sukhoi su35

Transcript

sukhoi su35
August 2016
Il futuro incerto dell’asse Mosca-Pechino
Author: Enrico Mariutti
Sommario
Considerati i recenti avvenimenti, l’obiettivo di questo saggio è analizzare i rapporti militari, economici e politici tra
Russia e Cina. Negli ultimi due anni Pechino e Mosca hanno mostrato una graduale convergenza d’interessi. La
cooperazione economica e militare rappresenta l’elemento più importante di questo approccio. Tuttavia, un’alleanza
strategica tra i due Paesi non appare ancora all’orizzonte. I due Stati sono divisi non solo da fattori storici e culturali, ma
anche perché le due strutture economiche sono molto differenti e non si combinano facilmente. In aggiunta, Russia e
Cina non condividono equamente gli equilibri di potere regionale avendo problematiche di carattere strategico e tattico, e
competono in numerosi ambiti: per esempio nel settore militare e nell’arena del mercato finanziario, così come nelle
loro dispute riguardanti le rotte marittime e terrestri. Le recenti crisi che hanno colpito l’Ucraina e la Siria hanno
avvicinato la Russia alla Cina, rafforzando le relazioni tra i due Paesi; in ogni caso, gli sviluppi degli scorsi mesi hanno
dimostrato i limiti della loro collaborazione economica, politica e tecnologica. In aggiunta, Russia e Cina hanno mostrato
una visione molto differente dell’Ordine Globale. La Cina ha una visione gerarchica delle relazioni internazionali e
l’ambizione di porsi al vertice dell’egemonia globale. La Russia vuole una più estesa condivisione di potere regionale
all’interno del Washington Consensus, che permetterebbe a Mosca di divenire un attore con un ruolo comparabile a
quello degli USA. Tuttavia, ciò che appare il fattore chiave che limita una convergenza russo-cinese è il rischio di essere
marginalizzati nel sistema internazionale. Russia e Cina non sembrano disporre di un modello di sviluppo universale da
condivere con altri. Le conseguenze dei loro problemi politici rischiano di porle in una situazione difficile, rafforzando
ulteriormente il network di alleanze e l’influenza dell’Occidente.
Abstract
This paper aims to to analyse the relationship between Russia and China regarding military, economic and resource
policies, bearing in mind recent developments. During the last two years Beijing and Moscow have shown indications of a
growing convergence. Economic and military cooperation are the main fields where this approach is more evident.
However, no strategic alliance appears on the horizon for them yet. The two countries are divided not only by historical
and cultural factors, but also because the two economic structures are very different and do not easily match each other.
Furthermore, Russia and China do not equally share the regional power balance having strategic and tactical regional
issues, and are fierce competitors in many areas: for instance, in the military and financial market arena, or in their
territorial and sea route disputes. The recent Ukraine and Syrian crises have moved Russia closer to China, and this has
warmed their relationship; however recent developments have underlined the reciprocal limits of their economic,
political and technological collaboration. Moreover, Russia and China have demonstrated very different visions about
Global Order. China has a hierarchical view of international relations and the ambition to position itself at the pinnacle of
global hegemony. Russia wants a larger sharing of power regional bases within the Washington Consensus, which would
permit Moscow to become a player with a comparative role as that of the USA. However, what appears to be the key
limitation of the Russian and Chinese convergence is the risk of being marginalized in the international system. They do
not seem to possess a universal development model to share with others. The consequences of their inherent political
issues risk to placing them in a predicament, further strengthening the Western network of alliances and influences.
Parole chiave: Relazioni russo-cinesi, Cina, Russia
Keywords: Sino-Russian Relations, China, Russia
Lingua: Italiano
Language: Italian
L’Autore – About the author
ENRICO MARIUTTI
Laurea specialistica in Storia contemporanea, Sapienza, Università di Roma
Master’s Degree in Contemporary History, Sapienza, University of Rome
Master in Geopolitica e Sicurezza Globale, Sapienza, Università di Roma
Master in Geopolitics and Global Security, Sapienza, University of Rome
[email protected]
Le opinioni espresse in questo report sono esclusivamente dell’Autore e non rappresentano il punto di vista dell’IsAG.
Any opinions or ideas expressed in this paper are those of the individual author and don’t represent views of IsAG.
ISSN: 2281-8553
© Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie
Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie
3
Nel corso degli ultimi diciotto mesi le
relazioni tra Mosca e Pechino si sono
notevolmente consolidate.
La Russia di Vladimir Putin, decisa a
ritornare protagonista a livello internazionale
ma osteggiata e boicottata dal blocco
occidentale, ha gradualmente spostato, o dato
l’impressione di spostare, il proprio baricentro
da Ovest a Est, dal Nord al Sud del mondo.
Insoddisfatta del ruolo marginale a cui si sente
relegata dal club dei Paesi avanzati, la Russia
ha cercato di assumere un ruolo prominente in
quello dei BRICS, incrociando sul proprio
percorso la Cina, gigante economico privo
però degli strumenti per poter proiettare la
propria influenza politica al di fuori del
contesto regionale, a sua volta attraversata da
pulsioni analoghe.
Se infatti Paesi come l’India, l’Iran, la
Turchia o il Brasile hanno mostrato, a fasi
alterne, un interesse funzionale nei confronti
dell’attivismo politico russo, offrendo sponde
preziose ma circoscritte alle rivendicazioni di
Mosca, solo la Cina ha mostrato un interesse
organico, seppur ambiguo, per il progetto di
riforma dell’ordine mondiale a cui ambisce il
Cremlino.
Nonostante i binari su cui è corso sinora
l’avvicinamento tra Mosca e Pechino siano
principalmente la cooperazione economica e
quella militare, la particolare fase di difficoltà
in cui versa il Washington consensus e le
strategie di contenimento adottate dagli USA
nei confronti di ambedue i Paesi hanno
rivestito il fenomeno di molteplici significati.
Se sotto il profilo simbolico una crescente
convergenza tra Russia e Cina ha un valore
storico e risvolti potenzialmente epocali,
rimettendo inoltre in discussione, almeno
secondo alcuni studiosi, “il trionfo” del
modello occidentale su quelli socialisti, sotto il
profilo strategico consolida una partnership
economica già strutturata a partire dalla fine
degli anni Novanta e dalle notevoli
potenzialità.
D’altronde, il passaggio da una serie di
convergenze di carattere contingente e dalla
strutturazione di cluster transnazionali in
settori strategici alla formazione di un asse
politico capace di scardinare o riformare
l’attuale sistema di governance globale non è
assolutamente scontato, e anzi, presenterebbe
numerose difficoltà.
Nonostante il percorso di avvicinamento tra
i due Paesi sia stato articolato e denso di
appuntamenti significativi, due eventi in
particolare racchiudono efficacemente le
prospettive affascinanti, ma al contempo
problematiche che caratterizzano l’asse tra
Mosca e Pechino.
Il primo evento risale a più di un anno fa e
ha avuto ampio risalto a livello internazionale.
Nelle ore immediatamente successive alla fine
del quarto summit della Conference on
Interaction and Confidence-Building Measures
in Asia (CICA)1, svoltosi il 20 e il 21 maggio
2014 alla presenza del Presidente russo
Vladimir Putin e del Presidente cinese Xi
Jinping, è stato siglato l’accordo tra Gazprom e
China
National
Petroleum
Corporation
(CNPC) sulle forniture di gas russo alla Cina2,
in fase di stallo da più di dieci anni.
L’intesa prevede in una prima fase, i cui
termini non sono noti in tutti i dettagli, lo
sviluppo dei giacimenti siberiani di Kovyktin e
Chayandin e la costruzione di un gasdotto –
Power of Siberia – di oltre 4.000 km per
collegare i bacini di estrazione all’area
metropolitana di Beijing-Tianjin-Hebei e al
delta dello Yangtze, comprensivo di una
derivazione in grado di alimentare i terminal
per la liquefazione che Gazprom ha intenzione
di realizzare a Sakhalin e Vladivostok3. L’onere
finanziario del progetto, stimabile in circa 75
miliardi di dollari, è sostenuto per due terzi da
Gazprom e per un terzo da CNPC attraverso
istituti di credito russi o cinesi e per mezzo
delle valute nazionali4.
1
Secretariat of the Conference on Interaction and
Confidence-Building Measures in Asia. <http://www.scica.org/page.php?page_id=699&lang=1>.
Gazprom
Press
Center.
<http://www.gazprom.com/press/news/2014/may/article1
19145/>.
Gazprom
Press
Center.
<http://www.gazprom.com/press/news/2015/october/arti
art249177/>.
Gazprom
Press
Center.
<http://www.gazprom.com/press/news/2014/may/article1
19145/; China National Petroleum Corporation Press
Release>,
<http://www.cnpc.com.cn/en/nr2014/201405/515e1f6fb
72540269a3236303397211d.shtml>.
2
3
4
Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie
4
A partire dal 2018 – ma è possibile, se non
probabile, uno slittamento di almeno un anno
– inizierà la trasmissione del gas russo verso la
Cina, per un ammontare di 38 miliardi di
metri cubi l’anno per trent’anni.
I dettagli del contratto non sono stati resi
noti, ma dai comunicati ufficiali e dalle
dichiarazioni degli amministratori delegati
delle due compagnie è possibile stimare un
prezzo per il gas sostanzialmente in linea con
quello delle forniture all’Europa5 (al momento
dell’accordo tra i 350 e 380 dollari ogni mille
metri cubi, attualmente intorno ai 180 dollari
ogni mille metri cubi 6 ). Il contratto presenta
inoltre clausole take-or-pay, quindi prevede
una penale – di entità non nota – qualora non
venga acquistata la quantità di gas pattuita e
aggancia l’andamento del prezzo delle
forniture a quello del petrolio e di un paniere
di prodotti derivati.
I pagamenti saranno versati esclusivamente
in valute nazionali al fine di intensificare le
relazioni commerciali tra i due Paesi e
mandare un ulteriore segnale a Washington,
deus ex machina dei mercati delle
commodities anche grazie allo status di
benchmark detenuto dal dollaro.
Il secondo evento risale invece a due mesi
fa e ha avuto un’eco piuttosto limitata. Il 19
novembre 2015 l’agenzia di stampa ufficiale
russa TASS ha ufficializzato l’esito positivo
delle trattative per l’acquisto da parte della
People’s Liberation Army Air Force (PLAAF)
di ventiquattro Sukhoi Su-35 7 , punta di
diamante dell’aviazione militare russa.
L’accordo segue di qualche mese quello per
la vendita di sei battaglioni dei lanciatori antiaerei e anti-missile a lungo raggio S-400
Triumph (del valore di circa 3 miliardi di
dollari)8 e con tutta probabilità precede quello
per la fornitura di carri armati T-19 Armata,
altri due pezzi pregiati dell’arsenale russo.
I velivoli saranno assemblati dalla
Komsomolsk-on-Amur Aircraft Production
Association (KnAAPO) – società controllata
dalla United Aircraft Corporation (UAC),
consorzio del settore aerospaziale a
maggioranza pubblica – presso gli stabilimenti
di
Komsomolsk-on-Amur,
nell’estremo
oriente russo. Il valore della commessa si
aggira intorno ai 2 miliardi di dollari, pari a un
prezzo unitario di circa 83 milioni di dollari9.
Le specifiche tecniche dei velivoli non sono
state rese pubbliche ma è altamente probabile
che sotto il profilo strutturale siano del tutto
simili ai Su-35 in dotazione all’Aeronautica
Militare della Federazione, mentre l’avionica
potrebbe presentare più di una differenza.
Se da una parte è noto che nel corso delle
trattative la PLAAF ha richiesto delle
integrazioni nell’avionica, che quindi includerà
tecnologia cinese, dall’altra, Rostec ha
assicurato che equipaggerà attraverso la
controllata United Instrument Manufacturing
Corporation (UIMC) i Su-35 cinesi con sistemi
di comunicazione all’avanguardia (sistema di
comunicazione S-108 onboard e sistema di
comunicazione NKVS-27 a terra), ma non ha
fornito chiarimenti circa gli altri apparati10.
Entrambi gli accordi, da un punto di vista
tattico, sono stati un successo per ambedue i
contraenti. Con l’accordo tra Gazprom e
CNPC la Russia inaugura una collaborazione
importante per lo
sfruttamento nel
medio/lungo periodo dei cospicui giacimenti
orientali (i soli depositi di Kovyktin e
Chayandin
hanno
riserve
stimate
rispettivamente per 1.500 e 1.200 miliardi di
metri cubi di gas naturale11). Nel breve/medio
periodo Mosca sigla un contratto che una volta
entrato a regime varrà all’incirca 10 miliardi di
9
5
Il prezzo assunto come riferimento per l’Europa è
quello al confine tedesco.
German Federal Office for Economic Affairs and
Export Control (BAFA). <http://www.bafa.de/bafa/en/>.
Agenzia
ITAR-TASS.
<http://tass.ru/en/defense/837662>.
Agenzia
ITAR-TASS.
<http://tass.ru/en/russia/788778>.
6
7
8
Sputnik
International.
<http://sputniknews.com/military/20151119/103036830
1.html>.
Rostec. <http://rostec.ru/en/news/4517479>.
Gazprom
Press
Center.
<http://www.gazprom.com/about/production/projects/de
posits/gas-production-center/>;
<http://www.gazprom.com/about/production/projects/de
deposi/chayandinskoye/>.
10
11
Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie
5
dollari l’anno (nel momento in cui è stato
firmato l’accordo il valore del contratto era
circa il doppio) e contribuirà a riequilibrare la
bilancia commerciale del Paese, fortemente
dipendente dai flussi con l’Europa (che
rappresenta circa il 60% dell’import e
dell’export russo) ma al contempo in passivo
nei confronti della Cina12.
Pechino, che progetta un consistente
aumento del proprio consumo annuo di gas
naturale entro la fine del decennio si assicura
invece
un’importante
fonte
di
approvvigionamento, in grado di coprire oltre
un decimo del fabbisogno stimato per il 202013.
Inoltre l’accordo, de facto, implica che il
prezzo del LNG presso gli impianti della
regione di Pechino e di Shanghai dovrà
adeguarsi all’offerta russa, e quindi calare di
almeno il 20% rispetto alle quotazioni attuali,
da circa 714 dollari a circa 6 dollari per milione
di british thermal unit (da 240/250 a 210/220
dollari per mille metri cubi).
Infine, la clausola sulla moneta è destinata a
generare un aumento dell’interscambio
commerciale, già prossimo alla soglia dei 100
miliardi di dollari a metà del 2014,
dell’integrazione industriale e di quella
finanziaria,
sostenuto
dalla
parziale
complementarità dei due sistemi economici.
Anche il rafforzamento della cooperazione
militare rappresenta per entrambi i Paesi un
importante risultato.
La Russia, colpita duramente dal terremoto
che ha investito i mercati delle materie prime e
dalle sanzioni economiche occidentali, si
assicura contratti del valore di miliardi di
dollari e una vetrina internazionale per i
prodotti di punta del comparto industriale
della Difesa. Mosca manda inoltre un
messaggio preciso al blocco occidentale, da cui
si sente ingiustamente e ipocritamente
ostracizzata sotto il profilo politico ed
economico ma soprattutto sotto quello
12
The Observatory of Economic Complexity.
<http://atlas.media.mit.edu/en/>.
China National Petroleum Corporation, in
<http://www.reuters.com/article/china-gas-demandidUSL3N1201HR20150930>.
IHS Inc. <https://www.ihs.com>.
culturale e psicologico, mostrando quanto può
essere corrosivo l’impatto della “diplomazia
delle armi” russa sull’ordine globale.
Il Cremlino dimostra di poter fornire alle
rivendicazioni territoriali cinesi una solida
deterrenza militare, paventando di fare lo
stesso con quelle iraniane e con quelle indiane,
innescando una corsa al riarmo in due tra gli
scacchieri più complessi al mondo (Medio
Oriente e Sud-Est asiatico) e, in definitiva,
minacciando di compromettere il pilastro più
saldo della stabilità internazionale: l’oligopolio
euro-americano delle capacità militari più
complesse e avanzate, cristallizzato oramai da
quasi due secoli.
La Cina d’altra parte si assicura una serie di
sistemi d’arma in grado di garantirle una
notevole superiorità tattica nei confronti dei
principali attori regionali e il consolidamento
del controllo sul Mar Cinese. Inoltre, Pechino
ha la possibilità di osservare da vicino alcuni
assetti che sono
concettualmente e
tecnologicamente molto più avanzati rispetto a
quelli che è in grado di produrre
autonomamente, come i motori Saturn AL41F1S (117S) o il sistema di controllo radar N035 Irbis-E PESA (Passive Electronically
Scanned Array), capace secondo i dati ufficiali
di agganciare fino a 30 bersagli con sezione
radar di 3 m2 (F-35 Lightning II, Typhoon,
Rafale) entro 400 km o con sezione radar di
0.01 m2 (F-22 Raptor) entro 90 km, e di
ingaggiarne simultaneamente 2 con missili a
guida radar semi-attiva (SARH) oppure 8 con
missili a guida attiva (ARH)15. E non è difficile
immaginare che, come ha già fatto in passato, il
complesso militare cinese sfrutterà questa
opportunità per confrontare, testare e
sviluppare le proprie capacità.
D’altronde, seppur vantaggiose, entrambe le
intese presentano delle incognite che
potrebbero precludere significativi sviluppi
futuri. L’accordo tra Gazprom e CNPC giunge
in un momento congiunturale piuttosto
complesso.
13
14
15
Sukhoi
Company.
<http://www.sukhoi.org/eng/planes/military/Su-35/>.
Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie
6
Nonostante la prolungata stagnazione dei
consumi energetici nelle economie avanzate e
la recente inversione di tendenza nei mercati
emergenti, a dispetto dello sviluppo di nuove
tecniche estrattive (Hydraulic Fracturing e
Horizontal Drilling, Cyclic Steam Stimulation,
Steam Assisted Gravity Drainage) che hanno
reso accessibili depositi non convenzionali
(scisti bituminosi, sabbie bituminose), il
segmento upstream non sembra ancora
risentire in modo significativo del crollo delle
quotazioni del greggio, e anzi, è possibile
affermare che il mercato delle materie prime
energetiche non è mai stato tanto articolato e
diversificato quanto lo è oggi, sia sotto il profilo
delle fonti e dei canali di approvvigionamento
che sotto quello delle caratteristiche degli
idrocarburi disponibili.
Il prezzo del gas siberiano ad esempio,
seppur inferiore di almeno il 20% a quello del
LNG, è maggiore del 10/20% a quello
proveniente dal Turkmenistan attraverso la
Central Asia-China Gas Pipeline, mentre nelle
regioni del Sud-Est, Nord-Est e Nord-Ovest
della Cina sono stati individuati giacimenti non
convenzionali di idrocarburi – che necessitano
quindi di tecnologie avanzate per l’estrazione e
hanno un costo di produzione superiore ai
giacimenti convenzionali – per un ammontare
pari a oltre 100.000 miliardi di metri cubi di
gas e 600 miliardi di barili di petrolio (gas-inplace e oil-in-place)16.
In secondo luogo, non sono gli
approvvigionamenti il primo problema per la
Cina. I 20 miliardi di dollari destinati
all’adeguamento infrastrutturale, se rapportati
alla distanza esigua delle due aree a cui sono
destinate le forniture dal punto di ingresso del
gas e all’avanzato livello di sviluppo dei
segmenti di griglia interessati, sono indicativi
della mole di investimenti che Pechino dovrà
destinare al potenziamento della rete di
distribuzione, vero nodo critico per l’aumento
dell’input di gas nella rete, in grado di
influenzare l’evoluzione della domanda e la
disposizione geografica degli hub per
l’importazione.
Inoltre, il rallentamento della crescita
economica ha costretto le autorità cinesi a
rivedere le proprie priorità in materia di
politica energetica e quindi a privilegiare – in
considerazione di dinamiche di scala e
d’impianto – carbone e rinnovabili a discapito
del gas naturale, causando di conseguenza un
taglio delle stime del fabbisogno di metano per
il 2020 di circa 100 miliardi di metri cubi (da
400/420 a 270/330 miliardi di metri cubi 17 ).
Infine, non essendo noti i dettagli delle
clausole non è possibile determinare se siano
stati approntati meccanismi, e nel caso quali
essi siano, per evitare o mitigare gli effetti
sull’evoluzione del prezzo delle fluttuazioni del
tasso di cambio tra renminbi e rublo e di
quello di entrambe le monete nei confronti del
dollaro, a cui è indirettamente indicizzato
l’andamento del prezzo (attraverso la clausola
oil-linked). D’altronde, è possibile prevedere
che la Banca Nazionale della Federazione
Russa accumulerà gradualmente ampie scorte
di valuta cinese. Dato lo scarso corso
internazionale del renminbi, la banca centrale
sarà costretta a reinvestire il surplus valutario in
titoli di stato cinesi – scarsamente liquidi – in
proprietà immobiliari in Cina – soggette agli
effetti di periodiche bolle speculative – o nei
mercati delle commodities – prevalentemente
scambiate in dollari. Opzioni scarsamente
appetibili per Mosca.
Anche lo sviluppo della cooperazione
militare tra i due Paesi presenta notevoli
incognite. Da quando nel 1990, a seguito della
sanguinosa repressione dei moti di piazza
Tienanmen, i Paesi occidentali hanno imposto
l’embargo sulle forniture militari alla Cina,
Mosca, che con la visita di Gorbacev a Pechino
del 1989 inaugurava il processo di distensione
con la Repubblica Popolare, è divenuta
rapidamente il più importante fornitore delle
forze armate cinesi.
17
16
U.S. Energy Information Administration (EIA).
Technically Recoverable Oil and Shale Resources:
China. Settembre 2015.
China National Petroleum Corporation, in
<http://www.bloomberg.com/news/articles/2015-0930/china-gas-demand-forecast-cut-by-cnpc-researcheramid-slowdown>.
Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie
7
Nonostante il Cremlino abbia raramente
concesso licenze di produzione o accettato
joint venture, il complesso industriale della
Difesa cinese ha attinto a piene mani
conoscenze e tecnologia dagli assetti militari
russi, suscitando sovente l’ira di Mosca e
talvolta la rescissione dei contratti.
Inoltre, grazie al massiccio ricorso allo
studio e alla riproduzione delle forniture
militari estere (principalmente russe e
israeliane) il complesso della Difesa cinese ha
sperimentato un rapido sviluppo negli ultimi
vent’anni che sta trasformando Pechino da
netta importatrice a netta esportatrice di
materiale bellico, mettendola di conseguenza
in crescente competizione con Mosca, seconda
esportatrice mondiale di sistemi d’arma e
leader in gran parte dei mercati asiatici18.
D’altronde, gli scogli che i due Paesi
devono superare per instaurare una
collaborazione strategica realmente costruttiva
in campo militare non si limitano a questioni
legali o commerciali. Nonostante il vorticoso
aumento dei bilanci sperimentato nell’ultimo
decennio e lo sviluppo di assetti avanzati in
grado di competere con quelli occidentali,
entrambi i complessi militari presentano due
limiti strutturali analoghi: scarsa propensione
all’innovazione e una dottrina fondata sulla
deterrenza piuttosto che sul controllo.
Il ritardo con cui Mosca e Pechino hanno
adottato il paradigma della stealthness 19 e
l’inerzia con cui stanno adottando quello dei
droni è esemplare di come i rispettivi sistemi
istituzionali e industriali non riescano a
sintetizzare approcci dottrinari e tecnologici
innovativi.
Mentre la maggior parte delle forze armate
occidentali ha già ampiamente integrato le
proprie componenti aeree e navali con assetti e
tecnologie stealth, la Russia e la Cina si
apprestano a far entrare in servizio i primi
velivoli con capacità stealth avanzate (caccia
multiruolo
di
quinta
generazione)
rispettivamente nel 2017 (il Sukhoi PAK-FA20)
e nel 2018 (il Chengdu J-2021), ma non sono
esclusi ritardi, soprattutto per il programma
cinese.
Inoltre, gli apparati militari di ambedue i
Paesi – ma in particolare ovviamente quello
russo – hanno risentito notevolmente a livello
dottrinario del passaggio dal bipolarismo
all’unipolarismo, e a partire dagli anni Novanta
hanno riplasmato la propria struttura militare
al fine di garantirsi sostanziali capacità di
deterrenza nei confronti di una possibile
aggressione esterna alla propria sovranità.
La recente evoluzione della postura
internazionale di ambedue i Paesi ha reso però
le sole capacità di deterrenza inadeguate
rispetto alle nuove ambizioni di controllo sullo
spazio limitrofo e su rotte o snodi regionali
strategici.
D’altronde, le capacità che vengono
richieste ai rispettivi dispositivi militari non
possono essere garantite esclusivamente da un
ristretto numero di assetti avanzati, ma
necessitano di una struttura articolata e
integrata che richiede imponenti finanziamenti.
Pur volendo supporre che una progressiva
clusterizzazione dei due comparti industriali
della Difesa possa colmare le rispettive lacune
tecnologiche e infrastrutturali, è difficile
immaginare che i due Paesi riescano a trovare
nel breve/medio periodo le risorse per dotare i
propri dispositivi militari di capacità di
informazioni,
sorveglianza,
acquisizione
obiettivi, riconoscimento (ISTAR), Adaptive
Planning and Execution (APEX) e Joint
Warfare (JW), Risposta Rapida e Risposta
Immediata (RR, IR), sufficienti a garantire a
Mosca e Pechino il controllo su quelle che
considerano le reciproche sfere d’influenza e
ad assicurare alle rispettive Forze Armate
capacità di proiezione adeguate alle ambizioni
della leadership politica.
20
18
Stockholm International Peace Research Institute.
<http://www.sipri.org/>.
L’insieme tecnologie e accorgimenti tecnici volti ad
aumentare la capacità di camuffamento agli occhi del
nemico e dei suoi dispositivi di sorveglianza.
19
Sputnik
International.
<http://sputniknews.com/military/20151230/103250758
1/t50-pak-fa-f35.html>.
Agenzia
Nuova
Cina.
<http://news.xinhuanet.com/english/201502/27/c_134023431.htm>.
21
Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie
8
Ma, al di là degli sviluppi delle due intese, è
sul futuro politico dell’asse Mosca-Pechino che
si concentrano i dubbi più consistenti.
Se infatti, data la complementarità dei
rispettivi squilibri strutturali, un rafforzamento
della cooperazione tra i due Paesi fosse
prevedibile e seppur le recenti crisi
internazionali
abbiano
accentuato
la
percezione delle convergenze politiche e delle
opportunità economiche, il passaggio da un
asse funzionale a un’alleanza strategica è
un’eventualità assai improbabile.
Pechino, sostenuta dall’apparente declino
occidentale e dalla prorompente crescita
economica dell’area Asia-Pacifico, non
nasconde l’ambizione alla leadership su scala
globale, adottando una visione prospettica
unipolare ma non internazionalista.
Mosca, forte della condizione di
superpotenza militare, dell’influenza che è in
grado di esercitare sulle repubbliche
centroasiatiche e in Medio Oriente e dei
rapporti privilegiati intessuti negli anni con
alcuni Paesi europei, auspica un futuro
multipolare, fondato sull’integrazione del
Washington consensus e sulla formazione di
un ordine mondiale a base regionale.
Se quindi la Cina, pur mostrando rispetto e
attenzione per Mosca, non è disposta a
riconoscere alla Russia lo status internazionale
cui ambisce, la Russia, seppur interessata a
garantirsi delle alternative alla partnership con
l’Occidente, e in particolare con l’Europa, non
è disposta a diventare un serbatoio di materie
prime per la Cina.
Dietro agli squilibri dell’interscambio
commerciale tra la Russia e i Paesi occidentali,
difatti, vi sono ragioni culturali, sociali,
storiche, politiche ed economiche profonde, di
cui la classe dirigente di Mosca appare
consapevole.
Negli anni successivi alla caduta dell’Unione
Sovietica la Russia ha visto, gradualmente ma
inesorabilmente, il deterioramento del suo
sistema universitario, gravato dalla fuga delle
menti più brillanti e dalle iscrizioni sempre più
scarse, del suo sistema industriale, distrutto
dalla concorrenza occidentale e dalla scarsa
lungimiranza della classe politica, e di gran
parte degli asset strategici in ricerca e sviluppo.
Le città chiuse (ZATO) sopravvissute al
cambio di regime, un tempo orgoglio del
blocco sovietico, oggetto di rispetto e causa di
apprensione per quello occidentale, sono oggi
un eloquente esempio del degrado vissuto dal
Paese negli ultimi venticinque anni dal punto
di vista scientifico e industriale.
L’economia russa è attualmente assimilabile
alle economie di tratta, sistemi economici che
esportano materie prime o semilavorati e
importano prodotti finiti e servizi complessi.
Circa il 65% delle esportazioni russe è
composto da risorse energetiche, il 15% da
metalli, legname, prodotti agricoli e minerali, il
restante 20% da prodotti base, semilavorati e
da componenti meccanici e sistemi eredità del
complesso industriale della Difesa sovietico
(sistemi
e
componenti
aereonautici,
cantieristica, nucleare civile).
Il capitolo importazioni al contrario si
compone di oltre 1.200 voci, di cui una
settantina da oltre un miliardo di dollari, e
abbraccia un’ampia gamma di merci, dalle
auto ai prodotti alimentari, dai farmaci agli
apparati elettronici22. E seppure Mosca appaia
determinata a ridurre la propria dipendenza
commerciale dall’Europa, non sembra
realistico pensare che voglia traslarla a Oriente.
D’altronde, anche i legami economici di
Pechino con l’Occidente sono più ambigui di
quanto talvolta appaiano. La riconquista della
leadership commerciale globale, avvenuta a
metà dello scorso decennio, non è stata dovuta
a impulsi culturali, sociali ed economici
endogeni, come nel XVII, XVIII e XIX
secolo, ma a una serie di impulsi di natura
esogena.
La progressiva de-industrializzazione e
finanziarizzazione delle economie avanzate ha
fornito infatti alla Repubblica Popolare
l’opportunità e i capitali per sviluppare il
proprio tessuto produttivo e commerciale,
integrandola rapidamente nella Catena di
distribuzione globale (GSC) e assegnandole
22
The Observatory of Economic
<http://atlas.media.mit.edu/en/>.
Complexity.
Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie
9
attraverso il nuovo paradigma del trade-in-tasks
il ruolo di factory system 23 globale. Il
prorompente
sviluppo
industriale
sperimentato dall’economia cinese negli ultimi
vent’anni non ha reso però la Cina solamente
una vorace consumatrice di materie prime.
Il modello di sviluppo adottato dal Partito
Comunista Cinese, così efficiente nella
programmazione economica e nell’allocazione
delle eccedenze, ha compresso la divergenza,
tanto nel tessuto economico quanto in quello
sociale, tanto nel panorama culturale quanto in
quello politico, ossificando il sistema
istituzionale e annichilendo le potenzialità
individuali. Il risultato di questo sforzo
totalizzante è stato un sistema economico
estremamente funzionale ma altrettanto rigido,
incapace di produrre progresso e di diffondere
adeguatamente il benessere.
Questa dinamica ha reso la Cina
dipendente dall’innovazione, dalla tecnologia e
dalle conoscenze che provengono dalle
inefficienti ma efficaci economie occidentali,
relegando inoltre il sistema produttivo cinese
nei segmenti a minor valore aggiunto e a
maggior impatto socio-ambientale della Catena
del valore globale (GVC). Sino a che quindi il
modello di sviluppo cinese non saprà integrare
fattori di varianza in grado di rendere la società
più libera e dinamica, il sistema economico
rimarrà anch’esso fortemente legato in una
relazione asimmetrica agli apporti scientifici,
tecnologici,
creativi
ed
esperienziali
proveniente dalle economie occidentali.
Quello che infatti risulta essere il principale
limite dell’asse Mosca-Pechino è l’incapacità di
avere un’immagine nitida e universale del
futuro, che sotto il profilo politico si traduce
nell’incapacità di elaborare strategie realmente
alternative ai disegni USA.
Seppur alcune iniziative diplomatiche
congiunte sembrino accreditare una “Grand
Strategy” condivisa, la realtà complessiva è
meno chiara e univoca di quel che appaia. I
summit e gli organismi intergovernativi nati
23
Asian Development Bank. Future of Factory Asia,
2014.
<http://www.adb.org/sites/default/files/publication/42477
/future-factory-asia>.
sotto impulso sino-russo soffrono infatti di
frequenti ambiguità programmatiche, di
persistenti diffidenze reciproche e delle
crescenti difficoltà con cui si stanno
scontrando i rispettivi sistemi socio-economici,
rendendo molto spesso difficile comprendere
la reale portata di memorandum e
dichiarazioni d’intenti altisonanti. Progetti
come l’Unione Economica Eurasiatica e la
Belt and Road Initiative, finalmente giunti in
fase di implementazione dopo lunghe
gestazioni rispettivamente dal 2011 e dal 2013,
stentano a decollare, lasciando intravedere
dietro alle ambiziose road map molte più
incognite di quelle previste e grovigli d’interessi
in cui appare difficile individuare convergenze
strategiche ad ampio spettro.
Le istituzioni sorte per garantire una cornice
attuativa alle strategie politiche soffrono
abitualmente della sproporzione tra la portata
dei compiti e le risorse a disposizione, come
nel caso della Asian Infrastructure Investment
Bank (AIIB), investita del compito di
consolidare i cluster industriali, di potenziare
le reti di collegamento e di armonizzare lo
sviluppo economico nella regione, ma dotata
di un capitale di 100 miliardi di dollari (a
fronte dei 250 miliardi a disposizione della
Banca Mondiale e degli oltre 700 del Fondo
Monetario Internazionale) e ostaggio delle
profonde divisioni interne al board di
controllo (Board of Governors). Nonostante
quindi la chiara volontà di svincolarsi da quello
che viene percepito con un abbraccio
soffocante, l’agenda politica dei due Paesi è
ancora in larga parte influenzata, direttamente
o indirettamente, da Washington. Ed è stata
proprio Washington, sviluppando politiche di
contenimento commerciale (negoziati TAFTA
e TPP per l’istituzione di aree di libero
scambio regionali che escludono Cina e
Russia) e politico-militare (espansione dei
trattati di cooperazione militare con Canada,
Giappone, Vietnam, Filippine e Australia;
gestione delle crisi in Siria e Ucraina) a dettare
i tempi dell’avvicinamento tra Mosca e
Pechino.
Lungo precise linee di demarcazione e
cogliendo ogni occasione che gli si presenti,
Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie
10
Washington sta ridisegnando la mappa delle
proprie alleanze e imponendo ai propri alleati
di fare altrettanto. In un simile contesto
politico, Cina e Russia rafforzano la
cooperazione in due settori strategici e
vagheggiano la nascita di un nuovo soggetto
politico internazionale che, a seconda del
momento e del contesto, includerebbe i propri
clientes regionali, l’Iran, l’India e magari il
Pakistan o il Venezuela, avallando e
legittimando de facto le strategie di
Washington. Ma a differenza del passato,
invece che far sorgere due blocchi, il
progressivo riassetto mondiale rischia di dare
vita a un Leviatano e a un manipolo di esclusi.
Se difatti è difficile prevedere che il sistema
economico internazionale possa fare a meno
delle capacità produttive cinesi o delle materie
prime russe oppure che la sicurezza globale
possa essere assicurata senza la collaborazione
di Mosca e Pechino, è altresì prevedibile che il
sistema di alleanze variabili che caratterizza
attualmente le relazioni internazionali vada
penalizzando in maniera crescente quei
soggetti che si pongono al di fuori della
dialettica politica dominante, relegandoli al
ruolo di antagonista o di sponda funzionale nei
dossier più controversi.
Il vertice congiunto BRICS – Shanghai
Cooperation Organisation (SCO) – Eurasian
Economic Union (EUU) svoltosi a Ufa il 9
luglio 2015 in coda al VII summit dei BRICS è
un eloquente affresco del rischio di
marginalizzazione a cui vanno incontro Mosca
e Pechino. I quindici tra Presidenti e Primi
Ministri seduti al tavolo negoziale, pur
rappresentando circa il 50% della popolazione
mondiale e un’ampia fetta delle riserve globali
di risorse strategiche, erano però tutti leader di
Paesi poveri o in via di sviluppo,
scientificamente e tecnologicamente arretrati,
culturalmente largamente ininfluenti e in
massima parte retti da sistemi di governo ibridi
o autoritari. Il pericolo è oramai chiaro alle
classi dirigenti nazionali, come dimostrano le
recenti dichiarazioni di Herman Gref,
amministratore delegato della Sberbank ed ex
Ministro dello sviluppo economico durante i
governi Putin: «We must honestly admit that
the oil era is over and we have lost
to competitors» dice, aggiungendo che in una
realtà influenzata in maniera crescente dalla
tecnologia
«the difference
between
the leaders and losers would be larger than
during the Industrial Revolution» . Le parole
24
del banchiere russo fanno da eco a quelle di
un altro banchiere, Yu Yongding, ex
Presidente della China Society of World
Economics e Direttore dell’Institute of World
Economics and Politics at the Chinese
Academy of Social Sciences, che da anni
denuncia gli squilibri dell’economia cinese e la
cronicizzazione del deficit di conoscenze,
tecnologia e expertise che affligge il modello di
sviluppo della Repubblica Popolare 25 . La
diffusione del benessere, il nomadismo della
conoscenza e quello del lavoro, l’espansione
dei network di comunicazione e della rete dei
trasporti hanno formato un numero crescente
di individui in tutto il mondo sulla base di
valori, aspettative e necessità comuni.
Per la prima volta nella storia dell’umanità
una civiltà non solo è capace di proiettare a
livello planetario il proprio dominio, ma anche
la propria direzione, o per meglio dire,
egemonia culturale e morale. E Russia e Cina,
ben lungi da ottenere un risultato simile, sono
altresì lontane dalla formulazione di un
modello alternativo a quello occidentale che gli
permetta di impostare un confronto
equilibrato con l’Occidente. Le rispettive classi
dirigenti devono fare perciò attenzione al
rischio
di
dare
vita,
quantomeno
nell’immaginario collettivo, a un nuovo
Impero del Male, che nei momenti di massima
polarizzazione psicologica e mediatica sarà
composto esclusivamente, o quasi, da sistemi
economici fragili, squilibrati o sclerotici, realtà
culturali, sociali e politiche anacronistiche,
assomigliando a un grottesco club di stereotipi
più che al minaccioso avversario descritto da
Reagan. E a non smarrire la percezione di far
parte tanto del presente quanto del futuro.
24
The Moscow Time, 'Downshifter' Russia Is Losing
Warns State Bank Chief,
<http://www.themoscowtimes.com>.
Project Syndicate, Yu Yongding, <http://www.projectsyndicate.org/columnist/yu-yongding>.
Global Competition,
25
Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie
11
Reddito pro capite
(metodo Atlas, $)
Economist Intelligence
Unit -
Academic Ranking of
World Universities
WIPO
-
Global Innovation Index
Democracy Index
Università nella Top
100
Afghanistan
680
147°
-
-
Armenia
4020
116°
-
61°
Bielorussia
7340
127°
-
53°
Brasile
11530
51°
-
70°
Cina
7400
136°
-
29°
India
1570
35°
-
81°
Iran
7120
156°
-
106°
Kazakhstan
11850
140°
-
82°
Kyrgyzstan
1250
93°
-
109°
Mongolia
4280
62°
-
66°
Pakistan
1400
112°
-
131°
Russia
13220
132°
1
48°
Sud Africa
6800
37°
-
60°
Tajikistan
1080
158°
-
114°
Uzbekistan
2090
158°
-
122°
Dati: World Bank, The Economist Intelligence Unit, Shanghai Ranking Consultancy, World Intellectual Property
Organization (WIPO).