31 Luglio 2012 - Campania, terra di veleni

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31 Luglio 2012 - Campania, terra di veleni
CON LA SINISTRA ENIGMISTICA + EURO 3,50
CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 1,50
SPED. IN ABB. POST. - 45% ART.2 COMMA 20/
BL 662/96 - ROMA ISSN 0025-2158
ANNO XLII . N. 181 . MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012
EURO 1,50
SETTIMANA CRUCIALE
ILVA, I CORNI
DEL DILEMMA
Rossana Rossanda
«P
urché le due cose - difesa dell’occupazione e difesa dell’ambiente - vengano fatte insieme». Così scrive Alberto Asor Rosa, in occasione del dilemma fra chiudere l’Ilva
smettendo di contaminare la zona o lasciarla aperta contaminandola. E ricorda che un dilemma simile si era verificato in val di Chiana, sul riuso di uno stabile dismesso, proposto da un’impresa
che si occupava di biomasse e che aveva
visto gli ambientalisti chianini disturbati
da una invasione di disoccupati che volevano lavoro.
Giusto dunque operare insieme per lavoro e natura. Ma a chi si parla? Mi si permetta di protestare quando ci si rivolge,
in ugual modo, alla proprietà e agli operai e ai loro sindacati. È un pezzo che anche questi sono accusati di essere stati
"sviluppisti", e quindi avvelenatori del
pianeta, anche da parte di noti padri della patria. Come se fossero loro a decidere se aprire o chiudere una fabbrica, e a
determinarne le linee e l’organizzazione
della produzione, nonché la distribuzione. Ma non sono loro affatto! Non essendo in condizioni di investire, può investire e decidere su che cosa produrre sempre e solo la proprietà del capitale. Agli
operai non resta che afferrare un salario,
se se ne presenta la possibilità, vendendo la propria forza di lavoro; salario con
il quale vivono, non avendo altri redditi,
e del quale quindi non possono fare a
meno. La fabbrica inquina o, peggio, infetta? Non sono loro né a infettare né a
smettere di infettare, non hanno scelta
se non combattere, come hanno fatto al
Petrolchimico di Marghera.
Ma è difficile chiedere loro di cambiare l’azienda, da cui traggono quel misero
salario in cambio di niente. Ed è perfettamente ipocrita chiedere loro di produrre
pulito, produrre ecologico. Essi non hanno scelta, e se sono messi davanti a quella di perdere il lavoro o rischiare di avvelenarsi, rischieranno prima di avvelenarsi, salvo battersi poi per rischiare di meno. Non possono fare altrimenti.
Per questo non parlerei di alleanza fra
operai e capitale. Nella difesa di una produzione sporca, gli operai non sono "alleati" con la proprietà sono "ricattati" dalla proprietà. Quando Viale o altri dicono:
si produca meno o si passi a una produzione ecologicamente sana, si cessi di inquinare il pianeta, a chi parlano? Seriamente? Seriamente possono parlare soltanto alla proprietà, privata o pubblica,
diretta o per azioni, nazionale o multinazionale, e solo ad essa, i salariati non potendo decidere né che cosa né come né
dove produrre. Sì, qualche volta hanno
cercato di farlo, come nel ‘69, ma sono
stati sconfitti dai padroni, dal governo,
dalla stampa, in nome della democrazia,
e la loro lotta è stata subito dopo resa
sempre meno possibile dai licenziamenti in massa che sono seguiti.
CONTINUA |PAGINA 4
Stati uniti in campo:
«Salvare il soldato euro»
E
urozona e Usa si preparano a tirar fuori i bazooka per salvare il soldato euro. Ieri il segretario al
Tesoro degli Stati uniti, Timothy Geithner, ex
presidente della Fed, è andato a Sylt, un’isoletta del
Mare del Nord, per incontrare il ministro delle finanze tedesco Schäuble. I contatti politici si moltiplicano, per dimostrare, come dice il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker che «non ci inginocchiamo di fronte ai falsi medici del mercato, il problema
Spagna sarà risolto e questo vale anche per l’Italia».
Resta da convincere il fortino della Budesbank, che
continua a puntare i piedi contro l’avanzata della Bce
e del Fesf in un’azione congiunta a sostegno dei paesi
maledetti.
ANNA MARIA MERLO |PAGINA 2
Mercato
e liberismo
non sono
la ricetta
Quattro punti
per cambiare
SPENDING REVIEW |PAGINA 3
L’ANALISI
Aldo Carra
pagina 15
Oggi la fiducia, Cgil e Uil
confermano lo sciopero.
Retromarcia sui medicinali,
vince Farmindustria
RICCARDO CHIARI
ILVA DI TARANTO
Veto anticipato
Avviate
le procedure
di sequestro
A Taranto torna a salire la tensione. Ieri sono entrati in fabbrica i
custodi nominati dal Gip, ma gli
impianti per ora rimangono aperti. Saltato l’incontro tra il presidente Ilva Bruno Ferrante e gli inquirenti
LEONE |PAGINE 4 E 5
LONDRA 2012
Il ping pong
è inglese
e parla cinese
Il sindaco di Londra sostiene che il
tennis tavolo è nato qui. Ma da
quando è diventato sport olimpico,
lo squadrone della terra di mezzo
non ha più rivali. E ora è corsa alla
naturalizzazione degli atleti cinesi
PATRONO |PAGINA 7
CONI D’OMBRA/1
Il mezzogiorno
nudo di Manlio
Rossi-Doria
LUIGI MISTRULLI EMBLEMA
«Sul voto anticipato decido io». Giorgio Napolitano richiama all’ordine il Pd. «Siamo
pronti ad andare alle urne anche con il Porcellum», aveva detto Rosy Bindi. Ma il
capo dello stato insiste. «Chiedo una riforma rapida» della legge elettorale PAGINA 6
CAMPIDOGLIO
LEGGE ELETTORALE
I buttafuori neri del sindaco Alemanno
«A
vevo vent’anni, mi sono
trovato coinvolto in qualcosa di molto più grande
di me». Così la racconta Maurizio
Lattarulo, oggi cinquantenne e fino a qualche tempo fa consulente
del Comune di Roma per il reinserimento degli ex detenuti. Forse è come dice lui. Ma fa impressione rileggere l’inchiesta sulla banda della Magliana, laddove viene definito «braccio destro di Enrico De Pedis (Renatino)» e «luogotenente
del capo dei Nar Massimo Carminati». Il prototipo esatto del grumo criminale di quell’odiosa esperienza, tra gangster di periferia e
terroristi neri, assoldati dalla mafia e arruolati dai servizi segreti.
Sandro Medici
Aleggia da tempo un acidissimo
sapore di connivenza criminosa tra
l’amministrazione locale più importante del paese, che pomposamente si autodefinisce Roma Capitale, e una galleria di inquietanti figuri, direttamente riesumati da
quella nebulosa avvelenata che è
stata la stagione del neofascismo romano. Lattarulo è solo l’ultimo di
una lista di ex terroristi, camerati e
scudieri vari, assunti o chiamati
agli alti ranghi di aziende, segreterie, gabinetti, uffici-stampa, ecc.
Gianni Alemanno oggi fa il sindaco di Roma, ma nel passato si è
distinto per la sua militanza litto-
Per il primo articolo della serie
dedicata a figure o opere che hanno avuto un ruolo importante nella
formazione culturale delle generazioni del ’900, un ritratto dell’economista e politico meridionalista
nel segno della terra
ARMINIO |PAGINA 10
ria. E il suo intento è stato fin da subito quello d’infarcire gli apparati
istituzionali e la macchina amministrativa con fiduciari variamente legati a quelle storie. È qui il senso dei Lattarulo e degli altri sodali
neri. Tra le decine di centurioni
scelti e le centinaia di miliziani di
fanteria, a Roma si è stratificato
un combinato di governo autoritario e facinoroso, oltreché cialtrone
e inefficiente. Frutto di una cultura politica, quella della destra romana (tra le peggiori d’Italia), che
interpreta e agisce le istituzioni come fossero caserme.
È una ragione in più per liberare
la città da questa banda di buttafuori neri.
È il tempo giusto
per tornare al proporzionale
Massimo Villone
L
o speciale borsino della legge elettorale segue i mercati finanziari, ma in proporzione inversa. Se lo
spread sale, la probabilità che si vada a votare con
una legge nuova scende; se lo spread cala, la probabilità
aumenta.
La variabile decisiva è il tempo. Se la crisi si aggrava, cresce la spinta a votare presto, magari già a novembre; il contrario, se c’è qualche segnale di miglioramento. Il tempo
disponibile per cambiare il sistema elettorale non si calcola però guardando alla data del voto, ma a quella della indizione delle elezioni e della convocazione dei comizi elettorali, che cade almeno 45 giorni prima del voto, e che segna
l’inizio delle procedure preelettorali. Anche se la nuova legge volesse abbreviare i termini oggi previsti, potrebbe farlo
solo in minima misura.
CONTINUA |PAGINA 6
pagina 2
il manifesto
MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012
VINCE IL BANCO
Eurocrack •
Americani e tedeschi apprezzano gli sforzi fatti da Italia e Spagna
ma resta da superare la linea del rigore a oltranza della Bundesbank
WOLFGANG SCHAEUBLE E TIMOTHY GEITHNER/FOTO REUTERS
AUSTERITY
Ma l’euro
è davvero
fallito?
Sergio Cesaratto*
I
mercati si sono ieri ripresi e gli
spread di nuovo calati sotto i 500
punti. Questo in seguito alle foto
di Merkel e Hollande – che tanto ci ricordano Merkosy - che giuravano che
l’euro sopravvivrà, e le coeve dichiarazioni di Draghi che la Bce farà di tutto
per salvare la moneta unica. In costoro
v’è da credere, così come non deve preoccupare l’opposizione della Bundesbank che super-MarioD, si dice, sta
cercando di ammorbidire. Costoro
non vogliono infatti far cadere l’euro,
ma semplicemente tenere i popoli europei sulla griglia dell’austerità, per cui
450 punti di spread vanno benissimo.
Un po’ troppi per Monti, a cui andrebbero bene 200, sufficienti per continuare le politiche di attacco a diritti sociali
e lavorativi salvando la faccia.
Una sinistra autorevole pretenderebbe che la Bce ripristinasse i 25 punti pre-crisi. Senza dimenticare che questo costituirebbe solo il primo passaggio verso la risoluzione della crisi, la
quale richiede un radicale ridisegno
dell’impianto europeo. L’euforia dei
mass media di regime per l’ennesimo
evitato crollo dell’euro altro non è che
l’ulteriore esempio della disinformazione denunciata dall’appello di martedì scorso su questo giornale. Poiché,
inoltre, nulla di concreto è stato deciso, in quanto linea degli annunci appare bastevole a non far scappare di mano la situazione, si ricomincerà presto
col balletto degli spread.
Che questo cuocere i popoli europei
a fuoco lento, questo continuo stop
and go, sia voluto è confermato dalle
opinioni che qualche giorno fa The
Guardian riportava di uno dei più influenti economisti del dopoguerra, l’ultra-liberista canadese e premio Nobel
(conferito dalla Banca di Svezia) Robert Mundell. Paradossalmente la teoria della «aree valutarie ottimali» di
Mundell viene richiamato proprio da
coloro che denunciano l’assurdità di
una unione monetaria fra paesi troppo disomogenei (un contributo all’ebook di Micromega Oltre l’austerità discute questa tesi). Avendo forse questo
in mente, Draghi ha pochi giorni fa paragonato l’euro a un calabrone che deve ancora imparare a volare. Mundell
guarda con sufficienza a tale interpretazione: in verità l’euro sta funzionando benissimo. Esso non è nato per unificare una Europa solidale in una comune crescita sostenibile, ma per fare
piazza pulita dello stato sociale, diritti
sindacali, regolazioni dei mercati e della finanza, e tutela artistica e ambientale, tutto quello che, a suo dire, gli ha reso la vita difficile durante i soggiorni
nella propria magnifica antica villa in
Toscana.
Che dunque l’euro abbia condotto a
una crisi epocale va benissimo. Tutto
subito non si poteva ottenere. La liberalizzazione dei movimenti di capitale
cum moneta unica ha portato a boom
fittizi nella periferia europea, ora indebitati verso i paesi forti. Questo consente ora di far passare misure di contrazione fiscale e di riduzione dei diritti
sociali e sindacali prima inimmaginabili. Questo naturalmente vale anche
come ammonimento per i lavoratori
dei paesi forti: che in Germania sindacato e sinistra non si azzardino a ridiscutere quanto loro stessi hanno implementato alla fine del secolo scorso.
Allora tutto torna. L’euro, come afferma Mundell, è il Reagan europeo.
L’irresolutezza europea, e quella italiana di Monti, è voluta: si impedisce alla
situazione di esplodere, mantenendola sul filo dell’abisso per terrorizzare le
popolazioni e assestare il colpo definitivo alle conquiste del secolo scorso. Rimane solo da domandarsi quando la
parte maggioritaria della sinistra italiana farà la necessaria autocritica per
avere, in buona o cattiva fede, assecondato questi disegni e, soprattutto, cosa
dovrà mai accadere perché ritenga la
misura colma? Se non ora, quando?
* Economisti oltre l’austerity
Spintarella
dagli Usa
Il segretario del tesoro americano Geithner
incontra il ministro delle finanze tedesco e
spinge perché la Germania accetti la linea di
salvataggio dell’euro proposta da Draghi
Anna Maria Merlo
PARIGI
E
urozona e Usa si preparano
a tirar fuori i bazooka per
salvare il soldato euro nella
settimana «cruciale» per la sopravvivenza della moneta unica. Gli incontri e i contatti politici si moltiplicano, per dimostrare, come ha
affermato il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker che
«non ci inginocchiamo di fronte ai
falsi medici del mercato, il problema Spagna sarà risolto e questo vale anche per l’Italia». Ma il fronte
non è ancora del tutto unito. Alcune falle persistono.
Per tapparle, ieri il segretario al
Tesoro Usa, Timothy Geithner, ex
presidente della Fed, è andato a
Sylt, un’isoletta del Mare del
Nord, per incontrare Wolfgang
Schäuble, il ministro delle finanze
tedesco, che ha dovuto smentire
delle dichiarazioni pubblicate da
Welt am Sontag, dove si era mostrato freddino sulle proposte di
Mario Draghi di azionare il Fesf
per acquisire obbligazioni pubbliche dei paesi maledetti, per poi
permettere alla Bce di scendere in
campo e comprare titoli sul mercato secondario, con lo scopo di tagliare l’erba sotto i piedi alla speculazione e far scendere lo spread.
Il governo tedesco assicura che
«non bisogna vedere una contraddizione con gli impegni presi al
Consiglio europei del 28-29 giugno» e il portavoce di Angela Merkel, Georg Steiner, afferma che
«naturalmente, il governo tedesco
ha piena fiducia nell’indipendenza di azione della Bce». E’ stato meglio dirlo, visto che un eurodeputato tedesco dell’Fdp, il piccolo partito liberale alleato di governo della
Merkel, Jörg Uwe Hahn, ha minacciato di rivolgersi alla Corte di giustizia europea per denunciare la
Bce se avesse l’ardire di comprare
titoli di stato sul mercato secondario. Geithner è andato poi a Francoforte, per dare manforte a Mario Draghi. Tra gli incontri della
settimana, oggi c’è il pranzo di Mario Monti all’Eliseo, per consolidare l’intesa con François Hollande,
chiaramente schierato per un intervento del Fesf-Mes e della Bce,
poi il premier italiano avrà un appuntamento più difficile a Helsinki con il primo ministro Jirki Katainen, quello che aveva chiesto alla Grecia un’isola delle Cicladi in
garanzia per dare l’ok al primo piano di salvataggio. Giovedì, Monti
sarà sempre in prima linea, con
un incontro a Madrid con Mariano Rajoy. Qui dovrà tastare il terreno per capire quando Rajoy si dirà
disposto ad accettare l’aiuto europeo, i 300 miliardi che sta negoziando dietro le quinte. La Spagna
non vuole sottomettersi a un Memorandum stile Grecia.
Ieri, la Commissione ha ribadito che «i governi dell’area euro, la
Bce e la Commissione faranno tutto il necessario per preservare
l’area euro». Resta da convincere
il fortino della Budesbank, che
continua a puntare i piedi contro
l’avanzata della Bce e del Fesf in
un’azione congiunta a sostegno
dei paesi maledetti. Draghi e Jens
Weidmann, governatore della Buba, «prenderanno un caffè per
uno scambio di punti di vista prima del consiglio dei governatori»
della banca centrale europea il 2
agosto, ha fatto sapere l’istituto di
Francoforte. Juncker, che assicura
che Schäuble sarebbe un ottimo
successore alla testa dell’Eurogruppo, ha detto che i paesi dell’euro sono «pronti ad agire con la
Bce perché il Fesf compri i titoli di
debito estero» dei paesi in difficoltà. «Siamo arrivati a un punto cruciale, resta da precisare ritmo e misura». Per agosto, dovrebbero bastare le dichiarazioni che minacciano il bazooka e la ripresa degli
acquisiti della Bce sul mercato se-
condario (il Fesf non ha soldi, ha
solo più 200 miliardi in cassa e
una parte sono già impegnati per
la Grecia), in attesa del Mes a metà settembre. Per Juncker è ora di
finirla di prendere in ostaggio l’Europa per scopi di politica interna,
a cominciare dalla Germania.
Ma dietro i governi ci sono i popoli, dove l’euroscetticismo avanza. Il rischio per l’euro potrebbe
proprio arrivare dal disamore dei
cittadini, a cominciare da quelli
del nord Europa, Finlandia, Olanda, Germania. La Commissione
ha reso nota l’ultima inchiesta sull’indice di «fiducia» nell’economia
europea: è al più basso, ed è crollato in Germania (meno 3,7 punti),
si è abbassato in Francia (meno
2,7) mentre in Spagna i timori sono minori (meno 1,4) e in Italia la
sensazione è addirittura positiva
(più 1,3 punti).
GRECIA
CRISI
Monti, ancora uno sforzo
Gabriele Pastrello
R
es ad triarios rediit - la lotta torna ai veterani -, così
stre imprese sono inserite in reti internazionali, il passagdiceva Giulio Cesare. John Belushi invece diceva
gio da una moneta di riserva mondiale a una non tale poche quando il gioco diventa duro i duri cominciatrebbe provocare, quantomeno a breve, una disorganizzano a giocare. Ma ambedue sarebbero stati d’accordo nel
zione della produzione. Solo risolti tutti questi problemi
definire così gli ultimi interventi di Mario Draghi, che ha
potremmo godere degli effetti positivi di una svalutazione.
dichiarato che la Bce farà ‘whatever it takes’ - qualsiasi coLa conclusione è che dobbiamo cercare di affrontare la
sa serva - a salvare l’euro. Il che significa che la Bce è disposituazione in Europa e nell’euro, qui e adesso. Il primo
sta ad andare oltre regolamenti e trattati e agire nella piepunto è che il dogma ortodosso che con la manovra sui
nezza delle funzioni del prestatore di ultima istanza. La notassi di interesse si mantiene la stabilità finanziaria e, al
tizia è positiva in quanto conferma ciò che si poteva solo
tempo stesso, si rilancia l’economia è stato chiaramente
supporre, cioè che c’è qualcuno che non ha perso la testa
smentito dalle vicende europee post-dicembre 2011. Il fiin deliri elettoralistici come il governo tedesco, pronto a dinanziamento della Bce di mille miliardi alle banche ha otstruggere l’Europa per vincere alle prossime elezioni, o in
tenuto quantomeno fino a primavera l’obbiettivo di sfiamdeliri ideologici come tanti economisti, tedeschi e no.
mare lo spread tra i titoli tedeschi e gli altri, ma non ha riMa, detto questo, va ribadito che la situazione resta terlanciato l’economia europea in presenza di manovre fiscaribile. Siamo in alto mare e in gran temli restrittive, di banche che si trattengono
pesta. E bisogna resistere alla visione,
la liquidità creata dalla Bce, mentre la doL’economia
che può balenare, di un porto tranquildi credito sta crollando. La rischioitaliana ha bisogno manda
lo: la moneta nazionale svalutata del
sa scommessa del centrodestra europeo di
20% o più; una banca centrale con socompensare con bassi tassi l’austerità fiscadi stimoli diretti.
vranità monetaria e controlli sui movile, al prezzo ridotto di limitati rallentamenResitere alla
menti di capitali; cioè l’uscita dall’euti delle economie, e di squilibri sociali conro. Una situazione davvero desiderabitrollabili, è stata chiaramente persa.
visione di un porto
le. Ma tra l’alto mare in tempesta in
A questo punto, se Monti volesse diventranquillo: la lira,
cui siamo e quel porto c’è di mezzo un
tare davvero uno statista dovrebbe abbantifone, e in quel porto abbiamo pochisdonare le sue posizioni preconcette. Le ecosvalutata del 20%
sime probabilità di arrivarci vivi.
nomie europee, e quella italiana in particoUn ritorno alla lira comporterebbe una svalutazione allare, hanno bisogno di stimoli diretti. Gli unici stimoli keymeno del 20%, che potrebbe anche aumentare. Dopo di
nesiani che non funzionano, pace Giavazzi, Alesina e Zinche non ci metterebbe molto a svilupparsi un’inflazione a
gales, sono quelli che non vengono fatti. Perfino Confindudue cifre, cosa di cui i disastrati bilanci delle famiglie italiastria potrebbe essere d’accordo su un ampio piano di lavone non hanno assolutamente bisogno. Il passaggio da euro
ri di manutenzione del territorio: ponti, strade, scuole
a lira comporterebbe inoltre un aumento del debito pubbliospedali etc; magari mobilitando in qualche modo le risorco italiano, che dal 120% del Pil potrebbe andare verso il
se della Cassa depositi e prestiti. Certo, bisogna chiedere
150, e forse anche oltre. Il che implicherebbe una insostenial più presto l’attuazione dello scudo anti-spread, ma non
bilità del servizio del debito, e il default; oppure una monebasta. Va iniziato un confronto in Europa sull’ideologia
tizzazione del deficit che, nelle condizioni date, potrebbe
dell’austerità; va rivendicato il diritto al rilancio delle ecorinforzare le tendenze inflazionistiche originate dal lato del
nomie dei propri paesi. L’Europa va fatta con paesi vivi.
cambio. Inoltre, siccome abbiamo un deficit di bilancia
Il rischio è che gli attacchi speculativi vengano rintuzzacommerciale, una caduta dell’afflusso di capitali esteri verti una, due, qualche altra volta, ma che l’economia euroso l’Italia ci costringerebbe a ulteriori manovre restrittive
pea entri in una stagnazione prolungata e che, alla fine,
per ridurre il deficit estero. C’è inoltre il problema dei debianche gli attacchi speculativi passino. Non basta dire: bati denominati in euro verso creditori esteri che difficilmensta sacrifici. Bisogna passare agli stimoli. Parafrasando
te accetterebbero la trasformazione in lire, con una coda inquello che un tale disse durante la Rivoluzione francese:
finita di contenzioso. Inoltre, tenuto conto che molte noMonti, ancora uno sforzo!
«Tassare i conti
in Svizzera»
Il governo greco ha ribadito la
propria intenzione di concludere
un accordo con quello elvetico
per tassare i circa 200 miliardi
di euro che la Banca Centrale
di Grecia ritiene siano stati occultati da grossi evasori fiscali
greci in conti bancari in Svizzera. «Abbiamo chiesto al governo
elvetico di riattivare la procedura tesa alla firma di un accordo
tra i due Paesi per la tassazione
di conti bancari e altri beni depositati da cittadini greci nelle
banche svizzere», è scritto in un
comunicato diffuso dal ministero delle Finanze secondo il quale, nei soli ultimi due anni, i
greci hanno esportato legalmente 16 miliardi di euro, dei quali
meno del 10% è finito nella
Confederazione elvetica. La Banca di Grecia, riferisce il quotidiano Ta Nea, ha reso noto di avere informazioni circa 403 cittadini greci che nel 2010 hanno
portato all’estero ciascuno almeno 100.000 euro pur dichiarandosi nullatenenti. In tutto, sempre nello stesso anno, 731 greci hanno trasferito un miliardo
di euro in banche straniere. I
colloqui tra autorità elleniche
ed elvetiche per giungere a un
accordo erano stati avviati lo
scorso ottobre dall’allora ministro delle Finanze Venizelos.
L’intesa alla quale i responsabili di Atene puntano dovrebbe
essere sulla falsariga di quelle
già firmate dalla Svizzera con
Germania e Gb. I cittadini greci
titolari di conti in banche svizzere avranno due possibilità: dichiarare alle autorità elleniche
quanto hanno depositato, oppure pagare le tasse alla percentuale che sarebbe applicata se
lo stesso ammontare fosse dichiarato come reddito in Grecia.
il manifesto
MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012
pagina 3
VINCE IL BANCO
Decreto •
Oggi il governo pone la fiducia al Senato. Poi tocca alla Camera, dove
non dovrebbero esserci sorprese. «Abbiamo fatto una mini finanziaria»
SPENDING REVIEW · I sindacati confermano lo sciopero del 28 settembre
La pillola non va giù
Riccardo Chiari
«I
n cinque giorni siamo riusciti a fare una sorta di
mini finanziaria». In aula
dal sottosegretario Gianfranco
Polillo arriva un briciolo di onestà intellettuale sulla spending review. Non una revisione di spesa, piuttosto una nuova manovra
da 26 miliardi nel triennio
2012-14. Con tagli lineari, così come denunciano gli enti locali che
subiscono gli effetti del provvedimento del governo Monti. E con
misure che convincono Cgil, Uil
e Ugl a confermare lo sciopero
del pubblico impiego per il 28 settembre, anche dopo un ultimo incontro con il ministro Patroni
Griffi che stima 11mila esuberi
solo nell’amministrazione centrale: «Non possiamo fare alcuna
modifica – tira le somme il segretario confederale Nicola Nicolosi
della Cgil – e la riduzione del personale, unita ai tagli alla sanità,
sono un attacco allo stato sociale
nel suo insieme». Quanto alla
conversione del decreto, in Senato dovrebbe essere una passeggiata, dopo che in commissione
bilancio è stato dato il via libera
a 90 emendamenti, concordati
con l’esecutivo e senza toccare
un solo euro dei 26 miliardi previsti. Invece la seduta, già partita
in ritardo di un’ora per le troppe
assenze in aula, si blocca quasi
subito. Si rincorrono le voci che
indicano il ritardo per l’opposizione di Farmindustria alla stretta sui farmaci di marca, in favore
di quelli generici. Questo in un
paese dove la vendita dei generici è al 20%, mentre in Germania
COMMENTO
Dopo la tragedia greca
tocca alla farsa spagnola
/FOTO PROSPECKT
Vince Farmindustria:
sarà il medico a
decidere se indicare
il nome del farmaco
o il principio attivo
è al 64%. Voci confermate, e vince Farmindustria: sarà il medico
a decidere se scrivere nella ricetta il nome o solo il principio attivo del medicinale. Alle 19.30 il governo pone la fiducia, solo oggi il
voto finale di Palazzo Madama.
Cui seguirà, in teoria a tambur
battente, quello di Montecitorio.
Quanto al merito della spending review, il relatore dei democrat Paolo Giaretta ribadisce: «Il
decreto riduce le spese per impedire un aumento dal prossimo ottobre di due punti dell’Iva, e per li-
Andrea Filippetti
D
opo la tragedia greca, quella che
si sta consumando in Spagna ha
le fattezze di una farsa, alla quale
però pochi sembrano credere. L’Europa
si appresta a mettere a disposizione della
Spagna cento miliardi di euro per salvare
il sistema bancario di un paese virtualmente fallito senza il sostegno della Bce
e del fondo salva stati. Per la Grecia, a titolo di confronto, ammontavano a centotrenta. A corredo del prestito, il governo
spagnolo si impegna in una manovra da
65 miliardi di euro in due anni, la quarta
in sette mesi. La manovra interviene pesantemente in termini di tagli alla spesa
pubblica, colpendo gli stipendi degli statali, i sussidi di disoccupazione, introducendo nuovi tagli agli enti locali che si tramuteranno in tagli ai servizi essenziali
che in Spagna sono svolti prevalentemente per via decentrata sul territorio.
Il salvataggio della Spagna è quindi
condizionato alla cura del settore pubblico. Il peso del settore pubblico in Spagna
è simile a quello italiano, ma inferiore a
quello francese, per non menzionare alcuni paesi scandinavi. Il punto è se la cura cui si sta sottoponendo l’economia
spagnola sia quella giusta. E’ il settore
pubblico il vero malato della Spagna?
Basta guardare ad alcuni dati negli anni precedenti alla crisi per vedere che le
sue ragioni vanno semmai ricercate nel
settore privato. La storia del recente
boom iberico è nota: una forte crescita
sostenuta da un boom nel settore edilizio a sua volta sostenuto da ingenti flussi
di capitale dall’estero (soprattutto dai paesi europei, con Germania e Francia in
prima fila). Fenomeni di crescita trainata
dalle costruzioni sono dei cliché nella storia del capitalismo. Il mercato appare un
circolo virtuoso in cui prezzi crescenti,
profitti e investimenti si rinforzano a vicenda. Le banche a loro volta concedono
risorse crescenti a tassi allettanti. Finchè
la barca va il sistema distribuisce risorse
per tutti: imprese di costruzione, imprese di servizi e intermediazione, banche.
Che cosa accadeva nel settore pubblico,
ovvero il «grande malato» della Spagna?
Il debito pubblico in Spagna è sceso in
modo consistente, e ancora nel 2008 era
circa il 40% del Pil, molto inferiore a quello di Regno Unito, Francia e Germania.
Nel frattempo, l’esposizione finanziaria
verso l’estero è cresciuta a ritmi forsennati, e il livello di debito del settore privato
– escluso il settore finanziario – ha raggiunto un livello pari a quattro volte il debito pubblico.
Il resto è storia recente. Come ogni bolla che si rispetti anche quella del mercato edilizio in Spagna esplode. Il settore
bancario è la prima vittima, carico di debiti e mutui in buona parte inesigibili.
Questo spinge le banche a vendere gli immobili che avevano in garanzia facendo
ulteriormente aumentare l’offerta di immobili, e quindi cadere i prezzi in una
spirale che si avvita specularmente, ma
molto più repentinamente, rispetto a
quanto al ciclo virtuoso degli anni precedenti. Un paese con un sistema bancario
in crisi è un rischio che nessuno, né il paese stesso né tantomeno i paesi europei,
si possono permettere. In breve, lo stato
spagnolo interviene a sostegno del sistema bancario. Ed è qui il nodo centrale: il
debito accumulato nel settore privato è
stato di fatto trasferito in quello pubblico: dal 2008 al 2012 il rapporto debito
pubblico-Pil raddoppia, passando dal 40
all’80%. Arriviamo quindi alle vicende di
questi giorni. Il settore pubblico, gravemente malato (si legga indebitato) necessita di una cura a base di austerity (si legga tagli alla spesa pubblica) con conseguenze facilmente immaginabili sul welfare. Difficilmente comprensibili, se si
pensa che tra le funzioni principali dei sistemi di sicurezza sociale c’è il sostegno
alla popolazione nelle fasi di recessione,
come ad esempio i sussidi alla disoccupazione. Invece di essere usati in maniera
anti-ciclica, questi ammortizzatori sociali sono ora ridotti.
Alla farsa spagnola non sembrano credere coloro che scendono in piazza e capiscono che la loro situazione volge verso la tragedia greca. E non sembrano crederci troppo neanche i mercati, poco
convinti che il ritornello austerity-recessione ripetuto ad libitum possa dare i
frutti sperati. Ma intanto il gioco è fatto,
il fallimento del mercato europeo, così
come è stato congegnato, si è trasformato nel fallimento degli stati sovrani.
L’impulso calvinista che imperversa in
Europa non lascia scampo, gli stati dovranno rimettere i loro debiti, e con loro i
cittadini.
Spesa rivista/ DA 5 GIORNI IN SCIOPERO DELLA FAME
Quei quattromila insegnanti
«inidonei» per decreto
Roberto Ciccarelli
T
itti Mazzacane, 54 anni, è il simbolo dei 4 mila insegnanti inidonei all’insegnamento per
ragioni di salute che, a causa della spending
review, saranno obbligati a lavorare nelle segreterie scolastiche, come assistenti amministrativi, oppure come assistenti tecnici nei laboratori.
Responsabile del laboratorio di scienze in una
scuola di piazza Bologna a Roma, a 54 anni, Titti è
in sciopero della fame da cinque giorni e presidia
piazza delle Cinque Lune, a pochi passi dall’entrata laterale del Senato, insieme a decine di colleghi
del movimento «idonei ad altri compiti» (a Roma
sono più di un centinaio). Insieme ai Cobas, protesta contro una norma definita «una discriminazione troppo grande. È come se un chirurgo che ha
reumatismi alle mani viene messo al triage a lavorare come un infermiere». Nelle ultime ore alcune colleghe di Titti sono
state colte da malore:
una è stata colta da una
tromboflebite, un’altra è
caduta e si è fratturata un gomito. Titti continua a
nutrirsi con sali minerali e due cappuccini freddi a
colazione e a pranzo. «La nostra – dice – è la forza
della disperazione». E promettono di restare in presidio fino a mercoledì prossimo.
Quello degli «inidonei» è un pasticcio che i tecnici del Miur hanno scoperto tra le pieghe della spending review. Il governo pensava inizialmente che
gli inidonei fossero 4 mila, ma un calcolo più preciso ha abbassato la stima. E ciò ha imposto di rivedere al ribasso le previsioni il risparmio della spesa.
Saranno solo all’incirca la metà le persone ad essere ricollocate come personale amministrativo
(Ata), il resto (1100) rischia di essere dichiarato in
soprannumero, rientrerà cioè nel novero di quei
docenti (quest’anno 7232) che, pur essendo assunti regolarmente, non hanno la possibilità di inse-
gnare. «Questo significa – spiega Titti Mazzacane che non abbiamo più un posto, rischiamo di finire
con l’80 per cento dello stipendio per due anni e
poi il licenziamento».
Un semplice taglio rischia così di creare un conflitto tra i precari che aspirano ad entrare tra le fila
degli amministrativi, talvolta anche da più di dieci
anni, e questi docenti che verranno obbligati a svolgere funzioni per le quali dicono di non essere preparati. Senza contare che ciò comporterebbe la perdita del lavoro effettuato nel corso di questi anni
nelle biblioteche o in altri servizi dove sono stati impiegati fino a oggi. Titti, ad esempio, ha allestito
una biblioteca con più di 1500 volumi, un museo
per bambini che parte dal Big Bang e arriva allo
sbarco
sulla
luna.
Un’esperienza che riPROTESTA
schia di essere vanificata
Si rischia di creadal suo trasferimento. «Io
re un conflitto
sono tra le più fortunate
tra insegnanti e
perché ho "solo" una paprecari che aspiresi sulla corda vocale –
rano a entrare
aggiunge – ma capisci
nelle file degli
perché tutti i docenti che
amministrativi
come me sono inciampati nella malattia sono disperati all’idea di dover
abbandonare tutto quello che in anni di lavoro?».
Il risparmio ottenuto da questa misura è stato
quantificato in 30 milioni, una stima che, a piazza
delle Cinque Lune, viene contestata. L’uso di questo personale nelle biblioteche, nei laboratori non
comporta alcuna spesa. Ieri una delegazione del
presidio è stata ricevuta dal capogruppo pd al Senato Anna Finocchiaro. In attesa dell’esito della votazione al Senato, e di una correzione in extremis di
una norma che viene giudicata da tutti i sindacati
come un «accanimento», al punto da avere spinto
la Flc-Cgil a “diffidare” il ministero dal procedere
su questa strada, è stata apportata una sola correzione alla spending review nel campo della scuola.
Riguarda gli insegnanti in esubero (3 mila) che hanno maturato i requisiti e potranno andare in pensione con i criteri pre-Fornero.
berare risorse per l’emergenza terremoto, con un fondo di due miliardi e strumenti creditizi agevolati e garantiti dallo Stato per altri
sei miliardi. Parte delle risorse allargano poi di 55mila unità la platea dei lavoratori esodati». Anche
per lui però qualcosa non torna:
«Resta uno squilibrio tra i tagli
nella spesa degli apparati centrali
e nella spesa delle autonomie.
Per il 2013 si taglia l’1,8% della
spesa centrale rispetto al 3% della
spesa locale». Del resto la Corte
dei Conti aveva già segnalato le ulteriori difficoltà di Regioni, Province e Comuni, dopo che nel biennio 2010-11 è stato tagliato il
20% circa delle risorse a disposizione. Il contentino è un emendamento che assicura ai comuni
800 milioni, dei quali 500 presi
dal fondo per i rimborsi fiscali alle aziende, e 300 girati dalle Regioni in quella che i critici definiscono una partita di giro. Le Province saranno invece «riordinate»
dalle Regioni, cioè accorpate fra
loro, in modo da avere solo quelle
con almeno 350mila abitanti e
2.500 chilometri quadrati. Solo
per fare alcuni esempi Terni andrà con Perugia, Isernia con Campobasso, Matera con Potenza, e
Pisa andrà – o meglio dovrebbe
andare - con Livorno.
Sulla tagli alla sanità pubblica
la sintesi del giorno arriva da Costantino Troise, che guida il sindacato dei medici Anaao Assomed:
«C’è stato un taglio a monte del finanziamento che, cumulato a
quello di Tremonti, arriva a circa
20 miliardi nel prossimo triennio.
Un taglio dei posti letti pubblici
che si aggiunge a quanto fatto dal
2004, con scomparsa di 50mila posti complessivi; il prolungamento
del blocco del turnover del personale, di fatto fino al 2015, che porta gli operatori sanitari italiani alla più alta età media nell’Ue». Inoltre le otto regioni in disavanzo sanitario (Piemonte, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) dovranno anticipare al 2013 la maggiorazione dell’aliquota addizionale regionale Irpef. Si va dallo 0,5% all’1,1%, per
circa 18 milioni di italiani.
Ultime spigolature: i residui
dei finanziamenti a partiti o movimenti che non esistono più – è
l’emendamento «Margherita» possono essere destinati al 5 per
mille per la ricerca e il volontariato. Limati, ma non come nel decreto originale, gli sconti alle farmacie per l’acquisto di farmaci.
Tetto di 300mila euro per la retribuzione a manager e dipendenti
delle partecipate dallo Stato (vedi Rai), ma solo quelle non quotate. Non saranno chiuse automaticamente le aziende di servizi
pubblici «in house». In compenso nuova sforbiciata ai fondi per
le intercettazioni telefoniche disposte dalla magistratura, tagliate di ben 25 milioni. Totale della
spending review 26 miliardi di tagli in tre anni.
pagina 4
il manifesto
MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012
CAMBIAMO ARIA
Taranto •
Dopo un week-end di calma apparente, torna a salire la tensione nel polo
siderurgico. Operai in marcia il 2 agosto, in attesa del verdetto del riesame
Ilva, avviato il sequestro
DALLA PRIMA
Rossana Rossanda
Ecologisti
e anticapitalisti
Chi si ricorda che la Fiat
aveva allora 129.000 dipendenti? Ora, ci informa Gabriele Polo, ne ha circa
15.000. L’operaio è meno di un
uomo libero, lo è meno di un altro cittadino.
Da un mese a questa parte, dopo la vittoria dei socialisti in Francia - socialisti, non bolscevichi,
anzi un po’ meno di socialdemocratici delle origini - il padronato
dichiara in difficoltà una dozzina
di grandi imprese. E ristruttura.
Licenziando. Esempio: la Psa automobili (Peugeot +Citroen) ha
annunciato ottomila "esuberi",
tra l’altro chiudendo del tutto il
sito di Aulnay, alla periferia di Parigi, del quale ha occupato più di
metà della superficie. Poiché per
un occupato nell’automobile licenziato si calcolano altre quattro perdite di posti di lavoro (dal
panettiere, macellaio, fruttivendolo del sito, all’indotto vero e
proprio) la Psa decide dunque di
aumentare i disoccupati di circa
35.000 persone. Il governo protesta, e si dichiara disposto a una
serie di aiuti soltanto a condizione che la Psa imposti la produzione in vetture elettriche, riducendo il noto inquinamento della
benzina o diesel. Zac, il presidente del consiglio d’Europa, Rompuy, assieme all’altra testa fina
che dirige la Commissione, Manuel Barroso, aprono un’inchiesta se ha diritto di farlo o no, per
le conseguenze che questa condizione potrebbe avere sul mercato. L’altra grande azienda automobilistica, la Renault, che ha
probabilmente commesso meno
errori nella produzione, ha fatto
in questi giorni un contratto con
la Corea per le batterie che le servono per la medesima, il governo
si dice d’accordo, ma a condizione che la proprietà coreana produca in Francia. Apriti cielo, protezionismo!
Nessuno osa dire in questo luglio fatale: menomale che meno
automobili escono dalla fabbrica. Fanno troppo spavento le facce stravolte di chi ha lavorato dieci o venti anni per Peugeot o Citroen e si sente dire di colpo che
sarà licenziato, e sa che di lavoro
difficilmente può trovarne un altro. Ma nessuno neanche dice
che i responsabili di questo disastro umano, e del peso che ne deriverà per i conti pubblici, sono i
signori del Cac 40, le proprietà
quotate in borsa. I "mercati" sembrano incorporei, quanto per il
Vaticano lo spirito santo, che come loro spira dove vuole.
Si deve essere ecologisti. Ma
quindi anticapitalisti. O, come
minimo, sostenitori di una primazia del pubblico sull’economico, in modo da determinarne l’indirizzo e la non dannosità per
l’ambiente. Perché non si dice anche questo? Perché dal 1989 in
poi non si ha più coraggio di dire
nuda e cruda la verità sul meccanismo dell’impresa del capitale,
nonché sulla rinuncia della sfera
politica, continentale o nazionale, a controllarle.
Per l’Ilva, come qualche anno
fa per la val di Chiana, non c’è dilemma fra lavoro e ambiente, c’è
un sistema di proprietà, accettato dalle ex sinistre, che distrugge
l’uno o l’altro, o tutti e due.
Al via il procedimento di chiusura
dell’area a caldo. Entrano in fabbrica
gli inviati del Gip, ma gli impianti
per ora rimangono operativi
Gianmario Leone
TARANTO
D
opo un week-end di calma apparente, è tornata a salire la tensione a Taranto sul caso Ilva. Nella
tarda mattinata infatti, i custodi nominati
dal Gip sono entrati in fabbrica per dare il
via alle procedure di sequestro degli impianti. Con i carabinieri del Noe che hanno apposto i cartelli di sequestro in applicazione dell’ordinanza dello stesso Gip. E
con gli operai che hanno dato vita ad
un’assemblea per discutere il da farsi. Barbara Valenzano ed Emanuele Laterza, ingegneri dell’Arpa Puglia, Claudio Lofrumento, funzionario del Servizio impiantistico e Rischio industriale del Dipartimento provinciale ambientale di Bari, e Mario
Tagarelli, presidente dell’Ordine dei commercialisti di Taranto incaricato della gestione degli aspetti amministrativi e della
gestione del personale: sono questi i custodi nominati dal Gip per «avviare le procedure per il blocco delle specifiche lavorazioni e per lo spegnimento».
Il primo passo per eseguire il sequestro
di sei impianti dell’area a caldo. I quattro,
giunti all’interno del siderurgico, hanno
incontrato i dirigenti Ilva per concordare
le procedure di chiusura degli impianti,
che richiederanno tempi lunghissimi. I
custodi, infatti, sono stati incaricati dal
Gip «di sovrintendere alle procedure, osservando le prescrizioni a tutela della sicurezza e dell'incolumità pubblica e dell'integrità degli impianti». Onde evitare
fraintendimenti di sorta, è bene chiarire
che l’inizio delle operazioni non vuol significare che gli impianti e le aree in questione saranno off-limits. L’ordinanza
prevede una direttiva di accesso condizionato, con «figure tecniche e professionali
Ilva che possono continuare ad accedere
laddove è operativo il sequestro».
E’ probabilmente l’arrivo dei custodi il
motivo per cui è saltato l’incontro programmato per ieri, per «impegni sopravvenuti», tra il presidente Ilva Bruno Ferrante e gli inquirenti. Un primo approccio per tentare di concordare un crono
programma per mitigare gli effetti dei
provvedimenti giudiziari. Ma dalla procura hanno ribadito ancora una volta come
il dialogo non dovrà essere scambiato per
una trattativa. Intanto, nella mattinata di
ieri, una delegazione di lavoratori ha assistito alla seduta del consiglio comunale,
dove un operaio ha aperto il dibattito ringraziando la città per la solidarietà mostrata e confermando come i lavoratori siano a favore della difesa del lavoro e della
tutela dell’ambiente. Tutt’altro che semplice invece, si è rilevata la definizione
del documento unitario da sottoporre all’approvazione del consiglio. Dopo oltre
4 ore di dibattito e polemiche tra il sindaco Stefano e Angelo Bonelli (che ha denunciato «la situazione di emergenza ambientale e sanitaria gravissima che solo la
magistratura ha avuto il coraggio di affrontare»), il Consiglio ha approvato un
ordine del giorno sulla «preoccupante situazione ambientale e produttivo-occupazionale verificatasi in seguito alle vicende dell'Ilva». Il documento impegna il sindaco «a compiere tutti gli atti necessari
per il governo del territorio e dell’ambiente in una visione che coniughi il diritto al
lavoro con quello alla salute entrambi costituzionalmente garantiti». Nel documento, approvato con 23 voti a favore, 2
astenuti e 3 contrari, si esprime «solidarietà umana e istituzionale ai lavoratori Ilva
e alle famiglie delle vittime dell’inquinamento ambientale». Si impegna inoltre il
sindaco a «vigilare sul pieno e puntuale rispetto degli accordi e degli impegni pubblici oltre a quello della parte privata in-
formando costantemente il Consiglio affinché possa seguirne gli sviluppi». In contemporanea si è riunita anche la giunta
provinciale, allargata ai capigruppo di
maggioranza e opposizione. Anche in
questo caso è stato espresso «l’auspicio
che si attui ogni iniziativa utile ad il dramma dell’occupazione e, dall’altro, di proseguire il percorso di ambientalizzazione
del siderurgico».
Insomma, il solito linguaggio politichese per dire tutto e niente, senza prendersi le dovute responsabilità. Ma ieri è
stata anche la giornata di Confindustria
Taranto. L’organizzazione degli industriali tarantini, molti dei quali operano
con le proprie aziende nell’indotto del
siderurgico, hanno espresso «grande
preoccupazione di tutto il mondo economico tarantino», all’interno di un’assemblea generale delle imprese, per le
eventuali ripercussioni produttive del
sequestro. Saltata, invece, la conferenza
stampa dei sindacati mentre la manifestazione del 2 agosto si farà, esattamente 24 ore prima del riesame, quando dinanzi ai giudici si discuteranno i ricorsi
contro il decreto di sequestro e l’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari per gli otto indagati. La decisione del
riesame dovrà arrivare entro 10 giorni
dal deposito degli atti da parte della Procura che avverrà oggi. E sempre questa
mattina, a partire dalle 11, ci saranno i
primi interrogatori di garanzia.
COMMENTO
Fumo o fame: quando l’operaio è alla mercè del capitale
C
he infinita tristezza provoca
il dover constatare che nel
XXI secolo, nell’ottava o nona potenza economica mondiale, il
lavoro e la salute siano ancora posti
in una condizione duale, dicotomica. In un bellissimo documentario
(«Ultimi fuochi» di Manuela Pellarin) sulla condizione operaia negli
anni ’60 del secolo scorso, un operaio del Petrolchimico di Porto Marghera rispondeva mesto alla domanda sul perché accettasse una
condizione lavorativa così rischiosa con queste tre parole: «Fumo o
fame». Ad ammazzare a Marghera
era il cloruro di vinile monomero,
all’Ilva di Taranto le diossine.
Ma quanti sono i conflitti tra produzioni industriali e ambiente ancora aperti nel nostro paese? Dalla
Ferriera di Trieste (Lucchini), al termodistruttore Fenice (EDF, ex Fiat)
di Melfi, dalle centrali termoelettriche a carbone liguri (Enel), ai cementifici di Monselice. Chi tiene il
conto? Una volta la Cgil aveva una
struttura Ambiente Lavoro, oggi, in
periodi di recessione economica, la
salute sembra essere diventata un
lusso. Per fortuna c’è qualche (raro) magistrato. Ma anche qui non
facciamoci illusioni: le strutture
scientifiche di cui la magistratura si
può avvalere sono sotto gli attacchi
alla spesa pubblica. Il più rinomato
centro sulle diossine INCA (un consorzio tra 19 università italiane e altre decine di unità di ricerca nel settore della chimica e delle tecnologie per l’ambiente) e che ha supportato anche l’inchiesta di Taranto, è
in pericolo di chiusura. Del resto,
solo per fare un esempio, ricordiamoci che con il ministro Mattioli le
Paolo Cacciari
ricerche sugli effetti delle radiaziopendice nei confronti delle struttuni generate dai campi elettromare pubbliche locali, regionali (Asl) e
gnetici (telefonini, ripetitori, radar,
nazionali (ministeri vari). Ma è queecc.) sono state «esternalizzate» a
sta la parte che darebbe più soddiquella Fondazione Maugeri nota
sfazione alle centinaia di vittime
per gli scandali alla Regione Lom(386 decessi negli ultimi 13 anni) e
bardia. Con il passaggio delle comalle migliaia di malati di Taranto,
petenze ambientali alle Asl regionadentro e fuori la fabbrica. Scoprire
li le attività di prevenzione sono stache i padroni fanno i loro interessi
te di fatto azzerate, con esse i regisulla pelle dei dipendenti non è poi
sti tumori e le indagini epidemiolouna grande novità. Più interessante
giche necessarie a stabilire le corresarebbe vedere in faccia chi e sapelazioni tra inquinamenti e malattie.
re per quali ragioni ha omesso i
Ciò che colpisce delle numerose,
controlli, ha rilasciato autorizzaziocandide interviste rilasciate dal mini, concesso finanziamenti a imprenistro Corrado Clini (già medico
se palesemente fuorilegge.
del lavoro e da decenni direttore geVedremo. Ma il dato politico più
nerale del Ministeallarmante è un alro per l’Ambiente)
tro. Sono i dipenSe si produce solo
a sostegno, non
denti in queste
già della applicaper il profitto e per il ore a sfilare a sozione delle leggi –
stegno delle ragiosalario, il lavoratore ni dei propri aguzcome ci si aspetterebbe da un fedezini. Non sono cifinisce per fare il
le servitore dello
nico, non mi mangioco del padrone
Stato – ma delle raca la capacità di
gioni dell’impresa
comprendere il
sotto accusa, sono le motivazioni.
dramma umano di persone dispe«Forse – ha dichiarato Clini a il marate perché sotto ricatto. Ciò che
nifesto del 27 luglio - dieci anni fa
mi rattrista è l’incapacità di immachiudere lo stabilimento aveva un
ginare una via di uscita che non sia
senso, ma ora no». Giusto, ma lui, e
la sottomissione alle ragioni della
tutto l’apparato di valutazione e
produzione, della produttività, delcontrollo che uno stato civile dola competizione. La questione non
vrebbe mettere in campo a difesa
si risolve se non affrontando alle radella salute dei cittadini (compresa
dici la globalizzazione che ha proquella della sotto-specie, a diritti lidotto in Occidente allo stesso temmitati, che sono gli operai), dov’erapo disoccupazione e deterioramenno, cosa facevano, nonostante fosto delle condizioni di lavoro. Mi
sero perfettamente a conoscenza
vengono in mente le riflessioni di
della situazione?
André Gorz a partire da Marx: «Egli
Non so se l’inchiesta della Procu(l’operaio salariato) non considera
ra della Repubblica abbia un’apil lavoro in quanto tale come facen-
te parte della sua vita; è piuttosto il
sacrificio di questa vita. E’ una merce che egli aggiudica ad un terzo»
(cfr. Lavoro salariato e capitale,
1849). Quando la mercificazione
del lavoro raggiunge tali livelli di
alienazione, allora, aggiungeva
Gorz: «Lavoro e capitale sono fondamentalmente complici nel loro
stesso antagonismo per il fatto che
guadagnare del denaro è il loro fine
determinante. Agli occhi del capitale, la natura della produzione importa meno della sua redditività;
agli occhi del lavoratore, essa importa meno degli impieghi che crea
e dei salari che distribuisce. Per
l’uno e per l’altro, ciò che è prodotto importa poco, basta che renda.
L’uno e l’altro sono, coscientemente o meno, al servizio della valorizzazione del capitale. E’ per questo
che il movimento operaio e il sindacalismo non sono anticapitalisti se
non nella misura in cui mettono in
questione non soltanto i livelli dei
salari e le condizioni di lavoro, ma
le finalità della produzione, la forma merce del lavoro che la realizza» (cfr. Ricchezza senza valore, valore senza ricchezza, in Ecologica,
Jaca Book 2009, pp.125/126). Affermare, quindi, come bene fa la
Fiom, che il lavoro è un bene sociale comune – così come il sole o l’acqua – significa voler sottrarre le decisioni sul cosa, dove, per chi produrre alle leggi del mercato, cioè
del profitto e del diritto di proprietà. La liberazione del lavoro dall’eteronomia non può che avvenire attraverso un conflitto per affermare
modi e forme democratiche di decisione sul cosa, come, dove e per chi
produrre.
il manifesto
MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012
pagina 5
CAMBIAMO ARIA
Campania •
Un’indagine dell’Istituto nazionale tumori rivela che nella regione
l’aspettativa di vita è di due anni inferiore alla media italiana
LA LETTERA DI NAPOLITANO «Nel pieno rispetto dell’autonomia
della magistratura, si devono trovare soluzioni che garantiscano la
continuità e lo sviluppo dell’attività in un settore di strategica importanza
nazionale, fonte rilevantissima di occupazione, e insieme procedere
senza ulteriore indugio agli interventi spettanti all’impresa e alle iniziative
del governo nazionale e degli enti locali che risultino indispensabili per
un pieno adeguamento alle direttive europee e alle norme per la
protezione dell’ambiente e la tutela della salute dei cittadini». E’ la
risposta di Giorgio Napolitano alla lettera dei lavoratori dell’Ilva.
SALUTE · Il ministero istituisce un’apposita commissione per studiare il fenomeno
Morire per colpa dei rifiuti
Adriana Pollice
I
n un convegno, circa due settimane
fa, vengono diffusi i dati di uno studio
condotto dall’istituto nazionale tumori – fondazione Pascale di Napoli sulla
provincia partenopea (capoluogo escluso) più Caserta e suo hinterland, un giornalista del quotidiano Avvenire pubblica
la notizia. Il ministero della Salute si affretta ad acquisire la ricerca costituendo,
con decreto ministeriale, un gruppo di lavoro coordinato dal direttore generale
della prevenzione Giuseppe Ruocco, in
raccordo con il ministro dell’Ambiente.
Cos’è che ha messo in allarme il governo?
Nel napoletano si muore di tumore fino
al 47% in più rispetto al resto d’Italia, nonostante la deindustrializzazione, nonostante la dieta mediterranea faccia così
bene alla salute. Un paradosso che ha
una spiegazione semplice: esiste in Campania un’industria che non si vede, che
evade il fisco, ma che non conosce flessioni, quella dell’incenerimento illegale di rifiuti industriali.
I dati
OPERAI AL LAVORO
NELL’ALTOFORNO
/FOTO GABRIELLA MERCADINI
In Italia negli anni ’80 la mortalità per tumore era più alta al nord rispetto al sud.
Lo studio del Pascale ha analizzato i dati
Istat relativi alle schede di morte con diagnosi di tumore dal 1988 al 2008. Negli anni 1988-90 il tasso standardizzato di mortalità per tumore in Italia nei maschi era
di 316,1 e nelle donne 210,9. In provincia
di Napoli era, rispettivamente, di 235,1 e
136,2; per Caserta e provincia 225,7 e
116,7. Un dato in linea con il decennio
precedente. Quando si passa all’ultimo periodo disponibile le cose cambiano: in Italia l’indice per gli uomini è di 328 e per le
donne 231,5. Un incremento nazionale lieve che si impenna nella provincia di Napoli (345,9 e 191,1) e nel casertano (289,8 e
154,9). Nell’area partenopea l’aumento è
stato del 47% negli uomini e del 40% nelle
donne; a Caserta e provincia del 28,4 e
32,7%. Ciò significa che, se scorporiamo
gli aumenti del sud, i tassi al nord sono addirittura diminuiti.
Nel 2004 i primi allarmi sulla rivista Lancet, «nel 2007 lo ‘Studio Bertolaso’ dimostrò che nelle zone campane dove c’erano
discariche era più alto il rischio di sviluppare tumori o malformazioni congenite»
spiega Giuseppe Comella, primario di oncologia del Pascale e presidente della associazione Medici per l’ambiente. Nel 2009
Intervista/ ANTONIO GIORDANO, ORDINARIO DI ANATOMIA A PHILADELPHIA
«Una fabbrica così negli Stati uniti
sarebbe già stata chiusa»
A.Po.
A
ntonio Giordano è figlio
d’arte. Il padre, Giovan
Giacomo, nel 1977 scrisse
il primo libro bianco sull’inquinamento in regione, Salute e ambiente in Campania, mappa della nocività che portava all’attenzione nazionale problemi come
l’inquinamento del fiume Sarno,
tutt’ora il più contaminato d’Europa, e il caso Bagnoli. Direttore
scientifico dell’istituto partenopeo per lo studio dei tumori, fondazione
Pascale,
venne
‘dimissionato’ per aver denunciato la corruzione intrecciata alla
politica nel 1987, in anticipo su
Tangentopoli. Una carriera a cavallo tra Italia e Stati Uniti, che
segna anche la vita del figlio Antonio, ordinario di anatomia e
istologia patologica, direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine
di Philadelphia.
Professor Giordano, cosa accadrebbe negli Usa per un caso
come l’Ilva di Taranto?
Verrebbe immediatamente
chiusa la fabbrica, per i proprietari un processo da affrontare
con condanne molto serie. In Italia invece apriamo il dibattito,
c’è sempre qualcuno, anche nella comunità scientifica, che trova delle giustificazioni e così passano gli anni, il territorio si devasta e la popolazione si ammala.
Negli Stati uniti, ad esempio, la
lotta all’amianto è stata durissima: completamente bandito, il
governo centrale ha promosso la
bonifica del territorio, del resto
la tecnologia è prevalentemente
americana, qui invece non si investe in ricerca. In Texas, da
quando hanno iniziato le opere
di risanamento, hanno visto diminuire le malformazioni del
40%, del 25% in soli quattro anni, con un risparmio di 11 milioni di euro.
E in un caso come quello del
territorio campano?
Il problema è più complesso rispetto a Taranto perché non sappiamo su che cosa dovremmo
operare. Far partire le bonifiche
significa soprattutto scoprire
con precisione quali sostanze in-
quinanti sono state sversare e come salvaguardare la salute. Invece molti centri di ricerca, illustri
luminari, continuano a ripetere
che non sarebbe provato il nesso
di causa effetto tra inquinamento e cancro o malformazioni congenite. Ma, come dice il senatore
Ignazio Marino, la scienza in ambito internazionale ha già detto
tutto, è il momento per la politica di agire.
E invece lei e il suo gruppo di ricerca siete stati osteggiati
In Italia i ruoli nevralgici sono
di nomina politica, così anche le
ricerche tendono a non disturbare le lobby che ruotano intorno
ai partiti e gli interessi economici. L’unico modo per spezzare la
catena è informare i cittadini, in
modo che siano loro direttamente a fare pressione dal basso. Per
svolgere le nostre ricerche ho trovato i fondi negli Stati Uniti. L’ex
ministro della Salute, Ferruccio
Fazio, nel 2011 sostenne che
l’amianto di Napoli non faceva
male, cercando di minimizzare i
dati di una ricerca fatta da me,
dal senatore Marino, Maddalena
Barba, Alfredo Mazza e Carla
Guerriero, pubblicata su Cancer
biology and therapy. Nel 2005 ho
iniziato a lavorare sulla Campania, un laboratorio di cancerogenesi a cielo aperto, ma non c’era
il registro tumori, nessun ente voleva condividere i propri dati. Così ho trovato un gruppo di pazzi,
quelli citati prima più Giulio Tarro, Antonio Marfella, Giuseppe
Comella e Massimo di Maio, con
cui far cadere gli alibi.
Cosa avete scoperto?
Ad esempio che i dati ufficiali
indicano in 39mila i casi di tumore alla mammella in un anno,
noi però ne abbiamo trovati
47mila, cioè 8mila in più. Non solo, nel 2009 abbiamo pubblicato
uno studio relativo al periodo
2000/2005, anche in questo caso
i dati ufficiali erano inferiori del
26,5% rispetto ai casi reali (parliamo di 40mila malati in più), soprattutto nella fascia d’età tra i
25 e i 44 anni, pre-screening. Recentemente abbiamo ampliato
la ricerca, fino al 2008, e i dati ci
confermano l’allarme. La situazione in Campania è talmente
critica che o la vicinanza dei cittadini campani ai siti di rifiuti tossici determina patologie tumorali,
oppure sono stati vittime negli ultimi anni di un progressivo indebolimento genetico, fino ad avere un ‘dna colabrodo’.
un’indagine condotta dai militari statunitensi sulle acque aveva portato ad evacuare 17 famiglie dalla zona adiacente alla base Usa di Grazzanise per «rischio inaccettabile che non può essere mitigato» di
esposizione a fattori inquinanti capaci di
provocare il cancro. Nel 2010 la regione
Campania riceve i risultati dello studio Sebiorec condotto dall’Istituto superiore di
sanità: «Criticammo da subito la ricerca
per il metodo utilizzato – racconta Comella – infatti su un campione di mille persone, venne utilizzato il metodo pool, cioè si
faceva una sola analisi riunendo 10 differenti campioni di sangue» il finanziamento ridotto a 250mila euro, rispetto ai 2.5
milioni inizialmente stanziati. Così le conclusioni, per quanto molto allarmanti rispetto ad esempio alla presenza di diossine nel territorio, furono che l’indagine
avrebbe richiesto una metodologia diversa. «Come Medici per l’ambiente – conclude - abbiamo redatto il testo di legge regionale che ha istituito il registro dei tumori
campano, anche se poi siamo stati esclusi
dal comitato scientifico, insieme a Legambiente e Wwf. Ogni anno a bilancio venivano messi, e spesi, un milione e mezzo di
euro per un registro mai fatto. Adesso Palazzo Santa Lucia ha tre mesi di tempo
per rendere operativa la struttura, fondamentale per monitorare anche chi si ammala e per fortuna guarisce, sfuggendo così alle statistiche Istat».
Un’industria fantasma
Il ricercatore napoletano emigrato in Usa
Antonio Giordano e i Medici per l’ambiente sono stati definiti da illustri luminari nazionali untori e irresponsabili perché da
anni, anche accollandosi i costi delle analisi, hanno prodotto studi in cui si dimostra
che se in Campania l’aspettativa di vita è
di due anni inferiore rispetto alla media
nazionale è perché c’è un rischio serio nell’ambiente. Mercoledì scorso un comitato
di cittadini ha denunciato la presenza di
un «inceneritore domestico», illegale, in
una villa confiscata alla camorra nelle
campagne tra Afragola e Caivano, in località Cinquevie. All’interno una fornace bruciava incessantemente rifiuti, alimentata
da ragazzini che presidiavano la struttura.
Antonio Marfella, oncologo e tossicologo
del Pascale, ha partecipato al libro bianco
Campania, terra di veleni a cura di Antonio Giordano e Giulio Tarro (Denaro libri). Grazie anche alla sua esperienza sul
campo, spiega: «E’ sufficiente sovrapporre alla aree a maggiore rischio di cancro,
per sversamento illegali di rifiuti tossici, la
traccia cartografica della strada provinciale a scorrimento veloce e priva di pedaggio SS 162, cosiddetto “asse mediano”,
per comprendere un paradosso epidemiologico. Le aree più colpite dal cancro e dalle malformazioni neonatali sono quelle
con maggiore disponibilità di zone demaniali, archeologiche, rurali e agricole». La
Terra dei fuochi ha bruciato rifiuti tossici
per almeno 13 milioni di tonnellate in circa venti anni.
La regione Campania gestisce in affanno circa 2.8 milioni di tonnellate di rifiuti
solidi urbani, mentre è serena per i 4 milioni di tonnellate/anno di rifiuti industriali prodotti nella sola Campania: sulla carta tutti smaltiti senza impianti dedicati,
grazie a recupero, riciclo e allo smaltimento fuori regione di 870mila tonnellate l’anno. Questa quota rappresenta inerti non
pericolosi (come gli scarti dell’edilizia) destinati alle discariche del nord Italia, soprattutto del Veneto che però manda fuori tutta la produzione di rifiuti industriali
tossico nocivi, come i fanghi di Porto Marghera, ritrovati dal magistrato Donato Ceglie a Castelvolturno. «Il meccanismo è
semplice – spiega Marfella -. I tir trasportano fuori i rifiuti speciali, che sono considerati merce e quindi possono girare liberamente accompagnati da una semplice documentazione cartacea con i codici Cer.
Nel viaggio di ritorno portano 260mila
tonnellate anno di rifiuti industriali che la
Campania importa legalmente per essere
riciclati in impianti industriali intraregionali. Resta un vuoto di circa 600mila tonnellate che la camorra dei colletti bianchi
L’incenerimento illegale
dei rifiuti campani provoca
un aumento vertiginoso
delle patologie tumorali:
+50% sulla media nazionale
e degli affari ha saputo far fruttare, a vantaggio delle imprese del nord». Nel 2005 e
2006 il guadagno della gestione di 30 camion per il solo clan Zagaria è stato di
3milioni. Un via vai intensissimo e indisturbato, in un anno sono stati sequestrati nella provincia di Napoli solo 400 tir.
Ma a bruciare sono anche gli scarti locali. Delle 20mila tonnellate giornaliere di rifiuti industriali campani, un terzo è prodotto in regime di evasione fiscale e quindi non è smaltibile legalmente. Sono i solventi, le colle e gli scarti dei prodotti contraffatti che girano il paese, sono le borse
e le scarpe di marca a 25 euro. Il governo
però ha sospeso il progetto Sistri che
avrebbe assicurato la tracciabilità dei rifiuti, sospeso e posto il segreto di stato. «Le
crisi rifiuti cicliche – conclude Marfella sono state la foglia di fico che ha coperto i
veri interessi che intrecciano malavita, imprese, politica, e ruotano intorno agli scarti industriali. La stampa nazionale ha alimentato una campagna tesa a dipingerci
come incivili e inetti e noi ci siamo sentiti
proprio così, il senso di colpa ci ha chiuso
gli occhi sulla verità».
FERRANTE · «Nessuna sorpresa, ci difenderemo»
Non è stata «una sorpresa», per il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, l’arrivo dei custodi amministrativi all’interno dello stabilimento Ilva di Taranto, «anche se non ci aspettavamo questa tempistica». «Vedremo le loro decisioni nei prossimi giorni - ha commentato ieri Ferrante - ma quanto successo non
cambia la nostra voglia di lottare e difenderci in tutte le sedi istituzionali. Diremo chi siamo, cosa abbiamo fatto e rivendicheremo i successi in campo ambientale». Anche Maurizio Landini, segretario
generale della Fiom, lo incita a rendere tutto trasparente: «L'Ilva renda espliciti gli impegni, gli investimenti e le azioni, anche tecniche, che intende attuare a tal fine». E Ferrante, di cui Landini dice di
aver «apprezzato i toni e i comportamenti, in queste giornate difficili», replica: «Non abbiamo nulla da
nascondere, non abbiamo mai avuto comportamenti ambigui e alla magistratura contesteremo i dati
delle perizie perché crediamo siano parziali, e illustreremo nel dettaglio come abbiamo speso più di
un miliardo di euro per l'ambientalizzazione dello Stabilimento di Taranto e i risultati raggiunti».
pagina 6
il manifesto
MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012
POLITICA
ELEZIONI · Il Quirinale insiste: riformare il Porcellum. E il Pd annuncia un testo
CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE
«Sul voto decido io»
Alla Consulta
il ricorso del Colle
Cosimo Rossi
V
eto al voto. Anticipare le elezioni,
infatti, è questione che spetta solo
al Quirinale. E, siccome anticipare
il voto a novembre è una prospettiva
ttut’altro che peregrina nell’ipotesi di un
governo Monti bis suffragato dall’investitura popolare, il presidente della repubblica Giorgio Napolitano manda a dire
forte e chiaro che si tratta di una decisione di sua esclusiva competenza. Ipotesi
che nelle intenzioni del Colle esige (quantomeno) dai partiti della composita maggioranza Abc una nuova legge elettorale
che la agevoli. Detto fatto: il Pd si è immediatamente dato da fare per presentare
un nuovo testo base su cui avviare la discussione parlamentare al senato.
Perché il capo dello stato in realtà ieri
ha rivolto il proprio appello a un «responsabile sforzo di rapida conclusiva convergenza in sede parlamentare» sulla legge
elettorale dirigendolo in primo luogo proprio nei confronti del suo ex partito. E lo
ha fatto non solo attraverso una nota ufficiale, ma rivolgendosi direttamente al segretario Pierluigi Bersani. E avrebbe sollecitato telefonicamente anche gli altri leader della maggioranza.
A irritare particolarmente il Quirinale
è stata l’intervista di Rosy Bindi all’Unità;
intervista giudicata «inopportuna» dagli
stessi vertici del partito di Bersani. La minaccia di voto anticipato con l’attuale legge elettorale, il vituperato Porcellum, proferita dalla presidente del Pd ha infatti
scoperto troppe carte del gioco, a cominciare proprio dalla carta del voto anticipato. Non a caso si sono immediatamente
levati gli scudi da parte del Pdl, la cui vasta truppa parlamentare non vede certo
di buon occhio un voto che comunque
ne ridurrebbe l’entità e che ha perciò
esortato a non lanciare ultimatum. Un altolà che di fatto ha solo messo mattoni
su mattoni al muro contro muro sulla riforma del voto. Con buona pace del velleitarismo con cui Arturo Parisi continua
a perorare l’impossibile ritorno al Mattarellum (e al bipolarismo); soluzione che
non dispiacerebbe neanche a un Antonio Di Pietro che con l’Idv - non diversamente da Sel - sente sempre più sfuggire
la possibilità di coalizzarsi col Pd. Fermo
restando il no di Grillo a qualunque accordo, che col suo potenziale complica
ROMA
N
GIORGIO NAPOLITANO/FOTO EMBLEMA
non poco le alchimie elettorali di tutti i
partiti.
Tocca perciò al Colle anticipare qualunque veto sulla legge elettorale, quanto
sul voto anticipato: «Ritengo di dover sollecitare la massima cautela e responsabilità in rapporto all’esercizio di un potere
costituzionale di consultazione e decisione che appartiene solo al presidente della repubblica», puntualizza piccato il capo dello stato. «Altre settimane sono trascorse senza che abbia avuto inizio in
parlamento l’esame di un progetto di legge elettorale sulla base dell’intesa, pure
annunciata come imminente da parte
dei partiti rappresentanti attualmente la
maggioranza e aperta al confronto tra tutte le forze politiche», continua Napolitano per poi rinnovare il «forte appello a
un responsabile sforzo di rapida conclusiva convergenza in sede parlamentare»
che «corrisponderebbe con tutta evidenza al rafforzamento della credibilità del
paese sul piano internazionale».
Come a ribadire che se l’intesa sulla
legge elettorale fosse propedeutica a una
reinvestitura attraverso il voto del governo Monti e del suo operato, secondo il
Quirinale il paese ne trarrebbe solo benefici. Ma se il Pd si è immediatamente
CALABRIA
Le strategie «bipartisan»
della ’ndrangheta reggina
Silvio Messinetti
REGGIO CALABRIA
C
ome il Giano bifronte la ’ndrangheta è un mostro a due teste che guarda a destra e a sinistra. Specie a ridosso delle elezioni. Dalle carte dell’operazione Infinito della Dda di Milano contro la cosca Valle-Lampada (che il primo dicembre 2011 portò in cella i presunti boss Giulio e Francesco Lampada, il magistrato reggino Vincenzo Giglio, il consigliere regionale del Pdl e capocorrente di Alemanno in Calabria, Franco Morelli, l’avvocato Vincenzo Minasi e il gip del tribunale di Palmi, Giancarlo Giusti) emerge un quadro inquietante. Basta osservare cosa avviene durante la
campagna per le regionali del 2010. Se il primo marzo si svolge un meeting elettorale
a casa di Giacinto Polimeni, zio dei fratelli Lampada, legato alla potente cosca Condello, alla presenza dell’allora assessore regionale al Bilancio, Demetrio Naccari Carlizzi
del Pd, una settimana più tardi c’è un altro incontro a Reggio. Ma questa volta con Luigi Fedele del Pdl, colui che con l’elezione a presidente di Peppe Scopelliti vestirà i panni di capogruppo regionale e poi assessore regionale ai Trasporti. L’appuntamento è
nell’abitazione del magistrato Giglio (arrestato per i suoi rapporti con i Lampada).
Fedele da una foto scattata dagli inquirenti manifesta una certa confidenza col capoclan Giulio Lampada. D’altronde, Fedele, era «la figura fondamentale per la risoluzione di qualsiasi problematica» annota la Procura di Milano nell’ordiL’indagine contro la cosca
nanza con al centro la cosca dei ValleValle-Lampada rivela la fitta
Lampada, in cui ricostruisce anche i
rapporti tra lo stesso Fedele e Morelli,
rete di rapporti tra clan e
regionale del Pdl, tuttora
politici locali, di centrodestra consigliere
in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo l’accue anche di centrosinistra
sa, Morelli avrebbe caldeggiato la nomina della moglie del giudice Giglio, Alessandra Sarlo, a commissario dell’Asl di Vibo
Valentia. «Ed è proprio il ruolo assunto da Fedele in Regione che poi gli permetterà di
accontentare le richieste di Giglio, passate a Fedele tramite Morelli». D’altronde, prosegue la Dda, «la Sarlo era stata una delle grandi elettrici di Fedele per il quale aveva
fatto intensa campagna elettorale». In questa fitta ragnatela di relazioni tutti danno e
prendono: «Il giudice Giglio ci guadagna il posto per la moglie, Morelli il sostegno politico e gli affari comuni con i Lampada, Giusti viaggi e donnine, i Lampada notizie riservate su indagini, Fedele il sostegno elettorale». Ma c’è di più. In un ristorante di via Veneto a Roma il presunto boss ha incontrato politici di tutti gli orientamenti. Ad alcune
riunioni - annotano gli inquirenti - ha partecipato anche Dimitri De Stefano, figlio del
boss Paolino De Stefano. I politici sono: un consigliere comunale del centrodestra e
un consigliere provinciale del centrosinistra. Dominique Suraci e Rocco De Angelis,
all’epoca dei fatti il primo era nella maggioranza che sostiene il sindaco Scopelliti, il
secondo in quella del presidente della provincia Giuseppe Morabito. Entrambi, non
indagati, si ritrovano con Giulio Lampada. E’ il 23 febbraio 2010, a un mese dalle regionali. Le manovre per la «grande coalizione» della ’ndrangheta sono iniziate.
messo a disposizione per smantellare le
barricate sulla riforma del sistema di voto, tanto da promettere sic stantibus una
nuova proposta al senato, questo non significa che Bersani si sia acconciato anche a dar corso al Monti bis con larga intesa. Prospettiva invece sempre propugnata da Casini. Mentre Berlusconi, cui
necessita una legge per salvaguardarsi
anche come minoranza, ha tutto il vantaggio a tenere le carte coperte per contunare a scoprire il gioco altrui.
on che non fosse
chiaro, ma da ieri
lo scontro tra il
Quirinale la procura di Palermo è ufficiale. L’avvocatura dello Stato ha infatti
depositato presso la Corte
costituzionale il ricorso
con cui il 16 luglio scorso il
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha
sollevato conflitto di attribuzione contro i magistrati siciliani titolari dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. La decisione del
Colle era stato presa dopo
che si era avuta notizia di
una serie di telefonate intercorse tra il presidente
Napolitano e l’ex ministro
degli interni Nicola Mancino, indagato per falsa testimonianza dalla procura di
Palermo. Il contenuto di
quelle intercettazioni non
è mai stato reso noto, tanto più che i magistrati hanno affermato di ritenere
«irrilevanti ai fini dell’inchiesta » evitando però di
chiederne la distruzione e
rimandando ogni decisione in merito al gip. Proprio per questo il Colle si è
DALLA PRIMA
Massimo Villone
Le contraddizioni
del bipolarismo coatto
Il tempo necessario per la presentazione
di liste e candidature e per la campagna
elettorale è sostanzialmente incomprimibile. Quindi, se si votasse all’inizio di novembre, la nuova legge dovrebbe essere stata approvata, promulgata e pubblicata entro la prima metà di settembre. Una probabilità abbastanza remota. Sarebbero poi impossibili innovazioni radicali come un ritorno al collegio. A meno di non
riprendere il Mattarellum, disegnare la mappa
dei collegi aggiungerebbe almeno un paio di mesi ai tempi minimi necessari.
La discesa in campo, da ultimo, di Mario Draghi e della Bce potrebbe concedere qualche tempo maggiore a un intervento legislativo. I punti
su cui si concentra la discussione sono due: le liste bloccate e l’incentivo maggioritario alla governabilità.
Tutti concordano che un parlamento di nominati sia intollerabile. Per di più, la nomina non
garantisce la fedeltà del nominato. E dunque le liste bloccate non hanno impedito i tradimenti e i
cambi di casacca. Ma come uscirne? Il voto di
preferenza sembra l’ovvia risposta. Una lista di
candidati tra cui l’elettore sceglie, e risulta eletto
nella lista chi prende più voti. Si è votato così per
il parlamento fino al 1992, si vota così oggi per i
consigli comunali e regionali.
Ma cosa significherebbe in concreto? Oggi nessun soggetto politico è in grado di governare nel
suo complesso il meccanismo delle preferenze,
orientando le scelte degli elettori. In partiti evanescenti i gruppi dirigenti a tutti i livelli sono
troppo deboli per farlo. Cosa ne segue? Come appunto accade per i consigli regionali e comunali,
la campagna elettorale si frantuma in una serie
infinita di micro-campagne personali, in cui il
peso prevalente viene espresso dai potentati locali del partito. I costi della campagna elettorale
aumentano in misura esponenziale, con tutto
quel che ne segue poi - dopo il voto - nella vita
delle istituzioni. Per di più, la preferenza unica oggi adottata per i consigli degli enti territoriali scatena la competizione all’interno di ciascuna
forza politica. Capi e capetti misurano i rapporti
di forza in base ai candidati a ciascuno riferibili.
E le assemblee elettive assumono una marcata
connotazione neo-notabilare, in cui quel che
conta davvero è il pacchetto di consensi di cui
personalmente si dispone.
Un parlamento eletto in base alla preferenza
non sarebbe diverso. È questo il parlamento
che vogliamo? Soprattutto, è questo il parlamento che serve, in un momento di grave emergenza per il paese? Di fronte a una crisi che si prospetta ancora lunga e che, nel pensiero unico
dominante, chiederà ancora “sacrifici” con perdita per tanti di conquiste sociali e diritti? Certamente no. Per questo, ad avviso di chi scrive,
tra la preferenza e il ritorno a un modello fondato su collegi quest’ultima opzione sarebbe comunque preferibile.
sentito in dovere di intervenire. per Napolitano la
mancata distruzione di
quelle telefonate sarebbe
lesiva delle prerogative del
capo dello Stato, e in particolare di quelle sancite dall’artiolo 90 della Costituzione secondo il quale «il
presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni tranne che per alto tradimento
o per attentato alla Costituzione». Va detto che quelle
in cui si sente la voce del
Capo dello Stato sono intercettazioni casuali, visto
che a essere intercettato
era Nicola Mancino.
Spetta ora alla Consulta
dare una risposta ai quesiti sollevati dal Quirinale,
ma prima il presidente Alfonso Quaranta dovrà decidere una data in cui fissare l’udienza che dovrà decidere se accettare o meno
il ricorso.
Intanto ieri la procura
di Palermo ha rigettato la
richiesta di trasferimento
a Milano o Firenze dell’inchiesta per estorsione che
vede indagato il senatore
del Pdl Marcello Dell’Utri.
Alle difficoltà di prospettiva l’opinione prevalente risponde poi affermando la necessità di
mantenere i presidi alla governabilità e stabilità.
In breve, consolidare l’impianto bipolare, affidare agli elettori la scelta di chi governa, assicurare
la gruccia di un premio di maggioranza. Poco importa che queste parole d’ordine siano state ripetutamente smentite dall’esperienza di quasi
vent’anni. Le sentiamo ancora tal quali.
Qui troviamo una singolare contraddizione.
Perché abbiamo una “strana maggioranza” che
vede insieme a sostegno dello stesso governo i
due corni del sistema bipolare. E nessuno dubita
che nell’emergenza di lunga durata che abbiamo di fronte si prospetti la necessità di convergere a sostegno di risposte e interventi largamente
condivisi. Eppure, si afferma la preferenza per
modelli che radicalizzano lo scontro, e confermano il bipolarismo coatto e di trincea che da tempo viviamo. Che senso ha un premio di maggioranza che gonfia i numeri parlamentari di chi
vince oltre i voti conseguiti e deruba chi perde di
un eguale numero di seggi, se poi bisogna avere
il più largo sostegno per un medesimo governo e
per le sue politiche? E quale maggiore stabilità
può dare un bipolarismo costruito emarginando
o negando la rappresentanza di forze che si presumono antagoniste, e per definizione inidonee
per scelte di governo? Crediamo davvero che
cancellarne i seggi varrebbe a cancellare la domanda sociale che in esse si esprime?
Il tempo dell’emergenza richiede istituzioni
adeguate, la cui forza non si risolve nell’aritmetica parlamentare. Il buon senso dice che questo è il tempo giusto per tornare al proporzionale, a una piena rappresentatività dell’assemblea elettiva, a maggioranze e governi che si formino per accordi nella sede parlamentare e
non siano ingessati dallo scontro elettorale.
Queste sono le istituzioni giuste per l’emergenza. La saggezza dei padri fondatori ci aveva consegnato un sistema che bene risponderebbe,
come infatti bene rispose nella gravissima crisi
del 1992. Speriamo che i patrigni di oggi non
combinino troppi pasticci.
DI PIETRO A TESTA BASSA
«Monti e Napolitano hanno
tramortito la Costituzione»
Antonio Di Pietro di nuovo a testa bassa contro Giorgio
Napolitano, stavolta insieme a Luigi Li Gotti. Il leader e
l’esponente dell’Idv attaccano: «Secondo noi la nostra
Costituzione è tramortita dalla prepotenza di chi avrebbe
tanta voglia di assolutismo, ossia di comprimere la potestà delle Camere. Era la voglia conclamata di Berlusconi.
Pensavamo d’aver raggiunto l’apice. Ci siamo sbagliati:
sottovalutavamo Monti-Napolitano». Nel mirino, l’uso «bisettimanale» dei decreti dei quali «bisettimanalmente» il
Quirinale «verifica i requisiti di straordinaria necessità e
urgenza» e «il governo pone la fiducia e strozza il dibattito parlamentare». «Non c’è ragione, nemmeno la più bieca e strumentale motivazione propagandistica, perché Di
Pietro continui a offendere in modo squilibrato e irrispettoso il capo dello stato e il presidente del consiglio», replica Anna Finocchiaro, Pd. E Veltroni: «Attacchi insopportabili». Anche il leader di Sel Nichi Vendola di dice «molto perplesso sull’assedio polemico verso il Quirinale» e
«se continua così questa china diventa una vera deriva».
TORTURA
Stop al Senato
Carceri, appello
dei direttori
Eleonora Martini
ROMA
S
e governo e Parlamento non
cacciano un ragno dal buco
nero e imbarazzante del sistema della giustizia italiano, a dare una scossa ci pensano i direttori dei carceri. Dirigenti penitenziari iscritti e simpatizzanti della FpCgil che – al contrario dei poliziotti del Silp-Cgil – aderiscono all’appello dell’associazione Antigone
chiedendo l’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento penale. Una notizia in controtendenza in una giornata buia, come ieri, per le galere italiane.
Una giornata cominciata con
l’arrivo a sorpresa nel carcere romano di Regina Coeli di Paola Severino, che questa volta non ce la
fa proprio a dire: «Mi aspettavo di
peggio», come quando uscì una
settimana fa da Poggioreale. Poche ore prima della sua visita, un
detenuto tunisino di 25 anni si è
tolto la vita impiccandosi con quel
che ha trovato: un elastico. Il ministro di Giustizia però è lì per altro:
per verificare le incredibili condizioni in cui versa – da anni – il centro clinico ma su cui ora pende il
rischio di chiusura, dopo che la
stessa Asl ha infine rilevato una «situazione insostenibile».
Ma è solo una delle tante giornate nere che dovrebbero mandare
sulle furie la Guardasigilli, anche
se Paola Severino probabilmente
non ne coglie appieno la drammaticità, celata nel lungo, disperato,
applauso che i detenuti le dedicano. Da Lecce, infatti, arriva anche
la notizia di un altro recluso che si
è tolto la vita, e in questo caso i
magistrati ipotizzano perfino l’istigazione al suicidio. Mentre Antigone chiede lumi alla stessa ministra
per capire come mai uno scrittore-detenuto come Carmelo Musumeci, per una volta ottimo
esempio delle buone pratiche di
"reinserimento sociale", debba essere ora trasferito dal carcere di
Spoleto dove vive da anni.
Una giornata tanto più buia perché l’unico segno di vita che il Parlamento sta dando in materia di
giustizia – l’introduzione del reato
di tortura – rischia di trasformarsi
in uno stato semi-vegetativo, a
causa di inspiegabili ritardi e di veti incrociati. Avrebbe potuto infatti essere messo ai voti ieri, in commissione Giustizia del Senato, il testo unificato del ddl messo a punto dal relatore Felice Casson per introdurre la nuova fattispecie di reato. A mezzogiorno, scaduti i termini della presentazione degli emendamenti, il lavoro poteva ritenersi
quasi pronto per le votazioni finali. Manca però il parere della commissione Bilancio: «Lo abbiamo
sollecitato più volte, anche come
gruppo – spiega il Pd Casson – ma
inutilmente. Abbiamo anche eliminato, per agevolare l’iter in tempi di crisi, ogni richiesta di risorse
finanziarie, necessarie per il risarcimento delle vittime di tortura.
Una volta introdotto il reato, si potrà valutare questo aspetto in un
secondo momento». Un parere dirimente, visto che sulla decina di
emendamenti presentati che si riducono a un paio di questioni tecniche sulla costruzione della fattispecie di reato, «c’è ampia convergenza», assicura Casson. Tranne
per qualche bizza del centrodestra. Che però non potrà non tenere conto ora dell’appello dei nove
direttori dei carceri che considerano la mancanza del reato di tortura «un fatto la cui gravità, in termini democratici e di civiltà giuridica, non può lasciare indifferenti».
il manifesto
MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012
pagina 7
LONDRA 2012
Inventato dalle élite vittoriane nel XIX
secolo, il ping pong sarà anche tornato
a casa come dice il sindaco di Londra
Ma per gli atleti cinesi è un motivo
in più per primeggiare. Il tennis tavolo
parla una sola lingua ufficiale: la loro
Matteo Patrono
INVIATO A LONDRA
C’
era anche uno scatenato
Bill Gates domenica all’ExCel Center, mischiato
in mezzo al pubblico rumoroso ed
entusiasta del ping pong. Era qui
per seguire dal vivo l’avventura di
una ragazzina cino-americana che
lo chiama affettuosamente zio Bill.
Si sono conosciuti per caso nel
2005 alla festa di compleanno per i
75 anni di Warren Buffet, Hariel
Hsing di anni ne aveva nove e da allora impartisce lezioni di tennis tavolo al fondatore della Microsoft.
Il sostegno di Uncle Bill però non
è bastato alla sedicenne californiana per tenere vivo il sogno olimpico: aveva di fronte la numero 2 del
torneo, la cinese Li Xiaoxia, e pur
avendole creato qualche grattacapo si è dovuta arrendere 4-2. D’altronde contro le ragazze della Repubblica popolare non c’è mai stata storia. Da quando il ping pong è
diventato sport olimpico nel 1988 a
Seul, le giocatrici cinesi hanno vinto l’oro in ogni singola edizione dei
giochi. Con gli uomini il monopolio
è stato meno asfissiante. Due volte
hanno prevalso i coreani, una lo
svedese Jan-Ove Waldner a Barcellona nel ’92. Ma quattro anni fa a
Pechino è stata tutta roba loro. Uomini e donne: oro, argento e bronzo nell’individuale più l’oro a squadre. Il tennis tavolo parla una sola
lingua ufficiale. La loro.
Qui a Londra puntano a fare il
bis, con una motivazione in più. Come ha spiegato quello sbruffone
del sindaco di Londra, Boris Johnson, il ping pong è tornato a casa.
Nel senso che lo inventarono le élite vittoriane nel 19mo secolo, qualcuno dice i funzionari inglesi in India, qualcun altro i nobili ubriaconi
che dopo cena si divertivano a usare le scatole di sigari come racchette e i tappi dello champagne al posto delle palline, i libri piazzati sulla
tavola sparecchiata fungevano da
rete. Secondo Johnson il nome originale era Whiff Waff (il rumore dei
tappi), secondo il Museo del tennis
tavolo di Losanna Gossima (da gossamer, leggero, delicato), in breve
per tutti ping pong (il suono della
pallina). Gioco che l’impero britannico esportò a Shanghai nel 1930.
Nel giro di venti anni il pinpangqiu
si trasformò nello sport nazionale
WANG HAO DURANTE IL MATCH CON L’AUSTRIACO SCHLAGER/FOTO REUTERS
Obbligati a vincere
cinese, il preferito pure di Mao Ze
Dong. L’anno di svolta però è il
1959 quando lo sconosciuto Rong
Guotuan conquista il titolo mondiale di tennis tavolo. Il primo ministro Zhou Enlai lo ribattezza l’anno
della Doppia Felicità perché il primo storico successo sportivo della
Cina a livello internazionale coincide col decimo anniversario della
fondazione della Repubblica Popolare. Fine del complesso d’inferiorità con l’Occidente, nato con le guerre dell’oppio. Rong diventa un eroe
della rivoluzione, lo sport una formidabile arma politica. «Considera-
te la pallina come la testa del nemico capitalista. Colpitela con la vostra racchetta socialista e la madrepatria trionferà». Alé. La gloria però
dura un attimo, la Rivoluzione Culturale infatti mette al bando la borghesia degli atleti professionisti,
spediti nei campi di lavoro con l’accusa di essere maniaci del successo
personale. Tra loro c’è pure Rong
Guotuan, umiliato, incarcerato, suicida con tre compagni di squadra
alla fine degli anni sessanta prima
che il partito si ravveda e trovi nella
diplomazia del ping pong il modo
di scongelare i rapporti con gli Usa
Carabina/ ARGENTO, DIETRO IL ROMENO MOLDOVEANU
Campriani si ferma
a 2 millimetri dall’oro
Nicola Sellitti
A
due millimetri dall’oro
olimpico. Un finale thriller, senza lieto fine. E la
seconda medaglia italiana che
arriva dal poligono di tiro, dopo
l’argento di Luca Tesconi nella
pistola 10 metri nel primo giorno di gare. Il fiorentino Niccolò
Campriani ha vinto ieri la medaglia d’argento nella carabina uomini 10 metri, con il punteggio
finale di 701.5. L’oro è andato al
romeno Moldoveanu, il bronzo
all’indiano Narang. Una vittoria
attesa, un oro quasi scontato
ma svanito, come per Valentina
Vezzali nel fioretto individuale.
Campriani era il favorito assoluto della vigilia. E nelle qualificazioni aveva fatto segnare il record olimpico, alla pari con il romeno. Il metallo più prezioso è
scappato via negli ultimi tre colpi, dopo una recita perfetta.
Da Londra ecco però l’ennesima prova di un trend che arriva
dalle Olimpiadi cinesi. Scherma, pistola, carabina, l’oro nel tiro con l’arco del trio Michele
Frangilli, Marco Galiazzo e Mauro Nespoli, a segno con le frecce
preparate dalla Ferrari. Da po-
polo di navigatori a tiratori scelti, la metamorfosi che ci rende
protagonisti in Inghilterra. Ottava medaglia azzurra, la quarta
d’argento. E terzo posto – almeno sino a ieri pomeriggio – nel
medagliere a cinque cerchi, davanti all’atteso ma sinora deludente colosso britannico, dietro
solo alle potenze Stati Uniti e Cina, che raccolgono successi a
grappoli dalle piscine, tra nuoto
e tuffi.
E non è ancora finita, perché
è in arrivo la specialità preferita
da Campriani, la carabina uomini 50 metri, al via il 6 agosto.
«Per questo motivo non sprizzo
ancora gioia, perché la mia
Olimpiade non è finita – spiegava a fine gara il 24enne ingegnere-tiratore fiorentino – Da zero
a dieci sono felice undici. La medaglia alla fine la dimentichi pure, magari tra 20 anni, ma volevo vincere la sfida con me stesso, cancellare la delusione di Pechino».
La sua rivincita personale è
partita dal 12mo posto nelle
Olimpiadi asiatiche. Poi nel giro
di due anni sono arrivati titoli a
pioggia, soprattutto nel 2012.
Medaglia d’oro ai Mondiali di
Monaco e un bronzo a squadre.
In più, un argento individuale e
l’oro a squadre agli Europei di
Vierumaki. E il primo posto nel
ranking mondiale della specialità. Una vita sportiva e sentimentale che cambia nel 2009 quando incontra Petra Zublasing. Anche lei tiratrice, soprattutto portafortuna del neo argento olimpico: «Stiamo insieme da tre anni e Niccolò ha vinto dieci dei
tredici tornei cui ha partecipato, senza mai fallire il podio» ha
poi detto la fidanzata, atleta delle Fiamme Gialle con la passione per il poligono alimentata durante i quattro anni di college
nel West Virginia. Ha perso il
metallo più pregiato per un’inezia. «Non ho rimpianti, solo felicità. In gara non è facile, ogni
colpo è comandato, Ci sono pochi secondi e se ti prende il panico è finita. Io dopo il primo nove pensavo il peggio, mi son rimesso in carreggiata e alla fine
sono riuscito a finire la gara come volevo».
di Richard Nixon e uscire così dall’isolamento politico.
Cinquanta anni dopo, il fantasma del povero Rong si aggira sconosciuto ma felice dentro l’ExCel
Center, il megacomplesso sulla riva
del Tamigi che ospita oltre al tennis
tavolo anche le gare di pugilato, judo e sollevamento pesi. I tavoli blu
cobalto su cui si disputa il torneo
olimpico sono forniti dalla ditta di
Shanghai Double Happiness Sports, nata proprio dopo la vittoria del
’59 dalla fusione di alcune manifatture locali per volontà del governo
di Pechino. Ne producono 100mila
l’anno (qui ce ne sono una settantina, di cui quattro da competizione,
gli altri di riserva e allenamento)
più 4 milioni di racchette e 100 milioni di palline. Ogni tavolo viene ripassato a mano con dei panni lunghi un metro prima di essere pitturato. Guai se la verniciatura supera
lo spessore di due millimetri, il rimbalzo della pallina potrebbe prendere traiettorie inconcepibili. Le racchette continuano a produrle col legno (65%) ma il materiale high-tech avanza e presto o tardi prenderà
il sopravvento. Quello che resta immutabile è il dominio dei giocatori
e delle giocatrici cinesi, tanto che il
Comitato olimpico internazionale
a un certo punto è stato costretto a
limitare la partecipazione ai i giochi
a due atleti per nazione, altrimenti
il torneo olimpico si sarebbe trasformato in un campionato cinese a
cinque cerchi. Questo ha prodotto
una corsa alla naturalizzazione degli atleti cinesi da parte di quasi tutti i paesi del mondo, Italia compresa, che qui infatti era rappresentata
da Wenling Tan Monfardini, 40 anni, originaria di Hunan, sposata
con un italiano dopo esser venuta
in vacanza nel nostro paese sul finire degli anni novanta. È stata eliminata al secondo turno. La Spagna
ha portato invece He Zhiven, 50 primavere, uno che ha cominciato a
giocare ai tempi di Mao e Nixon e
sembra il nonno di Jike Zhang, il
giovane numero 1 cinese che pur
essendo alla sua prima olimpiade è
il favorito di tutti i bookmaker inglesi per la conquista dell’oro insieme
alla collega Ning Ding, soprannominata affettuosamente Big Baby per
la stazza piuttosto robusta.
A contendere il gradino più alto
del podio a Zhang c’è Hao Wang,
cinque anni più vecchio, che nel
2004 fece scandalo a Pechino perché venne a galla la sua proibitissima storia d’amore con la compagna di squadra Ying Fan, minorenne. Espulsa e rispedita a casa lei, salvato lui che ad Atene vinse la medaglia d’argento. La sua convocazione
per Londra ha creato nuove polemiche perché c’erano almeno un paio
di giocatori con una classica migliore. «Tutte bugie – spiega Wang dopo aver strapazzato l’austriaco
Werner Schlager nel terzo turno
del torneo maschile – la forza del
ping pong cinese è la solidarietà. A
Londra sono venuti con noi anche
i giocatori non qualificati, ci alle-
Unico spauracchio
è Boll, mancino
tedesco che però
ha vissuto e si è
allenato in Cina
niamo con loro per mantenere un
livello di concentrazione altissimo. Il mio compagno di allenamento è Ma Lin, medaglia d’oro a
Pechino 2008. Sappiamo di essere
obbligati a vincere perché questo
è quello che tutti si aspettano da
noi, conviviamo con questo tipo
di pressione dal momento in cui
prendiamo in mano la racchetta.
Su per giù intorno ai quattro anni». I giornalisti al seguito spiegano che Wang è stato scelto per la
sua esperienza e per il fatto di aver
un record quasi immacolato contro gli avversari europei. Il grande
spauracchio di Londra 2012 è infatti Timo Boll, un mancino tedesco
che ha vissuto in Cina, si è allenato coi cinesi, è stato votato persino
uomo più sexy del mondo da una
rivista femminile cinese ed è l’unico europeo nella classifica dei dieci giocatori più forti del pianeta
(numero 7, davanti a lui cinque cinesi e un giapponese). Ha 31 anni
ed è cresciuto col mito dello svedese Waldner , primo e unico rappresentante europeo ad aver fregato i
figli della terra di mezzo a ping
pong. «La pressione la avverto anch’io, che credete. E ogni tanto fa
bene, spingersi fino al limite serve
a mantenersi carichi. Poi quel che
viene viene». In caso di vittoria, ieri sera, oggi nei quarti lo aspetta,
guarda un po’, Hao Wang.
NUOTO
FENOMENALE YE SHIWEN,
GLI USA L’ACCUSANO DI DOPING
Qualche segno di nervosismo, con aperte
accuse di doping, arriva dagli organismi
ufficiali del nuoto statunitense dopo l’impressionante performance d Ye Shiwen (foto), la sedicenne cinese che ha nuotato più
veloce di Ryan Lochte e Michael Phelps nei
400 misti individuali. Il suo record semplicemente «non è credibile» secondo John Leonard, direttore esecutivo della World Swimming Coach Association e della Usa Swimming Coach Association. «Dobbiamo esser
prudenti quando parliamo di doping, ma
nella storia del nostro sport quando vediamo qualcosa di "incredibile", e metto incredibile tra virgolette, la storia ci mostra che
c'entra il doping», ha detto Leonard al giornale britannico The Guardian: «Quegli
ultimi cento metri, a gente che lavora in
questo settore da anni, ricordano le nuotatrici dell'Europa dell'est. Ricordano i 400
misti di Michelle Smith a Atlanta». Michelle
Smith, irlandese, vinse i 400 misti nel
1996 e due anni dopo fu bandita per quattro anni per doping. Ma Ye Shiwen nega
«categoricamente» il doping. «La squadra
cinese ha regole ferree», ha detto la giovane atleta, che ha stupito anche ieri nelle
qualificazioni dei 200 misti, facendo segnare il miglior tempo mondiale dell'anno.
JUDO
BRONZO SFUMATO PER IPPON,
QUINTAVALLE FUORI DAL PODIO
L'oro vinto a Pechino 2008 faceva ben sperare, ma a Londra Giulia Quintavalle fallisce
anche l’assalto al bronzo. Nella categoria
57 chilogrammi l'azzurra ha perso infatti la
finale per il terzo posto, conquistato dalla
statunitense Marti Malloy, che ha vinto l’incontro per ippon. «Dovevo fare di più ma
ero tesa, ho sbagliato e ho pagato», ha
detto l’atleta italiana. La medaglia d’oro è
andata alla giapponese Kaori Matsumoto
(foto), che ha battuto in finale la romena
Corina Caprioriu. Sempre nel judo, ma maschile, categoria 73 kg, il nuovo campione
olimpico è il russo Mansur Isaev, che in
finale ha avuto la meglio sul giapponese
Riki Nakaya, campione del mondo in carica. La medaglia di bronzo è andata a Ugo
Legrand (Francia) e a Nyam-Ochir Sainjargal (Mongolia).
CALCIO/1
FURIE ROSSE ELIMINATE, CHOC
E SFOTTÒ DEI MEDIA SPAGNOLI
«La Spagna morde la polvere», titola Marca, che aggiunge: «I Giochi fanno scendere
la Spagna dall'Olimpo». «Sorpresa maiuscola», urla a tutta pagina El Mundo Deportivo.
Qua e là altri titoli fanno riferimento al «disastro» e al «colpo terribile». E c’è chi si
chiede ironicamente se il calcio debba essere per forza uno sport olimpico. Il giorno
dopo l’umiliazione subita dalla Spagna ad
opera dell’Honduras, choc e sfottò si mescolano sulle prime pagine dei giornali iberici. Il gol di Jerry Bengston al 7’ del primo
tempo ha bissato lo 0-1 patito dagli spagnoli con il Giappone. Così la squadra superfavorita è fuori dai Giochi olimpici dopo
appena due partite, relegata all’ultimo posto del suo girone (dietro al Marocco, che
un punticino l’ha rimediato).
CALCIO/2
RAZZISMO VIA TWITTER, FUORI
LO SVIZZERO MORGANELLA
Michel Morganella è stato escluso dalla
nazionale di calcio svizzera per una frase di
stampo razzista pubblicata sul suo profilo
Twitter. Il 23enne, sotto contratto con il
Palermo, al termine dell'incontro perso 2-1
contro la Corea del Sud ha attaccato gli
avversari postando la sua reazione ai fischi
che gli erano stato riservati dopo aver simulato un fallo. Poi si è scusato e ha cancellato il twitt, ma ormasi per lui era già stata
decisa la stessa sorte toccata alla saltatrice
tripla greca Voula Papachristou.
pagina 8
il manifesto
MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012
INTERNAZIONALE
ISRAELE · A sud di Hebron, l’esercito demolirà le aree palestinesi per svolgere manovre militari
YEMEN
ALEPPO
Otto villaggi sotto sfratto
Il rapimento
del carabiniere
I ribelli: un varco
verso la Turchia
Michele Giorgio
B
en otto villaggi palestinesi a
sud della città di Hebron, in Cisgiordania, rischiano di essere
demoliti dall’esercito israeliano che
userà quelle aree per svolgervi manovre militari. Si attende ora la decisione dei giudici della Corte Suprema di
Israele. Riferita nei giorni scorsi dal
quotidiano Haaretz, la notizia è stata
ignorata da buona parte dei media
internazionali. Nei territori occupati
al contrario ha suscitato proteste e
forte preoccupazione. Molti l’hanno
interpretata come il passo preliminare all’espulsione dei palestinesi dalla
zona C, ossia quel 61 per cento della
Cisgiordania che a quasi 19 anni dalla firma degli Accordi di Oslo (l’anniversario è il 13 settembre) rimane sotto il controllo esclusivo dell’esercito
israeliano. Gli abitanti degli otto villaggi saranno «trasferiti», evidentemente contro la loro volontà, verso
la cittadina di Yatta dove alcuni di loro avrebbero altre abitazioni. L’eser-
Le case dei pastori,
ricavate dalle
grotte, vengono
considerate
«illegali» da Tel Aviv
cito, quando non dovrà svolgere le
esercitazioni, consentirà ai contadini
palestinesi di raggiungere i campi
coltivati nelle aree confiscate. Lo stesso avverrà in altri due periodi dell’anno.
Majaz, Tabban, Sfai, Fakheit, Halaweh, Mirkez, Jinba e Kharuba. Piccoli villaggi di pastori, alcuni dei quali vivono in case ricavate da grotte.
Israele li considera «illegali». Ma
gran parte di essi esisteva già nel
1830, ha sottolineato lo stesso Haaretz. In ogni caso sono centri abitati
palestinesi in territorio palestinese e
per la legge internazionale i veri illegali sono gli insediamenti colonici
israeliani. Con un gesto di «generosità» il ministero della difesa israeliano
ha «salvato»Tuba, Mufaqara, Sarura
and Megheir al-Abeid. Si tratta di
una vicenda che comincia negli anni
’70 quando l’esercito israeliano dichiarò circa 30mila dunam (3mila ettari) di terra palestinese zona proibita ai non residenti. Un provvedimento vecchio di 40 anni, che già indicava l’intenzione di Israele di non restituire ai palestinesi porzioni consistenti della Cisgiordania dove in seguito, non certo a caso, ha costruito
gran parte delle sue colonie nei Territori occupati. E non è un caso neanche che il percorso del Muro di Separazione segua, più o meno fedelmente, la «frontiera» tracciata da questo
disegno antico ma sempre attuale.
Firmando gli accordi che vanno
sotto il nome di Oslo 2 (1994), Israele
in cambio del via libera alla nascita
dell’Autorità nazionale palestinese
(Anp), si assicurò il controllo totale
del 61% della Cisgiordania (Area C),
fino ad un accordo definitivo dello
stutus dei Territori occupati palestinesi che, nel frattempo, non è mai arrivato. Ha anche il controllo di sicurezza della cosiddetta Area B (oltre
20% della Cisgiordania) dove l’amministrazione civile è palestinese. Al-
HEBRON (WEST BANK), PROTESTE CONTRO I COLONI ISRAELIANI/FOTO REUTERS
l’Anp dopo 19 anni di trattative, rivolte palestinesi contro l’occupazione,
negoziati veri e presunti, resta il controllo pieno di meno del 20% della Cisgiordania. «Pieno» sino ad un certo
punto, perché le forze armate israeliane non esitano ad entrare anche
nelle città autonome palestinesi per
«operazioni di sicurezza».
«Israele non ha mai dichiarato
apertamente la sua linea ufficiale per
l’Area C ma la attua in silenzio sul terreno», spiega l’avvocato Shlomo Lacker, dell’Associazione per i Diritti Civili (Acri), che rappresenta 200 famiglie palestinesi minacciate di espulsione. «È un modo per prendere le distanze dagli accordi con i palestinesi,
gli Stati uniti e dalla possibilità di raggiungere la soluzione dei due Stati
(Israele e Palestina). Non ci saranno i
due Stati se Israele prenderà il controllo di tutto» aggiunge Lecker. Nell’Area C della Cisgiordania, oggi ancora più di prima, ai palestinesi è vietato costruire persino un muretto alto 50 cm senza l’autorizzazione dell’esercito che raramente concede
permessi edilizi. Persino le agenzie e
le ong internazionali si trovano in forte difficoltà quando devono operare
in questa ampia fascia di territorio
palestinese sotto la piena occupazione militare israeliana.
Mark Regev, portavoce dell’ufficio
del primo ministro israeliano Netanyahu, respinge seccamente la tesi di
chi denuncia tentativi di espulsione
della
popolazione
palestinese.
«Smentisco totalmente che sia in atto un piano per spingere fuori i palestinesi dall’Area C. Israele sulla base
degli accordi firmati ha il controllo di
questa porzione di territorio. Lo status finale sarà deciso attraverso negoziati futuri», afferma Regev. Tuttavia
sul terreno le cose vanno diversamente e la politica israeliana appare
in linea anche con la composizione
demografica del territorio emersa do-
po quasi venti anni di trattative inutili in cui le colonie sono cresciute in
numero e, soprattutto, per estensione. Oggi in Area C vivono oltre
300mila settler israeliani e un numero imprecisato di palestinesi: dai
117mila registrati dall’Ufficio Centrale di Statistica dell’Anp ai 92mila indicati da Israele, fino ai 150mila delle
statistiche ufficiali di Ocha, l’ufficio
di coordinamento degli affari umanitari dell’Onu. E sulla base di questi
numeri la destra israeliana chiede al
governo di passare alle vie di fatto e
di annettere subito l’Area C, in modo
da definire con un atto unilaterale i
confini dell’entità (senza reale sovranità) che sarà chiamata Stato di Palestina all’interno della Cisgiordania.
Si spiega così la richiesta di demolizione degli otto villaggi palestinesi a
sud di Hebron. Ma nessun rappresentante ufficiale israeliano commetterà l’errore di ammerterlo apertamente e continuerà a parlare di «rimozione di abusivi».
Non si sa ancora chi abbia
rapito, nello Yemen, il carabiniere italiano addetto
alla sicurezza dell’ambasciata a Sanaa. Ieri, il ministro degli Esteri Giulio Terzi
ha avuto una lunga conversazione telefonica con il
suo omologo yemenita Abu
Bakr al Qirbi. Uomini armati hanno sequestrato il carabiniere nei pressi della sede diplomatica, situata nel
quartiere di Hadda. Fonti
della sicurezza yemenita
sembrano però escludere
la pista politica legata ad
al-Qaeda. Potrebbe trattarsi invece di gruppi tribali
che intendono ottenere
qualcosa dal governo in
cambio dell’ostaggio. Anche l’ultimo sequestro di
italiani avvenuto nello Yemen alla fine del 2005 (cinque turisti) risultò opera di
una tribù locale. Sembra
anche escluso un legame
tra il sequestro e l’assalto
al ministero degli Interni,
avvenuto a Sanaa nello
stesso giorno. L’edificio,
che si trova in un’area lontana dal quartiere di Hadda, è stato occupato da un
centinaio di militanti fedeli
all'ex presidente Ali Abdullah Saleh, che chiedono
alla nuova amministrazione
yemenita di essere arruolati nella polizia. I militanti
hanno anche preso in
ostaggio il personale del
ministero, rilasciarlo poche
ore dopo. Un altro episodionel quadro di endemica
instabilità che attraversa lo
Yemen, il più povero tra i
Paesi della penisola arabica, e che non è venuto meno con l'uscita di Saleh,
dopo 34 anni al potere.
A
d Aleppo, dove gli oppositori al
regime siriano di Bashar al-Assad si dicono pronti a morire,
gli insorti hanno conquistato un posto di controllo strategico, situato ad
Anadane, nel nord-ovest della città.
Un obiettivo raggiunto dopo circa dieci ore di combattimenti, determinante perché consente di collegare la seconda città del paese alla frontiera turca. Da sabato scorso, Aleppo è teatro
di una feroce battaglia tra le truppe governative e i ribelli. Ieri, con l’apertura
di quel corridoio verso la Turchia - distante 45 km e retroterra strategico
per i ribelli dall’inizio del conflitto, a
marzo dell’anno scorso - l’Esercito siriano libero già dava per scontata la
vittoria. E in un ospedale turco è stato
trasportato Omar Khachram, il giornalista della televisione qatariota, al-Jazeera, ferito nei combattimenti. Fonti
del governo siriano, subito smentite
dai ribelli, sostengono invece che
l’esercito ha ripreso il controllo di una
parte del quartiere di Salaheddine,
principale roccaforte degli insorti nel
sud-ovest della città.
Le autorità turche ieri hanno inviato alla frontiera con la Siria quattro
convogli per il trasporto dei soldati,
carri, missili e blindati, giustificando
le manovre come «normali esercizi di
addestramento militare» che non
avrebbero attraversato la frontiera. I
combattimenti ad Aleppo sono iniziati il 20 luglio e l’assalto delle forze governative si è verificato sabato, dopo
l’arrivo in massa dei ribelli nella città,
che conta 2,5 milioni di abitanti. Secondo i responsabili delle operazioni
umanitarie Onu, circa 200.000 persone sono in fuga. Kofi Annan, mediatore internazionale per conto delle Nazioni unite e della Lega Araba, ha nuovamente invitato governo e opposizione armata a trovare una soluzione pacifica, mentre l’Esercito libero continua a chiedere all’Occidente l’intervento armato.
KURDISTAN · Il calvario delle famiglie in fuga dal conflitto tra ribelli e al-Assad
Scambio di rifugiati tra Siria e Iraq
Ettore Acocella
ERBIL (KURDISTAN IRACHENO)
L
a Siria è stata negli ultimi anni il paese che ha ospitato la
maggioranza dei rifugiati iracheni, almeno un milione, in fuga
dopo la caduta di Saddam Hussein.
Ora, seguendo un drammatico gioco delle parti, coloro che non erano
già rientrati o espatriati in Europa e
negli Stati Uniti, rientrano in Iraq,
preoccupati per i futuri sviluppi della crisi siriana. In direzione opposta
va avanti l’esodo dei siriani verso
l’Iraq.
Secondo i dati dell’Unhcr
(L'agenzia delle Nazioni unite per i
rifugiati), sono circa 9.000 i rifugiati
arrivati in Iraq negli ultimi mesi,
ma le Ong parlano di più di 15.000
tra giovani uomini e famiglie. L’Iraq
non è considerato un porto sicuro
dai siriani in fuga, e non hanno tutti
i torti osservando la cronaca degli
primi giorni di Ramadan, con più
MERCOLEDÌ 1 AGOSTO
SERATA DI SOSTEGNO PER IL MANIFESTO
ore 19.30 APERITIVO E INCONTRO
Le vie dell’alternativa in America latina.
Il Venezuela bolivariano
Partecipano
Geraldina Colotti, Le Monde diplomatique/il manifesto
Indira Pineda, Red por Ti America, Cuba
Mario Neri, Circolo bolivariano Antonio Gramsci, Caracas
ore 19.30 Cena a base di pesce a miglio Zero
Progetto Critical Fish dalla cattura alla cottura
prezzo della cena: 10 euro bevande escluse
Si consiglia la prenotazione
Ex Asilo Filangieri
vico Giuseppe Maffei 4 (via San Gregorio Armeno) - Napoli
per info e prenotazioni
[email protected]
3389012569 http://www.labalena.wordpress.com
di 100 morti e circa 200 feriti in una
serie di attacchi contemporanei a
Baghdad e in altre città irachene.
A questo si aggiunga l’atteggiamento di ambigua prudenza mantenuto dal governo centrale iracheno
rispetto alla crisi siriana e al futuro
del regime di Bashar al-Assad; il premier iracheno Nouri Al-Maliki guida un debole governo con l’appoggio iraniano e il regime di Damasco
è considerato un alleato. Un segno
di questo atteggiamento prudente
si è avuto la settimana scorsa, con
la decisione del governo iracheno,
poi ritirata, di chiudere le frontiere
con la Siria ai non iracheni.
Per questi motivi quasi il 95% dei
rifugiati siriani in Iraq sono kurdi,
provenienti dalle città del nord-est
della Siria (Khamishli, Hasaka,
Afrim). Entrano in Iraq nei pressi
del varco di Rabia che segna il confine tra Siria e Kurdistan Iracheno, ormai largamente autonomo dal governo di Baghdad, che accoglie i ri-
fugiati perché vuole mostrarsi come la «casa di tutti i kurdi». Non a
caso anche nei pochi giorni di chiusura degli altri valichi di frontiera,
Rabia è rimasto aperto.
Tra i profughi kurdo-siriani ci sono famiglie in fuga dalle violenze e
molti (quasi il 70%) giovani uomini
che scappano per evitare di essere
arruolati dall’esercito regolare siriano. Gli operatori di «Un ponte per…» li hanno incontrati in uno dei
due campi profughi allestiti nei
pressi della città di Dohok: sono
quasi tutti ragazzi tra i 20 e i 30 anni, che raccontano del difficile cammino per raggiungere il Kurdistan
iracheno, tra contrabbandieri, guardie di confine corrotte e lunghe
camminate a piedi nella notte.
Dicono quanto sia sempre stato
difficile appartenere alla minoranza kurda in Siria, e come la situazione sia peggiorata con l’inizio delle
rivolte contro Assad. Chiedono
un'autonomia che li tuteli, ma non
pensano di stabilirsi nel Kurdistan
iracheno: ma la Siria è casa loro, ed
è lì che vogliono tornare.
Intanto, nonostante i disagi della
vita nei campi profughi alcuni si sono registrati presso l’Unhcr e possono avere permesso di soggiorno e
accesso all’istruzione e alla sanità
garantite dal Governo regionale
Kurdo. Per alcuni di questi giovani
le autorità hanno invece predisposto un addestramento di tipo militare; secondo le dichiarazioni ufficiali
del Governo regionale Kurdo lo scopo sarebbe di prepararli a garantire
la sicurezza dei territori da loro abitati una volta rientrati in Siria. Un
esperimento pericoloso che rischia
di contribuire solo alla ulteriore etnicizzazione del conflitto siriano.
Migliaia di rifugiati vivono poi al
di fuori dei campi; ospiti di amici e
parenti, dispersi nelle varie città del
nord iracheno. Donne e uomini
che sfuggono per diffidenza al meccanismo della registrazione e dell’assistenza, spesso senza permesso
di soggiorno, per questo ricattati e
sfruttati soprattutto dal mercato del
lavoro nero. Ultimi fra gli ultimi, è
difficile dire quanti siano, difficile
anche tracciarli in quell’area grigia
d’illegalità che li rende molto simili
ai nostri «immigrati clandestini».
L’organizzazione non governatova kurda-irachena Public Aid Organization (Pao), sin dall’inizio dell’emergenza porta avanti un lavoro
di monitoraggio di coloro che non
sono registrati come profughi, cercando di capire dove sono e in che
condizioni vivono, offrendo orientamento e cercando di porsi come intermediario per trovargli un lavoro
dignitoso.
«Un Ponte per…» e Pao stanno
predisponendo insieme un programma di assistenza legale e sanitaria per questi rifugiati, per farli
uscire dall’ombra e offrirgli condizioni di vita dignitose in attesa che
possano tornare in Siria.
www.unponteper.it
il manifesto
MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012
pagina 9
INTERNAZIONALE
Asunción •
I contadini senza terra, che chiedono l’applicazione della riforma agraria,
non trovano giustizia in un paese asservito alle destre. L’articolo completo sul Diplò del 17 agosto
Tutto il mese in Diplò. Quest’anno anche d’agosto. Per la prima volta, in abbinato al manifesto, troverete un numero speciale di Le Monde diplomatique a partire dal 17 e fino all’uscita di
quello successivo (il 13 settembre). Grandi firme e reportage d’eccezione raccontano frontiere economiche e frontiere di guerra,
«primavere» dei popoli e slanci artistici, e nodi storici mai sciolti davvero. Nel ricco piatto agostano, un’inchiesta del sociologo
Raúl Cazal
ASUNCIÓN
D
a quando Fernando Lugo si
è insediato alla presidenza,
del Paraguay, per ventitré
volte hanno tentato di metterlo sotto
accusa, la ventiquattresima è stata
quella buona. Ma per raggiungere
questo risultato sono dovuti morire
6 poliziotti e 11 contadini a Curuguaty: su terre che appartengono allo
Stato ma delle quali l'ex senatore del
Partito colorado, Blas Ferreira, si è
appropriato fin dall'epoca della dittatura di Alfredo Stroessner.
Alle tesi dello scontro tra polizia e
contadini, imposte da settori politici
attraverso una campagna mediatica,
si è contrapposta quella dei franchi tiratori. Ovviamente quest'ultima non
è stata particolarmente diffusa dato
che i deputati paraguayani già avevano deciso l'impeachment di Lugo
per «cattivo comportamento nell'esercizio delle sue funzioni».
Il giudizio politico emesso dai parlamentari, che in poche ore sono riusciti a destituire il presidente, sosteneva che Lugo: aveva autorizzato
una riunione nel Comando di ingegneria delle Forze armate – il delitto
è stato quello di menzionare il concetto di «lotta di classe»-; aveva dialogato con leader contadini senza-terra che a Ñacunday occupavano terreni dello stato protetti dalla Riforma
agraria, ma che i latifondisti reclamano come propri – l'accusa fu «la mancata risposta delle forze dell'ordine
di fronte all'occupazione di beni privati»; aveva provocato una crescente
insicurezza; aveva firmato, nel dicembre del 2011, il protocollo di
Montevideo, Ushuaia II, per l'impegno democratico nel Mercosur; era
responsabile del massacro di Curuguaty.
Michel Hartmann sul mito della «classe globale». Un’analisi a
tutto campo sui costi della crisi e la mobilitazione di quanti, in
Europa, non sono più disposti a pagarla. Lo sguardo dei geografi Allan Popelard e Paul Vannier su Las Vegas, metropoli statunitense e capitale del gioco d’azzardo in cui tutto è smisurato, a
cominciare dall’urbanismo. Di grandi progetti sul territorio che
non mirano a soddisfare i bisogni delle popolazioni, parla an-
PARAGUAY · Dietro la destituzione del presidente Fernando Lugo, gli interessi delle multinazionali
I poteri forti contro
il vescovo dei poveri
In poche ore,
il capo di stato
viene estromesso
dalle sue funzioni
per inettitudine
Quando si seppe che il presidente
Lugo aveva un cancro linfatico, il vicepresidente Franco si trovava in Colombia, a rappresentare il Governo
nell'insediamento presidenziale di
Juan Manuel Santos, e la sua prima
dichiarazione fu che Lugo poteva
contare su di lui nella gestione del paese. Cinque mesi prima, Franco si
era però incontrato con l'allora ambasciatrice degli Usa in Paraguay, Liliana Ayalde e, in quell'occasione,
l’aveva informata sulla «pessima gestione amministrativa del presidente
Lugo per la quale ococcorreva un urgente e non negoziabile giudizio politico». La conversazione divenne pubblica con una lettera che l'allora ministro della difesa, Luis Bareiro Spaini, aveva inviato alla rappresentante
diplomatica già dirigente, tra il 2005
e il 2008, dell'Usaid in Colombia.
Secondo la Costituzione approvata nel 1992, tre anni dopo la caduta
del dittatore Alfredo Stroessner, per
avviare l'iter dell'impeachment è necessario l'accordo dei due terzi di deputati e senatori dei partiti tradizionali. Ma Lugo aveva contro tutta la
Camera (ad eccezione della deputata Aída Robles, del Movimiento Popular Tekoyoya -MPT), e in sole 5
ore si è deciso di sottoporre a giudizio politico il presidente. Il Senato,
trasformato in tribunale, ha concesso due ore di tempo per la difesa e al
senatore Sixto Pererira (MPT) non è
stato concesso il diritto di parola.
Il politologo paraguayano Diego
Abente Brun, professore emerito di
Scienze politiche nella Miami University, considera che il potere esecutivo è «soggetto a un Congresso con
prerogative esagerate» perché può
opporre un veto al presidente con la
che il giornalista Alain Devalpo. Christian Parenti riflette invece sull’esperienza comunista in Afghanistan. Hana Jaber prevede una primavera giordana, e Nicolas Dot-Pouillard mostra come la crisi siriana divida le sinistre arabe. Alain Vicky parla della contestazione sonora in Angola. E un inedito Victor Hugo pittore. Questo e molto altro fino alle pagine di Diploteca e ai suoi
percorsi di lettura.
MANIFESTAZIONE CONTRO IL NUOVO PRESIDENTE FEDERICO FRANCO AD ASUNCIÓN/FOTO REUTERS
semplice maggioranza delle due camere; modificare leggi senza alcuna
restrizione, «alterare una legge permanente attraverso una provvisoria,
come la legge sul bilancio annuale o
una legge che aumenta le spese in bilancio»; e spingere al giudizio politico del presidente sulla base di «un
cattivo comportamento nell'esercizio delle sue funzioni».
Dal 1989, da quando Stroessner vive in esile in Brasile, il Paraguay ha
avuto 6 presidenti eletti ma solo 4
hanno portato a termine il mandato.
Raúl Cubas Grau del Partito Colorado viene eletto nel 1998 e resta in carica 7 mesi. Il 15 agosto assume il
mandato. Tre giorni dopo concede
l'indulto a Lino Oviedo, in carcere
per aver tentato un colpo di stato
contro il presidente Juan Carlos Wasmosy alla fine dell'aprile del '96. Il
quarto giorno settori del partito colorado, alleati del vicepresidente Luis
María Argaña, insieme ai liberali (Partito libero radicale autentico, Plra) e
di «Encuentro nacional» sollecitano
il giudizio politico nei confronti del
presidente Cubas Grau.
Il Congresso richiede l'intervento
della Corte suprema di giustizia sulla
libertà di Oviedo che il 2 dicembre
1998 dichiara incostituzionale il decreto di Cubas, il quale non accetta
la sentenza.
Oviedo minaccia di «sotterrare» i
giudici che hanno votato contro di
lui. Sette mesi dopo, il 16 marzo
1999, la Camera dei deputati fissa la
data per l'impeachment al 7 di aprile.
Ma il 23 marzo il vicepresidente Argaña viene assassinato. I deputati
chiedono una sessione straordinaria
per mandare avanti il giudizio, che
ottiene il numero necessario per la
sua approvazione. Da quel giorno, fino al 26 marzo, la popolazione organizza proteste nelle piazze di Asunción ma viene aggredita dai seguaci
di Oviedo armati di bastoni e oggetti
contundenti. Il 26 marzo, nella piazza della Cattedrale, 7 giovani manifestanti vengono assassinati e il giorno
dopo Cubas Grau rinuncia. Lo rimpiazza il presidente del Congresso,
Luis González Macchi del Partito colorado, che non chiede le elezioni e
termina il suo mandato come «stabilito dalla Costituzione».
Il risultato dell'Assemblea fu la
concessione di alcuni poteri eccezionali al Parlamento.
I politici paraguayani hanno imposto l'impeachment a Lugo, sapevano
che non avrebbero avuto l'appoggio
dei paesi dell'Unasur e del Mercosur. I cancellieri di questi paesi, riuniti in Brasile, lasciarono il vertice di
Rio+20 per tentare di mettere un freno all'imminente colpo di stato. In
seguito, in base al Protocollo di
Ushuaia I, firmato nel ’98, i presidenti del Mercosur, riuniti a Mendoza,
in Argentina, hanno sospeso il Paraguay. Per questa decisione si è preso
in considerazione l'instabilità politica del paese e la minaccia di interruzione del processo democratico, come accadde nel 1996, quando il generale Lino Oviedo tentò di rovesciare
il presidente Juan Carlos Wasmosy
tramite una rivolta militare.
Il Mercosur nasce nel ’91, con la
firma del Trattato di Asunción. Erano gli anni in cui si impose l'egemonia neoliberista, per cui non è casuale il nome Mercato comune del sud,
né che settori del Partito colorado,
guidato da Argaña, si siano opposti
alla firma del trattato.
Attualmente il Paraguay realizza il
51% delle esportazioni verso paesi
del Mercosur. Per attenuare le asimmetrie economiche, una delle misure adottate dal blocco, nel 2005, fu la
creazione del Fondo per la convergenza strutturale del Mercosur (Focem), al quale il Paraguay deve apportare un milione di dollari all'anno
e, in cambio, riceve trasferimenti di
risorse non rimborsabili per un valore di 48 milioni di dollari.
Ovviamente, l'Unione degli industriali paraguayani non ritiene che ci
sia stata una rottura del processo democratico nel paese, e sostiene che
la sospensione del Paraguay dal Mercosur li obbliga a fare affari fuori dal
blocco regionale.
I contadini senza terra che chiedono l’applicazione della Riforma agraria, sono stati definiti «carperos» (attendati). Fin dalla dittatura di Stroessner i contadini sono stati repressi e
massacrati, come l'8 marzo 1980 a
Caaguazú. Ancora oggi non si conosce il luogo della fossa comune dove
furono sepolti 10 cadaveri. Assassinii
impuniti.
Lugo, nel suo ultimo discorso in
qualità di presidente, ha parlato di
golpe mafioso. La giustizia paraguayana è controllata da sostenitori dei
gruppi politici tradizionali che hanno beneficiato di terre, molte consegnate da Stroessner, e ha operato
sempre a favore dei latifondisti, come nel massacro di Curuguaty.
«Quando arrivammo al governo,
nel 2008, volevamo fare una riforma
agraria autentica, organizzare un catasto della terra», ha confessato Lugo dopo la sua destituzione. «Il Paraguay ha una superficie 406.752 chilometri quadrati ma, se si somma-
no tutti i titoli di proprietà, diventano 529 mila. Significa che ci sono
terre che hanno due, tre o quattro titoli. Bisogna sanare questa situazione ma non è facile, perché dipende
dalla magistratura e non dal potere
esecutivo».
La regolarizzazione delle terre
non è l'unico scoglio con cui Lugo si
trovò a fare i conti quando arrivò alla
presidenza. Due giorni prima che i
deputati approvassero le accuse contro di lui per «scarso rendimento»
nelle sue funzioni, il Servizio nazionale di qualità e salute vegetale e delle sementi (Senave) aveva negato la
registrazione del seme di cotone
DP404BG, commercializzato dalla
Monsanto come cotone Boogard.
Franco ha messo alla guida di Senave Jaime Ayala - imprenditore agrario, azionista e presidente della Pacific Agrosciences, impresa stabilitasi
nel paese con un investimento di 3
milioni di dollari. Tra la prime misure adottate da Ayala, oltre al licenziamento di 200 lavoratori, vi è stata
l'approvazione del brevetto di quel
seme di cotone in precedenza rifiutato per mancanza dei requisiti richiesti dal Senave.
Il giornalista Idilio Méndez Grimaldi rivelò, nel corso del golpe parlamentare, che «l'anno scorso la Monsanto ha fatturato 30 milioni di dollari, esentasse (perché non dichiarati),
solamente dai diritti derivanti dai
brevetti, le royalties, per l'uso di semi
di soia transgenica in Paraguay». Nel-
Durante il golpe,
la mediazione
del Mercosur, poi
l’espulsione dal
blocco regionale
l'articolo «Monsanto colpisce in Paraguay», diffuso in rete, sostiene che
tutta la soia coltivata nel paese è transgenica e copre una «estensione vicina ai 3 milioni di ettari, con una produzione intorno a 7 milioni di tonnellate nel 2010»
Alleati ai partiti colorado e liberal
radical autentico, tra quelli di tendenze ideologiche simili che hanno preso parte al golpe, ci sono anche i vertici della chiesa e i settori imprenditoriali e transnazionali del commercio
agrario che si rifiutano di pagare tasse e che minacciarono un «tractorazo» (uno sciopero che avrebbe bloccato le strade del paese). Minaccia ritirata quando Franco ha assunto l'incarico di presidente.
Da quando Lugo assunse la presidenza, tutti questi settori non abbandonarono mai l'idea di farlo fuori.
Nel settembre del 2008, dopo soli 15
giorni di presidenza costituzionale,
Lugo denunciò la cospirazione contro di lui da parte di Lino Oviedo. Nella cerimonia di insediamento di
Franco il generale Oviedo sedeva a
fianco del senatore e presidente del
Plra, Blas Llano, e si è vantato di essere stato il primo a congratularsi con
Franco per la sua nuova posizione.
direttore del Diplo venezuelano
©Le Monde diplomatique/ilmanifesto
(traduzione di Marina Zenobio)
VENEZUELA
Oggi, a Brasilia,
l’entrata ufficiale
nel Mercosur
Geraldina Colotti
O
ggi, il Venezuela fa il suo ingresso ufficiale nel Mercato
comune del sur (Mercosur):
membro a pieno titolo insieme a Brasile, Argentina e Uruguay, che hanno
votato la sua ammissione al blocco
economico, attesa da sei anni. Un vertice straordinario si tiene per questo
a Brasilia. Vi partecipano i presidenti
dei paesi membri e quelli degli associati o osservatori (Bolivia, Cile, Colombia, Ecuador e Perù).
Un bel compleanno per il presidente venezuelano Hugo Chávez che ha
festeggiato in questi giorni i suoi 58
anni e un'apparente ripresa fisica, nonostante il tumore alla zona pelvica
che lo affligge e che lo ha tenuto lontano dall'attività politica. Oggi, invece, a Brasilia ci sarà. Prima del vertice, ha incontrato una delegazione
brasiliana per discutere le prospettive economiche dei nuovi scambi bilaterali. Intanto, ha già previsto un fondo di oltre 500 milioni di dollari, da
spendere entro la fine dell'anno, per
aiutare le imprese intenzionate ad
espandersi nell'ambito del Mercosur:
un'iniziativa che, secondo le valutazioni di Caracas, potrebbe portare
già in un primo tempo alla creazione
di circa 240.000 posti di lavoro.
L'ingresso nel blocco economico
regionale consentirà a Caracas- che
dal 2011 non fa più parte della della
Comunità andina delle nazioni - di
far arrivare i propri prodotti a circa
200 milioni di persone che vivono nell'area. Il ricco patrimonio venezuelano, in termini di petrolio, ferro, gas
naturale, oro, e le modalità di interscambio solidale in vigore fra i paesi
dell'Alleanza bolivariana per i popoli
della nostra America (Alba) consentono però anche ai paesi più piccoli come l’Uruguay di bilanciare il peso dei
due grandi, Brasile e Argentina. Integrazione e cooperazione sono le linee di indirizzo condivise dal blocco
dei paesi progressisti, decisi a costruire uno schema alternativo a quello
dell'Organizzazione mondiale del
commercio (Wto), dell'Unione europea o all'Area di libero commercio
delle Americhe (Alca).
La porta per Caracas si è aperta
con l’uscita del Paraguay, a seguito
della deposizione del presidente Fernando Lugo e della sua sostituzione
con il vice, Federico Franco, che i paesi del Mercosur non hanno riconosciuto. Il Paraguay e le sue rappresentanze parlamentari, egemonizzate
dalle destre, aveva sempre bloccato
l’arrivo di Caracas e dei suoi programmi sociali. Lugo sarebbe stato favorevole ma, privo di maggioranza all’interno stesso della sua coalizione
(Franco appartiene alla destra che,
nella compagine governativa, lo aveva sostenuto), ha finito per rimetterci
la carica. Come spiega Raúl Cazal in
questa pagina, i presidenti di Argentina, Brasile e Uruguay, dopo aver tentato di impedire con la mediazione
politica quello che hanno considerato «un golpe istituzionale», hanno deciso di non invitare Franco all’incontro di Mendoza, in Argentina. E, in
quella sede, il Paraguay è stato sospeso dal blocco regionale, «fino al ripristino dell’ordine democratico». Stessa decisione ha preso l’Unione delle
nazioni sudamericane (Unasur) nei
confronti di Asunción. Il Mercosur
ha anche respinto il ricorso presentato dal Paraguay (che si rivolgerà ad altre sedi internazionali) contro la sospensione temporanea per assenza
di requisiti atti a istituire il «procedimento d’urgenza» richiesto .
«Il problema del Mercosur non è il
Paraguay, ma il Venezuela», ha dichiarato Federico Franco, deciso a restare in carica fino allo svolgimento
delle prossime elezioni dell’anno
prossimo. Allora - ipotizzano in molti
- avrà le mani libere per presentarsi,
come da profilo, nel campo della destra.
pagina 10
il manifesto
MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012
CULTURA
CONI D’OMBRA / 1
Franco Arminio
E
conomista, osservatore della
politica e della società, politico
meridionalista, studioso italiano, europeo ed americano. Erano ancora tempi dove si potevano fare bene diverse cose.
Io non sono uno studioso del pensiero di Manlio Rossi-Doria. Chi vuole approfondire l’argomento può leggere almeno uno dei suoi libri o una
sua biografia scritta da Simone Misiani e pubblicata recentemente dall’editore Rubettino. S’intitola semplicemente Manlio Rossi-Doria, sottotitolo Un riformatore del novecento.
Non ho alcun titolo per scrivere di
lui. Posso vantare solo una contiguità toponomastica. Ho scritto un libro
intitolato Terracarne. Ho fatto un
film intitolato Terramossa. Organizzo una serie di eventi culturali intitolati Terrascritta. Allora il mio è un
contributo inattendibile. Non parlerò dello studioso ma della cosa studiata. Parlerò della terra.
L’INIZIATIVA Comincia oggi una serie di pagine dedicate a figure o a opere che hanno avuto un ruolo importante
– a volte evidente, a volte più sotterraneo – nella formazione culturale delle diverse generazioni novecentesche
e che oggi appaiono marginali: dimenticate o al contrario museificate e prive, all’apparenza, di ogni vitalità.
Obiettivo della serie è dunque il tentativo di verificare se e quanto questi personaggi, questi testi, hanno da dire
a chi vi si era accostato trenta o quarant’anni fa e, più ancora, a chi non li ha conosciuti. Buona lettura!
Un professore
nellaterradell’osso
Il mezzogiorno nudo
Rossi-Doria ha studiato e frequentato i luoghi dove vivo. Il suo primo discorso parlamentare fu tutto centrato su una diagnosi dei problemi dell’Alta Irpinia, quella che lui chiamava
Terra dell’osso e io adesso chiamo Irpinia d’Oriente.
L’ho visto alcune volte all’osteria
di mio padre. Arrivato a tarda sera dopo qualche comizio in zona. Mi piaceva quando arrivava gente che si
metteva a parlare di politica. Mi sedevo su una sedia e ascoltavo. Lui veniva coi socialisti della zona. Non mi ricordo una sua frase, non mi ricordo
la sua voce. Molti anni dopo, quando
ho cominciato le mie scarne letture
politiche, ho sentito parlare di terra
dell’osso, la famosa formulazione
concepita per le nostre zone, contrapposte a quelle costiere definite
della polpa. L’ho sentita dire tante
volte e mi sono messa a dirla pure io.
Forse però andrebbe rimessa in circolazione una sua distinzione pronunciata in un convegno del 1944 tra
Mezzogiorno nudo e Mezzogiorno alberato. Una distinzione che a me interessa anche in termini estetici: penso al fatto che il Mezzogiorno nudo
somiglia non poco al west che gli
americani tanto hanno celebrato nei
loro film e che noi poco abbiamo immortalato nei nostri.
Rossi-Doria e Scotellaro. Mi fa sempre impressione leggere che il poeta
lucano morì improvvisamente a
trent’anni. Morì per un infarto mentre era a Portici, dove lavorava su invito del professore. Io ho pensato tante
volte che mi stava venendo un infarto. Rossi-Doria mi ha portato a Scotellaro e dunque alla paura dell’infarto.
La poesia, la terra, l’infarto. Questo è
il triangolo. Tre lati, tre brani di lettere che il professore scrive al poeta.
Ricominciare cento volte
A ben guardare nella disperazione dei
nostri contadini – che io ho veduto anche di recente in Calabria - non so se
è maggiore la rabbia per chi ha pittato la luna o per chi ha sbarrato i portoni. Anche io sono come te: ho profonda fiducia d’un lavoro serio, animato dalla ribellione al conformismo
del tempo. Ma, sai, una ribellione
fredda; senza fumi, alimentata da un
lavoro cocciuto e paziente che alla fine ce la deve fare a riuscire. È in questo senso che ho impostato tutta la
mia vita. Dalla politica per ora mi sono ritirato e faccio la politica del mestiere: è uno sforzo lento e lungo.
Il fatto è, caro Rocco, che a vincere
e cambiare questa dannata condizione umana dei contadini che ha millenni dietro di sé, occorre molto più
che lo sforzo di pochi anni o pochi miliardi. E quando si chiude una fase e
tutto tende a ritornare come prima,
bisogna avere il coraggio di ricominciare anche dieci, anche cento volte.
È ben vero che il lavoro non si può
e non si deve fare al di fuori dei contadini ma coi contadini. E la vera maledizione di quella miserabile nostra riforma è che l’abbiamo voluta fare senza i contadini. Ma il lavoro non è
principalmente di sovvertimento, ma
di costruzione, di educazione, di selezione, di differenziazione, di creare individui e varietà, di individuare pro-
blemi e trovare ciascuno la sua diversa soluzione, di unir gli uomini, ma
di lasciarli anche vivere ciascuno a
suo modo. Solo l’intelligenza, la cultura, la libertà, la critica, oltre alla solidarietà e al rispetto del legame civile
possono risolvere questi problemi.
Quando lo sentivo nominare non
sapevo che l’autore della terra dell’osso era romano. Non sapevo neppure
che Pasquale Saraceno era della Valtellina e Danilo Dolci era triestino. Sapevo solo la cosa che sapevano tutti,
che Carlo Levi era di Torino. E Carlo
Levi nell’ Orologio, così ritrae RossiDoria: «Stava a cavallo con un piede
sulla politica pura e l’ altro sulla pura
tecnica, ma questa stessa incertezza
gli chiariva le idee, gli impediva di fossilizzarsi in una abitudine mentale,
lo conservava vivo e appassionato».
Al Palio del grano
In questo momento a me una sola cosa importa: capir dentro a questo
oscuro processo che vedo in atto nelle
campagne. Per questo sono preso da
una vera frenesia di girare, di vedere,
di prender contatto con la terra. E
non vedo l’ora di tornare giù nel Mezzogiorno, di girare paese per paese.
Con questo frammento da una lettera all’irpino Guido Dorso posso associare Rossi-Doria alla paesologia. Io
gli somiglio nel mio girare paese per
paese, purtroppo non ho la sua stessa veemenza nello studiare.
Consiglio di amministrazione dello Svimez, consigliere della Cassa di
Mezzogiorno, senatore nel Partito Socialista italiano: la prova, rara, che si
può rimanere onesti e occupare poltrone importanti.
Il centro di specializzazione ricerche economico-agrarie di Portici da
solo valeva la nomina a ministro dell’agricoltura, che non è
mai arrivata.
Ho pensato a Rossi
Doria passando nei
giorni scorsi a Caselle
in Pittari, nel Cilento,
dove sono andato a vedere il Palio del grano.
Il palio si è svolto di domenica, preceduto da
una settimana di alfabetizzazione rurale. Io
sono arrivato il venerdì. Ho parlato in un piccolo anfiteatro fatto
con le balle di fieno.
Quando si arriva in un’esperienza
che è già cominciata a volte si fatica
a trovare il senso di quello che sta accadendo. È comunque stato bello vedere i computer appoggiati per terra.
Sentire parlare ragazzi venuti da tutta Italia, da paesi e città, mi ha fatto
pensare alla mia vecchia formula di
coniugare il computer e il pero selvatico. Non so se in mezzo a loro c’è un
ne che tutte le persone, molte centinaia, che mangiavano strette strette
sull’aia, in un meraviglioso affresco
corale, adesso stanno nelle loro case,
magari consegnate alla tristezza dell’autismo di massa, ma qualcosa è accaduto.
Quello che ho capito è che le persone quando stanno in una cerimonia
che ha senso danno il meglio di loro
stesse: l’ardore dei mietitori era commovente. Forse il disincanto e il cinismo di cui tanto parliamo sono solo
un filo di polvere, sotto c’è ancora
qualcosa che luccica. Bisogna aggiornare l’agenda del nostro nichilismo:
forse siamo meglio di quello che pensiamo, alla fine siamo più vicini a
Rossi-Doria che a Craxi. Sarebbe il caso che i terreni demaniali fossero affidati ai giovani, sarebbe il caso di aprire una grande stagione di ritorno alla
terra.
Dopo il terremoto
Non sapevo che aveva subito prima
l’arresto e poi il confino, a San Fele,
non lontano dal mio paese. In galera
divideva il tempo equamente tra studio ed esercizio fisico.
Rossi-Doria o Baudrillard? Non ho
dubbi, scelgo il primo: cambiare la realtà, stando ben dentro nella realtà,
identificare il centro della politica
nei territori, immagino politiche diverse per diversi territori, importanza dello studio per pianificare interventi, esaltazione della democrazia
vissuta in forma comunitaria.
A me colpisce la sua passione per
il lavoro, la sua lontananza da un sud
accidioso e amorale che si sceglie
classi dirigenti altrettanto accidiose e
amorali: Ho l’impressione che a lavorare veramente, oggi, in questa Italia
liberata, non ci sia che la gente del
mercato nero, le puttane e i contadini, oltre ai preti ed alla gente che ha
da salvare le sue vecchie posizioni
guadagnate negli anni addietro.
Nonostante le condizioni di salute
precarie, nel 1980 si reca in Irpinia e
Basilicata per elaborare un piano per
la ricostruzione dei paesi colpiti dal
terremoto. Non lo ascoltarono. I democristiani che comandavano a Roma comandavano anche nelle zone
terremotate, non potevano lasciarsi
sfuggire l’occasione di usare la catastrofe per rimpinguare le loro tasche
e il loro consenso.
Lui parlava di politica del mestiere. Quelli che contestano i mestieranti della politica dovrebbero studiare
il lavoro di un uomo come lui, il suo
pragmatismo senza furbizie: Continuo a lavorare nel Mezzogiorno, convinto come sono che l’unica cosa che
conta è lavorare sodo attorno ai problemi concreti, riuscendo a realizzare
di mano in mano quel poco che si
può, cercando di accumulare esperienze e capacità effettive, per quanto
dovesse servire e per quanto si potesse
fare qualcosa di importante che cambi un poco seriamente la faccia di
una realtà che dura sempre uguale a
se stessa.
Campagne spopolate
Manlio Rossi-Doria:
economista, politico
meridionalista. «A me
solo importa capire
l’oscuro processo
in atto nelle campagne»
altro Rossi-Doria. Magari qualcuno è
venuto semplicemente per inquietudine o per trovare compagnie sessuali. Niente di male. Anzi, molto bene,
se si considera quello che è accaduto
la domenica. Io non ci credevo, pensavo che il palio del grano fosse una
delle tante cose un po’ finte che si
fanno nelle estati paesane. E invece
mi sono trovato dentro una festa con-
MATERA / FOTOGRAFIA DI TANO D’AMICO; IN ALTO MANLIO ROSSI DORIA (A SIN.) NEGLI ANNI ’50
tadina semplice e possente, un piccolo miracolo rurale. Volendo essere
cattivi si può dire che i falciatori del
grano divisi per paesi facevano pensare a una versione alla buona di giochi senza frontiere. E poi che senso
ha mettere le persone a falciare il grano quando è una pratica che qui non
farà mai più nessuno? E proprio qui
la faccenda è curiosa: non ho sentito
in alcun momento della giornata il
soffio della paesanologia. Vedere un
vecchio modo di mietere senza che
si producesse un’aria nostalgica.
L’aria non era quella di una sagra,
l’aria era quella di una nuova alleanza tra i contadini (che ci sono anco-
ra) e i ragazzi delle città e dei paesi,
che cominciano a guardare alla campagna perché sentono che il modello
capitalistico non promette più nulla
di buono.
Rossi-Doria ha lavorato contromano, per tutti gli ultimi trent’anni della
sua vita si è occupato di un mondo
in fuga da se stesso, ha profuso ogni
suo sforzo per frenare la rottamazione del mondo contadino. Adesso
non è più così. A Caselle in Pittari,
dentro il Cilento, io ho visto qualcosa
di importante. Alla fine i giovani organizzatori hanno assegnato un piccolo pezzo di terra a ognuno dei ragazzi che ha partecipato al corso. So be-
Voleva coniugare lo sviluppo economico con la coesione sociale, la salvaguardia delle risorse naturali con l’intensificazione produttivistica, l’infrastrutturazione con la difesa degli
equilibri del territorio: e invece abbiamo avuto le acciaierie killer e lo spopolamento delle campagne. Non si
può dire che non si è battuto per le
sue idee e come spesso accade nella
vita le idee migliori germogliano
quando chi le ha prodotte non c’è
più. Rossi-Doria è uno degli intellettuali del nostro futuro, altri li avvisteremo presto tra i ragazzi che mettono l’agricoltura al centro della loro vita e di quella del pianeta.
«I governi hanno fallito nel loro
ruolo, la terra è l’unica salvezza, e va
messa in mano a chi la coltiva. Invito
i giovani a occupare la terra così come stanno occupando le piazze».
Questo invito di Vandana Shiva è un
seme gettato nel solco lungamente
arato da Rossi-Doria. Forse oggi le
sue analisi da economista agrario del
novecento possono sembrare troppo
condizionate dal tarlo dello sviluppo,
ma i politici italiani, compresi i tecnici, molto avrebbero da imparare se
trovassero il tempo di chinarsi nel
suo solco.
il manifesto
MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012
pagina 11
CULTURA
oltre
tutto
Tiziana Migliore
P
iù che recensire, è il caso di
segnalare Ciclismo, Cubo-futurismo e la quarta dimensione, la mostra in corso fino al 16 settembre alla Peggy Guggenheim di
Venezia. Rientra in quel novero di
esposizioni, poche purtroppo, che
evitano i comodi epiloghi e aprono
campi di studio. Non un’antologica né una rassegna storica, ma un
corpus di pitture, sculture, fotografie, oggetti e disegni, riuniti attorno
all’analisi di un quadro, Al velodromo (1912) di Jean Metzinger.
L’obiettivo è esplorare, tramite il
motivo del ciclista, il trattamento
della quarta dimensione compiuto
dalle avanguardie.
FESTA A MANTOVA PER IL PROGRAMMA DEL FESTIVAL
Mancano due giorni alla festa che si terrà giovedì 2 agosto alle 21 a Mantova, per la
distribuzione del programma cartaceo della sedicesima edizione del «Festivaletteratura». Sulla
copertina del libretto, disegnata da Emiliano Ponzi, campeggia quest’anno il campanile della
Basilica palatina di Santa Barbara, recentemente danneggiato dal terremoto che ha colpito
ARTE · Alla collezione Peggy Guggenheim di Venezia un’esposizione sul cubofuturismo
ADDIO A FILIPPO BETTINI
Avanguardie e ciclismo,
prove di quarta dimensione
La letteratura
come conoscenza
della realtà
è percepibile quando gli oggetti osservati, e le distanze tra loro, sono
prossimi allo spazio dello spettatore
o, anzi, in collisione con noi, coincidenti nello spazio-tempo (Einstein,
Cubism and Relativity, 1946). Ecco
che prende senso la speciale velocità del connubio uomo-ruota, diversa da ogni altra macchina e in cui è
valsa la pena di investire per la figurativizzazione del tempo. Se il cubismo sintetico orientava Braque, Picasso e Gris a lavori stratificati sulla
superficie, di collage tra lettere e immagini, i cubo-futuristi cercano la
quarta dimensione nella corsa in bicicletta, ciascuno con metodi perso-
Una corsa «inumana»
Alla cronaca di un Cubismo come
paradigma dominante per via di Picasso e Braque, si affianca un racconto meno proclamato, e perciò
meno riconosciuto, ma meritevole.
La retrolettura di Erasmus Weddigen, curatore della mostra, spiega
che il Cubismo eccede dallo schema analitico/sintetico affermatosi
nel 1936 con la cernita di Alfred
Barr. E include, fin dal 1910, artisti
quali Apollinaire, Albert Gleizes, Robert Delaunay, František Kupka,
Metzinger, che, a casa dei fratelli
Duchamp, discutevano di geometria non-euclidea, dimensioni non
visibili, Relatività.
Il nome scelto da Metzinger per
questo gruppo di cubisti è Section
d’Or, rivelativo delle proporzioni
matematiche nelle spirali sfaccettate di colore. L’interesse per la quarta dimensione, il tempo nella sua
natura organica, nella percezione
del cambiamento (la durée di Bergson), li rendeva più vicini ai futuristi che non ai colleghi Picasso e
Braque. «Cubo-futurismo» è un’etichetta che ha ragion d’essere: per
una falange cubista, la simultaneità non è solo al servizio della scomposizione prospettica dei volumi,
ma è uno strumento di resa spaziale del divenire.
Nella speciale velocità
del connubio uomo-ruota,
differente da ogni altra
macchina, il tempo
sembra prendere corpo
nali: Duchamp mediante la demoltiplicazione cinematica, i futuristi
smaterializzando i corpi nella luce
(si pensi al Ciclista di Natalia Goncharova), Kupka sostituendo la sequenza di un movimento con una
miriade di singoli spostamenti.
Anche Metzinger offre la propria
soluzione, allo stato di bozzetto,
ma riuscita: in Al velodromo le
membra del corridore, volto compreso, sono affacciate in primo piano, prospicienti al frame enunciazionale, come intersezione di solidi
trasparenti. Crupelandt sta tagliando il traguardo in uno spazio che
sconfina dal mondo pittorico, verso lo spettatore. Le ruote simulano
il tremolio sul porfido, mentre la
granulosità della sabbia riportata
suscita adesione somatica.
La ricerca di pittori
come Metzinger trovò
sperimentazione concreta
in una gara sportiva,
la Parigi-Roubaix
Obiezione, vostro onore – sembra dire Weddigen a Barr. Memorabili le mostre che funzionano non
per addizione, ma per ripensamento delle precedenti: fanno evolvere
la storia dell’arte.
Conta molto che questa ricerca
tra arti e scienze abbia trovato sperimentazione concreta in una gara
sportiva. Vicino a Puteaux, sobborgo di Parigi dove abitavano i Duchamp, aveva inizio la Parigi-Roubaix o «Enfer du Nord», dati i suoi
sessanta chilometri di cubetti di
porfido. Una corsa «inumana» – la
definirebbe il Barthes dei Miti d’oggi. Al velodromo, tela di Metzinger
di proprietà di Peggy Guggenheim,
immortala il vincitore dell’anno,
Charles Crupelandt, la cui identità
è svelata da Weddigen con diagnostiche non invasive. Emerge un papier collé cancellato che ne indicava il nome, insieme ad altri pentimenti e alla data, 1912 e non ’14. E
si scoprono i colori utilizzati, alchemici: bianco di zinco, giallo cadmio, rosso cinabro… Il quadro è
progettato e approfondito attraverso due disegni, il pannello a olio Il
ciclista e la tela Corridore ciclista.
Corpi smaterializzati
Costellano la serie di Metzinger
una sua opera di recente ritrovamento, Composizione cubista con
orologio (1913 c.), emblema della
mostra – il cronometro rima qui
con la crescita di una spirale aurea
– e varianti sul tema. Si vedono il
Dinamismo di un ciclista (1913) di
Boccioni, i Ciclisti di Depero, Sironi, Severini, la Scatola in una valigia (1941) di Duchamp della Peggy
Guggenheim, il cui statuto selettivo
oltre all’Emilia Romagna anche il Mantovano. Ma nell’attesa, chi volesse scoprire tutti gli
appuntamenti della manifestazione, che si terrà dal 5 al 9 settembre, non ha che da andare
su internet, all’indirizzo www.festivaletteratura.it. Tra gli ospiti internazionali, impossibile non
nominare almeno Toni Morrison («Amatissima») e Ngugi Wa Thiong’o, protagonista della
letteratura africana. E ancora, Jean-Loup Amselle, Aimee Bender, Péter Nádas, Anita Nair.
Schizzi e marchingegni
JEAN METZINGER, «AL VELODROMO»
e combinatorio dà risalto alla ripetizione figurativa della ruota. I raggi
formano un’entità 3D; messi in movimento, proiettano la ruota nella
quarta dimensione.
L’indagine andrebbe proseguita,
convocando le teorie di uno storico
dell’arte americano, Meyer Schapiro, che ha riflettuto, da un lato, sull’insoddisfazione di Duchamp per
l’aspetto statico del Cubismo di Picasso, dall’altro sui rapporti tra le arti e l’Elettrodinamica dei corpi in movimento (1905) di Einstein. Questi dichiarava che «il Cubismo non ha
nulla in comune con la Relatività» e
aggiungeva però che la simultaneità
MOSTRE · Gli esordi di Charles Seliger
Accanto all’esposizione dedicata al rapporto tra ciclismo e cubofuturismo, di
cui scrive a fianco Tiziana Migliore, la collezione Guggenheim di Venezia propone fino al 16 settembre «Una visione interiore», prima mostra in Italia dedicata ai dipinti realizzati dall’astrattista statunitense Charles Seliger durante il
decennio iniziale della sua carriera, sotto l’ispirazione del Surrealismo europeo che aveva spostato il suo centro d’interesse da Parigi a New York. Curata
da Jonathan Stuhlman e organizzata dal Mint Museum di Charlotte, in North
Carolina, l’esposizione riunisce oltre trenta dei migliori lavori degli anni ‘40,
provenienti da collezioni pubbliche e private, per tracciare l’evoluzione di Seliger ed esplorare il percorso che lo portò allo stile più maturo degli inizi degli
anni ’50. Fu tra l’altro proprio Peggy Guggenheim a organizzargli la prima personale, nel 1945 nella sua galleria newyorkese «Art of This Century».
IN EDICOLA IL NUMERO DI LUGLIO
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I forzati dell’ozio
P. Bourdeau, R. Christin
EUROPA
La crisi vista da Berlino
Olivier Cyran
LIBIA
Elezioni nel caos
Patrick Haimzadeh
APOCALITTICI
L’invasione dei “preppers”
Denis Duclos
NORVEGIA
Un anno dopo il massacro
Rémi Nilsen
IRAN
La versione di Gorgan
Shervin Ahmadi
CRISI
L’Europa dei poteri sadici
Ignacio Ramonet
DIPLOTECA
Somalia,
la mondina nera
MESSICO
Un paese ostaggio dei narcos
Jean-François Boyer
BELGIO
Un paradiso fiscale
Frédéric Panier
GRAMSCI
Un pensiero si fa mondo
Razmig Keucheyan
TIMOR EST
Una fragile stabilità
Frédéric Durand
NEL GIORNO DI USCITA ABBINATA OBBLIGATORIA CON IL MANIFESTO: 3,00 EURO
1,50 EURO PIÙ IL PREZZO DEL GIORNALE NEGLI ALTRI GIORNI
In mostra sono anche esposti il trofeo della gara, costituito da uno dei
blocchi del selciato, e biciclette antiche e moderne: una Alcyon del
1912; modelli in legno tratti da un
falso schizzo di Leonardo; la bici di
Fabian Cancellara, vincitore delle
Parigi-Roubaix 2006 e 2010; il prototipo in fibra di carbonio di Aria
(2009-11), del designer Marco Mainardi; un biciclo progettato dall’Università di Tubinga per un viaggio virtuale alla velocità della luce,
con gli effetti della Relatività: dilatazione del tempo e contrazione delle lunghezze. Il Giardino delle Sculture ospita infine Cyclosna, freddo
marchingegno di Paul Wiedmer
che ironizza sull’idea di «ciclicità».
Massimo Raffaeli
È
morto all’alba di sabato, dopo un ricovero d’urgenza al Santo Spirito di
Roma, Filippo Bettini, teorico della
letteratura e docente di letteratura italiana
contemporanea alla Sapienza. Marchigiano di origine (era nato a Senigallia nel
1950), in quella che sarebbe stata per sempre la sua università si era formato e aveva
fondato giovanissimo i «Quaderni di critica» con alcuni coetanei (Francesco Muzzioli, Marcello Carlino, Aldo Mastropasqua, Giorgio Patrizi) destinati a rimanere,
nel segno della reciprocità ma anche della
fedeltà, suoi costanti interlocutori e compagni di via.
Nei titoli di quei «Quaderni» monografici c’è l’indicazione di una scelta di campo
inclusiva fra gli altri di Gadda, del Gruppo
63, dei teorici della Scuola di Francoforte e
dunque di un segnale preciso quanto alla
militanza intellettuale e politica, in anni
che annunciano da un lato la dismissione
del lavoro critico e dall’altro una spettacolare diversione della pratica letteraria verso il consumo e la perfetta compatibilità
con il mercato: ne è segno ulteriore il volume collettivo dove culmina l’esperienza
dei «Quaderni» e che infatti si intitola, persino provocatoriamente, Per una ipotesi di
scrittura materialista (1981). Qui per Bettini è già centrale il rinvio a un filosofo, Galvano della Volpe, che il marxismo italiano
aveva a lungo sottovalutato anche quando, con la Critica del gusto (’60), egli aveva
fornito in sede estetica l’unica opzione
che, fondatamente e finalmente, potesse
dirsi quella di un Anti-Croce.
Dell’estetica di della Volpe, Bettini recepisce sia l’ingiunzione a una lettura analitica dei testi che non trascuri i portati del
formalismo e dello strutturalismo sia, soprattutto, la persuasione che la letteratura
corrisponde a una modalità specifica, infungibile, di conoscenza della realtà: ciò indirizza i suoi saggi maggiori (dedicati a
Gadda, Cacciatore, Sanguineti, Pagliarani,
Perriera, Volponi, Carmelo Bene) e segna
nel lungo periodo una tenace attività di organizzatore di cui è duplice esempio la presidenza dell’Associazione Allegorein e del
Premio Internazionale Feronia Fiano Romano (uno dei rari premi davvero indenni
dalla logica del mercato, la cui sospensione per mancanza di fondi deve avere amareggiato i suoi ultimi giorni di vita).
Ma il suo lascito di critico si contiene
idealmente nel titolo e nelle pagine che introducono gli atti (Bulzoni 1998) di un convegno organizzato alla Sapienza nell’aprile del ’97 con gli altri redattori dei «Quaderni» e alla presenza di alcuni maestri (da
Fausto Curi a Guido Guglielmi e Gregory
Lucente), un titolo che vale una definitiva
dichiarazione di poetica e che dice alla lettera Avanguardia vs. postmodernità. Filippo Bettini diresse quel convegno memorabile con lo charme, la consueta civiltà, che
chi ha avuto la fortuna di incontrarlo non
può dimenticare.
Le esequie di Filippo Bettini verranno celebrate oggi, alle ore 11, nel Tempio Egizio
del Verano, a Roma.
pagina 12
il manifesto
MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012
VISIONI
Cinema • È morto Chris Marker, autore di «La jetée», narratore del mondo,
sperimentatore inarrestabile, ha raccontato il maggio 68 e le utopie del suo movimento
FOTO GRANDE
«CHATS
PERCHÉS»
(2004), A
FIANCO E SOTTO
DUE RITRATTI
DI CHRIS
MARKER.
A SINISTRA
E IN FONDO
A DESTRA,
SEQUENZE
TRATTE DA
«LA JETÉE»
(1962)
Il pensiero
e l’immagine
Adriano Aprà
A
veva 91 anni. Voleva restare
invisibile. Pochissime le sue
foto (non ne avrebbe voluta
nessuna, ma oggi sulla rete se ne trovano). Rare le interviste. Ricchissima però la sua opera, e variegata
quanto a supporti. Dalla pellicola al
cd-rom interattivo, dalle installazioni video al dvd: film o video corti,
medi, lunghi e lunghissimi. Ma sempre dentro un genere che, grazie a
lui, si è costretti a ridefinire: non documentario, semmai cinema saggistico. Una sola incursione nella finzione, ma in forma di fotoracconto:
La jetée (1962), che resta anche la
sua opera più conosciuta, forse anche per ignoranza delle altre.
È stato attivo fino a pochi anni fa:
uno dei suoi ultimi film è Leila Attacks, distribuito in rete nel 2006. E
c'è ancora la serie realizzata nel
métro
parigino,
Passagers
(2008-2010). Ma sono tante le sue
opere da ricordare, compreso uno
dei suoi primi documentari, Lettre
de Sibérie (1957), che lui aveva anni
dopo «rifiutato», e che abbiamo potuto vedere solo grazie a un video
«pirata». Proprio su questo film il
grande critico francese André Bazin
aveva scritto, in uno dei suoi ultimi
articoli prima della prematura morte, che in Marker «la materia prima
è l'intelligenza, la sua espressione
immediata è la parola, e l'immagine
non interviene se non in terza posizione, in riferimento a questa intelligenza verbale. (...) Chris Marker porta nei suoi film una concezione del
tutto nuova del montaggio, che chiamerò orizzontale, in opposizione al
montaggio tradizionale che opera
nel senso della lunghezza della pellicola tramite il rapporto fra le inquadrature. Qui l'immagine non rinvia
a quello che la procede o la segue,
ma rinvia in qualche modo lateralmente a quel che ne è detto». Ed è
sempre Bazin a parlare di «saggio
documentato». Le sue parole profetiche possono valere per la maggior
parte dei suoi film, fra i quali vanno
ricordati almeno Le joli mai (1963),
Si j'avais quatre dromadaires (1966),
il fake documentary L'ambassade
(1973), Le fond de l'air est rouge
(1977), una sorta di summa dei movimenti sessantotteschi nel mondo,
Sans soleil (1983), forse il suo capolavoro, Level Five (1997), nonché il cdRom interattivo Immemory (1998).
Nel 1996 la Mostra Internazionale
del Nuovo Cinema di Pesaro gli aveva dedicato una retrospettiva – ovviamente in sua assenza – e un volume di documentazione curato da
Bernard Eisenschitz, che ha contribuito molto alla sua conoscenza in
Italia, tanto da sollecitare due libri,
di Viva Paci (Il cinema di Chris
Marker, edizioni Hybris, 2005) e di
Ivelise Perniola (Chris Marker o del
film saggio, edizioni Lindau, 2003).
Credo anche che sia all'origine della
diffusione del termine «cinema saggistico», cioè un cinema dove i concetti, qualcosa di astratto, vengono
espressi in termini audiovisivi. Si
pensa subito alle Histoire(s) du cinéma (1988-1998) di Jean-Luc Godard,
che con Marker e il tedesco Alexan-
Uno stile frammentario
e innovativo, in cui la storia
privata e la coscienza collettiva
si fondono con la vocazione
di fissare il presente. Secondo
il cineasta francese, «la materia
prima è l’intelligenza». Nelle
sue opere inventa una nuova
idea del montaggio
der Kluge è uno dei cineasti che con
più intelligenza hanno sperimentato il video. Ma con Immemory e l'installazione multimediale Silent Movie (1994-1995) Marker è andato sicuramente ancora più in là nell'affrontare il passaggio epocale dalla
pellicola al digitale.
Proprio dopo la retrospettiva pesarese ho avuto modo, con la mediazione di Eisenschitz, di incontrarlo
nella sua casa-studio parigina. L'«invisibile» Marker era lì, davanti a me,
e non mi parlava di sé ma mi consigliava per Pesaro le opere di altri autori: un uomo aperto e generoso. Il
suo altruismo spiega il «mistero» da
cui si lasciava circondare, lui che
aveva fatto scoprire agli occidentali
il grande cineasta sovietico Aleksandr Medvedkin (Le train en marche,
1971; Le tombeau d'Alexandre,
1992), così come aveva dedicato ritratti ad Akira Kurosawa sul set di
Run (AK, 1985) e Andrej Tarkovskij
(Une journée d'Andrei Arsenevitch,
1999). Si nascondeva dietro il suo
pseudonimo (il vero nome è Christian François Bouche-Villeneuve)
così come si nascondeva dietro i
suoi film, dei quali non si considerava «autore» ma partecipe dell'impresa assieme ad altri.
Il mondo era il suo territorio (ha
girato in tantissimi paesi, e in particolare nell'amato Giappone). E di
questo mondo forniva una testimonianza politicamente impegnata,
ma sempre con uno sguardo alla storia più che alla cronaca. Un filosofo
della storia, potremmo dire.
IN PRIMA PERSONA
Non mi piace essere
definito impegnato
«L’etichetta di regista ’impegnato’ è per
me abbastanza ingombrante. Nell’accezione comune coincide con ’politico’, e
la politica è l’arte del compromesso
(cosa che va tutta a suo onore, fuori
dal compromesso non ci sono che i
rapporti di forza bruta ...), mi annoia
profondamente. Mi appassiona, invece,
la Storia, la politica mi interessa solo
quando diviene un riflesso della Storia
nel presente. Con una curiosità ricorrente: ma come fa la gente a vivere in un
mondo simile? Da qui la mia mania di
andare a vedere ’cosa succede’ qua e
là. Per molto tempo coloro che avevano
una maggiore autorevolezza per farlo,
non disponevano degli strumenti necessari a dare una forma alle loro testimonianze ... Ed ecco che adesso gli strumenti esistono ... Ma è necessario mettere un freno: la ’democratizzazione degli strumenti’ che ha eliminato molti
limiti tecnici e finanziari, non libera dalla fatica del lavoro. Possedere una telecamera digitale non conferisce per magia talento a chi non ne ha ... Un film
richiede sempre molto lavoro. E una
ragione per farlo. È a la storia del gruppo Medvedkine, quei giovani operai
che nel dopo-68 cominciarono a girare
film sulla loro vita, che noi abbiamo
tentato di aiutare sul piano tecnico coi
mezzi dell’epoca: una 16 millimetri non
sincronizzata, con tre minuti di autonomia, il laboratorio, il tavolo di montaggio ... » (da «Libération, 5/03 2003)
il manifesto
MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012
pagina 13
VISIONI
THE HOBBIT...3
«The Hobbit», il doppio prequel de Il Signore degli anelli, ambientato circa 60 anni prima
nella Terra di Mezzo, avrà un terzo capitolo sempre firmato da Peter Jackson. I film
usciranno rispettivamente il 14 dicembre 2012, il 13 dicembre 2013 mentre il
(conclusivo?) capitolo è atteso per l'estate del 2014. Saranno anche in 3d.
ENZO D’ALÒ
Saranno le avventure del celebre burattino collodiano ad aprire le Giornate degli autori che si
svolgeranno a Venezia durante la Mostra del Cinema (29 agosto-8 settembre). Autore Enzo D'Alò
che ha rielaborato la storia di «Pinocchio». La colonna sonora è stata firmata da Lucio Dalla, che
l'aveva completata pochi giorni prima di morire.
RESISTENZE · Le «gallerie di affini» tra alias e avatars
L’eterno inventore
riproduzioni di quadri, fotoDall’organizzazione
grammi, partizioni... Questo
comunista di Popolo
a morte, diceva Pasoliperché la storia collettiva non
ni, compie un fulmineo
si può trasmettere in maniera
e Cultura a You Tube
montaggio della nostra
univoca e autoritaria, deve esLa rete di confronti
vita. 29 luglio 1921, 29 luglio
sere documentata, ricca di
2012, l’autore de La Jetée
strumenti ; ogni lettore deve
di uno spirito giovane
(1962), questo film dove si scoessere invitato a ingegnarsi
pre che il narratore è già mor«secondo il proprio temperato, ha trasformato la propria
mento, il proprio pubblico o
vita in un circolo di date ed
le circostanze, a fare opera di
elevato il montaggio al rango
creazione personale ». Mondi arte sublime.
taggi dunque. Montaggio ecoChris Marker componeva
nomico, quando nel 1967 anidelle gallerie di affini. Lo facema il film collettivo Loin du
Vietnam e fonda per questo,
va nei suoi libri di ritratti
con Inger Servoliin, la casa di
(Coréennes, 1959, sottotitolato
produzione Slon (Società per
«cortometraggio»), come nei
il lancio di opere nuove). Monsuoi film, e più recentemente
taggio sociale, quando con gli
nei suoi lavori in digitale, coanimatori culturale di Plenteme il cd-rom Immemory
les-Orchamps, René e Micheli(1997) abitato da avatars del
ne Berchoud, poi Pol Cèbe,
personaggio di Madeleine di
crea un esplosivo corto-circuiLa Donna che visse due volte o
to politico, l’incontro di cineasti e operai in seno ai
come il collage Metrotopia (2011) – serie di fotograGruppi Medvedkine. Montaggio multimedia, già
fie in bianco e nero di giovani donne in metropolitanel 1978, con Quand le siècle a pris forme : Guerre et
na – postato nel suo canale Youtube con lo pseudorévolution. E interattivo, nel 1990, con Zapping Zonimo di Kosinski. In queste gallerie, i visi solitari,
ne (Proposals for a Imaginary Television) dove, sotspesso ripresi dal basso, sempre monumentali, semto l’egida di Stalker di Tarkovsky, confronta le sinbrano specchiarsi l’uno con l’altro a distanza. Nel
tassi classiche (letteratura, cinema) alle paratassi
1996, il volto della splendida interprete di Level Fimoderne (la giustapposizione degli schermi, la molve, Catherine Belkhodja ricorda quello del cineasta
teplicità dei supporti, il passaggio aleatorio da un
Alexandre Medvedkine, l’inventore del cine-treno,
flusso d’immagini all’altro). Montaggio integralal quale Marker ha dedicato due ritratti (Le train en
mente aleatorio quando, nel 1995, al Wexner Art
marche, 1971, Le Tombeau d’Alexandre, 1992). Nel
Center for the Arts, evoca il progetto sovietico della
montaggio c’è la risposta alla domanda che Marker
Tour Pravda (1924) trasformato in una grande torre
pone al centro delle sue opere : che cos’è l’affinità?
di Babele multimediale con il titolo : Silent Movie.
Che cos’è questa cosa che sta davanti a me, mentre
Montaggio inter e intra-media in Level Five – conio non sono per me stesso altro che una galleria infifronto tra il cinema, la storia del Giappone e le nuonita di possibilità, di eclissi, di connessioni ? Trovave immagini (videogiochi, reti tra ordinatori). Come
re l’affinità è cogliere un fenomeno non per identifiJean-Luc Godard, Chris Marker ha sempre guardacarlo, e rinviarlo in tal modo a sé stesso, ma al conto alle nuove tecnologie. Si è investito in Second Litrario per dispiegarlo, lasciarlo vibrare, e seguirlo
fe, dove creò un esposizione nel 2008, Farewell to
nelle sue risonanze, comprese quelle a lui stesso
Movies, e dove, con grande sorpresa dei suoi interlosconosciute.
cutori, usava dare i propri appuntamenti di lavoro.
Chris Marker ha cominciato a girare film all’interE infine YouTube, che gli ha permesso di moltiplicano dell’organizzazione comunista Popolo e Cultura
re i propri pseudonimi, alias e avatar. Dal 2009,
e, per tutta la vita, ha sperimentato forme di orgaChris Marker ha stabilito un legame privilegiato
nizzazioni capaci di preservare e stimolare l’abboncon il laboratorio del sito Poptronics, al quale offridanza e la prodigalità in ciascuno e in ogni cosa.
va le sue ultime opere pubbliche : collage, clip, pamPraticamente e formalmente, non ha mai smesso di
phlet contro la censura. Percorrendo la sua opera,
inventare dispositivi di montaggio. Nel 1951, in Resi vede che il suo interesse per i nuovi strumenti di
gards sur le mouvement ouvrier (Seuil), scritto a
comunicazione non risponde solo all’esigenza di
quattro mani con Benigno Cacérès, militante deltrasferire da un supporto all’altro gli archivi delle lotl’educazione popolare in Francia nel dopoguerra,
te collettive. Si tratta, come spiega il protagonista
Marker confronta «dei documenti sulla vita quotidel suo primo romanzo, Le Coeur net (1950), di apridiana degli operai, una lettera, dei discorsi, il regolare la morsa dell’effettivo, di richiamare a sé l’infinimento di una fabbrica, una lista di multe, un rapto delle ipotesi e dei desideri e, in questa maniera,
porto, una canzone, una poesia di circostanza, un
di ritrovare uno spirito giovane dalle virtù rivoluzioprocesso verbale di un tribunale, un semplice grinarie. (traduzione di Eugenio Renzi)
do» (dalla prefazione, estratto) – e molte immagini :
Nicole Brenez
L
I FILM · L’avventura di un secolo
Chris Marker, al secolo Christian-François Bouche-Villeneuve, era nato il 29 juillet 1921 à
Neuilly-sur-Seine. Nel 1952,
realizza il suo primo film, durante i giochi olimpici di Helsinki
(«Olympia»), con pochi mezzi, e
dopo aver pubblicato il suo
primo romanzo, «Le coeur net»,
nel 1949, di cui uil protagonista è un aviatore. Nel 1953,
realizza con Alain Resnais «Les
Statues meurent aussi», e nel
62, «Dans les rues de Paris».
Nel ’63, gira insieme a Pierre
Lhomme «Joli Mai», documentario con la voce di Yves Montand al quale dedicherà nel 74
un reportage dal titolo «La solitude du chanteur de fond». Nel
1966, racconta i suoi viaggi in
26 pays nel film «Si j’avais quatre dromadaires», e nel 67 par-
RIVOLUZIONI · Lo spazio della realtà oltre l’inquadratura
«Le fond de l’air est rouge»,
la memoria delle immagini
Cristina Piccino
S
e incontri un gatto arancione magari è Chris
Marker. Era una delle
tante leggende che circondava il cineasta francese, scomparso ieri, che spesso amava
rappresentarsi con l’immagine, appunto, di un gatto color
arancio. Ma la sua figura enigmatica, la scelta di non comparire in pubblico alimentava
l’affabulazione: si diceva che
non uscisse mai di casa, invece Marker era un viaggiatore
infaticabile,la Bosnia, il Kosovo, per citare dei luoghi dai lui
filmati in tempi più recenti, e
naturalmente il Giappone, dove era un mito, si dice che vi
sia a un caffé col nome del
suo film, La Jetée. Ma questo
suo viaggiare, o meglio questo
suo essere nel mondo, si intrecciava intimamente alla
sua visione del cinema.
Volendo trovarne altre di
coincidenze, c’è anche che
uno dei suoi primi film sia stato girato in occasione del giochi olimpici di Helsinki, cinquant’anni fa, e lui se ne va
ora, durante altre Olimpiadi...
Chris Marker è in città scriveva sui Cahiers du cinéma,
negli anni Ottanta, Serge Daney, raccontando del suo filmare random, tra il Giappone
dell’isola di Okinawa (laddove
c’erano le basi americane) e
Pechino, e delle loro conversazioni sul fatto che l’Armata
Rossa poteva aver filmato durante la rivoluzione culturale,
e sulla morte di Bruce Lee ...
A Chris Marker la definizione di «cineasta impegnato»
non piaceva, eppure i suoi
film sono radicalmente politici, e non soltanto quelli del periodo del cinema collettivo e
militante col gruppo Slon (elefante in russo), una cooperativa di cineasti e operatori che
realizzano controinformazione, e poi col collettivo Groupe
Medvedkine di cineasti-ope-
rai. È che la definizione di cinema politico nel suo lavoro rovescia il paradigma di ciò, che
erroneamente, è stato (e in
molti casi continua a essere)
considerato tale, l’idea di film
«impegnato» a partire dal suo
soggetto, lasciando da parte
l’immagine e la riflessione sugli immaginari, e il loro riuso.
Privilegiando invece la retorica dell’informazione, di lacrime e sangue.
Le Fond de l’air est rouge
(77) è forse uno dei film più
belli, e struggenti, sul maggio
francese, e più in genere sull’utopia di un decennio, gli anni Sessanta-Settanta, raccontato da sinistra. A un certo punto di vede De Gaulle che dice:
«Il 68 lo saluto con soddisfazione perché ...» stacco, e le immagini ci portano sulle barricate alla Sorbona occupata,
nell’esplosione della rivoluzione, eppure qualcosa è già perduto. La voce off di Marker ci
dice: «Gli apparati politici tradizionali hanno già cominciato a secretare i loro anticorpi,
che gli permetteranno di so-
pravvivere alla più grande minaccia che abbiano incontrato sul loro cammino. E, come
la palla da bowling di Boris
Karloff in Scarface, che abbatte ancora dei birilli dopo il lancio mentre la mano che l’ha tirata è già morta, tutte queste
energie e queste speranze accumulate nel periodo di cresci-
Le barricate
alla Sorbona
e la battaglia di
Okinawa, il vissuto
di una generazione
ta del movimento soccomberanno all’eclatante e vana parata del 1968, a Parigi, a Praga,
in Messico, altrove ... ». Non
solo il Maggio, ma anche il golpe militare in Cile, la morte
del Che, la lotta contro il Vietnam, e prima ancora l’opposizione alla guerra di Algeria: fili
che intessono una memoria
collettiva, che torna a quel
punto, a quel momento di rot-
tecipa con Jean-Luc Godard,
Agnès Varda et Joris Ivens, al
film collettivo «Loin du Vietnam», contro l’intervento degli
Stati uniti nel sud est asiatico.
Nel 1968, Chris Marker inizia
la sua avventura collettiva e
militante col gruppo Iskra, e
del decennio tirerà un bilancio
lucido delle speranze del decennio in «Le Fond de l’air est
rouge» (77), e nel magifico
«Sans Soleil» (82). Nell’86,
dedica «Mémoires pour Simone», alla sua amica Simone
Signoret.
Nel 97 pubblica «Immemory»,
e nel 2007 diffonde su internet
il suo ultimo cortometraggio,
«Leila Attacks».
Tra il 2008-201o, realizza una
serie nella metropolitina parigina, «Passagers».
tura, di irruenza, di speranza,
finché il pavé si piega alla vitttoria trionfante della destra in
Francia, e altri sogni di spezzano sanguinosamente. Le voci
di Simone Signoret, di Yves
Montand, Devbray, Semprun,
oltre che quella del regista
compongono quel coro polifonico di generazioni di cui
Marker cerca di mettere in relazione l’esperienza, i vissuti,
la sconfitta. Ma sono le immagini, le ore di archivi e di girato che costruiscono la storia,
non c’è nulla di paradigmatico, o di dimostrativo, e anzi la
dimensione personale, è dichiata al punto che, nell’ultima ora del film, Marker racconta la sua passione per i felini, i gatti, in quanto animali
che non «amano il potere».
La memoria. È lo spazio del
cinema, un racconto del secolo, e dei suoi conflitti, ma anche, o forse soprattutto, il punto in cui si tende il limite delle
immagini, mettendone alla
prova la possibile verità.
Torniamo perciò alla battaglia di Okinawa, l’assalto feroce dell’America al Giappone,
ma Level five, in cui la ripercorre, è pensato come un videogioco, in cui appaiono tra gli
altri Nagisa Oshima, narratore
a sua volta della rivolta in
Giappione e rivoluzionario
con le sue immagini contro il
sistema. L’immaginario è l’ arma politica, questa è la sfida.
LA LEZIONE DI MEDVEDKINE · L’importanza della necessità
«Medvedkine è quel cineasta russo
che nel 1938 e coi mezzi tecnici della sua epoca ( 35 millimetri, montaggio e laboratorio nel treno ) ha inventato la televisione: girare il giorno,
montare la notte, proiettare l’indomani alle persone filmate e che spesso
avevano partecipato al montaggio.
Credo che questa storia fantastica e
per lungo tempo ignorata (ne ’il Sadoul’, considerato a suo tempo co-
Rai1
Rai2
Rai3
Rete4
Canale5
06:45 UNOMATTINA ESTATE
10:10 UNOMATTINA VITABELLA
Attualità
11:05 UN CICLONE IN
CONVENTO Telefilm
12:00 E STATE CON NOI IN TV
Varietà
13:30 TG1 Notiziario
14:00 TG1 ECONOMIA Notiziario
14:10 DON MATTEO 6 Telefilm
15:10 CAPRI Fiction
17:15 HEARTLAND Telefilm
18:00 IL COMMISSARIO REX
Telefilm
18:50 REAZIONE A CATENA
Gioco
20:00 TG1 Notiziario
20:30 TECHETECHETÈ Varietà
06:00 CUORI RUBATI Soap
opera
06:25 TOP SECRET Telefilm
07:10 BEYOND THE BREAK
- VITE SULL’ONDA Telefilm
07:30 CARTOON FLAKES Ragazzi
contenitore
10:45 TG2 Notiziario
10:50 OLIMPIADI LONDRA
2012 Diretta Evento
sportivo
13:00 TG2 GIORNO Notiziario
13:30 OLIMPIADI LONDRA
2012 Diretta Evento
sportivo
20:30 TG2 - 20.30 Notiziario
10:30 COMINCIAMO BENE
Attualità
12:00 TG3 - RAI SPORT NOTIZIE
- METEO 3 Notiziario
12:15 COMINCIAMO BENE
Attualità
13:10 JULIA Telefilm
14:00 TG REGIONE - METEO
Notiziario
14:20 TG3 - METEO 3 Notiziario
14:55 LA CASA NELLA
PRATERIA Telefilm
15:45 IL PROFUMO DEL
SUCCESSO FILM Con Billy
Bob Thornton, Téa Leoni
17:15 GEO MAGAZINE Doc
19:00 TG3 - TG REGIONE Notiz.
20:00 BLOB Varietà
20:15 COTTI E MANGIATI Tf
20:35 UN POSTO AL SOLE Soap
opera
09:50 DETECTIVE MONK Telefilm
10:50 RICETTE DI FAMIGLIA
Varietà
11:30 TG4 - METEO Notiziario
12:00 PACIFIC BLUE Telefilm
12:55 DISTRETTO DI POLIZIA 3
Telefilm
13:50 POIROT: ASSASSINIO IN
MESOPOTAMIA FILM Con
David Suchet, Hugh Fraser
16:05 MY LIFE - SEGRETI E
PASSIONI Soap opera
16:30 IVANHOE FILM Con Joan
Fontaine, Elizabeth Taylor
18:55 TG4 - METEO Notiziario
19:35 TEMPESTA D’AMORE
Soap opera
20:10 SISKA Telefilm
09:45 TG5 - ORE 10 - METEO 5
Notiziario
10:20 I CESARONI 3 Fiction
13:00 TG5 - METEO 5 Notiziario
13:40 BEAUTIFUL Soap opera
14:10 INGA LINDSTROM
- NUVOLE SU
SOMMARHOLM FILM
Con Stephanie Kellner,
Hendrik Duryn, Martina
Servatius
16:15 AL CUOR NON SI
COMANDA FILM Con Rob
Boltin, Jonathan Chase,
Barbara Eden
18:30 LA RUOTA DELLA
FORTUNA Gioco
20:00 TG5 - METEO 5 Notiziario
20:40 VELINE Varietà
21:20
LAST COP L’ULTIMO SBIRRO Telefilm
Con Henning Baum,
Maximilian Grill
23:10 PASSAGGIO A NORD
OVEST Documentario
00:15 TG1 NOTTE - CHE TEMPO
FA Notiziario
21:05
OLIMPIADI
LONDRA 2012 Diretta
Evento sportivo
22:30 TG2 Notiziario
22:40 ESTRAZIONI DEL LOTTO
Programma generico
22:45 BUONANOTTE LONDRA
Rubrica sportiva
00:15 RAI PARLAMENTO
TELEGIORNALE Attualità
21:05
CIRCO ESTATE
2012 Varietà
23:15 TG REGIONE Notiziario
23:20 TG3 LINEA NOTTE ESTATE
- METEO 3 Notiziario
21:10
IL PADRINO
- PARTE III FILM Con Al
Pacino, Andy Garcia, Diane
Keaton, Talia Shire
00:50 CINEMA D’ESTATE
Rubrica
00:55 DIMENTICARE PALERMO
FILM Con James Belushi
21:20
QUINTA
COLONNA Attualità
Conduce Salvo Sottile
00:00 RUBICON Telefilm
Con James Badge Dale
01:00 TG5 NOTTE - METEO 5
Notiziario
Italia1
08:10 CARTONI ANIMATI
10:30 DAWSON’S CREEK Tf
11:30 DAWSON’S CREEK Tf
12:25 STUDIO APERTO - METEO
Notiziario
13:00 STUDIO SPORT Notiziario
sportivo
13:40 CARTONI ANIMATI
15:00 GOSSIP GIRL Telefilm
15:55 GLEE Telefilm
16:45 MAKE IT OR BREAK IT Tf
17:35 MERCANTE IN FIERA
Gioco
18:30 STUDIO APERTO - METEO
Notiziario
19:00 STUDIO SPORT Notiziario
sportivo
19:25 C.S.I. NY Telefilm
21:10
TUTTO L’AMORE
DEL MONDO FILM
Con Nicolas Vaporidis,
Ana Caterina Morariu,
Alessandro Roja
23:10 IL BIVIO Attualità Conduce
Enrico Ruggeri
01:20 NIP/TUCK Telefilm
me la Bibbia del cinema sovietico,
Medvedkine non è neppure nominato), che sta alla base di gran parte
del mio lavoro, può essere la sola
coerente, dopo tutto. Cercare di dare
la parola alle persone che non ce
l’hanno, e aiutarli a trovare dei loro
mezzi d’espressione. Erano gli operai
del 1967 a la Rhodia, ma anche i
kosovari che ho filmato nel 2000...
Tutti parlavano in loro nome, ma
La7
09:55 IN ONDA ESTATE Attualità
10:35 J.A.G. Telefilm
11:30 AGENTE SPECIALE SUE
THOMAS Telefilm
12:30 I MENÙ DI BENEDETTA
Rubrica
13:30 TG LA7 Notiziario
14:10 COWBOY FILM Con Glenn
Ford, Jack Lemmon
16:10 IL COMMISSARIO
CORDIER Telefilm
18:00 I MENÙ DI BENEDETTA
Rubrica
18:55 CUOCHI E FIAMME
Real Tv
20:00 TG LA7 Notiziario
20:30 IN ONDA ESTATE Attualità
21:10
LADY
HENDERSON PRESENTA
FILM Con Judi Dench, Bob
Hoskins, Will Young
23:10 IL GIOCO DELLA PAURA
FILM Con Teri Polo,
Zachary Bennett, Anthony
Lemke, Corinne Conley
00:55 TG LA7 Notiziario
quando non erano più tra lacrime e
sangue non interessavano a nessuno
... Ho ritrovato la sindrome Medvedkine in un campo di rifugiati bosniaci,
nel 1993, dei ragazzini utilizzavano i
codici televisivi per riappropriarsi dell’informazione a uso degli altri rifugiati. Avevano gli strumenti, e avevano
la necessità. Le due cose insieme
sono indispendabili».
( «Liberation», 5/03 2003)
Rainews
19:03 IL PUNTO SETTIMANALE
Attualità
19:27 AGRIMETEO Notiziario
19:30 TG3 Notiziario
20:00 IPPOCRATE Rubrica
20:30 TEMPI SUPPLEMENTARI
Rubrica
20:57 METEO Previsioni del
tempo
21:00
NEWS LUNGHE
DA 24 Notiziario
21:27 METEO Previsioni del
tempo
21:30 MERIDIANA - SCIENZA 1
Rubrica
21:57 METEO Previsioni del
tempo
22:00 INCHIESTA 3 Attualità
22:30 NEWS LUNGHE DA 24
Notiziario
22:57 METEO Previsioni del
tempo
23:00 CONSUMI E CONSUMI
Rubrica
23:27 METEO Previsioni del
tempo
la radio
A Salvadanaio su Radio 24 - dalle 12.10 si parla di manipolazione Euribor scandalo
Barclays sulla manipolazione del tasso Libor,
molti dubbi stanno
iniziando a riguardare
anche l'Euribor, il tasso «cugino» europeo.
Debora Rosciani ne
parla con Andrea Gennai, Il Sole 24 Ore;
Roberto Anedda, direttore marketing di Mutuionline; Luca Barillaro, trader indipendente
e con l'avv. Giovanni
Franchi, legale di Confconsumatori.
pagina 14
il manifesto
MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012
❚
terraterra
Paola Desai
Una fortuna in via d’estinzione
U
na piccola corsa all’oro è cominciata
in alcuni villaggi ai contrafforti dell’Himalaya, nell’India settentrionale.
Non si tratta del metallo però, bensì di un minuscolo fungo che a vederlo sembra un bastoncino scuro e contorto, non più lungo di
pochi centimetri. E’ un fungo piuttosto raro:
chiamato kira jari nell’India settentrionale,
o yarsagumba nel vicino Tibet, è ricercato in
Cina, dove è considerato un afrodisiaco.
Non solo: sarebbe capace di dare una sferzata di energia. Quando nel 1993 alcuni atleti
cinesi hanno segnato una clamorosa serie di
nuovi record, i loro allenatori attribuirono la
performance al fatto che mangiavano kira jari. La fama del fungo himalayano poi si è diffusa, e ormai è una merce di valore.
Da qualche anno dunque alcuni villaggi
nelle regioni himalayane dell’India si sono
buttati nel nuovo affare (fino a tempi recenti
il fungo era raccolto solo in certe zone del
Nepal e forse in Tibet). Il kira jari attacca le
larve di certi bruchi del terreno, le mummifica e poi cresce spuntando dalla loro testa. I
mesi buoni sono maggio e giugno, quando
le nevi si sciolgono e il fungo compare nelle
praterie d’alta quota, intorno a 5.000 metri.
Un singolo fungo frutta circa 150 rupie (2,5
euro, o circa 3 dollari), più della paga giornaliera di un bracciante, e chi conosce i posti
buoni riesce a raccoglierne 40 o 50 in un giorno: non c’è lavoro così ben retribuito, in
quelle regioni montanare. Naturalmente ci
sono anche i giorni vuoti e c’è perfino chi torna al villaggio con nulla, ma l’attrattiva è alta: due reporter del Guardian descrivono
praterie dell’altopiano indo-tibetali punteggiate da accampamenti di cercatori, tende di
tela cerata, biancheria stesa, fornelletti, altarini. Si racconta di cercatori che con il kira jari si sono costruiti casa. Molti giovani, in
quei villaggi, ormai preferiscono andare sull’altopiano a cercare il fungo piuttosto che
emigrare in pianura come avevano sempre
fatto, a cercar lavoro come manovali o camerieri nei ristoranti.
La piccola corsa all’oro himalayana però
ha il suo lato tragico. Tanto per cominciare,
il lavoro è estremamente faticoso: cercare il
kira jari significa trascinarsi per ore carpono
sul terreno freddo e fangoso. Gli accampamenti improvvisati non hanno servizi igienici né tantomeno medici. Le notti sono ghiacciate a quelle altitudini, e anche di giorno i
cercatori sono esposti a venti gelidi e perfino
nevicate improvvise. Per settimane si nutrono solo del riso, lenticchie e spagnetti liofilizzati che portano con sé. Ovviamente ciascuno è in concorrenza con tutti gli altri, pare
che nessuno salga a cercare i funghi senza
una cassa con lucchetto.
Una volta tornati a casa, i cercatori corrono altri rischi. Uno è la confisca del raccolto:
raccogliere il fungo in sé è legale, ma è illegale venderlo. Naturalmente lo sanno tutti che
il kira jari viene raccolto all’unico scopo di
venderlo agli intermediari che percorrono i
villaggi delle regioni himalayane per comprarli, ma è un mercato nero. Poi ci sono i
conflitti per i posti migliori - sempre il Guardian fa l’esempio di due villaggi in competizione per una certa zona, al punto che hanno messo in mezzo avvocati; molti dunque
si avventurano sugli altopiani solo portando
cani e armi per difendersi.
Infine, la corsa a raccogliere kira jari è insostenibile. La raccolta è così massiccia, il
fungo viene preso prima che abbia pootuto
diffondere le sue spore; nel giro di pochi anni è diventato sempre più difficile trovarlo e
di questo passo sarà presto estinto: i cercatori stanno distruggendo la loro stessa fortuna.
E però il meccanismo sembra inesorabile:
non ci sono molti lavori disponibili per i giovani di quei villaggi, mentre c’è un mercato
globale in cui molti sono disposti a sborsare
piccole fortune per il kira jari. Finché c’è.
il manifesto
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CAMPANIA
Martedì 31 luglio, ore 18
SIRIA Pezzi del mondo democratico, pacifista e nonviolento, in particolare di Napoli, hanno deciso di dare vita ad una vera e
propria Sette Giorni per la Siria, che si
chiude oggi con un open space «Voci per
la Siria», spazio pubblico e microfono aperto nel cuore del centro antico, esponenti
della politica, della cultura e dello spettacolo contro la guerra in Siria,
■ Piazza Bellini, Napoli
Venerdì 3 agosto
ZUNGOLI L’obiettivo del Zungoli In Festival (Zif) è di coniugare, in un unico evento,
concerti e forme d’arte di diverso tipo e di
diversa provenienza. La rassegna si apre il
3 agosto con il concerto degli Almamegretta. Programma completo sul sito:
http://www.zungoliinfestival.com/
■ Campo sportivo, Zungoli (Av)
LAZIO
Mercoledì 1 agosto
SOSTEGNO PSICOLOGICO GRATUITO Torna con la terza edizione la Campagna Gratuita di Prevenzione e Tutela della
Salute e del Benessere psicologico Aperti
per ferie…lo psicologo non va in vacanza.
Il progetto, che vede coinvolta una vasta
rete di psicologi e psicoterapeuti, prevede
la possibilità di usufruire gratuitamente
durante l’intero mese di agosto dei seguenti servizi: colloqui di sostegno psicologico,
Consulenza on-line tramite Skype. Gruppi
di rilassamento e Pratiche meditative al
parco. Dal 1 al 31 agosto sarà possibile
fissare gratuitamente degli appuntamenti
per ricevere sostegno e supporto psicologico dai professionisti impegnati nel progetto. Il Parco della Caffarella sarà lo scenario
dove nelle seguenti dati 1-8-22-29 agosto
dalle ore 19 alle ore 20 si potrà partecipare a degli incontri di meditazione guidata
di gruppo.Riferimenti Centro Indivenire
Mobile - 349 6843699, email - [email protected], www.centroind
■ Sostegno psicologico, Parco della
Caffarella Roma
PUGLIA
Sabato 4 agosto
VINO È MUSICA Degustazioni, abbinamenti, percorsi enogastronomici e poi artigianato, arte e tanta musica, nell’ambito
della rassegna «Vino è musica». Il visitatore troverà chi dipinge, chi scrive, chi realizza film; chi vive qui e chi è nato qui ma
vive altrove; chi fa teatro e chi fa della
fotografia la sua arte. E saranno loro a
trasformare una serata estiva in un momento di incontro, di scambio e di contaminazione. La stessa idea di contaminazione
incarnata dal concerto centrale che quest’anno sarà dei Radiodervish. Ma in questa edizione ci sarà anche il ponte coi
Balcani, alla scoperta del loro vino.
■ Quartiere delle Ceramiche, Grottaglie (Ta)
TOSCANA
Giovedì 2 agosto, ore 17.30
DAME A BOBOLI Ha preso il via giovedì
scorso l’edizione 2012 di «Dame a Boboli», rassegna a cura della Associazione
Culturale «Circostanze» che prosegue poi il
2, 9, e 30 agosto. Il programma, curato da
Margherita Ferraris, propone letture scelte
da poesie di Marina I. Cvetaeva, Vivian
Lamarque e Emily Dickinson.
■ Parco Granducale Giardino degli
Ananassi, Firenze
Inviare gli appuntamenti all’indirizzo:
[email protected], altri incontri: http://www.ilmanifesto.it/eventi/
–
Nel pieno della crisi arriva finalmente
«una potente iniezione di fiducia per
tutti coloro che credono nel valore del
lavoro»: lo dichiara il deputato Pd Daniele Marantelli, plaudendo al contratto di Alenia Aermacchi (Finmeccanica)
per la fornitura a Israele di 30 velivoli
militari da addestramento avanzato
M-346. Così, nella prossima operazione «Piombo fuso», i piloti israeliani
potranno essere ancora più micidiali.
Berlusconi aveva promesso di promuovere la vendita degli M-346, dice l’onorevole Pd, ma la sua è stata «una promessa non mantenuta, come tante
altre». Poi, fortunatamente, è arrivato
il governo Monti. I suoi meriti vengono
riconosciuti da Giuseppe Orsi, presidente di Finmeccanica: l’accordo è
frutto di «una proficua collaborazione»
tra il governo italiano è quello israelia-
le lettere
COMMUNITY
INVIATE I VOSTRI COMMENTI SU:
www.ilmanifesto.it
[email protected]
Le vicende connesse alla notifica
del sequestro degli impianti dell'Ilva
di Taranto assumono implicazioni di
ordine sociale, economico, giuridiche
e costituzionali rilevantissime. Vi sono
grato del contributo di approfondimento che le pagine odierne del giornale
offrono; resta chiaro che una vicenda
di questo genere non può rimanere
sulle spalle dei soli lavoratori o della
sola magistratura. Questo è un altro
di quei momenti in cui si avverte la
necessità di una moderna forza della
sinistra, di ispirazione socialista e comunista, che sappia indicare la strada per il superamento delle presenti
antinomie tra lavoro ed ambiente.
Vittorio Vittori, Livorno
❚
Posta e risposta
Ilva, diritti e contestazioni
Cari compagni e compagne,
leggo con qualche perplessità il commento di Massimiliano Del Vecchio, a
pagina 2 del manifesto del 28 luglio,
su chi debba essere l’obiettivo della
protesta degli operai dell’Ilva di Taranto. Non mi dilungo sulla possibilità, in
una democrazia, di protestare contro
atti di giustizia non solo -, perché è
evidente - con azioni di ricorso giudiziario, ma pure con altre forme di opposizione di cui è ricca la nostra storia
democratica. Che la magistratura abbia in questo caso tutte le ragioni del
mondo e debba avere il nostro pieno
sostegno non cambia di una virgola il
diritto alla contestazione. Che si dica
poi addirittura che non sarebbe previ-
In realtà è proprio il diritto di sciopero l'unica forma di protesta protetta dalla costituzione, ed è ovviamente previsto che sia esercitata nei confronti
del datore di lavoro, il quale, in presenza di condizioni di legittimo esercizio del diritto è tenuto a subire il danno alla produzione arrecatogli dallo sciopero. Nessun’altra forma di protesta gode di questa
protezione.
E' ovvio che sia consentito protestare contro i
provvedimenti della magistratura o contro l'inerzia della politica, al di fuori del rapporto di lavoro,
ma non si tratta di forme di protesta protette dalla
costituzione come il diritto di sciopero, tant'è che
Quando un lavoratore preferisce
mettere a rischio la propria vita e la
propria salute per non perdere il sacrosanto posto significa che qualcosa nel
sistema lavorativo e sociale non va. Ma
lascia sbalorditi il continuo e inesorabile silenzio dei sindacati e degli stessi
amministratori politici che si sono susseguiti a Taranto e nella regione Puglia
(oltre ai fantomatici Ministri all’Ambiente). Un assordante silenzio, un ulteriore
aspetto di una industrializzazione pseudo-statalista, ma tesa al profitto di pochi, che ricorda il cosiddetto terzo e
quarto mondo (sembra rivivere i Comuni dell’amianto). Se la Costituzione
italiana mette davanti ad ogni cosa il
diritto al lavoro, nello stesso modo afferma senza indugi il rispetto della salute e dell’incolumità di ogni lavoratore
(e di ogni cittadino lavoratore e non).
Ciò sta a significare che i lavoratori non
hanno alcun diritto di «scegliere» liberamente di ammalarsi costi quel che costi, così come di calpestare la propria
dignità e la propria stessa vita.
Alfio Lisi, Catania
sto dalla Costituzione la possibilità di
protestare contro l’inerzia politica, questa mi pare un’enormità che richiede
precisazioni. Che appunto chiedo a un
giornale come il nostro. Con rinnovata
stima, affetto e solidarietà comunista,
ambientalista, anticapitalista, antimilitarista benecomunista…
Enrico Bandiera – Lessolo (TO)
nelle prime ipotesi non è consentito infliggere un
danno al destinatario della protesta. Si tratta invece, in questi casi estranei all'esercizio dello sciopero
in senso tecnico, come ho detto, non di forme di protesta protette dalla costituzione, bensì garantite dalla stessa alla luce del diritto di libera manifestazione del pensiero. Ciò non significa che l'ordinamento non abbia previsto degli strumenti per tradurre
la libertà di pensiero in esercizio del diritto. Essi sono però, avverso il provvedimento della magistratura, l'azione giudiziaria; avverso l'inerzia della politica, il voto elettorale. Fraterni saluti
Massimiliano Del Vecchio
La salute in fabbrica non si baratta con il posto di lavoro, come sostengono le tute blu dell’Ilva di Taranto. Senza la salute è seriamente compromessa l’attività lavorativa di chi
lavora e non solo. Gli ammortizzatori
sociali sono un antidoto alla morte
causata dalla fame,ma i tumori contratti nei luoghi di lavoro rappresentano l’anticamera di una morte quasi
certa. I procedimenti giudiziari nei
confronti dei responsabili delle morti
per tumore nei luoghi di lavoro dovrebbero smuovere le nostre coscienze affinché il futuro non sia più costellato di tragedie, in nome del profitto
selvaggio.
Aldo Passarella
E se domani, oltre al dilemma ambiente-lavoro, dovessimo confrontarci
con il dilemma guerra-lavoro? Saremmo in condizione di dare una risposta come quella della Morellato Termotecnica di S. Giuliano Terme, Pisa
(vedi «il manifesto» del 18 luglio),
dove imprenditore e dipendenti, pur
in una situazione di crisi e cassa integrazione, hanno rifiutato una commessa che sarebbe stata relativa a
un processo di costruzione di siluri?
Una scelta che da una parte fa pensare per il coraggio, dall'altra perché
esprime concretamente una via nuova basata sulla coerenza, anche a
caro prezzo. E' questione scottante e
contraddittoria, ma occorre chiedersi
se il rispetto dell'art. 11 della Costituzione, l'impegno pacifista e la ricerca
di lavoro e sviluppo debbano poi essere contraddetti dall'impegno massiccio nelle fabbriche di armi da cui,
in genere, non si declina perché dà
crescita al Pil, genera occupazione,
ricchezza e affari sicuri. Magari la
Morellato Termotecnica sta dando
un'ipotesi di indirizzo e prospettiva
per imprenditoria, sindacati e lavoratori su cui sarebbe il caso di riflettere
per l'elaborazione di più mature ipotesi alternative. Che potrebbero essere
anche un modello per il dilemma
ambiente-lavoro.
Silvio Stoppoloni, Roma
CIAO SANDRO
Con Sandro Bianchi se ne va un
caro amico con cui ho condiviso
un’esperienza di vita importante
e soprattutto un pezzo di storia
significativo del manifesto. Partimmo insieme, alcuni mesi prima dell’uscita del quotidiano
per cercare, lui di raccontare la
realtà milanese sul giornale e io
per rafforzare la presenza del manifesto come movimento politico organizzato in quella città.
Non era un compito facile. Tutta
la vasta area sociale messa in movimento dal ’68 studentesco e
dall’autunno caldo operaio del
’69 e che agiva alla sinistra del
Pci era largamente già organizzata ed egemonizzata da Avanguardia operaia, Lotta Continua e il
Movimento studentesco di Capanna. Debole era stata anche
l’adesione di quadri provenienti
dal Pci, dopo la radiazione dal
partito delle compagne e compagni di quello che chiamavamo il
Ultimo saluto
gruppo storico. Senza però una
presenza e un radicamento nei
luoghi dove si determinavano gli
esiti dello scontro sociale ed operaio, Milano e Torino in particolare, l’impresa del manifesto e il
suo tentativo di costruire una forza in grado di provocare una generale rifondazione del movimento operaio italiano, oltre che
un suo spostamento a sinistra,
non avrebbe avuto alcun senso.
Finalmente avevamo una sede dove riunirci, in via San Gottardo. Un grande stanzone, nella
cui parte finale era stata ricavata
la sede che avrebbe ospitato Sandro e la redazione del manifesto
che stava per nascere, di cui Carla Casalini fu una delle prime
componenti. Ho passato con lui
anni emozionanti e carichi di
passioni, in una città attraversata da movimenti straordinari e
da lotte operaie che scuotevano
nel profondo il sistema di potere
capitalistico e gli equilibri politici che lo governavano. Insieme
alle compagne e i compagni che
hanno dato vita al primo centro
di iniziativa del manifesto milanese cercammo di influire su
queste lotte, radicandovi il suo
progetto politico.
Sandro aveva colto perfettamente lo spirito e il senso con
cui nasceva il quotidiano e non
si considerò mai un giornalista.
Amava costruire i suoi articoli vivendo in prima persona le vicende che voleva raccontare. Mi è rimasta impressa una discussione
che facemmo qualche giorno prima che uscisse il giornale nella
L’ARTE DELLA GUERRA
Business di armi Roma-Tel Aviv
Manlio Dinucci
no. Dimentica però, ingiustamente, i
meriti del governo Berlusconi, artefice
della legge quadro (17 maggio 2005)
sulla cooperazione militare Italia-Israele. Quest’ultimo accordo, dunque, è
frutto della stessa politica bipartisan
attuata dai governi italiani. Nell’annunciare il successo della vendita a Israele degli M-346 e dei loro sistemi operativi, il ministero italiano della difesa
tace però su un particolare. Il ministero della difesa israeliano pagherà solo
una parte minore del prezzo totale. Il
grosso, circa 600 milioni, sarà anticipato da un consorzio finanziario forma-
to dal gruppo bancario italiano Unicredit e da un fondo pensione collegato,
che investiranno insieme 400 milioni,
e dalla banca israeliana Hapoalim,
che investirà 200 milioni. Il ministero
italiano della difesa annuncia quindi
che «le forze armate italiane, dal canto loro, potranno utilizzare un sistema
satellitare ottico ad alta risoluzione
per l’osservazione della Terra denominato Optsat-3000, realizzato in Israele». Dà quindi l’impressione che questo satellite sia stato messo da Israele
gentilmente a disposizione dell’Italia.
In realtà, essa lo acquista attraverso
Telespazio dalle Israel Aerospace Industries, pagandolo oltre 200 milioni di
dollari, cui si aggiungeranno gli ingenti
costi per la messa in orbita e il controllo del satellite. Questo, da una quota
di 600 km, servirà non a una generica
«osservazione della Terra», ma a individuare in lontani teatri bellici gli obiettivi da colpire, con immagini di 50 cm
ad alta risoluzione. Col solito tono vago, il ministero della difesa comunica
infine «la fornitura di sottosistemi standard Nato di comunicazione per due
aerei destinati all’Aeronautica militare». Parla così della frusta e non del
quale alle mie sollecitazioni sulla
necessità di fare un giornale utile alle lotte operaie rispose che il
difficile non era fare un giornale
per gli operai, mentre molto più
arduo era costruire un quotidiano degli operai. Qualsiasi cosa
dovesse raccontare, dalle lotte alla Pirelli o all’Alfa Romeo, all’occupazione delle case di via Tibaldi, i suoi articoli nascevano sempre da una partecipazione attiva
a quelle esperienze, in contatto
diretto con i suoi protagonisti.
Volevo ricordarlo così Sandro
Bianchi, una persona che ha arricchito la mia vita e soprattutto
come un pezzo importante della
storia di questo giornale e dell’esperienza politica del manifesto più in generale. Ciao caro
Sandro.
Massimo Serafini
Oggi l’ultimo saluto a Sandro
Bianchi presso la Camera del lavoro di Rimini.
–
cavallo: gli aerei sono due Gulfstream
550, jet di lusso per executive made
in Usa, che le Israel Aerospace Industries trasformano in sofisticatissimi
aerei da guerra. Dotati delle più avanzate apparecchiature elettroniche e
collegati a sei stazioni terrestri, questi
G-550 modificati, capaci di volare a
12mila metri di quota con un raggio
d’azione di 7mila km, sono la punta di
lancia di un sistema di comando e
controllo per l’attacco in distanti teatri
bellici. L’Italia acquista da Israele questo sistema di comando per le guerre
di aggressione al modico prezzo di
750 milioni di dollari che, aggiunti a
quello del satellite militare, portano la
spesa a oltre un miliardo. Ovviamente
con denaro pubblico. «Una potente
iniezione di fiducia» a coloro che credono nel valore della guerra.
il manifesto
MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012
pagina 15
COMMUNITY
Debito e Pil,
quattro punti per cambiare
L
e analisi sulla crisi si susseguono
e possiamo dire che a sinistra esiste ormai una condivisione abbastanza diffusa. Capita, però, di avvertire
alla fine di molte analisi, anche molto
interessanti come ad esempio l’ultima
di Guido Viale, una sensazione di impotenza a cambiare veramente il corso
delle cose. Gli aspetti ormai comuni a
gran parte della sinistra sono
due.
Il primo è che da questa crisi
non si esce con l’austerità. Ormai
non ci sono più dubbi: la crisi è
nata negli Usa che, per salvare le
banche, hanno accresciuto il loro debito, dal 2007 al 2011, di ben
6.116 miliardi di dollari, un ammontare pari alla somma dei debiti complessivi attuali di Francia, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo; l’offerta di una massa così
enorme di titoli ha creato un effetto propagazione che ha generato nel mondo maggiori debiti
per 20.657 miliardi; poiché nel
frattempo il Pil mondiale cresceva di 13.982 miliardi ed i risparmi
di soli 3.148 miliardi, si è creato
un forte squilibrio tra domanda
ed offerta che ha causato la corsa
verso i titoli più affidabili e scaricato la crisi in Europa, dove alcuni paesi avevano situazioni debitorie antiche e tollerate che adesso sono diventate insostenibili.
Se questo è lo scenario è chiaro
che dalla crisi non si può uscire
con politiche di austerità che
mettono in ginocchio prima i paesi più indebitati e poi a catena
anche gli altri.
Da qui scaturisce il secondo
aspetto: il ricorso a governi "tecnici" può solo servire a far passare misure severe che i politici
non hanno la forza di assumere,
ma non risolve né i problemi del
debito né quelli dello sviluppo.
Così i bei titoli dati ai provvedimenti presi - SalvaItalia, CrescItalia, Calmaspread – sempre più somiglianti a prodotti farmaceutici
da banco, hanno avuto il sapore
amaro delle medicine, ma non
hanno migliorato per niente lo
stato di salute dell’economia. La
constatazione che ne discende è che da
questa crisi non si potrà mai uscire assumendo il solo debito come unico male da curare.
Tutto questo dimostra che la superfetazione finanziaria del capitalismo lo
sta portando in un vicolo cieco ed a sinistra possiamo trarne la conferma che
mercato e liberismo non sono la ricetta
del futuro e che occorre cambiare modello di sviluppo. Fin qui tutto ok.
Ma da qui in poi cominciano i problemi perché se le analisi appaiono solide
e condivisibili, non altrettanto si può dire delle proposte.
Il dibattito a sinistra finora ha prodotto idee sulla riconversione ecologica,
sulla redistribuzione sociale, sull’economia partecipata, sullo sviluppo dell’economia di territorio valorizzando, come
esemplari, alcune esperienze che contengono germi di nuova economia
Il terrore
di Mosca
Pussy Riot
in tribunale
RUSSIA
DALLA CELLA riservata agli
imputati fanno capolino
Nadezhda Tolokonnikova e
Maria Alyokhina, componenti
della punk rock band al
femminile Pussy Riot (foto
Reuters). A Mosca prosegue il
processo contro di loro per il
«sacrilego» blitz anti-Putin nella
cattedrale di Mosca.
Mercato e liberismo non sono la ricetta del futuro.
Sull’analisi della crisi siamo d’accordo. Ma qui
cominciamo i problemi. Perché le esperienze in atto
non riescono a fare massa critica, a cambiare gli stili di
vita, i prodotti e il modo di produrre? Qualche idea per
andare verso un’altra economia
Aldo Carra
(Gas, Gat, cooperazione sociale…).
Ma è sufficiente valorizzare questi
germi per generare una mutazione epocale e strutturale dell’economia nell’era della globalizzazione?
Possiamo fermarci nelle nostre analisi a questo punto senza chiederci perché le interessanti esperienze in atto
non riescono a fare massa critica, a creare realtà diffuse di nuovi stili di vita, di
nuove produzioni e di nuovi modi di
produrre?
Ed inoltre, pensiamo che questo avverrà come sbocco naturale di una evoluzione lineare di queste esperienze o
non dobbiamo affiancare ad esse anche un altro percorso?
Naturalmente chi scrive pensa questo ed allora, nei limiti propri di un articolo, vorrei chiedere se possiamo concentrare la nostra attenzione su alcuni
nodi che è necessario sciogliere per po-
terne poi far discendere proposte concrete.
Per sollecitare questa ricerca provo a
sottoporre alla discussione quattro punti:
a)- il ruolo che le forze imprenditoriali, cooperazione compresa, dovrebbero
svolgere nella trasformazione del modello di sviluppo. Si tratta di valutare se
e come costruire relazioni/alleanze/
convergenze con tutti gli imprenditori
disponibili ad investire in settori che
producono beni e servizi del futuro, realizzando modelli organizzativi di produzione partecipata. Si tratta di dare concretezza all’idea di nuovi prodotti e servizi, realizzati in modo nuovo, e di far
uscire il tema delle alleanze dal politicismo con cui esso viene oggi affrontato.
b)- il ruolo che in questa mutazione
spetta agli enti locali. Essi si dibattono
oggi in difficoltà che rischiano di au-
–
mentare ancora vanificandone la funzione. Proprio per questo diventa necessario che essi agiscano con una nuova cultura di "imprenditori territoriali"
che sollecitano ed organizzano le risorse del territorio mettendo in moto lavoro volontario, risorse economiche ed
imprenditoriali ed attivando progetti
ambiziosi di sviluppo e di valorizzazione per far intravedere ai soggetti
economici l’utilità di investire oggi per trarne benefici futuri. Si
tratta, cioè, di riconvertire la funzione stessa delle istituzioni locali da strutture di erogazione di assistenza e di servizi a strutture
che, senza rinunciare a quelle
funzioni, riescano a promuovere
sviluppo economico e qualità dei
servizi e della vita nel territorio.
c)- il ruolo dello stato e dell’Europa. Una politica come quella
prospettata difficilmente potrà fare a meno di incentivi pubblici.
Questi incentivi oggi ci sono, anche se ridotti, e si tratta di pensare ad un neokeynesismo fatto
non più di elargizione di risorse
per alimentare i consumi, ma di
finalizzare gli incentivi alla trasformazione del modello di sviluppo. E’ necessario, per questo,
che la sinistra affronti il tema della individuazione dei settori, produttivi di beni e servizi che dovranno caratterizzare il nostro futuro, proponendo modelli di relazioni tra mondo della produzione e mondo delle ricerca per realizzare nuovi prodotti e nuovi
modi di produrre. Si tratta, quindi, di costruire una funzione nuova per l’incentivazione trasformandola in strumento per indirizzare l’economia verso la riconversione e la sostenibilità sociale
ed ambientale.
d)- Un altro nodo da affrontare è quello del lavoro e della sua
ripartizione. Tra lavori pesanti e
sottopagati scaricati sugli immigrati, precarizzazione irrefrenabile del lavoro, crisi profonda della
funzione sociale e di aggregazione dei luoghi di lavoro, ghettizzazione tra i "protetti" di quel poco
di lavoro regolato e regolare che
rimane, si dovrebbe avviare una discussione molto aperta sulla redistribuzione del lavoro non solo in termini di orari, ma come ripartizione dei carichi tra
uomini e donne, tra giovani ed anziani,
tra lavori produttivi e lavori sociali. Un
nuovo modello di sviluppo non dovrebbe prescindere da un nuovo modello di
ripartizione del lavoro tra gli individui
di una società.
Naturalmente quelle accennate sono solo indicazioni di massima da sviluppare. Dovremmo farlo, però, rapidamente perché se è vero che il liberismo
non sa più dove mettere le mani per
uscire dalla crisi, è anche vero che la sinistra non può fermarsi alle giuste analisi, ma deve indicare un percorso di riconversione capace di coinvolgere soggetti sociali ed imprenditoriali e deve
farlo a livello sovranazionale e quantomeno a livello europeo.
EX CATHEDRA
Se gli economisti
chiedessero scusa
Gianluca Ferrara
I
l politico e giornalista
francese Georges Clemenceau sosteneva che
la guerra è una questione
troppo seria per lasciarla ai
militari, oggi verrebbe da dire che l’economia è una materia troppo seria per lasciarla agli economisti. In effetti,
questa categoria, pur non
volendo generalizzare, ne
esce disintegrata dopo i tracolli degli ultimi anni. Eppure non si direbbe a constatare dalla tracotanza di alcuni,
specie se docenti universitari. Siamo giunti ad un crack
economico di scala planetaria eppure sembra che solo
uno (Nouriel Roubini) abbia
predetto la scintilla che poi
ha incendiato l’economia
mondiale, ovvero la bolla
dei mutui subprime.
Se è vero che i politici sono diventati marionette
mosse dai potentati economico finanziari (il poco rimpianto Cossiga aveva sintetizzato questo potere ricordando che un tempo quando si incontravano in un ristorante un politico e un
banchiere il secondo andava ad ossequiare il primo, al
contrario oggi è il politico
che va al tavolo del banchiere ad omaggiarlo) è altresì
vero che solo pochi economisti televisivi hanno l’onestà intellettuale di dissociarsi dalle opzioni politiche
condizionate, dettate da chi
veramente governa.
Un economista serio, con
una prospettiva di lungo periodo e che abbia come bussola il bene comune, dovrebbe prima di tutto farla finita
con il termine crescita come
se fosse la panacea di tutti i
mali. La letteratura oramai è
colma di tesi che provano la
sua insostenibilità ambientale e occupazionale. Sarebbe
auspicabile che anche i più
cocciuti degli economisti lo
capissero smettendo di usare questo termine come acqua santa da spruzzare contro il diavolo della disoccupazione.
Di quale crescita parliamo? Vogliamo una crescita,
uno sviluppo come quello
degli Usa? Molti economisti
immagino sappiano cosa
sia l’Earth Overshoot Day,
come sanno che se tutto il
pianeta fosse abitato da
americani sarebbe necessario avere a disposizione cinque globi terrestri: uno per
le miniere, uno per i mari,
uno per le foreste, uno per i
campi e uno disponibile dove mettere i rifiuti.
Anche la tanto invocata (e
per diversi aspetti condivisibile) politica economica keynesiana che prevede un intervento dello Stato nell’economia, a che tipo di crescita
si riferisce? L’intervento del-
DIVINO
lo Stato potrebbe innescare
un effetto moltiplicativo anche investendo soldi pubblici in opere disastrose e inutili come la Tav, il ponte sullo
stretto o persino costruendo
una nave da guerra.
Anche per ciò che sta succedendo nell’area euro forse sarebbe il caso spiegare
che il problema è strutturale. Con l’introduzione dell’euro, le economie che avevano una moneta debole, si
sono trovate costrette a rapportarsi con l’euro. Questo
ha ridotto le loro esportazioni perché il prezzo delle merci è aumentato. Il contrario
di ciò che è accaduto alla
Germania che con l’euro
(appunto una media di tutte
le monete dei paesi aderenti) più debole del marco, ha
abbassato il prezzo delle
merci e incrementato le
esportazioni principalmente verso i paesi deboli. Non
ci vuole un genio a capire
quel che è successo e quel
che accade oggi, ma è difficile sentirlo spiegare nei mass
media. In Germania c’è una
crescita industriale e occupazionale,
proporzionalmente nei paesi del sud Europa diminuisce la forza industriale e si riduce l’occupazione.
L’indebolimento e la conseguente possibile instabilità delle economie dei paesi
dell’area mediterranea significa che, a differenza della
Germania, per ricevere crediti devono pagare tassi d’interesse notevoli alimentando
ancor di più il circolo perverso di una Germania sempre
più potente e gli altri sempre più deboli. Naturalmente, aumentando il debito, gli
stati, come sta accadendo in
Grecia e a breve in Italia,
svendono il proprio patrimonio. L’economia tedesca acquista a prezzi da saldo. Altro che l’Europa della fratellanza pensata da Spinelli.
Ricordo che poche settimane dopo lo scoppio della
bolla degli immobiliare Usa,
andai a un incontro in cui
era relatore padre Alex Zanotelli. Lui, nonostante il suo
impegno e la sua denuncia,
direi profetica, sentì, da prete, di chiedere scusa perché
come Chiesa non si era agito e prevenuto sufficientemente. L’altro relatore, che
era un docente di economia, non si sentì assolutamente in dovere di fare, anche se a nome della categoria, un mea culpa, anzi con
saccenza iniziò la sua predica ritornando a recitare la
solita litania della crescita.
Forse quando sentiremo
queste scuse significa che si
starà iniziando a costruire
un’economia pensata per il
99% e non per l’1%.
–
ALa ricerca del «Regno di Dio»
Nella vita politica italiana la presenza
del cattolicesimo è certamente diminuita, anche perché non c’è più un partito
che rappresenti gli interessi dei cattolici. Una presenza diminuita , ma certamente forte, vistosa, forse anche talvolta ingombrante. Lo confermano alcuni
interventi recenti, pesanti e discutibili.
Penso alle reazioni cattoliche contro le
aperture milanesi sul matrimonio. Penso alle ripercussioni, inevitabili anche in
Italia, degli scandali vaticani che ormai
hanno avuto echi in tutto il mondo. Penso anche a vicende e accuse che hanno
coinvolto autorevoli esponenti cattolici
come il presidente della regione Lombardia.
Che dire allora della presenza cattolica
Filippo Gentiloni
nella vita pubblica italiana? E quale è il
rapporto fra la vita pubblica e quella
strettamente religiosa dei cattolici? E’
difficile dirlo, anche perché si dovrebbe
misurare la frequenza alla Messa domenicale, ai sacramenti, ai Battesimi, ai
matrimoni religiosi etc..
Un dato chiaro è quello riguardo ai matrimoni: aumentano vistosamente i matrimoni civili, i divorzi, le unioni di fatto,
le richieste di nuove nozze. Il cattolicesimo italiano, quindi, non può che sentirsi in crisi.
Nelle alte sfere non si parla, però, di
crisi, né sembra che si realizzino forme
di cure. L’impegno cattolico, al di là di
quello immediato quotidiano, si realizza
soprattutto nel campo dell’assistenza,
dove c’è un grande bisogno e dove il
cattolicesimo manifesta tradizionalmente grandi capacità e, bisogna aggiungere, dove il mondo laico è piuttosto insufficiente. I vecchi, i malati, i poveri rappresentano il grande campo di lavoro
nel quale il mondo cattolico è più presente e spesso addirittura insostituibile.
Non è tanto in crisi, dunque, in Italia la
presenza cattolica; è in crisi, piuttosto,
quell’annuncio del «Regno di Dio» che il
mondo cattolico dovrebbe proclamare e
non riesce a diffondere con convinzione.
(Il divino va in vacanza e ritorna a settembre)
pagina 16
il manifesto
MARTEDÌ 31 LUGLIO 2012
L’ULTIMA
storie
Gianfranco Capitta
VOLTERRA
L
La Fortezza di Volterra,
prigione di stato, diventa
palcoscenico dove
Armando Punzo, così come
già fece Bene, sceglie
Mercuzio come perno
del racconto shakesperiano,
e ne fa il protagonista
a storia sembrerebbe facile da raccontare: Mercuzio fa parte del clan
dei Montecchi, ma è «atipico» rispetto alle regole di quel gruppo di famiglia e di interessi. È poeta, a suo modo;
parla di immagini visionarie e di cose che
sembrano estranee a quella sorta di casta
che detiene e contende ai rivali il potere
in Verona, i quali a loro volta distribuiscono incarichi e organizzano feste che sembrano manifestazioni di «stato» e di status. Mentre l’innamoramento improvviso e incontrollabile di Romeo nei confronti di Giulietta Capuleti mette a soqquadro
e repentaglio il delicato equilibrio dei poteri in città, Mercuzio è già morto ucciso
da Tebaldo parente dei Capuleti. E per la
storia si apre la via della tragedia.
Questa almeno è la «storia» narrata da
Shakespeare. Già Carmelo Bene, negli anni settanta, aveva scelto Mercuzio come
perno del racconto, si era appropriato del
personaggio, e ne aveva fatto il protagonista vero della tragedia, nella famosa edizione cosparsa e inondata di rose rosse e
di brindisi, dove Mercuzio/Bene rimaneva in scena morente tutto il tempo. Armando Punzo ha afferrato una suggestione simile, ma l’ha approfondita e ampliata, facendone la falsariga della propria
esperienza, che da 23 anni trasforma
ogni estate la Fortezza di Volterra, prigione di stato per lunghe detenzioni, in uno
IMMAGINI
dei palcoscenici più curiosi e impressioTRATTE DA
nanti della scena italiana. Ventitrè anni
«MERCUZIO NON
vuol dire una ventina di spettacoli che
VUOLE MORIRE»
ogni anno hanno fatto tanto rumore, e
DELLA
non shakespearianamente «per nulla».
COMPAGNIA
Da quella lontana Gatta Cenerentola che
DELLA FORTEZZA
aprì la serie delle rappresentazioni di
DIRETTA
quella che ben presto è divenuta la ComDA ARMANDO
pagnia della Fortezza, attraverso momenPUNZO/FOTO
ti e titoli sempre emozionanti. Dal Marat/
DI STEFANO
Sade al Pinocchio, da Brecht ad Alice ed
VAJA
Amleto arrivati a fondersi in Hamlice,
SOPRA
Punzo è giunto lo scorso anno a indiviLA LOCANDINA
duare in Mercuzio l’alfiere della poesia,
DELLO
di libertà e cultura, dei sogni e delle utoSPETTACOLO
pie, destinato a soccombere sotto il potere combinato delle due gang veronesi
che controllano ogni spazio di pensiero,
sentimento e azione, nella città.
L’arte
NON MUORE
Mercuzio è una vittima, per quanto vigorosa e intraprendente, che viene fatta
fuori, e tolta subito di scena, dalle rivalità
smodate e arroganti delle due fazioni contendenti. È quasi il prezzo drammaturgico e sacrificale pagato perché l’amore delle due creature del titolo, per quanto clandestinamente, arrivi a compimento. Per
Punzo, che ha sempre lamentato una
scarsa sensibilità istituzionale al proprio
lavoro in carcere nonostante gli apprezzamenti, e ne ha denunciato a più riprese le
limitazioni e i vincoli (oltre naturalmente
alla mancanza di mezzi finanziari rispetto ai progetti che crescevano con le ambizioni e i risultati), è stato quasi naturale
inalberare quella figura di Mercuzio come la poetica rappresentazione del proprio lavoro.
Già lo scorso anno Mercuzio non vuole
morire era diventato il titolo e il motto della rappresentazione alla Fortezza di Volterra. Con riscontri positivi da parte di
chi aveva potuto assistervi. Tanto che lo
stesso artista ha deciso di continuare a
stare attorno a quella trama, di ampliarla,
di farne terreno scenico per l’intera Volterra, città meravigliosa e isolata dalla sua
stessa posizione geografica, chiusa su un
monte e ricca di alabastro nella cui lavorazione ha sempre eccelso, legata ora alle
fortune e alla risonanza della Compagnia
della Fortezza, come un tempo più tristemente lo era stata per il manicomio criminale e il carcere che ospitava, più che per
i tesori d’arte di Rosso Fiorentino.
Punzo ha deciso di misurare la follia di
Mercuzio, e la sua disperata difesa dell’arte, con la vita «vera», quella «di fuori». Così, alla fine dello spettacolo dentro la Fortezza, ha portato quei temi e quel grido
potente fuori del carcere, perché diventasse grido e teatro collettivo, che tanto più
suona violento e radicale nei giorni in cui
la cultura e l’arte vengono ulteriormente
vilipese e pugnalate alle spalle dalla spending rewiew, come e peggio di Mercuzio.
Anzi, bisogna dare atto all’artista napoletano di aver fatto di più: rispetto allo scorso anno, lo spettacolo è stato «rovesciato» nella sua drammaturgia. Nella passata edizione lo stesso Punzo attore risultava molto preminente rispetto ai suoi compagni di scena, gli attori detenuti, e qualcuno non aveva taciuto il rischio che questo comportava. Ora nel cortile infuocato
della Fortezza, gli interpreti si sono ripresi la loro centralità, mentre il pubblico sta
appiattito, in piedi, contro le sbarre.
Ognuno di loro ha il modo e l’agio di vivere un ruolo di protagonista (come Aniello, protagonista del film di Garrone, che
si rivela insinuante spadaccino), in una
fiumana di immagini pittoriche, naif, o
grandi riproduzioni della medievale piazza dei Priori, inframmezzate a citazioni di
tanti spettacoli.
E poi alla fine della rappresentazione,
tutti fuori: pubblico, attori del carcere,
attori e artisti che con Punzo hanno già
collaborato (le Ariette, il contraltista
Maurizio Rippa sempre sublime, Michela Lucenti col suo Balletto civile, il Teatrino Giullare tra gli altri). E la piazza, dove
quel fiume umano mostra le Giuliette
morte stese a terra, e le mani insanguinate alzate, e i corpi e le voci che sono anche quelle del pubblico che inalbera un
libro, e si fa attore, diventa un flusso potente, rallentato forse nei tempi ma di
oscura suggestione. A vedere le telecamere in azione, viene in mente che possa diventare un film. Ma questa è già
un’altra storia.