatore di Londra come zona da rigenerare già da molto prima della
designazione di Londra per le Olimpiadi, quindi pienamente integrata in un
quadro strategico di sviluppo della capitale britannica.
Sulla base di questi precedenti la London Legacy Development Corporation,
soggetto giuridico nato nei mesi precedenti i Giochi proprio per “raccogliere
l’irripetibile opportunità”, ha potuto sviluppare un piano triennale (da concludere nel 2016) per realizzare un quartiere urbano residenziale e di sviluppo
commerciale attorno al Queen Elizabeth Olympic Park, primo parco pubblico
londinese realizzato da un secolo a questa parte e aperto alla città nel 2013.
Non è tutto oro quello che luccica, tuttavia. Il rapporto sottolinea anche alcuni nodi critici dell’operazione, come la perdita di infrastrutture pre-esistenti
a causa del completo sbancamento dell’area prima della riconversione, o
l’effetto gentrificazione, per cui da un punto di vista socio-economico non si
esclude che sul lungo periodo vi siano conseguenze negative.
Manchester, nuova vita per ex aree industriali
Salford Quays era il cuore della vecchia Manchester industriale. 90 ettari
di moli di attracco e depositi che dovevano sostenere le attività produttive della città. Con la diffusione del trasporto su container e lo sviluppo di
infrastrutture intermodali, il sito ha perso progressivamente di utilità fino
a essere definitivamente abbandonato all’inizio degli anni ottanta, quando l’intera area è stata acquistata dal Salford Council, un elemento che si
rivelerà determinante per il controllo dell’intervento di riqualificazione. Soltanto un decennio dopo tuttavia la municipalità ha deciso di adottare per
l’intervento di rigenerazione dell’area l’approccio che si è rivelato vincente:
puntare sull’effetto trainante di attività culturali e artistiche. Un successo
38
poi amplificato dall’importante investimento della Bbc che ha qui aperto la
sua Media City Salford, con un notevole beneficio in termini di indotto.
In precedenza invece si era immaginato un recupero focalizzato sul rapporto tra il quartiere e le vie d’acqua, attraverso una pianificazione orientata
all’edilizia residenziale, commerciale e ricreativa, nel tentativo di stimolare
interventi privati senza impegnare risorse pubbliche; piano però fallito per
la mancanza di un’identità sociale o culturale dell’area e per un suo utilizzo
limitato alle ore diurne. Il piano del 1992 invece ha messo al centro dell’intervento due elementi culturali forti - la sede per la collezione di dipinti di
Laurence S. Lowry e l’Imperial War Museum North – e l’impegno pubblico su
questi due progetti ha rappresentato un volano per gli investimenti privati
che hanno poi definitivamente rilanciato l’area. Salford Quays, secondo il
rapporto Rtpi, può quindi essere considerato un modello per la capacità di ridefinire gli obiettivi in funzione di stimoli provenienti da esigenze locali. Un
risultato ottenuto grazie a una governance definita e risoluta nell’ottenere
il sostegno del governo centrale e nel promuovere gli investimenti privati su
un progetto di lungo periodo, ma capace di rimodularsi nel tempo.
Salford Quays a
Manchester (www.
freeimages.co.uk).
Vallo di Adriano: rigenerare beni culturali
Quando parliamo di rigenerazione urbana, solitamente pensiamo alla riqualificazione di spazi all’interno di una città, del diffuso patrimonio industriale
abbandonato o di quartieri degradati dal punto di vista sociale ed edilizio.
L’esperienza britannica ci insegna invece che l’approccio metodologico ap39
Modelli
plicato per gli interventi sullo spazio urbano può essere ampliato anche a
beni culturali sul territorio. Riflettere su questa particolare sfaccettatura
della rigenerazione può essere utile nel nostro paese, ricchissimo in siti di
interesse archeologicico e storico sottovalorizzati.
al sito. Il rapporto Rtpi valorizza la continuità con i progetti già definiti, sia
sul lungo che sul breve periodo. Il piano di gestione attuale ha infatti una
prospettiva trentennale e nonostante la chiusura nel 2014 dell’Hadrian’s
Wall Trust, organizzazione creata per questo scopo, la transizione alle nuove strutture di gestione, fra cui principalmente English Heritage, non ha intaccato gli obiettivi originari.
Siti utili:
www.rtpi.org.uk
Sito del Royal Town
Planning Institute,
associazione con
23mila soci dedicata
alla pianificazione
Bristol: coinvolgere le comunità
Il Vallo di Adriano
nel nord Inghilterra.
40
Il Vallo di Adriano, struttura difensiva di epoca romana, corre per circa 120
chilometri da est a ovest nel nord dell’Inghilterra, attraversando le contee di Cumbria e Northumberland. Nel 1987 è stato dichiarato patrimonio
Unesco, una vera sfida considerando che l’estensione del sito è di quasi
1700 chilometri quadrati.
Un primo piano di gestione è arrivato solo nel 1996 e ha dovuto fronteggiare molte difficoltà per la quantità di soggetti coinvolti, sia proprietari
dei terreni, sia enti con compiti istituzionali. Difficoltà aggravate dalla
mancanza di fondi adeguati e dal fatto che, a differenza di altre aree soggette a pianificazione nel Regno Unito, qui è mancato uno special purpose
vehicle, il che ha reso più complicato intervenire su un’area che, per estensione e vincoli di conservazione, presentava numerosi problemi di competenza e gestione. Il piano è stato più volte rivisto e ha infine portato alla
costruzione di partnership forti e all’adozione di una visione condivisa,
anche con le comunità del luogo - preoccupate da possibili cambiamenti
nelle abitudini di vita - e “olistica”, che non considera il bene archeologico in
se stesso ma in tutti i suoi aspetti di relazione col territorio. Fra i risultati ottenuti, la creazione (vincendo forti opposizioni) di un sentiero e di una pista
ciclabile che affiancano il muro per tutta la sua lunghezza, l’istituzione di un
servizio bus dedicato al servizio non solo dei turisti ma anche delle famiglie
residenti senza auto e altre soluzioni per agevolare un accesso sostenibile
Nel Regno Unito l’approccio tradizionale alla pianificazione è fortemente
improntato alla gerarchizzazione, dove ogni piano cioè deve conformarsi
a quello che lo precede per gerarchia. Tuttavia nella città di Bristol, dove è
assai radicato il principio di coinvolgimento delle comunità nelle decisioni
che riguardano il territorio, questo principio è stato ribaltato adottando un
approccio bottom-up, dal basso verso l’alto. Dal 2006 nella città è stata
istituita una Neighbourhood Planning Network, una rete di 45 comitati
locali il cui scopo è coinvolgere la cittadinanza nei processi decisionali relativi alla pianificazione urbanistica. L’approccio con cui la si affronta a
Bristol è quindi fortemente improntato alla piccola scala, attento ai dettagli e in grado sia di far fronte alle esigenze della comunità, sia di allocare risorse in funzione delle capacità locali di raccogliere capitale sociale e
finanziario intorno alle proprie richieste.
La “Rete di pianificazione di quartiere” di Bristol è un progetto innovativo
in termini di partecipazione e organizzazione della comunità. La consultazione dei comitati locali passa attraverso un sistema strutturato che
garantisce tempi abbastanza sicuri per la discussione e l’articolazione dei
progetti. In questo senso, la rete Npn va ben oltre la semplice consultazione e in alcuni casi si può dire che guidi i processi di pianificazione. Dopo un
decennio di sperimentazione, il sistema Npn di Bristol sembra aver acquisito la piena fiducia dei vari stakeholder, ma, sottolinea il rapporto Rtpi,
va ancora valutato l’impatto sul lungo periodo in termini di crescita della
cultura civica delle comunità e di riproducibilità in altri contesti.
Questa breve carrellata di esempi sottolinea l’importanza di avere una
governance ben definita e strutturata per affrontare i programmi di rigenerazione urbana. Uno degli elementi di successo nei casi descritti è stata
infatti la continuità con cui sono stati perseguiti programmi a lungo termine, per quanto strutturati su un approccio flessibile, in grado di rimodularsi nella forma senza snaturare la sostanza né abbandonare gli obiettivi
primari. Elemento chiave, secondo il rapporto Rtpi, è la capacità di definire gli obiettivi e strutturare gli strumenti di intervento per raccogliere
consenso intorno ai piani, drenare risorse economiche, far impegnare tutti
gli stakeholder, cittadinanza compresa, in una strategia di lungo periodo.
urbana e territoriale,
dove è possibile
scaricare il rapporto
di cui si parla in
questo articolo.
www.queenelizabetholympicpark.co.uk
Sito dedicato
al parco Queen
Elizabeth realizzato
sull’area dell’Olympic Park a Londra.
www.bristol.gov.
uk/people-communities/neighbourhood-partnerships
La pagina web
della municipalità
di Bristol dedicata
alla Neighbourhood Planning
Network (Npn).
www.english-heritage.org.uk/visit/places/hadrians-wall/
La pagina di English
Heritage, organismo
pubblico incaricato
della gestione del
patrimonio culturale
inglese, dedicata al
Vallo di Adriano.
41
Modelli
A cura di
MARIA CRISTINA
VENANZI
Un nuovo centro urbano a Berlino
Il processo di progettazione del masterplan per il recupero di un’area abbandonata è un esempio di come amministrazione pubblica e investitori
privati possano collaborare nell’interesse anche dei cittadini.
Un’area dismessa a poca distanza dal centro città, un ente locale che realizza un grande parco pubblico per preservare la memoria del passato industriale e stimolare investimenti privati nell’area rimanente, un promotore
immobiliare dall’approccio sostenibile che accetta la sfida, raccoglie i finanziamenti, coinvolge la comunità locale nella definizione degli indirizzi progettuali e indice un concorso per il masterplan dell’intervento.
Siamo a Berlino, e l’intervento in questione si chiama “Urbane Mitte am
Gleisdreieck”, un centro urbano a Gleisdreieck. Appena un chilometro a sud
di Postdamer Platz, fino agli anni 2000 un’estesa zona triangolare di terreno di risulta separava i quartieri di Kreuzberg a est e di Schöneberg a ovest.
Conosciuto come Gleisdreieck (triangolo di binari) era formato dall’intersezione di diverse linee ferroviarie: una piattaforma di 20 ettari a 4 metri sopra
il livello della città, disseminata di fabbricati ferroviari.
Con la graduale dismissione delle infrastrutture l’intera area è stata progressivamente abbandonata fino a essere utilizzata come discarica dopo il 1945,
una terra di nessuno vicina al muro di Berlino ed è stato proprio il crollo del
muro a ridare centralità a Gleisdreieck, imponendo di trovare un utilizzo. Nel
2006 l’amministrazione cittadina decise di convertire buona parte dell’area
in una grande parco urbano che avrebbe connesso le diverse zone urbane
circostanti. Nelle intenzioni il parco avrebbe stimolato la riqualificazione privata della restante superficie con strutture e funzioni in grado di integrare
diverse generazioni e strati sociali intorno a un modello di città sostenibile e
in armonia con la natura, al tempo stesso preservando l’eredità ferroviaria.
Un quartiere sostenibile e polo di attrazione
Siti web:
www.copro-gruppe.de
www.urbane-mitte.de
www.cobe.de
www.ortner-ortner-de
42
Il parco è stato inaugurato nel maggio 2013, ha cambiato completamente
il carattere della zona e Gleisdreieck ha riacquistato visibilità, anche grazie
all’apertura nelle vicinanze del Museo tedesco della tecnologia. E, come era
nelle intenzioni della città, sono arrivati anche i soggetti privati interessati ad
intervenire sull’area adiacente al parco e alla stazione Gleisdreieck della metropolitana, ultimo ampio lotto di terreno edificabile rimasto al centro della
città senza essere ancora città. Una condizione unica e piena di potenzialità.
Il promotore immobiliare è Copro Gruppe: principale proprietario delle aree
sviluppa il progetto in collaborazione con partner e investitori privati che lo
finanziano completamente, senza intervento pubblico. Il gruppo, nato nel
1993, è socio del German Sustainable Building Council (Dgnb) e la particolare attenzione che dedica alla qualità dei progetti è confermata di Marc F.
Kimmich che lo ha fondato e lo guida: “Siamo consapevoli della responsabilità che quest’area straordinaria comporta, sia in termini di pianificazione
urbanistica, sia per il suo ruolo nella cultura e società berlinese. Con questo
progetto intendiamo creare un luogo che guarda al futuro e alzare l’asticella
della sostenibilità”.
Foto aerea con evidenziata l’area oggetto dell’intervento Copro. Il parco
pubblico inaugurato
nel 2013 è quello
a sud, parallelo ai
binari ferroviari (©
Copro e HG Esch).
In accordo con la città, il nuovo quartiere dovrà avere architetture contemporanee, ma anche un’identità specifica che rifletta il suo Dna legato al trasporto
ferroviario e alla manifattura, integrando il recupero di manufatti storici.
Sull’area interessata, di circa 43mila metri quadri, il piano prevede un massimo di 100-110mila metri quadri di superficie lorda. Circa due terzi dell’area
saranno utilizzati per spazi ad uffici e negozi, mentre un terzo sarà destinato a servizi per il pubblico, attività per il tempo libero e residenza. Residenza
limitata sia nella quantità sia nella tipologia - alloggi per studenti e hotel
- in ragione del rumore provocato dalla linea ferroviaria. Ma soprattutto il
quartiere dovrà essere integrato con il parco attraverso relazioni spaziali e
percorsi e costituire elemento di raccordo e centro di attrazione per le aree
urbane circostanti.
Il coinvolgimento della comunità
Una localizzazione a così alta visibilità richiede una soluzione urbanistica
che non solo integri architetture sostenibili di alta qualità, ma che offra an43
Modelli
dei residenti e dei vicini, insieme ad esperti, avviando un processo articolato
in tre fasi.
Dalla prima fase, culminata in un workshop che si è svolto nel 2014, è emerso un concept condiviso con la comunità interessata: anche se la composizione esatta delle diverse destinazioni d’uso è ancora da definire, al livello
principale ci dovranno essere zone per usi pubblici, tra cui una galleria d’arte, spazi commerciali, laboratori, ristorazione e spazi per attività sportive.
Questo per creare uno spazio che inviti la gente a trattenersi, rivitalizzando
l’area di transizione fra la stazione Gleisdreieck e i viadotti della metropolitana. Un altro concetto condiviso è stato che edifici alti possono rafforzare il
carattere dell’area all’interno del contesto urbano.
Il concept è stato posto alla base della seconda fase, un concorso a inviti per la
progettazione di un materplan che definisse il sistema dei percorsi, le sagome
di massima degli edifici, come integrare la prevista nuova stazione per la linea
ferroviaria S21 e come distribuire all’interno dell’area le diverse funzioni.
Il progetto di Cobe
Berlin (© Copro
e HG Esch).
La motivazione di
sintesi della giuria:
“Nel complesso
il progetto offre
Il concorso di progettazione
Il concorso ha portato a fine 2015 alla selezione di due fra le 22 proposte presentate, quelle degli studi di architettura e urbanistica Cobe Berlin e Ortner
& Ortner Baukunst. Entrambi i progetti vincitori prevedono edifici molto alti,
una scelta in accordo con quanto emerso dalla fase di confronto pubblico e
che consente di ottimizzare lo spazio pubblico disponibile.
Nelle motivazioni della giuria il progetto Cobe articola l’area come una sorta
di mosaico urbano che comprende diverse piazze, passaggi e cortili e che
risponde in modo eccellente alla complessità del concept alla base del concorso. La proposta prevede un quartiere contemporaneo con parametri architettonici e spaziali tipici di Berlino e con spazi pubblici e strutture che definiscono chiaramente funzioni e identità. Su entrambi i lati dei binari edifici
Visualizzazione
grafica del concept
condiviso emer-
un’ottima soluzione
agli obiettivi posti
dalla città di Berlino
e dai promotori
dell’intervento. Propone spazi urbani
di grande qualità,
crea un quartiere la
cui identità riflette
quella dell’intero
contesto urbano, è
fattibile dal punto
so dalla fase di
di vista sia fisico
consultazione del
che finanziario”.
pubblico (© Linus
Il commento di
Vanessa Miriam
Lintner Fotografie)
Carlow, responsabi-
che la necessaria flessiibilità per possibili usi diversi. Grandi opportunità ma
anche grandi sfide. Per questo motivo Copro sin dall’inizio ha deciso di coinvolgere quanti più partner possibile, di assicurarsi che il progetto di sviluppo
incontrasse l’approvazione del pubblico e, in accordo con la città di Berlino,
di creare innanzitutto un masterplan.
Dato che l’obiettivo è dare vita a un vibrante quartiere, Copro ha avviato un
processo trasparente per consentire ai cittadini di partecipare alla pianificazione ed esprimere le proprie idee e desideri. In collaborazione con l’amministrazione pubblica di zona ha così coinvolto rappresentanze dell’ente locale,
44
le dello studio Cobe
Berlin: “Iperurbano,
super metropolitano, con uno stile
internazionale ma
inequivocabilmente
locale: questo volevamo ottenere con
il nostro progetto”.
45
Modelli
Il progetto di Ortner
& Ortner Baukunst
(© Copro e HG Esch).
La motivazione di
sintesi della giuria:
“Nel complesso il
alti 80-90 metri sono articolati a cerniera, con un effetto visivo da lontano, attraverso il parco, di grande impatto. La giuria ha ritenuto inoltre che il grande
numero di lotti costruttivi e di strutture edificate si presta a una realizzazione
per fasi, mentre la semplice geometria degli edifici consente di costruirli in
modo economico ma al tempo stesso orientato al futuro. Convincente è risultato anche il riferimento progettuale all’elegante architettura ferroviaria storica, così come il rapporto fra spazi costruiti e non, con la scelta di ubicare edifici
di grandi dimensioni sopra la linea ferroviaria a beneficio degli spazi pubblici.
Il secondo progetto vincitore, quello dello studio berlinese Ortner & Ortner, è
stato scelto perché “con sorprendente semplicità” si adatta al quadro di riferimento del concorso e dà ordine all’eterogeneo ambiente urbano con edifici
di forma plastica, di tipologie diverse in relazione alla diversa localizzazione.
Un approccio che crea spazi urbani di alta qualità fra i nuovi edifici in altezza e
i fabbricati ferroviari. Secondo la giuria la geometria a trapezio dei piani superiori degli edifici crea una sofisticata struttura con profondità e larghezze variabili e il quartiere è connesso visivamente con i dintorni immediati e più lontani attraverso diverse prospettive. Anche questa proposta inoltre promette la
necessaria flessibilità nella pianificazione e può offrire varietà architettonica.
progetto propone
una eccellente
Verso la realizzazione
soluzione, ben
Tra febbraio e marzo i due progetti vincitori sono stati esposti al pubblico
per raccogliere commenti di cui si terrà conto nelle fasi successive. Prossimo step sarà la decisione dell’amministrazione cittadina e di Copro su quale
delle due proposte sarà alla base dello sviluppo del masterplan definitivo e
del piano di intervento, dando così inizio alla terza fase del processo che si
concluderà entro aprlie 2017. L’inizio dei lavori è previsto per il 2018.
organizzata e flessibile, così come un
equilibrio convincente fra varietà
architettonica e
griglia urbanistica”.
Il commento di
Markus Penell, fondatore di Ortner &
Ortner: “Nonostante
i vincoli derivanti
dalla logistica ferroviaria, un insieme
ad alta densità
costituito da spazi
pubblici ed edifici
creerà un quartiere urbano unico,
straordinario e
aperto, con un facile
accesso al parco”.
46
Accendere i motori della ripresa
con visione e coraggio
Siamo tutti consapevoli che per essere sostenibili dobbiamo ripensare il nostro modello di sviluppo puntando su una progressiva riduzione del consumo
del territorio, sulla sostituzione edilizia e sulla riqualificazione. Ma è altrettanto vero che è là dove è presente una forte governance dei processi di urbanizzazione che la dispersione e lo sfruttamento del suolo diminuiscono.
Ci vuole visione, capacità di guardare a uno sviluppo diverso. Ci vuole coraggio, ma anche la consapevolezza che perché ciò avvenga è essenziale superare alcune criticità sostanziali, che attengono alla fattibilità della rigenerazione. Ciò significa fare i conti con un quadro normativo che di fatto impedisce di
rigenerare. Un insieme di leggi e dii regole che troppo spesso non consente di
trovare la convenienza. Penso alla bonifica di aree come Marghera, ma anche
a zone di deindustrializzazione di minore dimensione e complessità. Va fatto
uno sforzo per definire il quadro generale in cui operare, la cornice e poi affidare agli operatori le soluzioni tecnologiche che diano le giuste garanzie. La
nuova legge sulla rigenerazione urbana deve diventare l’occasione per indicare le nuove linee di sviluppo territoriale. L’elaborazione della nuova legge regionale è in corso. Il dialogo avviato anche attraverso UrbanMeta sta dando i
suoi frutti. Le linee guida su come procedere sono state condivise e la regione
ha assunto un atteggiamento di aperto confronto che ha portato a una collaborazione importante. Nell’attuale fase appare essenziale non fare passi
indietro, puntando con decisione a soluzioni che siano nell’interesse generale, creando le condizioni per un equilibrio tra le giuste esigenze di privilegiare
la trasformazione del patrimonio esistente e l’ineluttabile decisione di creare
le condizioni per una concreta e diffusa rigenerazione. Le nostre città vivono
un momento particolare. Hanno forti potenzialità, ma serve una visione politica e una capacità di governo che purtroppo negli ultimi decenni è risultata
carente. Il contesto generale presenta elementi che stanno contribuendo a
migliorare la situazione di fortissima crisi in cui eravamo immersi, ma ora
bisogna accendere i motori della ripresa. E il territorio ne costituisce un carburante fondamentale. Quel che serve è non restare invischiati nella ragnatela
delle regole e regolette da un lato e nella paralisi amministrativa dall’altra.
Diventa importante guardare al di fuori della nostra regione alle esperienze
di altri paesi, a regioni che hanno saputo concretamente e rapidamente trasformare e rigenerare. Come Ance Veneto daremo il nostro contributo, mettendo al centro i nodi critici che frenano questa trasformazione, chiedendo a
ciascuno nel proprio ruolo di confrontarsi per trovare insieme come procedere.
IL PUNTO
GIOVANNI
SALMISTRARI
Presidente
Ance Veneto
47
Legislazione
A cura di
MARTINO ALMISISI
FRANCESCO
CALZAVARA
Imprenditore nel
settore turistico
alberghiero, è
consigliere regionale in Veneto e
presidente della
II Commissione
consiliare Politiche
del territorio (comprese le infrastrutture, i trasporti e
i lavori pubblici e
dell’ambiente, ivi
comprese la difesa
del suolo, le cave,
torbiere e miniere),
politiche forestali
e dell’energia.
Dal 2002 al 2012
è stato sindaco
di Jesolo.
48
Verso la legge regionale 14
sul consumo di suolo
Francesco CALZAVARA, presidente della Commissione consiliare che sta
lavorando al testo del nuovo provvedimento, lo definisce “rivoluzionario” e
sottolinea l’apporto dato dalla società civile veneta attraverso UrbanMeta.
Partire dall’obiettivo di un contenimento del consumo di suolo per incardinare
attraverso disposizioni normative innovative percorsi possibili di rigenerazione. È questo il senso e il valore del processo legislativo che sta caratterizzando
la regione Veneto. E non si tratta di poca cosa. Come sottolinea Francesco
Calzavara,”possiamo parlare tranquillamente di un atto rivoluzionario. Sappiamo tutti di essere la regione che registra il maggiore consumo di suolo. Il
nostro modello di sviluppo ha determinato negli anni del boom una situazione
di forte occupazione di territorio. È giunto il momento di ritrovare un equilibrio, cui il progetto di legge 14 vuole dare un contributo fondamentale”.
Calzavara è presidente della II Commissione consiliare regionale per le Politiche del territorio, politiche forestali e dell’energia, presso la quale si sta scrivendo la nuova legge che prevede “disposizioni per il contenimento del consumo di suolo”.
“Si tratta di un provvedimento che si caratterizza fortemente sul piano culturale ancor prima di essere una legge di politica economica e di gestione del territorio. Aspetti certamente rilevanti, ma che sono legati a una cambiamento
di mentalità, a una nuova visione condivisa sulla necessità di rivedere il nostro
rapporto con il territorio. La legge si ripromette di orientare i sindaci che pianificano, così come gli imprenditori dell’edilizia a confrontarsi con un parametro
nuovo che starà alla base dei processi di trasformazione territoriale, come il
consumo di suolo ‘netto’”.
Il contributo di UrbanMeta
Questo concetto nuovo prevede che nel computo si debba tenere conto non
solo del suolo che viene consumato, ma anche di quello che viene restituito
allo stato naturale. Come si legge nell’introduzione alla proposta, presentata
da UrbanMeta e recepita con grande interesse e in gran parte condivisa almeno nell’impostazione dalla Commissione “ciò al fine di promuovere, anche
nei casi di nuova urbanizzazione, la realizzazione di opere di compensazione
ecologica preventiva, la restituzione alla collettività di quanto sottratto attraverso operazioni che attrezzino in termini di naturalità aree di pari valore
ecologico e ambientale rispetto a quelle urbanizzate”. Un approccio che con-
sentirà secondo Calzavara di riqualificare il paesaggio regionale, “demolendo
e ricostruendo, liberando territorio e riqualificando anche architettonicamente
le nostre città. Insomma, facendo il Veneto più bello e più sostenibile”.
La legge, così come si va delineando, presenta una serie di novità per effetto
del forte collegamento tra gli obiettivi di contenimento del consumo del suolo
e quelli di una concreta rigenerazione urbana, ambito strategico fondamentale della nuova logica dello sviluppo sostenibile che caratterizza fortemente
la proposta di UrbanMeta (1). Questa aggregazione, guidata da Giuseppe Cappochin, recentemente eletto alla presidenza del Cnappc (Consiglio nazionale
architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori), è stata il frutto di una riflessione e di un confronto serrato, ma virtuoso tra le diverse categorie economiche, le professioni, il mondo delle università, le associazioni sindacali.
Dall’introduzione della proposta avanzata da UrbanMeta emerge un’impostazione pragmatica e che trae spunto dai processi e dai risultati positivi ottenuti
in tutta Europa. “Le migliori esperienze italiane ed europee – si legge - dimostrano come la reale risposta alla riduzione del consumo di suolo debba essere
ricercata non tanto nella definizione di parametri quantitativi o nella costruzione di vincoli, quanto nella promozione e sostegno delle azioni di recupero
del patrimonio edilizio esistente, nella riqualificazione delle parti degradate
della città consolidata, nelle iniziative di rigenerazione urbana di cui tanto si
parla. Un tessuto urbano efficiente e capace di essere attrattivo è la migliore
risposta possibile al consumo di suolo. Certo, questo è un obiettivo che richiede la costruzione di un percorso di avvicinamento che metta a punto non solo
sistemi di protezione e salvaguardia, ma anche strategie di riqualificazione e
di costruzione di sistemi urbani di qualità, non solo sotto il profilo urbanistico
ed edilizio, ma anche tenendo conto dell’aspetto economico, sociale e ambientale”.
(1) UrbanMeta
raggruppa le rappresentanze di una
parte significativa
della società civile
del Veneto: categorie economiche,
professioni, università, associazioni
sindacali, costruttori, ambientalisti.
Un tavolo di lavoro
congiunto, affronta
il tema del governo
del territorio e in
particolare della
Dal consumo di suolo alla rigenerazione urbana
Al centro della visione di UrbanMeta vi è la convinzione della necessità di uno
strumento legislativo “che metta a frutto gli obiettivi e le finalità, che ragioni
sui vincoli in modo selettivo e legato alla valutazione degli esiti, che promuova
le buone pratiche e che sappia costruire una regia delle trasformazioni a garanzia di una rigenerazione complessiva e non episodica”. Per gli ampi strati
della società civile che si riconosce in UrbanMeta la nuova legge regionale deve
costituire l’occasione per regolare con chiarezza gli ambiti di uno sviluppo sostenibile in cui il contenimento del consumo di suolo costituisce un fattore
propulsivo della rigenerazione urbana.
Per il presidente Calzavara il contributo di UrbanMeta è stato prezioso proprio
per aver fornito proposte già condivise da 19 associazioni di rappresentanza
e che hanno consentito di legare strettamente il contenimento di suolo alla
rigenerazione. “Il documento propositivo di UrbanMeta”, evidenzia Calzavara,
rigenerazione urbana sostenibile e
ha presentato nel
dicembre 2015 il documento Un patto
per un programma regionale di
strategie politiche
di rigenerazione
urbana – obiettivi
e valori per le città
venete del futuro,
scaricabile dal sito
www.urbanmeta.it.
49
Legislazione
“ha messo in condizione la Commissione di definire le condizioni necessarie
a rendere conveniente e fattibile la riqualificazione di parti di città, collegandole a progetti di vera e propria rigenerazione. Egualmente è stata di grande
utilità la proposta, da noi immediatamente recepita, di inserire nella legge uno
strumento fondamentale come il fondo di rotazione a sostegno dei progetti
di rigenerazione, da destinare ai comuni. Attraverso il fondo verranno messe a
disposizione risorse essenziali per avviare progetti e interventi, attingendo da
diverse fonti di finanziamento ad iniziare dai programmi europei”.
Il fondo di rotazione del resto si inserisce in una concezione della rigenerazione
come di un insieme coordinato e integrato di interventi di pubblico interesse
di carattere urbanistico, edilizio e socio-economico. Il che vuol dire una chiara
regia pubblica e la concorrenza di una pluralità di fattori sociali, economici ed
ambientali, corrispondenti a una visione strategica condivisa del futuro della
città e del territorio. Ci vuole una forte leadership politica e tecnica a livello
locale e regionale, ma anche adeguati finanziamenti pubblici che servano da
volano e che forniscano certezze per gli investimenti privati.
L’iter del provvedimento
Questo approccio comporta necessariamente una razionalizzazione del quadro normativo esistente, utilizzando la nuova legge per eliminare sovrapposizioni e un’eccessiva macchinosità dei processi decisionali. “La nuova legge sicuramente modificherà e aggiornerà sia la legge 11 sull’urbanistica, sia la legge
50 in materia di commercio, che già aveva introdotto alcune nuove norme in
linea con una riorganizzazione degli spazi urbani secondo una logica di diversa
valorizzazione. Costituirà anche l’occasione per una riflessione sul Piano casa
regionale come strumento di incentivazione al contenimento di consumo del
suolo”.
Una particolare attenzione inoltre dovrà essere riservata alle norme transitorie, in quanto vanno salvaguardati i diritti acquisiti degli operatori. Per il presidente della Commissione consiliare “l’obiettivo, peraltro condiviso anche da
Ance Veneto, è arrivare a un’uniformità delle previsioni urbanistiche evitando
differenziazioni e utilizzare la legge 14 per ridefinire tempi certi nella gestione
degli strumenti di pianificazione. Il messaggio che dobbiamo dare è che con la
nuova legge non si bloccherà l’edilizia, bensì che essa dovrà essere diversa da
quella del passato”. Calzavara prevede che un primo testo verrà varato entro
il mese di aprile. “Si tratterà di una versione in cui troveranno una soluzione
equilibrata le diverse posizioni, in parte già rappresentate dalla proposta di
UrbanMeta, in parte espressione del mondo legislativo e degli amministrativisti”. Nel mese di maggio si intende avviare un confronto sul territorio, soprattutto con le amministrazioni locali, per poi arrivare a una nuova stesura del
testo che verrà portato in Consiglio regionale. “Contiamo di avere la versione
definitiva della nuova legge prima della pausa estiva”.
50
La sfida di Porto Marghera
FOCUS
La reindustrializzazione di una delle più grandi aree industriali dell’Europa novecentesca è il banco di prova della capacità di assumersi responsabilità e rischi, da parte rispettivamente della politica e dei privati.
Rigenerazione urbana e riconversione industriale sono il tema centrale per
lo sviluppo e la crescita delle nostre città. Un’urgenza legata tanto alla crisi
dell’edilizia, da sempre uno dei settori trainanti del paese, quanto alla qualità
dello spazio che viviamo. Tutto questo è sottolineato dal Cnappc (Consiglio
nazionale architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori) con Anci, Legambiente, Ance e le regioni nel programma Riuso, ma anche dalla Tabella
di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse che vede le politiche della Ue impegnate a raggiungere entro il 2050 un incremento dell’occupazione netta di terreno pari a zero. Rigenerare, recuperare il patrimonio
edilizio esistente, ricucire o “rammendare” le periferie, dismettere intelligentemente e riconvertire sono dunque le parole chiave della nuova urbanistica,
ma soprattutto di una nuova stagione di politiche per il territorio. Investire su
questo ci permette di superare la disgregazione di materiali e spazi delle nostre città, in una situazione precaria sia dal punto di vista edilizio che energetico ambientale, ma significa anche dare nuovo credito alle generazioni future
e migliorare l’uso delle risorse disponibili.
In quest’ottica il caso di Venezia è uno dei più emblematici, poiché tiene assieme la ricerca di un’efficiente riconversione dell’area industriale di Porto Marghera con il tema della rigenerazione urbana, particolarmente significativo per
la terraferma veneziana, Marghera e Mestre.
Oggi il patrimonio edilizio abitativo della terraferma veneziana è rappresentato da circa 82mila alloggi, di cui il 62,3 per cento edificati tra il 1946 e il 1971,
ovvero nel periodo in cui in Italia si costruiva in grandi quantità, in fretta e
spesso molto male. Sono in particolare le aree centrali di Mestre, una sorta
di grande laboratorio delle trasformazioni urbanistiche del ‘900, quelle su cui
il processo di crescita del patrimonio residenziale ha avuto la sua massima
fase di espansione in quel periodo: nell’area di Mestre centro ben 3 abitazioni
su 4 sono state edificate tra il 1946 e il 1971. Si tratta perciò di un patrimonio
vetusto con caratteristiche tecnologiche che lo rendono assai poco efficiente
dal punto di vista energetico; un patrimonio sul quale però varrebbe la pena di
tornare ad investire, così da ridurre i gas serra prodotti ogni anno e migliorare
la qualità e la salubrità ambientale della città.
NICOLA PELLICANI
Giornalista del
Gruppo Editoriale
L’Espresso. Dal
2007 è segretario
della Fondazione
Gianni Pellicani,
che sviluppa
progetti sulle
trasformazioni
urbane della città
contemporanea
e sulla storia
politica e sociale
di Venezia. È
inoltre promotore
del Festival della
Politica e consigliere comunale
e metropolitano
di Venezia.
51
FOCUS
Per una riconversione ad alta innovazione e basso impatto ambientale
La sfida più importante, il banco di prova che non ammette riserve e ulteriori
rallentamenti politici, è rappresentata dalla grande area industriale di Porto
Marghera, forse una delle invenzioni più significative per l’economia veneta,
ma anche nazionale, dello scorso secolo. Un’area di oltre 2mila ettari che
ha visto il suo culmine occupazionale negli anni ‘70 con oltre 30mila addetti, mentre attualmente vi lavorano poco più di 11mila persone suddivise in
950 aziende. Oggi l’area di Porto Marghera è ancora tutta da inventare, con
la stagione post industriale ormai finita e la necessità di una riconversione
industriale ad alta innovazione e a basso impatto ambientale nel segno della green economy. Attualmente oltre 90 aziende, il 10 per cento del totale,
svolgono attività green, occupando oltre 2.300 addetti. Tra gli investimenti
principali ricordiamo quelli di Eni - che ha riconvertito una raffineria petrolifera in una modernissima bioraffineria, impiegando tecnologie innovative
- e quello di Versalis con l’impianto di cracking.
Ripensare Porto Marghera vuole dire riconsiderarne anche l’accessibilità: dare
continuità a quanto è stato fatto per stralci in oltre vent’anni fino ad oggi con
le progettualità in corso in tutta l’area mestrino-veneziana. La sfida è mirare
a quanto abbiamo visto realizzarsi in altri contesti europei non troppo lontani
da noi, come il caso di Amburgo con HafenCity. Da un lato, dunque, è necessario riconnettere alla città la Macroisola della I zona industriale dove c’è il Parco
scientifico tecnologico Vega rafforzandone i servizi e valutando con attenzione le professioni innovative che sostituiscono un tipo di impresa pesante.
Dall’altro non possiamo tralasciare il riuso e la riconversione industriale delle
aree adiacenti che rappresentano una risorsa economica per tutto il territorio.
Favorire la ricucitura è il tema recentemente sviluppato e molto dibattuto. C’è
stato l’impegno del governo, che consente di avviare una serie di interventi
finalizzati ad avvicinare l’area urbana di via Torino alla Macroisola attraverso una valorizzazione delle infrastrutture ed il miglioramento, per l’appunto,
dell’accessibilità. Ma tutto ciò ha senso se certe operazioni sono sostenute da
una strategia di rigenerazione che riesca a sfociare in quella mixité di funzioni
e servizi in grado non solo di migliorare la qualità dello spazio, ma anche di
catalizzare gli interessi dei city user e dei futuri investitori.
Semplificazione amministrativa e infrastrutture portuali
I principali fattori che hanno condizionato lo sviluppo di Porto Marghera, e che
spesso hanno alimentato attese speculative sui valori immobiliari, restano
l’indisponibilità delle aree, le incertezze economiche e temporali sui processi
di bonifica, l’incertezza sulle destinazioni d’uso delle aree. Per favorire i progetti di riqualificazione dell’area e la sua reindustrializzazione è fondamentale la semplificazione amministrativa, superando la sovrapposizione di ruoli e
competenze e assicurando risposte pronte alle istanze degli imprenditori in
52
termini di acquisizione dei titoli abilitativi e autorizzativi. Per rispondere alle
richieste degli operatori economici e per favorire il rilancio industriale di Porto
Marghera è stato avviato un programma finalizzato alla definizione di modalità e strumenti di semplificazione delle procedure di autorizzazione sotto il
profilo urbanistico e ambientale. Un’operazione propedeutica alla progettazione di un’area industriale in linea con gli indirizzi che si stanno definendo
sul piano internazionale, sostenendo produzioni a basso impatto ambientale.
In questo senso si stanno già sviluppando attività legate alla logistica, facilitate dalla presenza del porto e di una zona di retroporto abbondantemente
infrastrutturata. In questo contesto sarebbe quindi auspicabile anche l’ampliamento degli spazi destinati alla zona franca, come previsto dal decreto
interministeriale del 22 marzo 2013. Un’occasione per riordinare e potenziare
il ruolo del porto di Venezia potrà arrivare anche dal nuovo Piano regolatore
del porto, che ha iniziato il suo iter a oltre cento anni di distanza dall’ultima
approvazione.
Lo sviluppo di Porto Marghera dipenderà molto anche dal futuro del suo porto, per il quale sono allo studio vari progetti, il più rilevante dei quali riguarda
la piattaforma offshore, un progetto avveniristico per un porto d’altura a 8
miglia nautiche dalle coste del Lido di Venezia, con due obiettivi: il primo è
l’estromissione del traffico petrolifero dalla laguna; il secondo quello di accogliere navi in grado di portare fino a 22mila container, che hanno bisogno
di fondali di 18 metri e perciò non possono entrare nell’attuale isola portuale.
La questione delle bonifiche dei terreni contaminati
Per accelerare i tempi di bonifica dei terreni rendendo più veloci le procedure il comune ha chiesto l’esclusione di Porto Marghera dall’area Sin (Sito di
interesse nazionale). La proposta al momento non è stata accolta, anche in
considerazione del fatto che recentemente la superficie all’interno dell’area
Sin era stata ridotta da 3mila ettari circa a 2mila, prendendo in considerazione
esclusivamente la zona industriale e lasciando fuori la zona urbana circostante. Inoltre appare difficile prescindere dal fatto che a Porto Marghera il grado
di contaminazione dei terreni è comunque molto elevato, secondo in Italia
solo all’area industriale di Taranto.
Sono stati molti i tentativi per cercare di semplificare gli iter di bonifica, tra
i quali l’accordo sottoscritto il 16 aprile 2012 dal ministero dell’Ambiente, la
regione Veneto, il comune di Venezia e il Magistrato alle acque, che definisce
le azioni finalizzate all’accelerazione e semplificazione del processo di disinquinamento, riconversione industriale e riqualificazione economica di Porto
Marghera, dichiarata Area Sin. Ovvero stabilisce una tempistica accelerata per
l’avvio dei progetti, con l’obiettivo di giungere sia al ripristino ambientale sia
allo sviluppo di attività produttive sostenibili.
In questo senso va evidenziato il rilievo dell’accordo siglato il 15 maggio 2012
53
FOCUS
tra comune di Venezia, regione Veneto e Eni-Syndial, che comporta la cessione di 110 ettari da parte di Eni da destinare ad attività industriali e logistiche.
L’intesa in questione prevede la creazione di una NewCo per la gestione e la
vendita delle aree nonché il versamento, sempre da parte di Eni, di 38 milioni di
euro a copertura delle spese di bonifica e messa in sicurezza dei terreni ceduti.
Questo accordo però, già prorogato nel 2015 di un anno, è a rischio di decadenza, poiché comune e regione non hanno ancora firmato il rogito per il passaggio
definitivo delle aree alla società Mei (Marghera Eco Industries), la compartecipata da comune e regione. Un segnale negativo indice di ancora poca chiarezza
sugli obiettivi pubblici per un’area così strategica per lo sviluppo del territorio.
Ma la riconversione passa anche attraverso il progetto di marginamento dei siti
contaminati. Un progetto volto a garantire la messa in sicurezza di Porto Marghera e della laguna, costato quasi un miliardo di euro, in gran parte proveniente dai risarcimenti ambientali pagati da diverse imprese di Porto Marghera a
fronte di una liberatoria sugli obblighi di bonifica relativi al loro sito. Il progetto
non è ancora concluso, manca il 5/6 per cento di opere da eseguire, per le quali
sono necessari circa 250 milioni di euro.
Da problema ambientale a opportunità per l’Italia
L’ultima iniziativa promossa per favorire processi di riconversione industriale
riguarda l’Accordo di programma sottoscritto nel gennaio 2015 tra ministero dello Sviluppo economico, regione Veneto, comune di Venezia e autorità
portuale di Venezia. Si tratta di un finanziamento di oltre 150 milioni di euro
per interventi finalizzati a ottimizzare il quadro delle infrastrutture materiali e
immateriali presenti a Porto Marghera. L’intesa prevede 23 interventi con un
grado di avanzata definizione progettuale, di potenziamento delle infrastrutture e risoluzione di criticità del sistema di viabilità e di sicurezza idraulica, con
l’obiettivo di valorizzare le aree coinvolte per attrarre investimenti e nuove iniziative economiche.
La strada da percorrere è evidentemente ancora molto lunga. Il quadro delle
azioni fin qui descritte rappresenta un buon punto di partenza, a condizione
che la riconversione industriale e lo sviluppo di Porto Marghera, una delle più
grandi aree industriali dell’Europa novecentesca, venga considerata un’opportunità per il paese, non solo per la città metropolitana di Venezia. È necessario
un salto culturale che ci consenta di entrare finalmente nel terzo millennio,
trasformando Porto Marghera da un problema ambientale da risolvere a una
grande occasione per l’Italia. Per fare questo bisogna anzitutto sciogliere definitivamente il nodo delle bonifiche e progettare una nuova Porto Marghera.
Un obiettivo raggiungibile solo se la politica si assumerà con coraggio le proprie
responsabilità e i privati saranno pronti a cogliere le sfide, accollandosi i rischi
di impresa finalizzati a scrivere una nuova pagina nel segno della crescita e
della rigenerazione urbana.
54
I giovani imprenditori veneti ripartono
dalla bellezza del territorio
Giovanni Prearo, nuovo presidente dei Giovani imprenditori edili del
Veneto, ci racconta l’originale iniziativa Ciclo del bello, con cui intende rifondare la figura del costruttore e trasmettere al grande pubblico una nuova positiva immagine dell’edilizia.
Gli imprenditori edili più giovani vivono un momento complicato, divisi tra
una concezione dell’edilizia che non appartiene loro (quella dei padri) e una
visione del futuro ancora poco delineata. In questo spazio tutto da riempire si trovano spesso spaesati e procedono per tentativi. Questa situazione
l’ha ben compresa il nuovo presidente dei giovani imprenditori del Veneto,
Giovanni Prearo, 36enne di Padova, che ha impostato il suo programma proprio partendo da questa consapevolezza. “I giovani imprenditori edili hanno bisogno di cultura”, ci dice Prearo. “Cultura in senso ampio, intesa come
conoscenza, curiosità, apprendimento. L’edilizia di oggi è completamente
una novità: sono nuovi i materiali, nuove le tecniche costruttive, nuovi i parametri della sicurezza. È un nuovo mestiere che sta prendendo forma solo
adesso, e che bisogna imparare daccapo”.
Per questo motivo il neo eletto presidente ha fatto subito leva sul sistema
associativo, inteso come strumento di supporto e collaborazione a disposizione dei nuovi imprenditori edili. La sua intenzione è quella, da un lato, di
sensibilizzare i soci nei confronti delle possibilità e delle azioni da intraprendere all’interno del sistema Ance, dall’altro, di far conoscere queste potenzialità a chi non ne fa ancora parte, ma potrebbe essere coinvolto. “È nostra
intenzione attivare un percorso di comunicazione che vada oltre l’addetto ai
lavori e si estenda anche a chi ruota intorno al nostro settore: professionisti,
studenti, tecnici, pubbliche amministrazioni, amministratori di condominio,
eccetera. Visto che parliamo di cultura del costruire, la sensibilizzazione
deve partire da noi, siamo noi a dover per primi cambiare l’immagine del
costruttore e poi farla percepire al grande pubblico”.
Per costruire questo percorso culturale Prearo ha ideato un programma fitto
di attività, che prevede incontri con imprenditori di successo e personaggi
autorevoli del mondo economico, accademico e dei media, finalizzati alla
crescita degli associati in termini di esperienza e di nuovi stimoli e idee imprenditoriali, così come corsi di formazione per accrescere le competenze
gestionali dei Giovani e migliorare le loro capacità relazionali e di leadership,
iniziative di marketing associativo e convegni.
Progetti
A cura di
MIMOSA MARTINI
GIOVANNI PREARO
Laureato in economia aziendale
all’università Ca’
Foscari di Venezia,
è direttore generale della Prearo
costruzioni srl di
Codevigo, impresa
che opera nel
territorio Veneto,
sia nel pubblico
che nel privato. Nel
settembre 2015
è stato nominato
presidente del
Gruppo giovani
di Ance Veneto.
55
Progetti
Villa Molin–Avezzù
a Fratta Polesine
(Rovigo).
56
Riscoprire il proprio patrimonio storico
Oltre a tutto questo, il presidente ha anche pensato una serie di attività
definite con il nome Ciclo del bello, finalizzate ad un accrescimento personale oltre che professionale, per conoscere meglio il patrimonio edilizio
presente nel proprio territorio e partire da lì per costruire un nuovo filone
di business. “Un’iniziativa che parte dalla sensazione di molti imprenditori veneti di scarsa valorizzazione del proprio territorio”, afferma Prearo.
“Quanti di noi prendono aerei e vanno a visitare posti lontani e poi non
sanno che esistono a due passi da casa borghi o ville meravigliosi? Si tratta
anche di un modo per ripartire dopo questa grande crisi che ha attanagliato
il nostro settore. Non possiamo credere di continuare come abbiamo fatto
in passato, soprattutto noi giovani dobbiamo puntare su strade nuove e
sicuramente il turismo è uno dei percorsi chiave. Nella nostra regione, grazie
anche a Venezia, abbiamo turisti tutto l’anno e si tratta di un potenziale
non sfruttato. Il turismo è poi strettamente legato alle costruzioni: servono
infrastrutture, strutture ricettive, servizi”.
Nell’ambito del Ciclo del bello sono state previste attività culturali, visite
guidate, incontri all’interno di luoghi storici, seminari e incontri con personaggi autorevoli e opinion leader nell’ambito dell’architettura e dell’arte e
con esperti nel recupero o nel restauro. Sono state poi attivate collaborazioni con enti importanti del settore ambientale e turistico, dal Fai all’Istituto
regionale ville venete e con l’Associazione ville Veneto. Questo per fare rete
ed evidenziare, da un lato, il contributo dei costruttori edili alla realizzazione
delle bellezze del Veneto e, dall’altro, le loro capacità e potenzialità anche
nel presente. Il futuro dei giovani è infatti nelle competenze e nell’aggiornamento continuo, ma anche nell’abilità di unire le forze per un obiettivo
comune: rilanciare il settore e dargli una nuova immagine.
Una nuova immagine, per costruttori multitasking
È forte la convinzione di Giovanni Prearo che sia necessario un cambio di
rotta. “Per troppo tempo è rimasta valida la concezione dell’imprenditore
edile come tecnico o, a volte, anche affarista, che imposta il lavoro più sul
prezzo che sulla qualità del prodotto finito. Questa immagine deve sparire, dobbiamo ritrovare i giusti contenuti, far emergere gli imprenditori
che studiano e scelgono i migliori materiali, che hanno competenze sia
tecniche che manageriali, che si informano, che sanno ascoltare le necessità dell’utente finale, che sanno entrare in empatia con i propri partner.
Capire la bellezza delle costruzioni ci sarà utile per definire dove vogliamo
arrivare, per modificare i nostri obiettivi, per migliorarci come imprenditori
e come persone”.
Queste intenzioni si riverberano anche sulla visione del sistema associativo, che diventa un luogo di confronto all’interno del quale tutti possono
dare il proprio contributo in base alle predisposizioni e ai gusti personali,
senza prevaricazioni. “Vorrei che l’Ance fosse una vera e propria squadra,
in cui ognuno ha il suo ruolo e tutti possono dare supporto agli altri in
modo paritario. Bisogna vivere l’associazionismo come un’esperienza formativa, anche personale. Per questo ho voluto inserire momenti anche ludici, per poterlo vivere in maniera serena ed edificante, non come un peso”.
Secondo quest’ottica le attività previste dal programma Ciclo del bello
sono state estese anche al pubblico, aperte a tutti. L’intento è proprio
quello di comunicare all’esterno la nuova immagine dell’edilizia, valorizzando i numerosi punti di forza e trasmettendo l’energia della nuova
classe imprenditoriale. “L’idea, spiega Prearo, è quella di trasmettere un
messaggio positivo anche a chi usufruisce del nostro lavoro: i cittadini che
percorrono le strade e abitano le case, i turisti. Tutti devono capire che
possono scegliere un’opera edile non solo in base ai costi, o al risultato
finale, ma anche conoscendo chi la realizza, scegliendo chi lavora bene,
chi propone qualità e sicurezza, chi utilizza prodotti e progetti adeguati. A
volte è più importante sapere chi realizzerà quell’opera piuttosto che conoscere il prodotto finito. Ma questa è una rivoluzione, e per le rivoluzioni
ci vuole tempo”.
I giovani imprenditori sono i nuovi supereroi: capaci, attenti, professionali,
manager, innovativi ed empatici. La nuova frontiera del multitasking.
57
Progetti
Dalle fondamenta. Rimotivarsi
per essere più competitivi
Un percorso di riflessione e formazione promosso da Ance Pordenone per
individuare bisogni e aspettative delle imprese da cui partire per una progettualità associativa condivisa e di valore.
WALTER LORENZON
Presidente dell’azienda di famiglia
Lorenzon Costruzioni Srl, da marzo
2011 è presidente
di Ance Pordenone. Siede inoltre
nel consiglio di
amministrazione
della Banca di
credito cooperativo pordenonese
ed è segretario
dell’associazione
San Pietro Apostolo, fondata dai soci
della stessa Bcc e
suo braccio operativo sul territorio
in campo sociale.
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Il progetto Dalle fondamenta, promosso da Ance Pordenone nel 2015, è figlio
della crisi e dei suoi effetti. Si tratta infatti di un’iniziativa finalizzata a favorire
una riflessione sul modo di essere e di fare impresa, condizione imprenscindibile
affinché le aziende siano in grado di intraprendere seriamente e concretamente
il processo di cambiamento richiesto da una realtà in profonda trasformazione.
Il punto di partenza è stata la constatazione della difficoltà di fare associazione in un clima di forte rassegnazione e sfiducia. Era arrivato il momento di
dare una scossa, era necessario uno scatto d’orgoglio. Era necessario spingere
gli imprenditori a una riflessione su cosa fosse necessario e utile fare. Mettendo al centro due questioni fondamentali: lo spostamento dell’attenzione dal
contesto esterno al proprio interno e il cambiamento.
Il progetto Dalle fondamenta nasce dunque dalla convinzione che fosse responsabilità dell’associazione reimmettere energia, spingere gli associati a riflettere sulla propria organizzazione, sul modo di esercitare la propria attività
imprenditoriale sotto i più diversi punti di vista.
Un processo basato sul dialogo e confronto
il punto di partenza è stata un’analisi delle principali caratteristiche delle organizzazioni di successo - capacità tecniche, manageriali e relazionali, snellezza dei processi decisionali, velocità operativa, capacità di leadership, governance e cultura di impresa - e dei fattori frenanti che più frequentemente
si ritrovano e bloccano il potenziale competitivo delle Pmi. Da qui gli associati
sono stati portati a riflettere sul concetto di valore, sul modo di crearlo e sui
presupposti necessari all’attuazione del cambiamento nelle organizzazioni,
anche attraverso esercizi pratici che li hanno fatti interagire e hanno consentito di aumentare il grado di conoscenza reciproca.
Indubbiamente, il valore aggiunto di questa iniziativa è venuto dal confronto
e dallo scambio di informazioni. Un percorso che ha visto la partecipazione
di oltre due terzi degli associati e il cui successo va individuato nella scelta di
aprire un dialogo tra l’associazione e i suoi associati e tra associati, nei confronti dei quali ci siamo proposti, forse per la prima volta, con l’atteggiamento
di chi chiede “posso fare qualcosa per te?”. Fondamentale a questo proposi-
to è stata, sicuramente, la metodologia di lavoro adottata e la scelta di farsi
supportare da una consulente, life&business coaching ed esperta in progetti
di cambiamento e crescita. Perché le tradizionali forme di incontro associativo
raramente consentono un reale confronto. E invece c’era bisogno di vincere
resistenze, timori, in qualche caso di superare qualche “mal di pancia”.
Riflessioni condivise sul modo di fare impresa
Oltre che sul livello del confronto e del dialogo, il progetto Dalle fondamenta si è sviluppato su quello dell’acquisizione di informazioni e di “misurazione” del disagio facendo emergere, rispetto ai temi rilevati nella prima fase,
resistenze, riflessioni e valutazioni sul modo di fare impresa e di affrontare
il cambiamento. Ciò è avvenuto attraverso la diffusione di un questionario e
la realizzazione di una ventina di interviste mirate a un campione di imprenditori. Ne sono emerse una serie di considerazioni che sono state portate
all’attenzione degli associati in un secondo incontro plenario. Soprattutto si è
registrata una sostanziale condivisione sul fatto che il futuro sarà completamente diverso da quello che è stato fino a pochi anni fa; così come è emersa
la tendenza ad attribuire sempre a fattori esterni – il mercato, le banche, le
maestranze, i clienti… – le difficoltà che si incontrano. In sintesi, un pensiero
diffuso e una convinzione, errata, che sia il mondo ad essere inadeguato e non
noi inadeguati al mondo. Un atteggiamento che genera un forte pessimismo.
Si è altresì registrata la consapevolezza della carenza di strategie, dovuta alla
mancanza di tempo da dedicare all’analisi e alla riflessione.
Il che chiama in causa il modo di interpretare il ruolo di imprenditore e la non
adeguata allocazione del proprio tempo e delle proprie energie, spesso disperse in attività a scarso valore aggiunto che, con interventi organizzativi e
formativi adeguati, potrebbero essere ridistribuite consentendo una migliore
guida dell’impresa. Sono emerse altresì, soprattutto tra gli imprenditori più
giovani, evidenze positive come l’idea che, mentre una volta l’interesse della
singola azienda passava attraverso una logica individualistica, oggi invece il
singolo interesse può essere facilitato dalla convergenza degli interessi di più
FAVARO MASSIMO SRL
SRL
Progetti
soggetti. Da qui due considerazioni importanti. La prima, che cresce la consapevolezza della necessità di confrontarsi e di collaborare, trovando poi le
formule più adeguate per posizionarsi meglio sul mercato ed essere più competitivi. La seconda considerazione riguarda il rapporto con l’associazione. Se
prima infatti, in una logica fortemente individualista, la partecipazione all’associazione dipendeva da quanto questa era funzionale al soddisfacimento del
singolo interesse, oggi è utile se promuove il dialogo e la crescita di forme di
interazione tra le imprese. Come farlo, all’interno della sede associativa, rinnovando anche il format di riunioni, incontri, iniziative, è una delle grandi sfide
che le associazioni devono fronteggiare.
Nuovi ruoli reciproci per associazione e associati
Complessivamente la risposta ottenuta, sia da parte dei testimonial – gli imprenditori associati che si sono messi in gioco e hanno condiviso con gli altri
ciò che fanno in azienda -, sia da parte degli altri, è stata straordinaria in termini di partecipazione, attenzione e ascolto. Il progetto-percorso Dalle fondamenta ha altresì svolto una funzione di riavvicinamento all’associazione
da parte di imprenditori che, abitualmente, non la frequentano. Il lavoro
comune di scandaglio e di approfondimento, negli incontri e nei confronti
anche individuali, ha consentito agli associati di discutere di argomenti e
questioni ritenuti fino a quel momento “tabù” come le difficoltà intergenerazionali in azienda, la gestione di collaboratori che non riconoscono il
ruolo, l’impossibilità da soli di far fronte a tutto e la necessità di imparare a
delegare. Egualmente ha consentito di raccogliere dichiarazioni preziose su
cosa ciascun associato ritiene di poter fare all’interno dell’associazione, così
come su quali aspettative vi siano rispetto al ruolo e alle funzioni dell’associazione. Le richieste riguardano soprattutto la capacità dell’associazione di
sostenere percorsi volti a una crescita di conoscenza e di fiducia reciproca,
di uno scambio sempre più ampio di informazioni e di esperienze, premesse
imprescindibili per poter poi avviare percorsi di aggregazione. Vi è una significativa aspettativa che l’associazione possa giocare un ruolo determinante in questi processi. Uno dei risultati importanti è che sono stati favoriti
scambi di visite tra le diverse aziende e sono state create associazioni temporanee tra imprese che precedentemente non si conoscevano.
A conclusione di questo progetto si sono strutturati due percorsi formativi e
laboratoriali con attività a cadenza mensile, dedicati tra l’altro a come costruire una strategia, al controllo di gestione e alla pianificazione finanziaria, alla
mappatura di processi e competenze, a saper presentarsi e raccontare storie per
una vision condivisa. Queste attività rappresentano la prosecuzione nel 2016 del
percorso intrapreso, che ha consentito di creare un clima nuovo e una “cornice”
condivisa, all’interno della quale le proposte associative non potranno che trovare più favorevole accoglimento, aumentando di valore e di efficacia. 60
Effetto domino
L’ultimo libro, corale, dell’avvocato-scrittore Romolo Bugaro racconta le difficoltà delle piccole e medie imprese venete, ma parla anche di rilancio e di speranza.
Autori
A cura di
Rosa Moretti
Romolo Bugaro è un avvocato di Padova esperto in diritto fallimentare, con
la passione per la scrittura. Dalla sua esperienza personale e professionale
sono nati otto libri di cui due selezionati per il Premio Campiello.
Nell’ultimo romanzo, Effetto domino (Einaudi, 2015), Bugaro rappresenta
l’epopea di chi in un attimo può perdere tutto e creare danni irreversibili a
un’intera comunità, come un fenomeno naturale improvviso e travolgente.
Si parla di edilizia, di crisi finanziarie, di banche e di come la realtà a volte
supera la fantasia creando fenomeni a catena potentissimi.
Abbiamo intervistato l’autore per scoprire come nascono i suoi romanzi e
cosa pensa dell’imprenditore edile, tra stereotipi e nuovi modelli.
Quanto ha influito la professione di avvocato sulla sua impostazione letteraria?
Tantissimo, soprattutto negli ultimi anni. Mi occupo di diritto fallimentare,
il che significa avere a che fare ogni giorno con persone in crisi, assorbire le
tragedie di chi perde il lavoro, la casa, a volte tutto, anche la famiglia. La
sofferenza di queste persone mi ha spinto a scrivere delle loro storie, delle
loro animosità, ma anche del rilancio e della speranza. È per me un impatto
fortissimo, è come il medico che ogni giorno visita i suoi pazienti più gravi.
Non potevo evitare di scrivere di questo.
In Effetto domino evoca un parallelismo tra catastrofe finanziaria e catastrofe naturale. Da cosa nasce questa idea?
Il romanzo nasce dalla mia esperienza. Cose che vedo e situazioni e personaggi ispirati al clima che respiro. Il tentativo è stato quello di parlare di cose
di cui nessuno parla. In letteratura i temi spesso si ripetono, si descrivono
amori, avventure, omicidi, viaggi, nessuno parla di anticipo fatture, di bancarotta, crediti o cose simili. Come fossero argomenti trascurabili, che non
meritano la letteratura, e invece sono parte importante della vita di tutti,
elementi che possono costare una carriera, una casa, una vita a volte.
Ho pensato però che per scrivere di questi temi bisogna conoscerli. Spesso chi scrive fa altri lavori, sempre legati all’arte o alla letteratura. Io inve-
L’ultimo libro di
Romolo Bugaro,
Effetto domino,
pubblicato nel
2015 per Einaudi.
61
Autori
ce, grazie alla mia esperienza professionale diretta, potevo trattare questi
aspetti e descrivere la verità.
La figura dell’imprenditore edile rappresenta una sorta di anti eroe. È così
solo nella finzione o anche nella realtà?
Sinceramente ho trovato in tanti romanzi insopportabile la figura dell’imprenditore dipinto sempre come disonesto, corrotto e cementificatore. Non
voglio dire che gli imprenditori italiani siano tutti santi, ma sono convinto (e
ne ho anche conosciuti diversi) che per la maggior parte siano strenui lavoratori, impegnati ogni giorno a gestire aziende in difficoltà, operai, cantieri,
fornitori. Come in ogni settore esistono luci e ombre. La verità è che sono
persone che lavorano tantissimo; con la recessione l’edilizia è il comparto
che ha patito di più e che avrebbe più bisogno di sostegno.
ROMOLO BUGARO
Svolge la professione di avvocato
fallimentare a
Padova. Il suo
esordio letterario
avviene nel 1993
con la raccolta di
racconti Indianapolis. Seguono poi
i romanzi La buona
e brava gente
della nazione (1998,
finalista al Premio
Campiello), Il venditore di libri usati
di fantascienza
(2000), Dalla parte
del fuoco (2003),
Il labirinto delle
passioni perdute
(2006, finalista al
Premio Campiello),
Ragazze del nordest
(con Marco Franzoso, 2010), Bea
vita! Crudo Nordest
(2010) e Effetto
domino (2015).
62
Come deve cambiare l’imprenditore?
Questi momenti di crisi sono anche occasioni di rilancio e di pulizia. Nella
sfortuna, il mercato ha fatto piazza pulita di soggetti poco trasparenti e inclini a lavorare senza la giusta qualità. È chiaro che bisogna cambiare rotta,
ad esempio l’Italia si sta deindustrializzando, il modello di produzione sta
cambiando. Mi riferisco ai segmenti produttivi ma non solo, anche agli spazi,
ai territori, ai distretti. Esistono intere aree da reinventare completamente
alla luce delle nuove leggi di mercato e delle nuove regole sociali. Ripensare
i luoghi è una delle prossime grandi sfide dell’Italia. Città e periferie devono cambiare e rinnovarsi e su questo gli imprenditori edili hanno margini
di manovra, sia coinvolgendo il pubblico che il privato. Anche il turismo è
sicuramente un valore su cui puntare e che potrebbe aumentare la portata
produttiva e di business dell’edilizia.
Il suo è un po’ un libro corale, fatto di tante voci. Questo stesso senso di
comunità riesce a viverlo anche nel quotidiano?
Effettivamente il senso di comunità tradizionale, quella delle piazze, dei paesini e dei quartieri, si sta perdendo. Ma nascono ogni giorno nuove comunità
unite da uno o più interessi comuni: ad esempio la comunità letteraria c’è ed
è molto presente e come quella altre. L’uomo è un animale sociale, ha bisogno di comunità, è una necessità che si porta dentro e che non può sparire.
Com’è il suo “crudo Nordest”?
I confini sono molto labili, è un attimo ritrovarsi nell’abisso. Lo ritengo un
distretto molto mobile e magmatico, sia in senso positivo che negativo, esistono anche molte realtà nuove, molto fermento. C’è voglia di fare e di crescere e abbiamo la fortuna di avere distretti ad alta specializzazione, spesso
quello che manca è un po’ di visione strategica e la volontà di fare rete.
Un testo unico regionale per rendere
possibile la rigenerazione urbana
Non si può che essere favorevole alla scelta del governo regionale di addivenire a un testo unico in materia urbanistica. I territori e le nostre città hanno
assoluto bisogno di un quadro normativo semplificato e chiaro che consenta di operare in piena trasparenza e massima efficienza. È un fattore imprescindibile se si vuole realmente avviare un processo di riqualificazione e di
rigenerazione urbana. Un’attenzione particolare deve essere prestata alla
complessità amministrativa che caratterizza oggi la regione alla luce della
nascita della città metropolitana, del ruolo di Roma capitale e della riforma
delle province. Si tratta di un quadro in evoluzione di cui tenere conto.
Il nostro punto di vista è chiaro: bisogna definire con certezza i diversi ruoli
evitando sovrapposizioni e criticità gestionali sul piano delle procedure e
delle decisioni amministrative. Vi è ampia condivisione sull’importanza di
considerare la rigenerazione urbana come un obiettivo strategico. Si tratta
allora di disporre di un insieme unitario e omogeneo di norme specifiche,
individuando chiaramente le modalità di intervento così da consentirne una
immediata attuazione. In particolare, va ripresa la normativa inserita nella
legge regionale sul Piano casa attraverso una legge ad hoc che preveda interventi di ristrutturazione e di sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione, definendo con chiarezza obiettivi, modalità di applicazione e incentivi, evitando elementi penalizzanti quali contributi straordinari o oneri
aggiuntivi. Così come appare essenziale prevedere termini perentori per le
amministrazioni estendendone la portata a tutti gli adempimenti e disponendo non solo l’esercizio del potere sostitutivo, ma anche, ove possibile,
automatismi e sanzioni per le amministrazioni non rispettose dei tempi.
La nuova legge regionale in materia urbanistica deve essere altresì l’occasione per favorire una riqualificazione che consenta di raggiungere i
massimi obiettivi sul piano dell’abbattimento dei consumi energetici, del
comfort interno degli edifici, della qualità architettonica. Ciò in sinergia
con una pianificazione e gestione dei fondi europei a sostegno di un’edilizia sostenibile e di una maggiore competitività del sistema imprenditoriale delle costruzioni della nostra regione. L’auspicio è che come in altre
occasioni si possa costruire un dialogo franco, nel rispetto dei rispettivi
ruoli e utilizzando al meglio la capacità del sistema di rappresentanza di
lavorare intorno a soluzioni condivise e attraverso una stretta collaborazione anche con il mondo dell’università e della ricerca, assumendo una
funzione importante di interlocuzione.
IL PUNTO
STEFANO
PETRUCCI
Presidente
Ance Lazio
63
Tavola rotonda
A cura di
MARTINO
ALMISISI
Il futuro di Roma fra nuova normativa
urbanistica e città metropolitana
Mimmo CECCHINI, Luciano CIOCCHETTI e Walter TOCCI, attori politici
portatori nel più recente passato di proposte a nostro parere virtuose, si
confrontano con Tito MURATORI, in rappresentanza del mondo dei costruttori edili, sul tema della rigenerazione urbana della capitale.
La regione Lazio ha avviato l’iter legislativo per il varo di un testo unico in
materia urbanistica. Con l’obiettivo di razionalizzare la materia guardando
anche alla riqualificazione e alla rigenerazione. Tra i principali intenti dichiarati quello di perseguire una forte semplificazione, nella convinzione che la
norma debba favorire la trasformazione in uno scenario sempre più orientato verso un forte contenimento del consumo del suolo. Poiché la politica
economica si fa soprattutto con le leggi, quel che ci si attende è che il nuovo
corpo normativo risulti determinante per incentivare la riqualificazione edilizia e delle periferie o delle aree degradate. Da questo punto di vista, come
ha evidenziato Walter Tocci, una legge sul consumo di suolo come quella
in discussione in Parlamento rischia di peggiorare la situazione. In questo
scenario il testo unico costituisce un passaggio importante di razionalizzazione, anche se allo stato attuale dell’iter si presenta ancora poco coraggioso e troppo condizionato da fattori di tipo ideologico che rischiano ancora
una volta di limitarne l’efficacia sul piano della fattibilità. Rendendo difficile investimenti e soprattutto replicando quelle criticità relative a tempi e a
certezze che hanno impedito sostanzialmente l’attuazione degli strumenti
di pianificazione nati e in gran parte rimasti sulla carta o solo parzialmente
attuati negli ultimi decenni. Ciò vale in modo particolare per quanto riguarda
il territorio della capitale.
Ance Lazio ha sottolineato come il testo introduca “il concetto di pianificazione e di edificabilità a termine che non tiene in alcuna considerazione
i noti, e non risolti, tempi dell’urbanistica e conseguentemente gli investimenti effettuati”. Ma le maggiori critiche riguardano proprio gli articoli
relativi alla riqualificazione urbana a causa di un’impostazione che “tende
a privilegiare la pianificazione indiretta e a prevedere incentivi di modesta
entità”. Le associazioni imprenditoriali auspicano una correzione di tiro,
prevedendo la possibilità di azioni dirette “a valle di una delibera di consiglio
comunale che individui gli ambiti territoriali di intervento, in attuazione di
criteri e procedure definiti con legge dalla regione”. Egualmente si auspicano: l’introduzione di misure incentivanti per i comuni che si adeguano agli
64
indirizzi approvati dalla regione con questa legge; una maggiore flessibilità
nelle destinazioni d’uso; la possibilità di trasferire incentivi urbanistici concessi a favore degli interventi di riqualificazione in aree già trasformabili secondo i Prg vigenti e al sostegno della fattibilità economica dell’intervento,
evitando che diventi solo vantaggio per la rendita fondiaria. Un complesso di
proposte volte a rendere vantaggiosa la riqualificazione.
A questo tema se ne aggiunge un altro di vera e propria ingegneria istituzionale: la nascita della città metropolitana e l’attuazione della legge Delrio.
Un aspetto non certo secondario che attiene alla governance del territorio
e che può avere un effetto positivo o negativo a seconda della soluzione
che si andrà a perseguire, facilitando la riqualificazione o invece rendendola
ancora, se possibile, più complicata. Una questione che sembra decisamente sottovalutata nel testo unico, in cui a Roma capitale vengono conferite
competenze urbanistiche limitate e non viene definito il coordinamento tra
Roma capitale e la città metropolitana. Un tema quanto mai delicato e sul
quale esistono posizioni diverse seppure all’interno di una visione condivisa
dell’urgente necessità di rafforzare il ruolo centrale della città metropolitana completando il processo di trasferimento di funzioni e competenze da
Roma capitale e trasformando a tutti gli effetti i municipi in comuni.
Il nostro dibattito comincia da qui, condividendo pienamente l’affermazione
di Mimmo Cecchini che all’origine di qualunque possibilità di rigenerazione c’è la questione della governance, ovvero del ruolo da protagonista del
pubblico. Cui si collega strettamente l’aspetto di chi abbia le competenze
per farlo. Per Cecchini il processo avviato con la creazione della città metropolitana va nella direzione giusta: “Non è più procrastinabile un progressivo
depotenziamento dell’amministrazione capitolina a favore dei municipi, che
sono destinati a diventare veri e propri comuni autonomi per confrontarsi
con la città metropolitana quale soggetto guida e gestore delle politiche di
area vasta”.
Opinione condivisa anche da Luciano Ciocchetti, che tuttavia critica l’efficacia della riforma istituzionale e il suo scarso coraggio: “Siamo di fronte a una
riforma sostanzialmente nominalistica. Gli obiettivi debbono essere quelli
di far sparire il comune di Roma trasformando i municipi in veri e propri comuni e lasciando soltanto la città metropolitana. Andrebbe ragionato su un
modello come quello di Londra, con un governo del centro storico con poteri
e competenze particolari vista la stretta connessione con il ruolo di capitale.
Oggi è impensabile pianificare processi di trasformazione e di rigenerazione se non in un’area vasta che va oltre il territorio dell’attuale comune di
Roma. Si pensi soltanto al pendolarismo quotidiano con tutte le implicazioni di tipo economico e sociale. O alla gestione dei servizi, da quelli legati
DOMENICO
CECCHINI
Già professore
di Urbanistica
presso la facoltà
di Ingegneria
della Sapienza
Università di
Roma e assessore
alle Politiche del
territorio del comune di Roma, è
presidente dell’Inu
Lazio. Ha scritto
libri e articoli sui
trasporti, l’edilizia,
le aree metropolitane e la loro
gestione urbanistica. Tra gli ultimi
volumi pubblicati,
Rifare città, studi
per ricostruire
un quartiere di
Roma e Scenari,
risorse, metodi e
realizzazioni per
città sostenibili,
entrambi con
Gangemi editore.
65
Tavola rotonda
LUCIANO
CIOCCHETTI
Ex vicepresidente
regionale e assessore alle Politiche
del territorio e
dell’urbanistica
nella giunta di
Renata Polverini,
ha iniziato la sua
attività politica a
inizio anni ’80. Negli anni ’90 è stato
consigliere comunale di Roma, per
poi arrivare al consiglio regionale del
Lazio, dapprima
come capogruppo
e come assessore
all’urbanistica
e casa. Rieletto
per tre volte alla
Camera dei deputati, in Parlamento
si è occupato di
proposte di legge
a favore dello
sviluppo del Lazio.
66
alla mobilità ai rifiuti. Va rafforzato il ruolo di vicinanza ai cittadini offrendo
agli ex municipi diventati comuni tutti gli strumenti per una gestione della
quotidianità”.
Walter Tocci ha una visione un po’ diversa. La sua proposta, descritta in un
suo recente libro1 in cui analizza le ragioni del degrado amministrativo e fisico di Roma, va oltre l’impostazione della legge Delrio, verso una maggiore
aggregazione delle competenze. “Ritengo che si debba andare oltre la città
metropolitana per approdare alla creazione di una ‘regione capitale’. Si potrebbe così superare lo squilibrio tra la regione e Roma a favore di quest’ultima, che non verrebbe risolto con l’attuale quadro legislativo. Inoltre con la
città metropolitana si è creato un ulteriore livello decisionale, aggravando
la già complicata situazione di tempi e procedure troppo lunghi. L’obiettivo deve essere la semplificazione e non viceversa. Per questo appare fondamentale mettere mano alla legge Delrio prevedendo lo scioglimento del
comune di Roma a favore da un lato della trasformazione dei municipi in
comuni autonomi, dall’altro del rafforzamento della città metropolitana.
Stupisce che questo passaggio non sia stato già avviato utilizzando l’occasione offerta dal commissariamento con la conseguente scadenza elettorale. I prossimi cinque anni saranno decisivi per il trasferimento di competenze
e per realizzare la riforma. In questo periodo devono lievitare la riflessione e
il confronto sul passaggio successivo verso una soluzione simile a quella di
Parigi, creando la regione capitale. Un’ipotesi che può collocarsi in maniera
organica all’interno del processo di riduzione del numero delle regioni, sul
quale Toscana e Marche hanno iniziato a confrontarsi. Ciò comporterà una
riorganizzazione territoriale che va perseguita da un lato sulla base delle vocazioni e della storia economico-sociale dei diversi territori, dall’altro ricorrendo alla consultazione popolare”. Si tratta di una questione aperta.
“Comunque”, sottolinea Cecchini, “al di là del modello di ingegneria istituzionale quel che conta è la volontà di decidere e di governare. Le ragioni della degenerazione di Roma vanno individuate soprattutto qui. Vi è una corresponsabilità dei diversi livelli di governo che può addebitata a un corpo legislativo
che ha determinato sovrapposizioni e la proliferazione delle decisioni. Che poi
sono la causa prima della corruzione. Il decisore pubblico deve riappropriarsi
del suo ruolo di guida e di attore da cui dipende la trasformazione della città.
Da questo punto di vista quel che è avvenuto e continua ad avvenire è esattamente il contrario. La politica e gli amministratori che si sono succeduti nelle
ultime legislature hanno rinunciare a svolgere questo ruolo, delegando e lasciando che fossero altri - in modo spontaneo e spesso fuori dalle regole - a
decidere come dovesse cambiare la città. A ciò si è aggiunta la degenerazione
della macchina amministrativa che ha aggravato ulteriormente la situazione”.
Condivide Tito Muratori: “Il nodo è la macchina e l’incapacità della politica
di saperla gestire e trasformare. La situazione attuale è frutto di processi
che hanno portato a un moltiplicarsi di centri decisionali, a un sovrapporsi
di competenze, a un dilatarsi di passaggi burocratici. Tutto questo facilita
blocchi e un esercizio diffuso di micro poteri che dilatati all’infinito diventano terreno fertile per comportamenti corruttivi. La politica ha rinunciato
a mettere ordine e a esercitare la sua funzione di controllo, di guida e di
gestione della macchina. Chi ha guidato Roma negli ultimi anni ha creato
una simbiosi devastante con la macchina amministrativa sviluppando attività che nulla hanno a che vedere con il governo della città e con l’interesse
pubblico”.
(1) Walter Tocci,
Roma, Non si
piange su una
città coloniale.
Note sulla politica
romana, Goware,
Firenze 2015.
Sulla debolezza della politica che ha lasciato fare alla macchina amministrativa concorda pienamente anche Ciocchetti, che sottolinea come “si sia
perduta completamente la capacità di pianificazione e di programmazione,
senza la quale non può esservi rigenerazione”. Così come Tocci, per il quale “al centro del degrado della città vi è la rinuncia a governare e gestire la
macchina amministrativa. Una paralisi cui hanno contribuito un modello e
una cultura basati sulla formalità normativa. Ciò ha determinato una proliferazione di regole e regolette che da un lato rendono pressoché inevitabile
sbagliare, dall’altro hanno consentito una crescita del malaffare legato all’operatività amministrativa”.
Arriviamo così al dunque, ovvero al tema della paralisi, del degrado amministrativo che costituisce la causa prima l’ostacolo principale da rimuovere.
Per Muratori è “assolutamente pretestuoso e inutile parlare di rigenerazione urbana a Roma. A meno che non vogliamo intendere una rigenerazione
del tessuto amministrativo della capitale. Perché possiamo fare nuove leggi, definire nuovi strumenti di pianificazione, rivedere quelli attuali che non
hanno funzionato, ma il nodo da sciogliere è un altro: è il funzionamento, o
meglio il non funzionamento e il degrado morale e tecnico della macchina
che gestisce il Campidoglio. Un processo cui abbiamo assistito impotenti in
questi ultimi anni in modo drammatico. Abbiamo protestato, ci siamo difesi, abbiamo denunciato e cercato di sensibilizzare la classe politica. Certo
molti hanno dovuto soccombere, cedere ai ricatti. Altri hanno rinunciato e la
crisi li ha aiutati a fare scelte dolorose ma inevitabili. Chi è riuscito a sopravvivere subisce ogni giorno angherie e vive un continuo calvario tra procedure
infinite e silenzi. Fare impresa a Roma è diventato impossibile. Il blocco amministrativo che viviamo costantemente e che è all’origine anche del sempre
più diffuso fenomeno della corruzione sta uccidendo la nostra città. Un solo
dato definisce questa assurda situazione. A Roma negli ultimi quattro anni
sono state presentate 220 richieste di concessioni edilizie riguardanti inter-
TITO MURATORI
È vicepresidente
di Acer, Ance
Roma, responsabile edilizia privata
e urbanistica. Da
40 anni con la sua
impresa familiare
opera nel settore dell’edilizia
residenziale e
non residenziale
privata e nell’edilizia sociale, sia
in proprio che in
raggruppamento
con altre imprese.
67
Tavola rotonda
WALTER TOCCI
Laureato in fisica
e in filosofia, dal
2013 è senatore.
Ha iniziato la
sua esperienza
politica nella
periferia romana,
come presidente
dell’allora Quinta
circoscrizione (la
Tiburtina) e poi
come consigliere
comunale. Dal
1993 al 2001 stato
vicesindaco di
Roma e assessore
alla Mobilità con
la giunta Rutelli.
Successivamente
è stato eletto
alla Camera dei
deputati. È stato
direttore del
Centro per la riforma dello Stato
e ha pubblicato
libri su Roma e
sulla scienza.
68
venti collegati alla legge regionale sul Piano casa. Potenziali interventi di
riqualificazione di edifici abbandonati, capannoni, aree degradate. Ebbene
di queste “licenze”, per usare una vecchia denominazione, ne sono state
rilasciate soltanto 15. Questa è la gestione dell’edilizia a Roma”.
Per Tocci bisogna “superare il normativismo imperante e tornare a puntare
sulla competenza. Oggi se si vogliono realmente riavviare processi virtuosi
in grado di contrastare il degrado fisico, economico e sociale della città sono
essenziali da un lato una visione del futuro di Roma e una volontà politica che si concretizzi in una logica di squadra e in un forte intervento sulla
macchina comunale, dando segnali chiari sui comportamenti da tenere e
sul rigore in termini di correttezza e di rispetto dei cittadini e delle imprese.
Dall’altro va avviato un grande piano di ricostituzione di elevate competenze
tecniche. Solo in questo modo sarà possibile un’amministrazione ordinaria
e quotidiana che torni ad operare assumendosi le responsabilità e dando efficienza alla macchina. Ogni altra idea o percorso è destinato al fallimento”.
Ecco il punto. Lo sottolinea Muratori trovando piena affinità di idee con l’ex
assessore alla Mobilità delle giunte guidate da Francesco Rutelli negli anni
in cui la trasformazione della città c’è stata. Un passato che sembra lontanissimo. “L’arroganza che ogni giorno come imprenditori riscontriamo negli
uffici comunali è testimonianza chiara di un’impunibilità, dell’affermazione
di una cultura degradata e malandrina che è diventata la caratteristica principale di questa amministrazione. La perdita di competenza pesa in maniera
determinante nel mancato esercizio delle dovute responsabilità. Chi verrà
chiamato a governare Roma dovrà innanzitutto mettere mano a questa situazione insostenibile. Lo dovrà fare con l’autorevolezza della politica, con
la capacità di bonificare e di selezionare, con coraggio, chiamando a raccolta
le forze sane e oneste che ancora vivono e operano. E avviando un’opera
di ricostruzione del personale e della dirigenza basata su competenze forti,
aperta alle esigenze della città e in grado di esercitare le proprie funzioni con
un forte senso di responsabilità”.
La rinuncia a governare ha voluto dire anche rinuncia a pianificare. Ricorda
Cecchini come “durante le giunte Rutelli vi era un coordinamento stabile
tra gli assessorati coinvolti nella trasformazione urbana e si lavorava su
grandi piante aggiornate che ci consentivano di pianificare partendo dalla città reale per decidere come trasformarla. Era fondamentale la consapevolezza che le decisioni maturavano nel lavoro quotidiano e di squadra
all’interno della giunta. Così come il controllo sul funzionamento o meno
della macchina era costante, quotidiano. In sintesi, per la rigenerazione di
un tessuto urbano è necessario un metodo di governo e un’amministrazio-
ne che guidi e decida in una logica di semplificazione e guardando alla città
nel suo complesso”.
Cecchini
“Il decisore
pubblico deve
Anche per Ciocchetti “se si vuole realmente avviare una stagione di rigenerazione a Roma è essenziale una grande capacità di programmazione,
accompagnata da un quadro normativo a sostegno. In questo ambito uno
dei nodi da sciogliere riguarda i piani attuativi e particolareggiati, per renderli più snelli facilitando soprattutto il cambio di destinazione d’uso, in
una logica di flessibilità che deve ovviamente rispondere agli strumenti
urbanistici esistenti. Il corpo normativo va concepito secondo una logica
di facilitazione della riqualificazione, non di ostacolo, come spesso è avvenuto e in gran parte ancora avviene. il Piano casa nazionale e poi regionale
andava in questa direzione, individuando nella leva fiscale e nei premi di
cubatura le modalità più efficaci per favorire la riqualificazione del patrimonio esistente così come l’edilizia di sostituzione. Oggi è il momento di
rendere strutturali quelle norme attualmente considerate straordinarie,
andando nella direzione di una riduzione sempre maggiore dei passaggi
decisionali. Che poi è un modo concreto ed efficace di togliere ossigeno
alla corruzione, che come tutti sappiamo vive e prospera sulla ridondanza
amministrativa. Bisogna procedere sempre più nella direzione di una pubblica amministrazione con compiti di controllo, abbandonando la logica
delle autorizzazioni. Bisogna allargare le autocertificazioni, sollevando le
amministrazioni da pratiche burocratiche inutili e spesso dannose anche
dal punto di vista dei costi, sia per le imprese che per la collettività. Si
tratta poi di valorizzare lo strumento dei piani integrati individuando con
chiarezza procedure snelle, chiare e certe per quanto riguarda i tempi decisionali del pubblico. Il fattore tempo è infatti determinante e vanno trovate le soluzioni più appropriate per impedire una gestione ritardatrice da
parte della macchina comunale”.
riappropriarsi
del suo ruolo di
guida e di attore
da cui dipende la
trasformazione
della città”
Ciocchetti
“Oggi è impensabile pianificare
processi di trasformazione e di rigenerazione se non
in un’area vasta
che va oltre il territorio dell’attuale
comune di Roma”
Muratori
“È assolutamente
pretestuoso e
inutile parlare
di rigenerazione
urbana a Roma. A
meno che non vogliamo intendere
una rigenerazione
del tessuto
amministrativo
Per Tocci “gestire processi di trasformazione vuol dire muoversi con rispetto, ma anche con creatività all’interno di un reticolo normativo che va assolutamente razionalizzato. In questo senso il testo unico sull’urbanistica
che la regione Lazio sta predisponendo può e deve costituire uno strumento di semplificazione e di indirizzo che deve facilitare la programmazione
così come le fasi decisionali. Sono presupposti imprescindibili se si vuole
che l’investimento pubblico abbia un effetto volano sul mercato privato.
Così come è essenziale che posizioni corrette dal punto di vista teorico
come lo slogan consumo di suolo zero vadano calate nelle specifiche realtà. Per quanto riguarda Roma questo significa considerare le caratteristiche assunte nel tempo dallo sviluppo edilizio, comprendendo il ruolo
importantissimo delle ricuciture”.
della capitale”
TOCCI
“Gestire processi
di trasformazione
vuol dire muoversi
con rispetto, ma
anche con creatività all’interno
di un reticolo
normativo che va
assolutamente
razionalizzato”
FOCUS
Rigenerare le periferie romane
L’intervento sui quartieri romani degradati deve essere coerente con gli indirizzi dei programmi di rigenerazione urbana europei: densificare, connettere, ricucire, progettare spazi pubblici, aumentare le aree verdi, potenziare il
trasporto pubblico.
DOMIZIA
MANDOLESI
Architetto,
è docente di
progettazione
architettonica
presso la facoltà di
Architettura Sapienza Università
di Roma. Insieme
ad Alessandra De
Cesaris è autrice
del volume Rigenerare le aree periferiche. Ricerche e
progetti per la città
contemporanea,
Quodlibet, Roma
2015, da cui è tratto, seppure in forma leggermente
rivisitata, l’articolo
qui pubblicato.
70
È opinione ampiamente condivisa che la dispersione urbana non governata sia
la causa di danni economici, ambientali e sociali e che intervenire per non reiterare e riparare i danni fatti sia un fatto complesso, ma possibile a partire da una
precisa volontà politica e da un’azione progettuale capace di far convergere verso
obiettivi comuni i diversi attori coinvolti nella trasformazione del territorio. Trasformazione che deve puntare a una maggiore compattezza dei tessuti urbani
per ridurre gli sprechi dovuti all’uso quotidiano del mezzo di trasporto privato e
ai consumi energetici, per favorire la coesione sociale e migliorare la qualità della
vita. In questo scenario, con riferimento alla situazione italiana e in particolare
alla città di Roma, sono due i principali temi da affrontare: la manutenzione e
l’adeguamento del patrimonio edilizio esistente agli stili di vita contemporanei;
la rifunzionalizzazione dei grandi vuoti residuali dell’arcipelago metropolitano.
Adeguamento e rifunzionalizzazione
Il primo tema è legato alla presenza di un vasto patrimonio edilizio composto
per la maggior parte da abitazioni, molte di proprietà privata, costruito nel trentennio successivo al secondo dopoguerra. In quegli anni si è dovuto far fronte
in tempi ristretti alla forte crescita della popolazione urbana, adottando piani
urbanistici semplificati basati sulla separazione delle funzioni, senza un’adeguata dotazione di infrastrutture e, molto spesso, realizzando edifici di scarso
livello architettonico e costruttivo. Inoltre questo patrimonio, che in parte ha
superato i 40 anni di vita, oltre alla scarsa efficienza funzionale è soggetto a
rapido deterioramento fisico, costituendo una delle principali cause di consumo energetico e di inquinamento ambientale. Le diverse tipologie edilizie che
formano questo stock abitativo generano condizioni urbane con problematiche diverse. I complessi di edilizia residenziale pubblica costruiti dagli anni ‘50
fino alla metà degli anni ‘80, ad esempio, pur dotati di un disegno unitario e di
standard più elevati per quanto riguarda aree verdi, spazi pubblici e parcheggi,
sono caratterizzati da edilizia scadente e scarsa manutenzione degli spazi aperti; inoltre sono spesso isolati dal resto della città. I quartieri della speculazione
degli anni ‘60 e ‘70, a fronte forse di un maggior decoro edilizio, sono invece
caratterizzati da densità troppo alte e sono carenti di verde e luoghi pubblici. Gli
insediamenti abusivi, seguendo logiche insediative spontanee, sono privi di un
disegno e di infrastrutture urbanistiche e viarie e sono caratterizzati da qualità
edilizia scadente e da una grave carenza di servizi primari. Va infine considerato
il notevole numero di seconde case (3,5 milioni), distribuite per la maggior parte
lungo il litorale costiero. Al di là dei differenti livelli di criticità, questo patrimonio rappresenta una grande risorsa su cui intervenire per valorizzarlo in termini
di qualità architettonica e urbana, di risparmio energetico e di contenimento del
consumo di suolo. Riguardo al tema della rifunzionalizzazione dei grandi vuoti
dovuti al fenomeno della dispersione urbana, è necessario fare riferimento a
modelli alternativi a quello della città compatta tenendo conto del paesaggio
naturale e agrario che, ad esempio, in una città come Roma occupa vaste aree
tra un insediamento e l’altro divenendo parte integrante dell’organismo urbano.
È chiaro allora che per una valorizzazione complessiva del paesaggio esistente
è necessario operare a scale diverse tra loro interrelate, che vanno dal singolo
manufatto al complesso edilizio o isolato fino al quartiere o settore urbano. Per
il singolo edificio si tratta di intervenire sulla manutenzione, sul risanamento
statico ed energetico, su modifiche parziali o totali tramite integrazione o completa sostituzione, sulla riorganizzazione dei percorsi e sui tagli degli alloggi. Per
l’isolato o il complesso edilizio si tratta di migliorare le prestazioni energetiche
e tecnologiche e l’immagine architettonica, di disegnare gli spazi collettivi (viabilità, percorsi pedonali, aree verdi, luoghi di incontro), di integrare nuovi servizi
e aree verdi. Per il settore urbano o quartiere sono da prevedere operazioni complesse e integrate alla scala del progetto urbano, che riguardano il sistema delle
reti del trasporto e dei sottoservizi e il rilancio economico e occupazionale.
Le parole chiave della rigenerazione
Considerando le esperienze di rigenerazione più avanzate a livello internazionale, per un’incisiva azione di riqualificazione degli ambiti più degradati dei nostri
paesaggi urbani si possono individuare alcune parole chiave: densificazione,
identità degli spazi pubblici, articolazione sociale, mix funzionale, corridoi ambientali, risparmio energetico, infrastrutture e trasporto collettivo.
Veduta d’insieme del
quartiere Tiburtino
III a Roma, oggetto
del Concorso
internazionale
Pass (Progetto per
abitazioni sociali
sostenibili) bandito
da Ater nel 2010.
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FOCUS
Densificazione urbana è un termine di cui sciogliere alcune ambiguità. La prima idea che richiama è infatti quella negativa della compressione di edifici e
persone in aree esigue con finalità speculative. In un’accezione positiva questo
termine va invece associato al principio di sfruttare al meglio le risorse - accessibilità, infrastrutture, servizi, verde - già esistenti all’interno dei tessuti. Se e
come densificare è una scelta da fare caso per caso, interpretando le differenze
delle diverse aree di intervento e in base a obiettivi strategici più generali che
senza voler perseguire il solo modello della città compatta ricerchino modelli alternativi maggiormente adatti a rappresentare le dinamiche socio-economiche
contemporanee. A quello della densità edilizia è legato il tema della morfologia
e dell’identità dei vuoti: lavorare sui luoghi dell’incontro e dello scambio, sugli
spazi della vita collettiva per vincere l’impoverimento e l’abbandono dello spazio pubblico significa dare una forma riconoscibile ai tessuti urbani.
Invertire pericolosi processi di polarizzazione sociale favorendo la formazione
di un ambiente sociale misto attraverso un’offerta variegata, adeguata all’evoluzione della domanda e della struttura familiare, e alloggi pensati per diverse
categorie di abitanti è un altro obiettivo centrale degli interventi di rigenerazione insieme a quello del mix funzionale. L’inserimento di funzioni diversificate
per superare l’idea dei quartieri dormitorio e ridurre i tempi degli spostamenti a
vantaggio del tempo libero facilita la vita nei quartieri rendendoli più attrattivi.
Infine, da un nuovo equilibrio tra sistema del verde e costruito dipende la qualità energetica e ambientale degli insediamenti, mentre opportuni investimenti
sulle reti del trasporto pubblico, riducendo l’uso del mezzo privato, favoriscono
la mobilità alternativa e aumentano l’accessibilità come chiave per il rilancio
sociale ed economico dei quartieri più emarginati.
Sistemi di relazioni, spazi pubblici, accessibilità
I problemi che affliggono la città di Roma, rendendo inaccessibili e poco vivibili i
suoi quartieri - sia quelli frutto delle espansioni più recenti, sia quelli delle periferie ormai consolidate e considerate centrali - non sono, infatti, dovuti solo alle
condizioni dell’edificato ma anche al degrado e alla mancanza di identità degli
spazi vuoti, alla mancanza cioè di quel sistema di relazioni a differenti scale che
genera la forma della città e che costituisce il legante fondamentale di una comunità urbana. Le cause della carenza di spazi pubblici e del loro degrado sono
da attribuire a diversi fattori: la mancanza di un disegno del suolo; rapporti sbagliati o non studiati tra gli edifici e la maglia stradale, tra gli spazi privati e quelli
collettivi; l’elevato traffico veicolare e la continua occupazione di suolo pubblico
libero da parte di parcheggi auto ed esercizi privati. A questi fattori si aggiunge
la mancanza di una cultura dello spazio pubblico sia da parte dei cittadini che
dell’amministrazione romana che ha portato sempre più, oltre alla ben nota e
diffusa incuria, a una grave assenza di progettualità pianificata dei luoghi di relazione tra le diverse componenti del tessuto edilizio e la rete delle infrastrutture
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Per un abitare condiviso e sostenibile
HousingLab è il laboratorio all’interno del DiAP (Dipartimento di Architettura e Progetto) della Sapienza Università di Roma di cui sono responsabili scientifici Alessandra De Cesaris e Domizia Mandolesi. Affronta in particolare
i temi della rigenerazione urbana e dell’innovazione tipologica, assumendo come ambito di studio Roma e le sue
aree periferiche. Obiettivo di HousingLab è promuovere modelli di crescita dei territori urbani basati su quanto
già esiste, attraverso azioni di stratificazione, densificazione, innesto. Il laboratorio affronta con studi, progetti e
ricerche le questioni relative agli strumenti, alle procedure e alle strategie progettuali da attivare per riqualificare
i tessuti urbani sia di formazione spontanea che pianificati nelle aree periferiche delle grandi città. Uno dei filoni
di ricerca è pertanto quello della rigenerazione dei complessi di edilizia residenziale pubblica costruiti a Roma
dagli anni Cinquanta in poi. In particolare, si sta lavorando alla definizione di linee guida per interventi di trasformazione dell’esistente basati su un, modello di housing contemporaneo condiviso e sostenibile sotto il profilo
economico, energetico e sociale. A questo scopo sono stati individuati casi studio scelti tra gli interventi di edilizia
pubblica costruiti nei primi anni Ottanta, come i quartieri di Tor Bella Monaca e Tiburtino III, che al di là delle peculiarità presentano tra loro analogie sia per le caratteristiche edilizie e urbane, sia per le criticità.
di trasporto. Nelle principali città italiane stentano, infatti, ad affermarsi principi
di organizzazione della mobilità e della logistica urbana in grado di assicurare
l’impiego ottimale di veicoli e infrastrutture e di contribuire sia alla riduzione
dell’inquinamento che all’accessibilità delle aree periferiche marginali. La necessità di risolvere questi problemi, associata a quella di ridurre i consumi energetici degli edifici entro il 2020, secondo quanto previsto dalla Comunità europea,
costituisce un’opportunità per attivare progetti di trasformazione dei quartieri
esistenti con interventi a diverse scale.
Ripartire dal Prg e dall’agenda europea
Per vincere la logica dei progetti episodici ed estemporanei, sempre più frequentemente praticata nella città di Roma, e riportare la questione della trasformazione urbana all’interno di un processo che lavori sulla forma come strumento
per ottenere una qualità urbana diffusa, configurazione e modi d’uso dei singoli
quartieri vanno ripensati all’interno di un quadro organico di interventi. L’ultimo
Prg di Roma del 2008 fornisce indicazioni e strumenti che aspettano di divenire
operativi con progetti basati su interventi tra loro integrati e relativi alla riqualificazione edilizia, alla riorganizzazione della rete delle infrastrutture, al disegno del
suolo e degli spazi vuoti. I tessuti urbani sono organismi in continua evoluzione,
da completare e rinnovare in relazione alle esigenze della vita contemporanea. La
strada da seguire per individuare strategie e proposte da attuare nei quartieri di
Roma è muoversi all’interno del più ampio processo di adeguamento dei tessuti
metropolitani ai criteri di sostenibilità sociale, economica, energetica e ambientale fissati dall’agenda europea. In particolare, vanno messe a punto strategie di
rigenerazione e soluzioni progettuali che, limitando interventi pesanti di demolizione e contenendo il consumo di suolo, lavorino sull’esistente. Anche attraverso
operazioni minime, opportunamente coordinate alle diverse scale e messe a sistema, è possibile produrre trasformazioni radicali dei singoli quartieri.
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FOCUS
A cura di
MIMOSA MARTINI
Viterbo: per una città a misura
di cittadino
A colloquio con Andrea Belli, presidente di Ance Viterbo, sul tema della
rigenerazione urbana e della valorizzazione del territorio viterbese, ricco di
borghi, centri storici e beni archeologici. Belli ci racconta anche di un’iniziativa in corso, il bando di progettazione Le piazze fanno centro.
Sette piazze per fare centro
Il bando promosso dal comune di Viterbo e da Ance Viterbo, Le piazze fanno centro, incentiva le migliori
idee progettuali finalizzate a una riqualificazione completa delle piazze principali di Viterbo e dei reciproci collegamenti. Elementi premianti sono la sperimentazione di nuovi materiali e tecniche costruttive durabili nel tempo, modalità di risparmio energetico e di sostenibilità ambientale, pregio estetico
e resistenza agli atti vandalici dell’arredo urbano. Sono sette le piazze interessate:
•
•
•
ANDREA BELLI
Amministratore delegato e
socio della Belli
Srl, azienda che si
occupa prevalentemente di edilizia
e impiantistica,
ha sempre svolto
un ruolo attivo
per il settore edile
locale: negli anni
è stato presidente
dell’Ente scuola
edile di Viterbo ed
è attualmente presidente di Ance Viterbo e della Cassa
edile di Viterbo.
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A che punto siamo in Italia in tema di rigenerazione urbana e cosa sta cambiando (se qualcosa sta cambiando) secondo lei?
Anche su questo tema l’Italia è fortemente divisa tra Nord e Sud. Basti pensare a Milano, città in continua evoluzione, attenta a molti aspetti di rigenerazione urbana, più in linea con le altre città europee. Se invece devo parlare
di Viterbo, ma anche della nostra regione più in generale, è chiaro che non
esiste la stessa attenzione e, anzi, siamo indietro e fermi anche su progetti
importanti. La colpa, secondo la mia visione delle cose, è soprattutto delle
normative. L’edilizia in questo momento sta ripartendo con fatica e gran
parte degli ostacoli sono dovuti a una burocrazia complicata e lenta, che non
segue il passo dei tempi. Gli imprenditori hanno capito, grazie alle leggi di
mercato, che devono evolversi, puntare sulla sostenibilità, su demolizione e
ricostruzione, sulla riqualificazione dell’esistente, ma si ritrovano affossati
da un sistema di leggi vecchio e ricco di cavilli. Se il processo fosse più fluido si potrebbero facilmente creare nuovi quartieri, più verdi, più efficienti,
all’interno dei quali sarebbe più facile vendere gli appartamenti in classe A
perché oggi le persone non guardano solo l’appartamento, ma cercano anche
contesti abitativi piacevoli e funzionali.
Lei ha sott’occhio un territorio molto particolare, ricco di storia e di beni archeologici. Quanto influisce tutto ciò sulla rigenerazione dei centri urbani?
Certamente per salvaguardare il nostro patrimonio storico non si può puntare
su demolizione e ricostruzione, per lo meno per quanto riguarda i borghi e i
centri storici. Piuttosto la ricetta è quella della rigenerazione: valorizzare ciò
che si ha sotto più punti di vista: dal decoro urbano al verde, dalla viabilità ai
servizi. Dato che abbiamo la fortuna di vivere circondati da “pezzi di storia”,
dobbiamo puntare su questo valore per invogliare le persone a visitare i nostri
borghi e i centri storici. Viterbo, come molte città del Lazio, purtroppo non è
ancora a misura di cittadino. Essendo una piccola di città ha alcuni vantaggi,
ma rimane comunque un centro urbano che ha bisogno di manutenzione continua, di rilancio dei servizi e di un nuovo piano di viabilità, anche ecologica.
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piazza San Sisto, una delle porte di accesso al centro storico;
piazza Fontana grande, che insieme a piazza del Plebiscito e piazza del Gesù rappresenta il sistema di spazi aperti prevalenti del centro storico di Viterbo;
piazza del Plebiscito, area centrale per eccellenza già dal 1200, che rappresenta il polo pulsante
della città;
piazza delle Erbe, lo slargo che collega gli assi commerciali di via Roma e corso Italia;
piazza del Gesù, uno degli spazi più importanti della città, di notevole interesse storico artistico;
piazza della Morte, così chiamata perché vi aveva sede la comunità religiosa “dell’orazione della
morte”, è il punto di accesso alla Viterbo sotterranea e insieme a piazza del Gesù è il centro della
movida cittadina;
piazza San Lorenzo, una delle più belle, con monumenti di grande rilievo artistico ed architettonico; qui
sbarcheranno gli ascensori che collegano alla Valle Faul e sarà una nuova porta d’accesso al centro storico.
Quali sono le azioni che, come costruttori, state portando avanti per rendere
la città più vivibile e smart?
Per fortuna la tecnologia va più veloce degli amministratori, e in alcuni casi
questo fa in modo che si prendano decisioni rapide su alcuni aspetti. Il vero
75
FOCUS
problema del nostro territorio, però, è che manca una visione strategica generale. Si dovrebbe pensare a un piano integrato per edilizia, infrastrutture,
viabilità e servizi, in modo tale da avere una mappa generale che metta in connessione tutti gli elementi in modo sinergico e dove ognuno sia di supporto
agli altri. Per ora noi stiamo collaborando con l’amministrazione proponendo
alcune azioni, tra cui il bando di progettazione Le piazze fanno centro.
Ci parli di questa iniziativa.
È un bando rivolto ai giovani architetti italiani per la riqualificazione di tutte
le piazze storiche di Viterbo, un’iniziativa che sta riscuotendo successo. La
nostra intenzione, insieme all’amministrazione comunale, è quella di avviare interventi di riqualificazione di alto livello per la nostra città, ripartendo proprio dalle piazze, che sono il cuore di Viterbo e la rappresentano in
tutta la sua bellezza. I progetti possono riguardare sia interventi di edilizia
e arredo urbano, sia di viabilità, come aree pedonali o bike sharing, sia operazioni di alta tecnologia come applicazioni o cartellonistiche touch screen.
È il primo passo di un percorso verso il cambiamento, un modo di rilanciare
la città coinvolgendo i professionisti. Riteniamo che questo possa attivare
poi anche altre iniziative che serviranno a rendere Viterbo una città più a
misura di cittadino.
Cosa secondo lei funziona e cosa no del nostro sistema di valorizzazione
turistico-culturale?
Per il rilancio di Viterbo esistono due direttrici e una è sicuramente il turismo.
C’è l’intenzione, da parte delle istituzioni, di incoraggiare i turisti in visita a
Roma a fare tappa anche a Viterbo. Un’operazione da far partire al più presto
attraverso un progetto specifico di promozione. La seconda direttrice riguarda invece la possibilità di invogliare i cittadini residenti a Roma a trasferirsi
a Viterbo o a Civitavecchia, pur lavorando nella capitale. Per quanto riguarda
Civitavecchia l’operazione risulta più semplice grazie ai collegamenti tra le
due città, sicuramente più facili e veloci. Stiamo lavorando però affinché si
facciano ripartire al più presto i lavori per La Viterbo-Civitavecchia, che potrebbe ribaltare in tempi rapidi questa situazione di stallo.
In questa visione, qual è il ruolo specifico che possono avere i costruttori?
Le nostre imprese hanno vissuto tempi bui, ma si sono sapute reinventare
puntando su tecnologia e sostenibilità e abbiamo cercato di agevolarle offrendo insieme agli enti paritetici corsi di formazione specifici. Noi costruttori
dovremo comunque continuare a dare il nostro supporto tecnico, affiancando
la politica con azioni di marketing territoriale e di consulenza tecnica, cercando anche di ottenere abitazioni sostenibili e moderne e quartieri residenziali
gradevoli ed efficienti. Solo con la qualità si ottengono i risultati migliori.
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L’internazionalizzazione, un’opportunità
da cogliere
Un recente convegno organizzato da Ance Frosinone spinge sull’apertura anche delle Pmi verso paesi esteri come risposta alla crisi del mercato
locale. Ma servono carte in regola in termini di competenze e qualità.
Convegno
A cura di
Emanuele
Incanto
Frosinone è la provincia laziale più colpita dalla crisi che ancora attanaglia
l’economia e mantiene in una profonda recessione l’industria locale delle costruzioni. Come ricorda Domenico Paglia, presidente dell’Ance provinciale, “i
dati che abbiamo a nostra disposizione fotografano una situazione ancora
peggiore della media nazionale. E quel che più colpisce è che continuiamo
a registrare una contrazione sia del numero dei lavoratori che delle imprese
attive. Questa situazione è dovuta alle forti difficoltà del mercato privato,
sostanzialmente fermo ormai da anni, così come a una costante contrazione
degli investimenti pubblici. Dobbiamo dunque renderci conto che il mercato
si è fortemente ristretto e che dobbiamo cercare altrove nuove occasioni di
lavoro e nuovi spazi”.
Oltre a Frosinone e al Lazio, il mondo
Da qui la scelta di Ance Frosinone di accelerare un processo già avviato di
attenzione all’internazionalizzazione, con missioni e iniziative di riflessione e di confronto. Compito dell’associazione è soprattutto quello di favorire “la consapevolezza che oltre Frosinone, la provincia, Roma e il Lazio c’è
un mondo dove, come hanno fatto e stanno facendo anche alcune nostre
piccole imprese, è possibile competere con successo. Andare all’estero non
è facile, bisogna acquisire conoscenze, avere l’accortezza di farsi guidare
e individuare gli ambiti e le opportunità più confacenti alle caratteristiche
di un impresa che nella maggior parte dei casi è di piccole dimensioni. Le
specializzazioni da un lato e la disponibilità a trovare forme nuove di aggregazione, dall’altro, sono aspetti che possono fare la differenza e facilitare l’approdo su mercati esteri”. Le opportunità non mancano, anche se per
la dimensione delle opere e dei progetti - che riguardano soprattutto paesi
arabi o oltre Oceano - si tratta nella maggior parte dei casi di occasioni più a
misura di grande impresa. Per Massimo Rustico, ministro plenipotenziario
che promuove e coordina le attività all’estero delle imprese di costruzione
aderenti all’Ance, non bisogna tuttavia sottovalutare la possibilità di inserirsi agganciandosi a programmi come quelli seguiti dal ministero degli Esteri,
soprattutto in alcuni paesi dell’Europa orientale.
77
Convegno
Strumenti di qualificazione per affermarsi all’estero
Anche nel convegno organizzato il 4 marzo a Frosinone dall’Ance provinciale, “L’Industria delle costruzioni: nuovi scenari di mercato ed internazionalizzazione delle Pmi”, è emersa con evidenza l’importanza dell’associazione
di categoria. Come veicolo di informazione, ma anche di orientamento, offrendo alle imprese strumenti concreti per avvicinarsi a mercati dove regole, norme, consuetudini ma anche reti relazionali risultano differenti dalle
nostre. Uno degli aspetti importanti riguarda alcune richieste specifiche
da parte di questi mercati, quali ad esempio il livello di qualificazione, la
capacità di trasmettere informazioni verificabili riguardanti le competenze
e la qualità offerta dall’impresa. Ecco che allora dotarsi ad esempio di un
marchio cui corrispondano parametri di valutazione oggettivi e riconosciuti,
in una logica di rating, può aiutare a posizionarsi. Va in questa direzione
l’iniziativa di Unioncamere di dotare le imprese del settore edile interessate
all’internazionalizzazione di un marchio, seguendo un percorso trasparente
riguardante sia la solidità dell’azienda che le competenze acquisite nel tempo.Il convegno ha altresì fatto emergere l’importanza che gli imprenditori
locali sappiano cogliere con chiarezza il vento forte del cambiamento, che
riguarda sia il mercato interno che le regole e le dimensioni dei mercati esteri. in particolare deve crescere la consapevolezza della necessità di guardare
alle opportunità con occhi nuovi, aumentando il livello di managerialità attraverso competenze organizzative poco utilizzate in passato nelle costruzioni. Un processo inevitabile soprattutto qualora si intendano approcciare i
mercati internazionali.
Le pagine di CdC
PROGETTO CRESCITA
Maggio – novembre 2016, Trieste
Ance Trieste - in collaborazione con Civiltà di Cantiere/Est magazine e Strategie & Comunicazione – ha promosso il ciclo di formazione Progetto Crescita, volto a favorire lo scambio e la
condivisione su una nuova cultura del costruire. Un progetto che, anche con il coinvolgimento degli ordini e collegi professionali, delle università e enti di ricerca, si prefigge i seguenti
obiettivi: capire e guidare i processi di innovazione, favorire percorsi di crescita, di sviluppo
economico e sociale, individuare le opportunità di investimento, incentivare nuove politiche
a supporto dell’industria delle costruzioni e della sua filiera. Una sfida che si gioca sul terreno
della progettazione integrata e sull’interconnessione tra innovazione finanziaria, nuove tecnologie e sistemi costruttivi, utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e che chiama in causa
nuove competenze, attenzione all’ambiente, capacità di analisi, disponibilità a lavorare in
rete. Progetto Crescita è realizzato in collaborazione con Confindustria Venezia Giulia e Fondazione CRTrieste. Gli incontri si terranno a Trieste, presso la sede di Confindustria Venezia
Giulia in Piazza Casali 1, dalle 14.30 alle 18.30. Primo appuntamento il 16 maggio, sul tema
Costruire oggi affrontando il cambiamento. Progettazione, comfort, economia circolare e
certificazione. Il secondo incontro, il 20 giugno, sarà invece dedicato a La digitalizzazione
del processo di costruzione.
Giornata nazionale sulla certificazione di sostenibilità
11 maggio 2016, Bologna
L’organismo di certificazione ICMQ, in partnership con Civiltà di Cantiere, organizza un convegno dedicato alla certificazione di sostenibilità per le costruzioni, che si terrà l’11 maggio a
Bologna presso l’Iiple in via del Gomito 7, dalle 10 alle 16. L’iniziativa intende sensibilizzare
i diversi attori del settore a un tema in continua evoluzione e di sempre maggiore attualità:
quello degli strumenti di garanzia e di valutazione certificata delle prestazioni di prodotti e
di intere costruzioni in termini di sostenibilità ambientale.
La giornata è divisa in tre sessioni. La prima approfondisce come il tema sostenibilità sia
uno dei driver del mercato delle costruzioni e parametro anche di competitività. La seconda
sessione, dedicata al protocollo Leed, ne evidenzia vantaggi e valori a partire dalle testimonianze di committenze, studi di progettazione e imprese che lo hanno sperimentato. La
terza sessione infine presenta un nuovo protocollo che si sta affermando negli Stati Uniti,
relativo alla sostenibilità delle infrastrutture: Envision, di cui ICMQ è depositaria per l’Italia
insieme a MVH Italia. La partecipazione al convegno è gratuita ed è possibile anche iscriversi
solo alle sessioni di proprio specifico interesse.
Per informazioni: [email protected]
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coperture metalliche
impermeabilizzazioni
manti in PVC
isolamenti termoacustici industriali e civili
incapsulamento e bonifica coperture
in cemento e amianto
assistenza tecnica
polizza assicurativa RCT postuma
posa fotovoltaico
Saletto di Piave (TV) Via Molinetto, 71 - Tel. 0422 686118 - Fax 0422 988154 - Cell. 348 3550200/2/3
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