Portfolio - Chiara Trivelli
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Portfolio - Chiara Trivelli
Chiara Trivelli visual artist Artist's Statement Niente che seduca al primo sguardo. Niente che risponda a un qualsivoglia standard di professionalità. Niente di funzionale. Nessuna ragione di mercato. Con questo non intendo dire che per me la pratica artistica sia un hobby. Intendo dire che produce qualcosa le cui qualità vanno oltre quelle di un buon prodotto. La mia pratica artistica parte dall'assunto che l'arte può essere intesa come intevento diretto sui processi di trasmissione culturale. Concerne gli spazi pubblici, comunità che vanno scomparendo e luoghi dimenticati. Il mio lavoro riguarda la messa in discussione di identità e linguaggio. Non è un lavoro individuale, è basato su un approccio partecipativo, tratta l'immateriale. Memoria ambiente marginalità, trasformazione sociale. Attivare un processo di condivisione costringe a mettere da parte il proprio ego, ed questa la fatica del lavoro che faccio. Svolgere una criticità relazionale diventa allora qualcosa di intrinsecamente artistico, un processo di crescita collettiva. Cerco di raccontare le storie reali che compongo collettivamente attraverso video, installazioni, lavori audio e performance. Adottando un punto di vista diverso rispetto al dato di fatto, sviluppo metodi site-specific per riscrivere contesti. Ricerchi un modo e ti inventi un metodo. Realizzi un’idea. Esistono logiche così fragili e complesse che stanno in piedi come castelli di carta. Ecco. Per me fare castelli di carta non è un hobby, e nemmeno una follia. Fare castelli di carta è un'arte. Nothing that seduces the onlooker at first sight. Nothing that complies to any notion of professional standards. Nothing functional. No market-driven motivation. I do not mean to say by this that my artistic practices are in any way a mere hobby. I mean they produce something the qualities of which lie well beyond those of just a ‘good product’. My artistic practice starts out from the assumption that art may be understood as a direct intervention on cultural transmission processes. It concerns public spaces, disappearing communities and forgotten places. My work concerns the questioning of identities and languages. It is not an individual work, but based on a participatory approach, it treats the immaterial. Memory, environment, marginality and social transformation. Activating a sharing process forces us to set aside our own egos, and this is the hard part of the work I do. Expounding a relational critique thus becomes something intrinsically artistic, a process of collective growth. I try to tell the real stories I collectively compose through videos, installations, audio works and performances. After adopting a different point of view than the fact, I develop site-specific methods to rewrite contexts. You seek out a way and come up with a method. You put together an idea. These are such fragile and complex logics that they stay standing just like houses of cards. That’s it. For me, building houses of cards is not a hobby, nor a form of madness. Building houses of cards is an art. Chiara Trivelli di / by Stefano Coletto* E’ una questione aperta se l’arte possa attivare trasformazioni significative in un territorio. Ideare progetti da condividere con una comunità, coordinando competenze diverse, attivando meccanismi virtuosi di collaborazione sociale significa rinunciare ad un proprio lavoro finito, concluso, ad un’opera che rappresenti un mondo personale e quindi mediaticamente e commercialmente una celebrazione individuale. L’arte così può innestarsi nell’amministrazione di un territorio; pur cercando contributi per la realizzazione di progetti su un luogo, si lavora su obiettivi ideali. L’arma dell’artista è la persuasione, la qualità di senso della sua iniziativa. L’obiettivo è recuperare l’abitabilità culturale di un luogo, sviluppare delle potenzialità, arricchire di attenzione e di riflessione uno spazio. I micro interventi si attivano e possono anche non concludersi concretamente. Rimangono i segnali e i moniti di una progettualità antropologicamente fondata. Nella proposta originale di un artista, anche nel suo collocarsi in una dimensione utopica, le comunità possono trovare una rinnovata consapevolezza della complessità che paradossalmente li riguarda: esiste, ma se non viene resa viva e rinnovabile, rischia di rimanere non detta. * curatore della / curator at Fondazione Bevilacqua La Masa, testo tratto dal catalogo / text taken from the catalogue Atelier BLM Notebook 2011, Moleskine, Venezia, Italia, 2012, p.116. Whether art is capable of bringing about significant change in a given territory is an open question. Coming up with projects to share with a community, coordinating various different skills, and activating virtuous social collaboration mechanisms means doing away with the idea of one’s own finished work, one representing a personal world and thus an individual celebration, at least in commercial and communications terms. In this way, art may be grafted onto the administration of a territory; while seeking contributions for the implementation of projects on a given place, one works towards ideal objectives. The arms of the artist are those of persuasion, the quality of sense and her own initiative. The aim is to regain the cultural habitability of a place, to develop its potential, to enhance a space through the attention and reflections given to it. Micro-interventions are thus implemented, and do not necessarily lead to a concrete conclusion. But the tangible signs of an anthropologicallycentred project remain. In the artist’s original proposal, even when placed within a utopian dimension, communities may find a renewed awareness of the complexity that paradoxically concerns them: it exists, but if it is not brought to life and renewed, it runs the risk of being left unexplored. selected works ( 2008 | 2014 ) Voix off ( 2014 ) A project by Camilla Croce, Jamila M. H. Mascat and Chiara Trivelli An intervention during Flamme Éternelle, by Thomas Hirschhorn http://www.flamme-eternelle.com Saturday, 21st of June, 7.30 pm Palais de Tokyo 13, avenue du Président Wilson 75 116 Paris www.palaisdetokyo.com Three different points of view on the question of the voice. Camilla Croce, researcher in philosophy based in Berlin, Jamila M.H. Mascat researcher in philosophy based between Rome, Berlin and Paris, Chiara Trivelli, visual artist based in Venice. Their ongoing project "Voix off" has been developed through regular hangout meetings, audio-recordings, speeches without images. They listened to their voices while talking about voice and presence, voice and time, im/pure voices, asking what is in a voice beyond language and aesthetics. During Flamme Éternelle they will retrace the vocal path that they have been exploring until now. An attempt to respond to Thomas Hirschhorn's call for presence and production. Intervento a tutela delle lavagne di Beuys ( 2013 -2014 ) Intervento a tutela delle lavagne di Beuys Installazione site-specific Tubi in pvc, ventole per PC, cloruro di calcio, zanzariere in alluminio, listelli di legno, bacinelle, colori acrilici, vernice all’acqua, materiale isolante, fili elettrici, alimentatori Perugia, Italia 2013 Site-specific installation PVC Tubes, PC cooling fans, calcium chloride, aluminium mosquito nets, pieces of wood, basins, acrylic paints, water paints, insulating material, electric cables, power plugs Perugia, Italy 2013 Sono stata invitata dalla curatrice Linda Di Pietro a partecipare alla mostra Tell mum everything is ok. Giovani artisti in Umbria (Museo Civico di Palazzo della Penna, Perugia, Italia, 17 novembre/16 dicembre 2013). Il Museo ospita un ricco patrimonio di opere d'arte tra cui spicca la “Raccolta Beuys”, un insieme di sei lavagne realizzate dal Maestro tedesco in occasione dell'incontro pubblico “Beuys-Burri”, a cura di Italo Tomassoni, tenutosi presso la Rocca Paolina, a Perugia, nel 1980. Joseph Beuys è il soggetto della mia prima tesi di laurea in Storia dell'Arte Contemporanea, un artista da me molto amato e che ho studiato approfonditamente. Avendo l'opportunità di realizzare per la mostra un lavoro site-specific, ho proposto alla curatrice e al Museo di realizzare qualcosa in relazione allo spazio a lui dedicato. Dopo un primo sopralluogo ho scoperto che le lavagne di Beuys erano state appena sottoposte a restauro. Sono entrata in contatto con i restauratori che mi hanno spiegato che, dopo aver riscontrato delle spore evidenti sulla loro superficie, avevano proceduto con la ripulitura a secco, asportando meccanicamente punto per punto le muffe. Il ristagno di umidità nell'ambiente non escludeva però che il problema potesse ripresentarsi. Nonostante fosse stato aggiunto un deumidificatore mobile a quello fisso pre-esistente, l'umidità non era scesa infatti sotto il 70%. In attesa di una soluzione definitiva del problema, ho realizzato un sistema di deumidificazione fai da te che ravvivasse l'ambiente. L'opera si intitola Intervento a tutela delle lavagne di Beuys ed è attualmente in deposito temporaneo presso il Museo, esposta nella sezione dedicata a Beuys. Il Museo ha deciso infatti di acquisirla e sono in corso le pratiche relative. I was invited by the curator Linda Di Pietro to take part in the exhibition Tell mum everything is ok. Giovani artisti in Umbria (Museo Civico di Palazzo della Penna, Perugia, Italy, 17th November – 16th December 2013). The Museum houses a vast selection of artworks including the ‘Beuys Collection’, a set of six chalkboards produced by the German master on the occasion of the public ‘Beuys-Burri’ encounter, curated by Italo Tomassoni, held at the Rocca Paolina in Perugia in 1980. Joseph Beuys was the subject of my first degree thesis on Contemporary Art History, an artist of whom I am extremely fond, and whom I have studied in great detail. Having been given the opportunity to create a site-specific work for the exhibition, I put forward the idea to the curator and the Museum of coming up with something relating to the space dedicated to him. On my first visit to the space, I discovered that Beuys’s chalkboards had just undergone restoration. I contacted the restorers, who explained to me that, having found clear traces of spores on the surfaces, they had undertaken a dry cleaning process, removing the mould spores mechanically, section by section. The build-up of humidity in the room, however, meant that the problem was likely to reoccur. Despite the fact that a mobile dehumidifier had been added to supplement a fixed unit already present, humidity levels had not gone below 70%. While waiting for a lasting solution to be found, I therefore put together a makeshift dehumidification system which might freshen up the environment. The work, entitled ‘Intervention for the protection of the Beuys chalkboards’, has been left temporarily with the Museum, on show in the section dedicated to Joseph Beuys. The Museum has in fact decided to purchase the work, and the sales procedure is currently underway. L’Intervento si presenta come un’istallazione diffusa costituita da nove elementi. Ogni elemento è composto da un tubo in pvc lungo 120 cm e largo 14, sostenuto da due cavalletti fatti con listelli di legno e di diversa altezza, e una bacinella. I 9 tubi sono stati ridipinti a mano con colori fluorescenti (giallo, fucsia, verde, arancione), 5 sono a tinta unita, 4 a righe. A un’estremità di ogni singolo tubo ho collocato una ventola per PC, diametro 8 cm, con led colorati, alimentata a corrente (12 volt). All’altra estremità ho fissato (utilizzando un anello di tubo leggermente più largo e anch’esso ridipinto) una porzione di zanzariera in alluminio che funge da filtro. All’interno di ogni singolo tubo ho posizionato del cloruro di calcio: una ricarica da un kg che ha la durata di un mese. Ai piedi di ogni singolo tubo ho apposto una bacinella di plastica colorata e semitrasparente: in totale 3 bacinelle verdi, 3 arancione, 3 fucsia. The ‘Intervention’ consists of an articulated installation made up of nine different elements. Each element is made up of a PVC tube 120 cm long and 14 cm wide, resting on two stands made of pieces of wood of various heights and a basin. The nine tubes were then repainted by hand using fluorescent colours (such as yellow, fuchsia, green and orange), of which five are a single shade, and four with stripes. At one end of each tube I placed a PC cooling fan, 8 cm in diameter, with coloured LED lights, powered from the mains (12 volts). On the other end (using a ring slightly wider than the tube, also repainted), I fixed a piece of mosquito net, working as a filter. Inside each tube I placed some calcium chloride: a one-kilo packet, enough for a month’s supply. At the foot of each tube I put a semi-transparent coloured plastic basin: three green, three orange and three fuchsia ones. L’opera funziona come un sistema di deumidificazione fai da te, silenzioso e a basso consumo. L’aria aspirata dalla ventola confluisce nel tubo, dove i sali ne assorbono l’umidità. L’acqua assorbita dai sali defluisce dal tubo nella bacinella, mentre l’aria che fuoriesce è restituita deumidificata all’ambiente. L’opera prevede l’impegno e la partecipazione da parte del pubblico e, in particolar modo, la collaborazione da parte del personale del Museo. Le bacinelle vanno infatti regolarmente svuotate e, ogni mese, va inserita una nuova ricarica di cloruro di calcio all’interno di ogni singolo tubo. L’opera nasce come un omaggio a Beuys, maestro dell’idea di Scultura ed Ecologia Sociale. In particolar modo l’opera si inspira a una delle frasi pronunciate da Beuys durante l’incontro pubblico tenutosi a Perugia nel 1980 e in occasione del quale furono realizzate da Beuys le lavagne in questione: “Ha a che fare con l’arte il rapporto tra ciò che si deteriora e ciò che rinnova queste forme destinate alla caducità”. The work serves as a simple dehumidification system, very quiet and with very low energy consumption. The air drawn in by the fan flows along the tube, where the salts absorb the humidity in it. The water absorbed by the salts runs out of the tube and into the basin, while the air blown out of the tube returns, dehumidified, to the environment. The work foresees the commitment and participation of the public, and most of all, of the Museum staff. The basins in fact need to be emptied frequently, and every month, more calcium chloride needs to be added to the inside of each tube. The work came about as a homage to Beuys, master of the idea of Social Sculpture and Ecology. Most of all, the work is inspired by one of the sentences uttered by Beuys during the public meeting held in Perugia in 1980, and on which occasion the blackboards themselves were created by Beuys: “The relationship between what deteriorates and what renews these forms destined to caducity is very much bound up in art.” Contenuto Rimosso ( 2012-2014 ) Contenuto rimosso azione collettiva ghiaia, bidoni, legna, torce e candele Lorenzago di Cadore, Belluno, Italia 2012-1014 collective action gravel, metal drums, firewood, torches and candles Lorenzago di Cadore, Belluno, Italy 2012-2014 Contenuto rimosso è il tentativo poetico di indurre una nuova tradizione che funga da processo di riappropriazione di un luogo che oggi è scarsamente popolato. In occasione del festival Lorenzago: montagna contemporanea nel quadrato (Lorenzago di Cadore, Belluno, 9/17 giugno 2012), curato da Vito Vecellio, mi è stato commissionato un intervento site-specific per il Quadrato, un’area che, pur costituendo il centro storico di un paese di montagna, Lorenzago di Cadore, si presenta come un quartiere di città su scala ridotta: palazzi in muratura, tipologia abitativa modulare, distribuzione regolare e geometrica, viabilità segnata da un reticolo stradale che chiude, appunto, l’abitato in un razionalistico quadrato. Il quartiere ha assunto le attuali sembianze dopo che il 30 luglio 1855 un incendio ha distrutto l’antico borgo, denominato Gortina. Benché, come viene tramandato oralmente, l’incendio fosse probabilmente di natura dolosa, la versione ufficiale, dopo un’inchiesta fatta dalle autorità, lo ritenne incendio accidentale. La causa dell’incendio venne dunque rintracciata nel carattere stesso dell’abitato costruito per lo più in legno e all’evento traumatico, l’incendio, venne associata la rappresentazione tipica di un paese di montagna: architettura spontanea, sviluppo informale, contiguità abitazione/ stalla/orto. L’abitato venne quindi ricostruito negando quella tradizione costruttiva. In questo senso il Rifabbrico si configura come un processo di rimozione. Contenuto rimosso is a poetic attempt to start off a new tradition that might serve as a process of reappropriation of a place which today is scarcely populated. On the occasion of the festival entitled Lorenzago: montagna contemporanea nel quadrato (Lorenzago di Cadore, Belluno, 9th – 17th June 2012), curated by Vito Vecellio, I was commissioned to carry out a site-specific intervention to be completed in the ‘Quadrato’, an area which, despite constituting the historic centre of a mountain village, Lorenzago di Cadore, looks like a small-scale urban neighbourhood: brick buildings, modular dwellings, a regular, geometric layout, streets lying parallel to one another, closing off the heart of the village in a rationalist grid. The neighbourhood was given this shape after 30th July 1855, when a fire destroyed the ancient village, then known as Gortina. Although the oral tradition suggests that the fire was probably deliberate, the official version (based on an enquiry undertaken by the authorities) concluded that it had started accidently. The cause of the fire was thus attributed to the very nature of the village, built largely out of wood, and the spread of the fire was also seen to have been abetted by the typical disposition of a mountain town: spontaneous architecture, informal development, proximity of dwellings/ stables/vegetable gardens. The village was thus rebuilt rejecting that tradition. In this sense, the rebuilding process was as much as anything one of removal. Gortina e Il Quadrato, mappa del centro storico di Lorenzago di Cadore, Belluno, prima e dopo l'incendio del 1855. Gortina and the 'Quadrato', map of the historic center of Lorenzago di Cadore, Belluno, before and after the fire in 1855. Ma se il Quadrato di oggi non ricorda affatto la Gortina di un tempo, è perché ha subito un trauma. Come riappropriarsi allora di un passato negato? Ho coinvolto gli abitanti di Lorenzago in un esperimento di “Psicanalisi applicata all’ambiente”. Come funziona “la memoria dell’ambiente”? Se funziona attraverso meccanismi di rimozione, mettere in discussione l’origine traumatica del Quadrato implica indurre un processo di regressione. Riattivare la memoria di un luogo attraverso un’azione collettiva è significato qui costruire, attraverso la ripetizione del fuoco, una suggestione che riconducesse il Quadrato alla sua ragione profonda. Passare dall’evento traumatico, inteso come ragione profonda del Quadrato nel suo strutturarsi, al Quadrato come rappresentazione della tradizione rimossa nel suo negarsi. In questo senso, ciò che è stato perduto è ancora conservato. Volevo creare una continuità tra il prima e il dopo. Il fuoco è il tratto d’unione tra il passato e il presente architettonico di questo luogo. L’immagine del fuoco fra i palazzi in muratura e lungo le strade di un quartiere ordinato e geometrico avrebbe riattivato come contro-immagine la memoria di un tessuto urbano irregolare, fatto di case di legno, che si sviluppa in modo organico e spontaneo: avrebbe riallacciato una cesura. Creare una continuità fra Gortina, l’antico nucleo abitativo, e il Quadrato, un modello di progettazione urbana estraneo alla secolare tradizione costruttiva alpina, avrebbe significato riconciliarsi con un passato fatto di economia agro-silvo-pastorale, sublimando/esorcizzando la paura del fuoco nel potere simbolico di un rito collettivo. Trasformando la paura in cura del fuoco. And so if the ‘Quadrato’ today has nothing to do with the Gortina of yesteryear, it’s because it has undergone a sort of trauma. How then may we regain possession of a past denied? I involved the inhabitants of Lorenzago in an experiment of “Psychoanalysis applied to the environment”. How exactly does the “memory of the environment” work? As it works through mechanisms of removal, questioning the traumatic origins of the Quadrato means inducing a process of regression. Reactivating the memory of a place through a collective action involving the reiteration of the fire theme meant putting together a sense which would lead the Quadrato back to its original reason for existence. Passing from the traumatic event to the Quadrato as a representation of the tradition removed through its denial. In this sense, what has been lost is still maintained. I wanted to create a sense of continuity between the before and after. Fire was thus to be the trait d’union between the architectural past and present of this place. The image of fire among the brick buildings and along the streets of a well-ordered and geometrical neighbourhood would serve as a counter image, reactivating the memory of an irregular urban fabric, one made up of wooden houses, developing as a whole in a spontaneous fashion. In this way, it was designed to repair a break. Creating a sense of continuity between Gortina, the ancient settlement, and the Quadrato, a town-planning model quite foreign to the age-old Alpine building tradition, would mean making amends with a past based on an agro-forestry-pastoral economy, thus subliming/exorcising the fear of fire through the symbolic power of a collective ritual, transforming the fear of fire into care for fire. L'intervento prevedeva l'interruzione dell'illuminazione elettrica in tutto il quartiere e consisteva nella formalizzazione di un'illuminazione notturna fatta di fuochi, torce e candele. Ho allestito 15 falò, disposto 125 candele e 25 torce. I falò, fatti con una base in ghiaia, la legna disposta all'interno di un bidone in metallo riciclato e tagliato, attorno al quale ho apposto come isolante termico pietre fluviali reperite sul territorio, avevano una struttura semplice ma sicura, pensata per impedire il dilagare delle fiamme ed evitare danni all'asfalto. Ho disposto ogni elemento nello spazio seguendo la struttura reticolare del tessuto urbano: ho posizionato i falò agli incroci stradali, le candele seguendo il ritmo ordinato delle case lungo le strade, le torce nei cortili. A quel punto sono stati gli abitanti stessi di Lorenzago ad accendere i falò, le torce e le candele, per poi ritrovarsi assieme attorno ai fuochi. Avevo coinvolto varie realtà associative locali anche distanti fra loro: la Schola Cantorum, la Pro Loco, gli Alpini, gli Edili Uniti, alcune band musicali e gruppi creatisi appositamente per l’evento, come quello delle donne. L’invito a partecipare era aperto. Il quartiere allora si è ripopolato. Assieme ai fuochi si sono accesi canti, musiche, c'è chi ha cominciato a cucinare, chi a raccontarsi. L’atmosfera era suggestiva e i partecipanti emozionati: “erano quarant’anni che non vedevamo qui una cosa del genere”, mi è stato detto. Un dispositivo di per sé semplice, quello dei fuochi, ma che per essere qui realizzato ha richiesto un lungo processo di inserimento nella comunità, superamento delle diffidenze, burocrazia, fatica nel reperimento in loco e allestimento dei materiali. Infine però l’esperimento può dirsi riuscito: il riemergere di un ricordo ancestrale, quello dei canti e della musica, del mangiare attorno al fuoco per la gente di montagna, ha riattivato una socialità dimenticata in un luogo oggi, altrimenti, desolato. . The intervention foresaw the interruption of the electric lighting throughout the neighbourhood, and called for the organisation of nocturnal lighting provided by fires, torches and candles. I set up 15 bonfires, as well as 125 candles and 25 torches. The bonfires, placed upon a layer of gravel, consisted of firewood inside recycled metal drums, specially cut for the purpose, around which I placed a series of river stones to offer thermal insulation. This structure was simple but safe, designed to stop the spread of flames and avoid any damage to the asphalt road surface below. I laid out every element in the space following the grid structure of the urban fabric: I placed the bonfires at crossroads, the candles following the steady rhythm of the houses along the roads, and the torches in the courtyards. At that point it was the inhabitants of Lorenzago themselves who lit the bonfires, the torches and the candles, before gathering around the fires. I had involved various local associations, some of which were very different from one another: the Schola Cantorum, the Pro Loco, the Alpini, the Edili Uniti, a number of music bands as well as groups which had been created especially for the event, such as the women’s group. The invitation to take part was open to all, and the neighbourhood soon filled up with people. As the fires were lit, they soon led to singing and music, while others started cooking or telling stories. The atmosphere was highly evocative and the participants were quite moved by it all: “We hadn’t seen anything like it for 40 years,” I was told. The use of fire was a very simple device, but in order to be used here, it required a long process of insertion within the community, the overcoming of diffidence, bureaucracy, and the difficulties in the procuring and setting up of the materials. Nevertheless, the experiment was declared a success: the reemergence of ancestral memories, of song and music, of eating around the fire for mountain dwellers reactivated a hitherto forgotten dimension of sociality in a place which today is otherwise desolate. Contenuto rimosso / 1a edizione, Lorenzago di Cadore, Belluno, 2012. Foto di Ivana Ivanova. La comunità del posto si è allora ritrovata. Ne è nata una nuova tradizione. Il progetto prevedeva infatti il ripetersi dell'evento ogni anno, e che ogni anno l'evento ricorresse il 30 di luglio, giorno in cui nel 1855 avvenne quel disastroso incendio che distrusse Gortina e da cui sorse il Quadrato. La nuova tradizione vuole che ogni anno a Lorenzago la sera del 30 di luglio la corrente elettrica nel Quadrato sia interrotta, vengano allestiti fuochi, torce e candele, che siano gli abitanti stessi, le varie realtà associative locali a dar forma all'evento. Nel luglio del 2013 sono stata nuovamente invitata a Lorenzago. Nella sua seconda edizione il progetto è stato adottato dalla Pro Loco: è avvenuto quel passaggio di consegna da me auspicato, la comunità si è appropriata del progetto. Nonostante o proprio a ragione del rapporto conflittuale nei miei confronti (gli abitanti avevano bisogno che io ancora li aiutassi a fare qualcosa che avrebbero voluto imparare a fare da soli), Contenuto rimosso si è configurato come l'unica iniziativa del paese in cui erano coinvolte tutte le realtà associative locali. The sense of community of the neighbourhood re-emerged, and the event ushered in to a new tradition. The project in fact foresaw the repetition of the event every year, and that it should be held on 30th July, the day when in 1855 that terrible fire destroyed Gortina and which then gave rise to the ‘Quadrato’. According to this new tradition, every year in Lorenzago on the evening of 30th July, the electricity supply in the ‘Quadrato’ should be interrupted, fires, torches and candles be lit, and it is thus be the inhabitants themselves, the various local associations, that should shape the event. In July 2013, I was invited to Lorenzago once again. The second edition of the project was run by the Pro Loco association, meaning that the passage of responsibility that I had hoped for took place, and the community adopted the project for itself. Despite or perhaps because of the conflictual relationship in my regard (the inhabitants still needed me to help them do certain things that they would have preferred to be able to do themselves), Contenuto rimosso came across as the only initiative in the town in which all of the local associations were involved. ANA (Associazione Nazionale Alpini), CAI (Club Alpino Italiano), la Schola Cantorum, i Vigili del Fuoco volontari, in collaborazione con il Comune, la Parrocchia, Lorenzago Aperta (“mostra annuale d'arte varia e contemporanea”, a cura di Vito Vecellio, Lorenzago di Cadore, 2000-2013), oltre a gruppi spontanei come quelli creatisi attorno ai Rootz, un ensemble di percussionisti locali. Sono stati inoltre invitati musicisti e performer esterni al paese ma attivi sul territorio. La serata ha riscontrato una partecipazione ancora più numerosa dell'anno precedente, ogni gruppo ha creato una sua propria situazione attorno al fuoco: oltre alle performance, sono stati allestiti tavoli in cui venivano offerti cibi e bevande tipici ma anche pop corn e patatine fritte, c'erano situazioni in cui si cucinava e c'era chi offriva ciò che aveva cucinato in casa. C'era un grande entusiasmo. Io al di là di seguire e curare tutto lo svolgersi del progetto, con un impegno e una fatica oltre che fisici innanzitutto emotivi, ho realizzato un video di documentazione assieme al videomaker Gabriele Zampieri. Il successo di Contenuto rimosso è frutto di quello che è stato soprattutto un processo di crescita collettiva, esercizio e pratica di condivisione. La singolarità dell'evento è correlata a una dimensione temporale estraniante. Contenuto rimosso è una serata fuori dal tempo, oltre il presente, anacronistica, inattuale. In occasione della terza edizione di Contenuto rimosso (31 luglio 2014), ancora una volta il paese si è mobilitato, molti i visitatori venuti anche dai paesi vicini. Oltre a curare l'evento, io ho integrato la documetazione video della manifestazione con materiale d'archivio e interviste agli abitanti. Gli interrogativi principali del documentario che va via via costruendosi sono: cosa ci trattiene in un luogo? Se il fenomeno dello spopolamento che investe le aree montane rappresenta un problema, quale altra risorsa se non chi resta può indicarci la via per una soluzione? Premessa di un lavoro site-specific e community based è infatti la disponibilità ad apprendere, la propensione all'ascolto. The ANA (National Alpine Association), the CAI (the Italian Alpine Club), the Schola Cantorum, the voluntary fire brigade, in collaboration with the Town Council, the Parish Church, Lorenzago Aperta (the “annual show of various and contemporary art” curated by Vito Vecellio, Lorenzago di Cadore, 20002013), as well as spontaneous groups, such as those created around Rootz, an ensemble of local percussionists. Musicians and performers from outside the town but working on the local territory were also invited. The evening saw the participation of an even greater number of people than the year before, and every group created its own particular situation around the fire: as well as various performances, tables were set up offering typical local food and drink, as well as popcorn and crisps. There were also people cooking food on the street, as well as those offering food they had prepared at home. Overall, there was a great sense of enthusiasm. Apart from dealing with the general management of the project, with an enormous expense of both physical and emotional energy, I put together a documentary video together with the videomaker Gabriele Zampieri. The success of Contenuto rimosso is the result of that which was most of all a process of collective growth, and the implementation of sharing. The special element of the event is bound up in an estranging temporal dimension: Contenuto rimosso is a timeless evening, beyond the present, and in many ways anachronistic, outdated. During the third edition of Contenuto rimosso (July 31, 2014), once again, the inhabitants of Lorenzago went into action. Many visitors also came from neighboring villages. Besides curating the event, I integrated the video documentation of the day with archival footage and interviews with inhabitants. The main questions of the documentary we are working on are: what does it make you stay in a place? If the depopulation of mountain areas is a problem, who represents a better resource than those who don't leave these places in order to find a solution? The assumption of a site-specific and community based work indeed is the willingness to learn, the propensity to listen. Interviste agli abitanti di Lorenzago in occasione della terza edizione di Contenuto rimosso, still da video, 2014. Interviews with the inhabitants of Lorenzago during the third edition of Contenuto rimosso, stills from video, 2014. Lettera del Sindaco ai cittadini, in occasione della prima, seconda e terza edizione di Contenuto rimosso. Letter from the Mayor to the citizens, on the occasion of the first, second and third edition of Contenuto rimosso. Farandola ( 2013 ) Farandola video full HD, 15' 52'' Venezia, Italia 2013 full HD video, 15' 52'' Venice, Italy 2013 Quando la musicista inizia a suonare, una serpentina esce dalle porte delle Biennale come un immaginario rimosso che a quel suono prende vita, diventa visibile, spostando l'ingresso della Biennale un po' più in là, verso la città, di fronte al grande arco. Gli abitanti festeggiano attorno al musicante, un festeggiamento irreale, fuori dal tempo, forse un rito, forse perché anche i fantasmi celebrano, a loro modo, l'opening della Biennale. Poi si ritirano, la musica affievolisce, tutto scompare. Basta immaginare che questa storia sia vera e che tu ne faccia parte. E, in effetti, questa storia è accaduta veramente. Ecco a voi Farandola. When the musician starts to play, a snake slithers out of the gates of the Biennale: a sort of displaced imagery that comes back to life with that sound, becoming visible and moving the entrance to the Biennale a little closer to the city, in front of the great archway. The inhabitants celebrate around the musician, invoking an unreal celebration, timeless, perhaps ritual, perhaps because in their own way, even the ghosts are celebrating the opening of the Biennale. And then as they withdraw, the music slowly fades away and everything disappears. Just imagine that this story is true and that you are part of it. And in fact this story really did happen. And it was called Farandola. Nel progetto Farandola l'elemento filmico è utilizzato come dispositivo per ridurre la distanza tra una manifestazione internazionale, la Biennale di Venezia, e il contesto locale, con le sue tradizioni, la sua storia, i suoi abitanti. Farandola è un progetto realizzato in occasione di Corteo de Casteo (Venezia, giugno 2013), a cura di Claire Tancons & CAKE AWAY, con Valeria Iacovelli come curatore referente. Quando sono stata invitata da Claire Tancons e il gruppo curatoriale Cake Away a partecipare al progetto FAR FESTA / Nuove feste veneziane, questo prevedeva un programma di performance (Corteo de Casteo I) il giorno di apertura ufficiale al pubblico della 55° edizione della Biennale. La location prestabilita era il sestiere di Castello, quel quartiere di Venezia dove si trovano le due sedi della Biennale, i Giardini e l'Arsenale. Conoscendo il mio tipo di ricerca, i curatori mi hanno invitato a pensare a una performance che coinvolgesse gli abitanti, come ne avevo già realizzate in precedenza. Ma è difficile coinvolgere gli abitanti in un far festa che sentono estraneo. In Farandola, the film element is used as a device to reduce the distance between an international exhibition, the Venice Biennale, and the local context, along with all its traditions, history and inhabitants. Farandola is a project produced on the occasion of the Corteo de Casteo (Venice, June 2013), curated by Claire Tancons & CAKE AWAY, with Valeria Iacovelli as a referee curator. When I was invited by Claire Tancons and the curating group Cake Away to take part in the project titled FAR FESTA / Nuove feste veneziane, this foresaw a performance programme (Corteo de Casteo I) on the official public opening day of the 55th Edition of the Biennale. The pre-determined location was the Castello district, the neighbourhood of Venice which hosts the two Biennale venues: the Giardini and the Arsenale. Knowing my kind of research, the curators invited me to come up with a performance which might involve the local inhabitants, as I had done with other projects in the past. Nevertheless, it is difficult to involve the local inhabitants to far festa (celebrate) about something they look upon as unfamiliar. Per la maggior parte dei veneziani, gli eventi collegati all'inaugurazione della Biennale non costituiscono un'opportunità ma un elemento di disturbo al normale svolgersi delle attività quotidiane. Molti abitanti sembrano infatti non essere affatto coinvolti nel clima di festa che si instaura in città per l'occasione. I veneziani non sentono l'inaugurazione della Biennale come una festa veneziana, per cui la proposta che mi avevano fatto i curatori mi è sembrata subito abbastanza paradossale. Ho pensato che l’unico modo di coinvolgere i veneziani in una festa il giorno di inaugurazione della Biennale fosse attraverso una finzione. Da qui l’idea del film. Le riprese di un film sarebbero state la performance. Gli abitanti avrebbero manifestato la loro presenza di fronte a una manifestazione internazionale, che interessa il loro territorio ma che sentono estranea, partecipando alle riprese del film. Il film avrebbe raccontato come l’inaugurazione della Biennale fosse un’occasione di festa anche per gli abitanti. Nel film l’inaugurazione della Biennale sarebbe stata in qualche modo una festa anche veneziana. Il punto di vista iniziale è quello di un veneziano che fa parte di un gruppo di danze storiche. L’azione avviene poi lungo un viale fra due porte: l’ingresso della Biennale e l’arco monumentale dei Giardini. Davanti all’arco c’è uno spiazzo con un’aiuola, al centro della quale su un piccolo basamento è posizionata in piedi la musicista. Dietro, l’arco affaccia su un canale, come una porta che non conduce a niente ma che, proprio per questo, può essere intesa come una porta magica. Abbiamo due ingressi, uno reale, quello della Biennale, e uno che apre all’immaginario, attrae l’immaginario, che esce dalla Biennale per avvicinarsi alla città sotto forma di una danza, che procede a serpentina, quindi fa un girotondo, si muove su linee coreografiche spiroidali. E’ la Farandola, una danza rinascimentale. Ho coinvolto il gruppo di danze storiche Ricercardanzando nella mia visione di festa. Ho girato la scena il primo giugno 2013, giorno di apertura ufficiale al pubblico della 55° edizione della Biennale di Venezia. For most Venetians, the events linked to the opening of the Biennale do not represent an opportunity, but rather an element of disturbance to their going about their everyday lives. In fact, many residents seem to be not in the slightest involved in the festive climate felt throughout the city on this occasion. The Venetians do not see the opening of the Biennale as a Venetian celebration, and so the proposal that the curators had made to me initially appeared fairly paradoxical. I decided that the only way to involve the Venetians in a celebration on the day of the opening of the Biennale would be through a mise-en-scène. From here I got the idea of making a film. Shooting a film was to be the performance itself. The inhabitants would manifest their presence in front of an international exposition event, one which concerned their territory yet which they feel to be far-removed from them, by taking part in the filmmaking process. The film was to tell the story of how the opening of the Biennale was an opportunity for celebration also for the inhabitants. In the film, the inauguration of the Biennale would be in some way a Venetian celebration too. The first part concerns a Venetian who is a member of a group of historical dances. The action then moves along an avenue between the two ports: the entrance to the Biennale and the monumental arch of the Giardini. In front of the arch, there is a clearing with a lawn, at the centre of which there is a small plinth where the musician stands. Behind her, the arch looks onto a canal, like a gateway leading to nothing, but which for this very reason, may be looked upon as a magic doorway. We have two entrances: one real, that of the Biennale, and one which opens to the imagination, which attracts the imagination, which leads out of the Biennale only to draw closer to the city in the form of a dance, snaking its way down the avenue, turning on itself, moving along spiralling choreographic lines. This is the Farandola, a Renaissance dance. I involved the group of historical dances Ricercardanzando in my vision of a celebration. I shot the scene on 1st June 2013, the official public opening day of the 55th Edition of the Venice Biennale. Avevo ingaggiato una violinista, allestito un impianto di amplificazione e chiesto al gruppo veneziano una danza che coinvolgesse il pubblico. E così durante le riprese del film la festa immaginaria, quella festa che l'inaugurazione della Biennale avrebbe potuto essere anche per i veneziani, almeno in quel frangente, è diventata reale. Insieme ai veneziani in costume che si tenevano per mano con il pubblico, visitatori, persone che si trovavano lì casualmente, è come fuoriuscita dall'ingresso della Biennale quella Venezia rimossa, sottesa e necessaria alla Biennale stessa, la Venezia degli abitanti, coloro che la rendono ancora viva nonostante lo spopolamento, nonostante lo stereotipo e una politica di sfruttamento commerciale dell'immagine di Venezia, della sua bellezza. Nonostante la città sembri essere destinata a diventare una nuova Disneyland, un parco di divertimenti per turisti che l'attraversano di fretta. Una città museo fatta di fantasmi. Lo sfondo scenografico è diventato figura. La Biennale un set cinematografico. Non era più la città a fare da sfondo all'evento, ma era l'inaugurazione della Biennale a fare, letteralmente, da sfondo a un film che aveva come protagonisti degli abitanti di Venezia. La prima parte del film si basa sulla registrazione audio di una mia intervista a Vanni Vianello, uno dei fondatori del gruppo di danze storiche Ricercardanzando. Il gruppo, con base a Venezia, opera sul territorio mantenendo viva una tradizione fragile quale quella della danza antica. Durante la conversazione, Vianello spiega quali sono le attività del gruppo, la ricerca filologica su cui si basa la scelta degli abiti e la costruzione delle coreografie, quale è il rapporto con la città, con il Carnevale, con la storia dell'arte e della pittura. I had hired a violinist, set up a loudspeaker system and asked the Venetian group for a dance which might involve the public. And so during the shooting of the film, the imaginary celebration – that celebration which the opening of the Venice Biennale might have been also for the Venetians, at least in that instant, became reality. Together with the Venetians in costume, hand in hand with the general public, visitors, people who found themselves there by chance, that overlooked side of Venice poured out of the Biennale entrance, those who make the Biennale possible, and also make Venice a lively city despite the dwindling population, despite the stereotypes of the commercial exploitation of the image of Venice and its beauty. Despite the fact that the city seems destined to be turned into a new Disneyland, a fun park for hurrying tourists. A museum city made up of ghost figures. The background scenery thus became a figure. The Biennale became a cinematographic set. It was no longer the city that served as the background to the event, but the inauguration of the Biennale that quite literally served as a backdrop to a film of which the protagonists were the inhabitants of Venice. The beginning of the film is based on the audio recording of an interview I carried out with Vanni Vianello, one of the founders of the historical dance group Ricercardanzando. The group, based in Venice, operates on the local territory, keeping alive such a fragile tradition as that of ancient dances. During our conversation, Vianello explains what the group’s activities are, the philological research on which the choice of costumes and the choreography are based, as well as what the relationship with the city is, with the Carnival, with the history of art and painting. Esprime infine le sue personali perplessità rispetto a una manifestazione quale la Biennale Arte e il suo mancato rapporto col territorio, denunciando l'estraneità con cui è percepita da chi a Venezia ci abita e che paradossalmente sente più propri momenti di aggregazione quali le sagre. La seconda parte del film è stata girata con la partecipazione del gruppo di danze storiche Ricercardanzando. La collaborazione con i Ricercardanzando è iniziata circa due mesi prima dell'evento. Ho scoperto il gruppo perché avevo intrapreso una ricerca che, volendo inscenare una situazione di festa, aveva interessato le scuole di danza e i comitati promotori di iniziative locali quali le sagre. Il mio progetto, che inizialmente prevedeva il coinvolgimento di più realtà attive sul territorio, è stato infine ridimensionato, ripensato e ridisegnato appositamente per e con loro. Parte integrante del progetto è stata la proiezione in anteprima del video durante la 43° Festa de San Piero de Casteo (26/30 giugno 2013), una manifestazione amata dai veneziani, che ha luogo in una delle poche aree di Venezia non invase da turisti, distante solo poche centinaia di metri dai Giardini della Biennale. Un contesto in cui avevo già lavorato. Una seconda proiezione del master del film è avvenuta il 30 ottobre 2013 al S.a.L.E. Docks, spazio indipendente per le arti visive e sceniche nato a Venezia nel 2007 da un gruppo di attivisti provenienti dall’esperienza dei centri sociali. E' attualmente in corso la fase conclusiva di postproduzione del film. E' possibile invece visionare la parte del video relativa alla preformance su Vimeo. Lastly, he expresses his own personal perplexities on an event such as the Art Biennale and its lack of contact with the territory, denouncing the sense of estrangement with which it is perceived by Venetian residents, and who paradoxically feel more involved by social events such as town fetes. The second part of the film was shot with the participation of the group of historical dances, Ricercardanzando. My collaboration with Ricercardanzando began about two months before the event. I came across the group because I had undertaken a research project which, being aimed at staging a celebration, had come into contact with the local dance schools and the committees promoting local initiatives such as town fetes. In the end, my project, which initially foresaw the involvement of a range of different groups throughout the territory, was downsized somewhat, rethought and redesigned especially for (and with) them. An integral part of the project was the preview projection of the video during the 43rd Feast of San Piero de Casteo (26th-30th June 2013), an event very much loved by the Venetians, and which takes place in one of the few areas of Venice not overrun by tourists, only a few hundred metres away from the Giardini of the Biennale. This was a context in which I had already worked. A second screening of the master copy of the film took place on 30th October 2013 at the S.a.L.E. Docks, an independent space for visual and performance arts, founded in Venice in 2007 by a group of activists from the world of youth social centres. The final post-production stage of the film is currently underway. However, it is possible to watch the part of the video dedicated to the performance on Vimeo. Co de Ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie ( 2011 ) CO DE ROS un Pater Noster e dieci Avemarie Co de Ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie audioguida partecipata lettori mp3, libretto Alta Valle Camonica, Brescia, Italia 2011 participatory audio guide mp3 players, booklet Alta Valle Camonica, Brescia, Italy 2011 Co de ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie è un lavoro che, attraverso il dispositivo dell'audioguida, mette in discussione l’idea di museo portandola all’esterno, facendo così scivolare l’idea di museo nel concetto più ampio e più vivo di memoria dell'ambiente. Se le pratiche artistiche hanno un valore sociale, agiscono nel mondo delle relazioni umane, allora lo scenario di una strada che collega due località di montagna diventa oggetto di una pratica artistica che non si focalizza su un’idea di identità chiusa ma apre il dialogo fra due comunità. Co de ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie è un’opera partecipata attraverso cui due comunità hanno provato a ritrovarsi, a raccogliere le proprie memorie, a fare qualcosa per il proprio territorio nel rispetto dell’ambiente, sperimentando una pratica di condivisione che si configura come processo comunicativo/creativo. È un progetto alla cui realizzazione hanno partecipato molti degli abitanti delle due località coinvolte, Temù e Vione, e che ha visto, in particolar modo, il coinvolgimento della Compagnia del Teatro Stabile di Villa Dalegno, compagnia teatrale locale e amatoriale, di cui fanno parte sia abitanti del comune di Temù che di quello di Vione. I testi dell’audioguida sono tratti dai racconti della gente del posto. Testimonianze dirette, raccolte, sbobinate e rielaborate assieme ai ricordi personali degli stessi attori e alcune testimonianze indirette, riduzioni di testi apparsi su pubblicazioni locali. Assieme all'audioguida ho realizzato un libretto, in cui ad ogni traccia audio corrisponde un'immagine, foto d'archivio o immagini recenti di alcuni punti della strada di Sant'Alessandro. Le immagini aiutano l'ascoltatore ad individuare lungo il percorso i luoghi corrispondenti alle tracce, fungono da indicazione. Confrontando le immagini ai luoghi reali, è possibile scoprire dove si nascondono le storie narrate, rintracciarle lungo il percorso. Co de ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie is a work which – through the use of the audio guide – questions the very notion of the museum, bringing it outside and combining the idea of the museum with the broader and more vivid idea of a memory of the environment. Artistic practices have a social value which may be deployed in the sphere of human relationships; thus the scenery along a road linking two mountain villages becomes the object of an artistic practice which does not focus on a closed notion of identity, but rather fosters dialogue between two communities. Co de ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie is a participatory work through which two communities try to come together, to share their common memories, and to do something for their own territory while respecting their natural environment, experimenting with a practice of sharing which at the same time constitutes a communicative/creative process. The implementation of this project was shared by many of the inhabitants of the two villages involved, Temù and Vione, as well as involving the Compagnia del Teatro Stabile di Villa Dalegno in particular, a local amateur theatre company made up of inhabitants of the municipalities of both Temù and Vione. The texts of the audio guide draw on stories told by local people. Direct testimonies, transcribed and put together with personal memories of the protagonists themselves, along with several indirect testimonies, summaries of texts to be found in local publications. Along with the audio guide, I also produced a booklet in which each audio track corresponds to an image, an archive photo or recent images of a number of points along the Sant’Alessandro path. The images help the listener to identify the places along the path that correspond to the tracks, thus serving as signposts. By comparing the images to the real places, we may discover where the narrated stories are hidden, identifying them along the walk. Attualmente l'audioguida è disponibile per i visitatori all'infopoint di Temù, ma se ne puo' ascoltare il contenuto anche sul sito web del Distretto Culturale della Valle Camonica, sul mio sito personale in cui è presentata sotto forma di audio libro, e sul sito di Radio3 con un' introduzione di Antonella Borghi, scaricando il podcast del programma Il Cantiere del 12 gennaio 2013. Recentemente un estratto dell'audioguida è stato nuovamente mandato in onda da Radio3, con l'invito rivolto agli ascoltatori a pensare l'audioguida come possibile nuovo format radiofonico e di provare a inviare alla radio sperimentazioni in questo senso. Buon cammino. Currently the audio guide is available for visitors at the info point at Temù, and the contents may also be heard via the website of the Cultural District of the Camonica Valley, on my own site where it is available in the form of an audio book, and on the site of Radio 3 with an introduction by Antonella Borghi, downloading the podcast of the programme Il Cantiere of 12th January 2013. Recently, and extract from the audio guide was aired once again on Radio 3, and listeners were asked to think of the audio guide as a potential new radio format, and thus to send in their own experiments of this nature. Enjoy the walk. Co de ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie è un progetto di Chiara Trivelli. Aiuto regia: Giancarlo Sembinelli. Voce narrante: Valentina Gheza. Voci: Elvira Bazzana, Costanza Belotti, Antonella Clauser, Monica Festa, Emanuela Ravizza, Alessandro Riva, Fabrizio Riva, Massimo Sandrini, Rosaria Tonon, Gianna Zani. Con la partecipazione di Zaffiro Sembinelli. Archivio sonoro: Carlo Giordani. Si ringraziano Giancarlo Maculotti e Giancarlo Sembinelli per l'aiuto nella ricerca delle foto d’archivio. Co de ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie è un progetto nato all'interno del programma di residenza Aperto 2011. Co de ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie is a project by Chiara Trivelli. Director’s assistant: Giancarlo Sembinelli. Narrator: Valentina Gheza. Other voices: Elvira Bazzana, Costanza Belotti, Antonella Clauser, Monica Festa, Emanuela Ravizza, Alessandro Riva, Fabrizio Riva, Massimo Sandrini, Rosaria Tonon, Gianna Zani. With the participation of Zaffiro Sembinelli. Sound Archive: Carlo Giordani. We would like to thank Giancarlo Maculotti and Giancarlo Sembinelli for their help in the search for archive photos. Co de ros is a project which was created as part of the residence programme Aperto 2011. 7 9 10 Vione 8 Co de ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie è un’audioguida. Raggiungi la stradina rurale di Sant’Alessando, che collega a mezza costa Temù e Vione. Percorrila ascoltando le prime 8 tracce. Quando arrivi a Vione, visita il museo ‘l Zuf . Torna indietro ripercorrendo la stradina di Sant’Alessandro. Ascolta le seconde 8 tracce. Visita il museo della Guerra Bianca. Riconsegna l’audioguida all’infopoint di Temù. 12 6 11 5 13 4 3 14 15 2 16 1 Temù Il terzo museo di Matteo Lucchetti* Chiara Trivelli ha percorso molte volte la passeggiata a mezza costa che collega Vione a Temù, andando avanti e indietro per quella che si considera essere un tratto della vecchia via Valeriana. Agli estremi di questa strada rurale, ormai semiabbandonata, ci sono due musei: uno è “L Zuf” (l’aratro), il museo etnografico, l’altro è il Museo della guerra bianca in Adamello (1915-1918). Da un lato gli utensili e le ricostruzioni della vita contadina del secolo scorso, dall’altro la grande guerra in versione alpina, combattuta tra i ghiacciai e la neve perenne. Deve essere sembrato chiaro, all’artista, il filo rosso che collega in potenza queste due piccole istituzioni dedite a conservare le testimonianze di qualche generazione passata, tra la durezza dei combattimenti a oltre tremila metri di altitudine e l’aspra semplicità delle regole della quotidianità agricola camuna. Da questa evidenza ha preso corpo un lavoro di raccordo tra i due luoghi, accomunati dalla volontà di scrivere le storie della classe proletaria locale, che si trovasse immersa nella propria condizione lavorativa o nell’eccezionalità della guerra d’alta quota. Co de ros (un Paternoster e dieci Avemarie), l’audioguida prodotta da Chiara Trivelli (con la partecipazione di svariate decine di persone della valle, tra pastori, attori e tecnici vari), è infatti un tentativo sonoro di riprodurre una serie di accadimenti, consuetudini e fatti storici, avvenuti in quella breve striscia di terra che collega i paesi di Vione e Temù. Aiutata da una compagnia teatrale locale nello scrivere e drammatizzare il tutto, l’artista ha scelto di immaginare, nello spazio di quelle passeggiate, un terzo museo, da percorrere a doppio senso e accompagnati dall’idea che anche un ammasso scomposto di sassi, o un rivolo d’acqua deviato artificialmente, potrebbero valere il tempo di uno sguardo più attento, volto a cogliere quel minimo comune denominatore di tante vite trascorse su quella via di mezza costa e dintorni. Co de ros, letteralmente “testa del gregge”, raccoglie sedici tracce audio, otto per ogni direzione, che percorrono idealmente una sorta di transumanza della memoria, tra i toponimi che identificano i vari luoghi e scorci sulla strada di Sant’Alessandro, così come conosciuta dai più, per via della chiesa omonima che si trova dall’estremità che guarda a Vione. È come se le tracce uscissero dall’archivio dell’Istituto Ernesto de Martino1; tra i sedici punti di osservazione scorrono infatti canti popolari tradizionali in lingua e in dialetto, canti sociali, canti di lavoro, filastrocche, aneddoti e storielle che tra un alpeggio, una valle del diavolo e un campo di patate, abituano l’orecchio e il passo a un ritmo diverso. Da un lato scorre la valle e dall’altro cominciano a visualizzarsi pastori, boscaioli, contadini e tutte quelle figure che parlano per voce degli attori nella guida. Tra le parole in dialetto riemergono espressioni che danno nuovi significati alla semplicità delle azioni raccontate: “Chi mi presta il tempo?”, ad esempio, è un’espressione che usava chi chiedeva una mano al compagno, promettendo poi di darlo indietro, il tempo e quindi l’aiuto, alla prima occasione. Si passano in rassegna i saperi contadini della coltivazione, della battitura del grano, dell’erezione di muretti a secco e della relativa costruzione di gane, ovvero ammassi di pietre trovate arando e inservibili per l’edilizia. Tra testimonianze dirette e interpretazioni degli episodi raccolti nel periodo di ricerca, si arriva a parlare dello “spettro della patria”, che chiama i pastori, attraverso semplici cartoline, a servirla. In questo momento è come se i due musei si incontrassero a metà strada, proprio lì sulla strada a mezza costa dove Chiara Trivelli ha pensato potesse esistere un altro museo, fatto soltanto dei fantasmi e della storia orale che nelle sue passeggiate ha sentito e raccolto. Archivio etnografico in cui sono confluiti e confluiscono i risultati delle ricerche sul campo di numerosi studiosi del mondo popolare e proletario, fissati in oltre 6000 nastri magnetici per un totale complessivo di circa 15000 ore di registrazione. L’istituto ha raccolto materiali di carattere musicale (canti popolari e sociali, danze, riti, rappresentazioni popolari), testimonianze sui momenti più significativi della storia del movimento operaio, biografie di militanti, registrazioni di manifestazioni sindacali e politiche, ordinati in un archivio specializzato per la conservazione, la catalogazione e lo studio delle forme di espressività orale, con annessa biblioteca, videoteca e filmoteca. Dal sito dell’Istituto Ernesto de Martino, visitato il 20 gennaio 2013 (www.iedm.it). 1 * curatore indipendente / independent curator, testo tratto dal catalogo / text taken from the catalogue Aperto 2011/2013, Silvana Editoriale, Milano, Italia, 2014, p.123. ANDATA RITORNO 01. Val d’Avio 09. Valle dei Mulini 02. Coltivazione patate 10. Don Bartolomeo 03. Attilia 11. Letamaia 04. Andare a cöer 12. La pastora 05. Battitura del grano 13. La gana 06. Sant’Alessandro 14. Raccogliere le foglie 07. Alpeggio 15. Co de ros 08. Muretti a secco 16. Duilio Co de Ros. Un Pater Noster e dieci Avemarie installazione realizzata in occasione della mostra Le opere di aperto 2011 lettore mp3, cuffie, libretto, foto aerea Torre Federici, Vezza d'Oglio (Bs), Italia ottobre 2011 Luogo comune ( 2010 ) Luogo comune progetto community-based Venezia 2010 community-based project Venice 2010 Frequentare un quartiere, entrare in contatto con la comunità che lo abita, condividerne le attività. Luogo comune è stato innanzitutto una pratica di condivisione, la frequentazione di un luogo e dei suo abitanti. Un progetto sviluppato da me ed Elena Mazzi, che è nato nel gennaio 2010 all'interno del workshop tenuto dall'artista visiva Marjetica Potrc all’Università Iuav di Venezia. Volendo esplorare le risorse di un territorio partendo dalle sue aree di marginalità, il progetto ha interessato un’area della città lagunare denominata San Pietro di Castello. San Pietro di Castello è con Torcello e Rialto uno dei primi insediamenti nella laguna veneta. Situata nell’estrema parte orientale del centro storico di Venezia, San Pietro è oggi una delle poche aree ancora abitata da veneziani e poco frequentata da turisti, un’isola nell’isola. Lo spopolamento, che dal dopoguerra investe Venezia, è particolarmente evidente in quest’area abitata soprattutto da anziani e priva di attività commerciali. San Pietro sopravvive alla modernità ponendosi come esempio di vita comunitaria fortemente legata al territorio, depositaria di un sapere connesso ad attività tradizionali e a una cultura popolare. The life of neighbourhood, getting to known a community, sharing its activities. First of all, Luogo comune ('Common ground') was a sharing practice, the frequentation of a place and its inhabitants. A project developed by me and Elena Mazzi, which is born during the workshop held by visual artist Marjetica Potrc at the IUAV University in Venice, January 2010. The project, based on the desire to explore the resources of a territory starting from his marginal areas, interested an area of the lagoon town called San Pietro di Castello. San Pietro di Castello was one of the first land settlements in the Venetian Lagoon along with Torcello and Rialto. Located in Venice’s extreme Eastern historical centre, San Pietro is one of the few areas still inhabited by the Venetians and less likely visited by tourists, consequently becoming an island within the island. The depopulation, which has been characterizing Venice since after the War, is especially evident in this area, that is mostly inhabited by the elderly and characterized by a lack of shops. San Pietro outlives modernity by suggesting examples of common life strictly connected to the territory, keeping knowledge tied to traditional activities and popular culture. Il progetto luogo comune ha inteso tale luogo come fonte di risorse ed esperienze da cui trarre insegnamento attraverso la condivisione di esperienze ludiche e conviviali e lo scambio di conoscenze e abilità. Il progetto ha previsto, assieme alla frequentazione degli abitanti, l’organizzazione di piccoli eventi quali pranzi e/o cene, la condivisione di alcune pratiche quali la cucina, il gioco della tombola, il karaoke, l’imbottigliamento del vino, la domenica allo stadio. Sono state costruite inoltre delle “situazioni espositive” nei luoghi deputati all'arte e nel quartiere. Io ed Elena, allargando l'invito ad altri giovani artisti, abbiamo proposto le rielaborazioni delle nostre esperienze sul territorio accanto ai lavori artistici prodotti da alcuni degli abitanti del quartiere. Abbiamo dato vita a una serie di mostre condivise che si sono riprodotte come situazioni di convivialità e socialità. Luogo comune è stata una ricerca sul campo. La verifica di un'ipotesi. Un modo di declinare la pratica artistica. L'entrare a far parte di una comunità che va scomparendo può essere intesa come una pratica artistica? Se la riproduzione dell'atto sociale è un atto creativo, il rapporto sociale si pone allora come territorio di indagine non solo delle scienze umane, ma anche della ricerca artistica. The Luogo comune project intended this place as a source of resources and experiences from which one can learn through sharing playful and convivial experiences and exchanging abilities and knowledge. The project involved various encounters with the inhabitants, the organization of small events like lunches and/or dinners, the sharing of activities such as cooking, bingo, karaoke, wine bottling, Sundays at the soccer-stadium. We also created “exposure situations” in the places dedicated to art and in the neighbourhood. Elena and I, extending the invitation to other young artists, we proposed rework of our experiences in the area alongside the artistic works produced by some of the local residents. We created a series of shared exhibitions that reproduced themselves as situations of conviviality and sociability. Luogo comune was a field research. The verification of a hypothesis. A way to inflect the artistic practice. Becoming part of a community that is disappearing, can it be understood as an artistic practice? If the reproduction of the social act is a creative act, the social relationship then arises as an area of investigation not only of the human sciences, but also of artistic research. L’impossibilità di una voce propria ( 2010 ) L’impossibilità di una voce propria video due canali audio, 14’’ 47'' Venezia, Italia 2010 two-channel audio video, 14’’ Venice, Italy 2010 Quando ho cominciato a frequentare gli abitanti di San Pietro di Castello, quartiere periferico della città lagunare, per condividere con loro un’esperienza artistica fatta di socialità e apertura alla marginalità, ho lasciato che una fotocamera digitale registrasse voci di gesti senza volto. Ho selezionato poi alcuni frammenti di queste registrazioni, cercando di cogliere, fra chi abita una città che sta invecchiando e contraendosi, il quando ogni voce tradisce se stessa, le energie che sprigiona "l’essere alla fine", lo scomparire; quindi ho ri-calcato ogni frammento con la mia stessa voce. Le clip si susseguono e in ognuna la mia voce si sovrappone a voci diverse, multiple o singole, che parlano o cantano, generando un discorso in cui l’impossibilità di distinguere una voce propria, mia e/o degli abitanti di San Pietro, è intesa come possibilità di una voce comune, paradosso di un linguaggio che si manifesta nel suo negarsi, che appare mentre scompare. When I started regularly going to San Pietro di Castello, marginal residential district in Venice, in order to share with its inhabitants an artistic experience based on sociability and openness to the marginality, I let a camera to record some faceless gestures. Then, I selected some fragments of these recordings and I endeavoured to seize, among those living in an aging and narrowing city, the moment in which every voice betrays itself and to catch energies emitted by the fact of being at the end, of disappearing; so I traced out with my voice every single fragment. Chunks follow one after another and in each chunk my voice overlaps to other different, multiple or single, singing or talking voices, this generating a speech in which the impossibility of one's own voice (mine or san Pietro inhabitants’ one), represents the possibility of a common voice, paradox of a language that manifests when it denies itself, that appears during its disappearing. Becoming-community by Giulia Casalini* The artist Chiara Trivelli works towards the construction of a community that, as Jean-Luc Nancy’s critique points out, is impossible to produce. The work L’impossibilità di una voce propria/The impossibility of one’s own voice (2010- 2011) confronts the artist with the attempt of making the community and, at the same time, with the impossibility of its own production. The artist started the project in 2010, as a series of interventions towards the Venetian neighbourhood of San Pietro di Castello that – despite being situated in proximity of the main Biennale’s venues – is still a very isolated area in Venice and it has not been touched by mass tourism. The project, called Luogo comune/common ground, involved the inhabitants of that community, who are for the majority elder Venetians speaking in Venetian dialect. Trivelli introduced herself to the community by taking part or organising some of the neighbourhood’s common activities, (e.g. playing cards, bingo, cooking and eating together, bottling the wine, going to the stadium, making art, chatting and exchanging technical skills inherited by tradition). After three months of acquaintance and exchanges with San Pietro’s community, the artist’s presence embeds in the neighbourhood with which she starts a relationship that is not just anthropo-sociological but that is also based on affecs. As part of the project, during the three months Trivelli produced The impossibility of one’s own voice, in which she recorded the voices of some of San Pietro’s inhabitants during their meetings. Conversations and traditional songs in Venetian are collected and edited in a video, together with the transcriptions of their words on the bottom of the screen. The recorded voices of the residents (also Trivelli is present) are intertwined (thanks to a two-channel audio) with the one of the artist that in a second moment registered her own voice over the ones of the community, trying to imitate their accents and dialect. When watching the video then it is possible to hear the two temporally distant voices at the same time. In the process of imitation, the artist’s voice represents the one of a separate individual that has still to become community. At the same time, the artist is present in the diegetic dimension of the video as part of the community that she is recording: there is not her face (as there is nobody’s face) but it is possible to hear her voice. The clash between the two realities – the artist as already part of the community and the artist as trying to be part of it – creates a peculiar condition of displacement and uneasiness while hearing her own voice trying to imitate the disappearing voices of San Pietro’s inhabitants: following word-by-word the voices of the elderly people, the artist performs the attempt of the individual to become community and, at the same time, its failure. This failure is not due to the possible sex, race, age or class differences between the voice that is imitated and the one that imitates, but to the impossibility itself of producing one’s own voice: whenever produced, in fact, voice moves outside of the subject, becoming ‘other-than-I’. It is indeed impossible to grasp and to describe voice, which consequently faces its own impossibility. As soon as it struggles to emerge, voice is instantly inscribed into language or signs. The impossibility of voice then also represents the only possibility for it to exist: having never been written, voice has always to be formulated anew. It then confronts itself with its own paradox, which is being and not being at the same time: one’s own voice is in fact only present when it is not uttered. Voice is then responsible for the creation of the community because it pertains to a dimension – the ethical one – that goes beyond the categories created by language and space: community, as voice, is only present in its own unmaking, in the failure of voicing its essence. Trivelli’s work then shows the impossibility of the task of becoming Other/ community through imitation: in the effort of being identical the voice betrays itself and fails in the task of becoming-community. Voice indeed runs through the gaps and the failures of identity, among the failures of linguistically formulating the community. Considering the failure of voice to imitate the one of the community, then, the only possible one is the voice that is created together with it, in its own act of reproduction and commoning. Voice is then a process, a collective and never-ending exercise. The approach of the artist who works in the community, as Trivelli’s example demonstrates, is therefore one that first, from a feminist perspective, eliminates its role as an author and then approaches the community with a queer attention, trying to give voice to the stories that have not yet been written. The role of the artist is then the one of mediation for those who had not deserved attention before: the artist who works with the community re-writes – in Foucault’s terms – the ‘lives of infamous men’. * independent curator, text taken from the dissertation Voicing the commons: A feminist-queer perspective on communty art projects, Goldsmiths College, London, UK, pp. 25-27. netêgihîstinî ( 2008 | 2010 ) Netêgihîstinî (5 3 8) Rebus in curdo pubblicato in Turchia Lavoro sulla censura che a censura è stato sottoposto 2008/2010 Rebus in Kurdish published in Turkey Work on censorship which was itself censored 2008/2010 Netêgihîstinî (5 3 8) è un rebus in curdo concepito per essere pubblicato in Turchia. E' un lavoro che interessa lo spazio pubblico e la libertà di espressione. Presupposti del progetto sono l'assunto che l'arte può essere intesa come intervento diretto sui processi di trasmissione culturale e la scelta di intervenire su quel determinato spazio pubblico che è la stampa. Ho utilizzato un gioco enigmistico per indagare la questione della libertà di stampa in Turchia. In particolar modo ho utilizzato il rebus come dispositivo per esprimere il problema della censura a cui è sottoposta la lingua curda in Turchia e ho concepito il primo rebus in curdo. Netêgihîstinî (5 3 8) è infatti il primo rebus mai realizzato in lingua curda. In base all’ambiguità di un articolo del codice penale turco, il 301, in Turchia chi parla curdo può essere accusato di tradimento della patria e per questo arrestato. Ciò implica un divieto di fatto dell’uso della lingua, oltre che di ogni forma d’espressione dell’identità culturale curda. Il rebus sottende una lingua senza enunciarla, è un’immagine della parola interdetta, di ciò che vogliamo dire ma non possiamo dire. Pubblicare un rebus in curdo non avrebbe violato la legge turca, allo stesso tempo sarebbe stato indicativo dei limiti imposti alla libertà di espressione in Turchia. Netêgihîstinî (5 3 8) is a rebus in Kurdish designed to be published in Turkey. This is a work that concerns public space and the freedom of expression. The preconditions of the project are the assumption that art may be understood as a direct intervention on cultural transmission processes and the choice of intervening on that public space comprised by the press. I used a brainteaser to investigate the question of press freedom in Turkey. Specifically, I exploited a rebus as a device to focus on the problem of the censure to which the Kurdish language is subjected in Turkey, coming up with the very first ever rebus in Kurdish: Netêgihîstinî (5 3 8). On the basis of the ambiguity of an article of the Turkish penal code, no. 301, in Turkey whoever speaks Kurdish may be accused of betraying the nation and for this reason arrested. This effectively implies a ban on the use of the language, as well as every form of expression of Kurdish cultural identity. The rebus underpins a language without pronouncing it, it is an image of a forbidden word, of what we want to say but cannot. Publishing a rebus in Kurdish would not violate Turkish law, while at the same time it would be indicative of the limits imposed on the freedom of expression in Turkey. Netêgihîstinî significa rebus in curdo. La chiave del rebus E sîr (aglio) E + Wan + (Van, città del Kurdistan turco dove si trova il lago più grande della Turchia. Sull’ Isola di Akdamar c’è una chiesa armena del X secolo. Nei pressi del lago vive una particolare varietà di gatto, il Gatto di Van, caratterizzato dagli occhi di colore diverso) + ney (flauto caratteristico soprattutto delle zone della Persia e dell’Asia occidentale, uno dei più antichi strumenti musicali ancora in uso) + A + ran (coscia) + E. La frase risolutiva Esîre wan neyarane (Prigioniero dei nemici). La frase è tratta dal testo di una canzone popolare curda. Razan, pseudonimo composto dall’ultima sillaba dei nomi propri Chiara e Ozan, è un nome femminile arabo, significa filare d’uva. Il rebus è stato realizzato grazie al contributo fondamentale di Ozan Erkul e Alfredo Baroni. Original text (uncensored) Above the cartoon is written Netêgihîstinî, which means “rebus” in Kurdish. Nearby, in brackets, there are some numbers: 5, 3, 8. They mean that the sentence you have to decode is composed of three words: the first one has 5 letters, the second one 3, the third 8. Further to the right, also in brackets, there is the name of the rebus author. In this case, and also generally, a pseudonym is used in place of the real name. Razan is a female Arabic name, which means “grape vine”. This name is composed of the last syllables of the proper names Chiara and Ozan. You have to “read” the cartoon below from left to right. On the left, in the foreground, you can see an “E” on a garlic. In Kurdish, the word for “Garlic” is “ sîr “. You can read “E + sîr “ like “Esîr “. Then in the background there is another “E” on a church. When one looks at the cartoon and tries to interpret it, one can recognize this church, the lake in the middle of the cartoon and the cat on the left in a poster as indications for Van. “Van” is the proper name of a town located in the Turkish Kurdistan. Like in a postcard, in the cartoon there are the most significant places of this town: in Van there is the biggest lake in Turkey; on the island of Akdamar there is an Armenian church of the X century (the church drawn in the cartoon); a particular variety of cats live nearby the lake, “the Cat of Van”, characterized by the different colours of its eyes. One says “Van” in Kurdish “Wan”. You can now read in the cartoon “E + sîr + E + Wan” like “Esîre wan”. Five letters compose the first word and three the second one of this sentence. Then there is an “A” on a flute. This flute is a “ney”, a traditional instrument widespread mostly in Persia and in the west of Asia, one of the oldest musical instruments still in use today. You can now decode the rebus in this way: “ E + sîr + E + Wan + ney + A”, which becomes “Esîre wan neya..”. In this case, the letter “A” is after, and not before the word “ney”. Each letter in a rebus point to the subject one has to decode, but then the letter can be inserted either before or after the name of the object. Then, in the cartoon, there is an “E” on a thigh. In Kurdish, thigh is “ran”. Now you come to the solution-sentence of the rebus: you can read “ E + sîr + E + Wan + ney + A + ran + E”, which means: “Esîre wan neyarane”. This sentence in English means “prisoner of the enemies”. The sentence “Esîre wan neyarane” is taken from a Kurdish song. Catalogo della mostra / exhibition catalogue In between/arada/tra, Istanbul 2010, p. 149. Original text (uncensored) by Chiara Vecchiarelli* “The rebus is an image of the interdicted word”, states artist Chiara Trivelli. Possibly coming from the word res – Latin for ‘thing’ – a rebus is a puzzle made with images and snippets of language. Common in Italy and other European countries, the rebus does not exist in Turkey. It is a form of expression that is neither merely written nor oral, that has its autonomy and is certainly related to the enigmatic: to something that does not possess the immediacy of words but is nevertheless accessible to common imagination. Trivelli, influenced and fascinated by Italian artist Gino De Dominicis, who dealt with the invisible in order to bring it into visibility, began inquiring, last year, into another form of invisibility: the forbidden, the unspoken. How to bring the invisible to the visible, how to make speakable the unspoken, these were Trivelli’s questions at stake. When the artistic search started to take a form, it very soon assumed the shape of a rebus. Moved to Istanbul, Trivelli started asking persons to write sentences they were not allowed to pronounce because of censorship. It turned out soon that the unspoken was, not casually, a language. Not only the Kurdish question, but Kurdish language itself, which is as a language one among many declension of human language at large, was being the object of interferences in the general process of cultural transmission. Since it is within the context of human relationships that transmission processes are made possible, it is here that Trivelli decides to operate and asks for collaboration, being helped by Ozan Erkul for the translation and by Alfredo Baroni for the composition of the rebus. And, withal, the work is collaborative during its realization no less than in the subsequent reading moments: instead of being a viewer, one becomes a reader participating in the process of decoding a message. While looking at the rebus, we discover in fact that the reading key is a language: Kurdish language in a Turkish context. It is no coincidence that in the rebus images are juxtaposed, the linguistic code is shattered and the content, therefore, is hidden: hidden messages will manifest only when deciphered. Since incongruous images share the same space as letters and numbers, the rebus is an enigma to solve through the alliance of the reader with images rather than words. Here, in the relation between communication and its visual dimension, lies Chiara Trivelli’s artistic practice. A rebus also represents a crucial moment in the reflection on the origin of writing. Scholars tried to trace a straight line going from ideograms to the modern alphabetical writing via the rebus, making of it a turning point in the evolution of language itself. However, the rebus never accessed the limpid scenario of writing and yet kept its secrecy and playful aspect. Since it deals with the gap existing in every language, a rebus represents the communicative place where the content and its expression no longer coincide. It is in this interstice that what is forbidden is fostered and conveyed at the same time. The delay in the rebus reading is hence a figure for the difficulty of speaking Kurdish in Turkey, and Netêgihîstinî (5 3 8) – a fragment of a Kurdish song encoded in a rebus - is just a bit of a language that finds it difficult to be spoken and written in a public space. The rebus ideal context would have been – and would still be – a newspaper, but none of the Turkish magazines – not even Taraf, which has hesitated at length – have at this point accepted to bear Trivelli’s Kurdish message, albeit encrypted. If Trivelli assumes the rebus as an artistic form, the magazine would be the very space – a public space – to exhibit the work. However, it is now in the exhibition catalogue that the reading of what is not written is eventually possible and communication – even is postponed – is silently achieved. Catalogo della mostra / exhibition catalogue In between/arada/tra, Istanbul 2010, p. 150. *curatrice della mostra / curator of the exhibition In between/arada/tra, MSGSU Tophane-i Amire Culture Center, Istanbul, Turkey, 20 gennaio/14 febbraio 2010. Il rebus Il rebus è un gioco enigmistico che consiste nel decriptare una frase attraverso l’interpretazione dei soggetti di una vignetta, solitamente contraddistinti da una lettera. Trovata la chiave è possibile ricostruire la frase risolutiva in base al diagramma numerico che ne indica il numero di parole e lettere. Esempio: 3,7,6 = diagramma numerico F arpe santi L avo ri = chiave Far pesanti lavori = frase risolutiva Il rebus mi è sembrato un dispositivo interessante sotto diversi aspetti. E' attinente la stampa, la produzione stampata, dunque uno spazio pubblico. E' un gioco, qualcosa di ludico, interattivo, ironico, leggero. Allo stesso tempo è una forma di scrittura criptata. Attraverso il rebus è possibile decodificare un messaggio. Il rebus è un enigma da risolvere, rinvia a una realtà enigmatica. I rebus sono realtà enigmatiche, valorizzano l'attitudine ad interpretare il reale, vi predispongono. Attraverso il rebus potevo esprime il paradosso di dire l'indicibile all'interno di un sistema codificato. Potevo affrontare un tabù, qualcosa di cui non è ammesso parlare. Il rebus è qualcosa di tipicamente italiano. Anche se esiste in altri paesi, il rebus è nato ed ha avuto la sua fortuna in Italia. All'interno di una prospettiva di scambio e confronto fra Italia e Turchia, mi è sembrato interessante declinare una forma italiana nel contesto turco. Qualcosa come un “rebus” infatti in Turchia non esiste. L'opera come processo La storia di Netêgihîstinî (5 3 8) Il progetto è nato all’interno del Laboratorio di Arti Visive tenuto da Antoni Muntadas presso l'Università Iuav di Venezia, ottobre/dicembre 2008. Il laboratorio aveva come tema il concetto di “tra/ in between” e in particolar modo si focalizzava sul rapporto storico/geografico/politico fra Venezia e Istanbul, città selezionata come Capitale Europea della Cultura 2010. Muntadas era stato invitato a realizzare un progetto a Istanbul in occasione di Istanbul Capitale Europea della Cultura 2010. Ma Muntadas é un artista la cui attività pedagogica é parte integrante dell'opera. Insegna presso il MIT - Massachusetts Institute of Technology (Cambridge, Boston, USA), allo Iuav di Venezia, e avrebbe tenuto un corso a Istanbul. In occasione di Istanbul Capitale Europea della Cultura 2010, era sta prevista quindi, oltre al progetto site-specific di Muntadas, una mostra collettiva di tutti gli studenti di Muntadas, quelli di Cambridge, di Venezia e quelli di Istanbul. Durante il laboratorio del 2008, in previsione della mostra degli studenti di Muntadas che si sarebbe tenuta a Istanbul nel 2010, ho iniziato a sviluppare l'idea del rebus in relazione al contesto specifico della Turchia. Di fronte a una manifestazione (Istanbul Capitale Europea della Cultura 2010) le cui aspirazioni erano quelle di integrare la Turchia all'interno della Comunità Europea, un contesto in cui i diritti fondamentali, compreso quello di libertà di stampa, vengono almeno formalmente garantiti, avevo pensato al rebus come dispositivo per indagare la questione della censura in Turchia. Volevo scoprire ciò che non si poteva dire apertamente in Turchia, quindi rebussare una frase che in Turchia fosse proibita dire pubblicamente. Parte integrante delle attività del laboratorio è stato un iniziale, breve soggiorno a Istanbul (novembre 2008), il cui scopo era visitare, familiarizzare, entrare in contatto, farsi un'idea della città in relazione alla quale, noi che facevamo parte della classe, gli studenti di Muntadas, dovevamo svolgere un progetto. Durante il soggiorno, il metodo da me adottato per indagare sulla questione della censura e della repressione culturale in Turchia è stato molto semplice. In ogni occasione pubblica (incontri, conferenze, per strada, al bar, in discoteca, al ristorante), ho chiesto di scrivere a gente comune, incontrata lì per caso, che cosa fosse proibito dire pubblicamente in Turchia. Avevo preparato dei foglietti che facevo girare assieme a una penna. Su ogni foglietto c'era scritta, in turco e in inglese, la domanda: “cosa è interdetto dire qui pubblicamente?”. Le persone potevano rispondere in modo anonimo con una breve frase e poi passare il foglietto a qualcun altro. Come in un gioco, i foglietti passavano di mano in mano e ognuno esprimeva la sua personale opinione. Senza conseguenze/ripercussioni. Perché il tutto avveniva in modo informale. Una volta preso in rassegna ciò che era stato scritto sui foglietti, ho fatto una rapida statistica delle tematiche/questioni denunciate (tra cui anche il tabù sessuale e la questione armena) e “la questione curda” è risultata essere il tabù riproposto con più frequenza. Era proibito parlare di curdi, pkk, Kurdistan, era proibito parlare in curdo. Da qui l'idea del rebus in curdo. Ho pensato che, invece di rebussare una frase che era proibito pronunciare nelle spazio pubblico, fosse allora più interessante porre la questione del rapporto fra tabù e linguaggio, assumere come tabù un linguaggio. Rebussare non un contenuto ma una lingua, una lingua proibita, la lingua curda. Tornata a Venezia, ho iniziato a raccogliere materiale sulla questione curda in Turchia e a lavorare alla realizzazione del rebus muovendomi su due fronti. Da un lato, sono entrata in contatto con la comunità curda residente a Venezia, ho iniziato a frequentarla, a partecipare alle loro iniziative. Questo è stato possibile grazie alla mediazione di due persone in particolare: Orsola Casagrande, giornalista de Il Manifesto che si occupa della questione curda, e Ozan Erkuhl, curdo residente a Venezia che mi ha fatto da interprete e introdotto nella comunità. Dall’altra, sono entrata in contatto con il variegato mondo dell’enigmistica. Ho scritto alla redazione della storica rivista italiana La Settimana Enigmistica e ho conosciuto, prima attraverso internet poi personalmente, vari enigmisti, tra cui Bardo e Il Langense, che si sono appassionati al mio progetto intervenendo con suggerimenti e consigli. Frequentando la comunità curda, ho raccolto le testimonianze, i racconti, ho ascoltato la storia di un popolo perseguitato e vittima della repressione. Sono entrata in contatto con il coordinamento Kurdistan che ha sede a Roma, ho incontrato esiliati politici, ex guerrigliere e guerriglieri, uomini di partito, ho conosciuto un rappresentante curdo al Parlamento Europeo. Ho parlato con chi aveva perso e a cui era stato ucciso il figlio, con chi aveva il fratello o la zio in carcere, con chi vive sapendo la propria famiglia lontana in un paese in cui essere curdo non è ammesso. Per un curdo in Turchia, mi raccontavano, il carcere è un fatto di tutti i giorni, entrano ed escono dal carcere, anzi entrano e poi non si sa quando escono. Ho parlato con attivisti italiani, uno dei quali è scoppiato in lacrime mentre mi raccontava quello a cui aveva assistito di recente in Turchia, soprusi, ingiustizie, torture. Per realizzare il rebus avevo bisogno di familiarizzare con una lingua che non conoscevo. Il curdo, data la storia di persecuzioni e censura subita dal suo popolo, è una lingua prevalentemente orale. Esistono pochissime pubblicazioni in curdo. È una lingua pertanto particolarmente instabile e, come ogni lingua che non sia scritta, esistono innumerevoli dialetti, inflessioni, variazioni a seconda della particolare provenienza geografica di chi la parla. Ciò ha reso per me particolarmente complicate le cose. Innanzitutto trovare un dizionario curdo/italiano non è stata cosa semplice. L’unica edizione esistente é una versione semplificata, auto-prodotta, stampata in Puglia in pochissime copie e fuori commercio. Una volta reperito il dizionario, ho cominciato a fare delle tabelle e dividere le parole a seconda del numero di lettere. A quel punto però avevo bisogno di testi scritti, frasi già articolate fra cui rintracciare la frase in curdo da rebussare. Ma il divieto imposto sulla lingua aveva limitato la produzione di testi scritti sui cui potermi esercitare e aveva determinato nei curdi, con cui lavoravo e che partecipavano al progetto, una conoscenza molto limitata della grammatica della loro lingua, presupposto necessario per chi voglia realizzare un rebus. Catalogo della mostra / exhibition catalogue In between/arada/tra, Istanbul 2010, p. 151. Il rebus è infatti un gioco che ha una sua tradizione e regole ben precise, che determinano non soltanto la sua validità ma anche il suo valore estetico. Per esempio, ogni soggetto da interpretare deve essere contraddistinto da "lettere esposte", ma mai più di 3 lettere consecutivamente. Un rebus bello è un rebus in cui ci sono poche “lettere esposte”. Più le parole celate sono lunghe, più il rebus è di pregio. Alfredo Baroni (Bardo), uno dei più grandi rebussisti viventi e redattore della Settimana Enigmistica, mi ha spiegato tutto questo. Ha seguito il mio progetto, verificando la correttezza di quello che stavo facendo. “Si tratta di un lavoro concepito nel contesto dell’arte cosiddetta “pubblica”: il rebus in curdo ha senso se pubblicato in Turchia, il progetto potrà dirsi concluso solo quando avverrà questa pubblicazione. Ho utilizzato il rebus come dispositivo perché mette lo spettatore nella posizione di interprete; allo stesso tempo, nel caso del rebus in curdo, il lavoro è in sé un incontro fra la cultura italiana, di cui il rebus è espressione, e le problematiche emerse dal confronto con la cultura turca, nello specifico la questione curda. La complessità del rebus rispecchia la complessità della materia trattata: testo e immagine, la giustapposizione di lettere e figure indicano ed evocano la complessità culturale cui si fa riferimento e che oltre le apparenze è un tutto interconnesso: la questione armena, il tabù sessuale, i riferimenti antropologici, storici e geografici, il dramma delle carceri, della tortura e della prigionia costituiscono la costellazione del rebus in cui il problema della repressione dell’identità culturale curda si colloca, repressione che passa in modo significativo attraverso il divieto e la censura della lingua. Molta arte può intendersi come gioco e l’enigma è uno dei suoi territori, di solito però la soluzione, e quindi l’interpretazione, viene lasciata aperta, è come un gioco enigmistico senza soluzione, un enigma irrisolto, così come il rebus è immagine fra il detto e il non detto. Ed è su questo territorio dell'enigma non ancora risolto a cui sto lavorando adesso”1. Dopo molti tentativi, ho trovato infine la chiave del rebus in una circostanza del tutto particolare, durante un viaggio in pullman. Avevo deciso di andare insieme ai curdi di Venezia a Vada, nella provincia di Livorno, dove si sarebbe tenuta una grande festa, a cui hanno partecipato curdi provenienti da tutta Italia, perché era il compleanno di Ocalan, leader curdo che si trovava, e si trova attualmente, in carcere, in isolamento da anni. Ocalan è una figura a cui la comunità curda tutta fa riferimento, uno polo fondamentale nel processo identitario di questo popolo. Si trattava quindi di un incontro nazionale della comunità curda in Italia. Locandina della mostra / exhibition poster TRA Venezia e Istanbul, Venezia 2008. 1. Brano tratto dall’intervista rilasciata al Langense, Il canto della sfinge. Periodico di giochi e cultura enigmistica, n. 20, febbraio 2009, pp. 8-9. La festa era stata autorizzata ma significativamente avveniva in un luogo sperduto, in un capannone anonimo nella frazione di Vada, Comune di Rosignano. Durante il viaggio, in un pullman preso in affitto, nemmeno l'autista sapeva bene dove si trovava la destinazione verso cui stavamo andando. Nel pullman, io ero l’unica italiana, cioè l’unica che non era curda. Durante il viaggio la comunità curda cantava. Il canto, così come la danza, sono forme di espressione privilegiate per una cultura che è principalmente orale. Ho chiesto allora a chi cantava di trascrivermi quello che stavano cantando, perché quello delle canzoni poteva essere un testo da cui si poteva trarre la frase da rebussare. Dopo la festa, durante il viaggio di ritorno, ho ripreso in mano i testi delle canzoni che erano state trascritte e, seduta al tavolino del pullman, coinvolgendo i presenti, in particolar modo un gruppo di adolescenti, nessuno dei quali aveva mai sentito parlare di una gioco enigmistico chiamato “rebus”, cioè non sapeva cosa fosse un rebus, cercando spiegando provando parlando è venuto fuori l’abbozzo di quello che poi sarebbe divenuto il rebus definitivo. Il rebus è stato presentato per la prima volta (stampa su tela, 158 x 89 cm) in occasione della mostra di fine corso TRA Venezia e Istanbul, presso la Jarach Gallery, Venezia, 10/12 dicembre 2008. L'opera è stata poi riproposta in occasione della mostra In between/arada/tra, MSGSU Tophane-i Amire Culture Center, Istanbul, Turchia, 20 gennaio/14 febbraio 2010. L'obiettivo del progetto non era tuttavia quello di esporre l'opera in una mostra. L'opera era stata concepita per incontrare il pubblico fuori dallo spazio deputato all’arte. Il progetto prevedeva la pubblicazione del rebus in Turchia, il display dell'opera doveva essere la stampa turca. Le dimensioni del rebus da pubblicare erano 11, 3 x 5,6 cm. Una didascalia sotto al rebus avrebbe spiegato in turco come funzionava il gioco. Una volta realizzato il rebus, è iniziata quindi la fase di trattative con la stampa turca. Ho contattato le maggiori testate nazionali, anche grazie alla mediazione locale di altre figure, artisti/curatori/insegnanti coinvolti nella mostra e nel complesso del progetto dedicato a Muntadas. Nell’arco di tempo che va dalla mostra alla Jarach a quella a Istanbul, cioè più o meno un anno, sono trascorse senza soluzione di continuità le trattative. Ogni testata, ogni redazione, compresa quella di Taraf (il giornale più “progressista” turco), ha accolto il mioprogetto con gentilezza e disponibilità, per poi procrastinarne l’effettiva realizzazione. Lasciavano la data di pubblicazione del rebus sospesa nell’indeterminatezza. Mi dicevano di sì, che lo avrebbero pubblicato, ma poi non lo facevano. Gli effettivi timori che erano dietro a quel comportamento tattico abbastanza esasperante mi sono risultati chiari quando, avvicinandosi la data di apertura al pubblico della mostra a Istanbul, mi sono risolta a pubblicare il rebus sullo stesso catalogo della mostra, con testi e documentazione relativa. Locandina della mostra / exhibition poster In between/arada/tra, Istanbul 2010. Chiara Trivelli Il catalogo sarebbe stato pubblicato in Turchia. La pubblicazione del progetto sul catalogo, benché questo non fosse un giornale o una rivista, sarebbe stata comunque un metro di giudizio, una verifica rispetto alla libertà di stampa in Turchia. Nonostante avessi ormai attestato la ritrosia dei responsabili della stampa turca, io mi aspettavo, probabilmente ingenuamente, che la pubblicazione del progetto con documentazione annessa sul catalogo di una mostra d'arte contemporanea, fosse cosa assai più semplice, abituata come ero e sono a quella libertà d'espressione che proprio nel contesto della sperimentazione artistica è considerata un presupposto necessario al fare. E invece la pubblicazione delle 4 pagine a me dedicate sul catalogo è stata cosa tutt'altro che semplice. Io, per ribadire la natura del progetto, avevo impaginato il tutto come fosse all'interno di una rivista (pp. 2, 3 e 4). In prima pagina avevo invece messo un'immagine di alcuni dei biglietti che avevo raccolto nel mie prime ricerche a Istanbul, con le testimonianze anonime, brevi e informali, di cosa fosse proibito dire in pubblico in Turchia, che avevo raccolto fra la gente. Il mio lavoro però, dopo lunghe e complesse trattative (ho dovuto realizzare almeno una decina di variazioni/edizioni dell'impaginato), è stato pubblicato solo a condizione che alcune parti fossero censurate. Si trattava proprio di tutte quelle parti di testo che riguardavano la questione curda in Turchia. In pratica, era proibito parlare della questione come qualcosa di problematico. Si poteva parlare dei Curdi, sì, ma non si poteva dire che questi costituivano o avevano costituito un problema. Il problema non era mai esistito e, nel caso fosse esistito in passato, ora non esisteva più. Quindi non c'era bisogno di parlarne... Ho accettato la censura solo a condizione di renderla visibile. Così nell'impaginato che avevo preparato ho tagliato, fisicamente col taglierino dallo stampato, tutte le frasi che mi avevano chiesto di togliere. Mentre ho messo delle bande nere su quelle frasi che mi avevano censurato fra quelle scritte sui biglietti. In conclusione, l'unica parte del catalogo che non è stata censurata è stata proprio quella del rebus. Un successo, se pensiamo che l'operazione di censura ha paradossalmente rafforzato il significato del rebus, come immagine della parola interdetta, rimossa, qualcosa che vogliamo dire ma non possiamo dire. Catalogo della mostra / exhibition catalogue In between/arada/tra, Istanbul 2010, p. 148. La questione curda in Turchia La Turchia è il paese in cui, più d’ogni altro, la popolazione curda è stata sottoposta alla repressione e ostacolata nella sua libera espressione oltre che politica, linguistica e culturale. L’identità del popolo curdo è stata volutamente cancellata con l’assassinio di migliaia di persone e con i divieti posti sulle pubblicazioni, trasmissioni, rappresentazioni e sulla diffusione culturale della lingua. Dal colpo di Stato del 12 settembre 1980, sostenuto dagli USA, al primo attacco armato del PKK (1984), in Turchia si ebbero 650.000 detenuti politici (di cui 500 uccisi sotto tortura), 85.000 imputazioni per reati associativi e di opinione, 15.500 licenziamenti per motivi politici, 114.000 persone sequestrate e bruciate, 2729 processi a scrittori, traduttori, giornalisti per reati d’opinione. In 30 anni la politica della Turchia ha alimentato da una parte lo scontro armato, dall’altra la migrazione forzata, riducendo la popolazione curda in povertà per le distruzioni dei villaggi, le leggi speciali e l’esproprio delle risorse naturali (acqua e petrolio). L’articolo 301 Gli arresti e la censura fanno appello all’articolo 301 del codice penale turco. Riporto qui di seguito il testo dell’articolo tradotto: 1. coloro i quali insultino pubblicamente la nazione turca, lo stato della repubblica turca, il parlamento turco, il governo della repubblica turca e le istituzioni giudiziarie dello stato saranno puniti con il carcere tra i 6 mesi e i 2 anni 2. insultino pubblicamente l’esercito o le forze di sicurezza dello stato saranno puniti con il carcere tra 6 mesi e 2 anni 3. l’espressione di pensiero con il proposito di critica non costituirà reato 4. l’apertura di procedimenti legali per questo reato è soggetta al permesso del ministro della giustizia Alcune testimonianze Tramite la giornalista de Il Manifesto la veneziana Orsola Casagrande, ho raccolto alcune testimonianze delle persone vittime dell’ambiguità insita nell’articolo 301, ne riporto qui di seguito alcuni estratti: Eren: “Nel 95 sono stata processata per avere usato il termine Kurdistan ho fatto sei mesi di carcere. E ora poiché scrivo e faccio domande sulla questione militare sono ancora sotto processo e chiedono 19 mesi di carcere. […] Dopo il trattato di Losanna i kurdi sono spariti. Tutti sono diventati turchi, hanno creato uno stato irreale. E la Turchia è diventata un cimitero di culture. Anche gli storici si dividono su questo punto. La fondazione della Repubblica turca in realtà non è una rivoluzione”. Fehrat: Il caso Leyla Zana "Mi chiamo Ferhat Tunc, vivo a Istanbul, in Turchia. Sono kurdo. Sono sotto processo per il 301. Il motivo? Dire le mie idee. Il pubblico ministero chiede da tre a sei anni di carcere per la mia colpa. […] Mi ricordo bene il primo concerto che ho fatto qui in Turchia. Era il 1986. Dopo il concerto c’è stata una grande repressione. Avevo cantato in kurdo. […] La repressione era molta dopo il golpe del 1980. […] Mi hanno processato per aver insultato lo Stato. Sono stato considerato un membro di un’organizzazione terroristica. […] Al mattino in prima pagina i giornali [...] riportavano titoli sul concerto e parlavano di separatismo nel concerto. Mi sono molto spaventato a leggere questo. [...] Hanno aperto procedimenti contro di me per quello che ho scritto, perché secondo loro scrivo per un giornale che vuole dividere lo stato. […] Un giornale che rischia sempre di essere chiuso, sempre sotto pressione e anche ferito e attaccato con bombe. […] Mi sto raccontando come un artista che vive in questo paese. Soltanto perchè sono kurdo e canto in kurdo per questo motivo sono diventato un obiettivo, che tipo di atteggiamenti e minacce sto subendo, cerco di raccontare questo, che tipo di pressioni ho vissuto". Mentre ancora stavo lavorando al Rebus in curdo, il 6 dicembre 2008 è giunta in Italia la notizia della nuova condanna a Leyla Zana, Premio Sakharov per la Pace. Qui di seguito riporto alcuni brani tratti dal comunicato stampa del UIKI-ONLUS - Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia: Ruzgar: "Sono una volontaria di Lambda Istanbul. Il 301 limita la libertà di espressione ed è la prova che in questo paese in realtà la democrazia non c’è. Ma ci sono altri articoli che limitano le libertà individuali. Per esempio le libertà sessuali non sono garantite. La nostra associazione è stata chiusa dalla magistratura perché contraria alla morale della famiglia". Ragip: Sono il direttore della casa editrice Belge. Belge in Turchia lotta contro i tabù da 30 anni. I tabù dei kurdi, delle minoranze in genere. Per questo ha subito 40 processi. Da quando è stato cambiato il 301 la nostra casa editrice è stata la prima ad essere condannata. Siamo i primi. E lo saremo fino a quando non otterremo la libertà di espressione. "All’attenzione dell’opinione pubblica italiana, la Turchia sta procedendo verso una progressiva militarizzazione […]. Nella prassi quotidiana si infliggono ormai condanne alla carcerazione a ogni rappresentante politico del popolo kurdo, per discorsi pronunciati pubblicamente. […] Leyla Zana, che è già stata per dieci anni in carcere per un discorso pronunciato nella Grande Assemblea Nazionale Turca nel 1991, ha subito il 4 dicembre 2008 una nuova condanna a dieci anni di carcere, per alcuni discorsi pronunciati in Turchia nonché presso il Parlamento Europeo e presso il Parlamento britannico. […] Nell’ultimo biennio simili trattamenti sono tuttavia divenuti pratica quotidiana in Turchia, migliaia di kurdi sono in carcere per motivi analoghi; altre decine di migliaia di persone sono sottoposte a processi penali; non si dimentichi che negli ultimi due anni nel Paese sono stati intentanti processi penali anche a carico di minorenni che hanno partecipato a manifestazioni di piazza. Per alcuni, di età compresa fra i 9 e i 17 anni, sono state richieste dalla Procura condanne a 23 anni di detenzione. In Turchia risultano anche in aumento i casi di persone decedute sotto tortura, ogni settimana giungono nuove notizie di persone morte in carcere, a seguito dei gravi maltrattamenti inflitti dai carcerieri. […] Direttamente dalla bocca del Premier turco sono uscite parole che sollecitano i kurdi a lasciare il Paese e rivendicazioni riguardo all’esistenza di un unico popolo, che comportano la negazione di tutti gli altri popoli esistenti in Turchia. [..] L’insistenza della Turchia nel voler risolvere la Questione Kurda con metodi militari sta militarizzando totalmente il regime turco e sta allontanando totalmente la prospettiva dell’ingresso nell’UE. […] Portando avanti tale linea politica militaristica, venti milioni di kurdi sono destinati in prospettiva a diventare cittadini europei per effetto di una migrazione forzata! La linea politica portata avanti al momento dalla Turchia comporta anche maltrattamenti inflitti in carcere ad Abdullah Ocalan e, da un anno, bombardamenti nel Kurdistan iracheno, ai quali da una settimana prendono parte anche militari iraniani. Si stanno distruggendo villaggi kurdi in Irak e si sta creando instabilità nella regione, producendo odio e alienazione nelle coscienze; in tal modo si approfondisce ancor più il confitto in corso".