60 Cronache delle Sezioni e Delegazioni

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60 Cronache delle Sezioni e Delegazioni
LegaNavale.qxp_Lega Navale 24/03/16 10:19 Pagina 1
Sommario
Editoriale
Paolo Bembo
Bembo
Paolo
Lettere al Direttore
Il punto nave
Il punto nave
Sereni e sicuri verso la meta
Sulla sicurezza marittima
Ovvero “Il futuro dell’Italia
• Il
Centro
Operativo
dipende
dal
mare” della
Marina Militare
• Il Mediterraneo
di Manuel Moreno Minuto
che vorremmo
3
3
4
•
•
MEDEVAC
(evacuazione
saniLuna
Rossa alla
Louis Vuitton
taria)nell’aprile
da elicottero,
sulla(vedi
prora
Cup
del 2007
articolo
a pag. 14) classe “Scidi un sommergibile
ré” (vedi articolo a pag. 13)
•
Anno
AnnoCXIX
CXIX--n.n.3-4
1-2
marzo-aprile
2016 2016
gennaio-febbraio
DirettoreResponsabile
Responsabile
Direttore
PaoloBembo
Bembo
Paolo
Redazione
Redazione
FrancoMaria
MariaPuddu
Puddu
Franco
Direzione--Amministrazione
Amministrazione
Direzione
ViaGuidubaldo
GuidubaldoDel
DelMonte,
Monte,54
54
Via
00197Roma
Roma
00197
tel.06
06 809159203
809159203-fax 06 809159205
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30719009
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Registrazione Tribunale di Roma
n. 7727 del 24.10.1960
Registrazione
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Poste Italiane S.p.A.
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(conv.ininabb.
L. 27/02/2004
46)
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post. - D.L.n.353/2003
art. 1 in
comma
1 DCB Roma
n. 46)
(conv.
L. 27/02/2004
art. 1 comma 1 DCB Roma
Realizzazione Grafica
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Tipografia
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Stampa
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Vicolo Pian Due Torri, 74
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La rivista che viene inviata ai soci
vitalizi, benemeriti, ordinari e
studenti che ne fanno richiesta,
rivistapubblicata
viene inviata
ai soci vitalizi,
èLaanche
sul sito
benemeriti, ordinari e studenti che
istituzionale.
ne fanno richiesta.
Manoscritti fotografie e disegni,
Manoscritti
fotografie
e disegni,
pubblicati
o no,
non si restituiscono.
pubblicati o no, non si restituiscono.
ISSN 0024-032X
ISSN 0024-032X
Finito di stampare nel mese di marzo 2016
Finito di stampare nel mese di febbraio 2016
di Ezio Ferrante
Luna Rossa
Giulio Guazzini
• di
“Sfiorano
le onde
nere
nella fitta oscuritá…”
• Minaccia
cibernetica in mare
di Paolo Tasca
di Claudio Boccalatte
•
Nel nido del Kaiser
di Enrico
Cernuschi
• “Daar
Kom
Die Alibama…”
di Franco Maria Puddu
Inserto
5
5
7
8
14
13
20
21
25
Plimsoll l’amico
• Samuel
Presidenza
Nazionale dei
marinai
Centri Nautici - Sezioni di
Italo Ottonello
33
I-XVI
Delegazioni
La voce
voce del
del diportista
diportista
La
•
•
•
•
Quando
le navi
“Chiamatemi
Ismaele”
di
Franco
Maria
Puddu
andavano a vela
26
di Ciro Paoletti
40
Recensioni e segnalazioni 33
Sub
Recensioni
e segnalazioni
•
Ambienti
per le immersioni (5a parte)
Alberico Barbato
Sub
•
Ambienti per le immersioni (6°)
47
37
52
La riforma del codice
La
tassa
sulle unità da diporto:
della
nautica
cronaca
di una morte
Aniello Raiola
40
annunciata
di Aniello Raiola
55
Emergenza sanitaria
•
Prevenzione: le posizioni
•
Prevenzione 3
Emergenza
Sanitaria
Umberto Verna
Corso di pesca
Corso
di pesca
• Il galleggiante scorrevole
• Terminali
morbidi
Riccardo Zago
e sempre in ordine
di Riccardo Zago
Cronache delle
Sezioni e Delegazioni
Cronache
delle
Sezioni e Delegazioni
RICORDIAMOCI
RICORDIAMOCIDEI
DEINOSTRI
NOSTRI
FUCILIERIDIDIMARINA
MARINA
FUCILIERI
Mostriamo
loro
la la
nostra
solidarieta
̀
Mostriamo
loro
nostra
solidarietà
inviando
una
e-mail
inviando
una
e-mail
aa
[email protected]
[email protected]
41
56
42
57
45
60
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Editoriale
Editoriale
D
A
i tanto in tanto, ma più spesso di quanto si potrebbe pensare, il Direttore Responsabile di
diche
chisono
cadedida
un sprone
palazzonel
molto
alto: nelva
lcuni Rivista
recentiriceve
editoriali
si sonomissive
questa
delle piacevoli
sicuro
proseguire
tutto
bene sino
chevenire
arrivaincontro
al pianoalterra!
concentrati,
forza
di di
cose,
l’azione
in corsoper
e nel
cercare
fare sempre
meglio,
anchea per
gusto
Il
pianeta
è
sempre
più
affollato
ed
inoltre,
sulla
situazione
in
cui
verteva
l’Asdei lettori. Certo, nel farlo, egli deve tenere conto di alcune altre esigenze, oltre al piacere
in questa
folla, sezionali
cresce lache
percentuale
sociazione, costretta
un angolo
di chi legge: essenzialmente
due, lain
necessità
di dare spazio
a cronache
non sempre di
soquelli
che
vivono
la
propria
vita
secondo
i
da
un’errata
interpretazione
della
Legge.
Da
no di interesse generale, anche se si cerca di dare la priorità a quelle che possano riguardare il magbiechi
consumistici,
contriquesto
punto
di evista
i problemi
sono inalcunipiù
gior
numero
di soci,
l’opportunità
di inserire
articoli
che modelli
seppure di
interesse generale
non
buendo
all’esaurimento
sempre
più
rapido
via
di
soluzione
grazie
all’impegno
profuso
sono, contribuiscono a fare “cultura del mare”; questo, non dimentichiamolo, resta uno degli scopi
delle
risorse e sempre
all’immissione
nell’ambiente
dal Commissario
Straordinario
a questo
statutari
dell’Associazione.
Ciò, ovviamente,
impedisce
di soddisfare
integralmente
tutti ma è
di
quantitativi
sempre
più
massicci
di in-di
scopo.
Se
lui
fosse
stato
l’unico
attore
in
un fatto insito nella natura della Rivista che comunque, mi risulta ottenere ancora il gradimento
che abbiamo
gli scienziati
più
accreditati
vicenda,
ne saremmo
già silenziosa.
fuori da Colquinanti
unaquesta
maggioranza
a volte
anche troppo
nuovo anno,
dovuto
chiedere
ai letadditano
come
i
responsabili
principali
un
pezzo.
Speriamo
davvero
che
in
un
prostori più affezionati un aiuto che permettesse di continuare ad inviare a casa la Rivista a chi la desidedelle tecnologicamente
disastrose modifiche
del clima
che
simo sotto
futuro
ciò cartacea;
sia una allo
realtà
e sitempo
torni,chi, magari
ra avere
forma
stesso
più preparato,
desidera
sono
sotto
gli
occhi
di
tutti.
Di
fronte
a
come
al
momento
di
andare
in
stampa
semavvalersi della sola copia reperibile sul sito dell’Associazione in maniera integrale, a costo zero, può
questo
degrado,responsabile,
è importante
non dispebraIn
possibile,
normalità,
concomportamento
una Presifarlo.
tal modoalla
si attua
anche un
ecologicamente
in quanto
meno
rare,
continuare
ad
agire
virtuosamente
e
denza
in
carica
per
un
tempo
adeguato
a
carta stampata significa anche meno alberi abbattuti per produrla. È la cosa giusta da fare? Non sapnon smettere
di fare
sentire la propria
voce.
svolgere
suo mandato.
piamo
sino efficacemente
a che punto. LailPresidenza
Nazionale, nell’adottare
questo
provvedimento,
ha voluto
Una
parola
sulla
Rivista.
Continuano
a
Nel
frattempo,
mi
sembra
il
caso
di
ritorseguire anche il suggerimento pervenuto da vari presidenti di Sezione, volti a maggiori economie.
giungere in redazione le senare
a parlare anche
I fatti
dimostreranno
se
gnalazioni di coloro i quali
problemi
eradi
questa
la viadi
daben
pernon concordano con la
altro Personalmente,
respiro.
correre.
scelta di ridurre il nuI
soci
della
LNI
per mentalità ed espemero delle copie carsonosono
sempre
rienza,
portato
tacee per limitare le
stati che
a credere
spese. Se siete di
partico-su
la Rivista
quest’avviso,
larmente
carta abbia
se ritenete
attenti
ancora
una sua
che la Riall’am- validità.
molteplice
vista su carta
cui
Dabiente
queste in
pagine
conservi
una
vivono
e
quee in varie altre circostanze
sua logica comunon cessa
ho st’ambiente
più volte sollecitato
i più di
attivi fra
nicativa, siete inviessere
in pericolo.
Nessuno
di noi
i Soci
ad utilizzare
le copie
eventualmente
tati tutti a scriverci,
è in grado,
lolette,
sappiamo,
di influire
sui
inutilizzate
o già
come materiale
promozionale,
manifestando
il vostro
fenomeni
globali
che
lo
minacciano,
però
come tramite per farci meglio conoscere, magari lasciandole dal proprio barbiere o dal proprio
medidissenso
e
i
vostri
suggerimenti.
Vi
posso
possiamo
fare
di
tutto
per
adottare
e
difco dell’ASL. La funzione della Rivista non si esaurisce una volta letta dal suo primo destinatario. Cerassicurare
che di
essi verrà
giusto
fondere
quei presuppone
comportamenti
virtuosi
carla
su Internet
il sapere
già cheche
essa esiste
ed effettuare
un’azione
di tenuto
volontàilsuperiore
conto.di
Grazie
da ora per la
possono
rallentarne
il degrado.
anche
a quella
derivante
dal ritrovarsela
fra leSemani.
Un pubblico
lettorifin
consapevoli
sacollaborazione.
sicuramente coUn
avviso:
le
Sezioni
che
avessero
bisogno
non
saremo
riusciti
a
fermare
un
processo
me ottimizzare l’uso di quei fogli di carta che così, svolgendo più funzioni, giustificherebbero
anche
di
un
certo
quantitativo
di
riviste
degli
anni
che
sembra
inarrestabile,
avremo
forse
conl’abbattimento di qualche albero in più. Disciplinatamente faccio mie le disposizioni della Presidenpassati,
da utilizzare
per la pubblicità
il
cesso più tempo
a quei
decisori
o
za Nazionale
ma devo
dire che
speroche
che sono
un plebiscito
di popolo
affermi la volontà
generale diedricevolantinaggio,
possono
in contatto
che
saranno
di adottare
i impongono
vere
la Rivista.
Loin
so,condizione
i tempi che stiamo
vivendo
dei sacrifici
mamettersi
spero proprio
in una
con
la
Redazione,
per
stabilire
insieme
provvedimenti
necessari
per
invertire
la
tenvia diversa al risparmio, una via che veda magari ogni socio darsi da fare per portare un nuovo socio
quante
riviste possono
e organizzare
denza
in che
atto.arrivare
Si perché
occorrepiccola
nella
LNI suicida
piuttosto
ad non
una seppur
penalizzazione
dellaprelevare
nostra azione
di diffuil
prelievo
delle
stesse
alla
prima
favorevole
essere
delle
cassandre
per
rendersi
conto
sione della Cultura del Mare. Se invece le Riviste dovessero essere usate come carta straccia… beh!
occasione.
che sono
viviamo
una situazione
analoga
a quelladi meno.
Allora
senz’altro
d’accordo:
stampiamone
Paolo
Bembo
Paolo
Bembo
LegaNavale.qxp_Lega Navale 23/03/16 16:53 Pagina 4
Anche per il 2015, la Lega Navale Italiana organizza i corsi estivi di vela, canottaggio e
canoa presso i propri Centri Nautici Nazionali di Sabaudia, Ferrara e Taranto, in collaborazione con la Marina Militare Italiana, La Federazione Italiana Vela, la Federazione Italiana
Canottaggio e la Federazione Italiana Canoa e Kayak. Sotto la guida di qualificati istruttori
della L.N.I., i ragazzi potranno godere di questa esclusiva opportunità di socializzazione
con i propri coetanei e formazione negli sport nautici.
CORSI 2016
SABAUDIA
130 posti per turno
FERRARA
120 posti per turno
TARANTO
100 posti per turno
CANOA – CANOTTAGGIO – VELA
CANOA - VELA
CANOA - VELA
1° Turno
13 Giugno – 24 Giugno
14 Giugno – 25 Giugno
4 Luglio – 15 Luglio
2° Turno
27 Giugno – 8 Luglio
28 Giugno – 9 Luglio
18 Luglio – 29 Luglio
3° Turno
11 Luglio – 22 Luglio
12 Luglio – 23 Luglio
1 Agosto – 12 Agosto
4° Turno
25 Luglio – 5 Agosto
26 Luglio – 6 Agosto
----------
5° Turno
8 Agosto – 19 Agosto
8 Agosto – 19 Agosto
----------
Per ulteriori informazioni, seguici sul nostro sito www.leganavale.it, sulla nostra pagina
Facebook, oppure contatta l’Ufficio Scuole della Presidenza Nazionale L.N.I., in via Guidubaldo Del Monte 54/a - ROMA:
Responsabile: Signora Sandra FABBRI – Tel.: 06.809159211 – E-mail: [email protected]
LegaNavale.qxp_Lega Navale 23/03/16 16:53 Pagina 5
Il punto nave
Sereni e sicuri
verso la meta
Carissimi Soci,
riprendo l’aggiornamento della
navigazione della L.N.I. nell’approssimarsi ormai del termine
del mio mandato e quindi della
risoluzione del commissariamento del nostro Sodalizio. Non è
ancora tempo di bilanci (che mi
riservo di fare in un prossimo
futuro), ma ritengo doveroso
fare il punto della situazione e,
soprattutto, illustrarvi le attività
in corso che, auspicabilmente,
porteranno presto la L.N.I. al
suo assetto definitivo.
Come senz’altro saprete, il Rinnovamento nella Tradizione della nostra Associazione si è sviluppato secondo tre tematiche
principali: in primo luogo, il superamento delle
limitazioni imposte dal c.d. Decreto Madia che
di fatto ha impedito per lungo tempo la nomina
dei vertici. A questo proposito, sono lieto di
confermarvi che, a seguito dei numerosi incontri avuti con il Gabinetto del Ministro della Difesa e con lo Stato Maggiore della Marina, gli
ostacoli principali (limite annuale di durata e
divieto di rinnovo) sono stati superati per entrambe le cariche di vertice. Entro la fine di giugno, quindi, ci dobbiamo aspettare la nomina
di un nuovo Presidente nazionale con un mandato triennale, con la procedura prevista dal
nostro Statuto (nelle more di procedere a una
sua rivisitazione a conclusione dell’iter di analisi
in corso da parte del gruppo di giuristi e successive delibere del nuovo Consiglio direttivo
nazionale). Analogamente, sarà altresì possibile
la nomina del Vicepresidente nazionale, restituendo così al sodalizio il suo assetto organizzativo statutario. Il tutto è stato possibile senza
andare a modificare la natura giuridica del Sodalizio che rimane e rimarrà pubblica. A “di-
spetto” di chi vorrebbe divenisse privata, la qual cosa sarebbe prodromo della fine della
Lega navale, soprattutto in
tempi in cui leggi o direttive
come la Bolkestein potrebbero
costituire un serio problema per
le nostre concessioni.
Come ho avuto modo di scrivere
in un precedente Punto Nave, la
seconda tematica riguarda il
consolidamento dell’immagine
della Lega Navale Italiana, leggermente offuscata nell’ultimo
periodo. Il miglioramento di
tale immagine non potrà che
passare attraverso un rafforzamento dell’attività
delle Strutture periferiche e dei princìpi fondanti
dell’Associazione, cercando di risvegliare quello
spirito che ne fa un organismo unico nel suo
genere e che molti ci invidiano o vorrebbero,
per interessi vari, che si sfaldasse o riducesse i
suoi ambiti di intervento.
È ancora in corso un notevole lavoro di individuazione di quelle attività che caratterizzano
la Lega Navale e che sono da perseguire con
priorità assoluta. In questo processo, è stato
fondamentale il contributo che tutti voi, tramite i vostri Presidenti, avete fornito su diversi
aspetti. Ho cercato di valorizzare le idee emerse
a Napoli ma anche le proposte e iniziative –
tante – che mi sono pervenute direttamente.
Ad alcune sono riuscito a dare risposta ad altre
non avrei potuto se non appropriandomi il diritto e il potere di stravolgere l’essenza stessa
della nostra associazione; in tutta franchezza,
però, devo dire che il lavoro è stato decisamente impegnativo, anche se appassionante.
Prendendo spunto da alcune osservazioni sorte
nel corso della riunione campana ma soprattutto dalle mie personali convinzioni, sono
marzo-aprile 2016
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LegaNavale.qxp_Lega Navale 23/03/16 16:53 Pagina 6
stati presi alcuni provvedimenti attuativi – e
questa è la terza tematica del rinnovamento –
mirati a snellire l’organizzazione, riducendo i
processi burocratici e a razionalizzare le risorse.
Non è stato un processo del tutto “indolore”:
alcuni provvedimenti, come ad esempio la riduzione del numero dei Delegati Regionali, richiedono un impegno più oneroso, mentre
altri, quale la “dura” riduzione delle stampe
della rivista Lega Navale, possono essere apparsi
come una eccessiva penalizzazione per i Soci e
le Sezioni. Molti mi hanno scritto amareggiati
e con l’auspicio che venga ripristinato l’invio
della Rivista come in passato. Sarà uno dei
compiti che dovrà affrontare il nuovo Consiglio Direttivo Nazionale. In entrambi i casi, tuttavia, i risparmi che si dovrebbero conseguire
permetteranno di sostenere con maggiore consistenza le iniziative delle Strutture Periferiche,
in particolar modo di quelle minori.
Prima di chiudere, voglio aprire una breve parentesi. Come qualcuno di voi ha potuto verificare, ho cercato di visitare quante più sezioni
possibile, e ancora conto di visitarne da qui alla
fine del mio mandato. Ciò mi ha consentito di
monitorare i problemi e i bisogni, di verificare
le varie iniziative e le attività. Ho complessivamente riportato un’impressione positiva:
molto entusiasmo e buoni propositi per il futuro da parte di tutti. Bene, la rotta che voi
state percorrendo è quella giusta anche se andrebbe maggiormente accentuato e incentivato
l’aspetto formativo e educativo a vantaggio dei
giovani e degli studenti, come pure andrebbe
dato maggiore impulso alla tutela ambientale
e all’aspetto sociale.
Proprio a questo proposito, per concludere
questo rapido esame delle attività che ho rilevato e che necessitano ancora di essere integrate e aumentate, voglio fare un cenno al
grande successo internazionale che sta avendo
il film Fuocoammare di Gianfranco Rosi, recente
vincitore del Festival di Berlino. In esso vi è un
chiaro ed evidente riconoscimento del ruolo
sociale della nostra Marina Militare sul problema dei migranti e dei profughi (sono anch’io figlio di profughi giuliano-dalmati), ma
vi è anche un riferimento importante allo spirito della gente di mare e in particolare degli abitanti dell’isola di Lampedusa, un popolo che
accoglie senza pregiudizi, senza egoismo. Ve ne
parlo qui oggi perché mi piacerebbe che nelle
nostre sedi nascessero dei tavoli per discutere
6
marzo-aprile 2016
su questo tema e per far comprendere ai giovani che quello è il giusto e vero e più autentico spirito di chi ama il mare e va per mare.
L’accoglienza e la solidarietà. Senza rintanarsi
dietro una dimensione nazionale. O di chiusura ed erezione di nuovi muri di cui siamo
tutti ormai stufi.
Ma torniamo ai nostri problemi e al nostro
cammino, ormai giunto oltre la sua metà (per
la… meta c’è ancora tempo), ovvero al lavoro
preparatorio necessario per arrivare alla ricostituzione degli organi statutari, “azzerati” con il
commissariamento. Il percorso è in “corto finale” e le relative risultanze saranno proposte
al consenso del Convegno consultivo dei Presidenti delle Strutture periferiche, che, come
ho avuto modo di comunicarvi nella Lettera ai
Soci del 10 febbraio scorso, sarà aperto a Ferrara
dal 20 al 22 maggio.
L’occasione sarà propizia per procedere all’individuazione dei rappresentanti delle Sezioni
in seno al Consiglio Direttivo Nazionale che,
in linea con l’avvio da tempo di una democrazia partecipativa che vede sempre di più la base
associativa della Lega navale coinvolta e partecipe delle decisioni importanti, saranno scelti
tutti e sei dall’assemblea dei soci-presidenti. Il
momento dovrebbe così consentire l’insediamento del Consiglio in tempi compatibili con
la nomina del Presidente e del Vicepresidente
nazionali.
Riprendendo, per concludere, la metafora del
“viaggio”, la terra è ancora lontana, ma la rotta
è quella giusta. Prepariamoci quindi a portare
a termine sereni e sicuri la navigazione e nel migliore dei modi; ma soprattutto a passare per
consegna a chiunque sarà il prossimo Presidente
nazionale un equipaggio coeso, entusiasta e affiatato, scevro da derive indipendentistiche
(mai sopite) o atteggiamenti contrari al nostro
Statuto. Chi liberamente si è iscritto alla Lega
navale sa che deve mantenere un rapporto
leale e aperto, costruttivo e propositivo sia
nell’ambito della propria sezione, tra soci, sia
con la Presidenza Nazionale. Credo sia questa
la migliore garanzia di successo per il futuro e
per salvaguardare il bene “Lega Navale” che ci
è stato affidato più di un secolo fa dai nostri
padri fondatori e che noi dobbiamo cercare di
salvaguardare e saper perpetuare e tramandare
ai nostri figli.
Buon Vento!
Romano Sauro
LegaNavale.qxp_Lega Navale 23/03/16 16:53 Pagina 7
Il Centro
Operativo della
Marina Militare
di Manuel Moreno Minuto
L
La fucina delle decisioni,
delle strategie, dove si
pianificano attività che
possono raggiungere
l’altra parte del globo,
si trova in una tranquilla
località di campagna a
pochi chilometri da Roma
e operazioni di
soccorso che si
susseguono quasi quotidianamente in
Mediterraneo da circa
tre anni, hanno portato all’attenzione
dell’opinione pubblica
italiana l’encomiabile
impegno degli equipaggi della Squadra
Navale e del personale
delle componenti specialistiche della Marina Militare.
Meno noto è invece
il supporto fornito dalle donne e dagli uomini
impegnati in prima linea, da parte di un’organizzazione attiva 24 ore al giorno per 365
giorni l’anno: il Centro Operativo Marina Militare. Il Centro, inaugurato il 19 gennaio 2012
all’interno dell’area che già ospitava il Comando in Capo della Squadra Navale (CINCNAV), è un concentrato di uomini e
tecnologie che costituiscono uno dei più avanzati strumenti operativi ed informativi a disposizione dei vertici politico-militari italiani.
All’interno del Centro, oltre agli uffici del
CINCNAV da cui si indirizza la quotidiana attività di approntamento ed impiego delle
navi, sono ospitate diverse “sale operative”
che lavorano in costante sinergia per la generazione della “Maritime Situational Awareness”
(MSA), ovvero la completa conoscenza della realtà marittima
che circonda il nostro
Paese.
La Centrale
Operativa della
Marina Militare
La Centrale Operativa Marina Militare
(COMM) può essere
considerata a pieno
titolo l’erede moderno del famoso comando SUPERMARINA della Seconda Guerra Mondiale le cui
funzioni ed organizzazione sono ben descritti
negli scritti post-bellici del comandante Marcantonio Bragadin: “Il suo vertice era costituito
da un’ampia sala dove, mediante grandi carte geografiche murali, su cui si appuntavano sagomette
distinte dal nome di ciascuna nave, era rappresentata la situazione, in mare e nei porti, nostri
ed avversari, per le valutazioni e le decisioni dei
capi. ... A questa sala giungevano tutti i messaggi
sulle mosse del nemico e sullo stato della nostra
flotta e di là, in accordo con il Comando Supremo,
partivano gli ordini di combattimento e si decidevano le mosse che avrebbero dovuto compiere le
unità impegnate”.
Queste semplici parole, mutatis mutandis, a distanza di sessant’anni sono ancora attuali e demarzo-aprile 2016
7
LegaNavale.qxp_Lega Navale 23/03/16 16:53 Pagina 8
L’edificio dove ha sede il Centro Operativo della Marina Militare a Santa Rosa, sulla via Cassia, nei pressi di Roma, inaugurato nel gennaio del 2012; in apertura, lo stemma di CINCNAV con il motto “Pro maris securitate”
scrivono perfettamente quello che è tuttora il
lavoro della moderna Centrale Operativa della
Marina Militare, ovvero la conduzione ed il
controllo di tutte le operazioni in cui sono
coinvolti assetti della Forza Armata. All’interno della “centrale” si concentrano due tipologie di sistemi: quelli che servono a
“rappresentare” le informazioni degli assetti
d’interesse su mappe geografiche elettroniche
e quelli che servono a “comunicare” in maniera rapida ed affidabile.
Queste due funzioni, che sono alla base del
comando di una qualunque forza militare,
possono essere esercitate nei confronti delle
unità navali nazionali, di quelle NATO e di
quelle impegnate in missione a favore dell’Unione Europea o dell’ONU. In una qualsiasi
giornata, sui maxi-schermi della COMM, in
virtù delle esigenze tattiche, è possibile tenere
sotto controllo la posizione delle nostre unità
in Oceano Indiano, delle corvette in addestramento nelle acque della Sicilia o di una nave
straniera che transita nel canale di Suez.
Queste informazioni possono essere inoltre ar-
8
marzo-aprile 2016
ricchite dalla rappresentazione d’informazioni
geografiche, idrografiche e meteorologiche.
Qualora la situazione lo richieda, e grazie ai
collegamenti su circuiti radio tipo “Link” con
le navi, e via rete terrestre con l’Aeronautica
Militare, dalla COMM è possibile monitorare
anche i cieli del Mediterraneo. Una funzionalità questa rivelatasi particolarmente utile nel
coordinamento dei soccorsi susseguitisi al
naufragio del traghetto Norman Atlantic nel dicembre 2014.
I sistemi di comunicazione tra la “centrale” e
gli assetti in teatro operativo (sia esso marittimo o terrestre) sfruttano diverse modalità,
dai tradizionali messaggi telegrafici scambiati
sulle frequenze radio in banda HF, fino ai modernissimi gateway satellitari nella banda SHF.
Il risultato finale è una sviluppata capacità di
fornire e ricevere informazioni in tempo reale,
sfruttando comunicazioni telefoniche, mail e
chat criptate e non intercettabili.
Tali capacità “net centriche” permettono di intervenire su più fronti, e non deve stupire se
al personale della COMM possa capitare di ge-
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Una delle molte centrali operative che sono in funzione H 24 a bordo e a terra, e garantiscono la sicurezza delle nostre acque e delle
nostre rotte
stire contemporaneamente un presunto attacco di pirati nel Golfo di Aden (Operazione
Atalanta), un soccorso di migranti a sud di
Lampedusa con la Capitaneria di Porto, ed il
coordinamento con la Protezione Civile per
l’impiego di un elicottero antincendio.
Nei pressi della Centrale sono inoltre collocate
le sale operative per assetti specialistici: la
MACA (Maritime Air Control Authority) e la Subopauth (Submarine Operating Authority). La
prima gestisce gli assetti dei veivoli della Marina dislocati a terra: elicotteri pesanti EH 101,
elicotteri medi SH90 e SH212, velivoli da pattugliamento marittimo BR 1150 Atlantic, velivoli di collegamento Piaggio P180.
Questi mezzi garantiscono, oltre ai normali
compiti istituzionali, un servizio di allarme
H24, a disposizione della Forza Armata e del
Comando Operativo Interforze, che viene sovente impiegato a favore della collettività per
trasporti medici urgenti o per eventi di disastri
naturali (ad esempio l’alluvione di Modena
nel gennaio 2014 o una Campagna Antincendi Boschivi). La Subopauth si occupa delle
operazioni ed esercitazioni dei sottomarini nazionali, le cui complesse procedure di comunicazione e impiego richiedono la presenza di
personale specialista con alle spalle una lunga
esperienza d’imbarco.
La Centrale Operativa
di Sorveglianza Marittima
La Centrale Operativa di Sorveglianza Marittima (COSM) è, tra le sale operative, quella che
ha conosciuto la più repentina evoluzione tecnologica, e rappresenta probabilmente un
“unicum” nel panorama militare italiano. Il
compito della COSM è quello di raccogliere,
analizzare, filtrare e “rappresentare” in maniera chiara e semplice tutta la massa di informazioni riguardanti le attività marittime nei
bacini di interesse nazionale. In altri termini
la COSM è responsabile della “Maritime Situational Awareness” italiana.
I dati di posizione, rotta e velocità processati
dai software presenti in COSM provengono
solo in parte da sensori di proprietà della Marina Militare, quali la rete di ricevitori AIS e la
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Lo Schiebel Camcopter S-100 è un drone ad ala mobile, sviluppato dall'azienda austriaca Schiebel Elektronische GeräteGmbH, in servizio
da pochi anni nella Marina Militare, ed è destinato ad essere uno dei punti di forza della componente operativa di avvistamento ed informazione sui quali potrà contare il Centro Operativo
Rete Radar Costiera (la rete di ricevitori terrestri AIS della Marina è distribuita lungo tutto
il territorio nazionale, mentre la Rete Radar
Costiera comprende 11 siti di cui ben 8 in fase
di ammodernamento. La capacità di scoperta
può arrivare fino a 100 miglia nautiche dalle
coste italiane), dato che il vero punto di forza
è lo scambio informativo con le altre istituzioni nazionali ed internazionali.
Nel corso degli ultimi due anni è stata particolarmente curata la collaborazione con le reti
di sensori gestite dal Corpo delle Capitanerie
di Porto e dalla Guardia di Finanza. I primi
impiegano sia sistemi per il tracciamento dei
bersagli nelle aree di maggior traffico marittimo quali AIS e VTS (Vessel Traffic System - Sistema di controllo e gestione del traffico
marittimo, basato su radar e sistemi di comunicazione, presente in numerosi porti italiani
e nelle zone di maggior pericolo come lo
Stretto di Messina), sia sistemi di riporto a
lungo raggio da parte delle navi come ARES (Il
sistema ARES prevede che tutte le navi mercantili italiane, di stazza lorda superiore a
1.600 t, devono comunicare alla Centrale
Operativa delle Capitanerie di Porto, tramite
messaggio, alla partenza, il proprio piano di
navigazione, ad intervalli stabiliti la posizione
e, a destinazione, l’avvenuto arrivo in porto)
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e LRIT (il sistema LRIT istituito dall’IMO nel
2006 prevede la trasmissione della propria posizione alla Capitaneria di Porto ad intervalli
regolari (in genere ogni 4 ore) sfruttando i vettori radio satellitari). Il traffico peschereccio in
Mediterraneo (non soggetto all’obbligo dell’AIS) viene invece monitorato tramite il sistema Blue Box.
La Guardia di Finanza da parte sua, oltre ai
sensori imbarcati sui mezzi aerei e navali, impiega una rete di sensori AIS e radar costieri
distribuiti lungo le zone d’Italia maggiormente colpite dai fenomeni criminali di competenza del corpo. A livello internazionale la
COSM riceve dati dalla European Maritime Safety Agency di Lisbona che gestisce il monitoraggio del traffico mercantile attraverso le reti
Safe Sea Net e Clean Sea Net.
Il quadro informativo è completato inoltre
dalla possibilità di accesso ai numerosi siti
web commerciali specializzati nel tracciamento del traffico marittimo. I dati provenienti da tutte le citate reti informative sono
costantemente confrontati da un software di
proprietà della Marina Militare (SMART - Service oriented infrastructure for MARitime traffic
Tracking) in grado di associare in maniera univoca posizione - rotta e velocità dei “target”,
ma anche di rivelarne eventuali comporta-
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menti anomali al di fuori dei normali “Pattern
Of Life” del traffico mercantile. La rete informativa della COSM è completata dalla possibilità di accedere ad alcune banche dati sulle
operazioni commerciali delle navi mercantili.
Il Virtual-Regional Maritime
Traffic Centre
Il Virtual-Regional Maritime Traffic Centre (VRMTC) è un programma avviato dalla Marina
Militare nel 2005, che si prefiggeva di condividere con i Paesi amici, e su base volontaria,
i dati disponibili sul traffico marittimo mercantile. Questa idea, presentata al Regional Seapower Symposium tenutosi a Venezia nel 2004,
nasceva dalla rinnovata consapevolezza dell’indispensabile ruolo di sorveglianza e protezione delle Marine Militari sui traffici
marittimi mondiali. Il V-RMTC è basato su
una piattaforma di scambio dati web-based, a
natura non classificata, e questa semplicità ed
economicità di gestione ne ha permesso una
rapidissima diffusione in una trentina di Paesi
del mondo, anche al di là delle Colonne d’Ercole. Attualmente, sono infatti collegati alla
rete il Brasile, l’Argentina, il Sudafrica e Singapore che costituiscono un ampliamento denominato Trans Regional Maritime Network.
Il V-RMTC è, inoltre, nel tempo, diventato un
potente strumento di dialogo, fiducia e cooperazione tra i Paesi del Mediterraneo che
hanno costituito all’interno del network il
gruppo denominato 5+5, che permette al nostro Paese di condividere informazioni tra 5
Paesi della sponda Nord del Mare Nostrum
(Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Malta) e
5 Paesi di quella Sud (Algeria, Marocco, Mauritania, Tunisia e Libia). I dati raccolti tramite
il V-RMTC - che riguardano migliaia di navi al
giorno - confluiscono in maniera automatica
in COSM, rafforzando ulteriormente la MSA a
disposizione degli utenti.
Il Dispositivo Interministeriale
di Sorveglianza Marittima
Il Dispositivo Interministeriale Integrato di
Sorveglianza Marittima (DIISM) è un progetto
che ha avuto una lunga gestazione iniziata nel
Luglio del 2007 quando il Nucleo Politica Militare della Presidenza del Consiglio approvò
la “Missione del DIISM”, ovvero, quella di integrare tutte le informazioni prodotte dalle di-
Un’immagine di oggi che ci riporta però ad altri tempi:
l’ingresso della “galleria”, protetto da due pesantissime porte di
acciaio corazzato, ora rientrate nelle pareti, dove si trovava il
cuore pulsante di SUPERMARINA, durante l’ultimo conflitto
verse amministrazioni dello Stato che a vario
titolo si occupano di attività marittime.
Il DIISM prevedeva la creazione di un’apposita
sala operativa denominata Centrale Nazionale
Interministeriale di Sorveglianza Marittima
(CNISM) la cui sede era prevista presso il Comando in Capo della Squadra Navale, all’epoca situato nella sede protetta di Santa
Rosa - la “galleria” che si trova a fianco dell’attuale COMM -.
Nel giugno del 2009, la Marina Militare presentò la “Proposta di attuazione del Progetto
DIISM” che poneva il CNISM alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio (al
fine di esaltarne il ruolo Inter agenzia) e con il
compito di effettuare l’aggregazione dei dati
provenienti dalle diverse Amministrazioni.
I previsti fruitori di tale database, oltre alla Marina Militare, sarebbero stati: Sala Crisi della
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Unità di
Crisi del Ministero degli Affari Esteri, Sala Operativa del Dipartimento della Protezione Civile, Sala Crisi e Centrale anti immigrazione
del Ministero dell’Interno, Centrale Operativa
del Comando Generale delle Capitanerie, per
conto del Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti, Centrale del Comando Generale
della Guardia di Finanza e Centrale dell’Agenmarzo-aprile 2016
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zia delle dogane in ambito Ministero Economia e Finanze, Centrali Operative dei Carabinieri e della Polizia di Stato, Sale Situazioni
dell’Agenzia per la sicurezza esterna (AISE) e di
quella per la sicurezza interna (AISI).
Oggi, sono permanentemente presenti in Centrale uomini della Guardia di Finanza, delle
Capitanerie di Porto e della Marina Militare.
La Cooperazioni Internazionale
La necessità di conoscere in maniera accurata
la realtà marittima, come visto per il V-RMTC,
non è un’esigenza sentita solo a livello italiano
ma coinvolge i nostri alleati NATO ed europei.
In particolare, la Comunità Europea, nell’ambito delle sue politiche tese al controllo dei
confini ed alla repressione dei traffici illeciti,
considera la sorveglianza marittima uno dei
suoi più importanti obiettivi, per i quali ha investito risorse economiche e culturali.
Per l’Italia, uno dei principali attori delegati
alla gestione dei progetti europei è il COMM,
in prima linea nelle seguenti attività di ricerca
e sviluppo.
BLUEMASSMED (Blue Maritime Surveillance Sy-
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stem Med): lanciato il 15 gennaio
2010 ed ultimato nel 2012, ha
visto la partecipazione di 39
autorità marittime di Francia,
Grecia, Italia, Malta, Spagna e
Portogallo per concorrere alla
realizzazione di un’architettura
europea di Sorveglianza Marittima, per la creazione di una
“picture” marittima comune e
condivisa. L’Italia, con la sua
Agenzia Spaziale, ha realizzato
un nodo interministeriale, il
Nodo Primario, in grado di ottimizzare le informazioni raccolte da Ministero dell’Interno,
Agenzia Spaziale Italiana, Guardia di Finanza e Marina Militare
Italiana, presentandolo come
interfaccia per il dialogo tra i
partner europei. Le tecnologie
sviluppate in ambito BLUEMASSMED sono considerate
fondamentali nel percorso di
implementazione del CISE
(Common Information Sharing
Environment for the EU Maritime
Domain), progetto lanciato dalla Commissione
europea nel 2009 per l’integrazione della sorveglianza marittima tra i 20 paesi partecipanti.
L’Italia ha proposto un modello esecutivo di
scambio dati che potrebbe essere implementato
nel corso del 2016 per vedere poi il culmine
nel 2020.
MARSUR (Maritime Surveillance): questo progetto è stato lanciato nel 2006 dall’European
Defence Agency, allo scopo di creare un network per lo scambio, tra utenti militari, d’informazioni quali identificazione, rotta e
posizione delle unità mercantili, ovvero la così
detta White Picture. La fase dimostrativa è iniziata nel 2010 con la connessione in rete di
Italia, Finlandia, Francia, Spagna, Svezia e
Regno Unito. Le attività d’implementazione
sono iniziate nel 2014 ed attualmente coinvolgono ben 18 paesi. È prevedibile (ma non
ancora realizzata) una sua interconnessione
con la rete CISE.
Conclusioni
La Centrale Operativa della Marina Militare è
una realtà viva ed in piena evoluzione tecnica
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e operativa. Ogni giorno, gli uomini e le
donne che prestano servizio nelle “sale operative”, insieme alla conduzione e controllo
operativo delle attività in mare della Squadra
Navale impegnata nell’esecuzione delle missioni assegnate, sperimentano nuove forme di
integrazione sensoriale e di networking allo
scopo di fornire agli utenti finali – civili e militari - la più completa ed aggiornata Maritime
Situational Awareness: strumento indispensabile per operare efficacemente nelle tormentate acque del Mediterraneo e del mondo e
garantire al tempo stesso la sicurezza del nostro Paese e dei Paesi europei. Questo impegno
che non conosce soste per 365 giorni l’anno,
continuato per 24 ore al giorno, è ben rappresentato dal motto della Squadra Navale “Pro
Maris Securitate” che si staglia lungo il lato
Nord di questa affascinante struttura sita alle
porte di Roma.
Dalla Centrale Operativa viene mantenuto costantemente il
controllo di ogni attività che si svolga nel Mediterraneo (e non
solo), dai controlli antipirateria nel Corno d’Africa (a fianco due
artificieri di Comsubin controllano una nave sotto ispezione),
al soccorso ai migranti (nella pagina a fronte), alle attività antincendio estive gestite, nei momenti di crisi, dalla Protezione
Civile (foto in alto)
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Luna Rossa
di Giulio Guazzini
S
trano destino,
per certi versi
beffardo, quello che lega con
un filo sottile l’avventurosa storia di
Luna Rossa, barca delle
meraviglie, emblema
nel mondo d’eccellenza italiana, diciassette anni dopo, a
quella dei marinai
neozelandesi di Team
New Zealand, velisti
intraprendenti, signori del vento e delle onde, che dall’altra parte
del mondo rilanciano la sfida. Entrambi, anche
se in maniera diversa, in cerca del riscatto,
decisi a non mollare!
Una storia quella di Luna Rossa e di Patrizio
Bertelli in Coppa America che parte da lontano. Proprio dalla terra dei kiwi dove la
“Luna”, silver bullet, proiettile d’argento, era
sbarcata nel lontano 1999, muovendo i primi
passi da protagonista, conquistando nel Golfo
di Hauraki, ad Auckland, in Nuova Zelanda,
un successo inatteso. In poco tempo, regata
dopo regata, ma ben oltre le competizioni,
Luna Rossa creatura del team Prada, si era trasformata in sinonimo inconfondibile di stile
ed eleganza.
Grazie alla febbre della Coppa, insieme alla curiosità del popolo neozelandese e degli altri
team, era sopraggiunta l’ammirazione, la simpatia verso i marinai italiani, verso il loro modo
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di vivere e accettare il
confronto, tanto che
quella divisa griffata:
magliette, giacche,
cappellini, anche se
esibita involontariamente fuori dalla regata, per strada o al
ristorante per esempio, si trasformava in
occasione puntuale,
sufficiente ad essere
presi letteralmente
d’assalto! Erano i segnali, insieme ai risultati sul campo di regata con le storiche e indimenticabili vittorie sugli americani di America
One di Paul Cayard, di un operazione condotta
magistralmente da Patrizio Bertelli, patron dell’iniziativa, anima del progetto.
Uomo dal talento istintivo, dal fiuto vincente
negli affari e non solo. Capace di grandi slanci,
carattere fumantino, in grado di spiazzare
chiunque, dagli avversari ai suoi collaboratori
più stretti, che nel tempo, per sopravvivere,
devono aver imparato la difficile arte di assecondare.
Patron Bertelli, in realtà lo conoscevo già da un
pezzo, dal tempo delle regate in Tirreno, per
quella sua passione manifesta verso le barche
d’epoca, sfociata poi in restauri eccellenti come
quelli del Linette o del Nyala portati a termine
nei cantieri dell’Argentario. Ma, pensandoci
bene, era stata una circostanza precisa a farmi
capire meglio il personaggio, a farmi capire
Questa splendida
realizzazione dell’ingegneria
cantieristica italiana ha
portato in alto il nome della
vela nazionale e, con tutta
probabilità, continuerà
a farlo nel futuro
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che tipo d’uomo fosse
l’armatore di Luna Rossa.
Era il marzo 1999.
Arrivo di gran fretta nel
quartier generale di Prada, obiettivo: un’intervista esclusiva con Patrizio Bertelli per fare il
punto, a quasi un anno
di distanza dal via, sull’operazione America’s
Cup. Oltre un’ora di disteso colloquio, partendo dagli inizi, dalle prime regate a Castiglione,
alle barche d’epoca, all’idea, infine, di prendere parte alla sfida della
Coppa America. Con
noi, oltre all’operatore,
c’era Paolo Martinoni,
responsabile dell’ufficio
stampa.
E’ proprio al termine
dell’intervista, in un clima di piacevole conversazione, che Bertelli
preso da uno slancio
d’entusiasmo, apre il
cassetto del mobile bianco accanto alla scrivania
e, afferrato un plico, lo
apre sbattendo sul grande tavolo i disegni di
Luna Rossa, svelando,
fra lo stupore generale
dei presenti il nome e
le caratteristiche della
barca che da lì a pochi
mesi ci avrebbe rappresentato in Nuova Zelanda.
Qualcosa che nessuno
di noi si aspettava, qualcosa che gettava in un
profondo imbarazzo,
oltre me, soprattutto il
buon Martinoni, già
consapevole forse del
difficile compito che
da quel momento in
poi avrebbe dovuto
svolgere. Inevitabile, a
Una bella immagine di Luna Rossa dell’edizione 2007 quando ancora era una imbarcazione
monoscafo; in apertura, la storica brocca d’argento, originariamente chiamata, dal suo prezzo,
“Coppa delle cento Ghinee”, il più antico trofeo sportivo del mondo per cui si compete tuttora
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continuò per giorni a sfiorarmi.
Fortunatamente il 5 maggio 1999,
il giorno del varo di Luna Rossa,
arrivò presto!
Poi, ricordo, incontrai Bertelli a
Marina di Ravenna in occasione
del Trofeo Trombini di Match Race
dove regatava Francesco De Angelis.
Seguimmo le regate dal gommone,
in compagnia di Matteo Plazzi, navigatore di Luna Rossa. Parlammo
a lungo della preparazione del
team, degli altri sindacati, e l’immagine che mi diede fu quella di
un velista entusiasta, un condottiero
pronto al confronto più duro,
come del resto sarebbe stato da lì a
breve in Nuova Zelanda.
Miuccia Prada, con il marito Patrizio Bertelli, presidente di Luna Rossa Challenge
A segnare il grande successo di
2013, rompe la bottiglia di champagne al varo della nuova Luna Rossa, un catamarano da 22 metri sceso in mare ad Auckland nell’ottobre del 2012
Luna Rossa in quel lontano Paese
erano state le vittorie emozionanti
quel punto, la promessa di non dare notizia
di ITA45 guidata dal napoletano Francesco De
sino alla data dell’annuncio ufficiale. Parola
Angelis, detto “il barone” per i suoi modi edudata, un segreto da mantenere, anche se la
cati e signorili che lo rappresentavano timotentazione di fare il classico scoop, confesso,
niere dallo stile anglosassone, e il racconto
L’ammiratissima Luna Rossa, da poco in mare dopo la cerimonia del varo, ad Auckland, nell’incantevole cornice dei festeggiamenti
alla luce dei fuochi artificiali
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Una immagine che potremmo definire acrobatica ci mostra appieno le straordinarie capacità nautiche che Luna Rossa ha mostrato di
possedere, guidata da un superbo equipaggio
irripetibile che RAISport era riuscita a mettere
in piedi con le famose dirette televisive che nel
cuore della notte italiana avevano raggiunto
ascolti da record scatenando un tifo da stadio,
facendo riscoprire anche velisti un popolo di
santi, poeti e navigatori.
Uno dei ricordi più belli per il sottoscritto inviato speciale sul campo di regata: quel giorno
della vittoria della Louis Vuitton Cup. Il rientro alla base con la Coppa sotto il braccio
dopo la premiazione. Quello spuntino fugace
con salsicce fatte confezionare rigorosamente
in Italia con carni scelte appositamente dal
macellaio di Patrizio, cucinate lì per lì alla base
e gustate con un bicchiere di vino rosso toscano e un pezzo di pane, mentre tutti si preparavano ad affrontare la conferenza stampa
e la festa più attesa, dopo avere raggiunto un
traguardo storico per la vela italiana.
Momenti unici che non si possono dimenticare. Come invece la sconfitta di Luna Rossa
nell’edizione successiva, quella del 2002-2003
sempre ad Auckland, in Nuova Zelanda dove si
pagano probabilmente gli errori progettuali ed
un ritardo nello sviluppo e nella messa a punto
dei mezzi. E’ la Coppa America del trionfo di
Alinghi dell’italo-svizzero Ernesto Bertarelli.
Luna Rossa incassa un sonoro 3 a 0 nei quarti
di finale dagli svizzeri e, in una giornata surreale con delle condizioni meteo che sanno di
burla, cede il passo agli statunitensi di One
World che si aggiudicano le semifinali.
A fotografare un giorno tutto da dimenticare
sono le lacrime di “Centu”, Massimo Galli,
maestro di Sport, il gigante buono veterano
dell’America’s Cup, di uno che cattura il vento
scatenando la forza dei muscoli, girando le
maniglie dei grinder, avvertendo con la sensibilità di chi è nel cuore del pozzetto il momento per elargire potenza.
Il suo viso schietto di marinaio sempre pronto
a combattere con la fatica, a rialzarsi dopo il
ko e a guardare oltre, chissà dove, forse verso
la prossima sfida.
Qualcosa che Patrizio Bertelli e il team Luna
Rossa riusciranno sempre a raccogliere nel
tempo, anche quando a giocare i destini altalenanti dell’America’s saranno prima gli svizzeri di Alinghi, riportando la mitica “brocca
d’argento”, dopo 150 anni, in Europa, poi
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Anche le doti manovriere della nuova Luna Rossa, non sono state assolutamente in secondo piano, come possiamo agevolmente vedere
da questa immagine ripresa dall’alto, che ci mostra lo strettissimo raggio d’accostata dell’imbarcazione
quando, fra dispute legali e polemiche, saranno invece gli americani di Oracle Racing
del miliardario Larry Ellison, guidati da Russel
Coutts, a rivoluzionare le regole del trofeo
sportivo più antico del mondo.
Essi apriranno la strada alla nuova era dei
multiscafi, catamarani giganteschi ultratecnologici capaci di volare letteralmente sull’acqua
grazie all’adozione di foil e di un’ala rigida al
posto della randa, la vela principale, il vero
“motore” della barca.
A scrivere il nuovo vangelo della Coppa America proprio Russel Coutts, “mister Coppa
America”, lui che l’ha vinta, persa e riconquistata più di chiunque altro ed è riuscito anche
a riscriverla trasformando la vela in uno sport
adatto alla televisione. Uno scenario che solo
10 anni fa, poteva apparire inconcepibile ai
benpensanti della vela tradizionale.
Uno scenario fatto di campi di regata simili
più a circuiti automobilistici, con velisti muniti di caschetti protettivi, simili più a dei piloti, barche che sembrano aeroplani capaci di
evoluzioni da circo.
Così anche questa volta Luna Rossa decide di
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entrare in gioco costruendo per l’edizione
2013, quella di San Francisco, il gigantesco catamarano Ac 72 tutto carbonio e materiali esotici, tecnologia per lo più aeronautica.
La sfida è estrema e la costruzione e messa appunto viene fatta ancora una volta in Nuova
Zelanda, ad Auckland, insieme agli avversariamici di Emirates Team New Zealand. I neozelandesi si riveleranno i più forti e preparati
nello sperimentare e controllare macchine da
guerra come questi catamarani, simili più ad
astronavi che a barche a vela.
Ma proprio a loro, dopo un’edizione della
Coppa rocambolesca, toccherà ingoiare
l’amaro boccone della sconfitta, nonostante
una condotta di regate impeccabile ed un vantaggio cospicuo acquisito, mantenuto sino all’ultimo che pareva garantirgli, oltre ogni previsione, il successo.
Bastava un solo punto ai kiwi per riportare a
casa il trofeo ma come in una fiction tv, gli avversari statunitensi di Oracle risorgono, riescono a consolidare progressivamente la loro
rivincita, invertendo un risultato apparentemente scontato.
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Luna Rossa è penalizzata dal poco tempo a disposizione nel testare il mezzo, i velisti pradini
si battono con onore ma con poche speranze
di piazzamento, preferiscono intelligentemente utilizzare l’occasione come esperienza
puntando alla prossima edizione, quella del
2017 a Bermuda, con nuove barche, questa
volta, da 62 piedi.
E’ nella base di Cagliari che Patrizio Bertelli
mette in piedi un quartier generale, un polo
d’eccellenza tutto nostrano: desiner, ingegneri,
tecnici, velisti. Si lavora a ritmi serrati 24 ore
al giorno, in poco tempo il team Italiano è il
più avanti nella progettazione e nello sviluppo
delle tecnologie. Poi la decisione degli americani, come un fulmine a ciel sereno, di cambiare in corso d’opera le carte in tavola,
modificare le regole attinenti alla scelta delle
barche. La scelta di mezzi da 62 a 48 piedi ( da
19 a 15 metri) per intenderci come passare da
una Ferrari a una Cinquecento! Inevitabile di
lì a poco la rottura, la decisione shock di Bertarelli di dare forfait. L’annuncio secco e lapidario del Team Luna Rossa di uscire senza
riserve dalla competizione.
Il cielo azzurro della Coppa perde il suo astro
più luminoso creando delusione e sconforto
fra i fan e gli appassionati, tra il popolo di tifosi
e ammiratori del Bel Paese. Un’eredità che non
può e non deve essere dispersa, come sostiene
Max Sirena, skipper di Luna Rossa, deluso ma
convinto comunque a portare via agli americani il trofeo più antico del mondo.
Come? Accettando solo pochi mesi fa l’ingaggio di Team New Zealand. Per la prima volta
un elemento non anglosassone viene ammesso nel famoso e plurivittorioso team che
partecipa alla Coppa America in rappresentanza dell’intera nazione. Sì perché nella terra
dei kiwi la Coppa America vale più dell’uno
per cento del Pil nazionale, trasformando l’intera operazione in una sorta di affare di stato.
Ancora un’opportunità per i due popoli di lavorare insieme. Ancora un’occasione di livello
che riconosce ed esalta il nostro modo d’intendere la sfida, la nostra professionalità.
Insomma, la presenza di Max Sirena nel Team
Neozelandese, chiamato per la sua esperienza
decennale accanto al guru storico del gruppo
Grant Dalton, è piena di significati, inorgoglisce e fa pensare. Due filosofie di vita, due modi
di lavorare molto diversi forse, ma concettual-
Nell’ottobre dello scorso anno, Team Luna Rossa Challenge ha
annunciato che Max Sirena, già Skipper e Team Director, integrerà
la dirigenza di Emirates Team New Zealand, lavorando con i
responsabili dei vari dipartimenti e con la direzione esecutiva
mente molto vicini. Un’attaccamento alla
squadra, cosa che Luna Rossa ha costruito nel
corso degli anni e che i neozelandesi si trovano
per cultura.
L’America’s Cup anche senza Luna Rossa andrà
avanti, ma l’Italia continuerà comunque ad essere rappresentata con Francesco Bruni ex di
Luna Rossa ora timoniere del team svedese Artemis e con Max Sirena mente pensante del
Team New Zealand.
Chissà se nel firmamento dell’America’s Cup
si accenderà una nuova luce. Di certo un’affermazione dei Neozelandesi potrebbe azzerare le
carte e riportare il Trofeo più antico del mondo
nelle acque di casa. Riaprire per noi le speranze, mai sopite, di tornare a partecipare, essere competitivi e perché no a vincere.
Ma questa è un’altra storia.
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Minaccia
cibernetica
in mare
di Claudio Boccalatte
I
La pirateria convenzionale
e il terrorismo sono
da tempo una minaccia
per la navigazione,
ma adesso emerge,
all’orizzonte, un altro
rischio: la ciberpirateria
l terrorismo internazionale, in
particolare quello di matrice
islamica, ha dimostrato negli ultimi
anni di avere la volontà di colpire al
cuore i simboli della
civiltà occidentale,
e di essere in grado
di sfruttare al meglio
gli strumenti che la
tecnologia mette a
disposizione, in particolare nel settore dell’informatica e delle telecomunicazioni.
Basta pensare a quanto ha fatto fino ad ora
l’autoproclamatosi “stato islamico” che ha
impiegato lo spazio cibernetico ai fini di propaganda, reclutamento, finanziamento e coordinamento; recentemente, il Califfato e la
sua rete di affiliati si sono cimentati in operazioni cibernetiche nel tentativo di ottenere
l’accesso a sistemi informatici (hacking) appartenenti a individui o istituzioni considerate nemiche.
Un episodio che ha avuto ampio seguito mediatico è avvenuto ad agosto 2015, quando
l’Islamic State Hacking Division (ISHD) ha pubblicato online i dati personali di oltre mille
militari statunitensi.
Anche la Difesa italiana è stata “vittima” delle
presunte azioni offensive dello “stato islamico” e della sua galassia di hackers. Nel mag-
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gio 2015, un documento a firma ISHD
contenente le informazioni personali
di dieci militari italiani è circolato su
Twitter fra i seguaci
dell’organizzazione
terroristica.
Questo ha portato
ad alzare il livello di
attenzione nei confronti di possibili attacchi cibernetici, in
particolare per quanto riguarda le grandi infrastrutture e i sistemi di trasporto; rimane
però scarsa la consapevolezza della vulnerabilità
del settore marittimo, sia tra gli addetti ai
lavori (in particolare le compagnie armatoriali),
sia tra le agenzie nazionali e internazionali
preposte alla difesa della nostra sicurezza.
Un settore critico
Il trasporto marittimo rappresenta un settore
critico per la società moderna. Due diversi
trend contribuiscono a rendere la minaccia cibernetica reale e pericolosa in ambito marittimo: l’aumento dell’automazione e delle
funzioni operate a livello centrale a terra, e la
tendenza al gigantismo navale.
Per aumentare la propria competitività, infatti, le compagnie armatoriali già da numerosi decenni hanno abbracciato l’adozione
dell’automazione a bordo delle navi e la con-
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Una nave portacontenitori in uscita dal porto di Genova; il continuo aumento delle dimensioni delle navi da carico le rende obiettivi
sempre più appetibili per attacchi terroristici, sia di tipo cibernetico che tradizionale; in apertura il documento USCG cyber strategy
traccia la strategia della guardia costiera degli Stati Uniti d’America per fronteggiare le minacce di tipo cibernetico
seguente riduzione del numero di persone che
costituiscono gli equipaggi.
In questo modo sono stati ridotti i costi dei trasporti navali, aumentata la sicurezza della navigazione, ottimizzate e velocizzate le fasi di
carico e scarico delle merci, migliorate le condizioni di lavoro degli equipaggi e di tutto il
personale addetto alle relative infrastrutture
terrestri.
Le possibili minacce cibernetiche verso obiettivi navali includono il black-out (mancanza di
alimentazione elettrica) di una nave, particolarmente critico quando la nave stessa è in fase
di manovra, ad esempio entrando o uscendo
da un porto o transitando in un canale artificiale, con conseguenze disastrose quali collisioni con altre navi, impatti con strutture
occupate da personale, danneggiamento d’infrastrutture critiche (pensiamo ad esempio alle
chiuse dei canali e dei fiumi navigabili).
È anche ipotizzabile che un hacker possa falsare
i dati dei sistemi di navigazione (come ad
esempio il GPS), inducendo subdolamente un
cambiamento della rotta rispetto a quella prevista; il quadro più preoccupante (ma anche il
meno verosimile, almeno per ora) è che un’organizzazione criminale possa prendere completamente possesso del sistema di governo
della nave (propulsione e timoneria), guidandola contro un obiettivo.
Si ripeterebbe lo scenario delle torri gemelle,
ma con un mezzo dotato di una massa (e
quindi di una capacità di produrre danni)
enormemente superiore, soprattutto nel caso
di unità che, come le navi trasporto LNG (Li-
quified Natural Gas), trasportano quantità
enormi di materiali pericolosi. I moventi di simili azioni possono essere diversi: dal terrorismo alla pirateria, dalla richiesta di riscatto alla
volontà di danneggiare un concorrente.
Problematiche simili sono oggi all’attenzione
delle autorità nazionali e internazionali di sicurezza per quanto riguarda la protezione delle
reti dei sistemi di controllo del traffico aereo
ATM (Air Trafic Management); in Italia, ad
esempio, l’ENAV (Ente Nazionale per l’Assistenza al Volo) è certificato con lo standard
ISO 27001, norma di standardizzazione nel
campo della sicurezza delle informazioni che
denota uno standard di sicurezza piuttosto elevato. In pratica la società italiana ha messo in
campo una serie di contromisure a tutela dei
propri sistemi, tra cui un Security Operations
Center dedicato, misure che darebbero del filo
da torcere agli eventuali hackers.
L’opinione dell’ICAO
In campo internazionale l’ICAO (International
Civil Aviation Organisation), agenzia ONU che
regola l’aviazione civile, ritiene che le organizzazioni terroristiche siano fra le principali minacce e che vadano prese le opportune
contromisure, rafforzando la sicurezza e impenetrabilità delle reti.
Sfortunatamente, nel settore marittimo, in
particolare presso gli armatori e gli equipaggi,
il livello di consapevolezza del rischio della minaccia cibernetica è a livelli bassissimi se non
addirittura nullo. Le falle di Cyber Security
nell’ambiente marittimo includono la manmarzo-aprile 2016
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L’ingresso del sistema di chiuse collegato alla Diga delle Tre Gole in Cina, visto dal ponte sul fiume Yangtse. Il sistema di cinque grandi chiuse
consente a navi aventi dislocamento fino a 10.000 tonnellate di superare un dislivello di 113 metri. Anche queste infrastrutture, il cui blocco
causerebbe danni economici enormi, sono fortemente dipendenti dai sistemi informatici e quindi suscettibili ad attacchi di tipo cibernetico
cata applicazione di misure minime da parte
del personale imbarcato o di quello che opera
nelle infrastrutture terrestri.
Ricordiamo anche che inserire in un PC collegato a una rete critica una semplice chiavetta,
ad esempio per mostrare dei file non inerenti
al programma in atto (come delle immagini personali), può permettere a chi ha avuto accesso
alla chiavetta di inserire nella rete critica un
malware, impadronendosi delle informazioni
presenti e addirittura influenzando gli apparati
collegati alla rete e causando eventi nocivi.
Tra i sistemi per i quali oggi non è obbligatorio
nessun sistema di protezione, e che generalmente sono quindi accessibili, vi sono i sistemi
di cartografia elettronica (ECDIS), di ausilio
alla navigazione (GPS e AIS) e di telecomunicazione, i sistemi di automazione delle macchine, di gestione della sicurezza di bordo e di
automazione dei terminal marittimi, che
spesso gestiscono generi primari per l’economia d’interi Paesi.
Questa situazione è stata recentemente evidenziata in un seminario dedicato alle “Problematiche di security a bordo delle navi” che si è
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tenuto il 30 settembre 2015 alla Spezia, presso
il polo universitario “Guglielmo Marconi”. Nel
corso del seminario, organizzato dalla locale
Sezione, dall’ATENA (Associazione di Tecnica
Navale) e dal Polo DLTM (Distretto Ligure per
le Tecnologie Marine), si è parlato della sicurezza delle navi nei confronti di azioni ostili
volontarie, quell’aspetto della sicurezza che gli
anglosassoni indicano con il termine security.
Sono stati esaminati vari aspetti del tema, ma
la parte del Seminario che ha suscitato la maggiore curiosità è stata quella dedicata alla Cyber
Security. Una delle presentazioni di maggiore
interesse è stata quella del rappresentante di
un Ente che si sta affermando come riferimento nazionale nel settore della difesa cibernetica, cioè la Scuola Telecomunicazioni delle
FFAA di Chiavari (GE), comunemente chiamata Stelmilit, la quale organizza annualmente un cyber defence symposium, e, essendo
inserita nell’organizzazione della Marina Militare, è istituzionalmente molto attenta alle
problematiche marittime.
La presentazione si è chiusa con alcune raccomandazioni alla comunità marittima; in parti-
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Il terminal di rigassificazione di gas naturale di Panigaglia (presso La Spezia); un eventuale incidente navale che coinvolgesse infrastrutture di questo tipo avrebbe conseguenze catastrofiche
colare, nel medio termine, è stato auspicato lo
sviluppo di strategie comuni per “irrobustire” i
sistemi ICT di bordo, la sensibilizzazione degli
equipaggi e del personale delle infrastrutture
terrestri nel campo Cyber e l’aumento del dialogo e dello scambio d’informazioni tra i vari
stakeholder del settore marittimo; più a lungo
termine, invece, è da perseguire l’addestramento di tutto il personale del comparto marittimo alla Cyber Security, lo sviluppo di
standard e leggi internazionali, l’armonizzazione dei requisiti europei e internazionali e la
creazione di centri di analisi e di “Information
Sharing” a livello internazionale.
Queste raccomandazioni cadono, fortunatamente, in un momento caratterizzato già da
una certa attività, in particolare nel settore internazionale e negli Stati Uniti d’America.
Le conseguenze dell’11 settembre
La comunità internazionale, dopo l’attacco
terroristico dell’11 settembre 2001, si è rapidamente dotata di uno strumento normativo
specifico per la security nel campo marittimo,
il codice ISPS (International Ship and Port Secu-
rity code), emanato dall’IMO; all’adozione dell’ISPS sono seguite iniziative comunitarie e nazionali; in campo comunitario è da rilevare la
creazione dell’Agenzia Europea sulla Sicurezza
Marittima (EMSA), basata a Lisbona.
In campo nazionale invece è determinante il
ruolo delle Capitanerie di Porto nel verificare
l’applicazione di tutta la normativa di settore
da parte di navi e armatori nazionali ed esteri
in transito nei porti e nelle acque nazionali.
Il codice ISPS, però, mentre fornisce una serie
di misure adeguate per prevenire attacchi di
tipo tradizionale, non affronta adeguatamente
possibili minacce di tipo cibernetico. Il Codice,
infatti, tratta genericamente la protezione dei
computer system a bordo, ma tale sistema viene
definito in modo ambiguo. Nel 2014 quindi,
su richiesta dei Governi Contraenti e in particolare di USA e Canada, il Maritime Safety Commitee dell’IMO è stato incaricato di costituire
un gruppo di lavoro per identificare le misure
necessarie al fine di prevenire gli attacchi cibernetici contro le navi, i porti, e l’industria
marittima in generale, a similitudine di quanto
già attuato in campo terrestre.
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Oggi però qualcosa
sta
cambiando:
L‘Organizzazione
Marittima Internazionale (IMO) dell’ONU ha riconosciuto che l’attuale
normativa sulla sicurezza marittima
ha bisogno di essere
integrata nel settore
delle minacce cibernetiche, ed ha iniziato a lavorare in
questo senso; la
USCG (US Coast
Guard) ha recentemente pubblicato
un documento sulla
“cyber strategy” ed
anche in Italia cominciamo a dedicare a questo tema
la necessaria attenzione, come testimoniato anche dal
simposio recenteEd ecco il risultato di quella che potremmo ritenere una disgraziata simulazione di un attacco del termente svolto alla
rorismo cibernetico: la torre di controllo del porto di Genova fracassata dall’urto della motonave Jolly
Spezia. Speriamo soNero il 7 maggio 2013 la, durante la manovra di uscita dal porto per far rotta su Napoli e poi vari porti
lo
che il mondo deldel Mar Mediterraneo, del Mar Rosso e ad Abu Dhabi
lo shipping non segua, anche per la
Negli Stati Uniti d’America la US Coast Guard
sicurezza cibernetica, la tradizione che vuole
(che è parte del dipartimento della homeland
che le convenzioni internazionali sulla sicurezza
security) ha recentemente pubblicato la propria
delle navi siano adottate solo a seguito d’incidenti
“cyber strategy”, un documento nel quale si ricatastrofici.
conosce nello spazio cibernetico (cyberspace)
un nuovo dominio operativo e s’individuano
tre distinte priorità strategiche: difendere il ciberspazio (cioè le reti e tutte le infrastrutture
per la trasmissione delle informazioni e dei
dati), consentire le operazioni (allo scopo di
identificare e sconfiggere gli avversari nel dominio cibernetico, sia all’interno che all’esterno della rete dati della USCG stessa) e
proteggere le infrastrutture necessarie per il
trasporto marittimo. In tutti questi campi
l’obiettivo è identificare i rischi di tipo cibernetico nel settore marittimo e occuparsene.
In conclusione, la minaccia cibernetica nel settore marittimo costituisce oggi una minaccia
L’andamento degli incidenti cibernetici negli Stati Uniti
concreta e sottovalutata, con possibili consed’America tra il 2006 e il 2014 (dal documento USCG “Cyber
guenze catastrofiche.
strategy” disponibile sul sito internet della USCG)
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“Daar
Kom Die
*
Alibama…”
di Franco Maria Puddu
* “Sta arrivando l’Alabama…” canzone popolare, in afrikaan,
composta a Simon’s
Town, in Sudafrica,
per la sosta del CSS
Alabama nel 1863,
durante la crociera
di guerra che lo portò
a circumnavigare il
globo fino alle acque
della Manica.
C
ma oggi misconosciuti, corsari.
Eppure si tratta di vicende autentiche e
documentate, solo
che l’oblio del tempo,
con l’aiuto di una
buona mano di “vernice opaca” passata
sulla memoria dei fatti
da chi, vinta la guerra,
ancora oggi non accetta di riconoscere i
danni infertigli da un
avversario per molti
versi militarmente inferiore, sono riusciti a
farle passare in seconda linea.
Il cielo degli Stati Uniti all’inizio del 1800 era livido;
gli States, con la Guerra di
Indipendenza, si erano liberati da dominazioni europee, principalmente inglesi e francesi, ma non
erano mai stati molto omogenei fra di loro: in certi
Le navi corsare
confederate durante
la Guerra Civile
combatterono la flotta
unionista, civile e da
guerra, in tutte le acque
del mondo
he la storia delle guerre sia scritta,
alla loro fine, dai vincitori è cosa
nota sin dall’antichità, e per questo siamo quasi certi che
saranno forse pochi i lettori
che, parlando della Guerra
di Secessione americana,
che negli States continuano a chiamare con
amaro realismo “Guerra Civile”, avranno sentito parlare delle gesta della
Marina Confederata (la
marina degli Stati del Sud),
dei suoi sommergibili,
mezzi d’assalto, corazzate,
mine (tutti mezzi di
estrema avanguardia per
quei tempi), ma, soprattutto, dei suoi leggendari,
Stephen Russell Mallory, ministro
confederato della Marina, con
pochi mezzi ma tanta intelligenza
seppe trasformare la praticamente
inconsistente Marina sudista in un
organismo che, anche se molti non
vogliono ancora riconoscerlo, diede
moltissimo filo da torcere ai suoi
avversari; in apertura, la Bandiera di
Combattimento del CSS Shenandoah, conservata al Museo della
Confederazione di Richmond
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Le radici
di una guerra
Il “Piano Anaconda”, dal nome del grande rettile acquatico americano; progettato dal generale nordista Scott, avrebbe dovuto portare all’immancabile strangolamento economico della Confederazione
States si parlava un arcaico
tedesco, o un vecchio
olandese; andando al nord
si incontravano zone francofone, in Nevada e in
Nebraska i mormoni praticavano la poligamia,
mentre la setta degli
Amish, di origine svizzera,
parlando, come oggi, il
suo “tedesco di Pennsylvania”, si era ritirata nell’Ohio; altri, come gli immigrati irlandesi, ebrei o
ispanici, non perdevano
tempo per organizzare
“guerre di gang” nelle
loro enclave. Sorvoliamo
poi sulla sorte toccata ai
nativi d’America, dei
ghiacci, delle praterie o
“chicanos” che fossero.
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Il problema principale,
però, era che nell’enorme Paese si era venuta
a creare una frattura che
aveva contrapposto la
dinamica civiltà industrializzata degli Stati
del Nord alla benestante,
ma tradizionalista e indolente società rurale
del Sud.
Fra l’altro, la prima era
contraria alla schiavitù
e, anche se a tutt’oggi
si evita di ricordarlo, all’eguaglianza dei diritti
fra bianchi e neri; la seconda, invece, non poteva fare a meno della
forza lavoro quasi gratuita rappresentata dagli
schiavi, mentre non
prendeva neanche in
considerazione la questione dell’eguaglianza.
In una probabile guerra
Il comandante Semmes, seduto al centro, assieme agli ufficiali del suo Stato Maggiore, a bordo
del suo primo comando sulle vavi corsare, sul CSS Sumter
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civile, che non vedeva contrapposti
gruppi omogenei,
ma etnie prive di
comuni radici, la natura economica delle
pulsioni che spingevano al conflitto
era evidente, e il primo a preoccuparsene era il Sud che,
essendo totalmente
privo di industrie,
aveva un’economia,
basata su monocolture intensive, in
quanto tali economicamente pericolose, principalmente
del cotone e del tabacco, che ponevaQuesto olio su tela dell’epoca ci mostra l’incrociatore corsaro confederato CSS Sumter che si fa incontro
a due possibili prede inalberando, per ingannarle, la bandiera della Marina argentina
no l’economia alla
mercé dei mercati
interne; per questo motivo per quella che
esteri.
sarebbe divenuta la Confederazione, le proMa questi si trovavano tutti al di là dell’Oceano,
spettive erano gravi.
e il Sud non aveva neanche una parvenza di
La mancanza di una Marina dipendeva da
Marina in grado di difendere le sue coste, le
molte circostanze: esistevano due soli porti ma
rotte commerciali e le importanti vie d’acqua
di importanza secondaria, Norfolk, in
Virginia, troppo vicino ad una possibile
linea del fronte, e
Pensacola, in Florida,
oltre a pochi altri,
minori e senza validi
cantieri navali o arsenali.
Inoltre, in tutta la
Confederazione non
c’era una sola industria meccanica in
grado di costruire
buoni motori navali,
di produrre lastre di
acciaio per scafi e
corazze, e di riparare
o rettificare cannoni.
Le foreste in grado
di fornire legname
sufficiente a creare
Il captain Raphael Semmess, fu il comandante corsaro dalla più lunga carriera, che catturò, prima con
una flotta di medie
il Sumter poi con l’Alabama, ben 92 fra trasporti e navi da guerra in servizio per l’Unione
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Il corsaro Florida,
comandato dal capitano
John Newland Maffitt
(nel riquadrato),
nonostante un difficile
avvio costellato di
contrattempi e
inconvenienti sanitari
all’equipaggio,
mise fuori
combattimento ben 58
unità avversarie
dimensioni erano molte, ma il legname andava
scelto, tagliato e stagionato per tempo.
Per quanto riguarda gli equipaggi, esisteva un
buon nucleo di capaci ufficiali (la tradizione
militare era sviluppata più al Sud che al Nord),
ma i sottufficiali e i marinai provenivano quasi
tutti dalle flotte pescherecce del Rhode Island,
del Massachusetts, del New Ampshire, del
Maine, tutti al Nord, che da sempre erano
state una sorta di Accademia Navale laica per i
mozzi decisi ad andare per mare; e quasi tutti
sarebbero tornati ai propri Paesi di origine.
Gli Stati sudisti tentarono inutilmente di correre
ai ripari fino a che, il nuovo Presidente della
Confederazione, Jefferson Davis, e il Congresso
approvarono la costituzione del Ministero della
Marina, il cui dicastero fu assegnato a un giovane
senatore della Florida: Stephen Russell Mallory.
Mai scelta fu più giusta: Mallory, nato nel 1813
a Trinidad, nonostante fosse un autodidatta
nel campo dei problemi navali, dimostrò di
avere una mentalità analitica, spregiudicata e
moderna, tanto da precorrere con notevole
successo, i tempi e le tecniche che le Marine di
tutto il mondo, avrebbero usato molto tempo
dopo. Comprendendo che per sopravvivere
doveva puntare sulla qualità, la tecnologia, la
sorpresa e l’avanguardia, abbandonò i vetusti
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schemi navali e iniziò immediatamente a organizzare la Marina Confederata.
Le scelte di Mallory
Suddivise la flotta delle acque interne in 8
squadroni territoriali, ma soprattutto riportò
in auge una strategia antica quanto la marineria, ossia la pirateria, dandole regolamentazioni cui si era fatto ricorso nel secolo
precedente, quando l’ammiragliato britannico
l’aveva legalizzata, ponendola agli ordini di
Sua Maestà, ed elevandola, trasformando i pirati in corsari.
Ideò, quindi una forza autonoma, modesta ma
efficiente, composta per lo più da navi convertite per questo scopo, ai cui capitani fu concesso di operare in modo totalmente
autonomo per contrastare il cosiddetto “Piano
Anaconda”, elaborato dal generale nordista
Winfield Scott, per strangolare gli Stati confederati via mare (con un blocco navale) e via
terra, con il blocco dei fiumi Mississippi e Tennessee.
In realtà questa forza che farà parlare di se e a
lungo nelle cronache della guerra, entrò in
funzione gradatamente. I primi a scendere in
campo, infatti, non furono i corsari, ma i violatori di blocco.
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Subito dopo la dichiarazione di
guerra del presidente Abramo Lincoln, il presidente confederato
Jefferson Davis, il 17 aprile 1861,
aveva emanato un proclama che
invitava “…tutti coloro che desiderino,
servendo su navi private armate in
alto mare, aiutare questo Governo
nella resistenza contro un’aggressione
così gratuita e malvagia, a fare richiesta di autorizzazione o di lettera
di corsa e rappresaglia da concedersi
con il sigillo di questi Stati Confederati…”.
Molti normali armatori civili avevano accettato i rischi di eludere
la vigilanza delle navi da guerra
unioniste per esportare o importare clandestinamente materiali
strategici, armamenti, ma anche
Il CSS Alabama nella seconda metà del 1863 fece scalo a Simon’s Town, Simonstad
in afrikaan, in Sudafrica, dove venne accolto con grandi festeggiamenti dovuti alla
generi di consumo e di lusso, vifama che l’aveva preceduto. Di lì proseguì il viaggio verso Cherbourg dove lo attenveri, indumenti, con piccole navi
deva la fatale imboscata dell’USN Kearsarge; ma la sua visita è stata tramandata fino
a noi da una canzone, una polka molto ritmata, che è entrata a far parte della culmanovriere, molto veloci, a vela,
tura afrikaan, e che si chiama “Daar komm die Alibama”, come ricorda questa targa
a vapore o miste, dotate di capifatta affiggere dall’Historycal Socety di Simon’s Town
tani che ne sapevano una più del
Ma questi violatori di blocco, importantissimi
diavolo e di equipaggi che per i loro comanper il sud, avevano due inconvenienti: erano
danti si sarebbero gettati nel fuoco.
quasi tutti abbastanza piccoli e in genere non
Non erano angeli né eroi, patrioti se vogliamo,
armati, e, anche se avessero colto di sorpresa
ma anche avventurieri. Correvano grandi riuna nave da guerra unionista, si sarebbero ben
schi, e per questo venivano ricompensati con
guardati dall’attaccarla: sia per la loro inferioi lauti guadagni che queste crociere consentirità, sia perché non era loro compito combatvano, ma a duro prezzo. Si dovevano confrontere, ma trasportare. L’armamento serviva per
tare con navi molto più grandi, potenti e
l’ultima difesa; non erano quindi pericolosi
armate che avevano libertà di fuoco senza preper i nordisti, ma si limitavano ad attenuare
avviso; spesso navigavano al buio totale in
l’effetto del blocco; tutto il Sud, infatti, dunotti senza luna e a tutta velocità, con l’unico
rante la guerra, pur sopravvivendo decenteausilio di memoria, istinto, capacità ed espemente e ricevendo cappellini di Parigi, pizzi di
rienza.
Fiandra e vini d’annata, accusò le restrizioni
I vapori utilizzavano in genere il costoso cardei generi di importazione. A questo punto, la
bon coke, che bruciando emette fumo nero,
Marina scese in campo con i suoi corsari.
invisibile nelle notti illuni, e che non genera,
come quello di legno, vampate di fuoco e fumi
rossastri sempre più evidenti man mano che
La parola ai corsari
aumenta la pressione; una pacchia per le veNon furono molti, venti, forse trenta unità;
dette nordiste.
navi eterogenee, di tutti i tipi, dimensioni e arI nostri lettori, anche se nella finzione cinemamamenti, dalla goletta Triton, da 30 tonneltografica, conoscono bene uno di questi capilate, armata con un cannone da 18 libbre, al
tani: è il Rett Butler di “Via col vento”,
piroscafo a ruote laterali V. H. Ivy, da 454 t,
magistralmente interpretato da Clark Gable, le
con un pezzo da 15 libbre, al bark Matilda, da
cui imprese navali, tuttavia, nel film che ha
400 tonnellate, con 6 cannoni, al piroscafo
immortalato il celebre romanzo, sono molto
Dove, da 1.180 tonnellate, con ben 8 cannoni,
sminuite.
e tanti altri.
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Lo scontro a fuoco tra il CSS Alabama e la corvetta unionista Kearsarge, avvenuto nelle acque della Manica al largo di Cherbourg il 19
luglio 1864, si concluse dopo un duro combattimento, con l’affondamento della nave confederata
La documentazione sulla attività operativa di
molti di loro è lacunosa, o è andata distrutta o
volutamente dispersa; non tutte entrarono in
servizio o riuscirono ad effettuare regolari crociere di guerra, ma va ricordato che la loro presenza condizionò molto l’efficacia del blocco
nordista.
Anche se questo, nel corso di tutta la guerra,
catturò o affondò un migliaio di navi dirette
nei porti confederati (in genere unità di piccolo – medio cabotaggio), i sudisti riuscirono,
nello stesso periodo, ad eludere la presenza
unionista portando positivamente a termine
oltre 8.200 violazioni.
Inoltre, entro la durata della guerra, i corsari
oceanici affondarono oltre 220 navi unioniste, tra mercantili, militari e baleniere; mentre
decine e decine di navi unioniste vennero inviate a caccia di “vascelli fantasma”, distogliendole dal loro servizio nel blocco navale.
I principali vascelli corsari che operarono
nella Confederate State Navy furono il Sumter,
che catturò o affondò 18 navi, il Florida (58
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navi catturate), l’Alabama (64), il Tallahassee
(39) e lo Shenandoah (38), mentre altri come il
Georgia, il Rappahannock, il Nashville, il Chickamauga, il Clarence, il Tacony, lo Stonewall e
l’Olustee non ottennero risultati o furono affondati prima di entrare in azione.
Il primo di questi corsari fu il comandante Raphael Semmes, che aveva trasformato un piccolo vapore ad elica da 437 t, il piroscafo già
spagnolo Marquis de Habana, nel Confederate
State Ship (CSS) Sumter e di cui assunse il comando partendo da New Orleans il 18 giugno
1861; dopo essere sfuggito al blocco nordista,
catturò la sua prima preda poco lontano dalla
costa. Dopo aver operato attorno a Cuba e alla
Martinica fece rotta verso l’Europa catturando
in tutto 18 navi fino a che non venne sorpreso,
mentre carbonava, da tre navi da guerra unioniste che lo stavano braccando. Nell’impossibilità di combattere contro un nemico così
superiore, che d’altronde non poteva colpirlo
essendo in porto neutrale, decise di mettere in
disarmo l’unità e l’equipaggio tornò in Patria.
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Una bella immagine pittorica dell’incrociatore corsaro confederato Shenandoah, il cui nome, proprio di una regione della Virginia, è
derivato da un'espressione dei nativi americani, e significa "Bella figlia delle stelle"; questa nave ebbe una vita operativa tanto lunga,
fruttuosa e onorevole da essere ricordata ancora oggi
Il CSS Alabama invece, un tre alberi di 67
metri con 8 cannoni e propulsione ausiliaria,
fu costruito su ordinazione in Inghilterra e
posto al comando dello stesso capitano Semmes; in due mesi di crociera nell’Atlantico catturò o distrusse 20 navi, poi si spostò sui
banchi di Terranova intercettando le navi nordiste che trasportavano grano in Europa,
quindi si spostò a Port Royal, in Giamaica, poi
in Brasile per attraversare lo stretto di Magellano e raggiungere l’Oceano Indiano attraversando il Pacifico e quindi il Mare di Giava,
catturando circa 30 prede.
“Daar kom die Alibama”
Infine, dopo una sosta in Sudafrica a Simon’s
Town, tornò nell’Atlantico, raggiungendo il
porto francese di Cherbourg per fare carenaggio, ma all’uscita era atteso dalla corvetta
unionista Kearsarge che l’affondò in combattimento il 19 luglio 1864. In totale aveva colato a picco o requisito ben 64 navi.
Anche il CSS Florida, un incrociatore da 58
metri, anch’esso con 8 cannoni, fu costruito
in Inghilterra sotto il falso nome di Oreto, e
poi portato alle Bahamas dove venne convertito in incrociatore corsaro, ma ebbe un incredibile numero di gravi contrattempi, a partire
da difficoltà di approvvigionamento e trasferimento delle armi, fino ad una letale epidemia di febbre gialla che decimò l’equipaggio
riducendolo ai minimi termini.
Il comandante John Newland Maffit. un tenente di vascello di 42 anni, anch’egli malato,
fu costretto a rientrare in Patria, a Mobile, forzando il blocco, per sostituire l’equipaggio e
completare l’allestimento della nave. Quindi
tornò nuovamente a passare fra le navi unioniste del blocco per effettuare un raid prima
nelle Indie Occidentali, poi sulle coste del Brasile ed infine nuovamente nelle Indie Occidentali; infine attraversò l’Atlantico per la Francia.
Tornò quindi nelle Indie Occidentali, per poi
raggiungere il Brasile, ancorando a Bahia,
dove era presente anche il Wachusett, un
grosso sloop a vapore unionista. Confidando
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nella neutralità del porto, Maffit permise alconsegnarsi agli inglesi per non arrendersi all’equipaggio di recarsi a terra, ma nella notte
l’Unione, e il 6 novembre 1865, sei mesi dopo
il Wachusett speronò e abbordò la nave confela fine della guerra, lo Shenandoah fece il suo
derata, violando i diritti degli Stati neutrali. Il
ultimo “ammaina” nel porto di Liverpool. La
Florida venne condotto negli Stati Uniti da un
sua bandiera di combattimento è oggi conservata,
equipaggio di preda eludendo un vascello bracon il dovuto rispetto e ammirazione, nel
siliano posto a garanzia della neutralità, ma la
museo della Confederazione, a Richmond, in
sfacciata violazione fece nascere uno scandalo
Virginia.
tale che il comandante del Wachusett fu coMolto ci sarebbe da aggiungere sulle appassiostretto a dare le dimissioni, e il Florida venne
nanti avventure che questi marinai hanno visrestituito alla Confederazione.
suto per la loro causa (non erano violatori di
Ma poco lontano, sulla rotta del ritorno, l’atblocco, ma equipaggi militari) in tutti i mari
tendeva una nave da guerra unionista che l’afdel mondo, ma quello che importa è ricordare
fondò a cannonate. Nella sua carriera aveva
che in tutte queste azioni di guerra ci furono
catturato 58 navi.
(c’est la guerre) alcuni morti e feriti, anche se
Il CSS Shenandoah, infine, un tre alberi a propochissimi, però mai nessun equipaggio catpulsione mista di 70 metri, armato con 8 canturato venne abbandonato a se stesso ma
noni, fu l’ultima delle navi corsare più famose.
venne portato a bordo della nave corsara, cuEntrata in servizio il 20 ottobre 1864, al
rato, confortato e poi sbarcato alla prima occomando del tenente di vascello James Waddell,
casione, nessuno subì maltrattamenti e la
operò inizialmente lungo le coste australiane,
stessa mortalità a bordo (dove esisteva un sia
dove affondò 6 navi, per poi trasferirsi nel
pur minimo ma efficiente servizio sanitario)
Pacifico settentrionale, teatro di lavoro delle
si limitò ad un numero esiguo di uomini.
baleniere dell’Unione, distruggendone 32, ma
Spesso, anche se sembra strano, nella guerra
a bordo dell’ultima preda venne trovato un
emergono sconosciute figure di gentiluomini.
giornale che parlava della grave sconfitta sudista
Sotto qualsiasi bandiera.
di Appomattox; Waddel,
però, continuò a navigare fino a che,
il 2 agosto
1865, fu informato da una
nave inglese
della caduta
della Confederazione.
Benché invitto sul mare,
continuare
una guerra privata significava varcare la
“sottile linea
rossa” che divide il corsaro
dal pirata, con
tutte le sue poco gradevoli
conseguenze.
Visitatori a bordo del corsaro confederato Shenandoah durante la sosta effettuata da questo nel porto di Melbourne, in Australia (State Library of Victoria, Melbourne)
Così decise di
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Samuel
Plimsoll
l’amico
dei marinai
Modello della prora di un portacontainer
con le Plimspll mark
di Italo Ottonello
U
Non era un uomo scaltro,
come oratore
non era brillante,
come scrittore era piuttosto
modesto, ma aveva
un grande cuore
n viaggiatore americano, durante un
suo tour europeo nel
1875-76, trascorse alcune settimane a Londra, dove visitò il Parlamento; per una strana coincidenza, durante la sua visita fu
testimone di un fatto
che lo impressionò
molto.
Un giorno, vide un membro del Parlamento precipitarsi nell’Inner Lobby
(una sala fruibile ai visitatori) in uno stato d’incontenibile eccitazione,
agitando le braccia e mostrando i pugni, esplodendo in esclamazioni
come “I responsabili li smaschererò, tutti!”, “Imbroglioni!” e “Bugiardi!”.
Più tardi apprese che
quel deputato era Samuel
Plimsoll, infuriato perché
il suo progetto di legge
sulla Marina Mercantile,
era stato appena lasciato
decadere da Disraeli, allora Primo Ministro. Era
il giorno cosiddetto della
Samuel Plimsoll, olio su tela conservato presso il
National Maritime Museum di Greenwich, a Londra,
collezione Caird
“Strage degli Innocenti”, in cui il Governo escludeva tutti
i progetti che non
sarebbero stati portati all’esame dell’aula in quella sessione.
Il progetto di Plimsoll,
tendeva a proteggere
i marinai dal pericolo
di essere mandati in
mare su navi inadatte
alla navigazione, dato che
molto spesso queste navi
lasciavano il porto con
l’unica prospettiva del
premio dell’assicurazione.
In questo modo le vite
degli equipaggi erano di
conseguenza messe a repentaglio, e i poveri marinai non avevano alcun
mezzo legale di rivalsa.
Il progetto di legge che
Disraeli aveva fatto decadere, prevedeva, fra l’altro, che se un quarto dei
marinai avesse presentato
ricorso contro le qualità
nautiche della nave, dovesse essere disposta una
perizia, trattenendo la nave stessa fino alla esecuzione di quest’ultima e
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Il naufragio del mercantile Adonis, da una stampa del XIX secolo; spesso queste tragedie “annunziate” riguardavano vecchie carrette
del mare costrette a navigare ad oltranza da armatori senza scrupoli che mandavano così a morte sicura interi equipaggi
che, in caso fosse stata giudicata inadatta a navigare o lacunosa nelle dotazioni, gli stessi
marinai sarebbero stati esentati da adempiere
il loro contratto, salvo non fossero eliminati i
difetti riscontrati.
In Parlamento, quella sera, si pensò che il comportamento eccitato di Plimsoll avrebbe distrutto la sua reputazione e compromesso la
possibilità di far passare il progetto. Al di fuori
del Parlamento, tuttavia, l’effetto fu esattamente contrario, attirando presso il pubblico la
comprensione dei suoi meriti sostanziali, ed il
Governo fu costretto a rimetterlo in calendario
per riesaminarlo. L’anno successivo (1876), fu
approvata una legge più completa e perfetta,
basata sugli stessi principi. Quello che segue è
il racconto di come tutto questo accadde.
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La famiglia e gli inizi
Samuel, nato a Bristol il 10 febbraio 1824, quarto
figlio di Thomas Plimsoll, un distinto uomo
d’affari la cui famiglia, per generazioni, era stata
benestante; ma una serie di rovesci economici
quando Samuel era ancora piccolo, influenzarono la sua prima giovinezza, obbligandolo presto a cercare la propria strada nel mondo.
Ancora quindicenne, la sua famiglia si trasferì
a Sheffield dove, ultimati gli studi, il ragazzo
entrò come apprendista in uno studio legale.
In meno di due anni, tuttavia, fu costretto a rinunciare agli studi di legge per questioni economiche e si fece assumere nella birreria di Mr.
Birch, il sindaco di Sheffield, dove, per la sua
energia e la sua risolutezza, raggiunse posizioni
di responsabilità, nonostante la giovane età.
Fermo e determinato, si dedicò a molte inizia-
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Il vapore a pale Rothsay Castle, invece, quando affondò al largo del Galles nell’agosto del 1831, aveva il capitano ubriaco, 60 centimetri
di acqua in sala macchine, le pompe non funzionanti e nessun mezzo di salvataggio, se non una lancia con una falla e senza remi. Le
vittime furono 130 su 153 trasportati
tive altruiste e caritatevoli. Mosso dal bisogno
di più ampi orizzonti entro cui dare sfogo alle
proprie energie, lasciò Sheffield e andò a Londra, impegnandosi, con un piccolo capitale,
nel commercio del carbone, ma la sua prima
impresa non ebbe successo ed egli vi perse il
poco che aveva. Fu allora che, per necessità, dovette andare a vivere in una casa-alloggio per
non abbienti.
In questi frangenti, Plimsoll osservava attentamente tutto ciò che gli accadeva attorno, per
cui apprese molto della vita e del carattere dei
lavoratori, imparando a rispettarli, ed anche ad
ammirarli.
L’epifania dei coniugi Plimsoll
Chi era dunque quest’uomo, eccitato ed indisponente, determinato ed empatico, che nelle
notti tempestose si commuoveva al pensiero
dei marinai nella burrasca? E come riuscì a trascinare una nazione dalla propria parte, e a diventare l’amico dei marinai ?
Plimsoll non era un marinaio, né inventò la
Marca di Bordo Libero nota come Plimsoll Mark
o Occhio di Plimsoll, e forse non aveva neanche il merito per essere identificato come
anima della lotta per i diritti dei marinai. Era
un commerciante di carbone senza esperienze
nautiche che, in seguito, diverrà parlamentare
in un collegio elettorale, Derby, oltretutto
privo di sbocchi sul mare.
Nel suo impegno, godeva del totale appoggio
della moglie Eliza, e riconobbe come lei, dopo
averlo incoraggiato a farvi fronte, lo avesse appoggiato e seguito in ogni manifestazione. La
sua dedizione era tale che fu lei a proporre al
marito di vendere la loro casa, quando dovette
difendersi dalle accuse di diffamazione dei suoi
avversari.
Una così ferma determinazione, nasceva da un
episodio che vissero insieme sulla spiaggia di
Redcar (North Yorkshire), quando la nave con
cui Samuel rientrava da Londra, approdò, superando una terribile tempesta in cui molte
altre erano affondate. Mentre si trovavano
sulla riva, circondati da parenti di marinai in
ansia e da vedove di uomini che non ce l’avevano fatta, grati per essersi ritrovati, fecero
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della protezione dei marinai, lo scopo della
loro vita.
I suoi contatti d’affari lo condussero ad ascoltare una gran quantità di naviganti, le loro
condizioni di vita e le relazioni con gli armatori, accumulando tanti fatti e motivazioni di
rimostranze da risolversi a lottare per ridurre
le ingiustizie alle quali erano sottoposti questi
suoi protetti.
Resosi conto dei risultati che aveva ottenuto
mandando lettere e documenti ai giornali, Samuel capì che era necessario un appoggio alla
Camera dei Comuni. Decise pertanto di entrare
in Parlamento e, nel 1865, si presentò come deputato della città di Derby ma non fu eletto. Fu
più fortunato nel 1868, ed ottenne il seggio per
i Liberali, con una larga maggioranza, principalmente per merito delle classi lavoratrici, che
in lui avevano individuato un energico difensore dei diritti democratici.
Anche quando la London, una nave mista, affondò con la perdita di quasi 300 anime, tra
passeggeri ed equipaggio, l’inchiesta concluse
che “dal momento che la nave aveva navigato in
quelle condizioni già in precedenza, non c’era
alcun colpevole”.
In Parlamento
Plimsoll ebbe bisogno di tempo per affermarsi
come parlamentare; il suo primo progetto di
legge sulle ferrovie non ebbe successo. Non
solo non trovò appoggi alla Camera dei Comuni, ma fu anche rimproverato di far perdere
tempo al Parlamento. Fu allora che egli incontrò il suo uomo, James Hall, un armatore di Tyneside che, già da alcuni anni, promuoveva
l’idea di adottare una marca o linea di massimo carico: una riga convenzionale posta sul
bagnasciuga, che indica la massima immer-
Le accuse agli armatori
Gli armatori sovraccaricavano le navi, e
lo stesso carbone, imbarcato alla rinfusa,
si spargeva sul ponte intasando gli ombrinali. Per poter trasportare un carico
sempre maggiore, talvolta ricorrevano
perfino ad allungare le navi. Ma una scorrettezza ancor più grave, era la truffa assicurativa delle coffin ships (bare naviganti)
che consisteva nel ridipingere e cambiare
nome a navi in cattivo stato, per mandarle allo sbaraglio assicurate per un valore eccessivo, lucrando sulla loro perdita.
Circa cinquecento marinai annegavano
così ogni anno, e nel 1871 un rapporto
del Board of Trade riferiva che “856 navi
affondarono entro le dieci miglia dalla costa
britannica in condizioni meteo non peggiori
di ‘vento fresco’ (forza 6 ndr)”.
Altro problema era quello dei marinai: se,
dopo essersi arruolati, constatavano il cattivo stato della nave e rifiutavano d’imbarcare, erano puniti con tre mesi di
prigione, che molti accettavano piuttosto
che rischiare la vita. In una di tali occasioni, un intero equipaggio rifiutò di salpare, e gli armatori lo sostituirono con
uno di ragazzi d’età inferiore a 17 anni,
che morirono tutti, quando la nave affondò, e, trattandosi “solo” di un mercantile, non ci fu una pubblica inchiesta.
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Benjamin Disraeli, rappresentante del partito conservatore e per due
volte primo ministro del Regno Unito, fu un acerrimo avversario di Plimsol nella sua tenace lotta in favore della gente di mare
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sione accettabile per un determinato carico (in
base alle condizioni climatiche in cui dovrà
navigare), come misura di sicurezza per garantire una certa riserva di spinta all’unità, ed evitare tragedie dovute ai sovraccarichi di merci.
L’idea di Hall non era nuova; era stata adottata
già nel XII secolo sulle navi venete, rappresentata da una croce, e su quelle di Genova, formata da tre linee orizzontali.
Ma Plimsoll iniziò a tenere conferenze sullo
stato del traffico marittimo e a raccogliere informazioni sui traffici più o meno legali, sentì
i marinai, le loro vedove, i capitani, gli armatori, i costruttori e chiunque fosse disposto a
parlargli. Con questo bagaglio, nel 1871, presentò al Parlamento il suo primo progetto di
legge sul traffico mercantile e l’opposizione
venne allo scoperto. Divenne subito chiaro
che in una Camera folta di armatori con forti
interessi, il progetto non poteva avere un cammino facile.
Dopo aver subito una serie
di controlli ed ostacoli,
Plimsoll si rivolse alla Nazione per supporto, e si ritirò nel Cumberland a scrivere un libro, Our Seamen,
An Appeal che diverrà famoso. Stampato nel 1873
in 600.000 copie, condensandovi la sua indignazione
e le prove degli abusi che
aveva raccolto, fu probabilmente uno dei testi più
importanti nella storia della
marineria, ampiamente ripreso dalla stampa, ed ebbe
tra gli altri, il sostegno del
Times.
Le denunce
di Our Seamen
In che cosa tutto ciò sia
consistito, si può apprendere delle pagine del suo
libro. Egli indirizzò contro gli armatori un terribile atto d’accusa, che
fece sussultare l’Inghilterra, riassunto in questo
passaggio: “Ci sono molte
centinaia di vite perse ogni
anno per naufragio e, nella maggior parte, lo sono
per cause facilmente prevedibili. Posso anche dire
che non sarebbero perse, se la legge riservasse ai
marinai le stesse attenzioni che riserva agli altri
cittadini. Un gran numero di navi viene regolarmente mandato in mare in condizioni disastrate o
con equipaggi talmente insufficienti, che riescono
a raggiungere la destinazione solo con tempo
buono e molte di esse sono così sovraccaricate che
per loro è quasi impossibile raggiungerla, se il
tempo è molto brutto. Posso dimostrare che, solo
da queste due cause (...) deriva più della metà delle
nostre perdite”.
Cosa che non preoccupava gli assicuratori, perché la parte di rischio assunta da ciascuno era
piccola, essendo ripartita tra più soggetti e di
conseguenza le perdite erano modeste, mentre
eventuali contestazioni sarebbero state impossibili essendo le navi in oggetto, finite in
fondo al mare.
Sulle navi a coperta continua i cantieri aggiungevano
un altro ponte di carico,
appesantendole e innalzandone troppo il centro
di gravità.
Per imbarcare un carico
maggiore, talvolta l’alloggio
equipaggio era riempito di
merci, obbligando gli uomini a dormire sul carico.
I marinai non avevano diritti; il vitto era orribile, ed
una volta Plimsoll scoprì
un barile di alimenti vecchio più di 40 anni. Ma
non tutte le reazioni ad
Our Seamen furono favorevoli.
Come contromisura, invero piuttosto disperata,
un armatore pubblicò un
libello dal titolo ”The
Plimsoll Sensation – A
reply” che ne confutava le
tesi. Presso il Governo fu
ridicolizzato perché aveva
la “colpa” di essere astemio, cosa non vera, e poi
fu accusato di follia, per
Tardivamente, ma anche il riconoscimento delle autorità cominciò a giungere a colui che tanto aveva
essersi fatto influenzare
lottato per i marinai; un busto in ricordo di Plimsoll
dalla propria moglie, fatto
nel porto di Bristol
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vano raggiunto un punto tale che opporglisi era
come associare al proprio nome un marchio
d’infamia. Norwood, tuttavia, non smise mai di
tentare di vendicarsi.
Trionfi tardivi in parlamento
Da questo momento l’enorme attenzione
della stampa attirò l’entusiasmo su Plimsoll:
il Paese non aveva più dubbi sulle sue tesi, ed
egli appariva sui giornali e sui periodici dell’epoca, sostenuto dalla gratitudine dei marinai e delle loro famiglie.
Il suo libro e l’appoggio che ottenne, riuscirono a conseguire la nomina dell’auspicata
Commissione d’Inchiesta Reale ma, le conclusioni a cui la stessa giunse, furono deludenti.
Dopo un anno, non solo non era riuscito a far
adottare una marca o linea di carico, ma dovette fronteggiare ulteriori difficoltà. Una società di navigazione, lo citò in giudizio per
diffamazione, accusandolo di aver fatto circolare dei documenti della Commissione, sul
conto di una delle proprie navi, interpretati
in senso colpevolista, ma fu fortunato ad
uscirne per un vizio di procedura.
Plimsoll lottò per le riforme in cui credeva e
percorse il Paese perché prendesse consapevolezza del problema, mentre continuava a tenerlo vivo alla Camera. Ma quando, al
termine della sessione del 22 luglio 1875, il
suo progetto di legge sul traffico marittimo fu
rimandato ancora una volta dal premier Disraeli, egli perse il controllo. Dopo il sostegno
Una volta adottata la Plimsoll mark, ci fu, tra gli armatori, anche
delle masse acclamanti, le tredici accuse di
qualche entusiasta che ne fece il logo della propria società di
diffamazione, la perdita della propria casa, il
navigazione
libro, una campagna interminabile, Plimsoll
diede sfogo alla sua collera in modo spettacoche ne avrebbe provato l’insanità mentale.
lare. Infrangendo il protocollo della Camera,
Parecchi armatori, inoltre, compreso Charles
secondo cui un solo memNorwood, deputato liberale
bro alla volta poteva stare
di Hull, lo citarono per diffain piedi, quando Disraeli
mazione. Il processo ebbe
s’alzò egli rifiutò di sedersi,
luogo a Liverpool e Norwood
chiamò assassini gli armaperse la causa perché, proprio
tori e furfanti i membri
la nave sovraccaricata che
della Camera che li protegPlimsoll aveva citato nel suo
gevano.
libro, dovette essere in parte
Invitato a lasciare l’Aula urscaricata per poter superare
lò, batté i piedi e, agitando
la barra sul fiume Tyne.
il pugno verso lo Speaker,
La sconfitta di Norwood
uscì gridando, cosa che colpì
spinse molti altri armatori a
Anche un notissimo tipo di scarpe da ginnamolto il viaggiatore ameriritirare le proprie azioni legali
stica ricevette, come nome del modello, quello
cano citato all’inizio. Nelcontro Plimsoll; le cose avedi questo benefattore dei marinai
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l’occasione Eliza, dalla “galleria delle dame”,
lanciava copie della sua protesta sulle teste
dei giornalisti, seduti proprio al disotto. Come
ci si attendeva, la stampa fu dalla sua parte, e
questo fu il momento più alto della carriera di
Plimsoll, anche se una settimana dopo fu obbligato a scusarsi per la sua condotta.
Nel 1876 Disraeli non poté più opporsi a che
il Progetto provvisorio fosse sostituito da una
legge definitiva (Merchant Shipping Act) che
stabilì un linea di carico obbligatoria, o Plimsoll Mark, nome con cui fu nota da subito. Ma
le difficoltà del riformatore non erano terminate: Norwood, che in precedenza l’aveva trascinato in tribunale, avanzò alla legislazione
l’idea di una linea di carico a cura dell’armatore, che lo stesso poteva posizionare a suo
piacimento. Un capitano, un gallese di Cardiff, la pose sul fumaiolo della propria nave.
La legge fu un trionfo dell’opinione pubblica
sugli interessi particolari, ma non una vittoria
definitiva. Ci vollero ancora quattordici anni
prima che fosse imposta una linea di carico
obbligatoria, e Plimsoll si rese conto che c’era
ancora da fare. Quando questa divenne operativa, egli rivolse la propria attenzione verso
misure atte a regolare i carichi sul ponte e sul
trasporto di bestiame. Fino alla sua morte nel
1898, egli rimase un elemento indispensabile
per qualsiasi movimento impegnato nella tutela del benessere dei marinai.
Cosa sopravvive dell’opera
di Samuel Plimsoll
Nel frattempo, in Gran Bretagna, molte strade
ricevevano il suo nome; nel 1875 Samuel e
sua moglie assistettero al varo del Samuel
Plimsoll, un clipper della lana dell’Aberdeen
Line, che iniziò a trasportare migliaia di emigranti in Australia. La sua polena, raffigurante
Samuel in redingote, oggi è conservata nel
Maritime Museum australiano di Perth.
Oltre alla famosa Marca di Plimsoll, anche il
nome plimsolls, dato alle scarpe da ginnastica
di tela, fu un omaggio nei suoi confronti; essendo di gomma sotto e di tela sopra, potevano essere immerse in acqua, in sicurezza,
fino ad un certo punto, proprio come una
nave da carico. C’è ancora un altro riconoscimento: il logo della Metropolitana di Londra,
creato quale duraturo tributo a lui ed alle sue
lotte per la giustizia.
Infine, il riconoscimento che forse più di tutti viene continuamente mostrato ai londinesi: “the Tube”, ossia la metropolitana
di Londra, ha adottato la Plimsoll mark come proprio logo
Uomo leale, determinato, totalmente dedito
agli altruistici scopi che s’era prefisso, combatté la sua grande battaglia a favore dei marinai britannici, contro forze spesso impari,
risparmiando a migliaia di uomini una tomba
d’acqua, per affermare i diritti del più semplice, coraggioso e sfruttato gruppo di lavoratori della Gran Bretagna.
Il che gli valse, oltre ad un posto tra i migliori
dei suoi connazionali, il titolo, più onorevole
di un rango nobiliare, di Amico dei Marinai. La
sua lezione rimane valida anche oggi: la sicurezza in mare è ancora un problema e la vita,
non solo e non necessariamente in mare, è a
volte ancora sacrificata al profitto, come dimostra la cronaca d’ogni giorno.
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Quando
le navi
andavano
a vela
di Ciro Paoletti
T
anti si estasiano davanti
a
quadri e
stampe di velieri antichi. Ne sentono il
romanticismo, l’aura
d’avventura, il fascino… perché non ci
hanno mai viaggiato
sopra, specie come
marinai. E non è che
gli ufficiali se la passassero meglio.
Puzzolenti, malsane,
scomode all’inverosimile,
con un vitto pessimo,
acqua putrida o salata,
turni di lavoro
massacranti e igene
inesistente… Ma erano
sempre le regine dei mari
Aria di mare e
aria di nave
Tutti gli scrittori di
marina, medici o no,
hanno sempre concordato sul fatto che
non vi fosse aria migliore di quella di
mare: purissima, generalmente poco
umida tranne che
nella zona torrida,
era generalmente più
temperata che a terra, a parità di latitudine.
Ma se l’aria marina
era pura e asciutta,
quella all’interno
40
La spartana sistemazione per il sonno dei marinai, forse non doveva
essere la peggiore di tutte, dal momento che, naturalmente in locali
adeguati e non tra gli affusti dei cannoni, è stata in uso anche nella
Marina Militare fino ai primi Anni ’60 dello scorso secolo; in apertura,
marinai britannici pronti alla distribuzione del “grog”, da una stampa
della metà del XIX secolo
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della nave era pestilenziale. Fino a
quando non iniziò
a migliorare a metà
Ottocento, la ventilazione, scarsissima,
rendeva l’aria all’interno del bastimento, specie nelle
parti basse, viziata,
umida e calda, un
vero attentato alla
salute.
“De’ gaz pestilenziali,
come l’idrogeno sulfurato, l’ammoniaca
ecc. prodotti dall’emanazione tanto
animali che vegetabili, la respirazione di
più centinaia di uomini rinchiusi in un
brevissimo spazio, il
fetore delle vettovaglie
poste in locale privo
affatto di ventilazione, e la corruzione
delle acque stagnanti
nella sentina rendono
l’aria interna del vascello la più malsana
che si possa.”
Da dove venivano i
gas pestilenziali?
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La branda intelaiata era di livello leggermente superiore; questa
si trova all’interno della Victory, in Inghilterra, e mostra il corredo del suo appartenente, un graduato dei Royal Marines
La branda per ufficiali, sempre dalla Victory, era sul tipo di una
culla, e quella di Nelson era simile a questa, anche se a vederla
non dà l’idea del massimo comfort
Bé, in primo luogo dai topi morti. Tutte le navi
avevano topi (o ratti, ma per comodità li definiremo tutti topi) e se qualcuno si è mai trovato un topo morto in cantina, sa bene che
odore sprigiona.
Ebbene, se si pensa a quante migliaia di topi
potevano esserci a bordo e a quanti di essi potevano morire nel corso dell’anno, l’aria sicuramente ne risentiva. Aggiungiamoci l’aroma
delle loro deiezioni solide e liquide e avremo
un profumo indimenticabile.
A questa miscela bisogna aggiungere il puzzo
dei commestibili che si avariavano regolarmente, quello dell’acqua di sentina, corrotta
dal contatto col legno e col catrame, dalle colature d’acqua di mare o di altri liquidi attraverso i ponti, incluso l’olio lubrificante da
macchina (che fino alla produzione di massa
dei derivati del petrolio era il normalissimo
quanto deperibile olio d’oliva) e dall’ossidazione generata dal contatto coi pani di ferro
della zavorra e avremo qualcosa che avrebbe
fatto invidia a una puzzola.
Ultimo tocco, l’odore sprigionato dai corpi male
o non lavati di centinaia di uomini dell’equipaggio
e dai loro vestiti, altrettanto poco o mal lavati.
Chi non ne ha un’idea si ritenga fortunato, chi
ce l’ha non ha bisogno di spiegazioni.
Certo, ogni mattina l’equipaggio lavava i
ponti, con tanta acqua di mare, ripassandoli
poi con acqua e sabbia e strofinandoli con
delle pietre levigate. Un bellissimo spettacolo
di ordine e pulizia, come negarlo? Ma erano
pure altre scolature che, se non trovavano subito la via del mare attraverso gli ombrinali, finivano nella sentina.
Le innovazioni a partire dagli Anni ’50 dell’Ottocento avevano fatto miracoli per l’aria interna. Era migliorata la ripartizione della stiva,
del “covertino”, il copertino (o, alla francese,
falso frapponte) e del corridoio rendendo più
agevole la circolazione dell’aria. L’adozione
delle casse da acqua in lamiera aveva consentito di elevare e spostare verso prora la dispensa, aerandola meglio. L’introduzione delle
casse metalliche per il biscotto e i viveri ne
aveva ridotto il tasso di marcescenza e di conseguenza il fetore. Infine alcuni cibi della razione erano stati sostituiti da altri, in scatola o
meno deperibili, contribuendo così a una diminuzione dei cattivi odori.
Più in basso, l’introduzione dei rubinetti da
stiva permetteva di far fluire acqua fresca nei
canali di sentina, eliminando quella corrotta.
L’acqua si scaricava per mezzo delle nuove e
più perfezionate pompe e le trombe a vento e
i ventilatori (“ventilatoj”) insieme all’introduzione dei portellini nella “covertetta” (l’odierno
2° corridoio o 2ª batteria) che prima ne era
priva, consentivano di dare aria e luce a parti
che negli antichi vascelli erano abitate, ma
buie e a malapena rischiarate da fumosi lumini
a olio. Con tutto ciò l’interno d’una nave non
era il posto più comodo in cui abitare.
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Lo spazio abitabile
era già molto, perché fino a prima della Rivoluzione Francese, le navi portavano una sola
branda per due uomini, perché nell’età della
vela metà della ciurma era sempre di guardia,
e non c’erano né spazio né tela da sprecare, per
cui, fra l’altro, non le si poteva nemmeno lavare e infatti non si lavavano ed erano lerce e
puzzolenti da far paura.
Ne esistevano tre tipi: l’americana, l’intelaiata
e l’inglese. L’intelaiata era riservata ai guardiamarina, ai sottufficiali e agli ammalati e consisteva in un telaio rettangolare di legno, la cui
parte centrale era occupata da un pezzo di tela
olona su cui si potevano sistemare un materasso
e le coperte. La branda inglese, riservata ai soli
ufficiali, era simile alla precedente, ma somigliava
più a una culla che a una branda vera e propria.
La gente invece usava la branda americana, o
branda a sacco, definizione, questa, detestata
dai puristi. Si chiamava “americana” perché
gli spagnoli l’avevano copiata dai caribi, che
l’usavano per non farsi mordere dai serpenti e
dagli insetti velenosi, e la chiamavano hamacki,
per cui era stata introdotta sotto il nome di
amaca sulle navi, dalle quali si era poi sparsa
in tutte le marinerie.
Mentre i francesi
l’avevano chiamata hamac e gli
inglesi hammock,
gli italiani, seguendo, si diceva, Amerigo Vespucci, l’avevano
chiamata “branda” dal verbo
brandire, che nell’Italiano della fine del Quattrocento significava
muoversi (mentre Pascoli quattro secoli dopo
l’avrebbe adoperato nel senso sia
di tremare che di
muoversi in maniera esitante)
perché, essendo
Esisteva un altro impiego per le brande che, debitamente arrotolate, venivano rizzate in coperta prima del
combattimento, fungendo da validi paracolpi alle fucilate dei tiratori nemici accomodati nelle coffe. In
sospesa, non staquesto dipinto giapponese vediamo la controplancia della Mikasa, con l’ammiraglio Togo, prima della batva mai ferma e
taglia di Tsushima
In quest’atmosfera pesante e poco salubre, vivevano ufficiali e marinai e ci stavano anche
stretti.
Nelle navi, si sa, lo spazio e ridotto; nel passato, prima dell’affermazione del vapore, era
ancor più ridotto, per via dei pezzi di rispetto
necessari a navigare e, soprattutto, per la gran
quantità di marinai necessaria alla manovra.
Per citare alcune delle navi più note, la Golden
Hind di Francis Drake, era lunga 36 metri (ma
solo 31 di scafo) ed aveva una sessantina di uomini d’equipaggio; il Wasa era lungo 69 metri,
ma doveva portare 150 marinai e 300 soldati,
la Victory, 69 metri tutto incluso, portava 800
uomini, il Re d’Italia, 84 metri, aveva 550 fra
ufficiali e marinai.
Prendiamo la Victory: ognuno dei tre ponti di
batteria, con una superficie non superiore agli
890 metri quadri, dava un metro quadro a
testa agli uomini, che però, dividendosi nei tre
ponti, potevano usufruire di ben 3 metri quadri per uno. In questo spazio ridotto si ammassavano sia i marinai che i soldati imbarcati, i
quali, per dormire, disponevano di brande. Ed
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si muoveva secondo le oscillazioni della nave.
La branda non
in uso restava arrotolata e legata,
disposta con le
altre nelle impavesate lungo la
tolda, perché la
ventilazione vi
impedisse la generazione di insetti. Quando serviva, cioè a fine
guardia o al tramonto, il marinaio la rintracciava grazie al
numero dipinto
sopra, l’apriva,
ne fissava gli
estremi alle apposite verghe di
La spartana mensa dell’equipaggio, suddivisa per “ranci”, ossia gruppi di marinai e situata sul ponte di
ferro messe pabatteria, dove del resto il personale dormiva sulle brande, era uno dei rari luoghi di socializzazione a bordo
rallelamente su
ciascun baglio
cese di solito stavano appena un po’ meglio
del ponte e ci si metteva a dormire.
dell’equipaggio: il capitano era l’unico ad
Sulle navi da guerra della seconda metà delavere una cabina tutta per sé, a poppa, che serl’Ottocento ve ne dovevano essere due per
viva a lui da alloggio e a lui e a tutti gli altri da
uomo, per poterle lavare frequentemente, nesala nautica, ufficio e sala da pranzo.
cessità tanto più sentita da quando, coll’adozione
Gli ufficiali di solito avevano una camera in
del vapore, era comparso il carbone ad occupare
comune tutta per loro, e spesso era l’anticai corridoi, ormai destinati a carbonili.
mera della cabina del comandante. Solo nelPer di più il rifornimento di carbone, l’odiato
l’Ottocento cominciarono a comparire le
“carbonamento” a cui partecipava tutto l’equiprime cabine, moltiplicatesi poi fino ad allogpaggio, non solo sporcava corpo e abiti, ma
giare un solo ufficiale superiore o due ufficiali
riempiva l’intera nave d’una finissima e onniinferiori, o quattro sottufficiali, mentre l’equipresente polvere nera, che richiedeva un lungo
e accurato lavaggio di uomini e cose.
paggio continuava a stare in branda nei ponti.
L’altro mobile di cui disponevano i marinai, e
Rimane un punto: cosa si faceva quando si docomunque non in tutte le Marine, era la taveva sbrigare ciò che nel Medioevo si chiavola, che era decisamente mobile, perché,
mava “il mestiere del corpo” e nel Settecento
come la branda, non solo era pensile, ma ap“una necessaria occorrenza”?
pariva e spariva. Al momento del pasto se ne
tiravano fuori i pezzi dagli appositi alloggiaIl viaggio alla toilette
menti fra un baglio e l’altro, li si applicavano
L’anno di grazia 1741, ai 3 di ottobre, il conte
per mezzo di ferri sotto ai bagli delle batterie,
Carlo Gozzi, Venturiere nell’Esercito della Sesi avvicinavano degli sgabelli, più o meno di
renissima Repubblica di Venezia, in viaggio per
fortuna, e si mangiava. Alla fine si smontava
Zara al seguito di Sua Eccellenza il Provveditutto e si rimettevano i pezzi nei loro posti.
tore Generale Querini sulla galera generalizia
Gli ufficiali di prima della Rivoluzione Frandella Repubblica, ebbe un’indispensabile e immarzo-aprile 2016
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mia necessità. Gli chiesi la libertà sulla mia
occurenza, guardando
mansueto i suoi baffi
opportuni, ed egli mi
fu clemente lasciandomi oltrepassare.
Tra il buio e la premura
grande mi calai sullo
sperone, tenendomi
ben forte ad una corda
che penzigliava. Calcai
sopra una massa molliccia, che gorgogliò
molte volte una voce
soffocata, come quella
d’un asmatico, la necessità stimolatrice e
la tenebrìa non mi lasciarono esaminare
quella massa ch’io calpestava. Mi sollevai
dal mio peso soperchio,
non senza spruzzi marittimi che la galera
Ben diversa, anche se non certo estremamente confortevole o lussuosa, era la mensa ufficiali;
in corso mandava da’che in genere veniva sistemata nel grande locale poppiero del comandante
flutti con della violenza
a innaffiarmi. Sollepellente necessità e “il luogo comune per alcune
vato e risalito, chiesi alla sentinella che fosse quella
indispensabili necessità degli uffiziali soleva essere
massa molliccia, che gorgogliò una voce senza aruna panchetta balaustrata sopra all’acqua, vicina
ticolazione sotto a’ miei piedi. Mi rispose con
al timone della galera. Sperai in quella notte oscusomma freddezza ch’ella era un forzato morto di
rissima di potermi ivi sgravare d’una delle soprafebbre maligna, a cui doveva aver calcato il petto;
dette necessità. Trovai un ordine tremendo nella
ch’egli era stato posto ivi al fresco, sin tanto che
voce del timoniere, che nessuno dovesse aver l’ars’approdava nell’Istria per seppellirlo in sul lito.”
dire di presentare il deretano a quella panchetta,
Sui vascelli la situazione era la stessa: ufficiali
perché ella corrispondeva ad una finestrella di
a poppa, più che altro perché là erano i loro alsotto della stanza di Sua Eccellenza. Il comando
loggi, e gente a prua, sulla cosiddetta “serpe”.
mi parve disturbatore, ma ragionevole.
Il nome non aveva nulla a che vedere coi serChiesi dove potessi andare, e mi fu risposto che il
penti, ma veniva dalla somiglianza che aveva
meglio era di calarsi con cautela sullo sperone per
con la parte della carrozza su cui sedeva il cocprua della galera. M’avviai veloce, colle brache in
chiere e che si chiamava serpa o serpe.
mano per la corsia (la passerella centrale che
Situata fra il castello di prora e l’estremità del
solcava la galera da poppa a prua ed ai lati della
tagliamare, al disotto e lateralmente al bomquale, in basso, stavano i banchi dei
presso, era “considerato come il posto più ignobile
rematori,n.d’A.) verso cotesto sperone per prua, ed
della nave, dappoiché vi son collocate le latrine
dell’equipaggio.” Nella realtà era forse il posto più
ho saliti frettolosamente alcuni gradini, che
pulito della nave, perché vi si manteneva “una
conducono ad alcuni altri gradini per i quali si dinettezza indefessa per mezzo d’un’apposita tromba,
scendeva al da me bramato sperone. Un “chi va là”
che attinge l’acqua dal mare” ed era sotto la sorenorme di una sentinella morlacca ivi posta, che
veglianza d’un gabbiere o, addirittura, d’un sotmi si presentò col fucile, con un viso tenebroso e
tufficiale, chiamato “capo della serpe”.
con due baffi spannati, trattenendomi, accrebbe la
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E col mare mosso? O molto mosso? In quel caso
i marinai avevano a disposizione nei ponti in
cui dormivano degli imbuti metallici alla murata, il cui orifizio dava fuori bordo e usavano
quelli, a tutto vantaggio della sicurezza personale ma non della salubrità dell’aria circostante.
Manca un dettaglio: naturalmente non esisteva riscaldamento a bordo, perciò i viaggi invernali magari nell’Atlantico Settentrionale o
nell’Artico erano una vera penitenza, mentre
ancora nell’era del vapore la traversata del Mar
Rosso e dell’Oceano Indiano, specie d’estate,
anche da passeggeri di prima classe sarebbe
stata un inferno, figuriamoci per i marinai.
Alimenti
Come si è già detto, la conservazione delle vettovaglie era il problema principale. Imbarcarne
di buone era un conto, riuscire a conservarle
in navigazione un altro.
Umidità e parassiti, topi inclusi, pesavano
molto. La già citata introduzione delle casse
metalliche in cui conservare le vettovaglie e
l’introduzione dei cibi in scatola a metà Ottocento migliorò molto le cose rispetto al passato. Qualsiasi marinaio medievale o dell’età
barocca avrebbe toccato il cielo con un dito
davanti alle razioni del 1860.
Senza entrare nei particolari, qui basterà dire
che tutti erano d’accordo che il vitto dovesse
essere il più nutriente possibile, per consentire
al marinaio di superare le intemperie a cui
ogni viaggio l’avrebbe sottoposto. Disgrazia
voleva che i cibi più energetici fossero spesso
deperibili e, in un periodo in cui la refrigerazione ancora non c’era e a malapena si era arrivati all’inscatolamento e al sottovetro e
bagnomaria, la scelta cadeva invariabilmente
su vettovaglie secche e salate.
I medici però si erano accorti da tempo d’una
differenza fra la navigazione oceanica e quella
mediterranea. La prima, più lunga, vedeva
spesso lo scorbuto comparire e decimare gli
equipaggi, la seconda invece, per quanto lunga
fosse, era per forza di cose intervallata da frequenti soste in porto e lo scorbuto quasi non
sapeva cosa fosse; la peste o il colera magari si,
ma lo scorbuto no.
Per caso, nel XVII secolo, gli inglesi si accorsero di ciò che il resto del mondo, specie mediterraneo, più o meno già sapeva: il consumo
di limoni riduceva e alla lunga eliminava lo
Un’immagina risalente agli inizi dello scorso secolo che mostra
un momento del vitale (per la nave a vapore) ma non mai abbastanza odiato (dall’equipaggio) carbonamento
scorbuto. Che quest’ultimo dipendesse da carenze vitaminiche lo si sarebbe scoperto solo
dopo secoli e grazie ai progressi della medicina, che scomparisse grazie ai limoni invece
era chiaro da tempo, perciò, dopo gli esperimenti sistematici condotti a partire dal 1747
dal medico di marina James Lind, le navi di
Sua Maestà Britannica cominciarono a distribuire agli equipaggi succo di limone quotidianamente, mischiandolo spesso alla prevista
Anche la “sanità” aveva la sua grande importanza; nella foto,
tratta dal film “Master and commander”, il medico di bordo
esegue una difficile operazione per coprire con una placchetta
d’argento una ferita al cranio. Operazione (nel film) fortunatamente
riuscita
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razione di grog (mezza pinta di rum e un
quarto di acqua), riducendo così i casi di malattia e facendo guadagnare ai marinai il soprannome di Limey “limoncini”.
La cura di Lind non servì affatto alle marine
mediterranee, dove da tempo immemorabile
gli equipaggi avevano vegetali ogni settimana.
Sulle galere genovesi del Seicento il vitto di
tutti includeva legumi e fagioli, minestra di
fave quattro volte a settimana e cipolla quotidiana. Le galere di Nostro Signore il Papa e
quelle del Serenissimo Granduca di Toscana facevano lo stesso, pur prescindendo dalla quotidianità della cipolla. Idem, nel seguente
secolo, per le Reali Navi di Sua Maestà Napoletana e Siciliana (Dio guardi) e per le Regie
Navi di Sua Maestà Sarda.
In definitiva, un po’ per abitudini tramandatesi nella marineria fin dal tempo dei Fenici,
un po’ per variare, alla prima sosta si interrompeva la dieta di viveri secchi e salati, scendendo a terra per carne fresca, pollame, frutta
e verdura, o, almeno, per gli ufficiali, con qualche bel pescione pescato da bordo.
Che poi questa materia prima fosse mal gestita
da cuochi ladri e lestofanti, che la cuocevano
fino a spappolarla, con pochi grassi e, spesso,
troppo sale, rendendola una sbobba immangiabile, bene, questo è un altro discorso.
Dopo la vela
La comparsa della propulsione a vapore ridusse gli equipaggi, le costruzioni in ferro e i
progressi della propulsione navale, aumentarono gli spazi e diedero ai marinai qualche comodità in più, anche se ci volle tempo.
Elettricità, dissalatori e frigoriferi resero la vita
più pulita e meno dura, il riscaldamento cominciò a comparire sulle navi e infine, molto
dopo, arrivò pure l’aria condizionata, almeno
in alcuni ambienti. Un bel salto di qualità, che
basta a dare un’idea dell’abisso fra la vita di
bordo dell’inizio del XXI Secolo e quella sui velieri del XIX o dei primi del XX.
Anche questa era la vita di bordo; marinai colpevoli di alcune infrazioni vengono fustigati sul ponte, legati ad un carabottino rizzato,
con ufficiali ed equipaggio a presenziare, ed un plotone di Royal Marines in armi a ricordare la disciplina di sua Maestà e a dissuadere
qualsiasi tentazione in chi avrebbe potuto non accettarla
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Recensioni e segnalazioni
Rond e Lucilda Heikell
Grecia Egea
Ed. il Frangente – Verona 2015
pagg. 430 - € 79,00
Già durante l’estate scorsa i
diportisti diretti in acque
della Grecia hanno potuto
avvalersi della nuova edizione (la quinta) di questa
monumentale opera a loro
destinata, aggiornata al mese
di marzo 2015. L’aggettivo
monumentale non è assolutamente ridondante perché
la definizione di “guida” sarebbe del tutto limitativa, ma
neppure quella di “portolano” risulterebbe adeguata.
Si tratta in realtà di un volume nel quale le preziose e
salvifiche indicazioni di carattere nautico sono integrate da svariate informazioni di altra natura;
pragmatica, culturale e ambientale (per alcune località
è indicato anche l’atteggiamento degli indigeni nei
confronti dei diportisti). Si
potrebbe obiettare che un
tale patrimonio informativo
è contenuto in numerose
opere analoghe (molte delle
quali nel catalogo dello
stesso Editore), ma in questo
caso il discorso approda su
un livello differente. Qui
l’“io turista” (pur mantenendo intatta la sua centralità) si fonde con l’“io navigante” in maniera molto
coinvolgente, offrendo al lettore, che si immagina ormai
felicemente giunto all’ormeggio, un esauriente mosaico di nozioni e sensazioni
per aiutarlo a capire lo spirito
del territorio sul quale si appresta a mettere piede. Ciò
avviene perché l’A., australiano di nascita, ma “mediterraneo” di adozione, per
anni ha frequentato assiduamente, con la moglie Lucinda, le acque egee, rimanendo affascinato dalla loro
bellezza e dal loro passato.
Una misura dell’accuratezza
della conoscenza in profondità di questo affascinante
paradiso è testimoniata della
mole del materiale pubblicato: in sintesi oltre 450
(quattrocentocinquanta!)
piani, 245 foto e la descrizione di 857 tra porti e ancoraggi . Tale imponente corredo informativo è stato
suddiviso in sette sezioni
(contraddistinte ciascuna da
una colorazione differente)
secondo il seguente criterio
geografico: Saronico (a noi
più noto come golfo di
Egina) e Peloponneso Orientale, Cicladi, Eubea e Sporadi
Settentrionali, Grecia Settentrionale, Sporadi Orientali,
Dodecaneso, Creta. Le sette
sezioni sono precedute da
una serie di corpose istruzioni per il navigante valide
per tutta la Grecia: come arrivare e muoversi in Grecia,
servizi per la nautica da diporto, formalità d’ingresso,
informazioni generali, approvvigionamenti e gastronomia, inquinamento, profilo storico, meteorologia,
previsioni meteorologiche,
stazioni costiere, sicurezza e
soccorso in mare. Si tratta di
un corposo insieme di 40 pagine che il diportista diligente dovrebbe consultare
in fase di programmazione
del viaggio, perché costituiscono una sicura garanzia
contro le sorprese normalmente in agguato nelle crociere in acque estere, traducibili nella maggioranza dei
casi in dolorose perdite di
tempo, di denaro, per non
parlare del logorio del sistema nervoso.
A questo punto sia concessa
al recensore una sommessa
proposta: il grande formato
del volume (cm 30 x 21) e la
sua mole costituiscono senza
dubbio un problema di maneggiabilità per chi naviga su
una piccola imbarcazione
(non parliamo se si tratta di
un natante!), dove lo spazio
destinato al carteggio, se
pure esiste, è di dimensioni
ridottissime. Si potrebbe pertanto rendere più maneggevole il tutto pubblicando separatamente le sette sezioni
sopra descritte e la parte introduttiva.
In tal modo quest’ultima e le
sezioni non interessate potrebbero essere stivate in un
posto qualsiasi, mentre la
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Recensioni e segnalazioni
consultazione”sul campo”
dei testi, e sopratutto dei
piani e delle cartine, verrebbe notevolmente facilitata.
Del volume non si può non
citare l’ottima resa tipografica, in particolare per
quanto riguarda le illustrazioni, tutte a colori, merito
della carta patinata e... della
Litotipografia Alcione di Lavis (TN). I testi sono stati tradotti dall’originale “Greek
Waters Pilot” (Imray Laurie
Norie & Wilson Ltd) da Luisa
Bresciani e rispettano una
corretta terminologia marinaresca.
Claudio Ressmann.
Gianluca Sabatini
SULLE ROTTE
DEI ROMANI
Ed. Il Frangente – Verona 2015
pagg. 360 – € 25,00
Negli ultimi anni, si sono infoltiti nei cataloghi di molti
editori italiani i titoli delle
guide nautiche, le migliori
delle quali contengono, come
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abbiamo puntualmente informato da queste colonne,
oltre alle ovvie notizie nautiche, annotazioni di carattere
culturale, collegate con gli
itinerari descritti.
Dopo tante escursioni nel
variegato arcipelago di questa nicchia dell'editoria, lo
smaliziato recensore si trova
ora tra le mani un elegante
volume che non è né una
guida, né un portolano e
neppure un racconto di
viaggi per mare, ma è al
tempo stesso tutte queste
cose ed anche molto di più.
Seguendo gli insegnamenti
e l'esempio dell'indiscusso
padre del diportismo italiano, il comandante Alberto
d'Albertis (per chi non lo ricordasse, nacque a Voltri nel
1896), il quale auspicava che
al piacere della navigazione
si abbinasse l' interesse per
la scienza e la cultura , Gianluca Sabatini ha effettuato
il repȇchage dell'Itinerarium
Maritimum Antonini Augusti
(datato circa III sec. a. C.)
che reca come chiarimento
la dicitura “ut navigans quae
litora tenens nosse debeat aut
quae ambire incipiens a Gadibus vel extrema Africa perdocet
feliciter”. In altre parole, l'
“itinerario marittimo dell'Imperatore Antonino Augusto affinché il navigante
che parte da Cadice o dall'estrema Africa sappia dove
procedere sottocosta e a
quali lidi approdare con successo. Tale infatti è lo scopo
dell'itinerarium ritenuto ben
a ragione il primo portolano
del Mediterraneo, ed è per
questo che il suo contenuto
ha attratto l'attenzione dell'A., inducendolo a studiare,
ordinare e commentare le
singole località in esso citate.
Allo scopo di far ambientare
il lettore nel mondo nautico
di 1700 anni or sono, l'A. fa
precedere le “schede” relative a ciascuna rotta presa in
esame brevi saggi, documentati ed utilissimi, su alcuni
argomenti essenziali, come i
tipi delle navi dei romani (ne
sono citati 24), la rosa dei
venti e le unità di misura in
uso per gli itinerari terrestri
e marittimi, indispensabili
per valutare il confronto, effettuato in ogni scheda, tra
le cifre fornite dall'itinerarium e quelle calcolate oggi.
Segue a questo punto la
parte più corposa del volume
che comprende ben 158
schede suddivise geograficamente in quattro sezioni,
ciascuna delle quali è contrassegnata sul bordo destro
di ogni pagina da una dicitura in caratteri bianchi su
fondino grigio. La prima sezione va da Corinto a
Sousse, la seconda comprende navigazioni varie
(delle quali una, sorprendentemente, nella Manica, tra
Boulogne e Richborough),
mentre la terza considera le
rotte tra Roma e Arles. La
quarta, infine, esamina 49
isole del Mediterraneo.
Ogni scheda fornisce notizie
esaurienti sugli aspetti di carattere storico, archeologico
e geomorfologico di ciascuna delle località di partenza e di arrivo e sulle condizioni meteomarine, in
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particolare sui venti, che il
navigante si troverà a dover
affrontare lungo la rotta.
Ogni scheda è dotata di una
cartina, con indicazioni toponomastiche sia attuali che
originali. Dove le distanze
sono sempre indicate sia in
miglia nautiche, sia nell'unità di misura dell'epoca.
La suddivisione della materia in schede così ordinate
facilita la consultazione del
volume: il diportista attento
può facilmente immaginare
le sensazioni provate dai marinai di 1.700 anni fa e i loro
problemi nautici; forse potrà
fare anche tesoro delle loro
esperienze come, ad esempio, quelle sul regime dei
venti, ancora ovviamente
valide.
Ciascuna pagina è gradevolmente illustrata: ospita non
solo le cartine geografiche
(una per ogni scheda), ma
anche un grande numero di
simboli e figure tratte da documenti dell'epoca, scelti
con particolare accuratezza e
deciso buon gusto. Il risultato ottenuto premia il lavoro di ricerca e di studio
dell'A. il quale ha saputo offrire ai lettori un originale
libro odeporico (come lui
stesso lo definisce nella sua
Nota), cioè un libro basato
su un itinerario che offre
l'opportunità di compiere
viaggi con l'immaginazione
a ritroso anche nel tempo remoto. Ancora più validi ed
attraenti se sostenuti, come
in questo caso, da basi documentali di comprovata solidità.
Claudio Ressmann.
Luigi Ottogalli
UN PORTO
UN RACCONTO
Dieci avventure nei
caraibi occidentali
Ed. il Frangente
Pagg. 144 – € 16,00
Ma che bel Portolano abbiamo
davanti! Sfizioso, ricco, a suo
modo geniale!
Non si limita a notizie utili
per il navigante, di carattere
tecnico-marinaresco, meteorologico, sulla natura dei fondali (se buoni tenitori) ecc.,
quali si trovano negli usuali
documenti nautici di dotazione a bordo; ma arricchisce
le pagine dedicate a un porto
o a un sorgitore con notizie
storiche, e, quel che più intriga, con aneddoti e leggende locali. E, ancora, con
l’indicazione dei ristoranti
dove conviene… approdare.
Si vede che l’A., è uno che per
mare ci sa andare, e che il
mare e le coste se le sa veramente godere. Nel 1988 effettua un primo viaggio ai Caraibi, ma al ritorno il suo vero
e proprio innamoramento è
per la splendida Pantelleria,
dove per qualche tempo, ricordandosi che è un architetto, si mette a restaurare
dammusi; ma poi il richiamo
delle lontananze lo ha sopraffatto. (Piccola parentesi; ricordo una vecchia, bellissima
canzone amburghese: Seemann, lass das Träumen…
denn die Ferne ruft dich schon
hinaus; marinaio, smetti di
sognare, ché la lontananza
già ti chiama verso fuori).
Non più giovanissimo, ma –
ben si avverte – ancora con
un animo pieno di spirito di
avventura e di curiosità direi
anche antropologica, riprende dunque il mare e se
ne va in giro con la sua compagna Silvia a bordo del loro
Jonathan, a tentare rotte insolite e a scoprire terrae incognitae, quanto meno per i più.
Se Pantelleria non si può definire “terra incognita” – ma
purtroppo lo è per molti, anche italiani, che ne ignorano
l’incredibile bellezza – certo
lo sono (almeno, per molti di
noi) le isole dei Caraibi, alle
quali è dedicato questo libro,
dopo coste argentine, e brasiliane, e via così, cui ha dedicato altri volumi.
Già i nomi di alcuni dei porti
scalati fanno sognare: Île de
la Vache (Haiti); Cayo Largo
e Cienfuegos (Cuba); Guanaja (Honduras); Portobelo
(Panama)…
E, per ogni porto toccato, un
bel racconto, vissuto o appreso sul posto: come dicevo,
questa è forse la parte più intrigante del libro.
A mio avviso, la più bella
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Recensioni e segnalazioni
delle storie è Uno strano amore
(pag. 103). È quella dell’innamoramento della delfina
Elise per il marinaio e sub
John, che con il suo Blue Life
tornava ogni anno nelle acque di Guanaja: questo scambio d’amorosi sensi durò a
lungo, anno dopo anno, rifiorendo ogni volta che il
marinaio tornava con la sua
barca (e le sue pinne e la sua
maschera) in quelle acque.
Ma un brutto giorno un tremendo fortunale ebbe la meglio sulla pur grande marinità
di John, che non fece più ritorno dalla sua innamorata.
Da allora Elise continua ad
attenderlo, e qualcuno afferma perfino di aver scorto
qualche lacrima spuntare nei
suoi occhi …
Renato Ferraro
Ferdinando Sanfelice di Monteforte
Guerra e Mare
Conflitti, Politica
e Diritto Marittimo
Mursia Editore, Milano - 2015
Pagg. 225 - € 20,00
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Conoscendo l’autore ed avendo già recensito sue opere,
affrontando la lettura di questa sua ultima fatica sapevo
che non sarei rimasto deluso.
Il contenuto di essa, però, e
anche lo stile mi sono sembrati diversi dal solito; e non
lo dico in tono deluso, tutt’altro. Ritengo che questo
sia un volume “importante”.
Chi fosse un addetto ai lavori
lo troverà più che interessante,
essenziale. Ma chi non lo
fosse, vedrà, per suo tramite,
aprirsi un mondo la cui conoscenza era, di massima, riservata agli iniziati. Tutti coloro i quali sono interessati
a quello che avviene nel mondo e desiderano approfondire,
andare al di là della cronaca
per capire anche i perché di
ciò che avviene, non saranno
insoddisfatti da questa lettura.
In una successione di capitoli
che ricordano da vicino il
susseguirsi di lezioni universitarie, l’A. affronta argomenti
niente affatto scontati, come
il concetto di guerra. Partendo
da elementi di Storia e di
Storia del Diritto, egli ci porta
per mano a seguire l’evoluzione temporale del concetto
sino alle accezioni a noi contemporanee. Lo stesso fa per
tutti gli altri argomenti, tra
loro più o meno correlati,
che affronta da approfondito
conoscitore, qual è, di queste
materie. Avremo quindi un
capitolo sugli spazi sovrani,
in cui non verranno lesinati
gli esempi. E poi sarà la volta
delle guerre del commercio
e i neutrali, per arrivare subito
dopo al punto in cui siamo
con le regole della guerra na-
vale. Anche in questo caso,
prima di trarre delle conclusioni valide per i giorni nostri
l’A. ritiene necessario un excursus storico che ci aiuti a
capire i perché dell’evoluzione
che ci ha portato sino a dove
siamo. I capitoli successivi,
relativi al disarmo navale e
al Mar Nero e la questione
degli stretti, denunciano come l’A. abbia approfondito
questi argomenti, studiandoli
a lungo in tutti i loro aspetti.
Gli ultimi tre, invece, nonostante le origini di essi, almeno per i primi due, sia da
noi lontana nel tempo, consentono valutazioni di un’assoluta modernità. Mi riferisco
a la pirateria, la tratta degli
schiavi, e a le minacce asimmetriche.
Su quest’ultime, ormai ogni
commentatore televisivo che
abbia un minimo di credibilità è preparato a dissertare
nei talk show a cui venisse
invitato a partecipare, però
pochi ne avevano fatto un
quadro per ciò che esse hanno
significato e significano in
ambito navale.
Per pirateria e tratta degli
schiavi, invece, molti erano
convinti che si trattasse di
argomenti
remoti
nel
tempo, degni di essere presenti solo nei libri di storia.
La cronaca degli ultimi anni
li ha riportati alla ribalta in
tutta la loro attualità. Merito
dell’A. è anche quello di
farci capire meglio come
questi fenomeni criminali
siano arrivati ad influire in
maniera pesante sulla nostra
vita quotidiana, a cominciare dai dilatati costi di al-
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cune merci che, come quasi
tutto ciò che giunge in Italia, devono effettuare un
lungo viaggio per mare. Un
libro, insomma, di cui mi
sento di raccomandare la lettura.
Paolo Bembo
Paolo Bembo
La Storia della
Marina attraverso i
Dipinti
Rodorigo Editore per
Ufficio Storico della Marina
Roma 2015
pagg. 280 – € 55,00
Siamo un popolo di artisti e
di navigatori e c’è un nodo
che stringe indissolubilmente queste due nostre
anime e lega altrettanto indissolubilmente il mondo
dell’arte al mare. Ed è proprio ai pittori di Marina che
è dedicato lo splendido volume “La Storia della Marina
attraverso i dipinti” - Ufficio Storico della Marina Militare (USMM) / Rodorigo
Editore. L’autore, Paolo
Bembo, ufficiale di Marina,
grande appassionato di
mare, autore di numerosi altri saggi su questo tema e
grande esperto di questa
particolare forma d’arte, ci
propone una panoramica
estremamente accurata ed
approfondita di quei pittori
che hanno fatto del mare il
loro soggetto privilegiato,
non solo per fermare sulla
tela l’incanto della sua bellezza, ma soprattutto per documentare avvenimenti storici riuscendo, come solo
l’artista può fare, ad unire la
precisione del testimone a
quella magia e quel pathos
che non potranno essere
mai trasmessi da una macchina fotografica.
L’Opera intende proprio veicolare la cultura marinara
attraverso l’immagine iconografica. L’Autore propone
una carrellata di artisti nelle
cui opere il mare è protagonista assoluto insieme agli
uomini di mare ed alle navi:
dai grandi velieri, ai brigantini e le golette del XVIII secolo fino alle moderne navi
da guerra, le portaerei, i cacciatorpediniere e gli incrociatori dei nostri giorni. I
pittori di marina che il volume ci propone, sono stati
in molti casi anche pittori
di guerra e sono riusciti a
documentare, ognuno con
le caratteristiche del proprio
stile, eventi e mezzi anche
in circostanze di estrema difficoltà e di pericolo. Sono
circa 650 le tavole a colori
che arricchiscono il volume
e ci raccontano la storia
della nostra Marina; si tratta
non solo degli eventi bellici
dal periodo pre unitario ai
due conflitti mondiali, ma
anche di immagini della vita
quotidiana a bordo delle nostre navi in tempo di pace.
Pittori di marina come Claudus, Cascella, Bucci, Cagli e
Crema, le riproduzioni dei
cui quadri in tavole anche
di grandi dimensioni costituiscono uno dei pregi di
questo volume, hanno contribuito non solo a diffondere la cultura del mare attraverso la forza evocativa
delle loro immagini, ma trasmetteranno sicuramente
un messaggio a tutti coloro
che potranno ammirarli attraverso le pagine di quest’opera.
L’A. non ha soltanto realizzato un raffinato catalogo
d’arte, ma lo ha arricchito
inserendo accanto ai contenuti puramente iconografici
del testo, tutti i risultati di
una lunga e attenta ricerca
di documenti storici per potere individuare e collocare
nel corretto contesto temporale gli eventi bellici descritti dalle singole opere, arrivando in certi casi a
scoprire nel dipinto la verità
di circostanze quasi “sfuggite” alla ricostruzione storica. Ecco così che il singolo
quadro si trasforma in vero
testimone del nostro passato, trasportando fino ai
nostri giorni, intatta, la memoria di quegli eventi straordinari che hanno fatto
grande la storia della nostra
Marina.
Anna Mandraffino
marzo-aprile 2016
51
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Sub
Ambienti
per le immersioni
(6 a parte)
di Alberico Barbato
U
lula, il vento ulula
maledettamente!
Le persiane sbattono e le raffiche
insistenti e violente dei turbini d’aria che impattano sui
vetri chiusi delle finestre
sembrano volerci tirare giù
dal letto, ricordandoci che
il mare, nonostante la sua
furia, ci aspetta.
Viene difficile pensare che
una giornata come questa,
fortemente ventosa e sicuramente di mare molto mosso,
ci possa riservare la possibilità
di effettuare una bella immersione, ma esaminiamo
con calma la questione.
Sarebbe un peccato perdere
l’opportunità di mettere la
testa sott’acqua in un posto
che merita la nostra passione
per i fondali marini; decidiamo allora che il “gelato in
piazza” non debba essere
l’unica alternativa a una giornata perturbata. Spesso, anzi
quasi sempre, i porti nascono
e rimangono nelle zone più
riparate per le comunità che
li accolgono, ed è sulla base
52
marzo-aprile 2016
Il sogno di ogni subacqueo: un gruzzoletto di monete d’oro da scoprire sott’acqua
di questo principio che dobbiamo operare la nostra scelta
per la prossima immersione
“alternativa”. Il mare appare
mosso, ma le zone antistanti
il porto sembrano “a ridosso
dai marosi”. Fermo restando
che le regole delle Capitanerie
locali, giustamente imposte
per la sicurezza in acqua,
siano osservate e rispettate,
questa volta la scelta per una
bella immersione, privilegia
il mare calmo in un sito decisamente inusuale e vicinissimo al porto e al centro abitato. Ma perché proprio lì?
Cosa ci induce a decidere di
fare un’immersione in un
luogo che tutti definirebbero
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L’interessante ricostruzione virtuale del ritrovamento subacqueo di materiale archeologico
inopportuno, troppo vicino
alla zona portuale e alle case,
sicuramente poco naturale e
disastrosamente rovinato dal
punto di vista ecologico? Andremo alla ricerca dei tesori
sottomarini!!
Tanti, tanti anni fa, le discariche umane non erano così
dannose e subdole come purtroppo sono quelle attuali.
Spesso queste zone erano ricettacoli di resti di vettovaglie
domestiche rotte e destinate
alla spazzatura, e soprattutto
le zone portuali o antistanti
ai moli d’ormeggio, divenivano depositi di carichi navali
persi, o volontariamente gettati fuori bordo come oggetti
ormai inutili. Ed è per questo
che dedicheremo la nostra
giornata subacquea all’affascinante ricerca archeologica
sottomarina. Non avete idea
di cosa ci possa riservare uno
specchio di mare antistante
un insediamento abitato da
millenni! La moltitudine di
oggetti e testimonianze affondate e nascoste dai fondali
e dal tempo, ci meraviglieranno nella loro bellezza e
con i loro significati. Noi
non dovremo fare altro che…
osservare, con molta attenzione e con gli occhi ricercatori. Probabilmente tutti quei
dettagli che visibilmente non
appartengono direttamente
alla natura bio-marina, potrebbero fare parte delle ricchezze archeologiche conservate dal mare. Oggetti testimoni di vita, usi e costumi,
che nella loro semplicità e
umiltà, descrivono e raccontano la storia dei nostri pre-
decessori, e spesso sono, come
nel caso delle antiche anfore,
prove ineluttabili di scambi
tra civiltà anche molto distanti l’una dall’altra.
Ma guardiamo bene dentro
la nostra maschera! Forse, se
il sito d’immersione conserva
ancora il mare limpido, potremo avere una panoramica
più ampia e precisa guardando
dal fondo marino l’ambiente
che ci circonda e ciò renderà
l’immersione ancora più accattivante. Ma anche se l’acqua dovesse essere torbida,
potremo ugualmente divertirci e appassionarci. La nostra
osservazione del fondale deve
essere attenta e sopratutto
lenta, l’esame di ogni dettaglio, che a un occhio distratto
appare insignificante, può
essere determinante per un’afmarzo-aprile 2016
53
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Sub
Un simpatico polpo ha stabilito la propria abitazione all’interno di un’anfora
fascinante scoperta. Ecco che
vediamo un’insolita gobba
di sabbia, la curva dell’oggetto
in questione appare troppo
precisa per essere una pietra
di fondale, e ci sono comunque delle incrostazioni e alghe
sopra di essa. Tocchiamo delicatamente quel gomito e
scopriamo che ciò che desta
il nostro interesse, ha come
un basamento sotto la sabbia
che lo trattiene. Facciamo
un po’ più di forza e ci accorgiamo che il nostro reperto
è un bracciolo di terracotta,
attaccato a un pezzo di anfora,
purtroppo non più integra,
ma comunque testimone di
affascinanti storie del passato.
Probabilmente il pezzo rotto
da noi ritrovato, faceva parte
di un carico da trasbordare
dalla nave alla terraferma,
ma l’oggetto rompendosi, ed
esaurendo la propria utilità,
fu gettato dalla nave, nel
mare sottostante, che da quel
54
marzo-aprile 2016
momento lo consacrò testimone della storia dell’umanità.
Se con pazienza e senza sollevare troppa sospensione dal
fondo, ci dedicassimo a
un’ispezione intorno al nostro
ritrovamento, è probabile che
incontreremmo il resto del
manufatto rotto. Molte volte
la scoperta di un piccolo reperto è stata il motivo di un
grande ritrovamento. Ma ricordiamoci che lasciare ciò
che abbiamo trovato esattamente al suo posto, conferisce
al reperto un’importanza superiore alla natura dell’oggetto
stesso. Il ritrovamento è un
indice della sua posizione
geografica e del momento
storico che gli appartiene,
elementi determinanti per
una futura analisi più dettagliata.
La nostra adrenalina sale!
Toccare ciò che probabilmente
era stato maneggiato migliaia
di anni fa, crea
in noi un’emozione forte, un
contatto diretto con la storia
dei nostri antenati che ha
come mediatore il mare. Riconosciamo
subito l’importanza dell’elemento acquatico
come
energia comunicativa della
nostra vita.
L’immenso blu
che ci accompagna nelle
nostre avventure, ci fornisce gli spunti
necessari per le innumerevoli
scoperte che la sua dimensione conserva, e sembra suggerirci sempre dove vedere,
come andare, cosa fare, con
il buon accorgimento di saperlo ascoltare. Il tempo dell’immersione è volato, ci siamo immersi in un luogo che
forse non avremmo mai preso
in considerazione, invece,
dopo questa insolita discesa,
la nostra esperienza subacquea
è cresciuta al di là di ogni
aspettativa. Abbiamo toccato
il passato!!
Come in questa storia, mille
altri oggetti di ogni tipo raccontano, depositati sui fondali
marini, le vicende umane;
spesso queste testimonianze
si nascondono in luoghi inaspettati e certe volte, come è
successo a noi, bastano la
passione e una semplice giornata di vento forte a farceli
scoprire!
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La voce del diportista
La tassa sulle unità
da diporto: cronaca
di una morte annunciata
di Aniello Raiola
N
el lontano 1976, fu
introdotta per le
unità da diporto
una tassa denominata tassa di stazionamento.
La sua definizione quale tassa
che gravava sulle unità che
“navighino, sostino o siano ancorate in acque pubbliche” aveva
sempre indotto ad inquadrarla
tra le tasse d’uso e non di
possesso (come invece è per
il bollo delle auto), anche se
in effetti solo i natanti pagavano in ragione del periodo
di utilizzo (con un minimo
di quattro mesi imposti per
legge), mentre le imbarcazioni
e le navi pagavano in unica
soluzione per l’intero anno
solare a prescindere dal loro
effettivo uso.
La tassa di stazionamento
venne soppressa nel 1999 per
i natanti, quale misura incentivante per la nautica minore e, poi, anche per le imbarcazioni e le navi nel 2003,
in quanto - come si legge
nella relazione che accompagnava la legge n. 172/2003
contenente la sua abrogazione
- la gestione amministrativa
della tassa e del contenzioso
che ne derivava, costava allo
Stato più del suo gettito complessivo.
La tassa tornò in vita con la
manovra Monti ovvero con
il decreto legge 6 dicembre
2011, n. 201 (decreto salva
Italia), convertito in legge 22
dicembre 2011, n. 214 (art.
16) e successive modifiche.
Gravava solo sulle imbarcazioni da diporto con scafo di
lunghezza superiore ai 14
metri e sulle navi da diporto,
possedute o detenute da soggetti residenti o aventi sede
legale nel territorio dello Stato,
a prescindere dal Paese di immatricolazione dell’unità.
La tassa era, quindi, configurata come tassa di possesso e
andava versata annualmente
in funzione della lunghezza
dell’unità, da un minimo di
870 euro ad un massimo di
25.000 euro.
Il versamento andava effettuato entro il 31 maggio di
ciascun anno ed era riferito
al periodo 1 maggio – 30
aprile dell’anno successivo.
Colui che alla data del 1°
maggio risultava soggetto alla
tassa, era tenuto al pagamento
nella intera misura annua,
entro il 31 maggio.
Erano tenuti al pagamento i
proprietari, gli usufruttuari,
gli acquirenti con patto di riservato dominio o gli utilizzatori a titolo di locazione,
anche finanziaria, per la durata
della stessa, che fossero residenti nel territorio dello Stato,
nonché le stabili organizzazioni in Italia dei soggetti non
residenti che possedessero o
ai quali fosse attribuibile il
possesso di unità da diporto
soggette alla tassa stessa. Quindi, la tassa non si applicava
ai soggetti non residenti e
non aventi stabili organizzazioni in Italia che possedessero
unità da diporto (anche se
immatricolate nei registri nazionali), sempre che il loro
possesso non fosse attribuibile
a soggetti residenti in Italia.
La tassa aveva determinato, a
detta di molti, un notevole
danno ad un settore già di
per sé in crisi, quale quello
della nautica.
Perciò, l’atto finale di questo
accidentato percorso è rappresentato dalla sua abrogazione
definitiva avvenuta con la recente legge di stabilità 2016
(articolo 1, comma 366, della
legge 28 dicembre, n. 208).
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Emergenza sanitaria
PREVENZIONE 3:
I PARAMETRI VITALI
Queste sono azioni che ognuno di
noi può e deve saper fare perché
sono informazioni fondamentali
per il medico che vi deve assistere
via radio. Non sottovalutate poi
l’importante azione calmante che
ha su chi sta male o si è fatto male,
il vedervi agire monitorando le sue
condizioni di salute base. Per esempio: tenergli il polso e misurargli il
battito. Non sono cose difficili ci
si può allenare facilmente in casa
su se stessi e con i propri familiari.
MISURARE LA
TEMPERATURA CORPOREA
La temperatura corporea è un parametro importante per monitorare lo stato di salute di chiunque,
fondamentale per segnalare infezioni, ipotermia o altro. Va ricordato che nella cassetta medica obbligatoria in Italia non è previsto
il termometro.
VERIFICARE IL RESPIRO
GAS: Guardo, Ascolto, Sento
La verifica della respirazione consente di appurare se il respiro è
presente e in che condizioni è.
Il numero di atti respiratori al minuto fornisce un’indicazione dello
stato generale del paziente. Un
atto respiratorio completo consiste
in un’inspirazione e un’espirazione.
Se, in seguito a un trauma o per
altre cause, si ha la sensazione che
un compagno di navigazione non
respiri, occorre scoprirne il torace
e avvicinare l’orecchio alla sua
bocca e al suo naso. Guardando se
il torace si espande, Ascoltare gli
eventuali sibili dovuti alla respirazione e sentire il calore del fiato
espirato sulla propria guancia. Un
altro metodo molto efficace e più
semplice quando il respiro è molto
debole è quello dello “specchietto.” Si pone uno specchietto
sotto il naso del paziente e si osserva se vi compare una zona appannata.
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CHIAMA IL MEDICO DEL CIRM!
VHF 16 – TEL. +39 06 592 902 63
Fai il corso medico on-line
www.emergenzeabordo.it
MISURA DEL BATTITO CARDIACO
Polso carotideo
MISURA DEL BATTITO CARDIACO
Polso radiale
VERIFICA DEL RESPIRO
Tecnica dello specchietto
Materiale tratto
dal prontuario
“PAN -PAN, medico a bordo”
www.panpan.it
di Umberto Verna
MISURARE IL BATTITO
CARDIACO
Questa azione permette di verificare la presenza della circolazione
sanguigna (il funzionamento del
cuore). Il numero di battiti al minuto, o frequenza cardiaca, fornisce
un’indicazione dello stato generale
del paziente (ipotermia: polso debole; ansia o febbre; polso accelerato). La rilevazione della frequenza
cardiaca può essere effettuata in varie parti del corpo; l’importante è
specificare al medico contattato via
radio il metodo di misurazione prescelto: periferico (su ogni arteria
di superficie), radiale (polso), carotideo (collo). Polso carotideo: si
misura ponendo l’indice e il medio
sulla laringe, spostandosi lateralmente sino a intercettare la carotide e premendo per sentire le pulsazioni del cuore. Polso radiale: si
misura ponendo l’indice e il medio
(mai il pollice) 2 cm prima della
piega del polso, dal lato del pollice,
all’interno di una piccola sporgenza ossea.
ASCOLTARE I “BATTITI”
Oltre al numero di battiti al minuto è importante ascoltare i battiti per verificare il corretto funzionamento del cuore: due toni vicini
separati da una breve pausa, seguiti
da una pausa più lunga. Si tratta
di rilevare se i battiti sono tutti
uguali o sembrano di diversa intensità, se il ritmo è regolare o
mancano alcuni battiti. L’ascultazione si esegue facendo sdraiare il
paziente e appoggiando l’orecchio
(o il fonendoscopio) lungo il margine sinistro dello sterno.
MISURARE LA PRESSIONE
Oltre alla verifica della circolazione
sanguigna, occorre misurare anche
la pressione; questa misurazione
deve essere effettuata con lo sfigmomanometro. Ne esistono di digitali automatici che misurano
pressione e battito visualizzando i
dati su un display, ma non sempre
sono precisi in barca.
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Corso di pesca
Terminali morbidi
e sempre in ordine
di Riccardo Zago
P
escare bene, e soprattutto prendere pesce,
non è solo questione
di posto o di mezzi
ma vi sono tanti, piccoli dettagli che possono fare la differenza tra chi può dire di
aver vissuto semplicemente
una giornata fortunata e chi,
invece, ottiene risultati continui. È la stessa differenza
che a volte c’è tra il fare qualche cattura, seppur soddisfacente, e il prendere sempre il
massimo numero di pesci possibile in base al posto, alla
stagione e alle condizioni meteomarine. Ecco, allora, un
piccolo accorgimento che ci
sarà molto utile a velocizzare
e affinare la nostra tecnica,
aumentando l’efficacia della
nostra azione di pesca e, di
conseguenza, il numero e la
quantità delle catture.
L’esperienza
delle gare
Alcuni anni fa, nel mondo
delle gare di pesca dalla barca,
salì alla ribalta Domenico Salvatori, un garista di Riccione
che con un sistema di piccoli
dischetti scrisse una pagina
nella storia della pesca. Molti
seguirono la sua strada, anche
se tanti lo snobbarono, con-
L’orata è una delle prede che danno maggiori soddisfazioni, sia da riva sia da natante
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Corso di pesca
st’ultimo in cui ha conquistato
il titolo iridato ai Mondiali
del 2003. Siccome buon sangue non mente, anche il figlio
Mauro è stato vicecampione
del mondo individuale e campione del mondo a squadre
dalla barca, in Inghilterra, nel
2005... Magari proprio grazie
anche ai dischi di papà.
Un sistema che offre
solo vantaggi
Finali pronti sui rulli e in ordine nella cassetta
tinuando ad avvolgere i terminali sulle vecchie tavolette,
mentre addirittura qualcuno
lo prese in giro affibbiandogli
il nomignolo di “Rullo”. Ma,
ben presto, i vantaggi indiscussi del nuovo sistema conquistarono anche i dubbiosi
e oggi i rulli porta-terminali
sono di uso comune in tutti i
tipi di pesca, non solo dalla
barca ma anche da riva.
I primi dischetti erano in sughero sintetico, acquistato da
calzolai o da ditte specializzate e modellati con un semplice trapano. Erano prodotti
artigianali, non perfetti ma
comunque pratici. Con il
tempo, dal trapano a mano si
passò a quello a colonna, più
preciso, è il risultato fu un articolo ben fatto e rifinito. I
perfezionisti, poi, coloravano
la superficie del rullo e applicavano etichette adesive con
indicato il tipo di lenza. Di
qui alla produzione industriale, il passo fu breve
anche attraverso l’uso di materiali meno costosi e più
pratici del sughero: erano
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marzo-aprile 2016
nati i porta-finali colorati in
poliuretano.
Una cassetta
davvero speciale
Salvatori non si presentò solo
con il sistema del rullo singolo
per ogni terminale ma ideò
anche un grosso disco da 5
centimetri di diametro per
oltre 20 di altezza: con una
cassetta costruita dall’amico
e compagno di pesca Vito Pastore, aveva creato un portafinali intercambiabili per la
pesca agli sgombri davvero
innovativo. Il grosso rullo era
attraversato nel centro da una
barra filettata in acciaio inox,
fissata su due binari all’interno
della cassetta. Con questo sistema, il rullo girava su se
stesso e svolgere il bracciolo
era un gioco da ragazzi. Oggi
il “rullone” è più moderno e,
anche se prodotto solo a livello
artigianale, è utilizzato da
molti pescatori dell’Adriatico.
Nel frattempo, Domenico Salvatori è stato uno tra i maggiori agonisti di pesca da riva
e dalla barca, un settore que-
Una volta, quando tutti i
finali venivano messi sulle
classiche tavolette di sughero,
quando era tolto dal supporto
il nylon presentava grosse
pieghe proprio nei punti di
avvolgimento. L’inconveniente è stato risolto utilizzando i
dischetti, perché così il finale
non assume nessuna piega.
Che dire, poi, della praticità
nel disfare il terminale? Basta
togliere la spilla di fissaggio,
inserire la gassa nel moschettone e lasciare che il movimento del disco disfi il tutto.
Un altro vantaggio non indifferente è che quando sui
rulli c’è un singolo terminale,
lo si prende dalla cassetta per
il montaggio senza bagnare
gli altri nylon. Chi partecipa
alle gare, spesso si fa costruire
dischetti porta-finali in base
alle proprie esigenze, ma in
commercio ci sono accessori
di varie misure che soddisfano
bene chi pesca per diletto.
Nella pesca dalla barca, i dischetti che vanno per la maggiore hanno un diametro di
4,50 centimetri per 1,20 d’altezza, con il bordo liscio, e
servono per contenere un terminale completo a due o tre
ami. In un dischetto standard,
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con un po’ di pratica, si riesce
a mettere una lenza di circa 2
metri. Quando invece occorre
conservare lenza madre e braccioli intercambiabili, si usano
dischetti di dimensioni maggiori: 10 centimetri di diametro per 2 centimetri di altezza ma con il bordo incavato,
più pratici per avvolgere lenze
molto lunghe e numerosi
braccioli di ricambio.
Dalla barca
alla pesca da terra
Negli ultimi anni anche gli
agonisti di canna da riva e di
surf casting hanno adottato i
porta-finali a disco. Addirittura, per i primi sono stati
studiati portafinali specifici:
per i terminali a forcella, cioè
a due ami, ci sono accessori
da 2,60-3 centimetri di diametro, con altezze che variano
da 0,60 centimetri per una
sola lenza fino a 1-1,2 metri
per due terminali. Sono utilizzati pure nella pesca alle
grandi prede, dal bolentino
di profondità al drifting al
tonno, passando per la traina,
usando grossi rulli in poliuretano anche di diametro
maggiore rispetto a quelli indicati per il bolentino classico.
Per le tecniche mirate ai grossi
calibri, inoltre, ci sono dischi
di plastica molto leggeri.
La pratica
prima di tutto
L’avvolgimento del terminale
sul dischetto deve sempre seguire alcune fasi ben precise.
Prendiamo per esempio una
lenza a tre ami classica da
bolentino, con il piombo ter-
Domenico Salvatori, l’agonista che ha ideato i dischi portafinali, durante la preparazione
delle esche prima di una gara. A sinistra c’è il figlio Mauro che, come il padre, si fregia
di un paio di titoli iridati di pesca dalla barca.
minale. Va premesso che la
zavorra si mette in un secondo
momento, dopo avere avvolto
il nylon. Per prima cosa mettiamo uno spillo corto sul
bordo del disco, per appuntare
l’asola del terminale che lo
collega alla lenza madre. Poi,
iniziamo ad avvolgere la lenza
in senso orario: arrivati al
primo bracciolo, lo mettiamo
sul rullo in senso antiorario
fino ad arrivare all’amo che
appuntiamo sul bordo del disco. Ripetiamo l’operazione
di avvolgimento, orario e antiorario, fino ad attaccare anche gli altri due braccioli. A
questo punto terminiamo di
avvolgere e appuntiamo con
un altro spillo la girella con
moschettone che attaccheremo alla lenza prima di svolgere il tutto in barca: basta
togliere lo spillo, attaccare il
piombo, lasciare ruotare il
disco e togliere a mano a mano gli ami appuntati. Nel
caso di terminali con amo
pescatore, non mettiamo il
primo spillo ma appuntiamo
direttamente l’amo pescatore
e avvolgiamo il tutto. Sui dischi ci sono etichette plastificate per annotare le specifiche dei singoli terminali e
alcuni modelli sono venduti
già con le scritte.
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Cronache delle Sezioni e Delegazioni
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La famiglia marinara saluta
nave Maestrale
A
l termine del
suo impegno
a Chioggia in
occasione
dell’ormai tradizionale
appuntamento “Ottobre Blu”, nave Maestrale ha fatto rotta
verso la base navale
di La Spezia, portando
a termine quella che
è stata la sua ultima
campagna navale prima del collocamento
in disarmo.
In questa sua ultima
missione, però, l’unità
non è stata sola: ad
accompagnarla lungo
il periplo della penisola, l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia
e la Lega Navale Italiana, che con i loro
Soci hanno raccolto
intorno alla nave tutto
l’affetto della grande
famiglia marinara.
Nei principali porti italiani, le Sezioni LNI
hanno contribuito attivamente all’organizzazione delle varie soste e hanno partecipato
con i propri soci alle
visite a bordo, alle conferenze e anche alle
uscite in mare, coinvolgendo soprattutto
i giovani in una serie
di iniziative a carattere
storico, culturale, promozionale e benefico.
Di seguito, pubblichia-
60
mo i contributi che
sono pervenuti alla Redazione.
Sezione
di Trieste
A Trieste, oltre agli
eventi collaterali, tra
i quali una conferenza
sulla Grande Guerra
L’ultima campagna del Maestrale e i porti toccati durante la navigazione
Briefing di sicurezza sul ponte di volo prima di un’esercitazione antincendio
marzo-aprile 2016
sul mare tenuta dall’amm. Romano Sauro,
Commissario Straordinario LNI e nipote
dell’eroe, è stata effettuata una breve uscita
in mare e alcuni soci
hanno avuto il privilegio di continuare la
navigazione verso Venezia.
In una bella giornata
autunnale, mare piatto
e vento quasi assente,
essi hanno potuto approfondire la visita
della nave e la conoscenza delle operazioni
che scandiscono la vita
di bordo, venendo anche coinvolti attivamente, dopo un rapido
indottrinamento, in
un’esercitazione di sicurezza antincendio.
Emozionante, poi, la
cerimonia dell’ammaina bandiera in
mare, mentre il Maestrale naviga silenzioso verso Venezia
nella livida foschia
che, pian piano, ha
inghiottito il sole al
tramonto.
La laguna ha accolto
la nave con le luci verdi e rosse dell’ingresso
nel canale delle isole
di Sant’Erasmo, Lido
e Sant’ Andrea. Superata Sant’Elena, entra
in Canal Grande e si
ormeggia tra due boe
di fronte a Piazza San
Marco, in un teatro
in cui è lei l’attrice
protagonista.
Al Comandante e a
tutto l’equipaggio i
nostri doverosi rin-
Nave Maestrale ormeggiata nella Riva degli Schiavoni a Venezia
graziamenti per la generosa accoglienza e
la pazienza dimostrata accogliendo a
bordo la nostra “impudente curiosità”.
Sezione
di Venezia
I soci sono stati accolti
da alcuni sottufficiali
e suddivisi in piccoli
gruppi accompagnati
ciascuno da un membro dell’equipaggio
che ha fatto da cicerone (ognuno bravissimo e preparato). Purtroppo, ponte di coperta e plancia sono
state le sole zone della
nave visitabili e quindi
non è stato possibile
accedere all’interno
della nave (sala macchine, mense, cucine,
locali equipaggio,
ecc.).
Al termine della visita,
il gruppo, rappresentato dal consigliere
Tosetto, segretario della Sezione di Venezia,
ha consegnato il crest
della Sezione al comandante del Maestrale. Nonostante la
breve visita, il Gruppo
Fotografico “Fotonau-
Un gruppo di soci della Sezione di Venezia sul ponte della fregata
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ti” ha potuto realizzare
un bel reportage, pubblicato alla pagina
“GALLERIE” della Portale della Sezione
www.leganavale.it/str
utture/venezia/.
Sezioni di
Ortona
e Pescara
Proseguendo nella sua
navigazione in Adriatico, il Maestrale ha
fatto sosta nel porto
di Ortona. La Sezione
locale, ha partecipato
ad una cerimonia che
si è tenuta presso la
sala consiliare del comune, alla presenza
di autorità civili e militari della cittadina,
offrendo un rinfresco
e un omaggio al comandante dell’unità,
che ha contraccambiato con il crest della
nave.
Il giorno successivo,
circa 40 soci hanno
partecipato alla conferenza sulla “Sicurezza
in mare dei diportisti”
Giovani della Sezione di Pescara sul ponte di volo, di fronte all’ingresso dell’hangar
organizzata a bordo e,
nella mattinata di sabato 31 ottobre, il
gruppo sportivo vela,
comprendente 10 allievi e i loro istruttori,
accompagnati dal presidente della Sezione,
ha potuto visitare la
fregata in tutte le sue
strutture principali e,
successivamente, insieme ai ragazzi della
squadra agonistica Optimist della Sezione di
Pescara, ha vissuto
l’emozione dell’uscita
in mare nelle acque
antistanti il porto di
Ortona.
Sezione di Bari
Foto di gruppo per i giovani soci appartenenti al Gruppo Vela di Ortona
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Per la Sezione
è stato un onore essere coinvolta nell’avvenimento. Per
l’occasione, i
propri soci e gli
studenti di diverse scuole
della città hanno avuto modo di conoscere da vicino
questa unità
della Marina
Militare italiana, che si è di-
stinta in tutti questi
ultimi anni in missioni
militari e umanitarie.
Un positivo e perenne
ricordo di questo evento rimarrà in tutti coloro che l’hanno vissuto: dall’ospitalità del
comandante, capitano
di fregata Rizzi e dell’equipaggio tutto, all’attaccamento del personale di bordo alla
nave, fino all’alto livello di professionalità
dimostrato dagli ufficiali, dai sottufficiali
e dai marinai nelle
esaurienti spiegazioni
tecniche sul funzionamento delle strutture
dell’unità e delle operazioni che scandiscono la vita di bordo.
Un particolare ricordo,
poi, rimarrà in noi
dell’uscita in mare del
16 novembre, nel cor-
flettere sul tema,
anche alla luce
dell’imminente
uscita dal servizio di nave Maestrale. Nel suo
intervento, l’ammiraglio Sauro
ha ribadito l’importanza strategica del settore
marittimo in tutti i suoi aspetti,
da quello economico, alla protezione dell’ambiente marino,
I soci della Sezione di Bari ospitati nel quadrato ufficiali della nave
dalla salvaguardia della vita
so della quale, oltre Presidenza
umana in mare, alla
ad assistere ad una Nazionale
protezione degli inteesercitazione militare, Durante la sosta a Ci- ressi nazionali, in parsi è vissuto l’emozio- vitavecchia, il Com- ticolar modo per un
nante momento della missario Straordinario, Paese come l’Italia, il
liberazione in mare di amm. Romano Sauro, cui destino è indissodue testuggini, operato è intervenuto al con- lubilmente legato al
con l’assistenza di ope- vegno sulla “Sicurezza mare, evidenziando
ratori qualificati del Marittima dell’Italia nel però, una scarsa conWWF.
Mediterraneo: impor- sapevolezza della proUn grazie, pertanto, tanza e prospettive”, or- pria “marittimità” da
al comandante e a tut- ganizzato dall’Istituto parte dei cittadini. E’
to l’equipaggio per di Alti Studi in Geo- proprio in questo conaverci fatto vivere que- politica e Scienze Au- testo che si colloca la
sta bella esperienza.
siliarie (ISAG) per ri- “missione” della Lega
Personale del WWF a bordo con i soci di Bari libera due Caretta caretta da una lancia del Maestrale
Navale Italiana, che
con le sue attività parla
ai giovani di mare,
per avvicinarli ad esso
e per introdurli alla
cultura che esso rappresenta.
Cenni storici
Nave Maestrale, che
deve il suo nome all’antico vento proveniente da nord-ovest
che soffia periodicamente sul Mar Mediterraneo, è stata la prima di otto navi gemelle, la cosiddetta
“Classe Venti”, composta dalle fregate Maestrale, Grecale, Libeccio,
Scirocco, Aliseo, Euro,
Espero e Zeffiro.
Si tratta di navi che
hanno rappresentato
la vera spina dorsale
della Squadra Navale,
partecipando con successo a numerose operazioni a tutela degli
interessi nazionali nei
mari del mondo. Più
di trenta anni fa, la
costruzione e l’entrata
in servizio di queste
unità rappresentò il
rilancio operativo della
nostra flotta e testimoniò al mondo l’eccellenza della cantieristica italiana.
L’unità è stata progettata e costruita alla
fine degli anni ’70 dai
Cantieri Navali Riuniti
di Riva Trigoso, nei
pressi di Genova ed è
stata varata il 2 febbraio 1981, unendosi
successivamente alla
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1ª Divisione Navale a
La Spezia.
È la seconda unità nella storia della Marina
Militare a portare questo nome che fu in
passato del cacciatorpediniere Maestrale.
Quest’ultimo, infatti,
prestò servizio durante
la Seconda Guerra
Mondiale nella 4ª
Squadriglia Incrociatori e, successivamente, nella 10ª Squadriglia
Cacciatorpediniere della Regia Marina. Varato
il 15 aprile 1934, il
cacciatorpediniere
Maestrale prese parte
a 157 missioni e navigò nel corso della sua
vita operativa per oltre
50.000 miglia.
L’odierno Maestrale è
stato impiegato in numerose esercitazioni e
missioni, sia in ambito
nazionale che NATO,
tra le quali si ricordano
la missione in Golfo
Persico nel 1991 in
supporto alle operazioni per la liberazione
del Kuwait e l’assistenza ai tre cacciamine
della classe “Lerici”
che hanno effettuato
il successivo sminamento della zona.
Nel 2002 ha preso parte
all’operazione Enduring
Freedom nel Golfo Persico, l’anno seguente
alla Active Endeavour
Strong Patrol. Nel 2005
ha partecipato all’operazione Resolute Behaviour, in supporto alla
lotta al terrorismo internazionale.
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Il Commissario Straordinario LNI, ammiraglio Romano Sauro a
bordo durante la sosta a Civitavecchia
Nel 2009 da aprile a
settembre il Maestrale
è stato impegnato in
Oceano Indiano sotto
la bandiera dell’Unione europea all’operazione Atalanta per il
contrasto alla pirateria
al largo delle coste della Somalia. Il 5 maggio 2009 (missione dell’Unione Europea Atalanta), ha inseguito e
dissuaso tramite il
suo elicottero di bordo
un barchino veloce
che tentava l’abbordaggio della nave gasiera italiana Neverland,
durante la sua attività
di pattugliamento antipirateria al largo delle
coste somale nell’ambito della EUNAVFOR;
varie altre analoghe
operazioni erano state
effettuate nei giorni
immediatamente pre-
Uno splendido tramonto veneziano per nave Maestrale
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cedenti a protezione
di altre unità mercantili di vari paesi che
navigavano nell’area.
Durante la stessa missione sono state scortate numerose navi
del World Food Programme delle Nazioni
Unite e della missione
dell’Unione Africana
impegnata a fornire
aiuti umanitari alla
popolazione somala.
A seguito di questa
operazione il Maestrale
è stato insignito di un
attestato di benemerenza rilasciato dall’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO). Infine, dopo
essere nuovamente stata presente in Active
Endeavour, nel 2014 ha
preso parte all’operazione Mare Nostrum a
salvaguardia della vita
umana in mare.
MONOPOLI
Trofeo “Città
di Monopoli”
La Sezione ha organizzato, il 18 ottobre, la
veleggiata XVII Trofeo
Città di Monopoli, nello
specchio acqueo antistante la costa monopolitana. La competizione ha visto 8 barche
impegnate per l’assegnazione dell’ambito
titolo che ogni anno
viene messo in palio
per, poi, essere detenuto
definitivamente dall’equipaggio che per tre
anni consecutivi si è
aggiudicato la vittoria.
La regata è destinata
alla categoria diporto
suddivisa in raggruppamenti, tenendo conto della lunghezza dello
scafo: scafi fino a 8 metri di lunghezza ft; scafi
da 8,01 metri a 10 metri; scafi oltre 10 metri.
Sono ammesse anche
le barche con certificato
ORC 2015, partecipando alla classifica per i
monotipi (Platu25, J24,
SB20, Surprise) con minimo 3 barche.
Le condizioni meteo
sono state favorevoli
ed hanno consentito
agli equipaggi di dare
il meglio di sé pur trattandosi di una veleggiata e quindi di un
evento prettamente sociale.
È risultato primo assoluto il team del nostro
socio Tommaso De Bellis Vitti, vice campione
mondiale Platu25 per
l’anno 2015. L’evento,
dedicato alla città di
Monopoli è molto atteso da cittadini ed autorità locali che hanno
potuto assistere dal lungomare ad una manifestazione che ha riempito il mare di vele e
spinnaker multicolori
in un bellissimo spettacolo. La veleggiata si
è chiusa con successo
con un piatto caldo offerto dalla sezione ai
numerosi regatanti e ai
loro accompagnatori.
La Sezione, con le diverse regate dedicate
anche al proprio hinterland, intende valorizzare il territorio ed
avvicinare tanti giovani
alle attività marinare
che sono una risorsa
fondamentale per la
nostra città.
Antonio Stoja
SESTRI
PONENTE
Campionato
italiano a
coppie “Canna
da riva 2015”
Grazie all’impegno profuso dalla società Amo
d’Oro di Torino ed in
particolare dal suo neo
presidente Massimo
Boerio, che tenacemente sta cercando di riportare lo storico campo gara di Genova ai
fasti del passato, la meravigliosa diga aeroportuale “Cristoforo Colombo” è tornata ad
ospitare a distanza di
un anno un evento a
carattere nazionale, oggi
come allora il campionato italiano a coppie.
Trentasette le squadre
iscritte, con ovviamente
quelle della Liguria a
farla da padrone, ma
con team di valore assoluto provenienti da
Livorno, Cervia, Ravenna e Venezia, oltre
naturalmente a quelle
della società organizzatrice.
Un forte vento di tramontana, che però ha
avuto il merito di “spianare” il moto ondoso
dei giorni precedenti,
ha accolto i concorrenti
al loro sbarco via mare
sull’imponente manufatto ed ha reso assai
difficoltosa l’azione di
pesca anche agli stessi
genovesi, pur avvezzi
a queste avverse condizioni. Scorrendo i vari
settori, balzavano immediatamente agli occhi i numerosi scontri
diretti tra i box più gettonati tra i possibili
vincitori o comunque
papabili per la zona podio e questo dava ulteriore “appeal” alla competizione. Per quanto
riguarda la condotta di
gara, specialmente per
questa prima manche,
che viene disputata
nell’inedito orario del
primo pomeriggio, anche alla luce delle prove
disputate nei giorni precedenti, molti agonisti
non si aspettano pescate
clamorose in termini
di boghe ed in molti
sono pronti anche al-
l’alternativa della pesca
di fondo.
Venendo alla cronaca
della gara, nel primo
raggruppamento la coppia Moscetti-Lacerenza,
fortissima rappresentanza della Sezione di
Spotorno, ottiene il secondo posto con 2.910
punti. Nel secondo settore, poverissimo il pescato, con prevalenza
di pesce da fondo; vincono Tonacchera-Gabrielli della Sezione di
Cogoleto con 1.360
punti. Nel terzo gruppo
sono gli inossidabili
“senatori” della pesca
sulla diga genovese,
Branca e Ferrari della
nostra Sezione, a vincere con 3.090 punti.
Infine nell’altro settore
estremo, vittoria per
Magni-Predasso, anche
loro della Sezione, col
4.960 punti.
Il giorno seguente, questa volta nel consueto
orario mattutino, le
coppie di agonisti, accompagnati dalle immancabili raffiche di
vento di terra, si schierano con la speranza
che il pesce e le solite
boghe in particolare,
rispondano in maniera
più decisa e con maggiore continuità; in effetti la pescosità risulterà
superiore, anche se ben
lontana da quella di
molte epiche sfide degli
anni passati; i motivi
di questo calo della
quantità di pesce bianco
presente nel sottocosta
genovese, secondo i
vecchi pescatori, vanno
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ricercate nella sempre
maggiore presenza di
predatori, tra i quali
anche esemplari di tonno, che sono stati avvistati fino a poca distanza dalla riva; per
altri, invece, si tratta
semplicemente di un
ritardo della stagione
calda, con acque ancora
troppo fredde o semplicemente di una di
quelle annate che ciclicamente si presentano per cause non
troppo conosciute.
Venendo alla disamina
di questa seconda e decisiva prova, nel settore
estremo di ponente la
coppia Dini-Dell’Oglio
della Sezione di Genova
ottiene un piazzamento
con 4.330 punti.
Alla luce dei risultati,
il titolo va meritatamente al duo Giuliano
Magni con Maurizio
Predasso, l’unico in grado di conseguire due
primi mentre il secondo
gradino del podio va
ai “mitici” Branca-Ferrari, con 1-3, e medaglia
di bronzo per Tonacchera-Gabrielli, quest’ultimo al ritorno alle
gare dopo diversi anni,
sempre con gli stessi
piazzamenti, ma con
minor peso.
Al termine della manifestazione, nella sede
del CPSD Multedo, consueto rinfresco degli organizzatori, ben coadiuvati dai soci del sodalizio del ponente genovese; alla premiazione sono intervenuti anche il responsabile FIP-
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SAS del settore mare
Stefano Sarti ed il giudice di gara Massimo
Ferrara. Meritatissimi
gli applausi per i vincitori, accomunati dal fatto di aver vinto in passato il titolo individuale
promozionale, ma che
raggiungono con questo
titolo il risultato più
prestigioso della loro
carriera agonistica.
Dopo il termine delle
premiazioni, i vincitori
si sono lasciati andare
a qualche dichiarazione:
Magni: “sono genovese
(ci tiene a dire genoano…), pesco dall’età di
6-7 anni quando andavo
per gli scogli a pescare le
bavose con i filaccioni
innescando le patelle! Ho
iniziato a gareggiare nel
1978 fino al 1980, quando per i miei impegni calcistici abbandonai, per
poi riprendere nel ’93;
attualmente gareggio per
la LNI Sestri Ponente”.
Predasso, invece, ricorda: “Ho iniziato a pescare
all’età di 5 anni e a far
gare fin da bambino, ben
instradato da mio papà
Nicola, anche lui agonista, nelle categorie pulcini,
pierini e poi juniores,
nella società fondata da
mio padre “Nicky Sport”,
sia nella canna da riva
che nella trota torrente;
da più di dieci anni sono
nella LNI Sestri Ponente
dove mi dedico anche
alla canna da natante”.
E riguardo la vostra gara?
Predasso: “Sabato è stata
una gara particolare, soprattutto per l’orario e
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visto che non si vedevano
pesci in superficie, abbiamo deciso di partire
con la pesca di ricerca al
tocco e sono uscite un
po’ di boghe di grossa taglia, anche se con ritmo
lento, mentre nella seconda parte siamo passati
alla bolognese sia con
galleggiante fisso che scorrevole. Domenica la gara
è stata completamente
diversa con boghe di taglia
medio-piccola che hanno
risposto subito in modo
continuo sulle fisse; in
seguito abbiamo provato
a forzare la pastura per
trovare pesci di taglia
maggiore e anche questa
volta è andata bene, trovando 10-15 pesci di
quelli che contano”.
Magni: “Beh con la gente
che ha partecipato, personalmente non pensavo
alla vittoria…. Però questo
campionato è stato vissuto
con grande impegno assieme al mio amico Maurizio; inoltre la diga mi è
sempre stata “amica” in
passato ed ammetto che,
dopo il primo della gara
di esordio, un pensierino
ce l’ho fatto, anche visto
il sorteggio favorevole del
secondo turno che ci vedeva al numero 2 di campo gara!”
TRANI
La Sezione
per il sociale:
al via i progetti
vela scuola
Il forte e radicato impegno della Sezione sul
territorio trova piena
attuazione con la partenza del progetto vela
scuola presentato alla
città nei mesi scorsi.
Da questo week end e
fino all’estate, oltre
1.500 studenti di Trani
saranno protagonisti di
un’esperienza di conoscenza degli sport velici
e della cultura marinara,
guidati dall’esperienza
dell’allenatore di vela,
Michele Ricci, e dell’istruttrice di tavola a
vela, Roberta Pugliese.
I primi a partire saranno
gli studenti del primo
anno del liceo scientifico Vecchi. Domenica
è in programma nella
palestra della scuola un
open day dedicato alla
vela. Gli studenti potranno toccare con mano le imbarcazioni che
verranno studiate durante il corso, ossia la
barca a vela Optimist e
la tavola da windsurf.
Da lunedì in Auditorium via alle lezioni
(una al mese). I 20 migliori studenti beneficeranno, al termine, di
corsi gratuiti in Sezione,
sia per la vela che per
il windsurf. Da marzo
invece, analoga esperienza vedrà protagonisti gli alunni delle
scuole elementari Petronelli e Beltrani. Anche in questo caso i
bambini
potranno
prendere confidenza
con tutti gli strumenti
di navigazione, con barche Optimist e tavole
a vela di tipo techno
293, provando a terra
le principali manovre.
Trani - L’allenatore di vela Michele Ricci e l’istruttrice di tavola a vela, Roberta Pugliese, davanti ad
un Optimist della Sezione
Parallelemente a questa
attività, la Sezione di
Trani ha promosso per
gli alunni delle elementari un concorso sul tema del rapporto tra vela
ed ambiente. Tutti i
bambini potranno presentare un disegno
sull’argomento. I lavori
più belli saranno premiati con corsi estivi
gratuiti di vela presso
la Sezione.
VILLA SAN
GIOVANNI
Riflessioni su
una tartaruga
marina morta
La sensibilità di un socio
della Lega Navale Italiana villese si rinnova
con un triste quanto
encomiabile atto di riflessione sulla sfortunata Caretta caretta,
rinvenuta spiaggiata,
esanime, sulla riva calabra dello stretto di
Messina. Un racconto,
un appello, fate un po’
voi, una lettura da girare
a chi ha ancora orecchie
pronte ad ascoltare un
sano messaggio.
Bella la giornata di oggi,
28 gennaio. Quando di
questi tempi si mette al
bello… tutti cercano il
solicello (così recita una
poesia del Giusti che ha
studiato in questi giorni
mia figlia). E così anche
io, questa mattina, prima
di inchiodarmi davanti
ad una stupida macchina
computativa a cercare di
farle fare cose, spero sempre, meno stupide di essa,
ho deciso di fare una pas-
seggiata in Via Marina,
davanti alla Trinacria,
con il vento di tramontana in faccia, fresco si,
ma gradevole ad un passo
lungo e sostenuto.
E’ sempre bello e diverso,
pur essendo sempre uguale, il panorama dello
Stretto di Messina da questo lato calabro, nonostante la spiaggia sia piena zeppa di materiali
plastici di ogni genere e
dimensione (come succede
ormai purtroppo in ogni
angolo di spiaggia del
pianeta, anche il più remoto) . E’ sempre imponente ed affascinante lo
spettacolo offerto dalla
corrente, che trascina, un
altro poco, via pure i pensieri per quanto è forte e
poderosa; un po’ come
quando si sta davanti al
fuoco o ad un acquario.
Passeggio così, senza pensieri, e dopo poco incontro
vecchi amici, i fratelli
Boccaccio (Sottilaro), Aldo
e Rocco. Sono lì che armeggiano in una delle
loro barche, come al solito,
quando Rocco mi fa: “A’
viristi?” (“L’hai vista?”),
e con il gesto lungo del
braccio, quello del marinaio esperto e navigato,
mi indica in mezzo alla
risacca, sulla spiaggia,
qualcosa su cui stavo gettando lo sguardo lì per
lì. E’ una tartaruga, una
Caretta caretta, messa
in linea orizzontale alla
spiaggia con la testa a
nord, sembra muovere le
pinne, ma è solo la risacca
che le fa andare avanti
ed indietro, ormai senza
costrutto… perché è morta. Ed è triste vederla,
ancora bellissimo esempio
di geometria esagonale
ed ottimizzazione fluidodinamica naturale, ancora piccola (70 cm. circa), ancora giovanissima,
stroncata sembra da un
colpo ricevuto sul carapace, o da qualcosa che
ha ingerito, o dal disposto
combinato di tutte e due
le concause, o presa in
una rete e poi rigettata
morta, chissà.
Questa specie, che ha
eletto proprio le nostre
spiagge Joniche per la deposizione delle sue uova,
per poi avventurarsi nelle
provincie pelagiche dello
stesso mare, o passare lo
Stretto per lanciarsi nel
Tirreno, è sempre più minacciata dalle attività
scriteriate della nostra
specie su questa unica e
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sola “casa” di noi tutti:
il nostro Pianeta. Con
la diffusione dei rifiuti
plastici in mare, la pesca
con le reti o con i palangari (i “consi”) causiamo
ingenti danni alla popolazione di questa come
di tante altre specie del
mare. Ai più forse potrebbe sembrare cosa risibile, non importante;
alla fin fine non è manco
più una specie edule, non
si mangia, non costituisce
fonte di reddito, dunque
perché preoccuparsene
(sia di lei, la Caretta caretta, come delle altre
specie non direttamente
fonte di un guadagno).
Ma tutta la ricerca scientifica sin’ora fatta sulle
reti alimentari (cioè lo
schema di chi mangia
chi e chi è mangiato da
chi, in un ecosistema,
terrestre o marino che
sia) dimostra il contrario:
è l’intreccio delle relazioni
alimentari tra le specie
a far si che (a mano girando, per così dire) si
possano mantenere gli
stock delle specie che poi
possono essere di interesse
commerciale, o viceversa,
è il prelievo eccessivo di
queste specie che ci “conviene” catturare a determinare discrasie, alterazioni e problemi, al resto
della rete alimentare, con
il conseguente aumento
di specie da noi indesiderate, come ad esempio
le meduse (di cui per
altro Caretta caretta va
matta), i batteri delle infezioni cutanee e genitali,
le alghe limacciose, ecc.,
ecc..
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Villa San Giovanni - La triste immagine di una Caretta caretta morta, spiaggiata sul litorale calabrese
Ho chiamato la Guardia
Costiera, son venuti a rilevare il ritrovamento,
che va nella casistica, e
dopo è venuto il veterinario dell’ASP, così se la
portano via per vedere di
che probabile morte sia
morta. Ma al di là delle
“normali” procedure che
verranno seguite, come
si deve, a me viene in
mente lo strano legame
che sembra legarmi a
questi animali: anni prima, in un viaggio per
mare in barca a vela,
con un caro amico, da
Porto Rosa (in Sicilia) a
Tropea (in Calabria), ve-
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demmo, appena arrivati,
in una vetrina di Tropea,
una tartaruga marina
scolpita nel legno che ci
colpì molto, poi dormimmo in barca e sulla via
del ritorno, strana “coincidenza”, incontrammo
una tartaruga in difficoltà
(una pinna ingarbugliata
in un pezzo di rete) che
riuscimmo a salpare e,
mantenendola fresca e
bagnata per il resto del
viaggio, riuscimmo a consegnare alla Guardia Costiera, a Porto Rosa, perché fosse portata al centro
di recupero di Milazzo;
otto anni fa sono riuscito
a “strappare” il numero
di telefono ad una ragazza
con “la scusa” della schiusa delle uova di tartaruga
a Palizzi, e questa ragazza
oggi è mia moglie e madre
della mia splendida figlia
Camilla; quest’anno ho
finito un progetto sul palangaro derivante, dove
una delle specie di cattura
accessoria è proprio la
tartaruga di mare Caretta
caretta, ed ho conosciuto
chi (Giulia Cambiè, ricercatrice italiana, tanto
per cambiare, all’estero,
in Inghilterra) ha pubblicato ricerche bellissime
proprio su Caretta caretta
e sul suo disgraziato destino di cattura accessoria;
e poi, pochi giorni prima
di questo triste ritrovamento, mi aveva telefonato, su suggerimento di
un caro amico, un funzionario regionale che voleva un parere sulle soluzioni che verranno adottate sulla costa ionica
per far si che l’illuminazione pubblica, soprattutto quella dei lungomari, non interferisca con
l’arrivo delle madri gravide di uova che vanno
verso le nostre spiagge
Joniche per la deposizione.
La tartaruga marina sembra essere nel mio “destino”, e se penso cosa
essa rappresenti per i popoli che venerano la natura, come sarebbe giusto
fare, e cioè la “madre
terra”, l’origine del mondo, ciò che connette la
terra al cielo, per i polinesiani le pleiadi nel cielo
notturno, mi pare ella
mi voglia fare foriero di
un messaggio, di un grido,
di un urlo muto: “cosa
fate, cosa state facendo
al corpo liquido e vivo
da cui tutta la vita, voi
inclusi, ha preso forma?”… si, cosa stiamo
facendo del Creato che
Iddio ci ha dato nelle
mani, figli irresponsabili
e degeneri, cosa? Per
quanto ancora potremo
andare avanti spremendo
fino alla polpa ogni risorsa
naturale di questo pianeta? … Guardando gli
occhi chiusi ed anneriti
di quei poveri resti di un
essere vivente li rigettati
sulla spiaggia ormai senza
vita mi son venute in
mente le parole di una
famosa canzone di Lucio
Dalla:
“Così stanno bruciando
il mare, così stanno uccidendo il mare, così
stanno umiliando il
mare, così stanno piegando il mare”. La tartaruga morta lo diceva,
lo dice, lo urla a tutti
quelli che… vogliono sentirla.
Fortunato A. Ascioti
VICO
EQUENSE
Traversata
Marina di
Vico - Torre
Annunziata
Sabato scorso 26 settembre la nostra Sezione ha avuto il piacere
di organizzare la partenza della traversata
a nuoto da Marina di
Vico a Torre Annunziata
di Salvatore Cimmino.
(www.salvatorecimmino.it)
Ingegnere, vive e lavora
a Roma, all’età di 15
anni fu colpito da osteosarcoma per cui gli fu
amputata una gamba
all’altezza del femore,
oltre al suo lavoro si
batte per un mondo
senza barriere perché
un disabile può essere
una risorsa e non un
peso per la società.
Salvatore sabato sera,
dopo una giornata faticosa e piena di tensione, viene di nuovo
a Vico Equense, vuole
ringraziare la Sezione
per il tempo e l’impegno che abbiamo dedicato a lui e al suo
evento.
Io giro a tutti voi i ringraziamenti di Salvatore
ed aggiungo i miei. Per
la loro presenza: ai dirigenti scolastici delle
scuole del territorio, ai
docenti ed ai 500 ragazzi che già dalle 07,30
scendevano alla marina
a piedi.
Al sindaco, agli assessori, al nuovo comandante della Guardia Costiera di Castellammare
di Stabia e a tutti quelli
che sono intervenuti.
Naturalmente, un particolare ringraziamento
a tutti i soci che hanno
collaborato, al comandante Rodolfo Izzo con
la sua Aquila, barca appoggio ufficiale.
Un evento non solo
mediatico ma di grande
importanza morale che
ci è costato tempo ed
impegno ma che onora
la nostra Sezione perché
anche noi, come Salvatore, lottiamo per un
mondo migliore.
DAVOLI
“Mediterraneo:
un mare d’arte
e cultura”
Per il secondo anno
consecutivo, la Delegazione, in collaborazione con l’Istituto
Comprensivo Statale di
Davoli, ha organizzato
la mostra d’arte dal titolo “Mediterraneo: un
mare d’arte e cultura”
abbinata al concorso
d’arte. Inaugurata l’otto
gennaio 2016 dal prof
Nuccio Ordine, ordinario di letteratura
dell’Università della Calabria (CS), all’insegna
dell’ossimoro “L’utilità
dell’Inutile”, l’arte e la
cultura, essenza del Mediterraneo, hanno fatto
da cornice per tutto il
mese di gennaio alla
mostra e concorso d’arte che si è concluso il
29 gennaio con la premiazione delle opere
vincitrici del primo e
secondo premio.
Parafrasando il prof.
Giuseppe Roma (Unical, CS), “il Mediterraneo
bagna l’Africa, l’Asia e
l’Europa ma non è né
Africa, né Asia né Europa,
è il Mediterraneo” luogo
dove si sono sviluppate
civiltà millenarie di cui
ha consentito anche le
contaminazioni e sovrapposizioni.
Le contaminazioni tra
popoli e culture del Mediterraneo sono state
al centro del secondo
incontro tenutosi il 15
gennaio e guidato dal
prof. Francesco Altimari
(Unical, CS), ordinario
di lingua e letteratura
albanese, che ha fatto
apprezzare le caratteristiche salienti della lingua e letteratura delle
popolazioni di origine
albanese. Grazie al Mediterraneo, queste popolazioni sono giunte
nella nostra Regione
dove da secoli mantengono un’identità con-
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Davoli - Una bella immagine in posa del Gruppo Folcloristico Arberia con i costumi tradizionali
tinuamente rinnovata
ed apprezzabile anche
attraverso lo splendore
degli abiti e dei balli
tradizionali delle donne
e degli uomini Arbereshe (Gruppo folkloristico “Arberia”), giunti
a Davoli accompagnati
dal sindaco di Frascineto
(CS). La Delegazione ha
anche favorito la sigla
di un gemellaggio tra i
comuni di Davoli (CZ)
e Frascineto (CS) finalizzato allo scambio delle reciproche tradizioni
e culture anche utili a
programmare attività
progettuali comuni.
Ed ancora, nell’incontro
del 22 gennaio le popolazioni del Mediterraneo, con particolare
riferimento a quelle di
Creta, altre aree geografiche greche, del sud
dell’Italia, Marocco,
Spagna e Portogallo,
sono state rappresentate
come il fulcro attorno
al quale si muove la
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curiosità di ricercatori
di tutto il mondo. Infatti, moderati dal prof.
Sebastiano Andò (Unical, CS), ordinario di
patologia e direttore
del dipartimento di farmacia, scienze della salute e della nutrizione,
i relatori intervenuti
hanno documentato
come le abitudini alimentari (comprendendone anche lo stile di
vita) rappresentano il
fondamento dello straordinario ruolo della
Dieta Mediterranea nel
mantenimento dello
stato di salute e longevità. Traccia della Dieta
Mediterranea è stata
anche custodita nei millenni da reperti archeologici e ciò, accanto al
valore culturale e salutistico che essa rappresenta per i popoli del
Mediterraneo, ha consentito all’Unesco di
definirla patrimonio intangibile dell’umanità.
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L’incontro conclusivo
della mostra è stato dedicato alla caratterizzazione del valore antropologico delle abitudini alimentari dei
popoli del Mediterraneo, aspetto di primaria
importanza per la comprensione del cammino
di umanizzazione intrapreso, ed ancora in
via di svolgimento, dalle nostre popolazioni.
“Il Mediterraneo di oggi
è l’oceano di un secolo
fa. In gioco non c’è solo
il cibo, la possibilità di
nutrirsi e di placare la
fame – il tema di un’Expo che appare troppo
distante da questa sofferenza – ma la nostra
idea di convivenza. Un
universo che ci interroga,
chiedendo risposte a un
Occidente smarrito.” Parole tratte da “Fine pasto” del prof. Vito Teti
(Giulio Einaudi Editore), antropologo di primissimo piano nel pa-
norama culturale nazionale che tanto ha
scritto sul cibo nel corso
dell’ultimo decennio.
Il prof. Teti è ordinario
di etnologia presso il
dipartimento di studi
umanistici dell’Università della Calabria e
fondatore del centro di
documentazione e ricerca su “Antropologie
e Letterature del Mediterraneo”.
Quindi, con il poemetto
in lingua italiana su
Gioacchino Murat è
stato spiegato nell’antico modo dei menestrelli medievali o lamentatori (con cartellone al seguito) in un
atto unico bitematico,
con un tema minore,
uno maggiore ed un finale, il viaggio verso
Pizzo, sul Mar Tirreno,
dell’importante luogotenente di Bonaparte.
Scritto in dialetto nel
1998 da Rocco Jenco,
sia il testo che la musica
sono stati continuamente elaborati dall’autore fino alla versione definitiva, in italiano, del 2015. La prima esecuzione è avvenuta in Puglia, ad Altamura (BA), il 7 novembre del 2015 dove
ha riscontrato notevole
approvazione.
Al termine della serata,
una commissione di
esperti ha individuato
l’opera vincitrice del
primo premio, “Calvario” di Vittorio Papaleo,
tributo a tutte le vittime
dei migranti attraverso
il Mediterraneo. L’opera
è stata regalata dalla
Delegazione all’Istituto
Comprensivo Statale di
Davoli per farla diventare patrimonio di tutti,
specialmente degli studenti del nostro comprensorio. La seconda
classificata è stata “Nuove Speranze”, bellissima
opera di Luisa Corasaniti ispirata dalla scoperta delle terre emerse
ad opera dei grandi navigatori.
La mostra ed il concorso
d’arte sono stati resi
possibili dalla disponibilità dell’Amministrazione Comunale di Davoli che, a titolo gratuito, ha offerto la disponibilità del Centro
Polifunzionale della
Cultura per tutto il mese
di gennaio quale sede
della mostra e dei convegni abbinati alla mostra. Inoltre, un ringraziamento doveroso va
al sindaco di Davoli,
dott. Giuseppe Papaleo,
Davoli - L'opera Calvario, di Vittorio Papaleo, cui la commissione di esperti ha deciso di assegnare il
primo premio
ed al presidente del
Consiglio Comunale,
dott. Francesco Floro
Procopio, che hanno
sempre assicurato la loro presenza nel corso
dei quattro appuntamenti culturali abbinati
alla mostra. Quest’ultima è stata il frutto di
una partecipazione
molto sentita e spontanea di tutti i soci della
Delegazione, mirabilmente guidati dai curatori della mostra a
cui va il più vivo ringraziamento e cioè: la
prof.ssa Rosanna Basanisi, docente d’arte e
immagine dell’ Istituto
Comprensivo Statale,
Marina di Davoli (CZ),
Franco Calabretta, architetto libero professionista, Davoli (CZ),
Federica Laporta, studentessa universitaria,
Davoli (CZ), Manuela
Alessia Pisano, storico
dell’arte, Marina di Sant’Andrea (CZ) e Fran-
cesco Procopio, dottore
in conservazione beni
culturali, libero professionista, Davoli (CZ).
Un particolare ringraziamento va ai responsabili esecutivi dell’allestimento della mostra:
Marcello Mirarchi, Antonio Viscomi, e Nicola
Procopio, artigiani di
grande valore della nostra comunità. Un sentito ringraziamento va
al nostro Chef Giuseppe
Viscomi che per tutti
gli appuntamenti ha
offerto ai partecipanti
e visitatori dell’ottimo
finger food a tema con
l’argomento discusso,
rendendo la mostra
d’arte una vera meraviglia di cui già si sente
la mancanza. Il sottoscritto è personalmente
indebitato con tutti i
soci ed in modo particolare con il Delegato
Regionale, rag. Antonio
Nicoletta, che con grande disponibilità e sa-
crificio ha voluto partecipare all’attività della
mostra esprimendo, come sempre, apprezzamento e parole di elogio
per l’attività della Delegazione.
Giacinto Bagetta
ROCCELLA
JONICA
Nave Palinuro
a Roccella
Nella mattinata di mercoledì 4 novembre, il
veliero Palinuro, navescuola della Marina Militare, ha accostato e
sostato per diverse ore
nelle acque antistanti
l’abitato di Roccella Jonica. La richiesta in tal
senso avanzata dalla
Sezione ed accolta dallo
Stato Maggiore della
Marina, ha fatto sì che
questa meravigliosa occasione potesse essere
trascritta sul diario sto-
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rico della nave e sulle
pagine di storia della
cittadina roccellese, da
sempre vocata al mare
ed alle attività marinaresche. L’unità, al comando del capitano di
fregata Gabriele Belfiore, ha ricevuto a bordo
dapprima la visita di
una delegazione composta dal presidente
della Sezione, ing. Ilario
Franco, dal sindaco della cittadina Roccellese,
prof. Giuseppe Certomà
e dal preside del locale
Istituto Nautico “Maiorana”, ing. Antonino
Morfea, accompagnato
da diversi docenti. Dopo aver reso gli onori
agli ospiti, il comandante ha concesso la
visita a bordo agli studenti e ai soci della Sezione che hanno voluto
partecipare alla manifestazione con le proprie barche, defilando
intorno alla nave e accostandosi successivamente ad essa.
Il Palinuro ha effettuato
una crociera addestrativa con partenza da
Venezia il 23 ottobre,
e arrivo a Salerno, il 12
novembre, organizzata
dalla Marina Militare
in collaborazione con
la Lega Navale Italiana.
In tale crociera si è imbarcato un gruppo selezionato di giovani soci, tra cui si trovava
anche Luigi Giancotti
di Roccella Jonica, alun-
no del locale Istituto
Nautico.
Il comandante, gli ufficiali e l’equipaggio di
nave Palinuro hanno
calorosamente intrattenuto gli ospiti saliti a
bordo con spiegazioni
e dimostrazioni, facendo così loro vivere una
giornata emozionante
proprio nel giorno della
Festa Nazionale delle
Forze Armate. A coronamento dell’iniziativa
e a ricordo della giornata
trascorsa a Roccella Jonica, il sindaco Certomà
ha voluto far dono al
comandante di un prezioso volume illustrativo
della storia e della vita
di Roccella Jonica e il
comandante ha ricam-
biato nello spirito della
tradizione marinara offrendo alla Sezione e
alla città il “crest” del
Palinuro che riporta il
motto della unità “Faventibus Ventis”.
La riuscita dell’iniziativa
è stata possibile anche
e soprattutto grazie ai
soci che hanno messo
a disposizione le proprie
imbarcazioni per collegare il porto di Roccella con la nave, nonché alla società di diving
“Megale Hellas” di Marina di Gioiosa che gratuitamente e con entusiasmo ha trasportato
con le proprie imbarcazioni gli alunni dell’Istituto Nautico a bordo del Palinuro.
Roccella Ionica - La nave scuola Palinuro durante la sosta effettuata a Roccella con, sullo sfondo, l’abitato del bel centro calabrese
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