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14.03.2016
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Viola Shipman
La metà del cuore
Traduzione di
Roberta Zuppet
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Titolo originale:
The Charm Bracelet
Copyright © 2016 by Viola Shipman
All rights reserved
Illustrazioni: © Cameron MacLeod Jones
Realizzazione editoriale: studio pym / Milano
Questo libro è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistiti è
puramente casuale.
www.giunti.it
© 2016 Giunti Editore S.p.A.
Via Bolognese 165 – 50139 Firenze – Italia
Piazza Virgilio 4 – 20123 Milano – Italia
Prima edizione: aprile 2016
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Per le mie nonne
… e mia madre.
Grazie per avermi spiegato
che i doni più preziosi della vita sono i più semplici,
e per avermi affidato i vostri ciondoli,
che mi hanno insegnato questa lezione.
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Prologo
Il ciondolo a forma di cuore spezzato
Per una vita sempre insieme
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4 luglio 1953
Lolly
Le lucciole illuminavano le pietre di guado del lago di Lost Land.
«Hai visto, Lolly?» rise mia madre nella penombra. «La na­
tura ci regala un’anteprima dei fuochi d’artificio.»
Sorrisi e annusai l’aria.
Il mondo profumava d’estate: crema solare e girandole lu­
minose, barbecue e aghi di pino.
Le libellule ci svolazzavano accanto alle orecchie, come se
un’orchestra di violini suonasse solo per noi mentre andavamo
verso il molo.
Avevo appena spento le candeline sulla torta del mio de­
cimo compleanno e mio padre stava accendendo il fuoco per
abbrustolire i marshmallow. Mi aveva già dato il suo regalo, la
mia prima canna da pesca, così avremmo potuto trascorrere le
domeniche insieme, ma ora era giunto il momento di quello
della mamma, che me lo consegnava sempre in fondo al pontile.
Nel crepuscolo cercai la sua mano e i nostri polsi si urtaro­
no, facendo tintinnare i braccialetti. Ridacchiai. Per abitudine
cominciai a tastare i suoi ciondoli, provando a indovinarne le
forme, era un gioco che avevo inventato anni prima.
«La mia scarpina!» esclamai.
«Per una vita piena di figli sani e felici.»
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«Una chiave!»
«Perché mi hai aperto il cuore.»
«Un fiocco di neve?»
«Sì, per una persona con mille sfaccettature.»
Le mie dita continuarono a volare, e mia madre aveva una
storia e una spiegazione per ciascun ciondolo. Li conoscevo
quasi tutti a memoria e proseguii finché trovai i miei preferiti:
il pianoforte a coda con il coperchio che si apriva e chiudeva,
la tartaruga con gli occhi di pietre preziose verdi e la testa che
si muoveva avanti e indietro, e un pozzo dei desideri con tanto
di manovella girevole.
«Per una vita piena di bellezza, una vita piena di decisioni
ponderate e significative, e una vita in cui tutti i desideri si
avverino!»
All’estremità del molo, mi imbattei in un ciondolo che non
riuscii a identificare.
«Che cos’è, mamma?»
«Quella…» Esitò, e le si incrinò la voce.
«Tutto bene?»
«È la mia sedia a dondolo.»
«Per cosa?»
«Per…» Si interruppe di nuovo, inspirando a fondo come
se fosse appena tornata da una lunga nuotata nel lago. «… una
vita lunga e sana.»
Ci sedemmo e immergemmo i piedi nel lago proprio quando
iniziarono i fuochi d’artificio.
«Oooh!» esclamai, sia per l’acqua fredda sia per lo spettacolo
di luci. «Wooowww!»
Il mio compleanno cadeva il 4 luglio, come quello del nostro
paese, ed ero figlia dell’estate.
«Tutti questi fuochi d’artificio sono per te» sussurrava sem­
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pre la mamma mentre le esplosioni tuonavano sopra di noi ed
echeggiavano sull’acqua. «Il mondo festeggia la tua unicità!»
Ogni anno, dacché ricordavo, nelle occasioni speciali mi
regalava un ciondolo: Natale, viaggi, bei voti. E a ogni comple­
anno ne aggiungeva un altro al mio braccialetto.
Quella volta non fu diversa.
«Tanti auguri!» Mi strinse tra le braccia e mi diede un bacio
sulla testa. «Pronta a recitare la nostra poesia?»
Scrollai il capo.
«Perché no?»
«Sono troppo grande.»
«Non sarai mai troppo grande. Diciamola insieme, allora!»
Questo ciondolo
è per rammentarti…
A mia madre si illuminò il viso. D’un tratto fu come tuffarsi
nel lago in una giornata calda, e non resistetti alla tentazione.
Così la seguii:
che a ogni passo del cammino
ti ho amata più di quanto tu possa immaginare.
Così, ogni volta che
una delle mie scatoline aprirai,
che tutto ebbe inizio con noi due
ricorderai.
Mi abbracciò, raggiante. «Tieni.» Estrasse un pacchettino dalla
tasca.
Lo scartai e trovai un pendaglio d’argento adagiato su un
cuscinetto di velluto.
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«Che cos’è?» Strizzai le palpebre nell’oscurità.
«La metà di un cuore. Per una vita sempre insieme.»
Lo esaminai, percorrendo il profilo delicato con i polpastrelli.
«Dov’è l’altra metà?»
«Qui.» Mi mostrò il suo braccialetto, zeppo di ciondoli come
un albero di Natale carico di decorazioni. Quindi mi afferrò il
polso, aggiunse il cuore spezzato e si posò la mia mano sul petto.
«E qui. Sarai sempre parte di me.»
Sorrisi e mi appoggiai a lei. Era calda, rassicurante e profu­
mava di peonie e crema solare.
«Guarda, se uniamo le due metà» proseguì congiungendole
«compare la scritta madre e figlia. Si completano a vicenda.
Perciò, qualunque cosa accada d’ora in poi, io sarò sempre parte
di te e tu di me. Mi fai una promessa?»
«Certo.»
«Che racconterai sempre la nostra storia e che sarai sempre
te stessa.»
«Te lo giuro.»
Sorrise e guardò in lontananza, intanto che i fuochi rischia­
ravano il cielo, poi mi cinse le spalle con il braccio, tirandomi
ancora più vicino.
«Starò sempre con te, soprattutto quando indosserai il brac­
cialetto. Sarà pieno di ricordi della nostra vita insieme. Nessuno
riuscirà a portarteli via.»
Mi stampò un altro bacio, stavolta sulla guancia.
«Ti vorrò bene in eterno.»
«Anch’io, mamma.»
La brezza accarezzò l’acqua e il bordo del molo, facendo
vibrare i braccialetti.
«Sai, alcuni sostengono di udire le voci dei propri familiari in
questo lago: nel richiamo dell’antostromo, nell’urlo della stro­
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laga, nel gracidio della rana toro» bisbigliò. «Io invece le sento
nel tintinnio dei ciondoli.»
Le sue parole mi fecero venire la pelle d’oca. Erano talmente
magiche che non potei fare a meno di guardarla. Lampi di lu­
ce le illuminavano i riccioli biondi e le lentiggini sulle guance
rosate. Fu come se un milione di flash la stesse immortalando
affinché non scordassi mai il suo volto in quell’istante.
Osservai meglio, e solo allora notai le lacrime che le rigavano
le guance.
Di lì a un anno, la mia adorata mamma se ne sarebbe andata,
uccisa dal cancro.
4 luglio 2013
I fuochi d’artificio tuonano sopra di me, riportandomi al
presente.
Ho settant’anni. I miei genitori non ci sono più da tempo.
Mio marito è morto, mia figlia Arden è adulta e vive per conto
suo a Chicago, a cinque ore da qui, e mia nipote Lauren è al
college. Ormai è da troppi anni che festeggio il mio complean­
no da sola. Eppure, appena rivolgo lo sguardo al cielo scuro,
sopraffatta dai ricordi, resto ancora incantata dalla bellezza dei
fuochi d’artificio.
Quando alzo la testa, sento le lacrime che mi scorrono sul
viso.
Forse mia madre si è portata via metà del mio cuore, però ho
conservato tutti i suoi ciondoli. Aveva ragione lei: il braccialetto
è un promemoria costante del suo amore per me.
Ho giurato a me stessa di raccontare le storie di famiglia ad
Arden e Lauren perché nessuno muore davvero finché i suoi
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aneddoti si tramandano a coloro che ama. Ho iniziato che erano
bambine, ma poi hanno avuto i loro impegni, e la vita – come
sempre accade – scivola via veloce come un ciottolo piatto sulla
superficie del lago di Lost Land.
Provo a tenere vive le nostre tradizioni con i ciondoli che
tuttora spedisco loro, ma mia figlia si è scrollata di dosso il
passato e pure me, come se fossimo una giacca che non le piace
più. La sua assenza è pungente come la prima giornata fredda
di ottobre.
Allora prego che tornino a casa e nel frattempo continuo
per conto mio: ogni 4 luglio, al mio compleanno, leggo ad alta
voce la poesia di mia madre davanti al lago, mentre i fuochi
d’artificio esplodono nel cielo. Puntualmente il vento scuote il
braccialetto – più pesante di quanto lo sia mai stato quello della
mamma –, e io chiudo gli occhi e ascolto il tintinnio.
Tanti auguri, Lolly, la sento dire.
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Parte prima
Il ciondolo a forma di mongolfiera
Per una vita avventurosa
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Maggio 2014
Arden
Arden Lindsey si accorse troppo tardi che stava urlando.
Si alzò e sbatté la porta della redazione della rivista Paparazzi, furiosa per il pessimo articolo appena inviato dalla sua più
giovane giornalista online.
Dopo l’aborto, Beyoncé si consola con il sushi?!
Vuoi prendermi in giro?
Simóne era sempre più interessata allo champagne e ai balle­
rini, piuttosto che a scrivere titoli accattivanti e frasi scorrevoli.
«E quante volte vuoi usare “cantare” e i suoi derivati?» conti­
nuò a sbraitare Arden. «Cantare? Cantato? Canzone? Cantante?
Cantautrice?»
Inspirò a fondo.
«E saresti così gentile da impostare la codifica per il sito
web?» borbottò.
Si buttò sulla sedia con tanta foga che i capelli corvini a
caschetto le ricaddero davanti alla faccia e gli spessi occhiali
dalla montatura nera le rimbalzarono sull’attaccatura del naso.
Se li tolse, abbassò le palpebre e si massaggiò le tempie. Un pul­
sare sordo annunciò un’emicrania, proprio in concomitanza con
le vibrazioni dei binari che segnalavano l’arrivo della sopraelevata
a River North, davanti alla moderna redazione di Paparazzi.
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Un altro treno che non puoi fermare, pensò Arden, pescan­
do due aspirine dalla borsetta mentre il convoglio sferragliava
accanto alla finestra.
Si infilò in bocca le compresse e le inghiottì con l’ultimo
sorso di latte macchiato. Poi tentò di entrare in contatto con
il suo yogi interiore, spingendosi gli occhiali in cima al naso
e posizionando le dita sopra la tastiera del Mac come se fosse
una pianista esperta.
Dietro le quinte con Beyonc[«e» ACCENTO ACUTO]!
(Un’esclusiva di Paparazzi [CORSIVO]!)
Di Simóne Jaffe
¶
Pronte per festeggiare, single ladies? Perché [LINK_CELEBRITÀ Beyonc[«e» [ACCENTO ACUTO]] aspetta solo voi!
¶
La regina del pop, che si esibirà nel [LINK «Mrs. Carter Show»]
venerdì e sabato allo [LINK «United Center»], ha organizzato un
party privato al [LINK «Sunda»] per festeggiare il suo arrivo a [LINK
«Chicago»], dove ha consumato una cena a base di sushi e sake
con il [LINK_AZIENDE «marito»] [LINK_CELEBRITÀ «Jay-Z»] e le
migliori amiche [LINK_CELEBRITÀ «Gwyneth Paltrow»] e [LINK_
CELEBRITÀ «Alicia Keys»].
Quando Arden Lindsey era così furibonda, era come se di colpo
la sua anima lasciasse il corpo e fluttuasse sopra di lei, osser­
vandola dall’alto in mezzo alle tubature scoperte e alle travi a
vista di quel magazzino pieno di spifferi.
Vide le proprie mani volare sui tasti, premendone alcuni che
pochissime persone usavano normalmente.
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Parentesi quadre e tonde, numeri ed e commerciali.
Svolgeva un lavoro di cui molti ignoravano persino l’esi­
stenza.
Trascorreva le giornate a correggere e riscrivere, a occuparsi
di ottimizzazione sui motori di ricerca, percentuali di clic, co­
difiche, link, e tutti quegli aspetti che nessuno teneva in consi­
derazione leggendo la rivista sul portatile, iPad o cellulare, ma
che facevano felici gli inserzionisti e rendevano Paparazzi il sito
di gossip più consultato del mondo.
Cliccò sulle immagini che il fotografo aveva inviato all’alba:
Beyoncé abbracciata a Gwyneth, Jay­Z con gli occhiali da sole.
Quella stangona di Kimora con i tacchi vertiginosi.
Naturalmente, anche Simóne era uno schianto.
Pareva fatta apposta per le pagine di Paparazzi: capelli scuri
e folti, carnagione chiara con occhi verde smeraldo, aria distac­
cata ma accessibile, una specie di Kardashian alla buona. Era
alta forse un metro e cinquanta per una cinquantina di chili,
eppure in fotografia sembrava una star.
E si comportava come se lo fosse. Chiacchierava con i vip
come se appartenesse alla loro cerchia ristretta e li induceva a
sbottonarsi dopo qualche drink.
Sempre ammesso che si ricordi di prendere appunti… pensò
Arden.
Mentre esaminava gli scatti, d’un tratto si intravide nel rifles­
so del portatile: il suo viso smunto e il vestito triste stridevano
con la bellezza di Alicia Keys e Kelly Rowland.
Fissò con attenzione i capelli lucidi della Rowland, doman­
dandosi se per caso portasse la parrucca.
Questa sì che è una bella parrucca, mamma, ridacchiò ri­
cordando i modelli imbarazzanti che sua madre usava per in­
trattenere i turisti nella località di villeggiatura in cui era nata.
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[CODICE FOTO: «TZQ189&04L»]
Rilesse il pezzo per l’ultima volta, quindi lo caricò su Papa­
razzi.com con una magnifica fotografia di Beyoncé e Gwyneth
in cima alla pagina e sotto un banner rosso che scorreva an­
nunciando: ULTIME NOTIZIE!
Afferrò il bicchiere del latte macchiato e lo lanciò nel cestino.
Si alzò e andò alla finestra. Dall’ottavo piano, tra i binari della
sopraelevata e i grattacieli, si intravedeva uno scorcio del lago
Michigan.
Era una splendida giornata di metà maggio e il sole si riflet­
teva sulla superficie dell’acqua.
Osservò le onde verde scuro cullare le barche che punteg­
giavano la riva.
Era cresciuta sul lago, apparentemente un milione di chi­
lometri più in là, «dall’altra parte», come talvolta dicevano gli
abitanti di Chicago riferendosi al Michigan.
Per lei era speciale, una barriera che da bambina l’aveva se­
parata dal resto del mondo.
«Non sento odore di salmastro» commentavano sempre le
celebrità di Los Angeles e New York in visita a Chicago. Oppure:
«Vuoi dire che non si riesce a vedere l’altra sponda?» domanda­
vano, incapaci di immaginare la vastità e la freschezza del lago.
«Ottimo, il pezzo su Beyoncé.»
Arden si voltò nell’udire la voce del suo capo.
«Grazie» replicò a Van, che sfoggiava un taglio alla Zac Efron
e un farfallino.
«È online solo da qualche minuto, e ha già raggiunto qualche
migliaio di visualizzazioni. Jay­Z mi ha messaggiato per rin­
graziarci di aver aggiunto i link alle sue aziende. Siamo bravi,
vero?»
Siamo? D’accordo che tu sei il direttore di Paparazzi.com e
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scriviamo ogni santo giorno dei reali d’Inghilterra, però questo
non ti autorizza a usare il plurale maiestatis se parli del mio
lavoro, pensò Arden.
«Sì» confermò, sforzandosi di non alzare gli occhi al cielo.
Esitò un istante. «C’è qualche possibilità che mi affidi il pezzo
sull’after party di Beyoncé domani sera?»
«Te lo assegnerei volentieri, ma ci servi qui.» Sorridendo,
Van parlò con lo stesso tono dolce e condiscendente che il suo
ex marito usava quando lei gli confidava di voler scrivere un
romanzo.
Dieci anni dopo, Arden stentava ancora a credere che Tom
avesse litigato con lei per tutto – lavoro, soldi, telegiornale –
tranne la figlia. Alla fine non aveva nemmeno lottato per otte­
nere l’affidamento. Non voleva lei. Non voleva Lauren. Quella
freddezza l’aveva raggelata, neutralizzando la sua capacità di
tenergli testa, e, di conseguenza, si era accontentata di alimenti
irrisori. Ora lui aveva una nuova famiglia, una nuova moglie e
una nuova vita senza di loro.
«Come faremmo a sopravvivere senza di te?» chiese Van.
Arden si girò verso la finestra per nascondere la delusione
e la frustrazione.
«Manda Simóne» continuò lui. «Questa roba è il suo pane.
Tanto è destinata a diventare la nostra prossima articolista.»
Arden fece una smorfia, come se Van si fosse avvicinato
all’improvviso e le avesse mollato uno schiaffo.
Si tirò il lobo dell’orecchio, un vezzo che aveva preso anni
prima guardando The Carol Burnett Show con sua madre. Si era
trasformato in un tic nervoso il giorno in cui aveva cominciato
a frequentare l’asilo ed era troppo spaventata per staccarsi da
Lolly.
«Tirati l’orecchio come Carol» le aveva suggerito la madre
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davanti alla porta dell’aula. «È un segnale muto per dire a me,
e a te stessa, che andrà tutto bene.»
Arden continuò a voltare le spalle a Van finché lo sentì uscire.
Aveva… quanti?… dieci anni meno di lei ed era il suo settimo
capo in un decennio? Andavano e venivano come soldatini di­
sciplinati, restando fino a quando erano chiamati dalla sede di
New York oppure finivano a People, EW o Entertainment Tonight.
Nessuno vuole più fare il giornalista, vogliono diventare celebrità come i personaggi di cui scrivono. Sospirò.
«Posta!»
Arden udì un tonfo e si ritrovò una montagna di corrispon­
denza sulla scrivania. Si avvicinò e iniziò a esaminarla.
«Sempre le stesse cose.»
Passò in rassegna comunicati stampa e campioni di profumi
dei vip. Il mittente su una busta imbottita attirò la sua attenzio­
ne. Prese il pacchetto gonfio e afferrò un paio di forbici dalla
tazza con la scritta paparazzi.
Cadde un bigliettino.
L’ elegante calligrafia di Lolly non era più il corsivo svolaz­
zante e inconfondibile della sua giovinezza. Ora era irregolare,
obliqua, storta.
Lesse il messaggio:
alice:
Ma io non voglio andare fra i matti.
gatto del cheshire:
Oh, non ne puoi fare a meno, qui siamo tutti matti.
Come va il romanzo, mia cara?
Ricorda, ogni tanto tutti dobbiamo impazzire un po’ per tro­
vare la felicità.
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Spero che riusciate a venire quest’estate. Mi manchi e ti voglio
bene con tutto il cuore.
Salutami Lorna Lauren.
Mamma
Aveva il cuore in gola.
Lorna? Oh, mamma, si disse, notando l’errore. Come puoi
sbagliare il nome di tua nipote?
Afferrò la busta e la capovolse. Sulla scrivania rotolò una
scatolina. La aprì e, adagiato su un cuscinetto di velluto, trovò
un ciondolo d’argento del Cappellaio matto.
«Alice nel Paese delle Meraviglie!» Sorrise. «Il mio libro pre­
ferito!»
Esaminò l’oggettino, posandolo sul palmo e passandovi so­
pra le dita.
Altri ciondoli, mamma? Sei ancora convinta che siano in qualche modo magici?
Pensò al braccialetto di Lolly, carico di pendagli, quello che
sua madre non si toglieva mai, quello che da bambina l’aveva
esasperata con il suo tintinnio.
Quando è stata l’ultima volta che io e Lauren siamo tornate
in Michigan? Dove finisce il tempo? Provò una punta di rimorso,
poi il portatile emise un bip.
Nelle scadenze. Ecco dove.
Rilesse il bigliettino.
«Spero che riusciate a venire quest’estate.»
Sua madre chiedeva di rado qualcosa, specialmente una
visita.
Tornare a casa era dura per Arden, un po’ come per Alice
precipitare nella tana del coniglio. Non era stato facile crescere
nella provincia americana. Era stata una ragazzina impacciata,
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e avere una madre come Lolly Lindsey non le aveva certo sem­
plificato la vita.
«Non che sia cattiva» disse al ciondolo, come se avesse da­
vanti un terapista. «Solo che è…»
«Debbie Reynolds!»
Sì! Esatto!
Eccessiva. Sempre al centro della scena.
«Arden?»
Trasalendo, si girò e vide Van sulla soglia, con il farfallino
blu costellato di barchette gialle.
Aspetta. Non sono stata io a parlare?
«Debbie Reynolds se la fa con un venticinquenne! Che scoop!
Abbiamo l’esclusiva. L’ articolo deve essere online tra meno di
quindici minuti!»
«D’accordo» annuì Arden. Van si stava già allontanando
quando gli gridò: «Ma appena avrò finito, vorrei anticipare la
pausa pranzo, se non hai niente in contrario. Ho bisogno di una
boccata d’aria fresca».
Lui si fermò, fece tre passi indietro e controllò l’orologio,
quindi le puntò un dito contro. «Certo. Ci servi lucida. Però
posticipala un pochino questa pausa, okay? Oggi abbiamo mol­
ta carne al fuoco. Non hai impegni per stasera, vero? E per il
weekend? La promozione a redattore è ancora in sospeso…»
Arden aprì la bocca per rispondere, ma Van si era già vo­
latilizzato.
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Maggio 2014
Lauren
«Una volta Pablo Picasso disse: “Tutti i bambini sono degli ar­
tisti nati. Il difficile sta nel fatto di restarlo da grandi”.»
Lauren mise giù la citazione che teneva incorniciata sulla scriva­
nia del dormitorio e fissò il MacBook, gli appunti di economia
stavano diventando sempre più sfocati.
Una brezza tiepida entrò dalla finestra e le scompigliò i ca­
pelli biondi.
Inspirò a fondo: il profumo del lago Michigan e l’aria estiva
le riempivano i polmoni, mentre la fragranza soave di fiori ed
erba appena tagliata era l’effluvio della… speranza.
Udì delle urla gioiose e si alzò, piegandosi sopra la scrivania
per guardare fuori: il suo dormitorio nel campus della Northwe­
stern University si affacciava sulla spiaggia degli studenti. Anche
se faceva ancora un po’ freddo, i ragazzi giocavano a frisbee senza
camicia e le ragazze prendevano il sole con il reggiseno del bikini.
Quella semplice scena la indusse a liberarsi della felpa viola
e ad andare al cavalletto accanto alla scrivania.
Prese il pennello.
«Gelato!»
Lauren trasalì quando la sua compagna di stanza entrò come
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una furia, con i riccioli castani che svolazzavano e due coni in
mano.
«È quello che ci vuole» affermò Lexie con il suo marcato
accento newyorkese «dato che siamo rinchiuse qui dentro a
studiare per gli esami finali in questa bellissima giornata e…
be’, ho scoperto che Josh mi sta prendendo di nuovo in giro.»
«Che cosa?»
«È saltato fuori che questo weekend porterà Grace a vedere
Beyoncé allo United Center!» Lexie leccò il gelato. «Doveva por­
tarci me! Doveva essere il nostro ultimo appuntamento prima
di tornare a casa per le vacanze.»
«Mollalo.» Lauren posò il pennello. «Subito!»
Lexie d’un tratto si illuminò e Lauren capì all’istante che
doveva avere un piano.
«Tua madre non riesce a procurarci i biglietti del concerto?
Così possiamo spiarlo.»
Lauren si sedette sul letto. «Tecnicamente potrebbe. Ma sai
che non li chiederebbe mai. Non è da lei.»
«È assurdo che lavori per Paparazzi e non sfrutti i suoi con­
tatti.»
«Non correrebbe mai un rischio del genere. Di sicuro scri­
verà un pezzo sul concerto… dall’ufficio» spiegò Lauren. «Devi
dimenticare Josh. Non è il ragazzo per te.»
Lexie iniziò a digitare un messaggio. «Fatto!» annunciò.
«Che romantica» ironizzò Lauren. «A proposito, sai che sem­
bri un canguro al nono mese di gravidanza, vero?»
L’ altra abbassò gli occhi sul ventre gonfio e rise, rischiando
che il gelato le andasse di traverso.
«Mi ero dimenticata» bofonchiò, infilando la mano nella
tasca della felpa e rovesciando una quantità di buste e pacchetti
sulla trapunta viola del letto. «Ecco la posta.»
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Lauren finì il cono, si avvicinò e passò in rassegna la cor­
rispondenza. A ogni busta provava una stretta al cuore: avvisi
per tirocini in banche e aziende prestigiose, orari dei colloqui
al campus, segnalazioni di fiere del lavoro. Aveva ignorato ogni
comunicazione, e doveva ancora confessare ad Arden che non
aveva uno stage né un lavoro per l’estate.
«Non ce la faccio.» Chinò la testa, con i ricci che le ricade­
vano sul viso.
«Non puoi continuare a far finta di niente» ribatté Lexie.
«Perché non dici a tua madre che non sei contenta della tua
specializzazione?»
«L’ hai conosciuta. Ormai non sa nemmeno dove stia di casa
la soddisfazione.»
«Se sei infelice adesso, figurarsi tra vent’anni.»
Lauren sospirò.
«Cos’è quello?» Lexie indicò una busta marroncina imbottita.
Lauren riconobbe la grafia stentata solo quando vide che
arrivava dal Michigan. «La nonna!» Entusiasta, strappò l’invo­
lucro ed estrasse un biglietto e una scatolina.
«Scommetto che indovino cos’è» rise Lexie buttandosi sul
letto. «Aprila.»
Lauren obbedì e trovò un ciondolo d’argento a forma di
mongolfiera. Sorrise, pensando a Lolly. Adorava sua nonna:
le parrucche improponibili, la spensieratezza, l’amore per la
natura, lo spirito appassionato.
Lesse il biglietto con voce carica di emozione:
Questo ciondolo è per una vita avventurosa!
Ricorda… yolo!
Con affetto,
nonna
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«Conosce “You Only Live Once”?» domandò Lexie riferendosi
all’acronimo che significava «Si vive una volta sola». Poi ag­
giunse commossa: «Tua nonna è molto premurosa. La mia mi
manca tanto. Le volevo un mondo di bene».
Lauren le appoggiò una mano sulla spalla, colpita dalle sue
parole. «È sempre con te.»
«Lo so.» Lexie si mordicchiò il labbro, quindi cambiò ar­
gomento. «Esame di economia. È ora di mettersi a studiare, o
sbaglio?»
Lauren diede un leggero bacio al ciondolo, poi infilò la mongol­
fiera nel braccialetto. Tornò alla scrivania e posò il biglietto di Lolly
accanto alla citazione di Picasso, sfiorando la sua grafia con le dita.
Guardò Lexie e si chiese come sarebbe stato perdere sua nonna.
Ha già settant’anni? Com’è possibile?
Alzò lo sguardo e studiò la sfilza di riconoscimenti accade­
mici, artistici e atletici che tappezzavano la parete.
Hai ragione, Lolly. Ho bisogno di un’avventura.
Lanciò un’altra occhiata ai ragazzi che si divertivano in
spiaggia.
Da piccola, tutte le estati andava a Scoops nel Michigan, dove
sul lago di Lost Land la nonna aveva uno chalet. Erano stati i
momenti migliori della sua vita, nonostante il rapporto tra sua
madre e Lolly le fosse sempre parso freddo come i coni gelato
che divoravano quasi ogni giorno.
«Vale la pena di farsi venire il mal di testa pur di gustarsi un
gelato, vero, mia cara?» diceva Lolly massaggiandole le tempie
con le unghie rosso acceso.
Con lei, ogni giorno era un’avventura: le aveva insegnato a
nuotare, a dipingere, a credere che tutto fosse possibile.
«Ridere e sognare sono le cose più importanti del mondo,
tesoro» ripeteva. «Quelle che dimentichiamo da grandi.»
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Lauren rifletté sulle parole di Picasso, tornò al cavalletto ed
estrasse i colori.
Rivide mentalmente il viso di Lolly, udì la sua risata, sentì il
suo calore. Fu assalita dal senso di colpa pensando che invece
avrebbe dovuto studiare.
Vorrei poter dipingere a tempo pieno, si disse fissando di nuo­
vo la parete. Tutti quei bei voti, tutte quelle gare vinte, e lui non
ha fatto neanche una piega.
Non c’erano foto di suo padre in camera. A parte qualche
sporadico bigliettino e l’assegno al compleanno e a Natale, non
lo vedeva da anni. L’ aveva abbandonata, e lei non aveva nessuna
voglia di conoscere la sua nuova famiglia.
Si era guadagnata l’ammissione alla Northwestern esclusiva­
mente con le proprie forze. I voti e i premi avevano contribuito,
ma l’elemento determinante era stato il suo talento, la sua arte.
Il giorno in cui aveva fatto le valigie per trasferirsi al college,
la sua vita era cambiata: aveva trovato le orribili lettere del padre
in soffitta. Aveva scoperto i dettagli dell’accordo di divorzio in
garage. Si era imbattuta nelle bollette scadute e negli estratti
conto nello scrittoio di sua madre e, mentre lei era al lavoro,
aveva letto il diario nascosto nella scatola da scarpe sotto il
letto. Così era venuta a conoscenza della verità: suo padre si era
rifiutato di aiutare Arden ad allevarla.
A volte bisogna rinunciare alla propria passione per sopravvivere, aveva scritto sua madre in quelle pagine.
Sopraffatta dal rimorso, Lauren aveva preso il suo cognome
da nubile. Fino ad allora non si era accorta di quanti sacrifici
avesse fatto Arden, e aveva capito di doverne seguire l’esempio:
duecentocinquantamila dollari per una laurea in arte erano una
follia. Come poteva pretendere che Arden li restituisse? Inve­
ce con una laurea in economia e poi un master in direzione
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aziendale l’avrebbe aiutata a superare le difficoltà finanziarie,
rimediando ai guai combinati dal padre.
E poi, se non sarà troppo tardi, potrò sempre dipingere, si era
ripromessa.
In quell’istante aveva capito il significato del mantra di Ar­
den. «Sii assennata» ripeteva. «Sii cauta. Sii previdente.»
Era l’esatto contrario di quello di Lolly: «Sogna, mia cara.
Sogna!».
Pur sapendo di dover studiare, cominciò a dipingere, con­
centrandosi solo sulle pennellate.
«Wow.» Lexie la strappò dalla trance. «Insomma, wow.»
Lauren si fermò e studiò l’opera.
Quando dipingeva, il mondo svaniva. Lei viveva nel dipinto.
«Sai di essere brava, vero?» chiese Lexie. «È un dono.»
Lauren sorrise e sfiorò la tela umida con dita incerte, come se
il quadro fosse un uccello che poteva spaventarsi al primo mo­
vimento brusco. Una volta terminato, sarebbe stato un ritratto
della nonna che leccava un gelato, con il sole che lo scioglieva
rapidamente e il viso di Lolly che univa le rughe della vecchiaia
all’entusiasmo dell’infanzia.
«Hai i suoi occhi» osservò Lexie. «Hanno la stessa sfuma­
tura del cielo in questo momento. Io dovrei mettermi le lenti a
contatto colorate per averli uguali.»
«Grazie per essere un’amica e una compagna di stanza così
fantastica.»
«Non è stato facile» rise l’altra. «Ti ricordi?»
Lauren annuì.
Quando era arrivata alla Northwestern, l’euforia iniziale ave­
va ceduto il passo a una sorta di depressione dopo che aveva
scoperto i problemi finanziari della madre e cambiato il corso
di specializzazione.
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Finirò per dividere la camera con una ragazza noiosa che odia
uscire e ha il pallino della matematica, si era convinta.
Nelle prime settimane di convivenza era stata gelida con
Lexie. Frequentavano insieme statistica 1 ed era palese che
Lauren fosse in difficoltà.
«Con che coraggio la definiscono “un’introduzione acces­
sibile ma esauriente alla materia”?» era sbottata un giorno con
voce stridula. «Accessibile un corno. Data mining? Strategie
quantitative? Per me è arabo.»
«Lascia che ti aiuti» le aveva proposto Lexie, cercando di
calmarla.
«Sto bene, solo che non sono un genio della finanza come te!»
«Sai una cosa? Ci rinuncio. Non vuoi farti aiutare. Non vuoi
parlare. Non vuoi provare a conoscermi. Vuoi soltanto piangerti
addosso. Fa’ pure. Io me ne vado.» Poi aveva recuperato la sua
roba ed era uscita sbattendo la porta.
Frustrata, Lauren aveva iniziato a dipingere. A poco a poco
si era materializzata una bambina aggrappata a un salvagen­
te che vorticava nel lago, mentre all’orizzonte si profilava un
temporale.
Si era addormentata all’una del mattino e, al risveglio, aveva
trovato Lexie a studiare il dipinto.
«Non hai mai voluto specializzarti in economia, vero?»
Lauren aveva fatto segno di no con la testa ed era scoppiata
in lacrime.
«Spiegami cosa succede. Per favore.»
Da quel momento erano diventate inseparabili. Dopo che
Lauren le aveva raccontato quanto l’amica fosse stata fonda­
mentale, la nonna aveva spedito loro due ciondoli a forma di
tessere di puzzle, uno con scritto migliori e l’altro con scritto
amiche, che le ragazze indossavano sempre.
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«Non posso più rimandare l’inevitabile, immagino.» Lauren
scrollò il capo, tornando alla realtà. «Ti va di venire con me da
qualche parte?»
«Certo. Ma prima lascia che mi prepari, okay?»
«Per cosa?»
«Sono di nuovo single. Non posso uscire conciata così.»
«Sbrigati, allora.» Lauren si raccolse i capelli in una coda di
cavallo morbida e si legò un giubbotto leggero intorno alla vita.
«Non hai niente da fare, giusto?» Lexie sospirò, dirigendosi
verso il bagno che dividevano con le studentesse della camera
accanto. «Dammi cinque minuti, okay?»
Lauren scrollò il capo e si sedette sul letto, sapendo che cin­
que minuti nel mondo di Lexie equivalevano a venti in quello
degli altri.
Fissò il dipinto. Mi manca la nonna. Perché la vita deve sempre mettermi i bastoni tra le ruote? Sentì il cellulare vibrare nella
tasca dei jeans.
«Ci vediamo a pranzo?» scrisse sua madre.
«Devo studiare con Lexie per l’esame di economia. Mi libero
sul tardi. Alle 3?»
«Ok. Ci vediamo sotto Marilyn. Ti voglio bene!»
«Ok. Anch’io.»
Lauren si bloccò, quindi ricominciò a scrivere.
«Anche tu hai ricevuto un ciondolo dalla nonna?»
«Sì. Un Cappellaio matto.»
«Sono un po’ preoccupata per lei.»
Il cuore prese a batterle forte pensando a Lolly così lontana.
Poi sua madre rispose: «Anch’io. Ne parliamo dopo».
Lauren ridacchiò. «Parlare» con sua madre era più come
essere sottoposti a un terzo grado.
«Pronta?» Prese la borsetta e aspettò Lexie.
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«Ancora un minuto. I capelli non vogliono collaborare.»
Lauren si lasciò cadere all’indietro sul minuscolo letto e
lanciò un’occhiata al bigliettino della nonna. Il sole che filtrava
dalla finestra illuminò il dipinto di Lolly, il cui viso pareva ir­
radiare una luce interiore.
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Maggio 2014
Arden e Lauren
La statua di Marilyn Monroe torreggiava sopra il Magnificent
Mile di Chicago, con la gonna svolazzante verso il cielo nella
brezza primaverile.
A Downtown c’erano innumerevoli ristoranti e punti di ri­
ferimento dove Arden avrebbe potuto incontrare la figlia – la
Water Tower, il Millennium Park, il Navy Pier –, ma quella
scultura, che con i suoi otto metri di altezza immortalava in
maniera realistica la scena girata sulla griglia della metropo­
litana in Quando la moglie è in vacanza, le parve il luogo più
adatto.
Alzò lo sguardo sulla gigantesca e scintillante Marilyn in
acciaio inossidabile e alluminio e pensò alla madre, una donna
luminosa ed eccessiva, e a Scoops, una città troppo piccola.
Le cose non sono filate lisce come credevo.
Sospirò, rimuginando su Van e sul lavoro.
Passò tra le gambe della statua e le diede un colpetto sull’enor­
me sandalo.
Scusa, Marilyn. Ho l’impressione di essere pagata per guardare
sotto le gonne delle celebrità.
Si sedette su un gradino lì accanto, mentre i turisti si appog­
giavano ai polpacci dell’attrice per l’immancabile fotografia.
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