sukhoi su35
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August 2016 Il futuro incerto dell’asse Mosca-Pechino Author: Enrico Mariutti Sommario Considerati i recenti avvenimenti, l’obiettivo di questo saggio è analizzare i rapporti militari, economici e politici tra Russia e Cina. Negli ultimi due anni Pechino e Mosca hanno mostrato una graduale convergenza d’interessi. La cooperazione economica e militare rappresenta l’elemento più importante di questo approccio. Tuttavia, un’alleanza strategica tra i due Paesi non appare ancora all’orizzonte. I due Stati sono divisi non solo da fattori storici e culturali, ma anche perché le due strutture economiche sono molto differenti e non si combinano facilmente. In aggiunta, Russia e Cina non condividono equamente gli equilibri di potere regionale avendo problematiche di carattere strategico e tattico, e competono in numerosi ambiti: per esempio nel settore militare e nell’arena del mercato finanziario, così come nelle loro dispute riguardanti le rotte marittime e terrestri. Le recenti crisi che hanno colpito l’Ucraina e la Siria hanno avvicinato la Russia alla Cina, rafforzando le relazioni tra i due Paesi; in ogni caso, gli sviluppi degli scorsi mesi hanno dimostrato i limiti della loro collaborazione economica, politica e tecnologica. In aggiunta, Russia e Cina hanno mostrato una visione molto differente dell’Ordine Globale. La Cina ha una visione gerarchica delle relazioni internazionali e l’ambizione di porsi al vertice dell’egemonia globale. La Russia vuole una più estesa condivisione di potere regionale all’interno del Washington Consensus, che permetterebbe a Mosca di divenire un attore con un ruolo comparabile a quello degli USA. Tuttavia, ciò che appare il fattore chiave che limita una convergenza russo-cinese è il rischio di essere marginalizzati nel sistema internazionale. Russia e Cina non sembrano disporre di un modello di sviluppo universale da condivere con altri. Le conseguenze dei loro problemi politici rischiano di porle in una situazione difficile, rafforzando ulteriormente il network di alleanze e l’influenza dell’Occidente. Abstract This paper aims to to analyse the relationship between Russia and China regarding military, economic and resource policies, bearing in mind recent developments. During the last two years Beijing and Moscow have shown indications of a growing convergence. Economic and military cooperation are the main fields where this approach is more evident. However, no strategic alliance appears on the horizon for them yet. The two countries are divided not only by historical and cultural factors, but also because the two economic structures are very different and do not easily match each other. Furthermore, Russia and China do not equally share the regional power balance having strategic and tactical regional issues, and are fierce competitors in many areas: for instance, in the military and financial market arena, or in their territorial and sea route disputes. The recent Ukraine and Syrian crises have moved Russia closer to China, and this has warmed their relationship; however recent developments have underlined the reciprocal limits of their economic, political and technological collaboration. Moreover, Russia and China have demonstrated very different visions about Global Order. China has a hierarchical view of international relations and the ambition to position itself at the pinnacle of global hegemony. Russia wants a larger sharing of power regional bases within the Washington Consensus, which would permit Moscow to become a player with a comparative role as that of the USA. However, what appears to be the key limitation of the Russian and Chinese convergence is the risk of being marginalized in the international system. They do not seem to possess a universal development model to share with others. The consequences of their inherent political issues risk to placing them in a predicament, further strengthening the Western network of alliances and influences. Parole chiave: Relazioni russo-cinesi, Cina, Russia Keywords: Sino-Russian Relations, China, Russia Lingua: Italiano Language: Italian L’Autore – About the author ENRICO MARIUTTI Laurea specialistica in Storia contemporanea, Sapienza, Università di Roma Master’s Degree in Contemporary History, Sapienza, University of Rome Master in Geopolitica e Sicurezza Globale, Sapienza, Università di Roma Master in Geopolitics and Global Security, Sapienza, University of Rome [email protected] Le opinioni espresse in questo report sono esclusivamente dell’Autore e non rappresentano il punto di vista dell’IsAG. Any opinions or ideas expressed in this paper are those of the individual author and don’t represent views of IsAG. ISSN: 2281-8553 © Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 3 Nel corso degli ultimi diciotto mesi le relazioni tra Mosca e Pechino si sono notevolmente consolidate. La Russia di Vladimir Putin, decisa a ritornare protagonista a livello internazionale ma osteggiata e boicottata dal blocco occidentale, ha gradualmente spostato, o dato l’impressione di spostare, il proprio baricentro da Ovest a Est, dal Nord al Sud del mondo. Insoddisfatta del ruolo marginale a cui si sente relegata dal club dei Paesi avanzati, la Russia ha cercato di assumere un ruolo prominente in quello dei BRICS, incrociando sul proprio percorso la Cina, gigante economico privo però degli strumenti per poter proiettare la propria influenza politica al di fuori del contesto regionale, a sua volta attraversata da pulsioni analoghe. Se infatti Paesi come l’India, l’Iran, la Turchia o il Brasile hanno mostrato, a fasi alterne, un interesse funzionale nei confronti dell’attivismo politico russo, offrendo sponde preziose ma circoscritte alle rivendicazioni di Mosca, solo la Cina ha mostrato un interesse organico, seppur ambiguo, per il progetto di riforma dell’ordine mondiale a cui ambisce il Cremlino. Nonostante i binari su cui è corso sinora l’avvicinamento tra Mosca e Pechino siano principalmente la cooperazione economica e quella militare, la particolare fase di difficoltà in cui versa il Washington consensus e le strategie di contenimento adottate dagli USA nei confronti di ambedue i Paesi hanno rivestito il fenomeno di molteplici significati. Se sotto il profilo simbolico una crescente convergenza tra Russia e Cina ha un valore storico e risvolti potenzialmente epocali, rimettendo inoltre in discussione, almeno secondo alcuni studiosi, “il trionfo” del modello occidentale su quelli socialisti, sotto il profilo strategico consolida una partnership economica già strutturata a partire dalla fine degli anni Novanta e dalle notevoli potenzialità. D’altronde, il passaggio da una serie di convergenze di carattere contingente e dalla strutturazione di cluster transnazionali in settori strategici alla formazione di un asse politico capace di scardinare o riformare l’attuale sistema di governance globale non è assolutamente scontato, e anzi, presenterebbe numerose difficoltà. Nonostante il percorso di avvicinamento tra i due Paesi sia stato articolato e denso di appuntamenti significativi, due eventi in particolare racchiudono efficacemente le prospettive affascinanti, ma al contempo problematiche che caratterizzano l’asse tra Mosca e Pechino. Il primo evento risale a più di un anno fa e ha avuto ampio risalto a livello internazionale. Nelle ore immediatamente successive alla fine del quarto summit della Conference on Interaction and Confidence-Building Measures in Asia (CICA)1, svoltosi il 20 e il 21 maggio 2014 alla presenza del Presidente russo Vladimir Putin e del Presidente cinese Xi Jinping, è stato siglato l’accordo tra Gazprom e China National Petroleum Corporation (CNPC) sulle forniture di gas russo alla Cina2, in fase di stallo da più di dieci anni. L’intesa prevede in una prima fase, i cui termini non sono noti in tutti i dettagli, lo sviluppo dei giacimenti siberiani di Kovyktin e Chayandin e la costruzione di un gasdotto – Power of Siberia – di oltre 4.000 km per collegare i bacini di estrazione all’area metropolitana di Beijing-Tianjin-Hebei e al delta dello Yangtze, comprensivo di una derivazione in grado di alimentare i terminal per la liquefazione che Gazprom ha intenzione di realizzare a Sakhalin e Vladivostok3. L’onere finanziario del progetto, stimabile in circa 75 miliardi di dollari, è sostenuto per due terzi da Gazprom e per un terzo da CNPC attraverso istituti di credito russi o cinesi e per mezzo delle valute nazionali4. 1 Secretariat of the Conference on Interaction and Confidence-Building Measures in Asia. <http://www.scica.org/page.php?page_id=699&lang=1>. Gazprom Press Center. <http://www.gazprom.com/press/news/2014/may/article1 19145/>. Gazprom Press Center. <http://www.gazprom.com/press/news/2015/october/arti art249177/>. Gazprom Press Center. <http://www.gazprom.com/press/news/2014/may/article1 19145/; China National Petroleum Corporation Press Release>, <http://www.cnpc.com.cn/en/nr2014/201405/515e1f6fb 72540269a3236303397211d.shtml>. 2 3 4 Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 4 A partire dal 2018 – ma è possibile, se non probabile, uno slittamento di almeno un anno – inizierà la trasmissione del gas russo verso la Cina, per un ammontare di 38 miliardi di metri cubi l’anno per trent’anni. I dettagli del contratto non sono stati resi noti, ma dai comunicati ufficiali e dalle dichiarazioni degli amministratori delegati delle due compagnie è possibile stimare un prezzo per il gas sostanzialmente in linea con quello delle forniture all’Europa5 (al momento dell’accordo tra i 350 e 380 dollari ogni mille metri cubi, attualmente intorno ai 180 dollari ogni mille metri cubi 6 ). Il contratto presenta inoltre clausole take-or-pay, quindi prevede una penale – di entità non nota – qualora non venga acquistata la quantità di gas pattuita e aggancia l’andamento del prezzo delle forniture a quello del petrolio e di un paniere di prodotti derivati. I pagamenti saranno versati esclusivamente in valute nazionali al fine di intensificare le relazioni commerciali tra i due Paesi e mandare un ulteriore segnale a Washington, deus ex machina dei mercati delle commodities anche grazie allo status di benchmark detenuto dal dollaro. Il secondo evento risale invece a due mesi fa e ha avuto un’eco piuttosto limitata. Il 19 novembre 2015 l’agenzia di stampa ufficiale russa TASS ha ufficializzato l’esito positivo delle trattative per l’acquisto da parte della People’s Liberation Army Air Force (PLAAF) di ventiquattro Sukhoi Su-35 7 , punta di diamante dell’aviazione militare russa. L’accordo segue di qualche mese quello per la vendita di sei battaglioni dei lanciatori antiaerei e anti-missile a lungo raggio S-400 Triumph (del valore di circa 3 miliardi di dollari)8 e con tutta probabilità precede quello per la fornitura di carri armati T-19 Armata, altri due pezzi pregiati dell’arsenale russo. I velivoli saranno assemblati dalla Komsomolsk-on-Amur Aircraft Production Association (KnAAPO) – società controllata dalla United Aircraft Corporation (UAC), consorzio del settore aerospaziale a maggioranza pubblica – presso gli stabilimenti di Komsomolsk-on-Amur, nell’estremo oriente russo. Il valore della commessa si aggira intorno ai 2 miliardi di dollari, pari a un prezzo unitario di circa 83 milioni di dollari9. Le specifiche tecniche dei velivoli non sono state rese pubbliche ma è altamente probabile che sotto il profilo strutturale siano del tutto simili ai Su-35 in dotazione all’Aeronautica Militare della Federazione, mentre l’avionica potrebbe presentare più di una differenza. Se da una parte è noto che nel corso delle trattative la PLAAF ha richiesto delle integrazioni nell’avionica, che quindi includerà tecnologia cinese, dall’altra, Rostec ha assicurato che equipaggerà attraverso la controllata United Instrument Manufacturing Corporation (UIMC) i Su-35 cinesi con sistemi di comunicazione all’avanguardia (sistema di comunicazione S-108 onboard e sistema di comunicazione NKVS-27 a terra), ma non ha fornito chiarimenti circa gli altri apparati10. Entrambi gli accordi, da un punto di vista tattico, sono stati un successo per ambedue i contraenti. Con l’accordo tra Gazprom e CNPC la Russia inaugura una collaborazione importante per lo sfruttamento nel medio/lungo periodo dei cospicui giacimenti orientali (i soli depositi di Kovyktin e Chayandin hanno riserve stimate rispettivamente per 1.500 e 1.200 miliardi di metri cubi di gas naturale11). Nel breve/medio periodo Mosca sigla un contratto che una volta entrato a regime varrà all’incirca 10 miliardi di 9 5 Il prezzo assunto come riferimento per l’Europa è quello al confine tedesco. German Federal Office for Economic Affairs and Export Control (BAFA). <http://www.bafa.de/bafa/en/>. Agenzia ITAR-TASS. <http://tass.ru/en/defense/837662>. Agenzia ITAR-TASS. <http://tass.ru/en/russia/788778>. 6 7 8 Sputnik International. <http://sputniknews.com/military/20151119/103036830 1.html>. Rostec. <http://rostec.ru/en/news/4517479>. Gazprom Press Center. <http://www.gazprom.com/about/production/projects/de posits/gas-production-center/>; <http://www.gazprom.com/about/production/projects/de deposi/chayandinskoye/>. 10 11 Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 5 dollari l’anno (nel momento in cui è stato firmato l’accordo il valore del contratto era circa il doppio) e contribuirà a riequilibrare la bilancia commerciale del Paese, fortemente dipendente dai flussi con l’Europa (che rappresenta circa il 60% dell’import e dell’export russo) ma al contempo in passivo nei confronti della Cina12. Pechino, che progetta un consistente aumento del proprio consumo annuo di gas naturale entro la fine del decennio si assicura invece un’importante fonte di approvvigionamento, in grado di coprire oltre un decimo del fabbisogno stimato per il 202013. Inoltre l’accordo, de facto, implica che il prezzo del LNG presso gli impianti della regione di Pechino e di Shanghai dovrà adeguarsi all’offerta russa, e quindi calare di almeno il 20% rispetto alle quotazioni attuali, da circa 714 dollari a circa 6 dollari per milione di british thermal unit (da 240/250 a 210/220 dollari per mille metri cubi). Infine, la clausola sulla moneta è destinata a generare un aumento dell’interscambio commerciale, già prossimo alla soglia dei 100 miliardi di dollari a metà del 2014, dell’integrazione industriale e di quella finanziaria, sostenuto dalla parziale complementarità dei due sistemi economici. Anche il rafforzamento della cooperazione militare rappresenta per entrambi i Paesi un importante risultato. La Russia, colpita duramente dal terremoto che ha investito i mercati delle materie prime e dalle sanzioni economiche occidentali, si assicura contratti del valore di miliardi di dollari e una vetrina internazionale per i prodotti di punta del comparto industriale della Difesa. Mosca manda inoltre un messaggio preciso al blocco occidentale, da cui si sente ingiustamente e ipocritamente ostracizzata sotto il profilo politico ed economico ma soprattutto sotto quello 12 The Observatory of Economic Complexity. <http://atlas.media.mit.edu/en/>. China National Petroleum Corporation, in <http://www.reuters.com/article/china-gas-demandidUSL3N1201HR20150930>. IHS Inc. <https://www.ihs.com>. culturale e psicologico, mostrando quanto può essere corrosivo l’impatto della “diplomazia delle armi” russa sull’ordine globale. Il Cremlino dimostra di poter fornire alle rivendicazioni territoriali cinesi una solida deterrenza militare, paventando di fare lo stesso con quelle iraniane e con quelle indiane, innescando una corsa al riarmo in due tra gli scacchieri più complessi al mondo (Medio Oriente e Sud-Est asiatico) e, in definitiva, minacciando di compromettere il pilastro più saldo della stabilità internazionale: l’oligopolio euro-americano delle capacità militari più complesse e avanzate, cristallizzato oramai da quasi due secoli. La Cina d’altra parte si assicura una serie di sistemi d’arma in grado di garantirle una notevole superiorità tattica nei confronti dei principali attori regionali e il consolidamento del controllo sul Mar Cinese. Inoltre, Pechino ha la possibilità di osservare da vicino alcuni assetti che sono concettualmente e tecnologicamente molto più avanzati rispetto a quelli che è in grado di produrre autonomamente, come i motori Saturn AL41F1S (117S) o il sistema di controllo radar N035 Irbis-E PESA (Passive Electronically Scanned Array), capace secondo i dati ufficiali di agganciare fino a 30 bersagli con sezione radar di 3 m2 (F-35 Lightning II, Typhoon, Rafale) entro 400 km o con sezione radar di 0.01 m2 (F-22 Raptor) entro 90 km, e di ingaggiarne simultaneamente 2 con missili a guida radar semi-attiva (SARH) oppure 8 con missili a guida attiva (ARH)15. E non è difficile immaginare che, come ha già fatto in passato, il complesso militare cinese sfrutterà questa opportunità per confrontare, testare e sviluppare le proprie capacità. D’altronde, seppur vantaggiose, entrambe le intese presentano delle incognite che potrebbero precludere significativi sviluppi futuri. L’accordo tra Gazprom e CNPC giunge in un momento congiunturale piuttosto complesso. 13 14 15 Sukhoi Company. <http://www.sukhoi.org/eng/planes/military/Su-35/>. Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 6 Nonostante la prolungata stagnazione dei consumi energetici nelle economie avanzate e la recente inversione di tendenza nei mercati emergenti, a dispetto dello sviluppo di nuove tecniche estrattive (Hydraulic Fracturing e Horizontal Drilling, Cyclic Steam Stimulation, Steam Assisted Gravity Drainage) che hanno reso accessibili depositi non convenzionali (scisti bituminosi, sabbie bituminose), il segmento upstream non sembra ancora risentire in modo significativo del crollo delle quotazioni del greggio, e anzi, è possibile affermare che il mercato delle materie prime energetiche non è mai stato tanto articolato e diversificato quanto lo è oggi, sia sotto il profilo delle fonti e dei canali di approvvigionamento che sotto quello delle caratteristiche degli idrocarburi disponibili. Il prezzo del gas siberiano ad esempio, seppur inferiore di almeno il 20% a quello del LNG, è maggiore del 10/20% a quello proveniente dal Turkmenistan attraverso la Central Asia-China Gas Pipeline, mentre nelle regioni del Sud-Est, Nord-Est e Nord-Ovest della Cina sono stati individuati giacimenti non convenzionali di idrocarburi – che necessitano quindi di tecnologie avanzate per l’estrazione e hanno un costo di produzione superiore ai giacimenti convenzionali – per un ammontare pari a oltre 100.000 miliardi di metri cubi di gas e 600 miliardi di barili di petrolio (gas-inplace e oil-in-place)16. In secondo luogo, non sono gli approvvigionamenti il primo problema per la Cina. I 20 miliardi di dollari destinati all’adeguamento infrastrutturale, se rapportati alla distanza esigua delle due aree a cui sono destinate le forniture dal punto di ingresso del gas e all’avanzato livello di sviluppo dei segmenti di griglia interessati, sono indicativi della mole di investimenti che Pechino dovrà destinare al potenziamento della rete di distribuzione, vero nodo critico per l’aumento dell’input di gas nella rete, in grado di influenzare l’evoluzione della domanda e la disposizione geografica degli hub per l’importazione. Inoltre, il rallentamento della crescita economica ha costretto le autorità cinesi a rivedere le proprie priorità in materia di politica energetica e quindi a privilegiare – in considerazione di dinamiche di scala e d’impianto – carbone e rinnovabili a discapito del gas naturale, causando di conseguenza un taglio delle stime del fabbisogno di metano per il 2020 di circa 100 miliardi di metri cubi (da 400/420 a 270/330 miliardi di metri cubi 17 ). Infine, non essendo noti i dettagli delle clausole non è possibile determinare se siano stati approntati meccanismi, e nel caso quali essi siano, per evitare o mitigare gli effetti sull’evoluzione del prezzo delle fluttuazioni del tasso di cambio tra renminbi e rublo e di quello di entrambe le monete nei confronti del dollaro, a cui è indirettamente indicizzato l’andamento del prezzo (attraverso la clausola oil-linked). D’altronde, è possibile prevedere che la Banca Nazionale della Federazione Russa accumulerà gradualmente ampie scorte di valuta cinese. Dato lo scarso corso internazionale del renminbi, la banca centrale sarà costretta a reinvestire il surplus valutario in titoli di stato cinesi – scarsamente liquidi – in proprietà immobiliari in Cina – soggette agli effetti di periodiche bolle speculative – o nei mercati delle commodities – prevalentemente scambiate in dollari. Opzioni scarsamente appetibili per Mosca. Anche lo sviluppo della cooperazione militare tra i due Paesi presenta notevoli incognite. Da quando nel 1990, a seguito della sanguinosa repressione dei moti di piazza Tienanmen, i Paesi occidentali hanno imposto l’embargo sulle forniture militari alla Cina, Mosca, che con la visita di Gorbacev a Pechino del 1989 inaugurava il processo di distensione con la Repubblica Popolare, è divenuta rapidamente il più importante fornitore delle forze armate cinesi. 17 16 U.S. Energy Information Administration (EIA). Technically Recoverable Oil and Shale Resources: China. Settembre 2015. China National Petroleum Corporation, in <http://www.bloomberg.com/news/articles/2015-0930/china-gas-demand-forecast-cut-by-cnpc-researcheramid-slowdown>. Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 7 Nonostante il Cremlino abbia raramente concesso licenze di produzione o accettato joint venture, il complesso industriale della Difesa cinese ha attinto a piene mani conoscenze e tecnologia dagli assetti militari russi, suscitando sovente l’ira di Mosca e talvolta la rescissione dei contratti. Inoltre, grazie al massiccio ricorso allo studio e alla riproduzione delle forniture militari estere (principalmente russe e israeliane) il complesso della Difesa cinese ha sperimentato un rapido sviluppo negli ultimi vent’anni che sta trasformando Pechino da netta importatrice a netta esportatrice di materiale bellico, mettendola di conseguenza in crescente competizione con Mosca, seconda esportatrice mondiale di sistemi d’arma e leader in gran parte dei mercati asiatici18. D’altronde, gli scogli che i due Paesi devono superare per instaurare una collaborazione strategica realmente costruttiva in campo militare non si limitano a questioni legali o commerciali. Nonostante il vorticoso aumento dei bilanci sperimentato nell’ultimo decennio e lo sviluppo di assetti avanzati in grado di competere con quelli occidentali, entrambi i complessi militari presentano due limiti strutturali analoghi: scarsa propensione all’innovazione e una dottrina fondata sulla deterrenza piuttosto che sul controllo. Il ritardo con cui Mosca e Pechino hanno adottato il paradigma della stealthness 19 e l’inerzia con cui stanno adottando quello dei droni è esemplare di come i rispettivi sistemi istituzionali e industriali non riescano a sintetizzare approcci dottrinari e tecnologici innovativi. Mentre la maggior parte delle forze armate occidentali ha già ampiamente integrato le proprie componenti aeree e navali con assetti e tecnologie stealth, la Russia e la Cina si apprestano a far entrare in servizio i primi velivoli con capacità stealth avanzate (caccia multiruolo di quinta generazione) rispettivamente nel 2017 (il Sukhoi PAK-FA20) e nel 2018 (il Chengdu J-2021), ma non sono esclusi ritardi, soprattutto per il programma cinese. Inoltre, gli apparati militari di ambedue i Paesi – ma in particolare ovviamente quello russo – hanno risentito notevolmente a livello dottrinario del passaggio dal bipolarismo all’unipolarismo, e a partire dagli anni Novanta hanno riplasmato la propria struttura militare al fine di garantirsi sostanziali capacità di deterrenza nei confronti di una possibile aggressione esterna alla propria sovranità. La recente evoluzione della postura internazionale di ambedue i Paesi ha reso però le sole capacità di deterrenza inadeguate rispetto alle nuove ambizioni di controllo sullo spazio limitrofo e su rotte o snodi regionali strategici. D’altronde, le capacità che vengono richieste ai rispettivi dispositivi militari non possono essere garantite esclusivamente da un ristretto numero di assetti avanzati, ma necessitano di una struttura articolata e integrata che richiede imponenti finanziamenti. Pur volendo supporre che una progressiva clusterizzazione dei due comparti industriali della Difesa possa colmare le rispettive lacune tecnologiche e infrastrutturali, è difficile immaginare che i due Paesi riescano a trovare nel breve/medio periodo le risorse per dotare i propri dispositivi militari di capacità di informazioni, sorveglianza, acquisizione obiettivi, riconoscimento (ISTAR), Adaptive Planning and Execution (APEX) e Joint Warfare (JW), Risposta Rapida e Risposta Immediata (RR, IR), sufficienti a garantire a Mosca e Pechino il controllo su quelle che considerano le reciproche sfere d’influenza e ad assicurare alle rispettive Forze Armate capacità di proiezione adeguate alle ambizioni della leadership politica. 20 18 Stockholm International Peace Research Institute. <http://www.sipri.org/>. L’insieme tecnologie e accorgimenti tecnici volti ad aumentare la capacità di camuffamento agli occhi del nemico e dei suoi dispositivi di sorveglianza. 19 Sputnik International. <http://sputniknews.com/military/20151230/103250758 1/t50-pak-fa-f35.html>. Agenzia Nuova Cina. <http://news.xinhuanet.com/english/201502/27/c_134023431.htm>. 21 Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 8 Ma, al di là degli sviluppi delle due intese, è sul futuro politico dell’asse Mosca-Pechino che si concentrano i dubbi più consistenti. Se infatti, data la complementarità dei rispettivi squilibri strutturali, un rafforzamento della cooperazione tra i due Paesi fosse prevedibile e seppur le recenti crisi internazionali abbiano accentuato la percezione delle convergenze politiche e delle opportunità economiche, il passaggio da un asse funzionale a un’alleanza strategica è un’eventualità assai improbabile. Pechino, sostenuta dall’apparente declino occidentale e dalla prorompente crescita economica dell’area Asia-Pacifico, non nasconde l’ambizione alla leadership su scala globale, adottando una visione prospettica unipolare ma non internazionalista. Mosca, forte della condizione di superpotenza militare, dell’influenza che è in grado di esercitare sulle repubbliche centroasiatiche e in Medio Oriente e dei rapporti privilegiati intessuti negli anni con alcuni Paesi europei, auspica un futuro multipolare, fondato sull’integrazione del Washington consensus e sulla formazione di un ordine mondiale a base regionale. Se quindi la Cina, pur mostrando rispetto e attenzione per Mosca, non è disposta a riconoscere alla Russia lo status internazionale cui ambisce, la Russia, seppur interessata a garantirsi delle alternative alla partnership con l’Occidente, e in particolare con l’Europa, non è disposta a diventare un serbatoio di materie prime per la Cina. Dietro agli squilibri dell’interscambio commerciale tra la Russia e i Paesi occidentali, difatti, vi sono ragioni culturali, sociali, storiche, politiche ed economiche profonde, di cui la classe dirigente di Mosca appare consapevole. Negli anni successivi alla caduta dell’Unione Sovietica la Russia ha visto, gradualmente ma inesorabilmente, il deterioramento del suo sistema universitario, gravato dalla fuga delle menti più brillanti e dalle iscrizioni sempre più scarse, del suo sistema industriale, distrutto dalla concorrenza occidentale e dalla scarsa lungimiranza della classe politica, e di gran parte degli asset strategici in ricerca e sviluppo. Le città chiuse (ZATO) sopravvissute al cambio di regime, un tempo orgoglio del blocco sovietico, oggetto di rispetto e causa di apprensione per quello occidentale, sono oggi un eloquente esempio del degrado vissuto dal Paese negli ultimi venticinque anni dal punto di vista scientifico e industriale. L’economia russa è attualmente assimilabile alle economie di tratta, sistemi economici che esportano materie prime o semilavorati e importano prodotti finiti e servizi complessi. Circa il 65% delle esportazioni russe è composto da risorse energetiche, il 15% da metalli, legname, prodotti agricoli e minerali, il restante 20% da prodotti base, semilavorati e da componenti meccanici e sistemi eredità del complesso industriale della Difesa sovietico (sistemi e componenti aereonautici, cantieristica, nucleare civile). Il capitolo importazioni al contrario si compone di oltre 1.200 voci, di cui una settantina da oltre un miliardo di dollari, e abbraccia un’ampia gamma di merci, dalle auto ai prodotti alimentari, dai farmaci agli apparati elettronici22. E seppure Mosca appaia determinata a ridurre la propria dipendenza commerciale dall’Europa, non sembra realistico pensare che voglia traslarla a Oriente. D’altronde, anche i legami economici di Pechino con l’Occidente sono più ambigui di quanto talvolta appaiano. La riconquista della leadership commerciale globale, avvenuta a metà dello scorso decennio, non è stata dovuta a impulsi culturali, sociali ed economici endogeni, come nel XVII, XVIII e XIX secolo, ma a una serie di impulsi di natura esogena. La progressiva de-industrializzazione e finanziarizzazione delle economie avanzate ha fornito infatti alla Repubblica Popolare l’opportunità e i capitali per sviluppare il proprio tessuto produttivo e commerciale, integrandola rapidamente nella Catena di distribuzione globale (GSC) e assegnandole 22 The Observatory of Economic <http://atlas.media.mit.edu/en/>. Complexity. Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 9 attraverso il nuovo paradigma del trade-in-tasks il ruolo di factory system 23 globale. Il prorompente sviluppo industriale sperimentato dall’economia cinese negli ultimi vent’anni non ha reso però la Cina solamente una vorace consumatrice di materie prime. Il modello di sviluppo adottato dal Partito Comunista Cinese, così efficiente nella programmazione economica e nell’allocazione delle eccedenze, ha compresso la divergenza, tanto nel tessuto economico quanto in quello sociale, tanto nel panorama culturale quanto in quello politico, ossificando il sistema istituzionale e annichilendo le potenzialità individuali. Il risultato di questo sforzo totalizzante è stato un sistema economico estremamente funzionale ma altrettanto rigido, incapace di produrre progresso e di diffondere adeguatamente il benessere. Questa dinamica ha reso la Cina dipendente dall’innovazione, dalla tecnologia e dalle conoscenze che provengono dalle inefficienti ma efficaci economie occidentali, relegando inoltre il sistema produttivo cinese nei segmenti a minor valore aggiunto e a maggior impatto socio-ambientale della Catena del valore globale (GVC). Sino a che quindi il modello di sviluppo cinese non saprà integrare fattori di varianza in grado di rendere la società più libera e dinamica, il sistema economico rimarrà anch’esso fortemente legato in una relazione asimmetrica agli apporti scientifici, tecnologici, creativi ed esperienziali proveniente dalle economie occidentali. Quello che infatti risulta essere il principale limite dell’asse Mosca-Pechino è l’incapacità di avere un’immagine nitida e universale del futuro, che sotto il profilo politico si traduce nell’incapacità di elaborare strategie realmente alternative ai disegni USA. Seppur alcune iniziative diplomatiche congiunte sembrino accreditare una “Grand Strategy” condivisa, la realtà complessiva è meno chiara e univoca di quel che appaia. I summit e gli organismi intergovernativi nati 23 Asian Development Bank. Future of Factory Asia, 2014. <http://www.adb.org/sites/default/files/publication/42477 /future-factory-asia>. sotto impulso sino-russo soffrono infatti di frequenti ambiguità programmatiche, di persistenti diffidenze reciproche e delle crescenti difficoltà con cui si stanno scontrando i rispettivi sistemi socio-economici, rendendo molto spesso difficile comprendere la reale portata di memorandum e dichiarazioni d’intenti altisonanti. Progetti come l’Unione Economica Eurasiatica e la Belt and Road Initiative, finalmente giunti in fase di implementazione dopo lunghe gestazioni rispettivamente dal 2011 e dal 2013, stentano a decollare, lasciando intravedere dietro alle ambiziose road map molte più incognite di quelle previste e grovigli d’interessi in cui appare difficile individuare convergenze strategiche ad ampio spettro. Le istituzioni sorte per garantire una cornice attuativa alle strategie politiche soffrono abitualmente della sproporzione tra la portata dei compiti e le risorse a disposizione, come nel caso della Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), investita del compito di consolidare i cluster industriali, di potenziare le reti di collegamento e di armonizzare lo sviluppo economico nella regione, ma dotata di un capitale di 100 miliardi di dollari (a fronte dei 250 miliardi a disposizione della Banca Mondiale e degli oltre 700 del Fondo Monetario Internazionale) e ostaggio delle profonde divisioni interne al board di controllo (Board of Governors). Nonostante quindi la chiara volontà di svincolarsi da quello che viene percepito con un abbraccio soffocante, l’agenda politica dei due Paesi è ancora in larga parte influenzata, direttamente o indirettamente, da Washington. Ed è stata proprio Washington, sviluppando politiche di contenimento commerciale (negoziati TAFTA e TPP per l’istituzione di aree di libero scambio regionali che escludono Cina e Russia) e politico-militare (espansione dei trattati di cooperazione militare con Canada, Giappone, Vietnam, Filippine e Australia; gestione delle crisi in Siria e Ucraina) a dettare i tempi dell’avvicinamento tra Mosca e Pechino. Lungo precise linee di demarcazione e cogliendo ogni occasione che gli si presenti, Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 10 Washington sta ridisegnando la mappa delle proprie alleanze e imponendo ai propri alleati di fare altrettanto. In un simile contesto politico, Cina e Russia rafforzano la cooperazione in due settori strategici e vagheggiano la nascita di un nuovo soggetto politico internazionale che, a seconda del momento e del contesto, includerebbe i propri clientes regionali, l’Iran, l’India e magari il Pakistan o il Venezuela, avallando e legittimando de facto le strategie di Washington. Ma a differenza del passato, invece che far sorgere due blocchi, il progressivo riassetto mondiale rischia di dare vita a un Leviatano e a un manipolo di esclusi. Se difatti è difficile prevedere che il sistema economico internazionale possa fare a meno delle capacità produttive cinesi o delle materie prime russe oppure che la sicurezza globale possa essere assicurata senza la collaborazione di Mosca e Pechino, è altresì prevedibile che il sistema di alleanze variabili che caratterizza attualmente le relazioni internazionali vada penalizzando in maniera crescente quei soggetti che si pongono al di fuori della dialettica politica dominante, relegandoli al ruolo di antagonista o di sponda funzionale nei dossier più controversi. Il vertice congiunto BRICS – Shanghai Cooperation Organisation (SCO) – Eurasian Economic Union (EUU) svoltosi a Ufa il 9 luglio 2015 in coda al VII summit dei BRICS è un eloquente affresco del rischio di marginalizzazione a cui vanno incontro Mosca e Pechino. I quindici tra Presidenti e Primi Ministri seduti al tavolo negoziale, pur rappresentando circa il 50% della popolazione mondiale e un’ampia fetta delle riserve globali di risorse strategiche, erano però tutti leader di Paesi poveri o in via di sviluppo, scientificamente e tecnologicamente arretrati, culturalmente largamente ininfluenti e in massima parte retti da sistemi di governo ibridi o autoritari. Il pericolo è oramai chiaro alle classi dirigenti nazionali, come dimostrano le recenti dichiarazioni di Herman Gref, amministratore delegato della Sberbank ed ex Ministro dello sviluppo economico durante i governi Putin: «We must honestly admit that the oil era is over and we have lost to competitors» dice, aggiungendo che in una realtà influenzata in maniera crescente dalla tecnologia «the difference between the leaders and losers would be larger than during the Industrial Revolution» . Le parole 24 del banchiere russo fanno da eco a quelle di un altro banchiere, Yu Yongding, ex Presidente della China Society of World Economics e Direttore dell’Institute of World Economics and Politics at the Chinese Academy of Social Sciences, che da anni denuncia gli squilibri dell’economia cinese e la cronicizzazione del deficit di conoscenze, tecnologia e expertise che affligge il modello di sviluppo della Repubblica Popolare 25 . La diffusione del benessere, il nomadismo della conoscenza e quello del lavoro, l’espansione dei network di comunicazione e della rete dei trasporti hanno formato un numero crescente di individui in tutto il mondo sulla base di valori, aspettative e necessità comuni. Per la prima volta nella storia dell’umanità una civiltà non solo è capace di proiettare a livello planetario il proprio dominio, ma anche la propria direzione, o per meglio dire, egemonia culturale e morale. E Russia e Cina, ben lungi da ottenere un risultato simile, sono altresì lontane dalla formulazione di un modello alternativo a quello occidentale che gli permetta di impostare un confronto equilibrato con l’Occidente. Le rispettive classi dirigenti devono fare perciò attenzione al rischio di dare vita, quantomeno nell’immaginario collettivo, a un nuovo Impero del Male, che nei momenti di massima polarizzazione psicologica e mediatica sarà composto esclusivamente, o quasi, da sistemi economici fragili, squilibrati o sclerotici, realtà culturali, sociali e politiche anacronistiche, assomigliando a un grottesco club di stereotipi più che al minaccioso avversario descritto da Reagan. E a non smarrire la percezione di far parte tanto del presente quanto del futuro. 24 The Moscow Time, 'Downshifter' Russia Is Losing Warns State Bank Chief, <http://www.themoscowtimes.com>. Project Syndicate, Yu Yongding, <http://www.projectsyndicate.org/columnist/yu-yongding>. Global Competition, 25 Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie 11 Reddito pro capite (metodo Atlas, $) Economist Intelligence Unit - Academic Ranking of World Universities WIPO - Global Innovation Index Democracy Index Università nella Top 100 Afghanistan 680 147° - - Armenia 4020 116° - 61° Bielorussia 7340 127° - 53° Brasile 11530 51° - 70° Cina 7400 136° - 29° India 1570 35° - 81° Iran 7120 156° - 106° Kazakhstan 11850 140° - 82° Kyrgyzstan 1250 93° - 109° Mongolia 4280 62° - 66° Pakistan 1400 112° - 131° Russia 13220 132° 1 48° Sud Africa 6800 37° - 60° Tajikistan 1080 158° - 114° Uzbekistan 2090 158° - 122° Dati: World Bank, The Economist Intelligence Unit, Shanghai Ranking Consultancy, World Intellectual Property Organization (WIPO).