31 Luglio 2012 - Campania, terra di veleni
Transcript
31 Luglio 2012 - Campania, terra di veleni
CON LA SINISTRA ENIGMISTICA + EURO 3,50 CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 1,50 SPED. IN ABB. POST. - 45% ART.2 COMMA 20/ BL 662/96 - ROMA ISSN 0025-2158 ANNO XLII . N. 181 . MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012 EURO 1,50 SETTIMANA CRUCIALE ILVA, I CORNI DEL DILEMMA Rossana Rossanda «P urché le due cose - difesa dell’occupazione e difesa dell’ambiente - vengano fatte insieme». Così scrive Alberto Asor Rosa, in occasione del dilemma fra chiudere l’Ilva smettendo di contaminare la zona o lasciarla aperta contaminandola. E ricorda che un dilemma simile si era verificato in val di Chiana, sul riuso di uno stabile dismesso, proposto da un’impresa che si occupava di biomasse e che aveva visto gli ambientalisti chianini disturbati da una invasione di disoccupati che volevano lavoro. Giusto dunque operare insieme per lavoro e natura. Ma a chi si parla? Mi si permetta di protestare quando ci si rivolge, in ugual modo, alla proprietà e agli operai e ai loro sindacati. È un pezzo che anche questi sono accusati di essere stati "sviluppisti", e quindi avvelenatori del pianeta, anche da parte di noti padri della patria. Come se fossero loro a decidere se aprire o chiudere una fabbrica, e a determinarne le linee e l’organizzazione della produzione, nonché la distribuzione. Ma non sono loro affatto! Non essendo in condizioni di investire, può investire e decidere su che cosa produrre sempre e solo la proprietà del capitale. Agli operai non resta che afferrare un salario, se se ne presenta la possibilità, vendendo la propria forza di lavoro; salario con il quale vivono, non avendo altri redditi, e del quale quindi non possono fare a meno. La fabbrica inquina o, peggio, infetta? Non sono loro né a infettare né a smettere di infettare, non hanno scelta se non combattere, come hanno fatto al Petrolchimico di Marghera. Ma è difficile chiedere loro di cambiare l’azienda, da cui traggono quel misero salario in cambio di niente. Ed è perfettamente ipocrita chiedere loro di produrre pulito, produrre ecologico. Essi non hanno scelta, e se sono messi davanti a quella di perdere il lavoro o rischiare di avvelenarsi, rischieranno prima di avvelenarsi, salvo battersi poi per rischiare di meno. Non possono fare altrimenti. Per questo non parlerei di alleanza fra operai e capitale. Nella difesa di una produzione sporca, gli operai non sono "alleati" con la proprietà sono "ricattati" dalla proprietà. Quando Viale o altri dicono: si produca meno o si passi a una produzione ecologicamente sana, si cessi di inquinare il pianeta, a chi parlano? Seriamente? Seriamente possono parlare soltanto alla proprietà, privata o pubblica, diretta o per azioni, nazionale o multinazionale, e solo ad essa, i salariati non potendo decidere né che cosa né come né dove produrre. Sì, qualche volta hanno cercato di farlo, come nel ‘69, ma sono stati sconfitti dai padroni, dal governo, dalla stampa, in nome della democrazia, e la loro lotta è stata subito dopo resa sempre meno possibile dai licenziamenti in massa che sono seguiti. CONTINUA |PAGINA 4 Stati uniti in campo: «Salvare il soldato euro» E urozona e Usa si preparano a tirar fuori i bazooka per salvare il soldato euro. Ieri il segretario al Tesoro degli Stati uniti, Timothy Geithner, ex presidente della Fed, è andato a Sylt, un’isoletta del Mare del Nord, per incontrare il ministro delle finanze tedesco Schäuble. I contatti politici si moltiplicano, per dimostrare, come dice il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker che «non ci inginocchiamo di fronte ai falsi medici del mercato, il problema Spagna sarà risolto e questo vale anche per l’Italia». Resta da convincere il fortino della Budesbank, che continua a puntare i piedi contro l’avanzata della Bce e del Fesf in un’azione congiunta a sostegno dei paesi maledetti. ANNA MARIA MERLO |PAGINA 2 Mercato e liberismo non sono la ricetta Quattro punti per cambiare SPENDING REVIEW |PAGINA 3 L’ANALISI Aldo Carra pagina 15 Oggi la fiducia, Cgil e Uil confermano lo sciopero. Retromarcia sui medicinali, vince Farmindustria RICCARDO CHIARI ILVA DI TARANTO Veto anticipato Avviate le procedure di sequestro A Taranto torna a salire la tensione. Ieri sono entrati in fabbrica i custodi nominati dal Gip, ma gli impianti per ora rimangono aperti. Saltato l’incontro tra il presidente Ilva Bruno Ferrante e gli inquirenti LEONE |PAGINE 4 E 5 LONDRA 2012 Il ping pong è inglese e parla cinese Il sindaco di Londra sostiene che il tennis tavolo è nato qui. Ma da quando è diventato sport olimpico, lo squadrone della terra di mezzo non ha più rivali. E ora è corsa alla naturalizzazione degli atleti cinesi PATRONO |PAGINA 7 CONI D’OMBRA/1 Il mezzogiorno nudo di Manlio Rossi-Doria LUIGI MISTRULLI EMBLEMA «Sul voto anticipato decido io». Giorgio Napolitano richiama all’ordine il Pd. «Siamo pronti ad andare alle urne anche con il Porcellum», aveva detto Rosy Bindi. Ma il capo dello stato insiste. «Chiedo una riforma rapida» della legge elettorale PAGINA 6 CAMPIDOGLIO LEGGE ELETTORALE I buttafuori neri del sindaco Alemanno «A vevo vent’anni, mi sono trovato coinvolto in qualcosa di molto più grande di me». Così la racconta Maurizio Lattarulo, oggi cinquantenne e fino a qualche tempo fa consulente del Comune di Roma per il reinserimento degli ex detenuti. Forse è come dice lui. Ma fa impressione rileggere l’inchiesta sulla banda della Magliana, laddove viene definito «braccio destro di Enrico De Pedis (Renatino)» e «luogotenente del capo dei Nar Massimo Carminati». Il prototipo esatto del grumo criminale di quell’odiosa esperienza, tra gangster di periferia e terroristi neri, assoldati dalla mafia e arruolati dai servizi segreti. Sandro Medici Aleggia da tempo un acidissimo sapore di connivenza criminosa tra l’amministrazione locale più importante del paese, che pomposamente si autodefinisce Roma Capitale, e una galleria di inquietanti figuri, direttamente riesumati da quella nebulosa avvelenata che è stata la stagione del neofascismo romano. Lattarulo è solo l’ultimo di una lista di ex terroristi, camerati e scudieri vari, assunti o chiamati agli alti ranghi di aziende, segreterie, gabinetti, uffici-stampa, ecc. Gianni Alemanno oggi fa il sindaco di Roma, ma nel passato si è distinto per la sua militanza litto- Per il primo articolo della serie dedicata a figure o opere che hanno avuto un ruolo importante nella formazione culturale delle generazioni del ’900, un ritratto dell’economista e politico meridionalista nel segno della terra ARMINIO |PAGINA 10 ria. E il suo intento è stato fin da subito quello d’infarcire gli apparati istituzionali e la macchina amministrativa con fiduciari variamente legati a quelle storie. È qui il senso dei Lattarulo e degli altri sodali neri. Tra le decine di centurioni scelti e le centinaia di miliziani di fanteria, a Roma si è stratificato un combinato di governo autoritario e facinoroso, oltreché cialtrone e inefficiente. Frutto di una cultura politica, quella della destra romana (tra le peggiori d’Italia), che interpreta e agisce le istituzioni come fossero caserme. È una ragione in più per liberare la città da questa banda di buttafuori neri. È il tempo giusto per tornare al proporzionale Massimo Villone L o speciale borsino della legge elettorale segue i mercati finanziari, ma in proporzione inversa. Se lo spread sale, la probabilità che si vada a votare con una legge nuova scende; se lo spread cala, la probabilità aumenta. La variabile decisiva è il tempo. Se la crisi si aggrava, cresce la spinta a votare presto, magari già a novembre; il contrario, se c’è qualche segnale di miglioramento. Il tempo disponibile per cambiare il sistema elettorale non si calcola però guardando alla data del voto, ma a quella della indizione delle elezioni e della convocazione dei comizi elettorali, che cade almeno 45 giorni prima del voto, e che segna l’inizio delle procedure preelettorali. Anche se la nuova legge volesse abbreviare i termini oggi previsti, potrebbe farlo solo in minima misura. CONTINUA |PAGINA 6 pagina 2 il manifesto MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012 VINCE IL BANCO Eurocrack • Americani e tedeschi apprezzano gli sforzi fatti da Italia e Spagna ma resta da superare la linea del rigore a oltranza della Bundesbank WOLFGANG SCHAEUBLE E TIMOTHY GEITHNER/FOTO REUTERS AUSTERITY Ma l’euro è davvero fallito? Sergio Cesaratto* I mercati si sono ieri ripresi e gli spread di nuovo calati sotto i 500 punti. Questo in seguito alle foto di Merkel e Hollande – che tanto ci ricordano Merkosy - che giuravano che l’euro sopravvivrà, e le coeve dichiarazioni di Draghi che la Bce farà di tutto per salvare la moneta unica. In costoro v’è da credere, così come non deve preoccupare l’opposizione della Bundesbank che super-MarioD, si dice, sta cercando di ammorbidire. Costoro non vogliono infatti far cadere l’euro, ma semplicemente tenere i popoli europei sulla griglia dell’austerità, per cui 450 punti di spread vanno benissimo. Un po’ troppi per Monti, a cui andrebbero bene 200, sufficienti per continuare le politiche di attacco a diritti sociali e lavorativi salvando la faccia. Una sinistra autorevole pretenderebbe che la Bce ripristinasse i 25 punti pre-crisi. Senza dimenticare che questo costituirebbe solo il primo passaggio verso la risoluzione della crisi, la quale richiede un radicale ridisegno dell’impianto europeo. L’euforia dei mass media di regime per l’ennesimo evitato crollo dell’euro altro non è che l’ulteriore esempio della disinformazione denunciata dall’appello di martedì scorso su questo giornale. Poiché, inoltre, nulla di concreto è stato deciso, in quanto linea degli annunci appare bastevole a non far scappare di mano la situazione, si ricomincerà presto col balletto degli spread. Che questo cuocere i popoli europei a fuoco lento, questo continuo stop and go, sia voluto è confermato dalle opinioni che qualche giorno fa The Guardian riportava di uno dei più influenti economisti del dopoguerra, l’ultra-liberista canadese e premio Nobel (conferito dalla Banca di Svezia) Robert Mundell. Paradossalmente la teoria della «aree valutarie ottimali» di Mundell viene richiamato proprio da coloro che denunciano l’assurdità di una unione monetaria fra paesi troppo disomogenei (un contributo all’ebook di Micromega Oltre l’austerità discute questa tesi). Avendo forse questo in mente, Draghi ha pochi giorni fa paragonato l’euro a un calabrone che deve ancora imparare a volare. Mundell guarda con sufficienza a tale interpretazione: in verità l’euro sta funzionando benissimo. Esso non è nato per unificare una Europa solidale in una comune crescita sostenibile, ma per fare piazza pulita dello stato sociale, diritti sindacali, regolazioni dei mercati e della finanza, e tutela artistica e ambientale, tutto quello che, a suo dire, gli ha reso la vita difficile durante i soggiorni nella propria magnifica antica villa in Toscana. Che dunque l’euro abbia condotto a una crisi epocale va benissimo. Tutto subito non si poteva ottenere. La liberalizzazione dei movimenti di capitale cum moneta unica ha portato a boom fittizi nella periferia europea, ora indebitati verso i paesi forti. Questo consente ora di far passare misure di contrazione fiscale e di riduzione dei diritti sociali e sindacali prima inimmaginabili. Questo naturalmente vale anche come ammonimento per i lavoratori dei paesi forti: che in Germania sindacato e sinistra non si azzardino a ridiscutere quanto loro stessi hanno implementato alla fine del secolo scorso. Allora tutto torna. L’euro, come afferma Mundell, è il Reagan europeo. L’irresolutezza europea, e quella italiana di Monti, è voluta: si impedisce alla situazione di esplodere, mantenendola sul filo dell’abisso per terrorizzare le popolazioni e assestare il colpo definitivo alle conquiste del secolo scorso. Rimane solo da domandarsi quando la parte maggioritaria della sinistra italiana farà la necessaria autocritica per avere, in buona o cattiva fede, assecondato questi disegni e, soprattutto, cosa dovrà mai accadere perché ritenga la misura colma? Se non ora, quando? * Economisti oltre l’austerity Spintarella dagli Usa Il segretario del tesoro americano Geithner incontra il ministro delle finanze tedesco e spinge perché la Germania accetti la linea di salvataggio dell’euro proposta da Draghi Anna Maria Merlo PARIGI E urozona e Usa si preparano a tirar fuori i bazooka per salvare il soldato euro nella settimana «cruciale» per la sopravvivenza della moneta unica. Gli incontri e i contatti politici si moltiplicano, per dimostrare, come ha affermato il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker che «non ci inginocchiamo di fronte ai falsi medici del mercato, il problema Spagna sarà risolto e questo vale anche per l’Italia». Ma il fronte non è ancora del tutto unito. Alcune falle persistono. Per tapparle, ieri il segretario al Tesoro Usa, Timothy Geithner, ex presidente della Fed, è andato a Sylt, un’isoletta del Mare del Nord, per incontrare Wolfgang Schäuble, il ministro delle finanze tedesco, che ha dovuto smentire delle dichiarazioni pubblicate da Welt am Sontag, dove si era mostrato freddino sulle proposte di Mario Draghi di azionare il Fesf per acquisire obbligazioni pubbliche dei paesi maledetti, per poi permettere alla Bce di scendere in campo e comprare titoli sul mercato secondario, con lo scopo di tagliare l’erba sotto i piedi alla speculazione e far scendere lo spread. Il governo tedesco assicura che «non bisogna vedere una contraddizione con gli impegni presi al Consiglio europei del 28-29 giugno» e il portavoce di Angela Merkel, Georg Steiner, afferma che «naturalmente, il governo tedesco ha piena fiducia nell’indipendenza di azione della Bce». E’ stato meglio dirlo, visto che un eurodeputato tedesco dell’Fdp, il piccolo partito liberale alleato di governo della Merkel, Jörg Uwe Hahn, ha minacciato di rivolgersi alla Corte di giustizia europea per denunciare la Bce se avesse l’ardire di comprare titoli di stato sul mercato secondario. Geithner è andato poi a Francoforte, per dare manforte a Mario Draghi. Tra gli incontri della settimana, oggi c’è il pranzo di Mario Monti all’Eliseo, per consolidare l’intesa con François Hollande, chiaramente schierato per un intervento del Fesf-Mes e della Bce, poi il premier italiano avrà un appuntamento più difficile a Helsinki con il primo ministro Jirki Katainen, quello che aveva chiesto alla Grecia un’isola delle Cicladi in garanzia per dare l’ok al primo piano di salvataggio. Giovedì, Monti sarà sempre in prima linea, con un incontro a Madrid con Mariano Rajoy. Qui dovrà tastare il terreno per capire quando Rajoy si dirà disposto ad accettare l’aiuto europeo, i 300 miliardi che sta negoziando dietro le quinte. La Spagna non vuole sottomettersi a un Memorandum stile Grecia. Ieri, la Commissione ha ribadito che «i governi dell’area euro, la Bce e la Commissione faranno tutto il necessario per preservare l’area euro». Resta da convincere il fortino della Budesbank, che continua a puntare i piedi contro l’avanzata della Bce e del Fesf in un’azione congiunta a sostegno dei paesi maledetti. Draghi e Jens Weidmann, governatore della Buba, «prenderanno un caffè per uno scambio di punti di vista prima del consiglio dei governatori» della banca centrale europea il 2 agosto, ha fatto sapere l’istituto di Francoforte. Juncker, che assicura che Schäuble sarebbe un ottimo successore alla testa dell’Eurogruppo, ha detto che i paesi dell’euro sono «pronti ad agire con la Bce perché il Fesf compri i titoli di debito estero» dei paesi in difficoltà. «Siamo arrivati a un punto cruciale, resta da precisare ritmo e misura». Per agosto, dovrebbero bastare le dichiarazioni che minacciano il bazooka e la ripresa degli acquisiti della Bce sul mercato se- condario (il Fesf non ha soldi, ha solo più 200 miliardi in cassa e una parte sono già impegnati per la Grecia), in attesa del Mes a metà settembre. Per Juncker è ora di finirla di prendere in ostaggio l’Europa per scopi di politica interna, a cominciare dalla Germania. Ma dietro i governi ci sono i popoli, dove l’euroscetticismo avanza. Il rischio per l’euro potrebbe proprio arrivare dal disamore dei cittadini, a cominciare da quelli del nord Europa, Finlandia, Olanda, Germania. La Commissione ha reso nota l’ultima inchiesta sull’indice di «fiducia» nell’economia europea: è al più basso, ed è crollato in Germania (meno 3,7 punti), si è abbassato in Francia (meno 2,7) mentre in Spagna i timori sono minori (meno 1,4) e in Italia la sensazione è addirittura positiva (più 1,3 punti). GRECIA CRISI Monti, ancora uno sforzo Gabriele Pastrello R es ad triarios rediit - la lotta torna ai veterani -, così stre imprese sono inserite in reti internazionali, il passagdiceva Giulio Cesare. John Belushi invece diceva gio da una moneta di riserva mondiale a una non tale poche quando il gioco diventa duro i duri cominciatrebbe provocare, quantomeno a breve, una disorganizzano a giocare. Ma ambedue sarebbero stati d’accordo nel zione della produzione. Solo risolti tutti questi problemi definire così gli ultimi interventi di Mario Draghi, che ha potremmo godere degli effetti positivi di una svalutazione. dichiarato che la Bce farà ‘whatever it takes’ - qualsiasi coLa conclusione è che dobbiamo cercare di affrontare la sa serva - a salvare l’euro. Il che significa che la Bce è disposituazione in Europa e nell’euro, qui e adesso. Il primo sta ad andare oltre regolamenti e trattati e agire nella piepunto è che il dogma ortodosso che con la manovra sui nezza delle funzioni del prestatore di ultima istanza. La notassi di interesse si mantiene la stabilità finanziaria e, al tizia è positiva in quanto conferma ciò che si poteva solo tempo stesso, si rilancia l’economia è stato chiaramente supporre, cioè che c’è qualcuno che non ha perso la testa smentito dalle vicende europee post-dicembre 2011. Il fiin deliri elettoralistici come il governo tedesco, pronto a dinanziamento della Bce di mille miliardi alle banche ha otstruggere l’Europa per vincere alle prossime elezioni, o in tenuto quantomeno fino a primavera l’obbiettivo di sfiamdeliri ideologici come tanti economisti, tedeschi e no. mare lo spread tra i titoli tedeschi e gli altri, ma non ha riMa, detto questo, va ribadito che la situazione resta terlanciato l’economia europea in presenza di manovre fiscaribile. Siamo in alto mare e in gran temli restrittive, di banche che si trattengono pesta. E bisogna resistere alla visione, la liquidità creata dalla Bce, mentre la doL’economia che può balenare, di un porto tranquildi credito sta crollando. La rischioitaliana ha bisogno manda lo: la moneta nazionale svalutata del sa scommessa del centrodestra europeo di 20% o più; una banca centrale con socompensare con bassi tassi l’austerità fiscadi stimoli diretti. vranità monetaria e controlli sui movile, al prezzo ridotto di limitati rallentamenResitere alla menti di capitali; cioè l’uscita dall’euti delle economie, e di squilibri sociali conro. Una situazione davvero desiderabitrollabili, è stata chiaramente persa. visione di un porto le. Ma tra l’alto mare in tempesta in A questo punto, se Monti volesse diventranquillo: la lira, cui siamo e quel porto c’è di mezzo un tare davvero uno statista dovrebbe abbantifone, e in quel porto abbiamo pochisdonare le sue posizioni preconcette. Le ecosvalutata del 20% sime probabilità di arrivarci vivi. nomie europee, e quella italiana in particoUn ritorno alla lira comporterebbe una svalutazione allare, hanno bisogno di stimoli diretti. Gli unici stimoli keymeno del 20%, che potrebbe anche aumentare. Dopo di nesiani che non funzionano, pace Giavazzi, Alesina e Zinche non ci metterebbe molto a svilupparsi un’inflazione a gales, sono quelli che non vengono fatti. Perfino Confindudue cifre, cosa di cui i disastrati bilanci delle famiglie italiastria potrebbe essere d’accordo su un ampio piano di lavone non hanno assolutamente bisogno. Il passaggio da euro ri di manutenzione del territorio: ponti, strade, scuole a lira comporterebbe inoltre un aumento del debito pubbliospedali etc; magari mobilitando in qualche modo le risorco italiano, che dal 120% del Pil potrebbe andare verso il se della Cassa depositi e prestiti. Certo, bisogna chiedere 150, e forse anche oltre. Il che implicherebbe una insostenial più presto l’attuazione dello scudo anti-spread, ma non bilità del servizio del debito, e il default; oppure una monebasta. Va iniziato un confronto in Europa sull’ideologia tizzazione del deficit che, nelle condizioni date, potrebbe dell’austerità; va rivendicato il diritto al rilancio delle ecorinforzare le tendenze inflazionistiche originate dal lato del nomie dei propri paesi. L’Europa va fatta con paesi vivi. cambio. Inoltre, siccome abbiamo un deficit di bilancia Il rischio è che gli attacchi speculativi vengano rintuzzacommerciale, una caduta dell’afflusso di capitali esteri verti una, due, qualche altra volta, ma che l’economia euroso l’Italia ci costringerebbe a ulteriori manovre restrittive pea entri in una stagnazione prolungata e che, alla fine, per ridurre il deficit estero. C’è inoltre il problema dei debianche gli attacchi speculativi passino. Non basta dire: bati denominati in euro verso creditori esteri che difficilmensta sacrifici. Bisogna passare agli stimoli. Parafrasando te accetterebbero la trasformazione in lire, con una coda inquello che un tale disse durante la Rivoluzione francese: finita di contenzioso. Inoltre, tenuto conto che molte noMonti, ancora uno sforzo! «Tassare i conti in Svizzera» Il governo greco ha ribadito la propria intenzione di concludere un accordo con quello elvetico per tassare i circa 200 miliardi di euro che la Banca Centrale di Grecia ritiene siano stati occultati da grossi evasori fiscali greci in conti bancari in Svizzera. «Abbiamo chiesto al governo elvetico di riattivare la procedura tesa alla firma di un accordo tra i due Paesi per la tassazione di conti bancari e altri beni depositati da cittadini greci nelle banche svizzere», è scritto in un comunicato diffuso dal ministero delle Finanze secondo il quale, nei soli ultimi due anni, i greci hanno esportato legalmente 16 miliardi di euro, dei quali meno del 10% è finito nella Confederazione elvetica. La Banca di Grecia, riferisce il quotidiano Ta Nea, ha reso noto di avere informazioni circa 403 cittadini greci che nel 2010 hanno portato all’estero ciascuno almeno 100.000 euro pur dichiarandosi nullatenenti. In tutto, sempre nello stesso anno, 731 greci hanno trasferito un miliardo di euro in banche straniere. I colloqui tra autorità elleniche ed elvetiche per giungere a un accordo erano stati avviati lo scorso ottobre dall’allora ministro delle Finanze Venizelos. L’intesa alla quale i responsabili di Atene puntano dovrebbe essere sulla falsariga di quelle già firmate dalla Svizzera con Germania e Gb. I cittadini greci titolari di conti in banche svizzere avranno due possibilità: dichiarare alle autorità elleniche quanto hanno depositato, oppure pagare le tasse alla percentuale che sarebbe applicata se lo stesso ammontare fosse dichiarato come reddito in Grecia. il manifesto MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012 pagina 3 VINCE IL BANCO Decreto • Oggi il governo pone la fiducia al Senato. Poi tocca alla Camera, dove non dovrebbero esserci sorprese. «Abbiamo fatto una mini finanziaria» SPENDING REVIEW · I sindacati confermano lo sciopero del 28 settembre La pillola non va giù Riccardo Chiari «I n cinque giorni siamo riusciti a fare una sorta di mini finanziaria». In aula dal sottosegretario Gianfranco Polillo arriva un briciolo di onestà intellettuale sulla spending review. Non una revisione di spesa, piuttosto una nuova manovra da 26 miliardi nel triennio 2012-14. Con tagli lineari, così come denunciano gli enti locali che subiscono gli effetti del provvedimento del governo Monti. E con misure che convincono Cgil, Uil e Ugl a confermare lo sciopero del pubblico impiego per il 28 settembre, anche dopo un ultimo incontro con il ministro Patroni Griffi che stima 11mila esuberi solo nell’amministrazione centrale: «Non possiamo fare alcuna modifica – tira le somme il segretario confederale Nicola Nicolosi della Cgil – e la riduzione del personale, unita ai tagli alla sanità, sono un attacco allo stato sociale nel suo insieme». Quanto alla conversione del decreto, in Senato dovrebbe essere una passeggiata, dopo che in commissione bilancio è stato dato il via libera a 90 emendamenti, concordati con l’esecutivo e senza toccare un solo euro dei 26 miliardi previsti. Invece la seduta, già partita in ritardo di un’ora per le troppe assenze in aula, si blocca quasi subito. Si rincorrono le voci che indicano il ritardo per l’opposizione di Farmindustria alla stretta sui farmaci di marca, in favore di quelli generici. Questo in un paese dove la vendita dei generici è al 20%, mentre in Germania COMMENTO Dopo la tragedia greca tocca alla farsa spagnola /FOTO PROSPECKT Vince Farmindustria: sarà il medico a decidere se indicare il nome del farmaco o il principio attivo è al 64%. Voci confermate, e vince Farmindustria: sarà il medico a decidere se scrivere nella ricetta il nome o solo il principio attivo del medicinale. Alle 19.30 il governo pone la fiducia, solo oggi il voto finale di Palazzo Madama. Cui seguirà, in teoria a tambur battente, quello di Montecitorio. Quanto al merito della spending review, il relatore dei democrat Paolo Giaretta ribadisce: «Il decreto riduce le spese per impedire un aumento dal prossimo ottobre di due punti dell’Iva, e per li- Andrea Filippetti D opo la tragedia greca, quella che si sta consumando in Spagna ha le fattezze di una farsa, alla quale però pochi sembrano credere. L’Europa si appresta a mettere a disposizione della Spagna cento miliardi di euro per salvare il sistema bancario di un paese virtualmente fallito senza il sostegno della Bce e del fondo salva stati. Per la Grecia, a titolo di confronto, ammontavano a centotrenta. A corredo del prestito, il governo spagnolo si impegna in una manovra da 65 miliardi di euro in due anni, la quarta in sette mesi. La manovra interviene pesantemente in termini di tagli alla spesa pubblica, colpendo gli stipendi degli statali, i sussidi di disoccupazione, introducendo nuovi tagli agli enti locali che si tramuteranno in tagli ai servizi essenziali che in Spagna sono svolti prevalentemente per via decentrata sul territorio. Il salvataggio della Spagna è quindi condizionato alla cura del settore pubblico. Il peso del settore pubblico in Spagna è simile a quello italiano, ma inferiore a quello francese, per non menzionare alcuni paesi scandinavi. Il punto è se la cura cui si sta sottoponendo l’economia spagnola sia quella giusta. E’ il settore pubblico il vero malato della Spagna? Basta guardare ad alcuni dati negli anni precedenti alla crisi per vedere che le sue ragioni vanno semmai ricercate nel settore privato. La storia del recente boom iberico è nota: una forte crescita sostenuta da un boom nel settore edilizio a sua volta sostenuto da ingenti flussi di capitale dall’estero (soprattutto dai paesi europei, con Germania e Francia in prima fila). Fenomeni di crescita trainata dalle costruzioni sono dei cliché nella storia del capitalismo. Il mercato appare un circolo virtuoso in cui prezzi crescenti, profitti e investimenti si rinforzano a vicenda. Le banche a loro volta concedono risorse crescenti a tassi allettanti. Finchè la barca va il sistema distribuisce risorse per tutti: imprese di costruzione, imprese di servizi e intermediazione, banche. Che cosa accadeva nel settore pubblico, ovvero il «grande malato» della Spagna? Il debito pubblico in Spagna è sceso in modo consistente, e ancora nel 2008 era circa il 40% del Pil, molto inferiore a quello di Regno Unito, Francia e Germania. Nel frattempo, l’esposizione finanziaria verso l’estero è cresciuta a ritmi forsennati, e il livello di debito del settore privato – escluso il settore finanziario – ha raggiunto un livello pari a quattro volte il debito pubblico. Il resto è storia recente. Come ogni bolla che si rispetti anche quella del mercato edilizio in Spagna esplode. Il settore bancario è la prima vittima, carico di debiti e mutui in buona parte inesigibili. Questo spinge le banche a vendere gli immobili che avevano in garanzia facendo ulteriormente aumentare l’offerta di immobili, e quindi cadere i prezzi in una spirale che si avvita specularmente, ma molto più repentinamente, rispetto a quanto al ciclo virtuoso degli anni precedenti. Un paese con un sistema bancario in crisi è un rischio che nessuno, né il paese stesso né tantomeno i paesi europei, si possono permettere. In breve, lo stato spagnolo interviene a sostegno del sistema bancario. Ed è qui il nodo centrale: il debito accumulato nel settore privato è stato di fatto trasferito in quello pubblico: dal 2008 al 2012 il rapporto debito pubblico-Pil raddoppia, passando dal 40 all’80%. Arriviamo quindi alle vicende di questi giorni. Il settore pubblico, gravemente malato (si legga indebitato) necessita di una cura a base di austerity (si legga tagli alla spesa pubblica) con conseguenze facilmente immaginabili sul welfare. Difficilmente comprensibili, se si pensa che tra le funzioni principali dei sistemi di sicurezza sociale c’è il sostegno alla popolazione nelle fasi di recessione, come ad esempio i sussidi alla disoccupazione. Invece di essere usati in maniera anti-ciclica, questi ammortizzatori sociali sono ora ridotti. Alla farsa spagnola non sembrano credere coloro che scendono in piazza e capiscono che la loro situazione volge verso la tragedia greca. E non sembrano crederci troppo neanche i mercati, poco convinti che il ritornello austerity-recessione ripetuto ad libitum possa dare i frutti sperati. Ma intanto il gioco è fatto, il fallimento del mercato europeo, così come è stato congegnato, si è trasformato nel fallimento degli stati sovrani. L’impulso calvinista che imperversa in Europa non lascia scampo, gli stati dovranno rimettere i loro debiti, e con loro i cittadini. Spesa rivista/ DA 5 GIORNI IN SCIOPERO DELLA FAME Quei quattromila insegnanti «inidonei» per decreto Roberto Ciccarelli T itti Mazzacane, 54 anni, è il simbolo dei 4 mila insegnanti inidonei all’insegnamento per ragioni di salute che, a causa della spending review, saranno obbligati a lavorare nelle segreterie scolastiche, come assistenti amministrativi, oppure come assistenti tecnici nei laboratori. Responsabile del laboratorio di scienze in una scuola di piazza Bologna a Roma, a 54 anni, Titti è in sciopero della fame da cinque giorni e presidia piazza delle Cinque Lune, a pochi passi dall’entrata laterale del Senato, insieme a decine di colleghi del movimento «idonei ad altri compiti» (a Roma sono più di un centinaio). Insieme ai Cobas, protesta contro una norma definita «una discriminazione troppo grande. È come se un chirurgo che ha reumatismi alle mani viene messo al triage a lavorare come un infermiere». Nelle ultime ore alcune colleghe di Titti sono state colte da malore: una è stata colta da una tromboflebite, un’altra è caduta e si è fratturata un gomito. Titti continua a nutrirsi con sali minerali e due cappuccini freddi a colazione e a pranzo. «La nostra – dice – è la forza della disperazione». E promettono di restare in presidio fino a mercoledì prossimo. Quello degli «inidonei» è un pasticcio che i tecnici del Miur hanno scoperto tra le pieghe della spending review. Il governo pensava inizialmente che gli inidonei fossero 4 mila, ma un calcolo più preciso ha abbassato la stima. E ciò ha imposto di rivedere al ribasso le previsioni il risparmio della spesa. Saranno solo all’incirca la metà le persone ad essere ricollocate come personale amministrativo (Ata), il resto (1100) rischia di essere dichiarato in soprannumero, rientrerà cioè nel novero di quei docenti (quest’anno 7232) che, pur essendo assunti regolarmente, non hanno la possibilità di inse- gnare. «Questo significa – spiega Titti Mazzacane che non abbiamo più un posto, rischiamo di finire con l’80 per cento dello stipendio per due anni e poi il licenziamento». Un semplice taglio rischia così di creare un conflitto tra i precari che aspirano ad entrare tra le fila degli amministrativi, talvolta anche da più di dieci anni, e questi docenti che verranno obbligati a svolgere funzioni per le quali dicono di non essere preparati. Senza contare che ciò comporterebbe la perdita del lavoro effettuato nel corso di questi anni nelle biblioteche o in altri servizi dove sono stati impiegati fino a oggi. Titti, ad esempio, ha allestito una biblioteca con più di 1500 volumi, un museo per bambini che parte dal Big Bang e arriva allo sbarco sulla luna. Un’esperienza che riPROTESTA schia di essere vanificata Si rischia di creadal suo trasferimento. «Io re un conflitto sono tra le più fortunate tra insegnanti e perché ho "solo" una paprecari che aspiresi sulla corda vocale – rano a entrare aggiunge – ma capisci nelle file degli perché tutti i docenti che amministrativi come me sono inciampati nella malattia sono disperati all’idea di dover abbandonare tutto quello che in anni di lavoro?». Il risparmio ottenuto da questa misura è stato quantificato in 30 milioni, una stima che, a piazza delle Cinque Lune, viene contestata. L’uso di questo personale nelle biblioteche, nei laboratori non comporta alcuna spesa. Ieri una delegazione del presidio è stata ricevuta dal capogruppo pd al Senato Anna Finocchiaro. In attesa dell’esito della votazione al Senato, e di una correzione in extremis di una norma che viene giudicata da tutti i sindacati come un «accanimento», al punto da avere spinto la Flc-Cgil a “diffidare” il ministero dal procedere su questa strada, è stata apportata una sola correzione alla spending review nel campo della scuola. Riguarda gli insegnanti in esubero (3 mila) che hanno maturato i requisiti e potranno andare in pensione con i criteri pre-Fornero. berare risorse per l’emergenza terremoto, con un fondo di due miliardi e strumenti creditizi agevolati e garantiti dallo Stato per altri sei miliardi. Parte delle risorse allargano poi di 55mila unità la platea dei lavoratori esodati». Anche per lui però qualcosa non torna: «Resta uno squilibrio tra i tagli nella spesa degli apparati centrali e nella spesa delle autonomie. Per il 2013 si taglia l’1,8% della spesa centrale rispetto al 3% della spesa locale». Del resto la Corte dei Conti aveva già segnalato le ulteriori difficoltà di Regioni, Province e Comuni, dopo che nel biennio 2010-11 è stato tagliato il 20% circa delle risorse a disposizione. Il contentino è un emendamento che assicura ai comuni 800 milioni, dei quali 500 presi dal fondo per i rimborsi fiscali alle aziende, e 300 girati dalle Regioni in quella che i critici definiscono una partita di giro. Le Province saranno invece «riordinate» dalle Regioni, cioè accorpate fra loro, in modo da avere solo quelle con almeno 350mila abitanti e 2.500 chilometri quadrati. Solo per fare alcuni esempi Terni andrà con Perugia, Isernia con Campobasso, Matera con Potenza, e Pisa andrà – o meglio dovrebbe andare - con Livorno. Sulla tagli alla sanità pubblica la sintesi del giorno arriva da Costantino Troise, che guida il sindacato dei medici Anaao Assomed: «C’è stato un taglio a monte del finanziamento che, cumulato a quello di Tremonti, arriva a circa 20 miliardi nel prossimo triennio. Un taglio dei posti letti pubblici che si aggiunge a quanto fatto dal 2004, con scomparsa di 50mila posti complessivi; il prolungamento del blocco del turnover del personale, di fatto fino al 2015, che porta gli operatori sanitari italiani alla più alta età media nell’Ue». Inoltre le otto regioni in disavanzo sanitario (Piemonte, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) dovranno anticipare al 2013 la maggiorazione dell’aliquota addizionale regionale Irpef. Si va dallo 0,5% all’1,1%, per circa 18 milioni di italiani. Ultime spigolature: i residui dei finanziamenti a partiti o movimenti che non esistono più – è l’emendamento «Margherita» possono essere destinati al 5 per mille per la ricerca e il volontariato. Limati, ma non come nel decreto originale, gli sconti alle farmacie per l’acquisto di farmaci. Tetto di 300mila euro per la retribuzione a manager e dipendenti delle partecipate dallo Stato (vedi Rai), ma solo quelle non quotate. Non saranno chiuse automaticamente le aziende di servizi pubblici «in house». In compenso nuova sforbiciata ai fondi per le intercettazioni telefoniche disposte dalla magistratura, tagliate di ben 25 milioni. Totale della spending review 26 miliardi di tagli in tre anni. pagina 4 il manifesto MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012 CAMBIAMO ARIA Taranto • Dopo un week-end di calma apparente, torna a salire la tensione nel polo siderurgico. Operai in marcia il 2 agosto, in attesa del verdetto del riesame Ilva, avviato il sequestro DALLA PRIMA Rossana Rossanda Ecologisti e anticapitalisti Chi si ricorda che la Fiat aveva allora 129.000 dipendenti? Ora, ci informa Gabriele Polo, ne ha circa 15.000. L’operaio è meno di un uomo libero, lo è meno di un altro cittadino. Da un mese a questa parte, dopo la vittoria dei socialisti in Francia - socialisti, non bolscevichi, anzi un po’ meno di socialdemocratici delle origini - il padronato dichiara in difficoltà una dozzina di grandi imprese. E ristruttura. Licenziando. Esempio: la Psa automobili (Peugeot +Citroen) ha annunciato ottomila "esuberi", tra l’altro chiudendo del tutto il sito di Aulnay, alla periferia di Parigi, del quale ha occupato più di metà della superficie. Poiché per un occupato nell’automobile licenziato si calcolano altre quattro perdite di posti di lavoro (dal panettiere, macellaio, fruttivendolo del sito, all’indotto vero e proprio) la Psa decide dunque di aumentare i disoccupati di circa 35.000 persone. Il governo protesta, e si dichiara disposto a una serie di aiuti soltanto a condizione che la Psa imposti la produzione in vetture elettriche, riducendo il noto inquinamento della benzina o diesel. Zac, il presidente del consiglio d’Europa, Rompuy, assieme all’altra testa fina che dirige la Commissione, Manuel Barroso, aprono un’inchiesta se ha diritto di farlo o no, per le conseguenze che questa condizione potrebbe avere sul mercato. L’altra grande azienda automobilistica, la Renault, che ha probabilmente commesso meno errori nella produzione, ha fatto in questi giorni un contratto con la Corea per le batterie che le servono per la medesima, il governo si dice d’accordo, ma a condizione che la proprietà coreana produca in Francia. Apriti cielo, protezionismo! Nessuno osa dire in questo luglio fatale: menomale che meno automobili escono dalla fabbrica. Fanno troppo spavento le facce stravolte di chi ha lavorato dieci o venti anni per Peugeot o Citroen e si sente dire di colpo che sarà licenziato, e sa che di lavoro difficilmente può trovarne un altro. Ma nessuno neanche dice che i responsabili di questo disastro umano, e del peso che ne deriverà per i conti pubblici, sono i signori del Cac 40, le proprietà quotate in borsa. I "mercati" sembrano incorporei, quanto per il Vaticano lo spirito santo, che come loro spira dove vuole. Si deve essere ecologisti. Ma quindi anticapitalisti. O, come minimo, sostenitori di una primazia del pubblico sull’economico, in modo da determinarne l’indirizzo e la non dannosità per l’ambiente. Perché non si dice anche questo? Perché dal 1989 in poi non si ha più coraggio di dire nuda e cruda la verità sul meccanismo dell’impresa del capitale, nonché sulla rinuncia della sfera politica, continentale o nazionale, a controllarle. Per l’Ilva, come qualche anno fa per la val di Chiana, non c’è dilemma fra lavoro e ambiente, c’è un sistema di proprietà, accettato dalle ex sinistre, che distrugge l’uno o l’altro, o tutti e due. Al via il procedimento di chiusura dell’area a caldo. Entrano in fabbrica gli inviati del Gip, ma gli impianti per ora rimangono operativi Gianmario Leone TARANTO D opo un week-end di calma apparente, è tornata a salire la tensione a Taranto sul caso Ilva. Nella tarda mattinata infatti, i custodi nominati dal Gip sono entrati in fabbrica per dare il via alle procedure di sequestro degli impianti. Con i carabinieri del Noe che hanno apposto i cartelli di sequestro in applicazione dell’ordinanza dello stesso Gip. E con gli operai che hanno dato vita ad un’assemblea per discutere il da farsi. Barbara Valenzano ed Emanuele Laterza, ingegneri dell’Arpa Puglia, Claudio Lofrumento, funzionario del Servizio impiantistico e Rischio industriale del Dipartimento provinciale ambientale di Bari, e Mario Tagarelli, presidente dell’Ordine dei commercialisti di Taranto incaricato della gestione degli aspetti amministrativi e della gestione del personale: sono questi i custodi nominati dal Gip per «avviare le procedure per il blocco delle specifiche lavorazioni e per lo spegnimento». Il primo passo per eseguire il sequestro di sei impianti dell’area a caldo. I quattro, giunti all’interno del siderurgico, hanno incontrato i dirigenti Ilva per concordare le procedure di chiusura degli impianti, che richiederanno tempi lunghissimi. I custodi, infatti, sono stati incaricati dal Gip «di sovrintendere alle procedure, osservando le prescrizioni a tutela della sicurezza e dell'incolumità pubblica e dell'integrità degli impianti». Onde evitare fraintendimenti di sorta, è bene chiarire che l’inizio delle operazioni non vuol significare che gli impianti e le aree in questione saranno off-limits. L’ordinanza prevede una direttiva di accesso condizionato, con «figure tecniche e professionali Ilva che possono continuare ad accedere laddove è operativo il sequestro». E’ probabilmente l’arrivo dei custodi il motivo per cui è saltato l’incontro programmato per ieri, per «impegni sopravvenuti», tra il presidente Ilva Bruno Ferrante e gli inquirenti. Un primo approccio per tentare di concordare un crono programma per mitigare gli effetti dei provvedimenti giudiziari. Ma dalla procura hanno ribadito ancora una volta come il dialogo non dovrà essere scambiato per una trattativa. Intanto, nella mattinata di ieri, una delegazione di lavoratori ha assistito alla seduta del consiglio comunale, dove un operaio ha aperto il dibattito ringraziando la città per la solidarietà mostrata e confermando come i lavoratori siano a favore della difesa del lavoro e della tutela dell’ambiente. Tutt’altro che semplice invece, si è rilevata la definizione del documento unitario da sottoporre all’approvazione del consiglio. Dopo oltre 4 ore di dibattito e polemiche tra il sindaco Stefano e Angelo Bonelli (che ha denunciato «la situazione di emergenza ambientale e sanitaria gravissima che solo la magistratura ha avuto il coraggio di affrontare»), il Consiglio ha approvato un ordine del giorno sulla «preoccupante situazione ambientale e produttivo-occupazionale verificatasi in seguito alle vicende dell'Ilva». Il documento impegna il sindaco «a compiere tutti gli atti necessari per il governo del territorio e dell’ambiente in una visione che coniughi il diritto al lavoro con quello alla salute entrambi costituzionalmente garantiti». Nel documento, approvato con 23 voti a favore, 2 astenuti e 3 contrari, si esprime «solidarietà umana e istituzionale ai lavoratori Ilva e alle famiglie delle vittime dell’inquinamento ambientale». Si impegna inoltre il sindaco a «vigilare sul pieno e puntuale rispetto degli accordi e degli impegni pubblici oltre a quello della parte privata in- formando costantemente il Consiglio affinché possa seguirne gli sviluppi». In contemporanea si è riunita anche la giunta provinciale, allargata ai capigruppo di maggioranza e opposizione. Anche in questo caso è stato espresso «l’auspicio che si attui ogni iniziativa utile ad il dramma dell’occupazione e, dall’altro, di proseguire il percorso di ambientalizzazione del siderurgico». Insomma, il solito linguaggio politichese per dire tutto e niente, senza prendersi le dovute responsabilità. Ma ieri è stata anche la giornata di Confindustria Taranto. L’organizzazione degli industriali tarantini, molti dei quali operano con le proprie aziende nell’indotto del siderurgico, hanno espresso «grande preoccupazione di tutto il mondo economico tarantino», all’interno di un’assemblea generale delle imprese, per le eventuali ripercussioni produttive del sequestro. Saltata, invece, la conferenza stampa dei sindacati mentre la manifestazione del 2 agosto si farà, esattamente 24 ore prima del riesame, quando dinanzi ai giudici si discuteranno i ricorsi contro il decreto di sequestro e l’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari per gli otto indagati. La decisione del riesame dovrà arrivare entro 10 giorni dal deposito degli atti da parte della Procura che avverrà oggi. E sempre questa mattina, a partire dalle 11, ci saranno i primi interrogatori di garanzia. COMMENTO Fumo o fame: quando l’operaio è alla mercè del capitale C he infinita tristezza provoca il dover constatare che nel XXI secolo, nell’ottava o nona potenza economica mondiale, il lavoro e la salute siano ancora posti in una condizione duale, dicotomica. In un bellissimo documentario («Ultimi fuochi» di Manuela Pellarin) sulla condizione operaia negli anni ’60 del secolo scorso, un operaio del Petrolchimico di Porto Marghera rispondeva mesto alla domanda sul perché accettasse una condizione lavorativa così rischiosa con queste tre parole: «Fumo o fame». Ad ammazzare a Marghera era il cloruro di vinile monomero, all’Ilva di Taranto le diossine. Ma quanti sono i conflitti tra produzioni industriali e ambiente ancora aperti nel nostro paese? Dalla Ferriera di Trieste (Lucchini), al termodistruttore Fenice (EDF, ex Fiat) di Melfi, dalle centrali termoelettriche a carbone liguri (Enel), ai cementifici di Monselice. Chi tiene il conto? Una volta la Cgil aveva una struttura Ambiente Lavoro, oggi, in periodi di recessione economica, la salute sembra essere diventata un lusso. Per fortuna c’è qualche (raro) magistrato. Ma anche qui non facciamoci illusioni: le strutture scientifiche di cui la magistratura si può avvalere sono sotto gli attacchi alla spesa pubblica. Il più rinomato centro sulle diossine INCA (un consorzio tra 19 università italiane e altre decine di unità di ricerca nel settore della chimica e delle tecnologie per l’ambiente) e che ha supportato anche l’inchiesta di Taranto, è in pericolo di chiusura. Del resto, solo per fare un esempio, ricordiamoci che con il ministro Mattioli le Paolo Cacciari ricerche sugli effetti delle radiaziopendice nei confronti delle struttuni generate dai campi elettromare pubbliche locali, regionali (Asl) e gnetici (telefonini, ripetitori, radar, nazionali (ministeri vari). Ma è queecc.) sono state «esternalizzate» a sta la parte che darebbe più soddiquella Fondazione Maugeri nota sfazione alle centinaia di vittime per gli scandali alla Regione Lom(386 decessi negli ultimi 13 anni) e bardia. Con il passaggio delle comalle migliaia di malati di Taranto, petenze ambientali alle Asl regionadentro e fuori la fabbrica. Scoprire li le attività di prevenzione sono stache i padroni fanno i loro interessi te di fatto azzerate, con esse i regisulla pelle dei dipendenti non è poi sti tumori e le indagini epidemiolouna grande novità. Più interessante giche necessarie a stabilire le corresarebbe vedere in faccia chi e sapelazioni tra inquinamenti e malattie. re per quali ragioni ha omesso i Ciò che colpisce delle numerose, controlli, ha rilasciato autorizzaziocandide interviste rilasciate dal mini, concesso finanziamenti a imprenistro Corrado Clini (già medico se palesemente fuorilegge. del lavoro e da decenni direttore geVedremo. Ma il dato politico più nerale del Ministeallarmante è un alro per l’Ambiente) tro. Sono i dipenSe si produce solo a sostegno, non denti in queste già della applicaper il profitto e per il ore a sfilare a sozione delle leggi – stegno delle ragiosalario, il lavoratore ni dei propri aguzcome ci si aspetterebbe da un fedezini. Non sono cifinisce per fare il le servitore dello nico, non mi mangioco del padrone Stato – ma delle raca la capacità di gioni dell’impresa comprendere il sotto accusa, sono le motivazioni. dramma umano di persone dispe«Forse – ha dichiarato Clini a il marate perché sotto ricatto. Ciò che nifesto del 27 luglio - dieci anni fa mi rattrista è l’incapacità di immachiudere lo stabilimento aveva un ginare una via di uscita che non sia senso, ma ora no». Giusto, ma lui, e la sottomissione alle ragioni della tutto l’apparato di valutazione e produzione, della produttività, delcontrollo che uno stato civile dola competizione. La questione non vrebbe mettere in campo a difesa si risolve se non affrontando alle radella salute dei cittadini (compresa dici la globalizzazione che ha proquella della sotto-specie, a diritti lidotto in Occidente allo stesso temmitati, che sono gli operai), dov’erapo disoccupazione e deterioramenno, cosa facevano, nonostante fosto delle condizioni di lavoro. Mi sero perfettamente a conoscenza vengono in mente le riflessioni di della situazione? André Gorz a partire da Marx: «Egli Non so se l’inchiesta della Procu(l’operaio salariato) non considera ra della Repubblica abbia un’apil lavoro in quanto tale come facen- te parte della sua vita; è piuttosto il sacrificio di questa vita. E’ una merce che egli aggiudica ad un terzo» (cfr. Lavoro salariato e capitale, 1849). Quando la mercificazione del lavoro raggiunge tali livelli di alienazione, allora, aggiungeva Gorz: «Lavoro e capitale sono fondamentalmente complici nel loro stesso antagonismo per il fatto che guadagnare del denaro è il loro fine determinante. Agli occhi del capitale, la natura della produzione importa meno della sua redditività; agli occhi del lavoratore, essa importa meno degli impieghi che crea e dei salari che distribuisce. Per l’uno e per l’altro, ciò che è prodotto importa poco, basta che renda. L’uno e l’altro sono, coscientemente o meno, al servizio della valorizzazione del capitale. E’ per questo che il movimento operaio e il sindacalismo non sono anticapitalisti se non nella misura in cui mettono in questione non soltanto i livelli dei salari e le condizioni di lavoro, ma le finalità della produzione, la forma merce del lavoro che la realizza» (cfr. Ricchezza senza valore, valore senza ricchezza, in Ecologica, Jaca Book 2009, pp.125/126). Affermare, quindi, come bene fa la Fiom, che il lavoro è un bene sociale comune – così come il sole o l’acqua – significa voler sottrarre le decisioni sul cosa, dove, per chi produrre alle leggi del mercato, cioè del profitto e del diritto di proprietà. La liberazione del lavoro dall’eteronomia non può che avvenire attraverso un conflitto per affermare modi e forme democratiche di decisione sul cosa, come, dove e per chi produrre. il manifesto MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012 pagina 5 CAMBIAMO ARIA Campania • Un’indagine dell’Istituto nazionale tumori rivela che nella regione l’aspettativa di vita è di due anni inferiore alla media italiana LA LETTERA DI NAPOLITANO «Nel pieno rispetto dell’autonomia della magistratura, si devono trovare soluzioni che garantiscano la continuità e lo sviluppo dell’attività in un settore di strategica importanza nazionale, fonte rilevantissima di occupazione, e insieme procedere senza ulteriore indugio agli interventi spettanti all’impresa e alle iniziative del governo nazionale e degli enti locali che risultino indispensabili per un pieno adeguamento alle direttive europee e alle norme per la protezione dell’ambiente e la tutela della salute dei cittadini». E’ la risposta di Giorgio Napolitano alla lettera dei lavoratori dell’Ilva. SALUTE · Il ministero istituisce un’apposita commissione per studiare il fenomeno Morire per colpa dei rifiuti Adriana Pollice I n un convegno, circa due settimane fa, vengono diffusi i dati di uno studio condotto dall’istituto nazionale tumori – fondazione Pascale di Napoli sulla provincia partenopea (capoluogo escluso) più Caserta e suo hinterland, un giornalista del quotidiano Avvenire pubblica la notizia. Il ministero della Salute si affretta ad acquisire la ricerca costituendo, con decreto ministeriale, un gruppo di lavoro coordinato dal direttore generale della prevenzione Giuseppe Ruocco, in raccordo con il ministro dell’Ambiente. Cos’è che ha messo in allarme il governo? Nel napoletano si muore di tumore fino al 47% in più rispetto al resto d’Italia, nonostante la deindustrializzazione, nonostante la dieta mediterranea faccia così bene alla salute. Un paradosso che ha una spiegazione semplice: esiste in Campania un’industria che non si vede, che evade il fisco, ma che non conosce flessioni, quella dell’incenerimento illegale di rifiuti industriali. I dati OPERAI AL LAVORO NELL’ALTOFORNO /FOTO GABRIELLA MERCADINI In Italia negli anni ’80 la mortalità per tumore era più alta al nord rispetto al sud. Lo studio del Pascale ha analizzato i dati Istat relativi alle schede di morte con diagnosi di tumore dal 1988 al 2008. Negli anni 1988-90 il tasso standardizzato di mortalità per tumore in Italia nei maschi era di 316,1 e nelle donne 210,9. In provincia di Napoli era, rispettivamente, di 235,1 e 136,2; per Caserta e provincia 225,7 e 116,7. Un dato in linea con il decennio precedente. Quando si passa all’ultimo periodo disponibile le cose cambiano: in Italia l’indice per gli uomini è di 328 e per le donne 231,5. Un incremento nazionale lieve che si impenna nella provincia di Napoli (345,9 e 191,1) e nel casertano (289,8 e 154,9). Nell’area partenopea l’aumento è stato del 47% negli uomini e del 40% nelle donne; a Caserta e provincia del 28,4 e 32,7%. Ciò significa che, se scorporiamo gli aumenti del sud, i tassi al nord sono addirittura diminuiti. Nel 2004 i primi allarmi sulla rivista Lancet, «nel 2007 lo ‘Studio Bertolaso’ dimostrò che nelle zone campane dove c’erano discariche era più alto il rischio di sviluppare tumori o malformazioni congenite» spiega Giuseppe Comella, primario di oncologia del Pascale e presidente della associazione Medici per l’ambiente. Nel 2009 Intervista/ ANTONIO GIORDANO, ORDINARIO DI ANATOMIA A PHILADELPHIA «Una fabbrica così negli Stati uniti sarebbe già stata chiusa» A.Po. A ntonio Giordano è figlio d’arte. Il padre, Giovan Giacomo, nel 1977 scrisse il primo libro bianco sull’inquinamento in regione, Salute e ambiente in Campania, mappa della nocività che portava all’attenzione nazionale problemi come l’inquinamento del fiume Sarno, tutt’ora il più contaminato d’Europa, e il caso Bagnoli. Direttore scientifico dell’istituto partenopeo per lo studio dei tumori, fondazione Pascale, venne ‘dimissionato’ per aver denunciato la corruzione intrecciata alla politica nel 1987, in anticipo su Tangentopoli. Una carriera a cavallo tra Italia e Stati Uniti, che segna anche la vita del figlio Antonio, ordinario di anatomia e istologia patologica, direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine di Philadelphia. Professor Giordano, cosa accadrebbe negli Usa per un caso come l’Ilva di Taranto? Verrebbe immediatamente chiusa la fabbrica, per i proprietari un processo da affrontare con condanne molto serie. In Italia invece apriamo il dibattito, c’è sempre qualcuno, anche nella comunità scientifica, che trova delle giustificazioni e così passano gli anni, il territorio si devasta e la popolazione si ammala. Negli Stati uniti, ad esempio, la lotta all’amianto è stata durissima: completamente bandito, il governo centrale ha promosso la bonifica del territorio, del resto la tecnologia è prevalentemente americana, qui invece non si investe in ricerca. In Texas, da quando hanno iniziato le opere di risanamento, hanno visto diminuire le malformazioni del 40%, del 25% in soli quattro anni, con un risparmio di 11 milioni di euro. E in un caso come quello del territorio campano? Il problema è più complesso rispetto a Taranto perché non sappiamo su che cosa dovremmo operare. Far partire le bonifiche significa soprattutto scoprire con precisione quali sostanze in- quinanti sono state sversare e come salvaguardare la salute. Invece molti centri di ricerca, illustri luminari, continuano a ripetere che non sarebbe provato il nesso di causa effetto tra inquinamento e cancro o malformazioni congenite. Ma, come dice il senatore Ignazio Marino, la scienza in ambito internazionale ha già detto tutto, è il momento per la politica di agire. E invece lei e il suo gruppo di ricerca siete stati osteggiati In Italia i ruoli nevralgici sono di nomina politica, così anche le ricerche tendono a non disturbare le lobby che ruotano intorno ai partiti e gli interessi economici. L’unico modo per spezzare la catena è informare i cittadini, in modo che siano loro direttamente a fare pressione dal basso. Per svolgere le nostre ricerche ho trovato i fondi negli Stati Uniti. L’ex ministro della Salute, Ferruccio Fazio, nel 2011 sostenne che l’amianto di Napoli non faceva male, cercando di minimizzare i dati di una ricerca fatta da me, dal senatore Marino, Maddalena Barba, Alfredo Mazza e Carla Guerriero, pubblicata su Cancer biology and therapy. Nel 2005 ho iniziato a lavorare sulla Campania, un laboratorio di cancerogenesi a cielo aperto, ma non c’era il registro tumori, nessun ente voleva condividere i propri dati. Così ho trovato un gruppo di pazzi, quelli citati prima più Giulio Tarro, Antonio Marfella, Giuseppe Comella e Massimo di Maio, con cui far cadere gli alibi. Cosa avete scoperto? Ad esempio che i dati ufficiali indicano in 39mila i casi di tumore alla mammella in un anno, noi però ne abbiamo trovati 47mila, cioè 8mila in più. Non solo, nel 2009 abbiamo pubblicato uno studio relativo al periodo 2000/2005, anche in questo caso i dati ufficiali erano inferiori del 26,5% rispetto ai casi reali (parliamo di 40mila malati in più), soprattutto nella fascia d’età tra i 25 e i 44 anni, pre-screening. Recentemente abbiamo ampliato la ricerca, fino al 2008, e i dati ci confermano l’allarme. La situazione in Campania è talmente critica che o la vicinanza dei cittadini campani ai siti di rifiuti tossici determina patologie tumorali, oppure sono stati vittime negli ultimi anni di un progressivo indebolimento genetico, fino ad avere un ‘dna colabrodo’. un’indagine condotta dai militari statunitensi sulle acque aveva portato ad evacuare 17 famiglie dalla zona adiacente alla base Usa di Grazzanise per «rischio inaccettabile che non può essere mitigato» di esposizione a fattori inquinanti capaci di provocare il cancro. Nel 2010 la regione Campania riceve i risultati dello studio Sebiorec condotto dall’Istituto superiore di sanità: «Criticammo da subito la ricerca per il metodo utilizzato – racconta Comella – infatti su un campione di mille persone, venne utilizzato il metodo pool, cioè si faceva una sola analisi riunendo 10 differenti campioni di sangue» il finanziamento ridotto a 250mila euro, rispetto ai 2.5 milioni inizialmente stanziati. Così le conclusioni, per quanto molto allarmanti rispetto ad esempio alla presenza di diossine nel territorio, furono che l’indagine avrebbe richiesto una metodologia diversa. «Come Medici per l’ambiente – conclude - abbiamo redatto il testo di legge regionale che ha istituito il registro dei tumori campano, anche se poi siamo stati esclusi dal comitato scientifico, insieme a Legambiente e Wwf. Ogni anno a bilancio venivano messi, e spesi, un milione e mezzo di euro per un registro mai fatto. Adesso Palazzo Santa Lucia ha tre mesi di tempo per rendere operativa la struttura, fondamentale per monitorare anche chi si ammala e per fortuna guarisce, sfuggendo così alle statistiche Istat». Un’industria fantasma Il ricercatore napoletano emigrato in Usa Antonio Giordano e i Medici per l’ambiente sono stati definiti da illustri luminari nazionali untori e irresponsabili perché da anni, anche accollandosi i costi delle analisi, hanno prodotto studi in cui si dimostra che se in Campania l’aspettativa di vita è di due anni inferiore rispetto alla media nazionale è perché c’è un rischio serio nell’ambiente. Mercoledì scorso un comitato di cittadini ha denunciato la presenza di un «inceneritore domestico», illegale, in una villa confiscata alla camorra nelle campagne tra Afragola e Caivano, in località Cinquevie. All’interno una fornace bruciava incessantemente rifiuti, alimentata da ragazzini che presidiavano la struttura. Antonio Marfella, oncologo e tossicologo del Pascale, ha partecipato al libro bianco Campania, terra di veleni a cura di Antonio Giordano e Giulio Tarro (Denaro libri). Grazie anche alla sua esperienza sul campo, spiega: «E’ sufficiente sovrapporre alla aree a maggiore rischio di cancro, per sversamento illegali di rifiuti tossici, la traccia cartografica della strada provinciale a scorrimento veloce e priva di pedaggio SS 162, cosiddetto “asse mediano”, per comprendere un paradosso epidemiologico. Le aree più colpite dal cancro e dalle malformazioni neonatali sono quelle con maggiore disponibilità di zone demaniali, archeologiche, rurali e agricole». La Terra dei fuochi ha bruciato rifiuti tossici per almeno 13 milioni di tonnellate in circa venti anni. La regione Campania gestisce in affanno circa 2.8 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani, mentre è serena per i 4 milioni di tonnellate/anno di rifiuti industriali prodotti nella sola Campania: sulla carta tutti smaltiti senza impianti dedicati, grazie a recupero, riciclo e allo smaltimento fuori regione di 870mila tonnellate l’anno. Questa quota rappresenta inerti non pericolosi (come gli scarti dell’edilizia) destinati alle discariche del nord Italia, soprattutto del Veneto che però manda fuori tutta la produzione di rifiuti industriali tossico nocivi, come i fanghi di Porto Marghera, ritrovati dal magistrato Donato Ceglie a Castelvolturno. «Il meccanismo è semplice – spiega Marfella -. I tir trasportano fuori i rifiuti speciali, che sono considerati merce e quindi possono girare liberamente accompagnati da una semplice documentazione cartacea con i codici Cer. Nel viaggio di ritorno portano 260mila tonnellate anno di rifiuti industriali che la Campania importa legalmente per essere riciclati in impianti industriali intraregionali. Resta un vuoto di circa 600mila tonnellate che la camorra dei colletti bianchi L’incenerimento illegale dei rifiuti campani provoca un aumento vertiginoso delle patologie tumorali: +50% sulla media nazionale e degli affari ha saputo far fruttare, a vantaggio delle imprese del nord». Nel 2005 e 2006 il guadagno della gestione di 30 camion per il solo clan Zagaria è stato di 3milioni. Un via vai intensissimo e indisturbato, in un anno sono stati sequestrati nella provincia di Napoli solo 400 tir. Ma a bruciare sono anche gli scarti locali. Delle 20mila tonnellate giornaliere di rifiuti industriali campani, un terzo è prodotto in regime di evasione fiscale e quindi non è smaltibile legalmente. Sono i solventi, le colle e gli scarti dei prodotti contraffatti che girano il paese, sono le borse e le scarpe di marca a 25 euro. Il governo però ha sospeso il progetto Sistri che avrebbe assicurato la tracciabilità dei rifiuti, sospeso e posto il segreto di stato. «Le crisi rifiuti cicliche – conclude Marfella sono state la foglia di fico che ha coperto i veri interessi che intrecciano malavita, imprese, politica, e ruotano intorno agli scarti industriali. La stampa nazionale ha alimentato una campagna tesa a dipingerci come incivili e inetti e noi ci siamo sentiti proprio così, il senso di colpa ci ha chiuso gli occhi sulla verità». FERRANTE · «Nessuna sorpresa, ci difenderemo» Non è stata «una sorpresa», per il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, l’arrivo dei custodi amministrativi all’interno dello stabilimento Ilva di Taranto, «anche se non ci aspettavamo questa tempistica». «Vedremo le loro decisioni nei prossimi giorni - ha commentato ieri Ferrante - ma quanto successo non cambia la nostra voglia di lottare e difenderci in tutte le sedi istituzionali. Diremo chi siamo, cosa abbiamo fatto e rivendicheremo i successi in campo ambientale». Anche Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, lo incita a rendere tutto trasparente: «L'Ilva renda espliciti gli impegni, gli investimenti e le azioni, anche tecniche, che intende attuare a tal fine». E Ferrante, di cui Landini dice di aver «apprezzato i toni e i comportamenti, in queste giornate difficili», replica: «Non abbiamo nulla da nascondere, non abbiamo mai avuto comportamenti ambigui e alla magistratura contesteremo i dati delle perizie perché crediamo siano parziali, e illustreremo nel dettaglio come abbiamo speso più di un miliardo di euro per l'ambientalizzazione dello Stabilimento di Taranto e i risultati raggiunti». pagina 6 il manifesto MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012 POLITICA ELEZIONI · Il Quirinale insiste: riformare il Porcellum. E il Pd annuncia un testo CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE «Sul voto decido io» Alla Consulta il ricorso del Colle Cosimo Rossi V eto al voto. Anticipare le elezioni, infatti, è questione che spetta solo al Quirinale. E, siccome anticipare il voto a novembre è una prospettiva ttut’altro che peregrina nell’ipotesi di un governo Monti bis suffragato dall’investitura popolare, il presidente della repubblica Giorgio Napolitano manda a dire forte e chiaro che si tratta di una decisione di sua esclusiva competenza. Ipotesi che nelle intenzioni del Colle esige (quantomeno) dai partiti della composita maggioranza Abc una nuova legge elettorale che la agevoli. Detto fatto: il Pd si è immediatamente dato da fare per presentare un nuovo testo base su cui avviare la discussione parlamentare al senato. Perché il capo dello stato in realtà ieri ha rivolto il proprio appello a un «responsabile sforzo di rapida conclusiva convergenza in sede parlamentare» sulla legge elettorale dirigendolo in primo luogo proprio nei confronti del suo ex partito. E lo ha fatto non solo attraverso una nota ufficiale, ma rivolgendosi direttamente al segretario Pierluigi Bersani. E avrebbe sollecitato telefonicamente anche gli altri leader della maggioranza. A irritare particolarmente il Quirinale è stata l’intervista di Rosy Bindi all’Unità; intervista giudicata «inopportuna» dagli stessi vertici del partito di Bersani. La minaccia di voto anticipato con l’attuale legge elettorale, il vituperato Porcellum, proferita dalla presidente del Pd ha infatti scoperto troppe carte del gioco, a cominciare proprio dalla carta del voto anticipato. Non a caso si sono immediatamente levati gli scudi da parte del Pdl, la cui vasta truppa parlamentare non vede certo di buon occhio un voto che comunque ne ridurrebbe l’entità e che ha perciò esortato a non lanciare ultimatum. Un altolà che di fatto ha solo messo mattoni su mattoni al muro contro muro sulla riforma del voto. Con buona pace del velleitarismo con cui Arturo Parisi continua a perorare l’impossibile ritorno al Mattarellum (e al bipolarismo); soluzione che non dispiacerebbe neanche a un Antonio Di Pietro che con l’Idv - non diversamente da Sel - sente sempre più sfuggire la possibilità di coalizzarsi col Pd. Fermo restando il no di Grillo a qualunque accordo, che col suo potenziale complica ROMA N GIORGIO NAPOLITANO/FOTO EMBLEMA non poco le alchimie elettorali di tutti i partiti. Tocca perciò al Colle anticipare qualunque veto sulla legge elettorale, quanto sul voto anticipato: «Ritengo di dover sollecitare la massima cautela e responsabilità in rapporto all’esercizio di un potere costituzionale di consultazione e decisione che appartiene solo al presidente della repubblica», puntualizza piccato il capo dello stato. «Altre settimane sono trascorse senza che abbia avuto inizio in parlamento l’esame di un progetto di legge elettorale sulla base dell’intesa, pure annunciata come imminente da parte dei partiti rappresentanti attualmente la maggioranza e aperta al confronto tra tutte le forze politiche», continua Napolitano per poi rinnovare il «forte appello a un responsabile sforzo di rapida conclusiva convergenza in sede parlamentare» che «corrisponderebbe con tutta evidenza al rafforzamento della credibilità del paese sul piano internazionale». Come a ribadire che se l’intesa sulla legge elettorale fosse propedeutica a una reinvestitura attraverso il voto del governo Monti e del suo operato, secondo il Quirinale il paese ne trarrebbe solo benefici. Ma se il Pd si è immediatamente CALABRIA Le strategie «bipartisan» della ’ndrangheta reggina Silvio Messinetti REGGIO CALABRIA C ome il Giano bifronte la ’ndrangheta è un mostro a due teste che guarda a destra e a sinistra. Specie a ridosso delle elezioni. Dalle carte dell’operazione Infinito della Dda di Milano contro la cosca Valle-Lampada (che il primo dicembre 2011 portò in cella i presunti boss Giulio e Francesco Lampada, il magistrato reggino Vincenzo Giglio, il consigliere regionale del Pdl e capocorrente di Alemanno in Calabria, Franco Morelli, l’avvocato Vincenzo Minasi e il gip del tribunale di Palmi, Giancarlo Giusti) emerge un quadro inquietante. Basta osservare cosa avviene durante la campagna per le regionali del 2010. Se il primo marzo si svolge un meeting elettorale a casa di Giacinto Polimeni, zio dei fratelli Lampada, legato alla potente cosca Condello, alla presenza dell’allora assessore regionale al Bilancio, Demetrio Naccari Carlizzi del Pd, una settimana più tardi c’è un altro incontro a Reggio. Ma questa volta con Luigi Fedele del Pdl, colui che con l’elezione a presidente di Peppe Scopelliti vestirà i panni di capogruppo regionale e poi assessore regionale ai Trasporti. L’appuntamento è nell’abitazione del magistrato Giglio (arrestato per i suoi rapporti con i Lampada). Fedele da una foto scattata dagli inquirenti manifesta una certa confidenza col capoclan Giulio Lampada. D’altronde, Fedele, era «la figura fondamentale per la risoluzione di qualsiasi problematica» annota la Procura di Milano nell’ordiL’indagine contro la cosca nanza con al centro la cosca dei ValleValle-Lampada rivela la fitta Lampada, in cui ricostruisce anche i rapporti tra lo stesso Fedele e Morelli, rete di rapporti tra clan e regionale del Pdl, tuttora politici locali, di centrodestra consigliere in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo l’accue anche di centrosinistra sa, Morelli avrebbe caldeggiato la nomina della moglie del giudice Giglio, Alessandra Sarlo, a commissario dell’Asl di Vibo Valentia. «Ed è proprio il ruolo assunto da Fedele in Regione che poi gli permetterà di accontentare le richieste di Giglio, passate a Fedele tramite Morelli». D’altronde, prosegue la Dda, «la Sarlo era stata una delle grandi elettrici di Fedele per il quale aveva fatto intensa campagna elettorale». In questa fitta ragnatela di relazioni tutti danno e prendono: «Il giudice Giglio ci guadagna il posto per la moglie, Morelli il sostegno politico e gli affari comuni con i Lampada, Giusti viaggi e donnine, i Lampada notizie riservate su indagini, Fedele il sostegno elettorale». Ma c’è di più. In un ristorante di via Veneto a Roma il presunto boss ha incontrato politici di tutti gli orientamenti. Ad alcune riunioni - annotano gli inquirenti - ha partecipato anche Dimitri De Stefano, figlio del boss Paolino De Stefano. I politici sono: un consigliere comunale del centrodestra e un consigliere provinciale del centrosinistra. Dominique Suraci e Rocco De Angelis, all’epoca dei fatti il primo era nella maggioranza che sostiene il sindaco Scopelliti, il secondo in quella del presidente della provincia Giuseppe Morabito. Entrambi, non indagati, si ritrovano con Giulio Lampada. E’ il 23 febbraio 2010, a un mese dalle regionali. Le manovre per la «grande coalizione» della ’ndrangheta sono iniziate. messo a disposizione per smantellare le barricate sulla riforma del sistema di voto, tanto da promettere sic stantibus una nuova proposta al senato, questo non significa che Bersani si sia acconciato anche a dar corso al Monti bis con larga intesa. Prospettiva invece sempre propugnata da Casini. Mentre Berlusconi, cui necessita una legge per salvaguardarsi anche come minoranza, ha tutto il vantaggio a tenere le carte coperte per contunare a scoprire il gioco altrui. on che non fosse chiaro, ma da ieri lo scontro tra il Quirinale la procura di Palermo è ufficiale. L’avvocatura dello Stato ha infatti depositato presso la Corte costituzionale il ricorso con cui il 16 luglio scorso il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha sollevato conflitto di attribuzione contro i magistrati siciliani titolari dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. La decisione del Colle era stato presa dopo che si era avuta notizia di una serie di telefonate intercorse tra il presidente Napolitano e l’ex ministro degli interni Nicola Mancino, indagato per falsa testimonianza dalla procura di Palermo. Il contenuto di quelle intercettazioni non è mai stato reso noto, tanto più che i magistrati hanno affermato di ritenere «irrilevanti ai fini dell’inchiesta » evitando però di chiederne la distruzione e rimandando ogni decisione in merito al gip. Proprio per questo il Colle si è DALLA PRIMA Massimo Villone Le contraddizioni del bipolarismo coatto Il tempo necessario per la presentazione di liste e candidature e per la campagna elettorale è sostanzialmente incomprimibile. Quindi, se si votasse all’inizio di novembre, la nuova legge dovrebbe essere stata approvata, promulgata e pubblicata entro la prima metà di settembre. Una probabilità abbastanza remota. Sarebbero poi impossibili innovazioni radicali come un ritorno al collegio. A meno di non riprendere il Mattarellum, disegnare la mappa dei collegi aggiungerebbe almeno un paio di mesi ai tempi minimi necessari. La discesa in campo, da ultimo, di Mario Draghi e della Bce potrebbe concedere qualche tempo maggiore a un intervento legislativo. I punti su cui si concentra la discussione sono due: le liste bloccate e l’incentivo maggioritario alla governabilità. Tutti concordano che un parlamento di nominati sia intollerabile. Per di più, la nomina non garantisce la fedeltà del nominato. E dunque le liste bloccate non hanno impedito i tradimenti e i cambi di casacca. Ma come uscirne? Il voto di preferenza sembra l’ovvia risposta. Una lista di candidati tra cui l’elettore sceglie, e risulta eletto nella lista chi prende più voti. Si è votato così per il parlamento fino al 1992, si vota così oggi per i consigli comunali e regionali. Ma cosa significherebbe in concreto? Oggi nessun soggetto politico è in grado di governare nel suo complesso il meccanismo delle preferenze, orientando le scelte degli elettori. In partiti evanescenti i gruppi dirigenti a tutti i livelli sono troppo deboli per farlo. Cosa ne segue? Come appunto accade per i consigli regionali e comunali, la campagna elettorale si frantuma in una serie infinita di micro-campagne personali, in cui il peso prevalente viene espresso dai potentati locali del partito. I costi della campagna elettorale aumentano in misura esponenziale, con tutto quel che ne segue poi - dopo il voto - nella vita delle istituzioni. Per di più, la preferenza unica oggi adottata per i consigli degli enti territoriali scatena la competizione all’interno di ciascuna forza politica. Capi e capetti misurano i rapporti di forza in base ai candidati a ciascuno riferibili. E le assemblee elettive assumono una marcata connotazione neo-notabilare, in cui quel che conta davvero è il pacchetto di consensi di cui personalmente si dispone. Un parlamento eletto in base alla preferenza non sarebbe diverso. È questo il parlamento che vogliamo? Soprattutto, è questo il parlamento che serve, in un momento di grave emergenza per il paese? Di fronte a una crisi che si prospetta ancora lunga e che, nel pensiero unico dominante, chiederà ancora “sacrifici” con perdita per tanti di conquiste sociali e diritti? Certamente no. Per questo, ad avviso di chi scrive, tra la preferenza e il ritorno a un modello fondato su collegi quest’ultima opzione sarebbe comunque preferibile. sentito in dovere di intervenire. per Napolitano la mancata distruzione di quelle telefonate sarebbe lesiva delle prerogative del capo dello Stato, e in particolare di quelle sancite dall’artiolo 90 della Costituzione secondo il quale «il presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione». Va detto che quelle in cui si sente la voce del Capo dello Stato sono intercettazioni casuali, visto che a essere intercettato era Nicola Mancino. Spetta ora alla Consulta dare una risposta ai quesiti sollevati dal Quirinale, ma prima il presidente Alfonso Quaranta dovrà decidere una data in cui fissare l’udienza che dovrà decidere se accettare o meno il ricorso. Intanto ieri la procura di Palermo ha rigettato la richiesta di trasferimento a Milano o Firenze dell’inchiesta per estorsione che vede indagato il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri. Alle difficoltà di prospettiva l’opinione prevalente risponde poi affermando la necessità di mantenere i presidi alla governabilità e stabilità. In breve, consolidare l’impianto bipolare, affidare agli elettori la scelta di chi governa, assicurare la gruccia di un premio di maggioranza. Poco importa che queste parole d’ordine siano state ripetutamente smentite dall’esperienza di quasi vent’anni. Le sentiamo ancora tal quali. Qui troviamo una singolare contraddizione. Perché abbiamo una “strana maggioranza” che vede insieme a sostegno dello stesso governo i due corni del sistema bipolare. E nessuno dubita che nell’emergenza di lunga durata che abbiamo di fronte si prospetti la necessità di convergere a sostegno di risposte e interventi largamente condivisi. Eppure, si afferma la preferenza per modelli che radicalizzano lo scontro, e confermano il bipolarismo coatto e di trincea che da tempo viviamo. Che senso ha un premio di maggioranza che gonfia i numeri parlamentari di chi vince oltre i voti conseguiti e deruba chi perde di un eguale numero di seggi, se poi bisogna avere il più largo sostegno per un medesimo governo e per le sue politiche? E quale maggiore stabilità può dare un bipolarismo costruito emarginando o negando la rappresentanza di forze che si presumono antagoniste, e per definizione inidonee per scelte di governo? Crediamo davvero che cancellarne i seggi varrebbe a cancellare la domanda sociale che in esse si esprime? Il tempo dell’emergenza richiede istituzioni adeguate, la cui forza non si risolve nell’aritmetica parlamentare. Il buon senso dice che questo è il tempo giusto per tornare al proporzionale, a una piena rappresentatività dell’assemblea elettiva, a maggioranze e governi che si formino per accordi nella sede parlamentare e non siano ingessati dallo scontro elettorale. Queste sono le istituzioni giuste per l’emergenza. La saggezza dei padri fondatori ci aveva consegnato un sistema che bene risponderebbe, come infatti bene rispose nella gravissima crisi del 1992. Speriamo che i patrigni di oggi non combinino troppi pasticci. DI PIETRO A TESTA BASSA «Monti e Napolitano hanno tramortito la Costituzione» Antonio Di Pietro di nuovo a testa bassa contro Giorgio Napolitano, stavolta insieme a Luigi Li Gotti. Il leader e l’esponente dell’Idv attaccano: «Secondo noi la nostra Costituzione è tramortita dalla prepotenza di chi avrebbe tanta voglia di assolutismo, ossia di comprimere la potestà delle Camere. Era la voglia conclamata di Berlusconi. Pensavamo d’aver raggiunto l’apice. Ci siamo sbagliati: sottovalutavamo Monti-Napolitano». Nel mirino, l’uso «bisettimanale» dei decreti dei quali «bisettimanalmente» il Quirinale «verifica i requisiti di straordinaria necessità e urgenza» e «il governo pone la fiducia e strozza il dibattito parlamentare». «Non c’è ragione, nemmeno la più bieca e strumentale motivazione propagandistica, perché Di Pietro continui a offendere in modo squilibrato e irrispettoso il capo dello stato e il presidente del consiglio», replica Anna Finocchiaro, Pd. E Veltroni: «Attacchi insopportabili». Anche il leader di Sel Nichi Vendola di dice «molto perplesso sull’assedio polemico verso il Quirinale» e «se continua così questa china diventa una vera deriva». TORTURA Stop al Senato Carceri, appello dei direttori Eleonora Martini ROMA S e governo e Parlamento non cacciano un ragno dal buco nero e imbarazzante del sistema della giustizia italiano, a dare una scossa ci pensano i direttori dei carceri. Dirigenti penitenziari iscritti e simpatizzanti della FpCgil che – al contrario dei poliziotti del Silp-Cgil – aderiscono all’appello dell’associazione Antigone chiedendo l’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento penale. Una notizia in controtendenza in una giornata buia, come ieri, per le galere italiane. Una giornata cominciata con l’arrivo a sorpresa nel carcere romano di Regina Coeli di Paola Severino, che questa volta non ce la fa proprio a dire: «Mi aspettavo di peggio», come quando uscì una settimana fa da Poggioreale. Poche ore prima della sua visita, un detenuto tunisino di 25 anni si è tolto la vita impiccandosi con quel che ha trovato: un elastico. Il ministro di Giustizia però è lì per altro: per verificare le incredibili condizioni in cui versa – da anni – il centro clinico ma su cui ora pende il rischio di chiusura, dopo che la stessa Asl ha infine rilevato una «situazione insostenibile». Ma è solo una delle tante giornate nere che dovrebbero mandare sulle furie la Guardasigilli, anche se Paola Severino probabilmente non ne coglie appieno la drammaticità, celata nel lungo, disperato, applauso che i detenuti le dedicano. Da Lecce, infatti, arriva anche la notizia di un altro recluso che si è tolto la vita, e in questo caso i magistrati ipotizzano perfino l’istigazione al suicidio. Mentre Antigone chiede lumi alla stessa ministra per capire come mai uno scrittore-detenuto come Carmelo Musumeci, per una volta ottimo esempio delle buone pratiche di "reinserimento sociale", debba essere ora trasferito dal carcere di Spoleto dove vive da anni. Una giornata tanto più buia perché l’unico segno di vita che il Parlamento sta dando in materia di giustizia – l’introduzione del reato di tortura – rischia di trasformarsi in uno stato semi-vegetativo, a causa di inspiegabili ritardi e di veti incrociati. Avrebbe potuto infatti essere messo ai voti ieri, in commissione Giustizia del Senato, il testo unificato del ddl messo a punto dal relatore Felice Casson per introdurre la nuova fattispecie di reato. A mezzogiorno, scaduti i termini della presentazione degli emendamenti, il lavoro poteva ritenersi quasi pronto per le votazioni finali. Manca però il parere della commissione Bilancio: «Lo abbiamo sollecitato più volte, anche come gruppo – spiega il Pd Casson – ma inutilmente. Abbiamo anche eliminato, per agevolare l’iter in tempi di crisi, ogni richiesta di risorse finanziarie, necessarie per il risarcimento delle vittime di tortura. Una volta introdotto il reato, si potrà valutare questo aspetto in un secondo momento». Un parere dirimente, visto che sulla decina di emendamenti presentati che si riducono a un paio di questioni tecniche sulla costruzione della fattispecie di reato, «c’è ampia convergenza», assicura Casson. Tranne per qualche bizza del centrodestra. Che però non potrà non tenere conto ora dell’appello dei nove direttori dei carceri che considerano la mancanza del reato di tortura «un fatto la cui gravità, in termini democratici e di civiltà giuridica, non può lasciare indifferenti». il manifesto MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012 pagina 7 LONDRA 2012 Inventato dalle élite vittoriane nel XIX secolo, il ping pong sarà anche tornato a casa come dice il sindaco di Londra Ma per gli atleti cinesi è un motivo in più per primeggiare. Il tennis tavolo parla una sola lingua ufficiale: la loro Matteo Patrono INVIATO A LONDRA C’ era anche uno scatenato Bill Gates domenica all’ExCel Center, mischiato in mezzo al pubblico rumoroso ed entusiasta del ping pong. Era qui per seguire dal vivo l’avventura di una ragazzina cino-americana che lo chiama affettuosamente zio Bill. Si sono conosciuti per caso nel 2005 alla festa di compleanno per i 75 anni di Warren Buffet, Hariel Hsing di anni ne aveva nove e da allora impartisce lezioni di tennis tavolo al fondatore della Microsoft. Il sostegno di Uncle Bill però non è bastato alla sedicenne californiana per tenere vivo il sogno olimpico: aveva di fronte la numero 2 del torneo, la cinese Li Xiaoxia, e pur avendole creato qualche grattacapo si è dovuta arrendere 4-2. D’altronde contro le ragazze della Repubblica popolare non c’è mai stata storia. Da quando il ping pong è diventato sport olimpico nel 1988 a Seul, le giocatrici cinesi hanno vinto l’oro in ogni singola edizione dei giochi. Con gli uomini il monopolio è stato meno asfissiante. Due volte hanno prevalso i coreani, una lo svedese Jan-Ove Waldner a Barcellona nel ’92. Ma quattro anni fa a Pechino è stata tutta roba loro. Uomini e donne: oro, argento e bronzo nell’individuale più l’oro a squadre. Il tennis tavolo parla una sola lingua ufficiale. La loro. Qui a Londra puntano a fare il bis, con una motivazione in più. Come ha spiegato quello sbruffone del sindaco di Londra, Boris Johnson, il ping pong è tornato a casa. Nel senso che lo inventarono le élite vittoriane nel 19mo secolo, qualcuno dice i funzionari inglesi in India, qualcun altro i nobili ubriaconi che dopo cena si divertivano a usare le scatole di sigari come racchette e i tappi dello champagne al posto delle palline, i libri piazzati sulla tavola sparecchiata fungevano da rete. Secondo Johnson il nome originale era Whiff Waff (il rumore dei tappi), secondo il Museo del tennis tavolo di Losanna Gossima (da gossamer, leggero, delicato), in breve per tutti ping pong (il suono della pallina). Gioco che l’impero britannico esportò a Shanghai nel 1930. Nel giro di venti anni il pinpangqiu si trasformò nello sport nazionale WANG HAO DURANTE IL MATCH CON L’AUSTRIACO SCHLAGER/FOTO REUTERS Obbligati a vincere cinese, il preferito pure di Mao Ze Dong. L’anno di svolta però è il 1959 quando lo sconosciuto Rong Guotuan conquista il titolo mondiale di tennis tavolo. Il primo ministro Zhou Enlai lo ribattezza l’anno della Doppia Felicità perché il primo storico successo sportivo della Cina a livello internazionale coincide col decimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare. Fine del complesso d’inferiorità con l’Occidente, nato con le guerre dell’oppio. Rong diventa un eroe della rivoluzione, lo sport una formidabile arma politica. «Considera- te la pallina come la testa del nemico capitalista. Colpitela con la vostra racchetta socialista e la madrepatria trionferà». Alé. La gloria però dura un attimo, la Rivoluzione Culturale infatti mette al bando la borghesia degli atleti professionisti, spediti nei campi di lavoro con l’accusa di essere maniaci del successo personale. Tra loro c’è pure Rong Guotuan, umiliato, incarcerato, suicida con tre compagni di squadra alla fine degli anni sessanta prima che il partito si ravveda e trovi nella diplomazia del ping pong il modo di scongelare i rapporti con gli Usa Carabina/ ARGENTO, DIETRO IL ROMENO MOLDOVEANU Campriani si ferma a 2 millimetri dall’oro Nicola Sellitti A due millimetri dall’oro olimpico. Un finale thriller, senza lieto fine. E la seconda medaglia italiana che arriva dal poligono di tiro, dopo l’argento di Luca Tesconi nella pistola 10 metri nel primo giorno di gare. Il fiorentino Niccolò Campriani ha vinto ieri la medaglia d’argento nella carabina uomini 10 metri, con il punteggio finale di 701.5. L’oro è andato al romeno Moldoveanu, il bronzo all’indiano Narang. Una vittoria attesa, un oro quasi scontato ma svanito, come per Valentina Vezzali nel fioretto individuale. Campriani era il favorito assoluto della vigilia. E nelle qualificazioni aveva fatto segnare il record olimpico, alla pari con il romeno. Il metallo più prezioso è scappato via negli ultimi tre colpi, dopo una recita perfetta. Da Londra ecco però l’ennesima prova di un trend che arriva dalle Olimpiadi cinesi. Scherma, pistola, carabina, l’oro nel tiro con l’arco del trio Michele Frangilli, Marco Galiazzo e Mauro Nespoli, a segno con le frecce preparate dalla Ferrari. Da po- polo di navigatori a tiratori scelti, la metamorfosi che ci rende protagonisti in Inghilterra. Ottava medaglia azzurra, la quarta d’argento. E terzo posto – almeno sino a ieri pomeriggio – nel medagliere a cinque cerchi, davanti all’atteso ma sinora deludente colosso britannico, dietro solo alle potenze Stati Uniti e Cina, che raccolgono successi a grappoli dalle piscine, tra nuoto e tuffi. E non è ancora finita, perché è in arrivo la specialità preferita da Campriani, la carabina uomini 50 metri, al via il 6 agosto. «Per questo motivo non sprizzo ancora gioia, perché la mia Olimpiade non è finita – spiegava a fine gara il 24enne ingegnere-tiratore fiorentino – Da zero a dieci sono felice undici. La medaglia alla fine la dimentichi pure, magari tra 20 anni, ma volevo vincere la sfida con me stesso, cancellare la delusione di Pechino». La sua rivincita personale è partita dal 12mo posto nelle Olimpiadi asiatiche. Poi nel giro di due anni sono arrivati titoli a pioggia, soprattutto nel 2012. Medaglia d’oro ai Mondiali di Monaco e un bronzo a squadre. In più, un argento individuale e l’oro a squadre agli Europei di Vierumaki. E il primo posto nel ranking mondiale della specialità. Una vita sportiva e sentimentale che cambia nel 2009 quando incontra Petra Zublasing. Anche lei tiratrice, soprattutto portafortuna del neo argento olimpico: «Stiamo insieme da tre anni e Niccolò ha vinto dieci dei tredici tornei cui ha partecipato, senza mai fallire il podio» ha poi detto la fidanzata, atleta delle Fiamme Gialle con la passione per il poligono alimentata durante i quattro anni di college nel West Virginia. Ha perso il metallo più pregiato per un’inezia. «Non ho rimpianti, solo felicità. In gara non è facile, ogni colpo è comandato, Ci sono pochi secondi e se ti prende il panico è finita. Io dopo il primo nove pensavo il peggio, mi son rimesso in carreggiata e alla fine sono riuscito a finire la gara come volevo». di Richard Nixon e uscire così dall’isolamento politico. Cinquanta anni dopo, il fantasma del povero Rong si aggira sconosciuto ma felice dentro l’ExCel Center, il megacomplesso sulla riva del Tamigi che ospita oltre al tennis tavolo anche le gare di pugilato, judo e sollevamento pesi. I tavoli blu cobalto su cui si disputa il torneo olimpico sono forniti dalla ditta di Shanghai Double Happiness Sports, nata proprio dopo la vittoria del ’59 dalla fusione di alcune manifatture locali per volontà del governo di Pechino. Ne producono 100mila l’anno (qui ce ne sono una settantina, di cui quattro da competizione, gli altri di riserva e allenamento) più 4 milioni di racchette e 100 milioni di palline. Ogni tavolo viene ripassato a mano con dei panni lunghi un metro prima di essere pitturato. Guai se la verniciatura supera lo spessore di due millimetri, il rimbalzo della pallina potrebbe prendere traiettorie inconcepibili. Le racchette continuano a produrle col legno (65%) ma il materiale high-tech avanza e presto o tardi prenderà il sopravvento. Quello che resta immutabile è il dominio dei giocatori e delle giocatrici cinesi, tanto che il Comitato olimpico internazionale a un certo punto è stato costretto a limitare la partecipazione ai i giochi a due atleti per nazione, altrimenti il torneo olimpico si sarebbe trasformato in un campionato cinese a cinque cerchi. Questo ha prodotto una corsa alla naturalizzazione degli atleti cinesi da parte di quasi tutti i paesi del mondo, Italia compresa, che qui infatti era rappresentata da Wenling Tan Monfardini, 40 anni, originaria di Hunan, sposata con un italiano dopo esser venuta in vacanza nel nostro paese sul finire degli anni novanta. È stata eliminata al secondo turno. La Spagna ha portato invece He Zhiven, 50 primavere, uno che ha cominciato a giocare ai tempi di Mao e Nixon e sembra il nonno di Jike Zhang, il giovane numero 1 cinese che pur essendo alla sua prima olimpiade è il favorito di tutti i bookmaker inglesi per la conquista dell’oro insieme alla collega Ning Ding, soprannominata affettuosamente Big Baby per la stazza piuttosto robusta. A contendere il gradino più alto del podio a Zhang c’è Hao Wang, cinque anni più vecchio, che nel 2004 fece scandalo a Pechino perché venne a galla la sua proibitissima storia d’amore con la compagna di squadra Ying Fan, minorenne. Espulsa e rispedita a casa lei, salvato lui che ad Atene vinse la medaglia d’argento. La sua convocazione per Londra ha creato nuove polemiche perché c’erano almeno un paio di giocatori con una classica migliore. «Tutte bugie – spiega Wang dopo aver strapazzato l’austriaco Werner Schlager nel terzo turno del torneo maschile – la forza del ping pong cinese è la solidarietà. A Londra sono venuti con noi anche i giocatori non qualificati, ci alle- Unico spauracchio è Boll, mancino tedesco che però ha vissuto e si è allenato in Cina niamo con loro per mantenere un livello di concentrazione altissimo. Il mio compagno di allenamento è Ma Lin, medaglia d’oro a Pechino 2008. Sappiamo di essere obbligati a vincere perché questo è quello che tutti si aspettano da noi, conviviamo con questo tipo di pressione dal momento in cui prendiamo in mano la racchetta. Su per giù intorno ai quattro anni». I giornalisti al seguito spiegano che Wang è stato scelto per la sua esperienza e per il fatto di aver un record quasi immacolato contro gli avversari europei. Il grande spauracchio di Londra 2012 è infatti Timo Boll, un mancino tedesco che ha vissuto in Cina, si è allenato coi cinesi, è stato votato persino uomo più sexy del mondo da una rivista femminile cinese ed è l’unico europeo nella classifica dei dieci giocatori più forti del pianeta (numero 7, davanti a lui cinque cinesi e un giapponese). Ha 31 anni ed è cresciuto col mito dello svedese Waldner , primo e unico rappresentante europeo ad aver fregato i figli della terra di mezzo a ping pong. «La pressione la avverto anch’io, che credete. E ogni tanto fa bene, spingersi fino al limite serve a mantenersi carichi. Poi quel che viene viene». In caso di vittoria, ieri sera, oggi nei quarti lo aspetta, guarda un po’, Hao Wang. NUOTO FENOMENALE YE SHIWEN, GLI USA L’ACCUSANO DI DOPING Qualche segno di nervosismo, con aperte accuse di doping, arriva dagli organismi ufficiali del nuoto statunitense dopo l’impressionante performance d Ye Shiwen (foto), la sedicenne cinese che ha nuotato più veloce di Ryan Lochte e Michael Phelps nei 400 misti individuali. Il suo record semplicemente «non è credibile» secondo John Leonard, direttore esecutivo della World Swimming Coach Association e della Usa Swimming Coach Association. «Dobbiamo esser prudenti quando parliamo di doping, ma nella storia del nostro sport quando vediamo qualcosa di "incredibile", e metto incredibile tra virgolette, la storia ci mostra che c'entra il doping», ha detto Leonard al giornale britannico The Guardian: «Quegli ultimi cento metri, a gente che lavora in questo settore da anni, ricordano le nuotatrici dell'Europa dell'est. Ricordano i 400 misti di Michelle Smith a Atlanta». Michelle Smith, irlandese, vinse i 400 misti nel 1996 e due anni dopo fu bandita per quattro anni per doping. Ma Ye Shiwen nega «categoricamente» il doping. «La squadra cinese ha regole ferree», ha detto la giovane atleta, che ha stupito anche ieri nelle qualificazioni dei 200 misti, facendo segnare il miglior tempo mondiale dell'anno. JUDO BRONZO SFUMATO PER IPPON, QUINTAVALLE FUORI DAL PODIO L'oro vinto a Pechino 2008 faceva ben sperare, ma a Londra Giulia Quintavalle fallisce anche l’assalto al bronzo. Nella categoria 57 chilogrammi l'azzurra ha perso infatti la finale per il terzo posto, conquistato dalla statunitense Marti Malloy, che ha vinto l’incontro per ippon. «Dovevo fare di più ma ero tesa, ho sbagliato e ho pagato», ha detto l’atleta italiana. La medaglia d’oro è andata alla giapponese Kaori Matsumoto (foto), che ha battuto in finale la romena Corina Caprioriu. Sempre nel judo, ma maschile, categoria 73 kg, il nuovo campione olimpico è il russo Mansur Isaev, che in finale ha avuto la meglio sul giapponese Riki Nakaya, campione del mondo in carica. La medaglia di bronzo è andata a Ugo Legrand (Francia) e a Nyam-Ochir Sainjargal (Mongolia). CALCIO/1 FURIE ROSSE ELIMINATE, CHOC E SFOTTÒ DEI MEDIA SPAGNOLI «La Spagna morde la polvere», titola Marca, che aggiunge: «I Giochi fanno scendere la Spagna dall'Olimpo». «Sorpresa maiuscola», urla a tutta pagina El Mundo Deportivo. Qua e là altri titoli fanno riferimento al «disastro» e al «colpo terribile». E c’è chi si chiede ironicamente se il calcio debba essere per forza uno sport olimpico. Il giorno dopo l’umiliazione subita dalla Spagna ad opera dell’Honduras, choc e sfottò si mescolano sulle prime pagine dei giornali iberici. Il gol di Jerry Bengston al 7’ del primo tempo ha bissato lo 0-1 patito dagli spagnoli con il Giappone. Così la squadra superfavorita è fuori dai Giochi olimpici dopo appena due partite, relegata all’ultimo posto del suo girone (dietro al Marocco, che un punticino l’ha rimediato). CALCIO/2 RAZZISMO VIA TWITTER, FUORI LO SVIZZERO MORGANELLA Michel Morganella è stato escluso dalla nazionale di calcio svizzera per una frase di stampo razzista pubblicata sul suo profilo Twitter. Il 23enne, sotto contratto con il Palermo, al termine dell'incontro perso 2-1 contro la Corea del Sud ha attaccato gli avversari postando la sua reazione ai fischi che gli erano stato riservati dopo aver simulato un fallo. Poi si è scusato e ha cancellato il twitt, ma ormasi per lui era già stata decisa la stessa sorte toccata alla saltatrice tripla greca Voula Papachristou. pagina 8 il manifesto MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012 INTERNAZIONALE ISRAELE · A sud di Hebron, l’esercito demolirà le aree palestinesi per svolgere manovre militari YEMEN ALEPPO Otto villaggi sotto sfratto Il rapimento del carabiniere I ribelli: un varco verso la Turchia Michele Giorgio B en otto villaggi palestinesi a sud della città di Hebron, in Cisgiordania, rischiano di essere demoliti dall’esercito israeliano che userà quelle aree per svolgervi manovre militari. Si attende ora la decisione dei giudici della Corte Suprema di Israele. Riferita nei giorni scorsi dal quotidiano Haaretz, la notizia è stata ignorata da buona parte dei media internazionali. Nei territori occupati al contrario ha suscitato proteste e forte preoccupazione. Molti l’hanno interpretata come il passo preliminare all’espulsione dei palestinesi dalla zona C, ossia quel 61 per cento della Cisgiordania che a quasi 19 anni dalla firma degli Accordi di Oslo (l’anniversario è il 13 settembre) rimane sotto il controllo esclusivo dell’esercito israeliano. Gli abitanti degli otto villaggi saranno «trasferiti», evidentemente contro la loro volontà, verso la cittadina di Yatta dove alcuni di loro avrebbero altre abitazioni. L’eser- Le case dei pastori, ricavate dalle grotte, vengono considerate «illegali» da Tel Aviv cito, quando non dovrà svolgere le esercitazioni, consentirà ai contadini palestinesi di raggiungere i campi coltivati nelle aree confiscate. Lo stesso avverrà in altri due periodi dell’anno. Majaz, Tabban, Sfai, Fakheit, Halaweh, Mirkez, Jinba e Kharuba. Piccoli villaggi di pastori, alcuni dei quali vivono in case ricavate da grotte. Israele li considera «illegali». Ma gran parte di essi esisteva già nel 1830, ha sottolineato lo stesso Haaretz. In ogni caso sono centri abitati palestinesi in territorio palestinese e per la legge internazionale i veri illegali sono gli insediamenti colonici israeliani. Con un gesto di «generosità» il ministero della difesa israeliano ha «salvato»Tuba, Mufaqara, Sarura and Megheir al-Abeid. Si tratta di una vicenda che comincia negli anni ’70 quando l’esercito israeliano dichiarò circa 30mila dunam (3mila ettari) di terra palestinese zona proibita ai non residenti. Un provvedimento vecchio di 40 anni, che già indicava l’intenzione di Israele di non restituire ai palestinesi porzioni consistenti della Cisgiordania dove in seguito, non certo a caso, ha costruito gran parte delle sue colonie nei Territori occupati. E non è un caso neanche che il percorso del Muro di Separazione segua, più o meno fedelmente, la «frontiera» tracciata da questo disegno antico ma sempre attuale. Firmando gli accordi che vanno sotto il nome di Oslo 2 (1994), Israele in cambio del via libera alla nascita dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), si assicurò il controllo totale del 61% della Cisgiordania (Area C), fino ad un accordo definitivo dello stutus dei Territori occupati palestinesi che, nel frattempo, non è mai arrivato. Ha anche il controllo di sicurezza della cosiddetta Area B (oltre 20% della Cisgiordania) dove l’amministrazione civile è palestinese. Al- HEBRON (WEST BANK), PROTESTE CONTRO I COLONI ISRAELIANI/FOTO REUTERS l’Anp dopo 19 anni di trattative, rivolte palestinesi contro l’occupazione, negoziati veri e presunti, resta il controllo pieno di meno del 20% della Cisgiordania. «Pieno» sino ad un certo punto, perché le forze armate israeliane non esitano ad entrare anche nelle città autonome palestinesi per «operazioni di sicurezza». «Israele non ha mai dichiarato apertamente la sua linea ufficiale per l’Area C ma la attua in silenzio sul terreno», spiega l’avvocato Shlomo Lacker, dell’Associazione per i Diritti Civili (Acri), che rappresenta 200 famiglie palestinesi minacciate di espulsione. «È un modo per prendere le distanze dagli accordi con i palestinesi, gli Stati uniti e dalla possibilità di raggiungere la soluzione dei due Stati (Israele e Palestina). Non ci saranno i due Stati se Israele prenderà il controllo di tutto» aggiunge Lecker. Nell’Area C della Cisgiordania, oggi ancora più di prima, ai palestinesi è vietato costruire persino un muretto alto 50 cm senza l’autorizzazione dell’esercito che raramente concede permessi edilizi. Persino le agenzie e le ong internazionali si trovano in forte difficoltà quando devono operare in questa ampia fascia di territorio palestinese sotto la piena occupazione militare israeliana. Mark Regev, portavoce dell’ufficio del primo ministro israeliano Netanyahu, respinge seccamente la tesi di chi denuncia tentativi di espulsione della popolazione palestinese. «Smentisco totalmente che sia in atto un piano per spingere fuori i palestinesi dall’Area C. Israele sulla base degli accordi firmati ha il controllo di questa porzione di territorio. Lo status finale sarà deciso attraverso negoziati futuri», afferma Regev. Tuttavia sul terreno le cose vanno diversamente e la politica israeliana appare in linea anche con la composizione demografica del territorio emersa do- po quasi venti anni di trattative inutili in cui le colonie sono cresciute in numero e, soprattutto, per estensione. Oggi in Area C vivono oltre 300mila settler israeliani e un numero imprecisato di palestinesi: dai 117mila registrati dall’Ufficio Centrale di Statistica dell’Anp ai 92mila indicati da Israele, fino ai 150mila delle statistiche ufficiali di Ocha, l’ufficio di coordinamento degli affari umanitari dell’Onu. E sulla base di questi numeri la destra israeliana chiede al governo di passare alle vie di fatto e di annettere subito l’Area C, in modo da definire con un atto unilaterale i confini dell’entità (senza reale sovranità) che sarà chiamata Stato di Palestina all’interno della Cisgiordania. Si spiega così la richiesta di demolizione degli otto villaggi palestinesi a sud di Hebron. Ma nessun rappresentante ufficiale israeliano commetterà l’errore di ammerterlo apertamente e continuerà a parlare di «rimozione di abusivi». Non si sa ancora chi abbia rapito, nello Yemen, il carabiniere italiano addetto alla sicurezza dell’ambasciata a Sanaa. Ieri, il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha avuto una lunga conversazione telefonica con il suo omologo yemenita Abu Bakr al Qirbi. Uomini armati hanno sequestrato il carabiniere nei pressi della sede diplomatica, situata nel quartiere di Hadda. Fonti della sicurezza yemenita sembrano però escludere la pista politica legata ad al-Qaeda. Potrebbe trattarsi invece di gruppi tribali che intendono ottenere qualcosa dal governo in cambio dell’ostaggio. Anche l’ultimo sequestro di italiani avvenuto nello Yemen alla fine del 2005 (cinque turisti) risultò opera di una tribù locale. Sembra anche escluso un legame tra il sequestro e l’assalto al ministero degli Interni, avvenuto a Sanaa nello stesso giorno. L’edificio, che si trova in un’area lontana dal quartiere di Hadda, è stato occupato da un centinaio di militanti fedeli all'ex presidente Ali Abdullah Saleh, che chiedono alla nuova amministrazione yemenita di essere arruolati nella polizia. I militanti hanno anche preso in ostaggio il personale del ministero, rilasciarlo poche ore dopo. Un altro episodionel quadro di endemica instabilità che attraversa lo Yemen, il più povero tra i Paesi della penisola arabica, e che non è venuto meno con l'uscita di Saleh, dopo 34 anni al potere. A d Aleppo, dove gli oppositori al regime siriano di Bashar al-Assad si dicono pronti a morire, gli insorti hanno conquistato un posto di controllo strategico, situato ad Anadane, nel nord-ovest della città. Un obiettivo raggiunto dopo circa dieci ore di combattimenti, determinante perché consente di collegare la seconda città del paese alla frontiera turca. Da sabato scorso, Aleppo è teatro di una feroce battaglia tra le truppe governative e i ribelli. Ieri, con l’apertura di quel corridoio verso la Turchia - distante 45 km e retroterra strategico per i ribelli dall’inizio del conflitto, a marzo dell’anno scorso - l’Esercito siriano libero già dava per scontata la vittoria. E in un ospedale turco è stato trasportato Omar Khachram, il giornalista della televisione qatariota, al-Jazeera, ferito nei combattimenti. Fonti del governo siriano, subito smentite dai ribelli, sostengono invece che l’esercito ha ripreso il controllo di una parte del quartiere di Salaheddine, principale roccaforte degli insorti nel sud-ovest della città. Le autorità turche ieri hanno inviato alla frontiera con la Siria quattro convogli per il trasporto dei soldati, carri, missili e blindati, giustificando le manovre come «normali esercizi di addestramento militare» che non avrebbero attraversato la frontiera. I combattimenti ad Aleppo sono iniziati il 20 luglio e l’assalto delle forze governative si è verificato sabato, dopo l’arrivo in massa dei ribelli nella città, che conta 2,5 milioni di abitanti. Secondo i responsabili delle operazioni umanitarie Onu, circa 200.000 persone sono in fuga. Kofi Annan, mediatore internazionale per conto delle Nazioni unite e della Lega Araba, ha nuovamente invitato governo e opposizione armata a trovare una soluzione pacifica, mentre l’Esercito libero continua a chiedere all’Occidente l’intervento armato. KURDISTAN · Il calvario delle famiglie in fuga dal conflitto tra ribelli e al-Assad Scambio di rifugiati tra Siria e Iraq Ettore Acocella ERBIL (KURDISTAN IRACHENO) L a Siria è stata negli ultimi anni il paese che ha ospitato la maggioranza dei rifugiati iracheni, almeno un milione, in fuga dopo la caduta di Saddam Hussein. Ora, seguendo un drammatico gioco delle parti, coloro che non erano già rientrati o espatriati in Europa e negli Stati Uniti, rientrano in Iraq, preoccupati per i futuri sviluppi della crisi siriana. In direzione opposta va avanti l’esodo dei siriani verso l’Iraq. Secondo i dati dell’Unhcr (L'agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati), sono circa 9.000 i rifugiati arrivati in Iraq negli ultimi mesi, ma le Ong parlano di più di 15.000 tra giovani uomini e famiglie. L’Iraq non è considerato un porto sicuro dai siriani in fuga, e non hanno tutti i torti osservando la cronaca degli primi giorni di Ramadan, con più MERCOLEDÌ 1 AGOSTO SERATA DI SOSTEGNO PER IL MANIFESTO ore 19.30 APERITIVO E INCONTRO Le vie dell’alternativa in America latina. Il Venezuela bolivariano Partecipano Geraldina Colotti, Le Monde diplomatique/il manifesto Indira Pineda, Red por Ti America, Cuba Mario Neri, Circolo bolivariano Antonio Gramsci, Caracas ore 19.30 Cena a base di pesce a miglio Zero Progetto Critical Fish dalla cattura alla cottura prezzo della cena: 10 euro bevande escluse Si consiglia la prenotazione Ex Asilo Filangieri vico Giuseppe Maffei 4 (via San Gregorio Armeno) - Napoli per info e prenotazioni [email protected] 3389012569 http://www.labalena.wordpress.com di 100 morti e circa 200 feriti in una serie di attacchi contemporanei a Baghdad e in altre città irachene. A questo si aggiunga l’atteggiamento di ambigua prudenza mantenuto dal governo centrale iracheno rispetto alla crisi siriana e al futuro del regime di Bashar al-Assad; il premier iracheno Nouri Al-Maliki guida un debole governo con l’appoggio iraniano e il regime di Damasco è considerato un alleato. Un segno di questo atteggiamento prudente si è avuto la settimana scorsa, con la decisione del governo iracheno, poi ritirata, di chiudere le frontiere con la Siria ai non iracheni. Per questi motivi quasi il 95% dei rifugiati siriani in Iraq sono kurdi, provenienti dalle città del nord-est della Siria (Khamishli, Hasaka, Afrim). Entrano in Iraq nei pressi del varco di Rabia che segna il confine tra Siria e Kurdistan Iracheno, ormai largamente autonomo dal governo di Baghdad, che accoglie i ri- fugiati perché vuole mostrarsi come la «casa di tutti i kurdi». Non a caso anche nei pochi giorni di chiusura degli altri valichi di frontiera, Rabia è rimasto aperto. Tra i profughi kurdo-siriani ci sono famiglie in fuga dalle violenze e molti (quasi il 70%) giovani uomini che scappano per evitare di essere arruolati dall’esercito regolare siriano. Gli operatori di «Un ponte per…» li hanno incontrati in uno dei due campi profughi allestiti nei pressi della città di Dohok: sono quasi tutti ragazzi tra i 20 e i 30 anni, che raccontano del difficile cammino per raggiungere il Kurdistan iracheno, tra contrabbandieri, guardie di confine corrotte e lunghe camminate a piedi nella notte. Dicono quanto sia sempre stato difficile appartenere alla minoranza kurda in Siria, e come la situazione sia peggiorata con l’inizio delle rivolte contro Assad. Chiedono un'autonomia che li tuteli, ma non pensano di stabilirsi nel Kurdistan iracheno: ma la Siria è casa loro, ed è lì che vogliono tornare. Intanto, nonostante i disagi della vita nei campi profughi alcuni si sono registrati presso l’Unhcr e possono avere permesso di soggiorno e accesso all’istruzione e alla sanità garantite dal Governo regionale Kurdo. Per alcuni di questi giovani le autorità hanno invece predisposto un addestramento di tipo militare; secondo le dichiarazioni ufficiali del Governo regionale Kurdo lo scopo sarebbe di prepararli a garantire la sicurezza dei territori da loro abitati una volta rientrati in Siria. Un esperimento pericoloso che rischia di contribuire solo alla ulteriore etnicizzazione del conflitto siriano. Migliaia di rifugiati vivono poi al di fuori dei campi; ospiti di amici e parenti, dispersi nelle varie città del nord iracheno. Donne e uomini che sfuggono per diffidenza al meccanismo della registrazione e dell’assistenza, spesso senza permesso di soggiorno, per questo ricattati e sfruttati soprattutto dal mercato del lavoro nero. Ultimi fra gli ultimi, è difficile dire quanti siano, difficile anche tracciarli in quell’area grigia d’illegalità che li rende molto simili ai nostri «immigrati clandestini». L’organizzazione non governatova kurda-irachena Public Aid Organization (Pao), sin dall’inizio dell’emergenza porta avanti un lavoro di monitoraggio di coloro che non sono registrati come profughi, cercando di capire dove sono e in che condizioni vivono, offrendo orientamento e cercando di porsi come intermediario per trovargli un lavoro dignitoso. «Un Ponte per…» e Pao stanno predisponendo insieme un programma di assistenza legale e sanitaria per questi rifugiati, per farli uscire dall’ombra e offrirgli condizioni di vita dignitose in attesa che possano tornare in Siria. www.unponteper.it il manifesto MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012 pagina 9 INTERNAZIONALE Asunción • I contadini senza terra, che chiedono l’applicazione della riforma agraria, non trovano giustizia in un paese asservito alle destre. L’articolo completo sul Diplò del 17 agosto Tutto il mese in Diplò. Quest’anno anche d’agosto. Per la prima volta, in abbinato al manifesto, troverete un numero speciale di Le Monde diplomatique a partire dal 17 e fino all’uscita di quello successivo (il 13 settembre). Grandi firme e reportage d’eccezione raccontano frontiere economiche e frontiere di guerra, «primavere» dei popoli e slanci artistici, e nodi storici mai sciolti davvero. Nel ricco piatto agostano, un’inchiesta del sociologo Raúl Cazal ASUNCIÓN D a quando Fernando Lugo si è insediato alla presidenza, del Paraguay, per ventitré volte hanno tentato di metterlo sotto accusa, la ventiquattresima è stata quella buona. Ma per raggiungere questo risultato sono dovuti morire 6 poliziotti e 11 contadini a Curuguaty: su terre che appartengono allo Stato ma delle quali l'ex senatore del Partito colorado, Blas Ferreira, si è appropriato fin dall'epoca della dittatura di Alfredo Stroessner. Alle tesi dello scontro tra polizia e contadini, imposte da settori politici attraverso una campagna mediatica, si è contrapposta quella dei franchi tiratori. Ovviamente quest'ultima non è stata particolarmente diffusa dato che i deputati paraguayani già avevano deciso l'impeachment di Lugo per «cattivo comportamento nell'esercizio delle sue funzioni». Il giudizio politico emesso dai parlamentari, che in poche ore sono riusciti a destituire il presidente, sosteneva che Lugo: aveva autorizzato una riunione nel Comando di ingegneria delle Forze armate – il delitto è stato quello di menzionare il concetto di «lotta di classe»-; aveva dialogato con leader contadini senza-terra che a Ñacunday occupavano terreni dello stato protetti dalla Riforma agraria, ma che i latifondisti reclamano come propri – l'accusa fu «la mancata risposta delle forze dell'ordine di fronte all'occupazione di beni privati»; aveva provocato una crescente insicurezza; aveva firmato, nel dicembre del 2011, il protocollo di Montevideo, Ushuaia II, per l'impegno democratico nel Mercosur; era responsabile del massacro di Curuguaty. Michel Hartmann sul mito della «classe globale». Un’analisi a tutto campo sui costi della crisi e la mobilitazione di quanti, in Europa, non sono più disposti a pagarla. Lo sguardo dei geografi Allan Popelard e Paul Vannier su Las Vegas, metropoli statunitense e capitale del gioco d’azzardo in cui tutto è smisurato, a cominciare dall’urbanismo. Di grandi progetti sul territorio che non mirano a soddisfare i bisogni delle popolazioni, parla an- PARAGUAY · Dietro la destituzione del presidente Fernando Lugo, gli interessi delle multinazionali I poteri forti contro il vescovo dei poveri In poche ore, il capo di stato viene estromesso dalle sue funzioni per inettitudine Quando si seppe che il presidente Lugo aveva un cancro linfatico, il vicepresidente Franco si trovava in Colombia, a rappresentare il Governo nell'insediamento presidenziale di Juan Manuel Santos, e la sua prima dichiarazione fu che Lugo poteva contare su di lui nella gestione del paese. Cinque mesi prima, Franco si era però incontrato con l'allora ambasciatrice degli Usa in Paraguay, Liliana Ayalde e, in quell'occasione, l’aveva informata sulla «pessima gestione amministrativa del presidente Lugo per la quale ococcorreva un urgente e non negoziabile giudizio politico». La conversazione divenne pubblica con una lettera che l'allora ministro della difesa, Luis Bareiro Spaini, aveva inviato alla rappresentante diplomatica già dirigente, tra il 2005 e il 2008, dell'Usaid in Colombia. Secondo la Costituzione approvata nel 1992, tre anni dopo la caduta del dittatore Alfredo Stroessner, per avviare l'iter dell'impeachment è necessario l'accordo dei due terzi di deputati e senatori dei partiti tradizionali. Ma Lugo aveva contro tutta la Camera (ad eccezione della deputata Aída Robles, del Movimiento Popular Tekoyoya -MPT), e in sole 5 ore si è deciso di sottoporre a giudizio politico il presidente. Il Senato, trasformato in tribunale, ha concesso due ore di tempo per la difesa e al senatore Sixto Pererira (MPT) non è stato concesso il diritto di parola. Il politologo paraguayano Diego Abente Brun, professore emerito di Scienze politiche nella Miami University, considera che il potere esecutivo è «soggetto a un Congresso con prerogative esagerate» perché può opporre un veto al presidente con la che il giornalista Alain Devalpo. Christian Parenti riflette invece sull’esperienza comunista in Afghanistan. Hana Jaber prevede una primavera giordana, e Nicolas Dot-Pouillard mostra come la crisi siriana divida le sinistre arabe. Alain Vicky parla della contestazione sonora in Angola. E un inedito Victor Hugo pittore. Questo e molto altro fino alle pagine di Diploteca e ai suoi percorsi di lettura. MANIFESTAZIONE CONTRO IL NUOVO PRESIDENTE FEDERICO FRANCO AD ASUNCIÓN/FOTO REUTERS semplice maggioranza delle due camere; modificare leggi senza alcuna restrizione, «alterare una legge permanente attraverso una provvisoria, come la legge sul bilancio annuale o una legge che aumenta le spese in bilancio»; e spingere al giudizio politico del presidente sulla base di «un cattivo comportamento nell'esercizio delle sue funzioni». Dal 1989, da quando Stroessner vive in esile in Brasile, il Paraguay ha avuto 6 presidenti eletti ma solo 4 hanno portato a termine il mandato. Raúl Cubas Grau del Partito Colorado viene eletto nel 1998 e resta in carica 7 mesi. Il 15 agosto assume il mandato. Tre giorni dopo concede l'indulto a Lino Oviedo, in carcere per aver tentato un colpo di stato contro il presidente Juan Carlos Wasmosy alla fine dell'aprile del '96. Il quarto giorno settori del partito colorado, alleati del vicepresidente Luis María Argaña, insieme ai liberali (Partito libero radicale autentico, Plra) e di «Encuentro nacional» sollecitano il giudizio politico nei confronti del presidente Cubas Grau. Il Congresso richiede l'intervento della Corte suprema di giustizia sulla libertà di Oviedo che il 2 dicembre 1998 dichiara incostituzionale il decreto di Cubas, il quale non accetta la sentenza. Oviedo minaccia di «sotterrare» i giudici che hanno votato contro di lui. Sette mesi dopo, il 16 marzo 1999, la Camera dei deputati fissa la data per l'impeachment al 7 di aprile. Ma il 23 marzo il vicepresidente Argaña viene assassinato. I deputati chiedono una sessione straordinaria per mandare avanti il giudizio, che ottiene il numero necessario per la sua approvazione. Da quel giorno, fino al 26 marzo, la popolazione organizza proteste nelle piazze di Asunción ma viene aggredita dai seguaci di Oviedo armati di bastoni e oggetti contundenti. Il 26 marzo, nella piazza della Cattedrale, 7 giovani manifestanti vengono assassinati e il giorno dopo Cubas Grau rinuncia. Lo rimpiazza il presidente del Congresso, Luis González Macchi del Partito colorado, che non chiede le elezioni e termina il suo mandato come «stabilito dalla Costituzione». Il risultato dell'Assemblea fu la concessione di alcuni poteri eccezionali al Parlamento. I politici paraguayani hanno imposto l'impeachment a Lugo, sapevano che non avrebbero avuto l'appoggio dei paesi dell'Unasur e del Mercosur. I cancellieri di questi paesi, riuniti in Brasile, lasciarono il vertice di Rio+20 per tentare di mettere un freno all'imminente colpo di stato. In seguito, in base al Protocollo di Ushuaia I, firmato nel ’98, i presidenti del Mercosur, riuniti a Mendoza, in Argentina, hanno sospeso il Paraguay. Per questa decisione si è preso in considerazione l'instabilità politica del paese e la minaccia di interruzione del processo democratico, come accadde nel 1996, quando il generale Lino Oviedo tentò di rovesciare il presidente Juan Carlos Wasmosy tramite una rivolta militare. Il Mercosur nasce nel ’91, con la firma del Trattato di Asunción. Erano gli anni in cui si impose l'egemonia neoliberista, per cui non è casuale il nome Mercato comune del sud, né che settori del Partito colorado, guidato da Argaña, si siano opposti alla firma del trattato. Attualmente il Paraguay realizza il 51% delle esportazioni verso paesi del Mercosur. Per attenuare le asimmetrie economiche, una delle misure adottate dal blocco, nel 2005, fu la creazione del Fondo per la convergenza strutturale del Mercosur (Focem), al quale il Paraguay deve apportare un milione di dollari all'anno e, in cambio, riceve trasferimenti di risorse non rimborsabili per un valore di 48 milioni di dollari. Ovviamente, l'Unione degli industriali paraguayani non ritiene che ci sia stata una rottura del processo democratico nel paese, e sostiene che la sospensione del Paraguay dal Mercosur li obbliga a fare affari fuori dal blocco regionale. I contadini senza terra che chiedono l’applicazione della Riforma agraria, sono stati definiti «carperos» (attendati). Fin dalla dittatura di Stroessner i contadini sono stati repressi e massacrati, come l'8 marzo 1980 a Caaguazú. Ancora oggi non si conosce il luogo della fossa comune dove furono sepolti 10 cadaveri. Assassinii impuniti. Lugo, nel suo ultimo discorso in qualità di presidente, ha parlato di golpe mafioso. La giustizia paraguayana è controllata da sostenitori dei gruppi politici tradizionali che hanno beneficiato di terre, molte consegnate da Stroessner, e ha operato sempre a favore dei latifondisti, come nel massacro di Curuguaty. «Quando arrivammo al governo, nel 2008, volevamo fare una riforma agraria autentica, organizzare un catasto della terra», ha confessato Lugo dopo la sua destituzione. «Il Paraguay ha una superficie 406.752 chilometri quadrati ma, se si somma- no tutti i titoli di proprietà, diventano 529 mila. Significa che ci sono terre che hanno due, tre o quattro titoli. Bisogna sanare questa situazione ma non è facile, perché dipende dalla magistratura e non dal potere esecutivo». La regolarizzazione delle terre non è l'unico scoglio con cui Lugo si trovò a fare i conti quando arrivò alla presidenza. Due giorni prima che i deputati approvassero le accuse contro di lui per «scarso rendimento» nelle sue funzioni, il Servizio nazionale di qualità e salute vegetale e delle sementi (Senave) aveva negato la registrazione del seme di cotone DP404BG, commercializzato dalla Monsanto come cotone Boogard. Franco ha messo alla guida di Senave Jaime Ayala - imprenditore agrario, azionista e presidente della Pacific Agrosciences, impresa stabilitasi nel paese con un investimento di 3 milioni di dollari. Tra la prime misure adottate da Ayala, oltre al licenziamento di 200 lavoratori, vi è stata l'approvazione del brevetto di quel seme di cotone in precedenza rifiutato per mancanza dei requisiti richiesti dal Senave. Il giornalista Idilio Méndez Grimaldi rivelò, nel corso del golpe parlamentare, che «l'anno scorso la Monsanto ha fatturato 30 milioni di dollari, esentasse (perché non dichiarati), solamente dai diritti derivanti dai brevetti, le royalties, per l'uso di semi di soia transgenica in Paraguay». Nel- Durante il golpe, la mediazione del Mercosur, poi l’espulsione dal blocco regionale l'articolo «Monsanto colpisce in Paraguay», diffuso in rete, sostiene che tutta la soia coltivata nel paese è transgenica e copre una «estensione vicina ai 3 milioni di ettari, con una produzione intorno a 7 milioni di tonnellate nel 2010» Alleati ai partiti colorado e liberal radical autentico, tra quelli di tendenze ideologiche simili che hanno preso parte al golpe, ci sono anche i vertici della chiesa e i settori imprenditoriali e transnazionali del commercio agrario che si rifiutano di pagare tasse e che minacciarono un «tractorazo» (uno sciopero che avrebbe bloccato le strade del paese). Minaccia ritirata quando Franco ha assunto l'incarico di presidente. Da quando Lugo assunse la presidenza, tutti questi settori non abbandonarono mai l'idea di farlo fuori. Nel settembre del 2008, dopo soli 15 giorni di presidenza costituzionale, Lugo denunciò la cospirazione contro di lui da parte di Lino Oviedo. Nella cerimonia di insediamento di Franco il generale Oviedo sedeva a fianco del senatore e presidente del Plra, Blas Llano, e si è vantato di essere stato il primo a congratularsi con Franco per la sua nuova posizione. direttore del Diplo venezuelano ©Le Monde diplomatique/ilmanifesto (traduzione di Marina Zenobio) VENEZUELA Oggi, a Brasilia, l’entrata ufficiale nel Mercosur Geraldina Colotti O ggi, il Venezuela fa il suo ingresso ufficiale nel Mercato comune del sur (Mercosur): membro a pieno titolo insieme a Brasile, Argentina e Uruguay, che hanno votato la sua ammissione al blocco economico, attesa da sei anni. Un vertice straordinario si tiene per questo a Brasilia. Vi partecipano i presidenti dei paesi membri e quelli degli associati o osservatori (Bolivia, Cile, Colombia, Ecuador e Perù). Un bel compleanno per il presidente venezuelano Hugo Chávez che ha festeggiato in questi giorni i suoi 58 anni e un'apparente ripresa fisica, nonostante il tumore alla zona pelvica che lo affligge e che lo ha tenuto lontano dall'attività politica. Oggi, invece, a Brasilia ci sarà. Prima del vertice, ha incontrato una delegazione brasiliana per discutere le prospettive economiche dei nuovi scambi bilaterali. Intanto, ha già previsto un fondo di oltre 500 milioni di dollari, da spendere entro la fine dell'anno, per aiutare le imprese intenzionate ad espandersi nell'ambito del Mercosur: un'iniziativa che, secondo le valutazioni di Caracas, potrebbe portare già in un primo tempo alla creazione di circa 240.000 posti di lavoro. L'ingresso nel blocco economico regionale consentirà a Caracas- che dal 2011 non fa più parte della della Comunità andina delle nazioni - di far arrivare i propri prodotti a circa 200 milioni di persone che vivono nell'area. Il ricco patrimonio venezuelano, in termini di petrolio, ferro, gas naturale, oro, e le modalità di interscambio solidale in vigore fra i paesi dell'Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America (Alba) consentono però anche ai paesi più piccoli come l’Uruguay di bilanciare il peso dei due grandi, Brasile e Argentina. Integrazione e cooperazione sono le linee di indirizzo condivise dal blocco dei paesi progressisti, decisi a costruire uno schema alternativo a quello dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), dell'Unione europea o all'Area di libero commercio delle Americhe (Alca). La porta per Caracas si è aperta con l’uscita del Paraguay, a seguito della deposizione del presidente Fernando Lugo e della sua sostituzione con il vice, Federico Franco, che i paesi del Mercosur non hanno riconosciuto. Il Paraguay e le sue rappresentanze parlamentari, egemonizzate dalle destre, aveva sempre bloccato l’arrivo di Caracas e dei suoi programmi sociali. Lugo sarebbe stato favorevole ma, privo di maggioranza all’interno stesso della sua coalizione (Franco appartiene alla destra che, nella compagine governativa, lo aveva sostenuto), ha finito per rimetterci la carica. Come spiega Raúl Cazal in questa pagina, i presidenti di Argentina, Brasile e Uruguay, dopo aver tentato di impedire con la mediazione politica quello che hanno considerato «un golpe istituzionale», hanno deciso di non invitare Franco all’incontro di Mendoza, in Argentina. E, in quella sede, il Paraguay è stato sospeso dal blocco regionale, «fino al ripristino dell’ordine democratico». Stessa decisione ha preso l’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur) nei confronti di Asunción. Il Mercosur ha anche respinto il ricorso presentato dal Paraguay (che si rivolgerà ad altre sedi internazionali) contro la sospensione temporanea per assenza di requisiti atti a istituire il «procedimento d’urgenza» richiesto . «Il problema del Mercosur non è il Paraguay, ma il Venezuela», ha dichiarato Federico Franco, deciso a restare in carica fino allo svolgimento delle prossime elezioni dell’anno prossimo. Allora - ipotizzano in molti - avrà le mani libere per presentarsi, come da profilo, nel campo della destra. pagina 10 il manifesto MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012 CULTURA CONI D’OMBRA / 1 Franco Arminio E conomista, osservatore della politica e della società, politico meridionalista, studioso italiano, europeo ed americano. Erano ancora tempi dove si potevano fare bene diverse cose. Io non sono uno studioso del pensiero di Manlio Rossi-Doria. Chi vuole approfondire l’argomento può leggere almeno uno dei suoi libri o una sua biografia scritta da Simone Misiani e pubblicata recentemente dall’editore Rubettino. S’intitola semplicemente Manlio Rossi-Doria, sottotitolo Un riformatore del novecento. Non ho alcun titolo per scrivere di lui. Posso vantare solo una contiguità toponomastica. Ho scritto un libro intitolato Terracarne. Ho fatto un film intitolato Terramossa. Organizzo una serie di eventi culturali intitolati Terrascritta. Allora il mio è un contributo inattendibile. Non parlerò dello studioso ma della cosa studiata. Parlerò della terra. L’INIZIATIVA Comincia oggi una serie di pagine dedicate a figure o a opere che hanno avuto un ruolo importante – a volte evidente, a volte più sotterraneo – nella formazione culturale delle diverse generazioni novecentesche e che oggi appaiono marginali: dimenticate o al contrario museificate e prive, all’apparenza, di ogni vitalità. Obiettivo della serie è dunque il tentativo di verificare se e quanto questi personaggi, questi testi, hanno da dire a chi vi si era accostato trenta o quarant’anni fa e, più ancora, a chi non li ha conosciuti. Buona lettura! Un professore nellaterradell’osso Il mezzogiorno nudo Rossi-Doria ha studiato e frequentato i luoghi dove vivo. Il suo primo discorso parlamentare fu tutto centrato su una diagnosi dei problemi dell’Alta Irpinia, quella che lui chiamava Terra dell’osso e io adesso chiamo Irpinia d’Oriente. L’ho visto alcune volte all’osteria di mio padre. Arrivato a tarda sera dopo qualche comizio in zona. Mi piaceva quando arrivava gente che si metteva a parlare di politica. Mi sedevo su una sedia e ascoltavo. Lui veniva coi socialisti della zona. Non mi ricordo una sua frase, non mi ricordo la sua voce. Molti anni dopo, quando ho cominciato le mie scarne letture politiche, ho sentito parlare di terra dell’osso, la famosa formulazione concepita per le nostre zone, contrapposte a quelle costiere definite della polpa. L’ho sentita dire tante volte e mi sono messa a dirla pure io. Forse però andrebbe rimessa in circolazione una sua distinzione pronunciata in un convegno del 1944 tra Mezzogiorno nudo e Mezzogiorno alberato. Una distinzione che a me interessa anche in termini estetici: penso al fatto che il Mezzogiorno nudo somiglia non poco al west che gli americani tanto hanno celebrato nei loro film e che noi poco abbiamo immortalato nei nostri. Rossi-Doria e Scotellaro. Mi fa sempre impressione leggere che il poeta lucano morì improvvisamente a trent’anni. Morì per un infarto mentre era a Portici, dove lavorava su invito del professore. Io ho pensato tante volte che mi stava venendo un infarto. Rossi-Doria mi ha portato a Scotellaro e dunque alla paura dell’infarto. La poesia, la terra, l’infarto. Questo è il triangolo. Tre lati, tre brani di lettere che il professore scrive al poeta. Ricominciare cento volte A ben guardare nella disperazione dei nostri contadini – che io ho veduto anche di recente in Calabria - non so se è maggiore la rabbia per chi ha pittato la luna o per chi ha sbarrato i portoni. Anche io sono come te: ho profonda fiducia d’un lavoro serio, animato dalla ribellione al conformismo del tempo. Ma, sai, una ribellione fredda; senza fumi, alimentata da un lavoro cocciuto e paziente che alla fine ce la deve fare a riuscire. È in questo senso che ho impostato tutta la mia vita. Dalla politica per ora mi sono ritirato e faccio la politica del mestiere: è uno sforzo lento e lungo. Il fatto è, caro Rocco, che a vincere e cambiare questa dannata condizione umana dei contadini che ha millenni dietro di sé, occorre molto più che lo sforzo di pochi anni o pochi miliardi. E quando si chiude una fase e tutto tende a ritornare come prima, bisogna avere il coraggio di ricominciare anche dieci, anche cento volte. È ben vero che il lavoro non si può e non si deve fare al di fuori dei contadini ma coi contadini. E la vera maledizione di quella miserabile nostra riforma è che l’abbiamo voluta fare senza i contadini. Ma il lavoro non è principalmente di sovvertimento, ma di costruzione, di educazione, di selezione, di differenziazione, di creare individui e varietà, di individuare pro- blemi e trovare ciascuno la sua diversa soluzione, di unir gli uomini, ma di lasciarli anche vivere ciascuno a suo modo. Solo l’intelligenza, la cultura, la libertà, la critica, oltre alla solidarietà e al rispetto del legame civile possono risolvere questi problemi. Quando lo sentivo nominare non sapevo che l’autore della terra dell’osso era romano. Non sapevo neppure che Pasquale Saraceno era della Valtellina e Danilo Dolci era triestino. Sapevo solo la cosa che sapevano tutti, che Carlo Levi era di Torino. E Carlo Levi nell’ Orologio, così ritrae RossiDoria: «Stava a cavallo con un piede sulla politica pura e l’ altro sulla pura tecnica, ma questa stessa incertezza gli chiariva le idee, gli impediva di fossilizzarsi in una abitudine mentale, lo conservava vivo e appassionato». Al Palio del grano In questo momento a me una sola cosa importa: capir dentro a questo oscuro processo che vedo in atto nelle campagne. Per questo sono preso da una vera frenesia di girare, di vedere, di prender contatto con la terra. E non vedo l’ora di tornare giù nel Mezzogiorno, di girare paese per paese. Con questo frammento da una lettera all’irpino Guido Dorso posso associare Rossi-Doria alla paesologia. Io gli somiglio nel mio girare paese per paese, purtroppo non ho la sua stessa veemenza nello studiare. Consiglio di amministrazione dello Svimez, consigliere della Cassa di Mezzogiorno, senatore nel Partito Socialista italiano: la prova, rara, che si può rimanere onesti e occupare poltrone importanti. Il centro di specializzazione ricerche economico-agrarie di Portici da solo valeva la nomina a ministro dell’agricoltura, che non è mai arrivata. Ho pensato a Rossi Doria passando nei giorni scorsi a Caselle in Pittari, nel Cilento, dove sono andato a vedere il Palio del grano. Il palio si è svolto di domenica, preceduto da una settimana di alfabetizzazione rurale. Io sono arrivato il venerdì. Ho parlato in un piccolo anfiteatro fatto con le balle di fieno. Quando si arriva in un’esperienza che è già cominciata a volte si fatica a trovare il senso di quello che sta accadendo. È comunque stato bello vedere i computer appoggiati per terra. Sentire parlare ragazzi venuti da tutta Italia, da paesi e città, mi ha fatto pensare alla mia vecchia formula di coniugare il computer e il pero selvatico. Non so se in mezzo a loro c’è un ne che tutte le persone, molte centinaia, che mangiavano strette strette sull’aia, in un meraviglioso affresco corale, adesso stanno nelle loro case, magari consegnate alla tristezza dell’autismo di massa, ma qualcosa è accaduto. Quello che ho capito è che le persone quando stanno in una cerimonia che ha senso danno il meglio di loro stesse: l’ardore dei mietitori era commovente. Forse il disincanto e il cinismo di cui tanto parliamo sono solo un filo di polvere, sotto c’è ancora qualcosa che luccica. Bisogna aggiornare l’agenda del nostro nichilismo: forse siamo meglio di quello che pensiamo, alla fine siamo più vicini a Rossi-Doria che a Craxi. Sarebbe il caso che i terreni demaniali fossero affidati ai giovani, sarebbe il caso di aprire una grande stagione di ritorno alla terra. Dopo il terremoto Non sapevo che aveva subito prima l’arresto e poi il confino, a San Fele, non lontano dal mio paese. In galera divideva il tempo equamente tra studio ed esercizio fisico. Rossi-Doria o Baudrillard? Non ho dubbi, scelgo il primo: cambiare la realtà, stando ben dentro nella realtà, identificare il centro della politica nei territori, immagino politiche diverse per diversi territori, importanza dello studio per pianificare interventi, esaltazione della democrazia vissuta in forma comunitaria. A me colpisce la sua passione per il lavoro, la sua lontananza da un sud accidioso e amorale che si sceglie classi dirigenti altrettanto accidiose e amorali: Ho l’impressione che a lavorare veramente, oggi, in questa Italia liberata, non ci sia che la gente del mercato nero, le puttane e i contadini, oltre ai preti ed alla gente che ha da salvare le sue vecchie posizioni guadagnate negli anni addietro. Nonostante le condizioni di salute precarie, nel 1980 si reca in Irpinia e Basilicata per elaborare un piano per la ricostruzione dei paesi colpiti dal terremoto. Non lo ascoltarono. I democristiani che comandavano a Roma comandavano anche nelle zone terremotate, non potevano lasciarsi sfuggire l’occasione di usare la catastrofe per rimpinguare le loro tasche e il loro consenso. Lui parlava di politica del mestiere. Quelli che contestano i mestieranti della politica dovrebbero studiare il lavoro di un uomo come lui, il suo pragmatismo senza furbizie: Continuo a lavorare nel Mezzogiorno, convinto come sono che l’unica cosa che conta è lavorare sodo attorno ai problemi concreti, riuscendo a realizzare di mano in mano quel poco che si può, cercando di accumulare esperienze e capacità effettive, per quanto dovesse servire e per quanto si potesse fare qualcosa di importante che cambi un poco seriamente la faccia di una realtà che dura sempre uguale a se stessa. Campagne spopolate Manlio Rossi-Doria: economista, politico meridionalista. «A me solo importa capire l’oscuro processo in atto nelle campagne» altro Rossi-Doria. Magari qualcuno è venuto semplicemente per inquietudine o per trovare compagnie sessuali. Niente di male. Anzi, molto bene, se si considera quello che è accaduto la domenica. Io non ci credevo, pensavo che il palio del grano fosse una delle tante cose un po’ finte che si fanno nelle estati paesane. E invece mi sono trovato dentro una festa con- MATERA / FOTOGRAFIA DI TANO D’AMICO; IN ALTO MANLIO ROSSI DORIA (A SIN.) NEGLI ANNI ’50 tadina semplice e possente, un piccolo miracolo rurale. Volendo essere cattivi si può dire che i falciatori del grano divisi per paesi facevano pensare a una versione alla buona di giochi senza frontiere. E poi che senso ha mettere le persone a falciare il grano quando è una pratica che qui non farà mai più nessuno? E proprio qui la faccenda è curiosa: non ho sentito in alcun momento della giornata il soffio della paesanologia. Vedere un vecchio modo di mietere senza che si producesse un’aria nostalgica. L’aria non era quella di una sagra, l’aria era quella di una nuova alleanza tra i contadini (che ci sono anco- ra) e i ragazzi delle città e dei paesi, che cominciano a guardare alla campagna perché sentono che il modello capitalistico non promette più nulla di buono. Rossi-Doria ha lavorato contromano, per tutti gli ultimi trent’anni della sua vita si è occupato di un mondo in fuga da se stesso, ha profuso ogni suo sforzo per frenare la rottamazione del mondo contadino. Adesso non è più così. A Caselle in Pittari, dentro il Cilento, io ho visto qualcosa di importante. Alla fine i giovani organizzatori hanno assegnato un piccolo pezzo di terra a ognuno dei ragazzi che ha partecipato al corso. So be- Voleva coniugare lo sviluppo economico con la coesione sociale, la salvaguardia delle risorse naturali con l’intensificazione produttivistica, l’infrastrutturazione con la difesa degli equilibri del territorio: e invece abbiamo avuto le acciaierie killer e lo spopolamento delle campagne. Non si può dire che non si è battuto per le sue idee e come spesso accade nella vita le idee migliori germogliano quando chi le ha prodotte non c’è più. Rossi-Doria è uno degli intellettuali del nostro futuro, altri li avvisteremo presto tra i ragazzi che mettono l’agricoltura al centro della loro vita e di quella del pianeta. «I governi hanno fallito nel loro ruolo, la terra è l’unica salvezza, e va messa in mano a chi la coltiva. Invito i giovani a occupare la terra così come stanno occupando le piazze». Questo invito di Vandana Shiva è un seme gettato nel solco lungamente arato da Rossi-Doria. Forse oggi le sue analisi da economista agrario del novecento possono sembrare troppo condizionate dal tarlo dello sviluppo, ma i politici italiani, compresi i tecnici, molto avrebbero da imparare se trovassero il tempo di chinarsi nel suo solco. il manifesto MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012 pagina 11 CULTURA oltre tutto Tiziana Migliore P iù che recensire, è il caso di segnalare Ciclismo, Cubo-futurismo e la quarta dimensione, la mostra in corso fino al 16 settembre alla Peggy Guggenheim di Venezia. Rientra in quel novero di esposizioni, poche purtroppo, che evitano i comodi epiloghi e aprono campi di studio. Non un’antologica né una rassegna storica, ma un corpus di pitture, sculture, fotografie, oggetti e disegni, riuniti attorno all’analisi di un quadro, Al velodromo (1912) di Jean Metzinger. L’obiettivo è esplorare, tramite il motivo del ciclista, il trattamento della quarta dimensione compiuto dalle avanguardie. FESTA A MANTOVA PER IL PROGRAMMA DEL FESTIVAL Mancano due giorni alla festa che si terrà giovedì 2 agosto alle 21 a Mantova, per la distribuzione del programma cartaceo della sedicesima edizione del «Festivaletteratura». Sulla copertina del libretto, disegnata da Emiliano Ponzi, campeggia quest’anno il campanile della Basilica palatina di Santa Barbara, recentemente danneggiato dal terremoto che ha colpito ARTE · Alla collezione Peggy Guggenheim di Venezia un’esposizione sul cubofuturismo ADDIO A FILIPPO BETTINI Avanguardie e ciclismo, prove di quarta dimensione La letteratura come conoscenza della realtà è percepibile quando gli oggetti osservati, e le distanze tra loro, sono prossimi allo spazio dello spettatore o, anzi, in collisione con noi, coincidenti nello spazio-tempo (Einstein, Cubism and Relativity, 1946). Ecco che prende senso la speciale velocità del connubio uomo-ruota, diversa da ogni altra macchina e in cui è valsa la pena di investire per la figurativizzazione del tempo. Se il cubismo sintetico orientava Braque, Picasso e Gris a lavori stratificati sulla superficie, di collage tra lettere e immagini, i cubo-futuristi cercano la quarta dimensione nella corsa in bicicletta, ciascuno con metodi perso- Una corsa «inumana» Alla cronaca di un Cubismo come paradigma dominante per via di Picasso e Braque, si affianca un racconto meno proclamato, e perciò meno riconosciuto, ma meritevole. La retrolettura di Erasmus Weddigen, curatore della mostra, spiega che il Cubismo eccede dallo schema analitico/sintetico affermatosi nel 1936 con la cernita di Alfred Barr. E include, fin dal 1910, artisti quali Apollinaire, Albert Gleizes, Robert Delaunay, František Kupka, Metzinger, che, a casa dei fratelli Duchamp, discutevano di geometria non-euclidea, dimensioni non visibili, Relatività. Il nome scelto da Metzinger per questo gruppo di cubisti è Section d’Or, rivelativo delle proporzioni matematiche nelle spirali sfaccettate di colore. L’interesse per la quarta dimensione, il tempo nella sua natura organica, nella percezione del cambiamento (la durée di Bergson), li rendeva più vicini ai futuristi che non ai colleghi Picasso e Braque. «Cubo-futurismo» è un’etichetta che ha ragion d’essere: per una falange cubista, la simultaneità non è solo al servizio della scomposizione prospettica dei volumi, ma è uno strumento di resa spaziale del divenire. Nella speciale velocità del connubio uomo-ruota, differente da ogni altra macchina, il tempo sembra prendere corpo nali: Duchamp mediante la demoltiplicazione cinematica, i futuristi smaterializzando i corpi nella luce (si pensi al Ciclista di Natalia Goncharova), Kupka sostituendo la sequenza di un movimento con una miriade di singoli spostamenti. Anche Metzinger offre la propria soluzione, allo stato di bozzetto, ma riuscita: in Al velodromo le membra del corridore, volto compreso, sono affacciate in primo piano, prospicienti al frame enunciazionale, come intersezione di solidi trasparenti. Crupelandt sta tagliando il traguardo in uno spazio che sconfina dal mondo pittorico, verso lo spettatore. Le ruote simulano il tremolio sul porfido, mentre la granulosità della sabbia riportata suscita adesione somatica. La ricerca di pittori come Metzinger trovò sperimentazione concreta in una gara sportiva, la Parigi-Roubaix Obiezione, vostro onore – sembra dire Weddigen a Barr. Memorabili le mostre che funzionano non per addizione, ma per ripensamento delle precedenti: fanno evolvere la storia dell’arte. Conta molto che questa ricerca tra arti e scienze abbia trovato sperimentazione concreta in una gara sportiva. Vicino a Puteaux, sobborgo di Parigi dove abitavano i Duchamp, aveva inizio la Parigi-Roubaix o «Enfer du Nord», dati i suoi sessanta chilometri di cubetti di porfido. Una corsa «inumana» – la definirebbe il Barthes dei Miti d’oggi. Al velodromo, tela di Metzinger di proprietà di Peggy Guggenheim, immortala il vincitore dell’anno, Charles Crupelandt, la cui identità è svelata da Weddigen con diagnostiche non invasive. Emerge un papier collé cancellato che ne indicava il nome, insieme ad altri pentimenti e alla data, 1912 e non ’14. E si scoprono i colori utilizzati, alchemici: bianco di zinco, giallo cadmio, rosso cinabro… Il quadro è progettato e approfondito attraverso due disegni, il pannello a olio Il ciclista e la tela Corridore ciclista. Corpi smaterializzati Costellano la serie di Metzinger una sua opera di recente ritrovamento, Composizione cubista con orologio (1913 c.), emblema della mostra – il cronometro rima qui con la crescita di una spirale aurea – e varianti sul tema. Si vedono il Dinamismo di un ciclista (1913) di Boccioni, i Ciclisti di Depero, Sironi, Severini, la Scatola in una valigia (1941) di Duchamp della Peggy Guggenheim, il cui statuto selettivo oltre all’Emilia Romagna anche il Mantovano. Ma nell’attesa, chi volesse scoprire tutti gli appuntamenti della manifestazione, che si terrà dal 5 al 9 settembre, non ha che da andare su internet, all’indirizzo www.festivaletteratura.it. Tra gli ospiti internazionali, impossibile non nominare almeno Toni Morrison («Amatissima») e Ngugi Wa Thiong’o, protagonista della letteratura africana. E ancora, Jean-Loup Amselle, Aimee Bender, Péter Nádas, Anita Nair. Schizzi e marchingegni JEAN METZINGER, «AL VELODROMO» e combinatorio dà risalto alla ripetizione figurativa della ruota. I raggi formano un’entità 3D; messi in movimento, proiettano la ruota nella quarta dimensione. L’indagine andrebbe proseguita, convocando le teorie di uno storico dell’arte americano, Meyer Schapiro, che ha riflettuto, da un lato, sull’insoddisfazione di Duchamp per l’aspetto statico del Cubismo di Picasso, dall’altro sui rapporti tra le arti e l’Elettrodinamica dei corpi in movimento (1905) di Einstein. Questi dichiarava che «il Cubismo non ha nulla in comune con la Relatività» e aggiungeva però che la simultaneità MOSTRE · Gli esordi di Charles Seliger Accanto all’esposizione dedicata al rapporto tra ciclismo e cubofuturismo, di cui scrive a fianco Tiziana Migliore, la collezione Guggenheim di Venezia propone fino al 16 settembre «Una visione interiore», prima mostra in Italia dedicata ai dipinti realizzati dall’astrattista statunitense Charles Seliger durante il decennio iniziale della sua carriera, sotto l’ispirazione del Surrealismo europeo che aveva spostato il suo centro d’interesse da Parigi a New York. Curata da Jonathan Stuhlman e organizzata dal Mint Museum di Charlotte, in North Carolina, l’esposizione riunisce oltre trenta dei migliori lavori degli anni ‘40, provenienti da collezioni pubbliche e private, per tracciare l’evoluzione di Seliger ed esplorare il percorso che lo portò allo stile più maturo degli inizi degli anni ’50. Fu tra l’altro proprio Peggy Guggenheim a organizzargli la prima personale, nel 1945 nella sua galleria newyorkese «Art of This Century». IN EDICOLA IL NUMERO DI LUGLIO TURISMO I forzati dell’ozio P. Bourdeau, R. Christin EUROPA La crisi vista da Berlino Olivier Cyran LIBIA Elezioni nel caos Patrick Haimzadeh APOCALITTICI L’invasione dei “preppers” Denis Duclos NORVEGIA Un anno dopo il massacro Rémi Nilsen IRAN La versione di Gorgan Shervin Ahmadi CRISI L’Europa dei poteri sadici Ignacio Ramonet DIPLOTECA Somalia, la mondina nera MESSICO Un paese ostaggio dei narcos Jean-François Boyer BELGIO Un paradiso fiscale Frédéric Panier GRAMSCI Un pensiero si fa mondo Razmig Keucheyan TIMOR EST Una fragile stabilità Frédéric Durand NEL GIORNO DI USCITA ABBINATA OBBLIGATORIA CON IL MANIFESTO: 3,00 EURO 1,50 EURO PIÙ IL PREZZO DEL GIORNALE NEGLI ALTRI GIORNI In mostra sono anche esposti il trofeo della gara, costituito da uno dei blocchi del selciato, e biciclette antiche e moderne: una Alcyon del 1912; modelli in legno tratti da un falso schizzo di Leonardo; la bici di Fabian Cancellara, vincitore delle Parigi-Roubaix 2006 e 2010; il prototipo in fibra di carbonio di Aria (2009-11), del designer Marco Mainardi; un biciclo progettato dall’Università di Tubinga per un viaggio virtuale alla velocità della luce, con gli effetti della Relatività: dilatazione del tempo e contrazione delle lunghezze. Il Giardino delle Sculture ospita infine Cyclosna, freddo marchingegno di Paul Wiedmer che ironizza sull’idea di «ciclicità». Massimo Raffaeli È morto all’alba di sabato, dopo un ricovero d’urgenza al Santo Spirito di Roma, Filippo Bettini, teorico della letteratura e docente di letteratura italiana contemporanea alla Sapienza. Marchigiano di origine (era nato a Senigallia nel 1950), in quella che sarebbe stata per sempre la sua università si era formato e aveva fondato giovanissimo i «Quaderni di critica» con alcuni coetanei (Francesco Muzzioli, Marcello Carlino, Aldo Mastropasqua, Giorgio Patrizi) destinati a rimanere, nel segno della reciprocità ma anche della fedeltà, suoi costanti interlocutori e compagni di via. Nei titoli di quei «Quaderni» monografici c’è l’indicazione di una scelta di campo inclusiva fra gli altri di Gadda, del Gruppo 63, dei teorici della Scuola di Francoforte e dunque di un segnale preciso quanto alla militanza intellettuale e politica, in anni che annunciano da un lato la dismissione del lavoro critico e dall’altro una spettacolare diversione della pratica letteraria verso il consumo e la perfetta compatibilità con il mercato: ne è segno ulteriore il volume collettivo dove culmina l’esperienza dei «Quaderni» e che infatti si intitola, persino provocatoriamente, Per una ipotesi di scrittura materialista (1981). Qui per Bettini è già centrale il rinvio a un filosofo, Galvano della Volpe, che il marxismo italiano aveva a lungo sottovalutato anche quando, con la Critica del gusto (’60), egli aveva fornito in sede estetica l’unica opzione che, fondatamente e finalmente, potesse dirsi quella di un Anti-Croce. Dell’estetica di della Volpe, Bettini recepisce sia l’ingiunzione a una lettura analitica dei testi che non trascuri i portati del formalismo e dello strutturalismo sia, soprattutto, la persuasione che la letteratura corrisponde a una modalità specifica, infungibile, di conoscenza della realtà: ciò indirizza i suoi saggi maggiori (dedicati a Gadda, Cacciatore, Sanguineti, Pagliarani, Perriera, Volponi, Carmelo Bene) e segna nel lungo periodo una tenace attività di organizzatore di cui è duplice esempio la presidenza dell’Associazione Allegorein e del Premio Internazionale Feronia Fiano Romano (uno dei rari premi davvero indenni dalla logica del mercato, la cui sospensione per mancanza di fondi deve avere amareggiato i suoi ultimi giorni di vita). Ma il suo lascito di critico si contiene idealmente nel titolo e nelle pagine che introducono gli atti (Bulzoni 1998) di un convegno organizzato alla Sapienza nell’aprile del ’97 con gli altri redattori dei «Quaderni» e alla presenza di alcuni maestri (da Fausto Curi a Guido Guglielmi e Gregory Lucente), un titolo che vale una definitiva dichiarazione di poetica e che dice alla lettera Avanguardia vs. postmodernità. Filippo Bettini diresse quel convegno memorabile con lo charme, la consueta civiltà, che chi ha avuto la fortuna di incontrarlo non può dimenticare. Le esequie di Filippo Bettini verranno celebrate oggi, alle ore 11, nel Tempio Egizio del Verano, a Roma. pagina 12 il manifesto MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012 VISIONI Cinema • È morto Chris Marker, autore di «La jetée», narratore del mondo, sperimentatore inarrestabile, ha raccontato il maggio 68 e le utopie del suo movimento FOTO GRANDE «CHATS PERCHÉS» (2004), A FIANCO E SOTTO DUE RITRATTI DI CHRIS MARKER. A SINISTRA E IN FONDO A DESTRA, SEQUENZE TRATTE DA «LA JETÉE» (1962) Il pensiero e l’immagine Adriano Aprà A veva 91 anni. Voleva restare invisibile. Pochissime le sue foto (non ne avrebbe voluta nessuna, ma oggi sulla rete se ne trovano). Rare le interviste. Ricchissima però la sua opera, e variegata quanto a supporti. Dalla pellicola al cd-rom interattivo, dalle installazioni video al dvd: film o video corti, medi, lunghi e lunghissimi. Ma sempre dentro un genere che, grazie a lui, si è costretti a ridefinire: non documentario, semmai cinema saggistico. Una sola incursione nella finzione, ma in forma di fotoracconto: La jetée (1962), che resta anche la sua opera più conosciuta, forse anche per ignoranza delle altre. È stato attivo fino a pochi anni fa: uno dei suoi ultimi film è Leila Attacks, distribuito in rete nel 2006. E c'è ancora la serie realizzata nel métro parigino, Passagers (2008-2010). Ma sono tante le sue opere da ricordare, compreso uno dei suoi primi documentari, Lettre de Sibérie (1957), che lui aveva anni dopo «rifiutato», e che abbiamo potuto vedere solo grazie a un video «pirata». Proprio su questo film il grande critico francese André Bazin aveva scritto, in uno dei suoi ultimi articoli prima della prematura morte, che in Marker «la materia prima è l'intelligenza, la sua espressione immediata è la parola, e l'immagine non interviene se non in terza posizione, in riferimento a questa intelligenza verbale. (...) Chris Marker porta nei suoi film una concezione del tutto nuova del montaggio, che chiamerò orizzontale, in opposizione al montaggio tradizionale che opera nel senso della lunghezza della pellicola tramite il rapporto fra le inquadrature. Qui l'immagine non rinvia a quello che la procede o la segue, ma rinvia in qualche modo lateralmente a quel che ne è detto». Ed è sempre Bazin a parlare di «saggio documentato». Le sue parole profetiche possono valere per la maggior parte dei suoi film, fra i quali vanno ricordati almeno Le joli mai (1963), Si j'avais quatre dromadaires (1966), il fake documentary L'ambassade (1973), Le fond de l'air est rouge (1977), una sorta di summa dei movimenti sessantotteschi nel mondo, Sans soleil (1983), forse il suo capolavoro, Level Five (1997), nonché il cdRom interattivo Immemory (1998). Nel 1996 la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro gli aveva dedicato una retrospettiva – ovviamente in sua assenza – e un volume di documentazione curato da Bernard Eisenschitz, che ha contribuito molto alla sua conoscenza in Italia, tanto da sollecitare due libri, di Viva Paci (Il cinema di Chris Marker, edizioni Hybris, 2005) e di Ivelise Perniola (Chris Marker o del film saggio, edizioni Lindau, 2003). Credo anche che sia all'origine della diffusione del termine «cinema saggistico», cioè un cinema dove i concetti, qualcosa di astratto, vengono espressi in termini audiovisivi. Si pensa subito alle Histoire(s) du cinéma (1988-1998) di Jean-Luc Godard, che con Marker e il tedesco Alexan- Uno stile frammentario e innovativo, in cui la storia privata e la coscienza collettiva si fondono con la vocazione di fissare il presente. Secondo il cineasta francese, «la materia prima è l’intelligenza». Nelle sue opere inventa una nuova idea del montaggio der Kluge è uno dei cineasti che con più intelligenza hanno sperimentato il video. Ma con Immemory e l'installazione multimediale Silent Movie (1994-1995) Marker è andato sicuramente ancora più in là nell'affrontare il passaggio epocale dalla pellicola al digitale. Proprio dopo la retrospettiva pesarese ho avuto modo, con la mediazione di Eisenschitz, di incontrarlo nella sua casa-studio parigina. L'«invisibile» Marker era lì, davanti a me, e non mi parlava di sé ma mi consigliava per Pesaro le opere di altri autori: un uomo aperto e generoso. Il suo altruismo spiega il «mistero» da cui si lasciava circondare, lui che aveva fatto scoprire agli occidentali il grande cineasta sovietico Aleksandr Medvedkin (Le train en marche, 1971; Le tombeau d'Alexandre, 1992), così come aveva dedicato ritratti ad Akira Kurosawa sul set di Run (AK, 1985) e Andrej Tarkovskij (Une journée d'Andrei Arsenevitch, 1999). Si nascondeva dietro il suo pseudonimo (il vero nome è Christian François Bouche-Villeneuve) così come si nascondeva dietro i suoi film, dei quali non si considerava «autore» ma partecipe dell'impresa assieme ad altri. Il mondo era il suo territorio (ha girato in tantissimi paesi, e in particolare nell'amato Giappone). E di questo mondo forniva una testimonianza politicamente impegnata, ma sempre con uno sguardo alla storia più che alla cronaca. Un filosofo della storia, potremmo dire. IN PRIMA PERSONA Non mi piace essere definito impegnato «L’etichetta di regista ’impegnato’ è per me abbastanza ingombrante. Nell’accezione comune coincide con ’politico’, e la politica è l’arte del compromesso (cosa che va tutta a suo onore, fuori dal compromesso non ci sono che i rapporti di forza bruta ...), mi annoia profondamente. Mi appassiona, invece, la Storia, la politica mi interessa solo quando diviene un riflesso della Storia nel presente. Con una curiosità ricorrente: ma come fa la gente a vivere in un mondo simile? Da qui la mia mania di andare a vedere ’cosa succede’ qua e là. Per molto tempo coloro che avevano una maggiore autorevolezza per farlo, non disponevano degli strumenti necessari a dare una forma alle loro testimonianze ... Ed ecco che adesso gli strumenti esistono ... Ma è necessario mettere un freno: la ’democratizzazione degli strumenti’ che ha eliminato molti limiti tecnici e finanziari, non libera dalla fatica del lavoro. Possedere una telecamera digitale non conferisce per magia talento a chi non ne ha ... Un film richiede sempre molto lavoro. E una ragione per farlo. È a la storia del gruppo Medvedkine, quei giovani operai che nel dopo-68 cominciarono a girare film sulla loro vita, che noi abbiamo tentato di aiutare sul piano tecnico coi mezzi dell’epoca: una 16 millimetri non sincronizzata, con tre minuti di autonomia, il laboratorio, il tavolo di montaggio ... » (da «Libération, 5/03 2003) il manifesto MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012 pagina 13 VISIONI THE HOBBIT...3 «The Hobbit», il doppio prequel de Il Signore degli anelli, ambientato circa 60 anni prima nella Terra di Mezzo, avrà un terzo capitolo sempre firmato da Peter Jackson. I film usciranno rispettivamente il 14 dicembre 2012, il 13 dicembre 2013 mentre il (conclusivo?) capitolo è atteso per l'estate del 2014. Saranno anche in 3d. ENZO D’ALÒ Saranno le avventure del celebre burattino collodiano ad aprire le Giornate degli autori che si svolgeranno a Venezia durante la Mostra del Cinema (29 agosto-8 settembre). Autore Enzo D'Alò che ha rielaborato la storia di «Pinocchio». La colonna sonora è stata firmata da Lucio Dalla, che l'aveva completata pochi giorni prima di morire. RESISTENZE · Le «gallerie di affini» tra alias e avatars L’eterno inventore riproduzioni di quadri, fotoDall’organizzazione grammi, partizioni... Questo comunista di Popolo a morte, diceva Pasoliperché la storia collettiva non ni, compie un fulmineo si può trasmettere in maniera e Cultura a You Tube montaggio della nostra univoca e autoritaria, deve esLa rete di confronti vita. 29 luglio 1921, 29 luglio sere documentata, ricca di 2012, l’autore de La Jetée strumenti ; ogni lettore deve di uno spirito giovane (1962), questo film dove si scoessere invitato a ingegnarsi pre che il narratore è già mor«secondo il proprio temperato, ha trasformato la propria mento, il proprio pubblico o vita in un circolo di date ed le circostanze, a fare opera di elevato il montaggio al rango creazione personale ». Mondi arte sublime. taggi dunque. Montaggio ecoChris Marker componeva nomico, quando nel 1967 anidelle gallerie di affini. Lo facema il film collettivo Loin du Vietnam e fonda per questo, va nei suoi libri di ritratti con Inger Servoliin, la casa di (Coréennes, 1959, sottotitolato produzione Slon (Società per «cortometraggio»), come nei il lancio di opere nuove). Monsuoi film, e più recentemente taggio sociale, quando con gli nei suoi lavori in digitale, coanimatori culturale di Plenteme il cd-rom Immemory les-Orchamps, René e Micheli(1997) abitato da avatars del ne Berchoud, poi Pol Cèbe, personaggio di Madeleine di crea un esplosivo corto-circuiLa Donna che visse due volte o to politico, l’incontro di cineasti e operai in seno ai come il collage Metrotopia (2011) – serie di fotograGruppi Medvedkine. Montaggio multimedia, già fie in bianco e nero di giovani donne in metropolitanel 1978, con Quand le siècle a pris forme : Guerre et na – postato nel suo canale Youtube con lo pseudorévolution. E interattivo, nel 1990, con Zapping Zonimo di Kosinski. In queste gallerie, i visi solitari, ne (Proposals for a Imaginary Television) dove, sotspesso ripresi dal basso, sempre monumentali, semto l’egida di Stalker di Tarkovsky, confronta le sinbrano specchiarsi l’uno con l’altro a distanza. Nel tassi classiche (letteratura, cinema) alle paratassi 1996, il volto della splendida interprete di Level Fimoderne (la giustapposizione degli schermi, la molve, Catherine Belkhodja ricorda quello del cineasta teplicità dei supporti, il passaggio aleatorio da un Alexandre Medvedkine, l’inventore del cine-treno, flusso d’immagini all’altro). Montaggio integralal quale Marker ha dedicato due ritratti (Le train en mente aleatorio quando, nel 1995, al Wexner Art marche, 1971, Le Tombeau d’Alexandre, 1992). Nel Center for the Arts, evoca il progetto sovietico della montaggio c’è la risposta alla domanda che Marker Tour Pravda (1924) trasformato in una grande torre pone al centro delle sue opere : che cos’è l’affinità? di Babele multimediale con il titolo : Silent Movie. Che cos’è questa cosa che sta davanti a me, mentre Montaggio inter e intra-media in Level Five – conio non sono per me stesso altro che una galleria infifronto tra il cinema, la storia del Giappone e le nuonita di possibilità, di eclissi, di connessioni ? Trovave immagini (videogiochi, reti tra ordinatori). Come re l’affinità è cogliere un fenomeno non per identifiJean-Luc Godard, Chris Marker ha sempre guardacarlo, e rinviarlo in tal modo a sé stesso, ma al conto alle nuove tecnologie. Si è investito in Second Litrario per dispiegarlo, lasciarlo vibrare, e seguirlo fe, dove creò un esposizione nel 2008, Farewell to nelle sue risonanze, comprese quelle a lui stesso Movies, e dove, con grande sorpresa dei suoi interlosconosciute. cutori, usava dare i propri appuntamenti di lavoro. Chris Marker ha cominciato a girare film all’interE infine YouTube, che gli ha permesso di moltiplicano dell’organizzazione comunista Popolo e Cultura re i propri pseudonimi, alias e avatar. Dal 2009, e, per tutta la vita, ha sperimentato forme di orgaChris Marker ha stabilito un legame privilegiato nizzazioni capaci di preservare e stimolare l’abboncon il laboratorio del sito Poptronics, al quale offridanza e la prodigalità in ciascuno e in ogni cosa. va le sue ultime opere pubbliche : collage, clip, pamPraticamente e formalmente, non ha mai smesso di phlet contro la censura. Percorrendo la sua opera, inventare dispositivi di montaggio. Nel 1951, in Resi vede che il suo interesse per i nuovi strumenti di gards sur le mouvement ouvrier (Seuil), scritto a comunicazione non risponde solo all’esigenza di quattro mani con Benigno Cacérès, militante deltrasferire da un supporto all’altro gli archivi delle lotl’educazione popolare in Francia nel dopoguerra, te collettive. Si tratta, come spiega il protagonista Marker confronta «dei documenti sulla vita quotidel suo primo romanzo, Le Coeur net (1950), di apridiana degli operai, una lettera, dei discorsi, il regolare la morsa dell’effettivo, di richiamare a sé l’infinimento di una fabbrica, una lista di multe, un rapto delle ipotesi e dei desideri e, in questa maniera, porto, una canzone, una poesia di circostanza, un di ritrovare uno spirito giovane dalle virtù rivoluzioprocesso verbale di un tribunale, un semplice grinarie. (traduzione di Eugenio Renzi) do» (dalla prefazione, estratto) – e molte immagini : Nicole Brenez L I FILM · L’avventura di un secolo Chris Marker, al secolo Christian-François Bouche-Villeneuve, era nato il 29 juillet 1921 à Neuilly-sur-Seine. Nel 1952, realizza il suo primo film, durante i giochi olimpici di Helsinki («Olympia»), con pochi mezzi, e dopo aver pubblicato il suo primo romanzo, «Le coeur net», nel 1949, di cui uil protagonista è un aviatore. Nel 1953, realizza con Alain Resnais «Les Statues meurent aussi», e nel 62, «Dans les rues de Paris». Nel ’63, gira insieme a Pierre Lhomme «Joli Mai», documentario con la voce di Yves Montand al quale dedicherà nel 74 un reportage dal titolo «La solitude du chanteur de fond». Nel 1966, racconta i suoi viaggi in 26 pays nel film «Si j’avais quatre dromadaires», e nel 67 par- RIVOLUZIONI · Lo spazio della realtà oltre l’inquadratura «Le fond de l’air est rouge», la memoria delle immagini Cristina Piccino S e incontri un gatto arancione magari è Chris Marker. Era una delle tante leggende che circondava il cineasta francese, scomparso ieri, che spesso amava rappresentarsi con l’immagine, appunto, di un gatto color arancio. Ma la sua figura enigmatica, la scelta di non comparire in pubblico alimentava l’affabulazione: si diceva che non uscisse mai di casa, invece Marker era un viaggiatore infaticabile,la Bosnia, il Kosovo, per citare dei luoghi dai lui filmati in tempi più recenti, e naturalmente il Giappone, dove era un mito, si dice che vi sia a un caffé col nome del suo film, La Jetée. Ma questo suo viaggiare, o meglio questo suo essere nel mondo, si intrecciava intimamente alla sua visione del cinema. Volendo trovarne altre di coincidenze, c’è anche che uno dei suoi primi film sia stato girato in occasione del giochi olimpici di Helsinki, cinquant’anni fa, e lui se ne va ora, durante altre Olimpiadi... Chris Marker è in città scriveva sui Cahiers du cinéma, negli anni Ottanta, Serge Daney, raccontando del suo filmare random, tra il Giappone dell’isola di Okinawa (laddove c’erano le basi americane) e Pechino, e delle loro conversazioni sul fatto che l’Armata Rossa poteva aver filmato durante la rivoluzione culturale, e sulla morte di Bruce Lee ... A Chris Marker la definizione di «cineasta impegnato» non piaceva, eppure i suoi film sono radicalmente politici, e non soltanto quelli del periodo del cinema collettivo e militante col gruppo Slon (elefante in russo), una cooperativa di cineasti e operatori che realizzano controinformazione, e poi col collettivo Groupe Medvedkine di cineasti-ope- rai. È che la definizione di cinema politico nel suo lavoro rovescia il paradigma di ciò, che erroneamente, è stato (e in molti casi continua a essere) considerato tale, l’idea di film «impegnato» a partire dal suo soggetto, lasciando da parte l’immagine e la riflessione sugli immaginari, e il loro riuso. Privilegiando invece la retorica dell’informazione, di lacrime e sangue. Le Fond de l’air est rouge (77) è forse uno dei film più belli, e struggenti, sul maggio francese, e più in genere sull’utopia di un decennio, gli anni Sessanta-Settanta, raccontato da sinistra. A un certo punto di vede De Gaulle che dice: «Il 68 lo saluto con soddisfazione perché ...» stacco, e le immagini ci portano sulle barricate alla Sorbona occupata, nell’esplosione della rivoluzione, eppure qualcosa è già perduto. La voce off di Marker ci dice: «Gli apparati politici tradizionali hanno già cominciato a secretare i loro anticorpi, che gli permetteranno di so- pravvivere alla più grande minaccia che abbiano incontrato sul loro cammino. E, come la palla da bowling di Boris Karloff in Scarface, che abbatte ancora dei birilli dopo il lancio mentre la mano che l’ha tirata è già morta, tutte queste energie e queste speranze accumulate nel periodo di cresci- Le barricate alla Sorbona e la battaglia di Okinawa, il vissuto di una generazione ta del movimento soccomberanno all’eclatante e vana parata del 1968, a Parigi, a Praga, in Messico, altrove ... ». Non solo il Maggio, ma anche il golpe militare in Cile, la morte del Che, la lotta contro il Vietnam, e prima ancora l’opposizione alla guerra di Algeria: fili che intessono una memoria collettiva, che torna a quel punto, a quel momento di rot- tecipa con Jean-Luc Godard, Agnès Varda et Joris Ivens, al film collettivo «Loin du Vietnam», contro l’intervento degli Stati uniti nel sud est asiatico. Nel 1968, Chris Marker inizia la sua avventura collettiva e militante col gruppo Iskra, e del decennio tirerà un bilancio lucido delle speranze del decennio in «Le Fond de l’air est rouge» (77), e nel magifico «Sans Soleil» (82). Nell’86, dedica «Mémoires pour Simone», alla sua amica Simone Signoret. Nel 97 pubblica «Immemory», e nel 2007 diffonde su internet il suo ultimo cortometraggio, «Leila Attacks». Tra il 2008-201o, realizza una serie nella metropolitina parigina, «Passagers». tura, di irruenza, di speranza, finché il pavé si piega alla vitttoria trionfante della destra in Francia, e altri sogni di spezzano sanguinosamente. Le voci di Simone Signoret, di Yves Montand, Devbray, Semprun, oltre che quella del regista compongono quel coro polifonico di generazioni di cui Marker cerca di mettere in relazione l’esperienza, i vissuti, la sconfitta. Ma sono le immagini, le ore di archivi e di girato che costruiscono la storia, non c’è nulla di paradigmatico, o di dimostrativo, e anzi la dimensione personale, è dichiata al punto che, nell’ultima ora del film, Marker racconta la sua passione per i felini, i gatti, in quanto animali che non «amano il potere». La memoria. È lo spazio del cinema, un racconto del secolo, e dei suoi conflitti, ma anche, o forse soprattutto, il punto in cui si tende il limite delle immagini, mettendone alla prova la possibile verità. Torniamo perciò alla battaglia di Okinawa, l’assalto feroce dell’America al Giappone, ma Level five, in cui la ripercorre, è pensato come un videogioco, in cui appaiono tra gli altri Nagisa Oshima, narratore a sua volta della rivolta in Giappione e rivoluzionario con le sue immagini contro il sistema. L’immaginario è l’ arma politica, questa è la sfida. LA LEZIONE DI MEDVEDKINE · L’importanza della necessità «Medvedkine è quel cineasta russo che nel 1938 e coi mezzi tecnici della sua epoca ( 35 millimetri, montaggio e laboratorio nel treno ) ha inventato la televisione: girare il giorno, montare la notte, proiettare l’indomani alle persone filmate e che spesso avevano partecipato al montaggio. Credo che questa storia fantastica e per lungo tempo ignorata (ne ’il Sadoul’, considerato a suo tempo co- Rai1 Rai2 Rai3 Rete4 Canale5 06:45 UNOMATTINA ESTATE 10:10 UNOMATTINA VITABELLA Attualità 11:05 UN CICLONE IN CONVENTO Telefilm 12:00 E STATE CON NOI IN TV Varietà 13:30 TG1 Notiziario 14:00 TG1 ECONOMIA Notiziario 14:10 DON MATTEO 6 Telefilm 15:10 CAPRI Fiction 17:15 HEARTLAND Telefilm 18:00 IL COMMISSARIO REX Telefilm 18:50 REAZIONE A CATENA Gioco 20:00 TG1 Notiziario 20:30 TECHETECHETÈ Varietà 06:00 CUORI RUBATI Soap opera 06:25 TOP SECRET Telefilm 07:10 BEYOND THE BREAK - VITE SULL’ONDA Telefilm 07:30 CARTOON FLAKES Ragazzi contenitore 10:45 TG2 Notiziario 10:50 OLIMPIADI LONDRA 2012 Diretta Evento sportivo 13:00 TG2 GIORNO Notiziario 13:30 OLIMPIADI LONDRA 2012 Diretta Evento sportivo 20:30 TG2 - 20.30 Notiziario 10:30 COMINCIAMO BENE Attualità 12:00 TG3 - RAI SPORT NOTIZIE - METEO 3 Notiziario 12:15 COMINCIAMO BENE Attualità 13:10 JULIA Telefilm 14:00 TG REGIONE - METEO Notiziario 14:20 TG3 - METEO 3 Notiziario 14:55 LA CASA NELLA PRATERIA Telefilm 15:45 IL PROFUMO DEL SUCCESSO FILM Con Billy Bob Thornton, Téa Leoni 17:15 GEO MAGAZINE Doc 19:00 TG3 - TG REGIONE Notiz. 20:00 BLOB Varietà 20:15 COTTI E MANGIATI Tf 20:35 UN POSTO AL SOLE Soap opera 09:50 DETECTIVE MONK Telefilm 10:50 RICETTE DI FAMIGLIA Varietà 11:30 TG4 - METEO Notiziario 12:00 PACIFIC BLUE Telefilm 12:55 DISTRETTO DI POLIZIA 3 Telefilm 13:50 POIROT: ASSASSINIO IN MESOPOTAMIA FILM Con David Suchet, Hugh Fraser 16:05 MY LIFE - SEGRETI E PASSIONI Soap opera 16:30 IVANHOE FILM Con Joan Fontaine, Elizabeth Taylor 18:55 TG4 - METEO Notiziario 19:35 TEMPESTA D’AMORE Soap opera 20:10 SISKA Telefilm 09:45 TG5 - ORE 10 - METEO 5 Notiziario 10:20 I CESARONI 3 Fiction 13:00 TG5 - METEO 5 Notiziario 13:40 BEAUTIFUL Soap opera 14:10 INGA LINDSTROM - NUVOLE SU SOMMARHOLM FILM Con Stephanie Kellner, Hendrik Duryn, Martina Servatius 16:15 AL CUOR NON SI COMANDA FILM Con Rob Boltin, Jonathan Chase, Barbara Eden 18:30 LA RUOTA DELLA FORTUNA Gioco 20:00 TG5 - METEO 5 Notiziario 20:40 VELINE Varietà 21:20 LAST COP L’ULTIMO SBIRRO Telefilm Con Henning Baum, Maximilian Grill 23:10 PASSAGGIO A NORD OVEST Documentario 00:15 TG1 NOTTE - CHE TEMPO FA Notiziario 21:05 OLIMPIADI LONDRA 2012 Diretta Evento sportivo 22:30 TG2 Notiziario 22:40 ESTRAZIONI DEL LOTTO Programma generico 22:45 BUONANOTTE LONDRA Rubrica sportiva 00:15 RAI PARLAMENTO TELEGIORNALE Attualità 21:05 CIRCO ESTATE 2012 Varietà 23:15 TG REGIONE Notiziario 23:20 TG3 LINEA NOTTE ESTATE - METEO 3 Notiziario 21:10 IL PADRINO - PARTE III FILM Con Al Pacino, Andy Garcia, Diane Keaton, Talia Shire 00:50 CINEMA D’ESTATE Rubrica 00:55 DIMENTICARE PALERMO FILM Con James Belushi 21:20 QUINTA COLONNA Attualità Conduce Salvo Sottile 00:00 RUBICON Telefilm Con James Badge Dale 01:00 TG5 NOTTE - METEO 5 Notiziario Italia1 08:10 CARTONI ANIMATI 10:30 DAWSON’S CREEK Tf 11:30 DAWSON’S CREEK Tf 12:25 STUDIO APERTO - METEO Notiziario 13:00 STUDIO SPORT Notiziario sportivo 13:40 CARTONI ANIMATI 15:00 GOSSIP GIRL Telefilm 15:55 GLEE Telefilm 16:45 MAKE IT OR BREAK IT Tf 17:35 MERCANTE IN FIERA Gioco 18:30 STUDIO APERTO - METEO Notiziario 19:00 STUDIO SPORT Notiziario sportivo 19:25 C.S.I. NY Telefilm 21:10 TUTTO L’AMORE DEL MONDO FILM Con Nicolas Vaporidis, Ana Caterina Morariu, Alessandro Roja 23:10 IL BIVIO Attualità Conduce Enrico Ruggeri 01:20 NIP/TUCK Telefilm me la Bibbia del cinema sovietico, Medvedkine non è neppure nominato), che sta alla base di gran parte del mio lavoro, può essere la sola coerente, dopo tutto. Cercare di dare la parola alle persone che non ce l’hanno, e aiutarli a trovare dei loro mezzi d’espressione. Erano gli operai del 1967 a la Rhodia, ma anche i kosovari che ho filmato nel 2000... Tutti parlavano in loro nome, ma La7 09:55 IN ONDA ESTATE Attualità 10:35 J.A.G. Telefilm 11:30 AGENTE SPECIALE SUE THOMAS Telefilm 12:30 I MENÙ DI BENEDETTA Rubrica 13:30 TG LA7 Notiziario 14:10 COWBOY FILM Con Glenn Ford, Jack Lemmon 16:10 IL COMMISSARIO CORDIER Telefilm 18:00 I MENÙ DI BENEDETTA Rubrica 18:55 CUOCHI E FIAMME Real Tv 20:00 TG LA7 Notiziario 20:30 IN ONDA ESTATE Attualità 21:10 LADY HENDERSON PRESENTA FILM Con Judi Dench, Bob Hoskins, Will Young 23:10 IL GIOCO DELLA PAURA FILM Con Teri Polo, Zachary Bennett, Anthony Lemke, Corinne Conley 00:55 TG LA7 Notiziario quando non erano più tra lacrime e sangue non interessavano a nessuno ... Ho ritrovato la sindrome Medvedkine in un campo di rifugiati bosniaci, nel 1993, dei ragazzini utilizzavano i codici televisivi per riappropriarsi dell’informazione a uso degli altri rifugiati. Avevano gli strumenti, e avevano la necessità. Le due cose insieme sono indispendabili». ( «Liberation», 5/03 2003) Rainews 19:03 IL PUNTO SETTIMANALE Attualità 19:27 AGRIMETEO Notiziario 19:30 TG3 Notiziario 20:00 IPPOCRATE Rubrica 20:30 TEMPI SUPPLEMENTARI Rubrica 20:57 METEO Previsioni del tempo 21:00 NEWS LUNGHE DA 24 Notiziario 21:27 METEO Previsioni del tempo 21:30 MERIDIANA - SCIENZA 1 Rubrica 21:57 METEO Previsioni del tempo 22:00 INCHIESTA 3 Attualità 22:30 NEWS LUNGHE DA 24 Notiziario 22:57 METEO Previsioni del tempo 23:00 CONSUMI E CONSUMI Rubrica 23:27 METEO Previsioni del tempo la radio A Salvadanaio su Radio 24 - dalle 12.10 si parla di manipolazione Euribor scandalo Barclays sulla manipolazione del tasso Libor, molti dubbi stanno iniziando a riguardare anche l'Euribor, il tasso «cugino» europeo. Debora Rosciani ne parla con Andrea Gennai, Il Sole 24 Ore; Roberto Anedda, direttore marketing di Mutuionline; Luca Barillaro, trader indipendente e con l'avv. Giovanni Franchi, legale di Confconsumatori. pagina 14 il manifesto MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012 ❚ terraterra Paola Desai Una fortuna in via d’estinzione U na piccola corsa all’oro è cominciata in alcuni villaggi ai contrafforti dell’Himalaya, nell’India settentrionale. Non si tratta del metallo però, bensì di un minuscolo fungo che a vederlo sembra un bastoncino scuro e contorto, non più lungo di pochi centimetri. E’ un fungo piuttosto raro: chiamato kira jari nell’India settentrionale, o yarsagumba nel vicino Tibet, è ricercato in Cina, dove è considerato un afrodisiaco. Non solo: sarebbe capace di dare una sferzata di energia. Quando nel 1993 alcuni atleti cinesi hanno segnato una clamorosa serie di nuovi record, i loro allenatori attribuirono la performance al fatto che mangiavano kira jari. La fama del fungo himalayano poi si è diffusa, e ormai è una merce di valore. Da qualche anno dunque alcuni villaggi nelle regioni himalayane dell’India si sono buttati nel nuovo affare (fino a tempi recenti il fungo era raccolto solo in certe zone del Nepal e forse in Tibet). Il kira jari attacca le larve di certi bruchi del terreno, le mummifica e poi cresce spuntando dalla loro testa. I mesi buoni sono maggio e giugno, quando le nevi si sciolgono e il fungo compare nelle praterie d’alta quota, intorno a 5.000 metri. Un singolo fungo frutta circa 150 rupie (2,5 euro, o circa 3 dollari), più della paga giornaliera di un bracciante, e chi conosce i posti buoni riesce a raccoglierne 40 o 50 in un giorno: non c’è lavoro così ben retribuito, in quelle regioni montanare. Naturalmente ci sono anche i giorni vuoti e c’è perfino chi torna al villaggio con nulla, ma l’attrattiva è alta: due reporter del Guardian descrivono praterie dell’altopiano indo-tibetali punteggiate da accampamenti di cercatori, tende di tela cerata, biancheria stesa, fornelletti, altarini. Si racconta di cercatori che con il kira jari si sono costruiti casa. Molti giovani, in quei villaggi, ormai preferiscono andare sull’altopiano a cercare il fungo piuttosto che emigrare in pianura come avevano sempre fatto, a cercar lavoro come manovali o camerieri nei ristoranti. La piccola corsa all’oro himalayana però ha il suo lato tragico. Tanto per cominciare, il lavoro è estremamente faticoso: cercare il kira jari significa trascinarsi per ore carpono sul terreno freddo e fangoso. Gli accampamenti improvvisati non hanno servizi igienici né tantomeno medici. Le notti sono ghiacciate a quelle altitudini, e anche di giorno i cercatori sono esposti a venti gelidi e perfino nevicate improvvise. Per settimane si nutrono solo del riso, lenticchie e spagnetti liofilizzati che portano con sé. Ovviamente ciascuno è in concorrenza con tutti gli altri, pare che nessuno salga a cercare i funghi senza una cassa con lucchetto. Una volta tornati a casa, i cercatori corrono altri rischi. Uno è la confisca del raccolto: raccogliere il fungo in sé è legale, ma è illegale venderlo. Naturalmente lo sanno tutti che il kira jari viene raccolto all’unico scopo di venderlo agli intermediari che percorrono i villaggi delle regioni himalayane per comprarli, ma è un mercato nero. Poi ci sono i conflitti per i posti migliori - sempre il Guardian fa l’esempio di due villaggi in competizione per una certa zona, al punto che hanno messo in mezzo avvocati; molti dunque si avventurano sugli altopiani solo portando cani e armi per difendersi. Infine, la corsa a raccogliere kira jari è insostenibile. La raccolta è così massiccia, il fungo viene preso prima che abbia pootuto diffondere le sue spore; nel giro di pochi anni è diventato sempre più difficile trovarlo e di questo passo sarà presto estinto: i cercatori stanno distruggendo la loro stessa fortuna. E però il meccanismo sembra inesorabile: non ci sono molti lavori disponibili per i giovani di quei villaggi, mentre c’è un mercato globale in cui molti sono disposti a sborsare piccole fortune per il kira jari. Finché c’è. il manifesto DIR. RESPONSABILE norma rangeri VICEDIRETTORE angelo mastrandrea CAPOREDATTORI marco boccitto, matteo bartocci, massimo giannetti, giulia sbarigia, micaela bongi, giuliana poletto (ufficio grafico) il manifesto coop editrice a r.l. in LCA REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE, 00153 Roma via A. Bargoni 8 FAX 06 68719573, TEL. 06 687191 E-MAIL REDAZIONE [email protected] E-MAIL AMMINISTRAZIONE [email protected] SITO WEB: www.ilmanifesto.it TELEFONI INTERNI SEGRETERIA 576, 579 - ECONOMIA 580 AMMINISTRAZIONE 690 - ARCHIVIO 310 POLITICA 530 - MONDO 520 - CULTURE 540 TALPALIBRI 549 - VISIONI 550 - SOCIETÀ 590 LE MONDE DIPLOMATIQUE 545 - LETTERE 578 SEDE MILANO REDAZIONE: via ollearo, 5 20155 REDAZIONE: tutti 0245072104 Luca Fazio 024521071405 Giorgio Salvetti 0245072106 [email protected] AMMINISTRAZIONE-ABBONAMENTI: 02 45071452 iscritto al n.13812 del registro stampa del tribunale di roma autorizzazione a giornale murale registro tribunale di roma n.13812 ilmanifesto fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 07-08-1990 n.250 ABBONAMENTI POSTALI PER L’ITALIA annuo 260€ semestrale 135€ i versamenti c/c n.00708016 intestato a “il manifesto” via A. Bargoni 8, 00153 Roma copie arretrate 06/39745482 [email protected] STAMPA litosud Srl via Carlo Pesenti 130, Roma - litosud Srl via Aldo Moro 4, 20060 Pessano con Bornago (MI) CONCESSIONARIA ESCLUSIVA PUBBLICITÀ poster pubblicità srl SEDE LEGALE, DIR. GEN. 00153 Roma via A. Bargoni 8, tel. 06 68896911, fax 06 58179764 E-MAIL [email protected] TARIFFE DELLE INSERZIONI pubblicità commerciale: 368 € a modulo (mm44x20) pubblicità finanziaria/legale: 450€ a modulo finestra di prima pagina: formato mm 65 x 88, colore 4.550 €, b/n 3.780 € posizione di rigore più 15% pagina intera: mm 320 x 455 doppia pagina: mm 660 x 455 DIFFUSIONE, CONTABILITÀ. RIVENDITE, ABBONAMENTI: reds, rete europea distribuzione e servizi, viale Bastioni Michelangelo 5/a 00192 Roma tel. 06 39745482, fax 06 39762130 certificato n. 7362 del 14-12-2011 chiuso in redazione ore 21.30 tiratura prevista 56.558 CAMPANIA Martedì 31 luglio, ore 18 SIRIA Pezzi del mondo democratico, pacifista e nonviolento, in particolare di Napoli, hanno deciso di dare vita ad una vera e propria Sette Giorni per la Siria, che si chiude oggi con un open space «Voci per la Siria», spazio pubblico e microfono aperto nel cuore del centro antico, esponenti della politica, della cultura e dello spettacolo contro la guerra in Siria, ■ Piazza Bellini, Napoli Venerdì 3 agosto ZUNGOLI L’obiettivo del Zungoli In Festival (Zif) è di coniugare, in un unico evento, concerti e forme d’arte di diverso tipo e di diversa provenienza. La rassegna si apre il 3 agosto con il concerto degli Almamegretta. Programma completo sul sito: http://www.zungoliinfestival.com/ ■ Campo sportivo, Zungoli (Av) LAZIO Mercoledì 1 agosto SOSTEGNO PSICOLOGICO GRATUITO Torna con la terza edizione la Campagna Gratuita di Prevenzione e Tutela della Salute e del Benessere psicologico Aperti per ferie…lo psicologo non va in vacanza. Il progetto, che vede coinvolta una vasta rete di psicologi e psicoterapeuti, prevede la possibilità di usufruire gratuitamente durante l’intero mese di agosto dei seguenti servizi: colloqui di sostegno psicologico, Consulenza on-line tramite Skype. Gruppi di rilassamento e Pratiche meditative al parco. Dal 1 al 31 agosto sarà possibile fissare gratuitamente degli appuntamenti per ricevere sostegno e supporto psicologico dai professionisti impegnati nel progetto. Il Parco della Caffarella sarà lo scenario dove nelle seguenti dati 1-8-22-29 agosto dalle ore 19 alle ore 20 si potrà partecipare a degli incontri di meditazione guidata di gruppo.Riferimenti Centro Indivenire Mobile - 349 6843699, email - [email protected], www.centroind ■ Sostegno psicologico, Parco della Caffarella Roma PUGLIA Sabato 4 agosto VINO È MUSICA Degustazioni, abbinamenti, percorsi enogastronomici e poi artigianato, arte e tanta musica, nell’ambito della rassegna «Vino è musica». Il visitatore troverà chi dipinge, chi scrive, chi realizza film; chi vive qui e chi è nato qui ma vive altrove; chi fa teatro e chi fa della fotografia la sua arte. E saranno loro a trasformare una serata estiva in un momento di incontro, di scambio e di contaminazione. La stessa idea di contaminazione incarnata dal concerto centrale che quest’anno sarà dei Radiodervish. Ma in questa edizione ci sarà anche il ponte coi Balcani, alla scoperta del loro vino. ■ Quartiere delle Ceramiche, Grottaglie (Ta) TOSCANA Giovedì 2 agosto, ore 17.30 DAME A BOBOLI Ha preso il via giovedì scorso l’edizione 2012 di «Dame a Boboli», rassegna a cura della Associazione Culturale «Circostanze» che prosegue poi il 2, 9, e 30 agosto. Il programma, curato da Margherita Ferraris, propone letture scelte da poesie di Marina I. Cvetaeva, Vivian Lamarque e Emily Dickinson. ■ Parco Granducale Giardino degli Ananassi, Firenze Inviare gli appuntamenti all’indirizzo: [email protected], altri incontri: http://www.ilmanifesto.it/eventi/ – Nel pieno della crisi arriva finalmente «una potente iniezione di fiducia per tutti coloro che credono nel valore del lavoro»: lo dichiara il deputato Pd Daniele Marantelli, plaudendo al contratto di Alenia Aermacchi (Finmeccanica) per la fornitura a Israele di 30 velivoli militari da addestramento avanzato M-346. Così, nella prossima operazione «Piombo fuso», i piloti israeliani potranno essere ancora più micidiali. Berlusconi aveva promesso di promuovere la vendita degli M-346, dice l’onorevole Pd, ma la sua è stata «una promessa non mantenuta, come tante altre». Poi, fortunatamente, è arrivato il governo Monti. I suoi meriti vengono riconosciuti da Giuseppe Orsi, presidente di Finmeccanica: l’accordo è frutto di «una proficua collaborazione» tra il governo italiano è quello israelia- le lettere COMMUNITY INVIATE I VOSTRI COMMENTI SU: www.ilmanifesto.it [email protected] Le vicende connesse alla notifica del sequestro degli impianti dell'Ilva di Taranto assumono implicazioni di ordine sociale, economico, giuridiche e costituzionali rilevantissime. Vi sono grato del contributo di approfondimento che le pagine odierne del giornale offrono; resta chiaro che una vicenda di questo genere non può rimanere sulle spalle dei soli lavoratori o della sola magistratura. Questo è un altro di quei momenti in cui si avverte la necessità di una moderna forza della sinistra, di ispirazione socialista e comunista, che sappia indicare la strada per il superamento delle presenti antinomie tra lavoro ed ambiente. Vittorio Vittori, Livorno ❚ Posta e risposta Ilva, diritti e contestazioni Cari compagni e compagne, leggo con qualche perplessità il commento di Massimiliano Del Vecchio, a pagina 2 del manifesto del 28 luglio, su chi debba essere l’obiettivo della protesta degli operai dell’Ilva di Taranto. Non mi dilungo sulla possibilità, in una democrazia, di protestare contro atti di giustizia non solo -, perché è evidente - con azioni di ricorso giudiziario, ma pure con altre forme di opposizione di cui è ricca la nostra storia democratica. Che la magistratura abbia in questo caso tutte le ragioni del mondo e debba avere il nostro pieno sostegno non cambia di una virgola il diritto alla contestazione. Che si dica poi addirittura che non sarebbe previ- In realtà è proprio il diritto di sciopero l'unica forma di protesta protetta dalla costituzione, ed è ovviamente previsto che sia esercitata nei confronti del datore di lavoro, il quale, in presenza di condizioni di legittimo esercizio del diritto è tenuto a subire il danno alla produzione arrecatogli dallo sciopero. Nessun’altra forma di protesta gode di questa protezione. E' ovvio che sia consentito protestare contro i provvedimenti della magistratura o contro l'inerzia della politica, al di fuori del rapporto di lavoro, ma non si tratta di forme di protesta protette dalla costituzione come il diritto di sciopero, tant'è che Quando un lavoratore preferisce mettere a rischio la propria vita e la propria salute per non perdere il sacrosanto posto significa che qualcosa nel sistema lavorativo e sociale non va. Ma lascia sbalorditi il continuo e inesorabile silenzio dei sindacati e degli stessi amministratori politici che si sono susseguiti a Taranto e nella regione Puglia (oltre ai fantomatici Ministri all’Ambiente). Un assordante silenzio, un ulteriore aspetto di una industrializzazione pseudo-statalista, ma tesa al profitto di pochi, che ricorda il cosiddetto terzo e quarto mondo (sembra rivivere i Comuni dell’amianto). Se la Costituzione italiana mette davanti ad ogni cosa il diritto al lavoro, nello stesso modo afferma senza indugi il rispetto della salute e dell’incolumità di ogni lavoratore (e di ogni cittadino lavoratore e non). Ciò sta a significare che i lavoratori non hanno alcun diritto di «scegliere» liberamente di ammalarsi costi quel che costi, così come di calpestare la propria dignità e la propria stessa vita. Alfio Lisi, Catania sto dalla Costituzione la possibilità di protestare contro l’inerzia politica, questa mi pare un’enormità che richiede precisazioni. Che appunto chiedo a un giornale come il nostro. Con rinnovata stima, affetto e solidarietà comunista, ambientalista, anticapitalista, antimilitarista benecomunista… Enrico Bandiera – Lessolo (TO) nelle prime ipotesi non è consentito infliggere un danno al destinatario della protesta. Si tratta invece, in questi casi estranei all'esercizio dello sciopero in senso tecnico, come ho detto, non di forme di protesta protette dalla costituzione, bensì garantite dalla stessa alla luce del diritto di libera manifestazione del pensiero. Ciò non significa che l'ordinamento non abbia previsto degli strumenti per tradurre la libertà di pensiero in esercizio del diritto. Essi sono però, avverso il provvedimento della magistratura, l'azione giudiziaria; avverso l'inerzia della politica, il voto elettorale. Fraterni saluti Massimiliano Del Vecchio La salute in fabbrica non si baratta con il posto di lavoro, come sostengono le tute blu dell’Ilva di Taranto. Senza la salute è seriamente compromessa l’attività lavorativa di chi lavora e non solo. Gli ammortizzatori sociali sono un antidoto alla morte causata dalla fame,ma i tumori contratti nei luoghi di lavoro rappresentano l’anticamera di una morte quasi certa. I procedimenti giudiziari nei confronti dei responsabili delle morti per tumore nei luoghi di lavoro dovrebbero smuovere le nostre coscienze affinché il futuro non sia più costellato di tragedie, in nome del profitto selvaggio. Aldo Passarella E se domani, oltre al dilemma ambiente-lavoro, dovessimo confrontarci con il dilemma guerra-lavoro? Saremmo in condizione di dare una risposta come quella della Morellato Termotecnica di S. Giuliano Terme, Pisa (vedi «il manifesto» del 18 luglio), dove imprenditore e dipendenti, pur in una situazione di crisi e cassa integrazione, hanno rifiutato una commessa che sarebbe stata relativa a un processo di costruzione di siluri? Una scelta che da una parte fa pensare per il coraggio, dall'altra perché esprime concretamente una via nuova basata sulla coerenza, anche a caro prezzo. E' questione scottante e contraddittoria, ma occorre chiedersi se il rispetto dell'art. 11 della Costituzione, l'impegno pacifista e la ricerca di lavoro e sviluppo debbano poi essere contraddetti dall'impegno massiccio nelle fabbriche di armi da cui, in genere, non si declina perché dà crescita al Pil, genera occupazione, ricchezza e affari sicuri. Magari la Morellato Termotecnica sta dando un'ipotesi di indirizzo e prospettiva per imprenditoria, sindacati e lavoratori su cui sarebbe il caso di riflettere per l'elaborazione di più mature ipotesi alternative. Che potrebbero essere anche un modello per il dilemma ambiente-lavoro. Silvio Stoppoloni, Roma CIAO SANDRO Con Sandro Bianchi se ne va un caro amico con cui ho condiviso un’esperienza di vita importante e soprattutto un pezzo di storia significativo del manifesto. Partimmo insieme, alcuni mesi prima dell’uscita del quotidiano per cercare, lui di raccontare la realtà milanese sul giornale e io per rafforzare la presenza del manifesto come movimento politico organizzato in quella città. Non era un compito facile. Tutta la vasta area sociale messa in movimento dal ’68 studentesco e dall’autunno caldo operaio del ’69 e che agiva alla sinistra del Pci era largamente già organizzata ed egemonizzata da Avanguardia operaia, Lotta Continua e il Movimento studentesco di Capanna. Debole era stata anche l’adesione di quadri provenienti dal Pci, dopo la radiazione dal partito delle compagne e compagni di quello che chiamavamo il Ultimo saluto gruppo storico. Senza però una presenza e un radicamento nei luoghi dove si determinavano gli esiti dello scontro sociale ed operaio, Milano e Torino in particolare, l’impresa del manifesto e il suo tentativo di costruire una forza in grado di provocare una generale rifondazione del movimento operaio italiano, oltre che un suo spostamento a sinistra, non avrebbe avuto alcun senso. Finalmente avevamo una sede dove riunirci, in via San Gottardo. Un grande stanzone, nella cui parte finale era stata ricavata la sede che avrebbe ospitato Sandro e la redazione del manifesto che stava per nascere, di cui Carla Casalini fu una delle prime componenti. Ho passato con lui anni emozionanti e carichi di passioni, in una città attraversata da movimenti straordinari e da lotte operaie che scuotevano nel profondo il sistema di potere capitalistico e gli equilibri politici che lo governavano. Insieme alle compagne e i compagni che hanno dato vita al primo centro di iniziativa del manifesto milanese cercammo di influire su queste lotte, radicandovi il suo progetto politico. Sandro aveva colto perfettamente lo spirito e il senso con cui nasceva il quotidiano e non si considerò mai un giornalista. Amava costruire i suoi articoli vivendo in prima persona le vicende che voleva raccontare. Mi è rimasta impressa una discussione che facemmo qualche giorno prima che uscisse il giornale nella L’ARTE DELLA GUERRA Business di armi Roma-Tel Aviv Manlio Dinucci no. Dimentica però, ingiustamente, i meriti del governo Berlusconi, artefice della legge quadro (17 maggio 2005) sulla cooperazione militare Italia-Israele. Quest’ultimo accordo, dunque, è frutto della stessa politica bipartisan attuata dai governi italiani. Nell’annunciare il successo della vendita a Israele degli M-346 e dei loro sistemi operativi, il ministero italiano della difesa tace però su un particolare. Il ministero della difesa israeliano pagherà solo una parte minore del prezzo totale. Il grosso, circa 600 milioni, sarà anticipato da un consorzio finanziario forma- to dal gruppo bancario italiano Unicredit e da un fondo pensione collegato, che investiranno insieme 400 milioni, e dalla banca israeliana Hapoalim, che investirà 200 milioni. Il ministero italiano della difesa annuncia quindi che «le forze armate italiane, dal canto loro, potranno utilizzare un sistema satellitare ottico ad alta risoluzione per l’osservazione della Terra denominato Optsat-3000, realizzato in Israele». Dà quindi l’impressione che questo satellite sia stato messo da Israele gentilmente a disposizione dell’Italia. In realtà, essa lo acquista attraverso Telespazio dalle Israel Aerospace Industries, pagandolo oltre 200 milioni di dollari, cui si aggiungeranno gli ingenti costi per la messa in orbita e il controllo del satellite. Questo, da una quota di 600 km, servirà non a una generica «osservazione della Terra», ma a individuare in lontani teatri bellici gli obiettivi da colpire, con immagini di 50 cm ad alta risoluzione. Col solito tono vago, il ministero della difesa comunica infine «la fornitura di sottosistemi standard Nato di comunicazione per due aerei destinati all’Aeronautica militare». Parla così della frusta e non del quale alle mie sollecitazioni sulla necessità di fare un giornale utile alle lotte operaie rispose che il difficile non era fare un giornale per gli operai, mentre molto più arduo era costruire un quotidiano degli operai. Qualsiasi cosa dovesse raccontare, dalle lotte alla Pirelli o all’Alfa Romeo, all’occupazione delle case di via Tibaldi, i suoi articoli nascevano sempre da una partecipazione attiva a quelle esperienze, in contatto diretto con i suoi protagonisti. Volevo ricordarlo così Sandro Bianchi, una persona che ha arricchito la mia vita e soprattutto come un pezzo importante della storia di questo giornale e dell’esperienza politica del manifesto più in generale. Ciao caro Sandro. Massimo Serafini Oggi l’ultimo saluto a Sandro Bianchi presso la Camera del lavoro di Rimini. – cavallo: gli aerei sono due Gulfstream 550, jet di lusso per executive made in Usa, che le Israel Aerospace Industries trasformano in sofisticatissimi aerei da guerra. Dotati delle più avanzate apparecchiature elettroniche e collegati a sei stazioni terrestri, questi G-550 modificati, capaci di volare a 12mila metri di quota con un raggio d’azione di 7mila km, sono la punta di lancia di un sistema di comando e controllo per l’attacco in distanti teatri bellici. L’Italia acquista da Israele questo sistema di comando per le guerre di aggressione al modico prezzo di 750 milioni di dollari che, aggiunti a quello del satellite militare, portano la spesa a oltre un miliardo. Ovviamente con denaro pubblico. «Una potente iniezione di fiducia» a coloro che credono nel valore della guerra. il manifesto MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012 pagina 15 COMMUNITY Debito e Pil, quattro punti per cambiare L e analisi sulla crisi si susseguono e possiamo dire che a sinistra esiste ormai una condivisione abbastanza diffusa. Capita, però, di avvertire alla fine di molte analisi, anche molto interessanti come ad esempio l’ultima di Guido Viale, una sensazione di impotenza a cambiare veramente il corso delle cose. Gli aspetti ormai comuni a gran parte della sinistra sono due. Il primo è che da questa crisi non si esce con l’austerità. Ormai non ci sono più dubbi: la crisi è nata negli Usa che, per salvare le banche, hanno accresciuto il loro debito, dal 2007 al 2011, di ben 6.116 miliardi di dollari, un ammontare pari alla somma dei debiti complessivi attuali di Francia, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo; l’offerta di una massa così enorme di titoli ha creato un effetto propagazione che ha generato nel mondo maggiori debiti per 20.657 miliardi; poiché nel frattempo il Pil mondiale cresceva di 13.982 miliardi ed i risparmi di soli 3.148 miliardi, si è creato un forte squilibrio tra domanda ed offerta che ha causato la corsa verso i titoli più affidabili e scaricato la crisi in Europa, dove alcuni paesi avevano situazioni debitorie antiche e tollerate che adesso sono diventate insostenibili. Se questo è lo scenario è chiaro che dalla crisi non si può uscire con politiche di austerità che mettono in ginocchio prima i paesi più indebitati e poi a catena anche gli altri. Da qui scaturisce il secondo aspetto: il ricorso a governi "tecnici" può solo servire a far passare misure severe che i politici non hanno la forza di assumere, ma non risolve né i problemi del debito né quelli dello sviluppo. Così i bei titoli dati ai provvedimenti presi - SalvaItalia, CrescItalia, Calmaspread – sempre più somiglianti a prodotti farmaceutici da banco, hanno avuto il sapore amaro delle medicine, ma non hanno migliorato per niente lo stato di salute dell’economia. La constatazione che ne discende è che da questa crisi non si potrà mai uscire assumendo il solo debito come unico male da curare. Tutto questo dimostra che la superfetazione finanziaria del capitalismo lo sta portando in un vicolo cieco ed a sinistra possiamo trarne la conferma che mercato e liberismo non sono la ricetta del futuro e che occorre cambiare modello di sviluppo. Fin qui tutto ok. Ma da qui in poi cominciano i problemi perché se le analisi appaiono solide e condivisibili, non altrettanto si può dire delle proposte. Il dibattito a sinistra finora ha prodotto idee sulla riconversione ecologica, sulla redistribuzione sociale, sull’economia partecipata, sullo sviluppo dell’economia di territorio valorizzando, come esemplari, alcune esperienze che contengono germi di nuova economia Il terrore di Mosca Pussy Riot in tribunale RUSSIA DALLA CELLA riservata agli imputati fanno capolino Nadezhda Tolokonnikova e Maria Alyokhina, componenti della punk rock band al femminile Pussy Riot (foto Reuters). A Mosca prosegue il processo contro di loro per il «sacrilego» blitz anti-Putin nella cattedrale di Mosca. Mercato e liberismo non sono la ricetta del futuro. Sull’analisi della crisi siamo d’accordo. Ma qui cominciamo i problemi. Perché le esperienze in atto non riescono a fare massa critica, a cambiare gli stili di vita, i prodotti e il modo di produrre? Qualche idea per andare verso un’altra economia Aldo Carra (Gas, Gat, cooperazione sociale…). Ma è sufficiente valorizzare questi germi per generare una mutazione epocale e strutturale dell’economia nell’era della globalizzazione? Possiamo fermarci nelle nostre analisi a questo punto senza chiederci perché le interessanti esperienze in atto non riescono a fare massa critica, a creare realtà diffuse di nuovi stili di vita, di nuove produzioni e di nuovi modi di produrre? Ed inoltre, pensiamo che questo avverrà come sbocco naturale di una evoluzione lineare di queste esperienze o non dobbiamo affiancare ad esse anche un altro percorso? Naturalmente chi scrive pensa questo ed allora, nei limiti propri di un articolo, vorrei chiedere se possiamo concentrare la nostra attenzione su alcuni nodi che è necessario sciogliere per po- terne poi far discendere proposte concrete. Per sollecitare questa ricerca provo a sottoporre alla discussione quattro punti: a)- il ruolo che le forze imprenditoriali, cooperazione compresa, dovrebbero svolgere nella trasformazione del modello di sviluppo. Si tratta di valutare se e come costruire relazioni/alleanze/ convergenze con tutti gli imprenditori disponibili ad investire in settori che producono beni e servizi del futuro, realizzando modelli organizzativi di produzione partecipata. Si tratta di dare concretezza all’idea di nuovi prodotti e servizi, realizzati in modo nuovo, e di far uscire il tema delle alleanze dal politicismo con cui esso viene oggi affrontato. b)- il ruolo che in questa mutazione spetta agli enti locali. Essi si dibattono oggi in difficoltà che rischiano di au- – mentare ancora vanificandone la funzione. Proprio per questo diventa necessario che essi agiscano con una nuova cultura di "imprenditori territoriali" che sollecitano ed organizzano le risorse del territorio mettendo in moto lavoro volontario, risorse economiche ed imprenditoriali ed attivando progetti ambiziosi di sviluppo e di valorizzazione per far intravedere ai soggetti economici l’utilità di investire oggi per trarne benefici futuri. Si tratta, cioè, di riconvertire la funzione stessa delle istituzioni locali da strutture di erogazione di assistenza e di servizi a strutture che, senza rinunciare a quelle funzioni, riescano a promuovere sviluppo economico e qualità dei servizi e della vita nel territorio. c)- il ruolo dello stato e dell’Europa. Una politica come quella prospettata difficilmente potrà fare a meno di incentivi pubblici. Questi incentivi oggi ci sono, anche se ridotti, e si tratta di pensare ad un neokeynesismo fatto non più di elargizione di risorse per alimentare i consumi, ma di finalizzare gli incentivi alla trasformazione del modello di sviluppo. E’ necessario, per questo, che la sinistra affronti il tema della individuazione dei settori, produttivi di beni e servizi che dovranno caratterizzare il nostro futuro, proponendo modelli di relazioni tra mondo della produzione e mondo delle ricerca per realizzare nuovi prodotti e nuovi modi di produrre. Si tratta, quindi, di costruire una funzione nuova per l’incentivazione trasformandola in strumento per indirizzare l’economia verso la riconversione e la sostenibilità sociale ed ambientale. d)- Un altro nodo da affrontare è quello del lavoro e della sua ripartizione. Tra lavori pesanti e sottopagati scaricati sugli immigrati, precarizzazione irrefrenabile del lavoro, crisi profonda della funzione sociale e di aggregazione dei luoghi di lavoro, ghettizzazione tra i "protetti" di quel poco di lavoro regolato e regolare che rimane, si dovrebbe avviare una discussione molto aperta sulla redistribuzione del lavoro non solo in termini di orari, ma come ripartizione dei carichi tra uomini e donne, tra giovani ed anziani, tra lavori produttivi e lavori sociali. Un nuovo modello di sviluppo non dovrebbe prescindere da un nuovo modello di ripartizione del lavoro tra gli individui di una società. Naturalmente quelle accennate sono solo indicazioni di massima da sviluppare. Dovremmo farlo, però, rapidamente perché se è vero che il liberismo non sa più dove mettere le mani per uscire dalla crisi, è anche vero che la sinistra non può fermarsi alle giuste analisi, ma deve indicare un percorso di riconversione capace di coinvolgere soggetti sociali ed imprenditoriali e deve farlo a livello sovranazionale e quantomeno a livello europeo. EX CATHEDRA Se gli economisti chiedessero scusa Gianluca Ferrara I l politico e giornalista francese Georges Clemenceau sosteneva che la guerra è una questione troppo seria per lasciarla ai militari, oggi verrebbe da dire che l’economia è una materia troppo seria per lasciarla agli economisti. In effetti, questa categoria, pur non volendo generalizzare, ne esce disintegrata dopo i tracolli degli ultimi anni. Eppure non si direbbe a constatare dalla tracotanza di alcuni, specie se docenti universitari. Siamo giunti ad un crack economico di scala planetaria eppure sembra che solo uno (Nouriel Roubini) abbia predetto la scintilla che poi ha incendiato l’economia mondiale, ovvero la bolla dei mutui subprime. Se è vero che i politici sono diventati marionette mosse dai potentati economico finanziari (il poco rimpianto Cossiga aveva sintetizzato questo potere ricordando che un tempo quando si incontravano in un ristorante un politico e un banchiere il secondo andava ad ossequiare il primo, al contrario oggi è il politico che va al tavolo del banchiere ad omaggiarlo) è altresì vero che solo pochi economisti televisivi hanno l’onestà intellettuale di dissociarsi dalle opzioni politiche condizionate, dettate da chi veramente governa. Un economista serio, con una prospettiva di lungo periodo e che abbia come bussola il bene comune, dovrebbe prima di tutto farla finita con il termine crescita come se fosse la panacea di tutti i mali. La letteratura oramai è colma di tesi che provano la sua insostenibilità ambientale e occupazionale. Sarebbe auspicabile che anche i più cocciuti degli economisti lo capissero smettendo di usare questo termine come acqua santa da spruzzare contro il diavolo della disoccupazione. Di quale crescita parliamo? Vogliamo una crescita, uno sviluppo come quello degli Usa? Molti economisti immagino sappiano cosa sia l’Earth Overshoot Day, come sanno che se tutto il pianeta fosse abitato da americani sarebbe necessario avere a disposizione cinque globi terrestri: uno per le miniere, uno per i mari, uno per le foreste, uno per i campi e uno disponibile dove mettere i rifiuti. Anche la tanto invocata (e per diversi aspetti condivisibile) politica economica keynesiana che prevede un intervento dello Stato nell’economia, a che tipo di crescita si riferisce? L’intervento del- DIVINO lo Stato potrebbe innescare un effetto moltiplicativo anche investendo soldi pubblici in opere disastrose e inutili come la Tav, il ponte sullo stretto o persino costruendo una nave da guerra. Anche per ciò che sta succedendo nell’area euro forse sarebbe il caso spiegare che il problema è strutturale. Con l’introduzione dell’euro, le economie che avevano una moneta debole, si sono trovate costrette a rapportarsi con l’euro. Questo ha ridotto le loro esportazioni perché il prezzo delle merci è aumentato. Il contrario di ciò che è accaduto alla Germania che con l’euro (appunto una media di tutte le monete dei paesi aderenti) più debole del marco, ha abbassato il prezzo delle merci e incrementato le esportazioni principalmente verso i paesi deboli. Non ci vuole un genio a capire quel che è successo e quel che accade oggi, ma è difficile sentirlo spiegare nei mass media. In Germania c’è una crescita industriale e occupazionale, proporzionalmente nei paesi del sud Europa diminuisce la forza industriale e si riduce l’occupazione. L’indebolimento e la conseguente possibile instabilità delle economie dei paesi dell’area mediterranea significa che, a differenza della Germania, per ricevere crediti devono pagare tassi d’interesse notevoli alimentando ancor di più il circolo perverso di una Germania sempre più potente e gli altri sempre più deboli. Naturalmente, aumentando il debito, gli stati, come sta accadendo in Grecia e a breve in Italia, svendono il proprio patrimonio. L’economia tedesca acquista a prezzi da saldo. Altro che l’Europa della fratellanza pensata da Spinelli. Ricordo che poche settimane dopo lo scoppio della bolla degli immobiliare Usa, andai a un incontro in cui era relatore padre Alex Zanotelli. Lui, nonostante il suo impegno e la sua denuncia, direi profetica, sentì, da prete, di chiedere scusa perché come Chiesa non si era agito e prevenuto sufficientemente. L’altro relatore, che era un docente di economia, non si sentì assolutamente in dovere di fare, anche se a nome della categoria, un mea culpa, anzi con saccenza iniziò la sua predica ritornando a recitare la solita litania della crescita. Forse quando sentiremo queste scuse significa che si starà iniziando a costruire un’economia pensata per il 99% e non per l’1%. – ALa ricerca del «Regno di Dio» Nella vita politica italiana la presenza del cattolicesimo è certamente diminuita, anche perché non c’è più un partito che rappresenti gli interessi dei cattolici. Una presenza diminuita , ma certamente forte, vistosa, forse anche talvolta ingombrante. Lo confermano alcuni interventi recenti, pesanti e discutibili. Penso alle reazioni cattoliche contro le aperture milanesi sul matrimonio. Penso alle ripercussioni, inevitabili anche in Italia, degli scandali vaticani che ormai hanno avuto echi in tutto il mondo. Penso anche a vicende e accuse che hanno coinvolto autorevoli esponenti cattolici come il presidente della regione Lombardia. Che dire allora della presenza cattolica Filippo Gentiloni nella vita pubblica italiana? E quale è il rapporto fra la vita pubblica e quella strettamente religiosa dei cattolici? E’ difficile dirlo, anche perché si dovrebbe misurare la frequenza alla Messa domenicale, ai sacramenti, ai Battesimi, ai matrimoni religiosi etc.. Un dato chiaro è quello riguardo ai matrimoni: aumentano vistosamente i matrimoni civili, i divorzi, le unioni di fatto, le richieste di nuove nozze. Il cattolicesimo italiano, quindi, non può che sentirsi in crisi. Nelle alte sfere non si parla, però, di crisi, né sembra che si realizzino forme di cure. L’impegno cattolico, al di là di quello immediato quotidiano, si realizza soprattutto nel campo dell’assistenza, dove c’è un grande bisogno e dove il cattolicesimo manifesta tradizionalmente grandi capacità e, bisogna aggiungere, dove il mondo laico è piuttosto insufficiente. I vecchi, i malati, i poveri rappresentano il grande campo di lavoro nel quale il mondo cattolico è più presente e spesso addirittura insostituibile. Non è tanto in crisi, dunque, in Italia la presenza cattolica; è in crisi, piuttosto, quell’annuncio del «Regno di Dio» che il mondo cattolico dovrebbe proclamare e non riesce a diffondere con convinzione. (Il divino va in vacanza e ritorna a settembre) pagina 16 il manifesto MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012 L’ULTIMA storie Gianfranco Capitta VOLTERRA L La Fortezza di Volterra, prigione di stato, diventa palcoscenico dove Armando Punzo, così come già fece Bene, sceglie Mercuzio come perno del racconto shakesperiano, e ne fa il protagonista a storia sembrerebbe facile da raccontare: Mercuzio fa parte del clan dei Montecchi, ma è «atipico» rispetto alle regole di quel gruppo di famiglia e di interessi. È poeta, a suo modo; parla di immagini visionarie e di cose che sembrano estranee a quella sorta di casta che detiene e contende ai rivali il potere in Verona, i quali a loro volta distribuiscono incarichi e organizzano feste che sembrano manifestazioni di «stato» e di status. Mentre l’innamoramento improvviso e incontrollabile di Romeo nei confronti di Giulietta Capuleti mette a soqquadro e repentaglio il delicato equilibrio dei poteri in città, Mercuzio è già morto ucciso da Tebaldo parente dei Capuleti. E per la storia si apre la via della tragedia. Questa almeno è la «storia» narrata da Shakespeare. Già Carmelo Bene, negli anni settanta, aveva scelto Mercuzio come perno del racconto, si era appropriato del personaggio, e ne aveva fatto il protagonista vero della tragedia, nella famosa edizione cosparsa e inondata di rose rosse e di brindisi, dove Mercuzio/Bene rimaneva in scena morente tutto il tempo. Armando Punzo ha afferrato una suggestione simile, ma l’ha approfondita e ampliata, facendone la falsariga della propria esperienza, che da 23 anni trasforma ogni estate la Fortezza di Volterra, prigione di stato per lunghe detenzioni, in uno IMMAGINI dei palcoscenici più curiosi e impressioTRATTE DA nanti della scena italiana. Ventitrè anni «MERCUZIO NON vuol dire una ventina di spettacoli che VUOLE MORIRE» ogni anno hanno fatto tanto rumore, e DELLA non shakespearianamente «per nulla». COMPAGNIA Da quella lontana Gatta Cenerentola che DELLA FORTEZZA aprì la serie delle rappresentazioni di DIRETTA quella che ben presto è divenuta la ComDA ARMANDO pagnia della Fortezza, attraverso momenPUNZO/FOTO ti e titoli sempre emozionanti. Dal Marat/ DI STEFANO Sade al Pinocchio, da Brecht ad Alice ed VAJA Amleto arrivati a fondersi in Hamlice, SOPRA Punzo è giunto lo scorso anno a indiviLA LOCANDINA duare in Mercuzio l’alfiere della poesia, DELLO di libertà e cultura, dei sogni e delle utoSPETTACOLO pie, destinato a soccombere sotto il potere combinato delle due gang veronesi che controllano ogni spazio di pensiero, sentimento e azione, nella città. L’arte NON MUORE Mercuzio è una vittima, per quanto vigorosa e intraprendente, che viene fatta fuori, e tolta subito di scena, dalle rivalità smodate e arroganti delle due fazioni contendenti. È quasi il prezzo drammaturgico e sacrificale pagato perché l’amore delle due creature del titolo, per quanto clandestinamente, arrivi a compimento. Per Punzo, che ha sempre lamentato una scarsa sensibilità istituzionale al proprio lavoro in carcere nonostante gli apprezzamenti, e ne ha denunciato a più riprese le limitazioni e i vincoli (oltre naturalmente alla mancanza di mezzi finanziari rispetto ai progetti che crescevano con le ambizioni e i risultati), è stato quasi naturale inalberare quella figura di Mercuzio come la poetica rappresentazione del proprio lavoro. Già lo scorso anno Mercuzio non vuole morire era diventato il titolo e il motto della rappresentazione alla Fortezza di Volterra. Con riscontri positivi da parte di chi aveva potuto assistervi. Tanto che lo stesso artista ha deciso di continuare a stare attorno a quella trama, di ampliarla, di farne terreno scenico per l’intera Volterra, città meravigliosa e isolata dalla sua stessa posizione geografica, chiusa su un monte e ricca di alabastro nella cui lavorazione ha sempre eccelso, legata ora alle fortune e alla risonanza della Compagnia della Fortezza, come un tempo più tristemente lo era stata per il manicomio criminale e il carcere che ospitava, più che per i tesori d’arte di Rosso Fiorentino. Punzo ha deciso di misurare la follia di Mercuzio, e la sua disperata difesa dell’arte, con la vita «vera», quella «di fuori». Così, alla fine dello spettacolo dentro la Fortezza, ha portato quei temi e quel grido potente fuori del carcere, perché diventasse grido e teatro collettivo, che tanto più suona violento e radicale nei giorni in cui la cultura e l’arte vengono ulteriormente vilipese e pugnalate alle spalle dalla spending rewiew, come e peggio di Mercuzio. Anzi, bisogna dare atto all’artista napoletano di aver fatto di più: rispetto allo scorso anno, lo spettacolo è stato «rovesciato» nella sua drammaturgia. Nella passata edizione lo stesso Punzo attore risultava molto preminente rispetto ai suoi compagni di scena, gli attori detenuti, e qualcuno non aveva taciuto il rischio che questo comportava. Ora nel cortile infuocato della Fortezza, gli interpreti si sono ripresi la loro centralità, mentre il pubblico sta appiattito, in piedi, contro le sbarre. Ognuno di loro ha il modo e l’agio di vivere un ruolo di protagonista (come Aniello, protagonista del film di Garrone, che si rivela insinuante spadaccino), in una fiumana di immagini pittoriche, naif, o grandi riproduzioni della medievale piazza dei Priori, inframmezzate a citazioni di tanti spettacoli. E poi alla fine della rappresentazione, tutti fuori: pubblico, attori del carcere, attori e artisti che con Punzo hanno già collaborato (le Ariette, il contraltista Maurizio Rippa sempre sublime, Michela Lucenti col suo Balletto civile, il Teatrino Giullare tra gli altri). E la piazza, dove quel fiume umano mostra le Giuliette morte stese a terra, e le mani insanguinate alzate, e i corpi e le voci che sono anche quelle del pubblico che inalbera un libro, e si fa attore, diventa un flusso potente, rallentato forse nei tempi ma di oscura suggestione. A vedere le telecamere in azione, viene in mente che possa diventare un film. Ma questa è già un’altra storia.